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Processi e potenzialità dell'attività di esemplificazione Uno studio sulla produzione di esempi negli studenti di Matematica

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Dipartimento di Matematica

Tesi di Laurea Magistrale in Matematica

Processi e potenzialità dell'attività di

esemplificazione

Uno studio sulla produzione di esempi

negli studenti di Matematica

Relatore Candidata Prof. Pietro Di Martino Arianna Moisio

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Indice

1 Introduzione ... 4

2 Quadro teorico di riferimento ... 9

Spazio degli esempi ... 9

Concept image e concept definition ... 10

Misconcezioni ... 15

Trasformazioni e registri semiotici ... 19

Embodied Cognition ... 22

Produzione di esempi: il modello di Antonini ... 24

3 Domande di ricerca e metodi ... 29

4 Risultati e analisi dei dati ... 38

Classificazione delle strategie utilizzate ... 39

Tentativi ed errori ... 41

Trasformazione... 42

Analisi ... 47

Controllo ... 53

Processi non attivati ... 53

Controllo nella scelta e nell’uso dei registri ... 55

Controllo e previsione ... 59

Vincoli mentali ... 60

Situazioni di innesco ... 62

Tentativi inefficaci – generalizzazione empirica ... 65

Tentativo inefficace – generalizzazione strutturale ... 67

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Esclusivamente analitico ... 70

Approcci “embodied” ... 71

Concept image e misconcezioni ... 77

Difficoltà relative alla non esistenza di limiti destri ... 91

5 Conclusioni ... 95

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1 Introduzione

La centralità degli esempi nel pensiero matematico è stata lungamente attestata. Gli esempi, intesi come “illustrazioni di concetti e principi” (Watson & Mason, 2005), vengono prelevati dal mondo degli oggetti matematici ed elevati a “vivi” rappresentanti di proprietà generali, pur nella loro specificità. Risulta difficile pensare alla produzione creativa in matematica senza fare riferimento alla produzione di esempi, così come alla condivisione di idee e concetti. Infatti, ogni tipo di comunicazione in matematica necessita di illustrare i concetti astratti che ne sono oggetto, quindi di scegliere uno o più adeguati

rappresentanti semiotici: gli esempi. L’esemplificazione, ovvero “qualsiasi situazione in cui

qualcosa di specifico viene offerto come rappresentante di una classe generale” (Bills, et al., 2006), permea qualsiasi tipo di attività matematica, entrando “nei suoi problemi più complessi per dimostrare metodi, nello sviluppo dei concetti per identificare relazioni, e nella formulazione di argomentazioni e dimostrazioni” (Bills, et al., 2006).

Il processo di produzione di esempi in matematica ha attirato, negli ultimi decenni, gli interessi anche di molti ricercatori nell’ambito dell’educazione matematica: (Watson & Mason, 2005), (Mason, 2011), (Bills, et al., 2006), (Furinghetti, et al., 2011), (Zaslavsky & Peled, 1996), (Zazkis & Leikin, 2008). Effettivamente, questa attività, spesso considerata come una particolare situazione di problem-solving, può essere fruttuosamente proposta in ambito educativo per lavorare sulle capacità di argomentazione degli studenti, così come per favorire la formazione e la comprensione più profonda dei concetti matematici in classe. È quindi da considerarsi uno strumento didattico dal potenziale estremamente interessante, come avremo modo di esaminare e discutere nel dettaglio.

D’altra parte, gli esempi ricorrono di per sé nella comunicazione in aula e dunque sono oggetti di interesse per chi studia le dinamiche del processo di apprendimento-insegnamento. Sono anche, ed è quel che più ci interessa in questo lavoro, un eccezionale mezzo per mettere alla prova, far emergere e dunque analizzare le conoscenze, le convinzioni e le rappresentazioni che uno studente ha sviluppato riguardo a un determinato concetto matematico.

Tralasciando la vasta produzione in letteratura che si è occupata del processo di produzione di esempi negli insegnanti, anch’esso molto interessante, noi ci

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5 concentreremo in questo lavoro di tesi sulla produzione di esempi da parte degli studenti, che indicheremo con l’acronimo LGE1 (Watson & Mason, 2005). Sia per quanto riguarda l’analisi della letteratura, che poi per la raccolta dati, il nostro focus sarà quindi sull’attività di produzione degli esempi applicata a un campione particolare, ovvero studenti universitari di Matematica.

Questa scelta è stata influenzata dall’ampia letteratura che si è occupata di indagare i benefici dell’attività di esemplificazione in matematica. Innanzitutto, ci sono stati di ispirazione gli studi che dimostrano come stimolare la produzione di esempi negli studenti permetta di lavorare sulla variazione (Watson & Shipman, 2008):

Come matematici, noi apprezziamo l’importanza di generare variazione. Il controllo delle variabili contribuisce a percepire, rappresentare e comprendere le relazioni che si stanno esemplificando. […] Ciò suggerisce che quando uno studente genera esempi, la riflessione su questi stessi, attraverso la percezione degli effetti delle variazioni fatte, può condurre alla coscienza della struttura matematica sottostante. […] Attuare variazioni che vanno al di là delle limitazioni percepite è un modo di costruire oggetti sconosciuti; un altro modo è identificare le strutture sottostanti alle rappresentazioni matematiche, considerare e mettere in secondo piano i loro vari aspetti e presentarle sotto nuove forme.

Per Watson e Shipman (Watson & Shipman, 2008) l’attività di produzione di esempi ha la potenzialità di favorire il superamento d fissate rappresentazioni di un concetto matematico e di condurre lo studente alla scoperta di aspetti concettuali altrimenti ignoti e inesplorati. Hazzan e Zazkis ritengono che, mentre gli studenti si sforzano di generare esempi che soddisfino certe proprietà particolari, essi arricchiscano le loro concezioni rendendole più generali e acquisendo consapevolezza (Hazzan & Zazkis, 1999). Quindi l’attività di esemplificazione favorirebbe sia lo sviluppo dei concetti matematici, sia lo sviluppo del pensiero razionale e consapevole in matematica.

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6 In secondo luogo, come evidenziato da Zazkis e Leikin (Zazkis & Leikin, 2007), gli LGE forniscono all’insegnante la possibilità di “sbirciare” nella mente dello studente, diventando uno “strumento diagnostico” (Antonini, 2008) della formazione concettuale. In effetti, se vogliamo ricostruire la concept image sviluppata da uno studente, ovvero l’intera struttura cognitiva associata a un certo concetto matematico2, richiedere la

produzione di un esempio è una via efficace, certamente molto di più rispetto a una domanda diretta sulla definizione del concetto, che attiva il richiamo alla concept

definition (Tall & Vinner, 1981).

Se analizziamo il processo di produzione degli esempi come un caso particolare di problem-solving, è evidente che due aspetti fondamentali risultano essere la scelta delle strategie e il controllo dei processi, che sono legati (ma non sovrapposti) alle conoscenze dell’individuo sull’ambito di applicazione del concetto da esemplificare. Infatti, l’attivazione di processi di controllo robusti e assidui o la loro mancanza risulta un aspetto cruciale per l’efficacia dei processi di risoluzione. La presenza di controlli operativi metacognitivi guida lo studente nell’applicazione delle strategie, alterandone il cammino e motivando eventuali cambi di strategia. Questi aspetti risultano ancora più determinanti nel caso di richieste di produzione di esempi con finale aperto, ovvero richieste del tipo: “Dai un esempio, se possibile”, che non garantiscono nella loro formulazione l’esistenza dell’esempio stesso. Quando lo studente affronta questo tipo di problema solitamente assegna a priori un grado di fiducia maggiore ad una delle due eventualità (esiste/non esiste), e sulla base di questa assegnazione di probabilità - che talvolta è fortemente influenzata da considerazioni extra-matematiche, ad esempio la convinzione che chi ha fatto la domanda voglia una costruzione e dunque abbia proposto un esempio possibile - condiziona le proprie strategie. Il fatto che ci si debba orientare verso la possibilità o l’impossibilità di costruire l’esempio richiesto mette in gioco conoscenze diverse e differenti strategie: da una parte costruire, dall’altra cercare una dimostrazione più o meno formale dell’impossibilità della costruzione richiesta. Nel nostro studio, abbiamo scelto di dare una formulazione aperta alla produzione degli esempi per poter osservare nel dettaglio queste strategie e assistere a una maggiore esplorazione da parte dei partecipanti rispetto a quanto avremmo potuto ottenere con richieste a formulazione

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7 chiusa (del tipo “Costruisci un esempio…”). Sempre nell’ottica di favorire l’esplorazione, nella progettazione di attività di esemplificazione è fondamentale costruire richieste

adeguatamente difficili per il campione sottoposto all’attività stessa. La giusta scelta delle

attività è restituita dalla non immediatezza nella costruzione dell’esempio richiesto o nella esplicitazione della dimostrazione di non esistenza dell’esempio richiesto. Possiamo anticipare che, a questo proposito, nella nostra indagine raramente abbiamo ottenuto risposte immediate ai quesiti, ma abbiamo assistito all’attivazione di una varietà di meccanismi che hanno condotto i partecipanti in modo più o meno accidentato alla produzione degli esempi richiesti in circa l’80% dei casi.

