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Problemi di costruzione in geometria iperbolica: la quadratura del cerchio nell'Appendix di Bolyai

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(1)

Problemi di costruzione in geometria

iperbolica:

la quadratura del cerchio

nell’Appendix di Bolyai

Tesi di Laurea magistrale

CANDIDATO:

Mariangela Forgione

RELATORE:

Prof. Alberto Cogliati

(2)

1 Geometria Euclidea 4

1.1 Introduzione . . . 4

1.2 Criteri di costruibilità . . . 5

1.3 Duplicazione del cubo . . . 8

1.4 Trisezione dell’angolo . . . 10

1.5 Quadratura del cerchio . . . 10

1.6 Ciclotomia . . . 11

2 Geometria iperbolica 13 2.1 Cenni storici . . . 13

2.1.1 Il postulato delle parallele . . . 13

2.1.2 I precursori delle geometrie non-euclidee . . . 14

2.1.3 La nascita delle geometrie non-euclidee . . . 17

2.1.4 L’Appendix di Janos Bolyai . . . 27

2.1.5 Le ricerche di Lobačevskij . . . 32

2.2 Modelli . . . 33

2.2.1 Semipiano complesso superiore . . . 34

2.2.2 Disco di Poincaré . . . 40

2.3 Alcuni risultati di geometria iperbolica . . . 44

2.3.1 Parallelismo . . . 44

2.3.2 Area . . . 48

3 Costruzioni con riga e compasso 53 3.1 Alcune costruzioni . . . 54

3.2 La quadratura del cerchio . . . 59

4 Quadratura del cerchio nell’Appendix 65 4.1 Parallelismo, parasfera e paraciclo . . . 66

4.2 Trigonometria e area . . . 71

4.3 Costruzioni . . . 74

(3)

L’elaborato offre un’analisi di alcuni problemi di costruzione in geometria iperbolica, con particolare riferimento alla quadratura del cerchio che Bolyai propose nelle sezioni finali della sua Appendix (1832).

In primo luogo viene offerta una panoramica su problemi classici di costru-zione in geometria euclidea. Vengono analizzati succintamente il problema della duplicazione del cubo, della trisezione dell’angolo e della quadratura del cerchio. Infine il problema della ciclotomia, che consiste, come è noto, nel determinare per quali n ∈ N è possibile costruire con riga e compasso un n-agono regolare. La soluzione a quest’ultimo problema è fornita dal teorema di Gauss-Wantzel, che sancisce una condizione necessaria e sufficiente per la costruibilità: un n-agono regolare è costruibile se e solo se n = 2r· p

1· · · ps

con r, s ≥ 0 e pj primi di Fermat distinti. Come si vedrà, tale risultato non

solo risolve il problema classico della ciclotomia nel contesto euclideo, ma consente anche di enunciare delle condizioni necessarie e sufficienti affinché un cerchio iperbolico possa essere quadrato.

Nel capitolo 2 viene fornita una breve trattazione storica sull’origine del-le geometrie non euclidee e in particolare della geometria iperbolica. Ac-canto agli apporti di Bolyai e Lobačevskij, vengono succintamente esposti i principali contributi di Saccheri, di Lambert e dello stesso Gauss.

La seconda parte del capitolo 2 propone una esposizione delle principali proprietà della geometria iperbolica piana mediante l’impiego di due modelli: il semipiano complesso superiore H e il disco di Poincaré D. Alla luce della definizione di distanza iperbolica, viene fornita una caratterizzazione esplicita delle geodetiche (rette) nei due modelli. Nel semipiano complesso superiore esse sono le rette verticali e le semicirconferenze perpendicolari all’asse delle ascisse; nel disco di Poincaré esse coincidono con i diametri del disco e le semicirconferenze perpendicolari al bordo del disco stesso. Quindi, viene definita la nozione di parallelismo iperbolico. Le rette parallele ad una retta data e passanti per un punto sono distinte in due tipi: rette ultraparallele, che non hanno punti in comune all’infinito, e rette asintoticamente parallele, che invece hanno un punto in comune all’infinito. Infine è introdotta una nozione

(4)

di area e sono determinate le aree dei poligoni con numero qualunque di lati e l’area del cerchio.