Usando la terminologia di Watson e Mason, possiamo riferirci a questo tipo di quesiti - che abbiamo chiamato adeguatamente difficili - chiamandoli esempi estremi, ovvero esempi che

Necessitano di spingersi al limite rispetto a quello che di solito accade in quel particolare contesto matematico e osservare ciò che accade in maniera inusuale. […] Gli esempi estremi, quindi, confondono le nostre aspettative, ci incoraggiano a farci domande che vanno oltre la nostra esperienza attuale e ci preparano a nuova comprensione dei concetti.3

Concordiamo con Bills et al. (Bills, et al., 2006) nell’affermare che l’attività di ricerca di esempi estremi è fondamentale per superare i prototipi riduttivi, per esplorare i limiti di ciò che è permesso dalle definizioni e sperimentare il grado di variazione permesso all’interno del concetto matematico in questione.

Per quanto riguarda il contenuto matematico protagonista delle nostre richieste, abbiamo scelto di focalizzarci su esempi di analisi reale che coinvolgono il concetto di limite di funzione reale in una incognita. Questa scelta è stata dettata da una parte dal fatto che tale concetto è introdotto fin dalla scuola secondaria di secondo grado, e dunque nel corso degli studi universitari lo studente modella, integra e talvolta cambia radicalmente la visione inizialmente sviluppata, dall’altra dalla consapevolezza delle

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8 difficoltà che gli studenti incontrano nell’acquisizione del concetto di limite, come testimoniato da varia letteratura (Tall & Vinner, 1981), (Tall, 1993), (Cottrill, et al., 1996).

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2 Quadro teorico di riferimento

Spazio degli esempi

Gran parte della letteratura che tratta di spazio degli esempi fa riferimento al modello di Watson e Mason (Watson & Mason, 2005).

Come suggerisce il titolo del loro libro, essi considerano l’attività matematica come

costruttiva. Un caposaldo del modello costruttivista prevede che chi impara operi

attivamente con il materiale matematico che sta apprendendo: anche nel modello di insegnamento più trasmissivo, l’apprendimento non è mai un’acquisizione per passaggio di concetti, ma chi apprende interpreta ciò che ascolta e lo trasforma. In particolare, nel modello costruttivista la costruzione di oggetti matematici è una componente fondamentale dell’apprendimento, ne consegue l’importanza di coinvolgere gli studenti in un’attività personale e creativa come quella della produzione degli esempi.

Quando parliamo di spazio degli esempi ci riferiamo alla collezione di esempi che un individuo associa a un particolare concetto in un preciso momento e contesto. Il tipo di spazio degli esempi che consideriamo è situato (locale) e personale (individuale), innescato da una richiesta esterna e influenzato da molteplici fattori. Certamente, alcuni di questi sono il livello di conoscenza dell’argomento e l’esperienza del soggetto, ma concordiamo con Watson e Mason nell’indicare anche la formulazione del quesito, chi lo sta ponendo e in quale contesto. Dunque, dobbiamo tenere a mente che le risposte ottenute sono specifiche rispetto alla domanda, alle esperienze passate e presenti dell’individuo e al contesto generale dell’intervista.

Quando parliamo di spazio degli esempi, dobbiamo precisare che questa non è una semplice lista, nella quale i singoli esempi vivono sparsi e isolati. Piuttosto, lo spazio degli esempi è organizzato in una struttura di elementi e classi collegati fra di loro. Questa struttura può essere arricchita con nuovi collegamenti e membri in seguito a stimoli interni ed esterni, aumentando la sua cardinalità e infittendo le associazioni interne. In questo modo, si ottengono spazi degli esempi produttivi e non meramente illustrativi, basati sulla consapevolezza degli aspetti cruciali dei loro membri e delle dimensioni delle

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10 Per estendersi, gli spazi degli esempi hanno bisogno di essere ristrutturati; a tal fine Watson e Mason elencano le seguenti attività fondamentali:

• Riorganizzare le conoscenze alimenta la coscienza dei collegamenti fra le esperienze e le trasforma in abitudini di pensiero.

• Realizzare che le conoscenze possono essere applicate in modi finora intentati.

• Armeggiare con gli oggetti noti, fonderli o attaccarli insieme per creare qualcosa di nuovo.

• Osservare oggetti matematici nuovi e privi di connessioni evidenti con le conoscenze finora acquisite o che non potrebbero essere costruiti senza un intervento esterno.

• Incontrare controesempi che rivelano nuove dimensioni di possibili

variazioni dello spazio degli esempi e offrono spunti di riflessione sullo

spazio degli esempi convenzionale.

Concept image e concept definition

Sebbene la matematica sia spesso considerata una materia nella quale i concetti sono introdotti ed acquisiti dagli studenti attraverso l’esplicitazione di una definizione formale, questa visione è smentita da diversi studi che hanno mostrato come essa non rispecchi i meccanismi che regolano l’apprendimento matematico. Come evidenziano Tall e Vinner (Tall & Vinner, 1981), bisogna fare una distinzione tra la definizione formale di un concetto e le “immagini mentali” che ogni individuo associa ai concetti astratti tipicamente trattati in matematica. Tall e Vinner hanno mostrato come, in seguito all’incontro con una parola o un simbolo legati a un nuovo concetto matematico, uno studente può essere in grado di nominare quel concetto e riportare la definizione formale dello stesso, ma allo stesso tempo far riferimento a immagini mentali / rappresentazioni di quel concetto che portano a riconoscere e utilizzare presunte “proprietà” che sono incoerenti con (o comunque non derivano da) la definizione formale. Questa osservazione porta i due studiosi a definire, oltre alla concept definition (la definizione formale del concetto matematico), questa serie di immagini e rappresentazioni che l’individuo associa al concetto, chiamandola concept image del concetto matematico X tenuta dall’individuo Y. Essa include appunto immagini mentali di qualsiasi tipo, proprietà, operazioni e

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11 meccanismi, e si modella attraverso gli anni di pratica a contatto con un certo concetto matematico, adattandosi ed evolvendosi quando l’individuo incontra nuovi stimoli e matura. Anche in questo caso emerge con forza la componente di singolarità individuale della concept image a differenza della concept definition che sembra maggiormente legata ad una idea di condivisione di comunità. In realtà, Tall e Vinner usano il termine

concept definition per “la formula verbale utilizzata per specificare un concetto” da parte

di uno studente. Riconoscono poi come questa formula possa essere di due tipi: una

concept definition personale, ricostruita dallo studente, oppure una concept definition formale, impartita dall’insegnante o dal manuale e universalmente accettata. Anche

l‘acquisizione di una concept definition formale da parte dello studente contribuisce a generare una concept definition image, la quale fa propriamente parte della concept image.

Quello che emerge dagli studi di Tall e Vinner è che anche individui che dimostrano di conoscere e ben controllare la definizione formale di un concetto possono avere una concept image di quel concetto che contrasta in qualche aspetto con la definizione formale. In particolare, essi evidenziano come il controllo cognitivo sulla definizione formale non garantisca la consapevolezza di tali conflitti tra concept image e concept definition. Non si tratta tanto di debolezza logica, ma spesso di attivazione differenziata della concept image o della definizione formale a seconda del contesto e dello stimolo ricevuto. Solo quando aspetti conflittuali vengono evocati contemporaneamente è possibile percepire l’incoerenza tra le due strutture, e proprio la mancanza di consapevolezza del conflitto dimostra che questo non è un problema di controllo logico, ma di contesto e attivazione differenziata. Insomma, il modello di Tall e Vinner è un modello interpretativo che identifica e spiega alcuni fenomeni nell’ambito dell’apprendimento della matematica (anche avanzata) che altre modellizzazioni non avevano portato alla luce e di conseguenza non erano in grado di spiegare.

Uno dei casi trattati approfonditamente da Tall e Vinner è ad esempio quello delle successioni reali, prodomo di quello che accade con le funzioni reali oggetto del nostro studio. Se già la definizione di successione reale comporta spesso la creazione di concept image ricorrenti, quella di limite di una successione reale ancora di più. Spesso i primi esempi di successioni convergenti ad un limite sono legati a successioni limitate,

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12 monotone crescenti (o decrescenti) a termini positivi (negativi). Questo caso particolare, ma che diventa esemplificativo, comporta che nessun termine della successione assuma il valore del limite e che la successione si avvicini sempre di più al valore limite, ovvero che il termine n+1-esimo sia sempre più vicino al limite del termine n-esimo. Accade così spesso che, al di là della definizione formale di limite di una successione reale, lo studente si costruisca una concept image di 𝑠𝑛 → s per la quale 𝑠𝑛 si avvicina a 𝑠 ad ogni passo e

non raggiunge mai il valore di 𝑠. Basandoci sulla concept image descritta, una 𝑠𝑛 costante non ha limite, così come una successione i cui termini non si avvicinano “sempre di più” al valore limite (nel senso che non è vero che il termine n+1-esimo è sempre più vicino al limite del termine n-esimo), come ad esempio la successione 𝑠𝑛 = 1

𝑛+ (−1) 𝑛1

𝑛 .

Talvolta, gli studenti sono in grado di operare in vari contesti basandosi esclusivamente su aspetti specifici della loro concept image. In questi casi, non solo non entra in gioco la definizione formale e quindi non si presentano potenziali elementi di

conflitto tra la concept image e la concept definition, ma spesso non emergono nemmeno

possibili aspetti conflittuali dei vari elementi che possono comporre la concept image. Quando invece diverse parti della concept image risultano conflittuali e vengono evocate contemporaneamente, esse diventano fattori di conflitto cognitivo anche in assenza di

attivazione della concept definition.

Per esempio, ipotizziamo che nella concept image di uno studente sia presente l’associazione del numero complesso 𝑥 + 𝑖𝑦 con la coppia ordinata di reali (𝑥, 𝑦). Identificando il numero 𝑥 + 𝑖 ∙ 0 = (𝑥, 0) con il numero reale 𝑥, il concetto di numero complesso potrebbe diventare un potenziale fattore di conflitto cognitivo.

Uno studio di D. O. Tall (Tall, 1977) mostra come alcuni studenti considerino √2 come un numero reale non complesso e √2 + 𝑖 ∙ 0 come un numero complesso. Allo stesso tempo, essi definiscono i numeri reali come “numeri complessi con parte immaginaria zero”. √2 e √2 + 𝑖 ∙ 0 vengono considerati come entità uguali o distinte a seconda del contesto, senza causare alcun conflitto cognitivo fino al momento in cui le due rappresentazioni vengono evocate simultaneamente.

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13 Come ulteriore esempio, consideriamo di nuovo il limite di una successione. In uno studio presso un’università inglese, D. O. Tall e S. Vinner (Tall & Vinner, 1981) chiedono a 36 studenti all’inizio del percorso universitario di calcolare il seguente limite:

lim 𝑛→∞(1 + 9 10+ 9 100+. . . + 9 10𝑛) 𝑛

Quattordici di loro rispondono che il risultato è 2, ma affermano anche che 0, 9̅ < 1. Quest’ultima risposta viene giustificata in termini “infinitesimali”: “È appena meno di uno, perché la differenza è infinitamente piccola”, oppure “appena meno di uno, perché anche all’infinito il numero, sebbene vicino, tecnicamente non è uguale a 1”. Evidentemente, le due domande (e in particolare le due rappresentazioni in gioco per proporle) evocano negli studenti aspetti differenti della concept image associata al processo di limite. In un test successivo, alla richiesta di trasformare vari numeri decimali in forma di frazione, tredici dei partecipanti che in precedenza avevano dichiarato che 0, 9̅ < 1 affermano che 0, 9̅ = 1.

La discussione in classe di questi aspetti, ma anche la sola proposizione ravvicinata di richieste come le precedenti che attivano aspetti diversi della concept image, possono offrire la possibilità agli studenti di acquisire consapevolezza e indagare gli elementi in disaccordo nella propria concept image. Al di là di questa considerazione didattica, questo studio di Tall e Vinner è comunque una conferma - dal punto di vista della ricerca - della possibilità che un concetto evochi nello stesso soggetto immagini diverse, talvolta contraddittorie, che si attivano alternativamente a seconda dello stimolo ricevuto.

Più complicata è la costruzione di attività che favoriscano l’emergere di consapevolezza rispetto a conflitti tra parti della concept image e la definizione formale di un concetto matematico. Per esempio, consideriamo due aspetti che la letteratura identifica spesso all’interno della concept image del concetto matematico “continuità di una funzione a valori in R”. Il primo consiste nel considerare continue solo le funzioni che abbiano grafici “senza buchi”, il secondo solo le funzioni esprimibili attraverso un’unica espressione analitica. Queste immagini associate alla concept image non sono inferibili da una definizione formale di continuità (ad esempio:𝑓: 𝐷 → ℝ è continua in 𝑎 ∈ 𝐷 se ∀𝜀 > 0, ∃𝛿 > 0 tale che ∀𝑥 ∈ 𝐷, |𝑥 − 𝑎| < 𝛿, vale |𝑓(𝑥) − 𝑓(𝑎)| < 𝜀.

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14 Se consideriamo la funzione 𝑓: ℚ → ℝ data da:

𝑓(𝑥) = {0 𝑠𝑒 𝑥 < 0 ∨ 𝑥2 < 2 1 𝑠𝑒 𝑥 > 0 ∧ 𝑥2 > 2

Una funzione di questo tipo non soddisfa nessuno dei due aspetti descritti della concept image, e quindi, non sarebbe percepita come un esempio di funzione continua.

Soprattutto in casi come questi, dove la definizione formale non evoca inferenze elementari e intuitive, accorgersi del conflitto in atto (la concept image non riconosce come continue funzioni che per la concept definition lo sono nel loro dominio) non è scontato. Succede così che tali proprietà associate alla concept image relativa al concetto di continuità di funzione permangano anche tra chi fa studi avanzati di matematica senza generare apparentemente alcun conflitto cognitivo. È interessante osservare come, dal punto di vista didattico, possa non essere efficace affrontare direttamente questi casi noti, facendo notare esplicitamente attraverso esempi ad hoc come proprietà del grafico quali quella di non avere buchi (non alzare la penna dal foglio) possano non essere condizioni necessarie per la continuità. Infatti, diversi studi mostrano come anche soggetti con una preparazione matematica buona tendono ad accettare anomalie ad hoc, ovvero considerare gli esempi mostrati come "cose strane” prodotte a tavolino. C’è anche da dire che in ambito scolastico essenzialmente è così, perché tali esempi atipici sono esempi ad hoc che, se emergono, lo fanno solo quando si vuol far vedere che certe proprietà non derivano dalla definizione di continuità. Dunque, la strategia dello studente di usare proprietà “non inferibili” dalla definizione formale può risultare efficace in classe, nonostante si appoggi su presupposti matematici falsi.

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Misconcezioni

Il termine misconcezione deriva dall’inglese ed i suoi primi usi nell’ambito della ricerca in Fisica ed Economia si attestano all’inizio degli anni ’80, col significato di “errore” o “malinteso”. Le misconcezioni sono poi diventate frequente oggetto di ricerca in didattica della matematica a partire dalla seconda metà degli anni ’80 (Schoenfeld, 1985), (Silver, 1985), (Gardner, 1993 - Prima ed. USA 1991), (Fischbein, et al., 1991).