Il successivo capitolo 3 offre una trattazione moderna del problema della quadratura nel cerchio nel piano iperbolico ispirata all’articolo [Jagy] Il risul-tato fondamentale consiste nel produrre condizioni che garantisco la possibi-lità di costruire con riga e compasso quadrati e cerchi di uguale area. Come l’originaria costruzione di Bolyai, così anche il risultato di Jagy, che sfrutta in maniera determinante il teorema di Gauss-Wantzel, si configura in realtà come una forma molto debole di quadratura. Del resto, in [Jagy] si dimostra che in generale non è possibile a partire da un dato cerchio, costruire un qua-drato di uguale area e, viceversa, dato un quaqua-drato non è possibile costruire un cerchio avente la stessa area.

L’ultimo capitolo è dedicato all’analisi di alcune sezioni dell’Appendix e in particolare delle sezioni conclusive dove Bolyai affrontò esplicitamente il problema della quadratura del cerchio. A partire da una nuova definizione di parallelismo, vedremo come l’intento di Bolyai sia quello si fornire una serie di risultati di geometria assoluta, ossia validi indipendentemente dal V postulato. Un esempio notevole di tali risultati è la costruzione della cosiddetta F-superficie e la dimostrazione della proprietà, indipendente dal V postulato, che su di essa vale la geometria di Euclide.

La trattazione si conclude con un’analisi del paragrafo §43 dove Bolyai fornì una costruzione esplicita, mediante riga e compasso, di un cerchio e di un quadrato di area π; la costruzione di quest’ultimo veniva ottenuta mediante l’unione di otto triangoli rettangoli di dimensione opportuna.

(5)

Geometria Euclidea

1.1

Introduzione

I problemi di costruzione con riga e compasso sono stati al centro della mate-matica greca, in particolare sono alla base della trattazione degli Elementi di Euclide. Tre problemi di costruzione hanno assunto nel corso della classicità un ruolo particolarmente rilevante: la trisezione dell’angolo, la duplicazione del cubo e la quadratura del cerchio. A questi si può aggiungere il cosiddetto problema della ciclotomia, ovvero la costruzione di un poligono regolare di n lati.

I tre problemi classici sono rimasti irrisolti a lungo nonostante i numerosi tentativi, dando impulso alla nascita di nuove discipline, come la teoria dei campi. Del problema della quadratura del cerchio (consistente nel costruire con riga e compasso un quadrato di area uguale ad un cerchio dato) è sta-ta propossta-ta nel corso dei secoli una notevole mole di false dimostrazioni, al punto che l’espressione “quadrare il cerchio" è diventata metafora di un’im-presa impossibile o priva di significato concreto. Sarà Lindemann nel 1882 a risolvere definitivamente il problema in senso negativo (sancendo cioè la impossibilità della costruzione), dimostrando la trascendenza di π. Uno dei primi tentativi di quadrare il cerchio fu quello del sofista Antifonte (V secolo a.C.). La sua proposta, in qualche misura anticipatrice del metodo di ap-prossimazione adottato dallo stesso Euclide in XII.2, era quella di costruire un poligono regolare con un numero crescente di lati, fino a "riempire" il cer-chio, e poi quadrare il poligono ottenuto. Tuttavia questa costruzione, pur possibile, non è effettuabile con finiti passi. Si conoscono molte costruzio-ni approssimate: per esempio, la costruzione del gesuita polacco Kochansky richiede di tracciare, in aggiunta alla circonferenza iniziale, solo due circon-ferenze, una retta e due segmenti. Qualsiasi approssimazione razionale di π

(6)

fornisce una nuova costruzione, in qualche caso così buona da rendere difficile la rilevazione dell’errore; ragione per la quale molti ritennero di aver effetti-vamente risolto il problema. Spicca tra gli altri, il nome del filosofo Thomas Hobbes che pubblicò una serie di soluzioni che egli riteneva tutte corrette. Nel 1669, pubblicò l’opera Quadratura circoli, cubatio sphaerae, duplicatio cubi, breviter demonstrata, con la convinzione di aver risolto tutti i problemi classici di costruzione.

Per quanto riguarda il problema della ciclotomia, fu Euclide a compiere i primi passi verso una trattazione sistematica del problema. Negli Elementi egli fornì costruzioni con riga e compasso di poligoni regolari con n lati, per n = 3 (I.1), n = 4 (I.46), n = 5 (IV.11), n = 6 (IV.15) e n = 15 (IV.16). È chiaro inoltre che, bisecando l’angolo al centro, a partire da un poligono di n lati, si può costruire un poligono di 2n lati. Ne deriva che le costruzioni proposte da Euclide risolvono il problema di costruzione dei poligoni regolari di n lati, per n = 2k, 2k∗ 3, 2k∗ 5, 2k∗ 3 ∗ 5.