Come il suffisso “mis-” fa presagire, nell’intenso lavoro fatto su questo argomento in quegli anni, il termine ha sempre assunto una connotazione negativa, coerentemente con le varie definizioni presenti nei vocabolari, quali: “A misconception is an idea that is not correct. Synonym: fallacy” (Collins Cobuild English Dictionary for Advanced Learners,

2001, Harper Collins Publishers) e “Misconception: a wrong idea or understanding of (sth)”

(Oxford Advanced Learner’s Dictionary, 1989, Oxford University Press).

Nonostante i primi usi di questo termine nella ricerca riducano l’interpretazione delle misconcezioni alla stregua di un “errore” o di un “malinteso”, R. Zan osserva che “i risultati di tali ricerche sono stati ampiamente utilizzati a sostegno dell’ipotesi costruttivista dell’apprendimento, che vede il soggetto protagonista attivo di tale processo, piuttosto che contenitore vuoto da riempire con opportune conoscenze” (Zan, 2000). Nello stesso articolo si afferma che “Misconcetti, misconcezioni, concezioni errate, fraintendimenti sono i termini italiani utilizzati in letteratura in corrispondenza del termine inglese misconceptions”.

Con una visione meno negativa, buona parte della ricerca in educazione matematica italiana affianca al termine misconcezione l’utilizzo di altre espressioni, quali

concezioni alternative o teorie implicite, le quali non si portano dietro la connotazione

essenzialmente negativa associata al termine originale (D'Amore & Sbaragli, 2005). In particolare, Bruno D’Amore sottolinea come non sia corretto considerare le misconcezioni semplicemente come concezioni che diventano causa di errori, ma piuttosto “concezioni momentaneamente non corrette, in attesa di sistemazione cognitiva più elaborata e critica” (D’Amore, 1999). Qualche anno dopo spiega che “una misconcezione è un concetto errato e dunque costituisce genericamente un evento da evitare; essa però non va vista sempre come una situazione del tutto negativa: non è escluso che per poter

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16 raggiungere la costruzione di un concetto, si renda necessario passare attraverso una

misconcezione momentanea, ma in corso di sistemazione” (D'Amore & Sbaragli, 2005).

Questa accezione di misconcezione si inserisce nel modello costruttivista dell’apprendimento matematico: in tale modello gli errori non sono eventi negativi da evitare a tutti i costi, ma “prodotti umani dovuti a situazioni in via di evoluzione” (D'Amore & Sbaragli, 2005).

Per esempio, consideriamo un caso di errore nel calcolo delle sottrazioni documentato da Brown e Burton e riferito alla scuola primaria (Brown & Burton, 1978).

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Figura 2.2 Nell’ultima riga sono riportati i risultati delle sottrazioni ottenuti dallo studente

L’errore appare sistematicamente nella circostanza in cui la cifra del sottraendo è maggiore della cifra corrispondente nel minuendo. In questo caso, lo studente sembra invertire il ruolo delle due cifre in modo da ritrovarsi sempre a dover sottrarre la minore dalla maggiore, senza riporti.

La procedura adottata risulta sistematica: in questi casi è possibile che l’errore non stia nell’applicare scorrettamente la procedura corretta, quanto nell’eseguire correttamente una procedura di calcolo erronea. Quest’ultima può anche rimanere “nascosta” all’insegnante: basta notare come essa permetta di ottenere il risultato corretto nei primi esempi di sottrazione in cui le cifre del minuendo sono maggiori di quelle del sottraendo.

Secondo Brown e Burton, solo il riconoscimento della situazione come diversa, nuova da parte dello studente può portare alla consapevolezza della necessità di modificare alcune strategie o procedure. In questo caso appare evidente il ruolo anche della conoscenza matematica dell’individuo nel riconoscere strutture ricorrenti o, viceversa, differenze matematicamente significative che devono portare all’adattamento di un modello precedentemente adottato.

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17 Per quanto riguarda le misconcezioni più “classiche”, ovvero quelle che la letteratura ci dice maggiormente diffuse tra gli studenti, interessante è la classificazione che ne fa Silvia Sbaragli (Sbaragli, 2005) analizzandone l’ineluttabilità o viceversa la forte causalità legata a scelte didattiche discutibili. S. Sbaragli effettua una distinzione tra:

1. Misconcezioni che chiama “evitabili”, le quali derivano direttamente dalla

trasposizione didattica del sapere, quindi sono direttamente imputabili alle

scelte degli insegnanti, spesso perpetrate per consuetudini improprie; 2. misconcezioni che chiama “inevitabili”, le quali derivano solo

indirettamente dalla trasposizione didattica, essendo imputabili alla

necessità di dover partire da un certo sapere per poter comunicare, sapere iniziale che non potrà mai essere esaustivo dell’intero concetto matematico che si vuole proporre (Sbaragli, 2005).

Il secondo tipo di misconcezione può essere considerato come un inevitabile momento di passaggio nella costruzione del sapere. Lo studente dovrebbe essere accompagnato nel superamento delle inevitabili concezioni preesistenti, in modo da evitare il permanere di strutture primitive che confliggano con lo sviluppo di una conoscenza matematica più avanzata, in favore dell’adattamento ai nuovi contesti. Il caso più classico è quello dell’estensione degli insiemi numerici che gli studenti, fin dalla scuola primaria, si trovano ad affrontare partendo dai numeri naturali per arrivare ai razionali. Rientra in questo caso ad esempio la convinzione, dura a morire nel tempo, che “la moltiplicazione faccia ingrandire”. È evidente che una conclusione del genere è vera fintanto che siamo confinati tra i numeri naturali positivi (0 escluso), i primi che si incontrano a livello scolare. Proprio la capacità di adattare la propria conoscenza matematica a nuove situazioni e nuovi ambiti è una parte fondamentale della competenza matematica ed è strettamente collegata con il successo matematico a scuola. Le

misconcezioni, anche quelle inevitabili, possono essere temporanee, ma molto spesso non

lo sono e rimangono fortemente radicate, pronte ad emergere anche in soggetti

matematicamente forti in determinati contesti. La richiesta di esemplificazione, come già

accennato, è un’attività che può rivelare molto su eventuali misconcezioni più o meno latenti. Quindi la nostra premessa non deve indurre a concludere che tutte le

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18 confermeranno la permanenza di alcune misconcezioni anche a un livello di matematica “alto”, come quello del nostro campione di laureandi e laureati in Matematica.

Secondo B. D’Amore (D'Amore & Sbaragli, 2005), la resistenza al cambiamento e al superamento di alcune misconcezioni è imputabile alla dominanza sul piano cognitivo dei cosiddetti modelli intuitivi. Questi vengono prodotti dal discente per gestire nozioni intuitivamente non accettabili, sostituendole più o meno inconsciamente con modelli immediatamente accettabili (Fischbein, 1987).

Un modello intuitivo ha sempre natura sensoriale, quindi viene percepito, rappresentato o manipolato come qualsiasi altra realtà concreta. Per esempio, la rappresentazione vettoriale delle forze come segmenti orientati è un modello intuitivo, ma anche la retta orientata dei numeri con un’origine convenzionalmente fissata. Anche il grafico di una funzione è un modello intuitivo per il concetto di funzione che è essenzialmente astratto. Questi modelli risultano essenziali per la formazione di concezioni accettabili e, quindi, operativamente utilizzabili. Tuttavia, le loro caratteristiche di forte persuasività li possono rendere eccessivamente dominanti sul piano cognitivo: più “forte” è il modello intuitivo, più sarà difficile superarlo per poter ampliare o adeguare le concezioni. Per esempio, un modello comune a cui si fa corrispondere il concetto di numero è quello di insieme di punti (in realtà, insieme di pallini) introdotto nella prima infanzia. Questo modello ha grande efficacia nell’esecuzione di operazioni con numeri interi piccoli: rendendo piuttosto accessibile il confronto fra numeri, l’addizione e la sottrazione. Ma il modello dato dall’insieme di pallini coinvolge proprietà che possono diventare ostacoli nell’evoluzione del concetto di numero. Infatti, gli interi negativi, i razionali, i reali e i complessi non possono essere interpretati in termini di pallini discreti, a causa delle proprietà spaziali e discrete del modello. Osserviamo che, anche se il modello è utilizzato coscientemente, talvolta non si è consapevoli di tutte le sue proprietà. In condizioni normali, le proprietà del modello non influiscono sull’interpretazione del soggetto, rivelandosi utili ai processi; tuttavia, esse possono intervenire tacitamente in seguito, distorcendo e ostacolando una corretta interpretazione dei concetti.

D’Amore e Sbaragli ipotizzano che, anche quando lo studente più esperto si è costruito un modello di un concetto assai vicino al sapere matematico, in alcune

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19 condizioni il modello intuitivo riappare, dimostrando la sua persistenza (D'Amore & Sbaragli, 2005).

Trasformazioni e registri semiotici

Posti di fronte alla domanda “cosa significare fare Matematica?” R. Duval (Duval, 2017) afferma che una risposta comune potrebbe essere “risolvere problemi”. Tuttavia, giudicando troppo vago questo tipo di affermazione, nel suo libro “Mathematical Way of Thinking - The Registers of Semiotic Representations” si interroga su cosa significhi, nella pratica, lavorare in modo matematico per essere in grado di risolvere problemi. Egli ritiene che l’aspetto caratterizzante l’attività matematica consista nella trasformazione delle

rappresentazioni semiotiche date o dedotte da un problema proposto in altre

rappresentazioni semiotiche. Ciò sposta l’attenzione dalla rappresentazione semiotica come strumento per lavorare con gli oggetti matematici all’analisi delle varie trasformazioni fra rappresentazioni semiotiche. Per esempio, poiché l’attività matematica fa uso di diversi tipi di rappresentazione per gli stessi oggetti, dobbiamo chiederci se un individuo applica le stesse operazioni, oppure no, a seconda della rappresentazione semiotica corrente. Se ogni tipo di rappresentazione prevede tipi di trattamento degli oggetti matematici specifici e non equivalenti, le procedure di risoluzione cambiano radicalmente a seconda della rappresentazione semiotica utilizzata.

Duval afferma che la produzione di nuove rappresentazioni può dipendere da un cambio di registro o da un’operazione di trasformazione specifica del registro selezionato, distinguendo fra:

1. Conversione: trasformazione da un tipo di registro semiotico ad un altro. Per esempio, la conversione di una coppia di numeri ordinata in un punto nel piano cartesiano (Figura 2.3).

(20)

20 2. Trattamento: trasformazione in una nuova rappresentazione all’interno dello stesso registro semiotico. Per esempio, la dilatazione verticale del grafico di una funzione (vedi Figura 2.4 e Figura 2.5).

Poiché un registro è un sistema semiotico caratterizzato dalle specifiche operazioni cognitive realizzabili grazie ai mezzi offerti dallo stesso registro (Duval, 2017), lo studente dovrebbe acquisire l’abilità di dare inizio, sviluppare e controllare i trattamenti matematici previsti dal registro in uso.

Infine, Duval sottolinea la distanza cognitiva fra le varie rappresentazioni di uno stesso oggetto, ovvero la dipendenza del tipo di significato veicolato dalla rappresentazione scelta.

A volte è possibile creare una mappa biiettiva fra diverse rappresentazioni, per esempio, nel caso in cui volessimo rappresentare la frazione “3/4” come “0,75” e viceversa. La possibilità di definire operazioni che permettano questo passaggio determina una corrispondenza uno a uno fra i significati delle due rappresentazioni.

R. Duval definisce congruenti questo tipo di rappresentazioni diverse, le quali possono essere convertite facilmente e confrontate dal punto di vista semantico.

Al riguardo, consideriamo un esempio tratto da (Duval, 2017): Figura 2.4 Figura 2.5

(21)

21 1)

L’insieme di punti la cui ascissa e ordinata hanno lo stesso segno.

2)

𝑥 × 𝑦 > 0

3)

Figura 2.6 Tre rappresentazioni non-congruenti

In questo caso i contenuti delle rappresentazioni non godono di unità di significati e risulta difficile definire una corrispondenza biiettiva che renda immediatamente riconoscibile l’equivalenza degli oggetti rappresentati. Infatti, è possibile creare una mappa fra le parole “ascissa” e “ordinata”, “x” e “y” e gli assi cartesiani, ma non esiste congruenza fra le espressioni “hanno lo stesso segno” e il prodotto “> 0”. Lo stesso vale per la congiunzione “e” in 1) e l’operazione “× " in 2). Per esempio, per convertire 1) (descrizione delle proprietà dei punti in linguaggio naturale) in 2), è necessario riformulare 1) tramite simboli logici:

“(𝑥 > 0 ∧ 𝑦 > 0) ∨ (𝑥 < 0 ∧ 𝑦 < 0)”

e osservare la corrispondenza fra l’unione di queste due affermazioni e la proposizione 2).

Questa difficoltà nell’effettuare le conversioni riflette la distanza cognitiva che separa i contenuti delle rappresentazioni nei vari registri. Come affermato da R. Duval, talvolta questo processo di conversione da una rappresentazione all’altra risulta quasi impossibile da ricostruire o riprodurre in modo regolare e sicuramente rappresenta una delle difficoltà maggiori nel processo di insegnamento e apprendimento della matematica.

L’aspetto della trasformazione brevemente introdotto in questo paragrafo ha una chiara rilevanza nell’attività di produzione di esempi. Infatti, chi produce esempi si potrà trovare molto spesso nella situazione di dover aggiustare idee iniziali cambiando registro semiotico (conversione) o trasformando una rappresentazione all’interno di uno stesso registro semiotico (trattamento).

(22)

22

Embodied Cognition

La teoria dell’embodied cognition costituisce un modello interpretativo per comprendere il comportamento intellettuale mettendolo in relazione con l’ambiente fisico e sociale e con i sistemi corporei di percezione-azione. Nel libro “Where Mathematics Comes From”, Lakoff e Núñez (Lakoff & Núñez, 2000) espongono la loro teoria sull’embodied cognition applicata al pensiero matematico.

La teoria parte dal rifiuto di una visione platonica della matematica, visione che riconosce la matematica come esistente al di fuori della natura umana. I teoremi che proviamo nella pratica matematica non sono verità oggettive indipendenti dalla nostra esistenza e dai nostri sistemi concettuali, al contrario, tutta la conoscenza matematica è situata all’interno dell’esperienza matematica umana. La matematica non può essere considerata esterna rispetto all’essere umano, poiché i suoi meccanismi di concettualizzazione sono incorporati nella natura fisica dell’uomo. Nella matematica “embodied”, un simbolo come 27, 𝑒𝜋𝑖 o 𝑥 acquisisce significato grazie ai concetti matematici ad esso collegati. Questi concetti esistono in termini cognitivi: schemi, immagini, figure geometriche, strutture metaforiche quali la retta dei numeri. Comprendere un simbolo matematico richiede quindi l’associazione con un concetto matematico che sia cognitivamente significativo, basato sull’esperienza sensoriale e sociale e concepito attraverso i meccanismi neurali.

Secondo la teoria dell’embodied cognition, il pensiero è essenzialmente metaforico: gli esseri umani concettualizzano l’astratto utilizzando idee e processi di ragionamento basati sul loro sistema motorio e sensoriale. Questo meccanismo che permette di considerare ciò che è astratto in termini concreti viene detto metafora

concettuale. Anche il pensiero matematico sfrutta queste metafore concettuali, per

esempio concettualizzando i numeri come punti su una retta. Secondo Lakoff e Núñez, questi non sono solo meccanismi ausiliari per visualizzare e comprendere, ma sono una parte essenziale del pensiero matematico. Per esempio, non è necessario visualizzare i numeri come punti su una retta, ma la retta dei numeri risulta una rappresentazione del concetto indispensabile per la geometria analitica. Insomma, le metafore concettuali costituiscono un meccanismo cognitivo per ragionare su un oggetto di un certo tipo come se fosse un altro oggetto.

(23)

23 Se i concetti astratti si basano, attraverso le metafore, nel nostro sistema moto-sensoriale, possiamo considerare le inferenze matematiche come proiezioni metaforiche dei fenomeni moto-sensoriali. Adottando questo punto di vista, che lega strettamente la conoscenza rispetto alle interazioni con il mondo, la teoria dell’embodied cognition fornisce una nuova chiave di lettura sul pensiero e il comportamento. Per esempio, un aspetto della conoscenza embodied è la stretta correlazione fra la gestualità, il pensiero e la comunicazione. Secondo questa tesi, i gesti prodotti con il corpo esprimono simboli, veicolando i significati di rappresentazioni astratte (Nathan, 2008).