Per avere un criterio di costruibilità, tuttavia, bisogna attendere l’opera di Gauss e le sue Disquisitiones Arithmeticae, nelle quali, oltre a fornire una costruzione dell’eptadecagono regolare, egli provò una condizione sufficiente affinchè un n-agono regolare sia costruibile. Infine Wantzel nel 1836 completò i risultati di Gauss, pervenendo alla dimostrazione del fatto che tale criterio costituisce in effetti anche una condizione sufficiente.

1.2

Criteri di costruibilità

Prima di affrontare più da vicino i tre problemi classici e quello della ciclo-tomia, abbiamo bisogno di alcune nozioni che consentano in primo luogo di definire in modo rigoroso cosa significa "costruibile", e successivamente di stabilire se un dato numero reale è costruibile o meno.

I primi tre postulati del libro primo degli Elementi stabiliscono alcuni principi (richieste) fondamentali. Essi recitano:

1. Risulti postulato: che si possa condurre una linea retta da un qualsiasi punto ad ogni altro punto

2. e che una retta terminata si possa prolungare continuamente in linea retta

3. e che si possa descrivere un cerchio con qualsiasi centro ed ogni distanza. Le operazioni consentite, quindi, saranno le seguenti:

(7)

• Dati 2 punti, tracciare il segmento o la semiretta o la retta passante per essi (per estensione, prolungare un segmento);

• Dati un punto O ed un segmento AB, tracciare una circonferenza di centro O e raggio AB;

• Determinare il punto di intersezione di due rette;

• Determinare il punto di intersezione tra una retta e una circonferenza; • Determinare il punto di intersezione di due circonferenze.

Notiamo in primo luogo che alla luce delle richieste euclidee nulla assicura l’esistenza di una intersezione fra rette, rette e circonferenze e circonferenze poste in posizione opportuna. Sarebbe necessario a tal fine, come in effetti avviene nell’assiomatizzione proposta da Hilbert, assumere un qualche tipo di postulato di continuità.

Osserviamo inoltre che da un punto di vista algebrico, assolutamente estraneo alla sensibilità greca, tali operazioni equivalgono alla risoluzione di equazioni lineari o quadratiche. Possiamo pertanto enunciare il seguente risultato essenzialmente dovuto a Descartes:

Teorema 1.2.1(Descartes). Siano P1 = (a1, b1), · · · , Pn= (an, bn) punti nel

piano cartesiano reale. Assumiamo che siano dati anche i punti 0, 0 e (1, 0). Allora è possibile costruire un punto Q = (α, β) con riga e compasso se e solo se α e β si possono ottenere da a1, . . . , ane b1, . . . , bntramite le operazioni del

campo +, −, ∗, ÷ e tramite soluzioni di un numero finito di equazioni lineari e quadratiche, che coinvolgono radici quadrate di numeri reali positivi.

Alla luce di questo teorema, è naturale assumere la seguente definizione di numero reale costruibile:

Definizione 1.2.1. Un numero α ∈ R è costruibile se può essere ottenuto da numeri razionali tramite un numero finito di operazioni +, −, ∗, ÷ e 0 < a 7−→√a.

Facendo uso della teoria moderna dei campi e in particolare della teoria di Galois, è possibile ottenere un certo numero di criteri per la costruibilità. Proposizione 1.2.1. α ∈ R è costruibile ⇐⇒ esiste una torre di sottocampi di R, Q = F0 ⊆ F1 ⊆ . . . ⊆ Fk ⊆ R, tale che α ∈ Fk e ∀i = 1, . . . k,

Fi = Fi−1(

(8)

Dimostrazione. (⇒) Poiché α è costruibile, posso scriverlo tramite un numero finito di operazioni del campo e di radici quadrate. Ogni volta che in questa scrittura c’è una radice quadrata, chiamo Fi il campo generato da tale radice

sul campo precedente.

(⇐) Da come sono definiti gli Fi e dal fatto che α ∈ Fk si deduce che α

puo essere scritto usando un numero finito operazioni del campo e di radici quadrate.

Corollario 1.2.1. Se α ∈ R è costruibile, allora deg Q(α)/Q è una potenza di 2.

Dimostrazione. Poiché α è costruibile, allora per la proposizione precedente esiste una torre di sottocampi di R, Q = F0 ⊆ F1 ⊆ . . . ⊆ Fk = R, tale che

α ∈ Fk e ∀i = 1, . . . k, Fi = Fi−1(

ai) per qualche ai ∈ Fi−1. Ogni volta che

aggiungiamo una radice quadrata di un elemento che non era già un quadrato, si crea un’estensione di grado 2. Quindi assumendo che la estensione sia non banale, troviamo che deg Fk/Q = 2. Poiché Q ⊆ Q(α) ⊆ Fk, dalla

moltiplicatività dei gradi delle estensioni, otteniamo che deg Q(α)/Q è una potenza di 2.

Il prossimo lemma è preliminare alla dimostrazione di un importante cri-terio (che stabilisce una condizione necessaria e sufficiente) per stabilire se un un numero α è costruibile.

Lemma 1.2.1. Sia F ⊆ E un estensione di campi con caratteristica diversa da 2. Allora le seguenti condizioni sono equivalenti:

(i) E = F (√a) per qualche a ∈ F tale che √a /∈ F ; (ii) deg E/F = 2;

(iii) E = F (α), dove α è una radice di un polinomio di grado 2 irriducibile su F .

Dimostrazione. Vediamo le varie implicazioni.

(i) ⇒ (ii): Se E = F (√a) allora ogni elemento di E può essere scritto in modo unico come c1+ c2

a, con ci1, c2 ∈ F; quindi deg E/F  = 2.

(ii) ⇒ (iii): Se deg E/F  = 2 e se α ∈ E è un qualsiasi elemento non in F , allora 1, α, α2 sono linearmente indipendenti, quindi α è radice di un

polinomio di grado 2 con coefficienti in F .

(iii) ⇒ (i): Segue dalla formula risolutiva dell’equazione di grado 2.

Proposizione 1.2.2. α ∈ R è costruibile se e solo se il gruppo di Galois del suo polinomio minimo è un gruppo di ordine 2n per qualche n.

(9)

Dimostrazione. Supponiamo che α sia costruibile. Allora esiste una torre di estensioni Q = F0 ⊆ F1 ⊆ . . . ⊆ Fk ⊆ R come nelle proposizioni precedenti.

Per qualche isomorfismo σ : Fk −→ F0, con F0 sottocampo di C, F0 sarà in

cima ad una torre simile alla precedente:

Q = F0 ⊆ σ(F1) ⊆ . . . ⊆ σ(Fk) = F0.

Dunque ogni elemento di F0 può essere ottenuto con operazioni del campo e

radici. Il sottocampo ˆF ⊆ C generato dai campi σ(Fk) per tutti i possibili

σ è allora un’estensione normale di Q, il cui grado su Q è una potenza di 2. Ora, se α è un elemento di Fk con polinomio minimo f(x), allora tutti

i coniugati di α sono nei vari campi σ(Fk), quindi il campo di spezzamenti

di f(x), E, sarà un sottocampo di ˆF. Dunque anche il grado di E/Q, che è uguale all’ordine del gruppo di Galois di f(x), è una potenza di 2.

Viceversa, sia α ∈ R e supponiamo che il gruppo di Galois del suo polinomio minimo, G, abbia ordine una potenza di 2. Dalla teoria dei gruppi sappiamo che il centro di un p-gruppo è non banale. Dunque G ha un sottogruppo normale di ordine 2, sia G1 tale sottogruppo. Applicando lo stesso risultato

a G/G1 e poi continuando, otteniamo una catena di sottogruppi

e = G0 ⊆ G1 ⊆ G2 ⊆ . . . ⊆ Gn = G

, dove ogni Gi è normale in G e Gi/Gi−1 ha ordine 2. Dal teorema

fondamen-tale di Galois, se denotiamo con E il campo di spezzamento del polinomio minimo di α, f(x), c’è una catena di campi

Q = E0 ⊆ E1 ⊆ . . . ⊆ En= E ⊆ C

con ogni Ei/Ei−1 di grado 2 e ogni Ei estensione normale di Q. Sia Fi =

Ei∩ R. Allora abbiamo

Q = F0 ⊆ F1 ⊆ . . . ⊆ Fn= E ∪ R.

Ogni Ei è normale su Q, quindi il complesso coniugato τ agisce su Eifissando

il campo Fi; quindi ∀i deg Ei/Fi



è 1 oppure 2. Più precisamente, se k è l’indice più grande per cui Ek ⊆ R, allora Fi = Ei per i ≤ k, Fk = Fk+1 e

deg Ei/Fi = 2 per i > k. In particolare deg Fi/Fi−1 = 2 ∀i 6= k + 1, in

quel caso è 1. Dalla proposizione precedente si ha Fi = Fi−1(

ai per qualche

ai ∈ Fi−1, inoltre α ∈ Fn = E ∪ R, quindi α è costruibile.

1.3

Duplicazione del cubo

Il problema della duplicazione del cubo consiste nel costruire un cubo avente volume doppio di un cubo dato.