La considerazione di questa teoria può essere utile per l’analisi dei nostri dati per la stretta relazione esistente tra concept image e aspetti metaforici/gestuali. Questo è particolarmente vero, come già ricordato, nel caso delle funzioni associate al loro grafico e ad aspetti di crescenza e decrescenza, spesso rappresentati tramite gesti. Inoltre, offre una base teorica per giustificare il ricorso alle molteplici espressioni proprie della sfera moto-sensoriale raccolte durante la nostra indagine, in associazione alla manipolazione di oggetti matematici o a particolari esigenze comunicative.4

Riportiamo un esempio di Nathan e Alibali (Alibali & Nathan, 2007) che conferma la tesi secondo cui la gestualità alleggerisce il carico semantico nella comunicazione e aiuta ad esprimere idee complesse o astratte (Iverson & Goldin-Meadow, 1998). Gli autori investigano sull’uso della gestualità nel contesto della comunicazione all’interno di una classe. L’ipotesi che vogliono verificare riguarda l’efficacia dei gesti dell’insegnante nel supportare la sua comunicazione verbale e le potenzialità della gestualità come indicatore dello stato cognitivo. Nello specifico, gli autori hanno previsto che l’insegnante avrebbe utilizzato maggiore comunicazione gestuale introducendo materiale nuovo, parlando di contenuti più complessi e rispondendo alle domande e ai commenti degli studenti. La lezione oggetto dello studio era stata ideata per introdurre le potenzialità di proposizioni algebriche come equazioni e disequazioni nel modellizzare il mondo fisico. I risultati riportano che il 56% degli interventi dell’insegnante includevano una qualche forma di supporto gestuale. La percentuale sale al 74% considerando esclusivamente le espressioni

(24)

24 legate al contenuto didattico. Quindi, il ricorso alla gestualità è stato molto diffuso nei processi di comunicazione dell’insegnante.

In particolare, l’uso della gestualità è stato aumentato in tre circostanze:

• all’inizio della lezione, diminuendo via via che gli studenti acquisivano familiarità con i contenuti;

• riferendosi a concetti matematici più astratti;

• in seguito a maggiori richieste cognitive dovute alle domande degli studenti, al fine di supportare i propri processi di ragionamento.

I risultati sembrano suggerire che l’uso della gestualità svolge la funzione di “impalcatura di sostegno” nella strategia comunicativa, intensificandosi quando l’insegnante cerca di promuovere la comprensione degli studenti. Inoltre, rivela alcuni aspetti dei processi cognitivi in atto durante la comunicazione.

Produzione di esempi: il modello di Antonini

Introduciamo a questo punto il quadro teorico specifico del focus di questo lavoro, ovvero quello relativo agli studi sulla produzione di esempi sviluppati da Samuele Antonini. Il nostro studio è stato fortemente influenzato dalle ricerche di S. Antonini, e proprio sulla base del suo modello analizzeremo i dati raccolti nel nostro lavoro di tesi.

Nelle sue approfondite ricerche, Samuele Antonini ha sviluppato un modello relativo ai processi di produzione degli esempi che caratterizza le strategie e i processi principali coinvolti nell’attività di esemplificazione. Il modello prodotto non solo mostra la complessità e varietà dei processi di produzione di esempi, ma rappresenta anche un potente strumento di analisi di tali processi.

Nel percorso di definizione del modello teorico, Antonini evidenzia le potenzialità dell’attività di esemplificazione come strumento da una parte per i ricercatori nella loro attività di investigazione del pensiero matematico degli studenti, dall’altra per i docenti nel promuovere la concettualizzazione (Antonini, 2008).

Seguendo l’interpretazione secondo la quale la produzione di esempi è un’attività di problem-solving, Antonini classifica le strategie per la produzione di esempi

(25)

25 riconoscendone essenzialmente tre tipologie principali, associate a tre diversi processi di esemplificazione:

1. Tentativi ed errori

Consiste nel ricercare l’esempio voluto tra vari oggetti evocati dalla memoria e osservare se questi soddisfano le proprietà richieste oppure no.

2. Trasformazione

Un oggetto che soddisfa parte delle proprietà richieste viene modificato attraverso una o più trasformazioni fino a diventare un nuovo oggetto dotato di tutte le caratteristiche richieste. L’uso del termine trasformazione non è casuale: il riferimento è alla teoria di Duval che abbiamo brevemente introdotto, in particolare ai trattamenti apportati all’interno dello stesso

registro semiotico. La trasformazione è quindi un’attività semiotica, ovvero

una variazione dei segni prodotti: grafici, disegni, espressioni algebriche.

3. Analisi

Assumendo la costruzione dell’oggetto si deducono nuove proprietà attraverso inferenze successive, eventualmente anche assumendo proprietà ulteriori rispetto a quelle richieste, al fine di semplificare o restringere il campo di ricerca. Si procede finché i risultati ottenuti non spingono ad evocare un oggetto noto o una procedura per la sua costruzione.

(Antonini, 2006), (Antonini, 2008), (Antonini, 2011)

Come evidenziato dall’autore in (Antonini, 2011), nell’attività di produzione di esempi di un singolo individuo raramente si riconosce l’attivazione di un unico processo , al contrario, nella maggior parte dei casi la produzione di esempi attiva il ricorso a tutti e tre i tipi di processi, ed è caratterizzata da frequenti cambi di strategie.

Spesso, la prima strategia messa in atto è quella per tentativi ed errori, la quale non è sempre condotta in maniera sparsa e disordinata, ma può seguire un ordine preciso e pianificato di esemplificazione. Consideriamo la seguente richiesta di costruzione di un esempio discussa da Antonini: “Dai un esempio di operazione binaria commutativa e non associativa.” Uno studente potrebbe circoscrivere il problema considerando dapprima le

(26)

26 operazioni binarie su insiemi di un elemento, poi di due elementi e così via, aumentando progressivamente la cardinalità dell’insieme di definizione. La verifica delle proprietà richieste viene effettuata caso per caso, secondo la strategia di tentativi ed errori, ma la produzione degli esempi successivi segue un ordine pianificato e preciso (Antonini, 2008). Un aspetto fondamentale per il successo nell’applicazione di una strategia è la presenza di controlli anticipatori sull’efficacia del processo (Boero, 2001). Questo risulta particolarmente evidente nel caso della strategia di trasformazione. In questo caso infatti, l’oggetto evocato subisce adeguate trasformazioni solo se l’individuo ha anticipato la possibilità di poterlo trattare efficacemente per avvicinarsi al risultato sperato. La mancanza di questo controllo anticipatorio riduce drasticamente l’efficacia del processo di trasformazione, assimilandolo alla strategia di tentativi ed errori (Antonini, 2011).

Mentre il processo di trasformazione potrebbe essere descritto tramite il verbo

costruire, quello di analisi richiama piuttosto l’identificare. L’applicazione di questa

strategia, infatti, consiste nell’identificare una soluzione tramite inferenze successive, oppure provare la sua non-esistenza: nel caso in cui assumere l’esistenza dell’esempio richiesto porti a una contraddizione, l’inferenza analitica offre gli elementi per la costruzione di una dimostrazione per assurdo (Antonini, 2008). Per esempio, consideriamo il task: “Dai un esempio, se possibile, di una funzione differenziabile due volte 𝑓 ∶ [𝑎, 𝑏] → ℝ tale che 𝑓 si annulla in tre punti distinti e la sua derivata seconda è positiva nel dominio” (Furinghetti, et al., 2011). Uno studente offre le seguenti argomentazioni: “Se è una funzione con la concavità verso l’alto, c’è un punto in cui cambia la sua monotonia. Quindi, ci sarà un punto 𝑥0 tale che in [𝑎, 𝑥0) la funzione

decresce e in (𝑥0, 𝑏] la funzione cresce, e su questo non ho dubbi. Allora, dalla concavità

deduco che la derivata prima è negativa all’inizio, e poi positiva; si annulla soltanto in 𝑥0.

Se la funzione è positiva in quel punto, non va bene, perché 𝑥0 è un punto di minimo. Se

è maggiore o uguale a zero, il resto della funzione non può fare zero. […] Se 𝑓(𝑥0) fosse

negativa, per la monotonia, la funzione può intersecare l’asse delle 𝑥 al massimo in un punto in [𝑎, 𝑥0) e anche in (𝑥0, 𝑏], quindi è impossibile che i punti in cui fa zero siano tre.”