(10)

La leggenda, riferita da Teone di Smirne, narra che gli abitanti di Delo, in seguito a una peste che aveva colpito la città, non trovando altro rimedio, si rivolsero all’oracolo di Apollo. Il responso fu che, per far cessare la peste, essi avrebbero dovuto costruire un altare grande il doppio di quella di Apollo a Delfi, che era appunto di forma cubica.

La duplicazione del cubo è stata per secoli oggetto di vari tentativi di approccio, a partire da quelli più ingenui che proponevano di costruire un cubo di lato il doppio, ottenendo così un volume pari a otto volte l’originale. Furono compiuti tuttavia, fin dal IV secolo a. C., numerosi esempi di soluzioni del problema della duplicazione del cubo ottenute con strumenti diversi dalla riga e dal compasso. Tra queste, è degna di nota la trattazione di Ippocrate di Chio il quale ricondusse il problema dato al problema dell’in-serzione di due segmenti x e y, medi proporzionali tra a e 2a, dove con a si designa lo spigolo del cubo dato. In termini moderni, l’idea di Ippocrate si può tradurre nella relazione seguente:

a : x = x : y = y : 2a, da cui si ottiene la relazione richiesta.

x3 = 2a3.

Naturalmente, più che una soluzione tale proposta era in realtà una semplice riformulazione del problema originario in un problema di geometria piana.

Una vera e propria soluzione fu proposta da Menecmo, il quale risolse il problema impiegando una parabola e un’iperbole. In termini moderni la sua soluzione consisteva nel trovare l’intersezione tra la parabola y = x2 e

l’iperbole xy = 2 nel piano cartesiano; infatti con una sostituzione otteniamo l’equazione x3 = 2.

Una formulazione formalmente precisa del problema è la seguente: Dato lo spigolo a, costruire lo spigolo b tale che b3 = 2a3, ossia b = a√32. È chiaro che un tale b è costruibile se e solo se √3

2 è costruibile, secondo la definizione adottata sopra.

La dimostrazione della impossibilità di duplicare un cubo mediante riga e compasso è sancita dal seguente risultato:

Proposizione 1.3.1. √3

2 non è costruibile con riga e compasso.

Dimostrazione. √3 2 è radice del polinomio p(x) = x3− 2. Poiché p(x) che è irriducibile su Q, allora Q(√3

(11)

1.4

Trisezione dell’angolo

Questo problema chiede di costruire un angolo avente ampiezza uguale ad un terzo di un angolo dato, ossia: Dato un angolo α, costruire l’angolo β tale che β = 13α.

In effetti questo problema è un po’ più complesso, in quanto per alcuni angoli la trisezione è possibile, come ad esempio gli angoli di 180° o 90°. Tuttavia, non tutti gli angoli possono essere trisecati, ad esempio l’angolo di 60o non può essere trisecato, infatti vale la seguente proposizione:

Proposizione 1.4.1. Il numero α = cos 20o non è costruibile con riga e compasso.

Dimostrazione. Per ogni angolo θ si ha

cos 3θ = 4 cos3θ − 3 cos θ. Quindi, poiché cos 3α = cos 60o = 1

2, si ha che α è radice di 4x

3 − 3x − 1 2.

Tale polinomio è irriducibile su Q, quindi Q(α)/Q ha grado 3.

1.5

Quadratura del cerchio

Il problema della qaudratura del cerchio è forse il più famoso tra i problemi di costruzione e chiede di costruire un quadrato avente area uguale a quella di un cerchio dato.

Si ritene che il matematico e astronomo greco Enopide di Chio ( 500 a.C. – 420 a.C. circa) sia stato il primo a definire chiaramente il problema. Enun-ciamolo formalmente:

Dato r il raggio del cerchio, cerchiamo quindi un quadrato di lato a tale che a2 = r2π, ossia a = rπ.

Dunque la costruibilità di tale quadrato è legata alla costruibilità di π. Per questo motivo, la quadratura del cerchio è strettamente legata all’approssi-mazione di π: molti studiosi si sono cimentati con questo problema, fornendo talvolta stime di π anche diverse tra loro, come nel caso di Hobbes.

Vale il seguente risultato, dimostrato da Ferdinand von Lindemann nel 1882, che ci permette di concludere che non è possibile quadrare il cerchio:

Proposizione 1.5.1. π è un numero trascendente.

Questo risultato ci permette di concludere perché, se π è trascendente allora non è radice di nessun polinomio a coefficienti in Q, dunque l’estensione Q(π)/Q non ha grado una potenza di 2.

(12)

1.6

Ciclotomia

Il problema della ciclotomia pone la domanda: Per quali n è possibile co-struire con riga e compasso un n-agono regolare?

Questa domanda può essere convertita nel chiedersi in quante parti è pos-sibile dividere una circonferenza o, ancora, per quali n è posspos-sibile dividere l’angolo giro in esattamente n parti. Quindi, questo problema può essere visto come una generalizzazione del problema della trisezione dell’angolo. Negli Elementi di Euclide sono presenti costruzioni per poligoni regolari aven-ti 3, 4, 5, 6 e 15 laaven-ti. A paraven-tire da quesaven-ti, bisecando l’angolo al centro, si possono ottenere nuove costruzionu. Inoltre Euclide, nel libro IV, con la co-struzione del pentadecagono, fornisce un criterio di costruibilità affermando che, se sono costruibili i poligoni regolari di n e m lati, con n e m primi tra loro, allora è costruibile anche il poligono regolare di n · m lati.

Queste rimasero le uniche conoscenze in materia, fino a quando, nel 1796, un Gauss diciottenne, studiando a fondo l’equazione ciclotomica, dimostrò che l’eptadecagono regolare è costruibile con riga e compasso. (cfr. [Hartshorne]) Egli fu così entusiasta della sua scoperta che chiese che ne fosse inciso uno sulla sua tomba. Anche se questo suo desiderio non fu realizzato, perché la costruzione era troppo difficile e rischiava di confondersi con un cerchio, a Gottinga è stata costruita una statua del matematico a base eptadecagonale. Successivamente si occupò del caso generale: Gauss riuscì a dimostrare che se n è un intero dispari ed è prodotto di numeri primi di Fermat distinti, al-lora l’n-agono regolare è costruibile. Il viceversa fu poi dimostrato da Pierre Laurent Wantzel, nel 1836.

Dunque, il teorema di Gauss-Wantzel dà condizioni necessarie e sufficienti, affinche un n-agono regolare sia costruibile con riga e compasso e risolve il problema della ciclotomia.

Teorema 1.6.1 (Teorema di Gauss-Wantzel). Un poligono regolare di n lati è costruibile con riga e compasso se e solo se n è un numero della forma

n = 2rp1. . . ps,

con r, s ≥ 0 e p1. . . ps primi di Fermat distinti, ossia sono della forma

p = 22k + 1.

Dimostrazione. Per ogni intero n considero ζ = cos2π

n + i ∗ sin 2π

(13)

e

α = ζ + ζ−1. Si ha allora che α = 2 cos2π

n e ζ è una soluzione dell’equazione a coefficienti

in Q(α)

x2− αx + 1 = 0.

Da questo deduciamo quindi che deg Q(ζ)/Q(α) = 2. Poiché Q(ζ) è il cam-po delle radici n-esime dell’unità, è un’estensione normale di Q con grupcam-po di Galois Z/nZ∗

, che è un gruppo abeliano di ordine φ(n) (φ di Eulero). Poiché il gruppo di Galois è abeliano, Q(α) è un’estensione normale di Q e gli ordini dei gruppi di Galois di Q(α) e Q(ζ) differiscono di 2. Per un risultato visto in precedenza, concludiamo che il poligono regolare di n lati è costruibile se e solo se l’ordine del gruppo di Galois di Q(ζ), che è φ(n), è una potenza di 2.

Se n = 2kpe1

1 . . . pess, con i pi primi dispari, allora si ha

φ(n) = 2k−1 s Y i=1 pei−1 i (pi− 1).

Affinchè φ(n) sia una potenza di 2, dobbiamo avere ei = 1 ∀i e pi − 1 deve

essere una potenza di 2, ossia pi = 2ti + 1. Infine, affinchè un tale pi sia

primo, è necessario che ti sia una potenza di 2. Infatti se ti non fosse una

potenza di 2, allora esisterebbero a, b ∈ Z tali che ti = a ∗ b, con b > 1

dispari. Osserviamo che il polinomio xb + 1, con b dispari, è divisibile per

x + 1. Applicando questo risultato a x = 2a, abbiamo che 2a+ 1 | 2ab+ 1 = pi,

dunque pi non sarebbe primo.