Questo tipo di argomentazione offre elementi per la costruzione di una dimostrazione per assurdo: assumere l’esistenza dell’oggetto richiesto implica necessariamente una

(27)

27 contraddizione. Usando la terminologia di R. Garuti, diciamo che si può osservare unità

cognitiva tra il processo di esplorazione e quello di dimostrazione (Garuti, et al., 1996).

Anche nel caso della trasformazione è possibile che si manifesti un collegamento fra le attività di esplorazione, argomentazione e dimostrazione. Come osserva Antonini in (Antonini, 2011), un individuo può diventare consapevole di non poter applicare nessuna modifica efficace all’oggetto che sta manipolando. La non-esistenza dell’esempio viene giustificata tramite “l’impossibilità di produrre o trasformare segni che rappresentino la soluzione”. In questo caso però, la realizzazione di una dimostrazione formale può risultare difficoltosa, perché i passaggi logici della dimostrazione non ricalcano le argomentazioni addotte in relazione alle trasformazioni, ostacolando il passaggio dall’impossibilità semiotica a una impossibilità matematica vera e propria. L’esempio riportato da Antonini riguarda di nuovo il task della funzione convessa con tre zeri distinti (Antonini, 2008). Federica sta cercando di risolvere il task “Dovremmo riuscire a collegare due funzioni […] in maniera liscia, in modo che il risultato sia differenziabile. […] Ti mostro un esempio [Figura 2.7], questa funzione si annulla in almeno tre punti, ma non funziona, perché c’è un punto in cui non è differenziabile.”

“Mi chiedo se per ottenere la derivabilità in punti come questo, devo necessariamente considerare un pezzo di funzione che sia convesso; o, se non convesso, costante, il che non va bene, perché la derivata seconda sarebbe zero”. Federica procede provando a definire separatamente le espressioni analitiche in due intervalli adiacenti e nel punto che separa gli intervalli. A questo punto congettura che sia impossibile produrre l’esempio richiesto. Le sue argomentazioni riprendono il problema del punto di congiunzione dei due tratti: “Con funzioni del tipo che ho scritto, quando definisco [il

(28)

28 valore della funzione] in un punto perdo la positività della derivata seconda. In ogni caso, se la definisco a tratti non è facile collegare [i tratti di funzione] in modo da renderla differenziabile due volte. Quindi mi chiedo se non sia assurdo. Vediamo cosa vuol dire, scrivo le ipotesi. Ora, se assumo che esista una funzione che rispetta le ipotesi voglio arrivare a un assurdo. Disegno le ipotesi [Figura 2.8].”

Figura 2.8 Esempio tratto da (Antonini, 2011)

“Vediamo cosa succede in 𝓃 [punto di congiunzione]. Vorrei mostrare che la funzione in 𝓃 o non è continua o non è derivabile, in modo da arrivare a un assurdo”.

La studentessa sta cercando di passare dall’impossibilità semiotica che l’ha portata a formulare la congettura all’impossibilità matematica: “se assumo che esista una funzione che rispetta le ipotesi voglio arrivare a un assurdo”. Le difficoltà in questo processo sembrano essere generate dal fatto che l’inclusione di alcuni elementi delle argomentazioni prodotte interferisce con la produzione della dimostrazione formale.

(29)

29

3 Domande di ricerca e metodi

Le domande alla base di questo lavoro di ricerca, alle quali abbiamo cercato di dare risposta anche alla luce della letteratura riassunta e di quanto discusso, sono le seguenti: 1. Quanto la richiesta di produrre esempi permette di far emergere concezioni e misconcezioni relative al contenuto matematico oggetto della richiesta anche in soggetti matematicamente "forti"? Più in particolare, la ricerca ci dovrebbe permettere di raccogliere convinzioni, conoscenze, concept image e misconcezioni di soggetti matematicamente forti relativamente al limite di una funzione reale.

2. Quali caratteristiche - in termini di strategie utilizzate e di controllo nei processi - differenziano i soggetti intervistati nella produzione di esempi? È possibile identificarne alcune che caratterizzino il "buon produttore" di esempi?

Anche considerando i risultati descritti in letteratura, e in particolare i lavori di S. Antonini, l’ipotesi di partenza è che l’attività di produzione degli esempi possa essere un formidabile strumento per favorire l'emergere di conflitti cognitivi sui concetti in gioco da parte del campione scelto.

Come dei laureati in matematica affrontano, commentano ed eventualmente superano tali conflitti è uno degli aspetti di nostro interesse (vedi seconda domanda sopra). Nonostante tutti i soggetti coinvolti in questo lavoro abbiano una notevole esperienza con i concetti matematici in gioco (funzioni reali e loro proprietà, limiti di funzioni), ci aspettiamo di veder riemergere dalle loro concept image alcune

misconcezioni note dalla letteratura, a sostegno della tesi che alcune concezioni ingenue

permangono nella mente degli studenti e possono riemergere nel contesto esemplificativo.

Visto il target previsto, perché certi conflitti si manifestassero è stato necessario proporre attività di produzione di esempi che toccassero aspetti sensibili e di una certa complessità. Per la scelta delle richieste ci siamo fatti guidare dalla letteratura esistente, scegliendo e modificando in base alle nostre esigenze le attività da proporre. In particolare, la scelta di concentrare l’attenzione sui limiti è stata guidata dalla necessità di

(30)

30 focalizzarsi su aspetti di adeguata complessità cognitiva per il tipo di campione che avevamo in mente, e la letteratura esistente dava ampia garanzia in questo senso (Tall & Vinner, 1981), (Tall & Schwarzenberger, 1978).

Campione Gli studenti che volontariamente si sono prestati a farsi intervistare in

questo studio sono stati 20, suddivisibili in tre categorie rispetto alla loro esperienza matematica all’Università:

1. LT: il soggetto ha conseguito la Laurea Triennale in Matematica presso l’Università di Pisa e ha conseguito la Laurea Magistrale in Matematica in un altro ateneo (Soggetto 3), oppure ha proseguito gli studi in un’altra facoltà (Soggetto 16);

2. IM: il soggetto è iscritto al corso di Laurea Magistrale in Matematica presso l’Università di Pisa;

3. LM: il soggetto ha completato entrambi i cicli di Laurea in Matematica presso l’Università di Pisa.

Tutti i partecipanti hanno superato almeno due corsi di Analisi Matematica durante il loro corso di studi.

I 20 partecipanti sono stati suddivisi in 4 gruppi ai quali sono stati sottoposti 4 tipi di intervista diversi, indicizzati tramite le lettere A, B, C e D. Le variazioni delle attività proposte, come vedremo, erano in parte preventivate, in parte sviluppate a seguito di commenti raccolti nelle prime interviste condotte.

Legenda Indicheremo uno specifico task da risolvere tramite la notazione

“NumeroLettera”. Per esempio, 4B è il task 4 del tipo di intervista B.

Useremo la notazione Soggetto n con suffisso LT, IM o LM in carattere corsivo per indicare l’n-esimo partecipante a seconda della categoria di appartenenza.

Gli estratti delle interviste verranno riportati insieme alle etichette del soggetto e del task di riferimento con i seguenti font di scrittura:

“Prova Intervistato”

(31)

31

Metodi I dati sono stati raccolti attraverso interviste Skype videoregistrate.

Qualsiasi produzione scritta durante le interviste è stata fotografata dal soggetto intervistato e condivisa. Quindi, i tipi di dati a nostra disposizione sono: interviste videoregistrate, note, disegni e grafici prodotti dai soggetti partecipanti e appunti dell’intervistatore.

La durata delle interviste effettuate varia da 22 a 61 minuti. Le differenze temporali anche consistenti dipendono ovviamente dai tempi necessari ai soggetti per arrivare ad un completamento delle attività proposte per loro soddisfacente (dove soddisfacente non è legato forzatamente ad una valutazione positiva del proprio operato, ma alla convinzione che di più di così non avrebbero potuto fare).

Ai partecipanti è stato richiesto di ragionare ad alta voce ed esplicitare il più possibile i propri processi di pensiero e tentativi. Il ruolo dell’intervistatore è stato principalmente di ascoltatore, sebbene nei casi in cui l’esplorazione è giunta a un evidente stallo, si abbia incoraggiato nuove esplorazioni e nei casi in cui sembrava emergere un conflitto si abbia favorito una riflessione sullo stesso, ad esempio chiedendo un collegamento con le definizioni formali dei concetti in gioco.