Concludiamo quindi che

n = 2rp1· · · ps

(14)

Geometria iperbolica

2.1

Cenni storici

Il tema dell’origine delle geometria non-euclidee costituisce un problema sto-riografico assai complesso e in parte ancora dibattuto. In ogni caso, si può affermare con certezza che i due principali scopritori furono il russo Nikolaj Ivanovič Lobačevskij e l’ungherese János Bolyai, i quali pressoché contem-poraneamente, ma indipendentemente, formularono un sistema geometrico alternativo. Tuttavia, vale la pena menzionare alcuni matematici che prima di loro, nel tentativo di dimostrare il postulato delle parallele, si avvicinarono alla scoperta delle geometrie non-euclidee.

2.1.1

Il postulato delle parallele

Se una retta venendo a cadere su due rette forma gli angoli interni e dalla stessa parte minori di due retti, le due rette prolungate illimita-tamente verranno ad incontrarsi da quella parte in cui sono gli angoli minori di due retti. (Elementi, Euclide [Elementi])

Sin dai tempi antichi molti matematici si sono cimentati nel tentativo di di-mostrare questo postulato a partire dagli altri assiomi e postulati euclidei. Il quinto postulato non veniva accettato in quanto era ritenuto non abbastanza evidente per essere accettato senza dimostrazione. Uno dei tentativi fatti in questo senso fu quello di ricavarlo come conseguenza di altre proposizioni euclidee. Talvolta, per raggiungere tale scopo, fu sostituita la definizione eu-clidea di parallele. Un esempio di ciò, come testimonia Proclo (412-485) nel suo Commento al I libro di Euclide, fu il tentativo di Posidonio, che propose di definire parallele due rette complanari equidistanti. Tuttavia, per provare

(15)

l’equivalenza tra questa definizione e quella di Euclide, è necessario dimostra-re che due dimostra-rette equidistanti non si incontrano, ossia che il luogo dei punti equidistanti da una retta è una retta, e per fare ciò, l’autore degli Elementi si serve del V postulato.

La stampa dell’opera di Proclo (Basilea, 1533), diede un nuovo impulso alla ricerca in questo campo: alcuni matematici, come Federico Commandino (1509-1575), Cristoforo Clavio (1537-1612) e Giordano Vitale (1633-1711), si appoggiano alla definizione di parallelismo che comprende la nozione di equi-distanza; altri, invece, come Pietro Antonio Cataldi (1552-1626), che fu il primo a dedicare un’intera opera alla questione delle parallele, e John Wallis (1616-1703), si allontana da questo concetto. (cfr. [Bonola])

2.1.2

I precursori delle geometrie non-euclidee

Saccheri e Lambert Fra gli anticipatori inconsapevoli della teorie non euclidee un ruolo notevole ebbe Gerolamo Saccheri il quale consegnò al cor-poso trattato Euclides ab omni naevo vindicatus (1733) i propri tentativi di dimostrazione del postulato delle parallele. L’idea alla base delle sue ricerche era di pervenire ad una rifondazione dell’edificio euclideo sulle più solide basi di una dimostrazione del postulato delle parallele ottenuta per assurdo, me-diante negazione del postulato stesso e ricerca di conseguenti contraddizioni. Punto di partenza della trattazione di Saccheri era la considerazione del co-siddetto quadrilatero birettangolo isoscele, cioè un quadrilatero con due lati opposti congruenti e perpendicolari alla base. Sulla scorta di tale figura, Sac-cheri distingueva tre ipotesi fondamentali a seconda che la soprabase (il lato superiore) fosse di lunghezza uguale, inferiore o maggiore rispetto alla base. Mediante l’impiego dei postulati della geometria euclidea con l’esclusione di quello delle parallele, Saccheri intendeva produrre argomenti volti a stabilire la contraddittorietà della prima e della terza ipotesi, dimostrando così che la seconda, quella equivalente al postulato delle parallele, è l’unica possibile. Come Saccheri dimostrava, le tre ipotesi sulla dimensione della soprabase del quadrilatero isoscele erano equivalenti con l’assunzione che gli angoli ad essa adiacenti (necessariamente congruenti, come dimostrato dalla Prop. I) fossero rispettivamente retti (prima ipotesi), ottusi (seconda ipotesi) o acu-ti (terza ipotesi). Alla luce di questo risultato Saccheri poté formalizzare i termini della questione con la seguente definizione:

(16)

Definizione 2.1.1. Poiché (dalla Prop. I) la retta che congiunge le estre-mità delle perpendicolari congruenti alla medesima retta (che chiameremo base) individua angoli uguali con queste perpendicolari; occorre per questo distinguere tre ipotesi a seconda del tipo (speciem) di questi angoli: la prima di queste ipotesi la chiamerò ipotesi dell’angolo retto; la seconda e la terza ipotesi dell’angolo ottuso e ipotesi dell’angolo retto.1