La struttura delle 4 interviste è identica, sono tutte composte da 5 richieste, le prime 2 comuni a tutte le 4 interviste. Queste prime due domande sono dirette a far emergere le associazioni più immediate dell’intervistato rispetto al concetto di limite di funzione.

(32)

32 Figura 3.1 Interviste Campioni A e B. I 5 quesiti di ogni intervista sono stati mostrati ai partecipanti uno alla volta.

(33)

33 Figura 3.2 Interviste Campioni C e D. I 5 quesiti di ogni intervista sono stati mostrati ai partecipanti uno alla volta.

(34)

34 I 3 task successivi chiedono di produrre degli esempi di funzioni di variabile reale con caratteristiche di limitatezza, monotonia o iniettività, insieme ad alcune proprietà relative ai limiti nei punti. Come accennato precedentemente, questi quesiti sono stati formulati in 4 diverse versioni, ognuna delle quali è stata sottoposta a 5 partecipanti.

I quesiti 3A e 3C sono identici e coinvolgono il concetto di esistenza/non esistenza del limite destro in un punto:

Dai un esempio, se possibile, di funzioni di variabile reale tali che lim

𝑥→0+𝑓(x) esiste, lim

𝑥→0+𝑔(x) non esiste, lim𝑥→0+𝑓(x)𝑔(x) esiste.

Per risolvere il task, i partecipanti dovrebbero mostrare un esempio di funzione 𝑔 per cui il limite non esista neanche considerando esclusivamente intorni destri del punto. Inoltre, dovrebbero controllare l’esistenza del limite destro nello stesso punto quando la funzione 𝑔 viene moltiplicata per la funzione 𝑓 trovata.

Per risolvere i quesiti 3B e 3D i partecipanti devono esplicitare una funzione illimitata vicino a un punto, ma che non abbia limite destro ±∞ in quel punto:

Dai un esempio, se possibile, di una funzione di variabile reale tale che 𝑓(𝑥) non sia limitata in nessun intorno di 0, ma non valga né

" lim

𝑥→0𝑓(𝑥) = +∞"

" lim

𝑥→0𝑓(𝑥) = −∞"

Per giungere ad un esempio come da richiesta, la funzione proposta non può ammettere limite destro.

I quesiti 4A, 4B, 4C e 4D richiedono la costruzione di esempi impossibili da generare.

• Versione A, C:

Dai un esempio, se possibile, di una funzione di variabile reale tale che 𝑓 è monotona su (0,1) ma 𝑓 non ha limite sinistro in un certo 𝑢 ∈ (0,1).

(35)

35 • Versione B, D:

Dai un esempio, se possibile, di una funzione di variabile reale tale che 𝑓 ha limiti destro e sinistro finiti per ogni 𝑎 ∈ [0, 1], ma 𝑓 non è limitata su [0, 1].

In questi casi è necessario un controllo teorico forte: ci aspettiamo che se l’impossibilità non è riconosciuta immediatamente, essa possa essere considerata a partire da tentativi infruttuosi di esemplificazione. Arrivare all’impossibilità solo perché non si riesce a produrre un esempio “buono” potrebbe avere esiti diversi rispetto al caso in cui i tentativi infruttuosi di costruire un esempio stimolino anche consapevolezza teorica. Ad ogni modo, ci aspettiamo che la persona intervistata manifesti il bisogno di dimostrare formalmente la non esistenza dell’esempio richiesto. Proprio per queste ipotesi e per l’interesse ad annotare le considerazioni teoriche che emergono da tentativi infruttuosi abbiamo scelto di inserire una richiesta di “esemplificazione impossibile” in tutte le versioni del questionario.

Anche queste richieste (4 A-B-C-D), come i quesiti 3, contengono un fattore di complessità nella gestione dell’esistenza/non esistenza dei limiti destri/sinistri.

In 4A e 4C la richiesta di una funzione monotona in (0,1) risulta troppo forte perché essa possa non ammettere limite sinistro in un certo punto dell’intervallo.

In 4B e 4D, invece, l’esistenza dei limiti destri e sinistri finiti in ogni punto di [0,1] obbliga alla limitatezza della funzione 𝑓.

5A e 5B richiedono le stesse proprietà della funzione iniettiva presente in diversi articoli di Antonini (Antonini, et al., 2007), (Antonini, 2008), alla quale abbiamo apportato una variante in 5C e 5D.

• 5A:

Dai un esempio, se possibile, di una funzione di variabile reale tale che f è iniettiva su [0,2] e lim

𝑥→0𝑓(𝑥) = lim𝑥→2𝑓(𝑥) = 0.

• 5B:

Dai un esempio, se possibile, di una funzione di variabile reale tale che f è iniettiva su (0,2) e lim

(36)

36 L’aggiunta delle versioni C e D è avvenuta in seguito a un commento del Soggetto

4-IM durante la risoluzione del quesito 5B. Il soggetto rimarca che il valore specifico

richiesto per i limiti della funzione in 0 e in 2 è 0, affermando che:

“Se lo facevamo a più infinito era banale.”

Questa osservazione ha ispirato la nascita delle versioni C e D delle interviste, la cui unica variazione rispetto a 5A e 5B, rispettivamente, è la sostituzione del valore 0 del limite con il valore +∞.

• 5C:

Dai un esempio, se possibile, di una funzione di variabile reale tale che f è iniettiva su [0,2] e lim

𝑥→0𝑓(𝑥) = lim𝑥→2𝑓(𝑥) = +∞.

• 5D:

Dai un esempio, se possibile, di una funzione di variabile reale tale che f è iniettiva su (0,2) e lim

𝑥→0𝑓(𝑥) = lim𝑥→2𝑓(𝑥) = +∞.

Nelle quattro versioni dei quesiti 5 così ottenute abbiamo deciso di includere ed escludere, alternativamente, gli estremi del dominio delle funzioni richieste e abbiamo osservato gli effetti di questa variazione sull’esito della risoluzione. In effetti, la letteratura che ci precede (Tall & Vinner, 1981), (Antonini, et al., 2007), (Antonini, 2008) evidenzia la presenza di una misconcezione comune riguardo il ruolo del valore che la funzione assume nel punto in cui viene calcolato il limite.

L’aggiunta dei quesiti 5C e 5D ci è sembrata interessante ai fini della nostra ricerca per due motivazioni. Innanzitutto, a differenza di 5A e 5B, queste versioni sono più complesse e difficilmente rappresentabili graficamente.

In secondo luogo, questa aggiunta offre una nuova opportunità di indagine coerente con le nostre domande di ricerca. Infatti, in 5D è richiesto che la funzione sia iniettiva in [0,2] e che lim

𝑥→0𝑓(𝑥) = lim𝑥→2𝑓(𝑥) = +∞. Questo ci permette di verificare se la

misconcezione relativa al ruolo del valore della funzione nel punto in cui viene calcolato il

(37)

37 Durante la nostra analisi a priori, ci siamo focalizzati sulla progettazione di quesiti che non potessero essere risolti facendo riferimento esclusivamente ad esempi prototipici degli oggetti matematici. Tra i nostri scopi c’era quello di individuare eventuali limiti nelle

concept image dei partecipanti, di osservare se e quando essi facessero riferimento alle concept definition e come superassero le difficoltà incontrate.

Analisi dei risultati

I dati raccolti sono stati analizzati attraverso tre punti di vista:

• Confrontando le strategie utilizzate e il controllo dei processi con il quadro di riferimento di Antonini (vedi 2.6)

• Confrontando tra di loro le performance individuali distinguendo approcci, strategie, livelli e tipi di controllo, scelte di registro e conoscenze situate applicate

• Analizzando gli episodi più interessanti all’interno delle singole interviste, identificando processi attivati e non attivati.

Mentre svolgevamo l’analisi dei dati raccolti, abbiamo avuto l’opportunità di confrontarci con il professor Samuele Antonini. Grazie a questo incontro abbiamo potuto approfondire alcuni aspetti del suo modello interpretativo sulla produzione degli esempi, confrontandoci sui problemi metodologici e l’interpretazione di alcuni episodi.

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