La refutazione delle ipotesi dell’angolo ottuso e dell’angolo acuto indagate da Saccheri erano di natura diversa. Matematicamente corretta, la negazione dell’ipotesi dell’angolo ottuso veniva stabilita dimostrando che in tale ipotesi vale il V postulato di Euclide. Ne deriva una contraddizione per il fatto che in tale caso gli angoli adiacenti alla soprabase del quadrilatero isoscele biret-tangolo sono retti. Ciò che importa sottolineare è il fatto che l’argomento di Saccheri (essenzialmente corretto) non inferma la validità della geome-tria ellittica, poiché l’argomento impiegato fa uso in maniera essenziale della Proposizione I.16 degli Elementi che, pur essendo indipendente dal postu-lato euclideo delle parallele, è incompatibile con gli assiomi della geometria ellittica.

Quanto all’ipotesi dell’angolo acuto, pur con il solo fine di dimostrarne l’assurdità, Saccheri pervenne a stabilire una serie di proprietà che un secolo più tardi furono riconosciute come caratteristiche della geometria iperbolica. Tra queste l’esistenza di una perpendicolare e di una retta obliqua a una retta data che non hanno intersezione (Prop. XVII) e la cui distanza reciproca tende a zero qualora esse siano prolungate dalle stessa parte (Prop. XXIII). Saccheri affidò la refutazione dell’ipotesi dell’angolo acuto a due argomen-ti disargomen-tinargomen-ti. Il primo, più corretto matemaargomen-ticamente, veniva consegnato alla Prop. XXXIII il cui enunciato è: Hypothesis anguli acuti est absolute falsa; quia repugnans naturae lineae rectae.; la struttura argomentativa si fondava sull’esistenza nell’ipotesi di specie di rette asintotiche stabilita in particolare dalla Prop. XXVIII e dal fatto che tali rette asintotiche con un punto comu-ne all’infinito hanno, all’infinito, una perpendicolare comucomu-ne. Tali proprietà

1Quandoquidem (ex prima hujus) recta jungens extremitates aequalium perpendiculo-rum eidem rectae (quam vocabimus basim) insistentium, aequales efficit angulos cum ipsis perpendiculis; tres idcirco distinguendae sunt hypotheses circa speciem horum angulorum. Et primam quidem appellabo hypothesim anguli recti; secundam vero, et tertiam appellabo hypothesim anguli obtusi, et hypothesim anguli acuti.

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che sono proprie dell’ipotesi dell’angolo acuto venivano infine raffrontate con 5 lemmi (posti in calce alla Prop. XXXIII) dove erano esplicitate altrettante caratteristiche della nozione di retta (valide per la verità anche nel caso iper-bolico) tra le quali: i) due rette (distinte) non possono essere tangenti l’una all’altra; ii) e non possono avere alcun segmento in comune. L’idea centrale avanzata da Saccheri fu quella di trasferire all’infinito le proprietà delle ret-te stabiliret-te al finito, per concludere che l’iporet-tesi dell’angolo acuto implica il sussistere di caratteristiche incompatibili con la definizione e la natura stessa di retta.

Un secondo argomento, matematicamente inadeguato a causa di una inge-nuità nell’impiego degli strumenti del calcolo infinitesimale, veniva proposto nella seconda parte del primo libro dell’Euclides Vindicatus; esso si fondava sulla considerazione del luogo dei punti equidistanti da una retta data, un iperciclo del piano iperbolico (secondo una denominazione introdotta nell’Ot-tocento), e dalla dimostrazione (incorretta) del teorema secondo il quale un tratto di iperciclo ha la medesima lunghezza del corrispondente segmento di retta. Tale conclusione era in contraddizione con la Prop. III del libro primo, che conduceva a una determinazione della lunghezza relativa della soprabase di un quadrilatero birettangolo isoscele rispetto alla base (nelle tre ipotesi contemplate).

Al di là del suo intrinseco valore, l’impatto che l’Euclides ebbe sui succes-sivi sviluppi delle geometrie non euclidee fu assai limitato. Se la eventualità che Gauss abbia letto l’opera non può essere esclusa dal momento che la biblioteca dell’Università di Gottinga disponeva di una copia del volume, addirittura improbabile è che Bolyai e Lobačevskij siano mai giunti a co-noscenza dei tentativi di Saccheri di fornire una dimostrazione del postulato euclideo. Il lavoro di Saccheri fu presto dimenticato per essere riscoperto solo alla fine dell’Ottocento, quando un padre gesuita segnalò a Eugenio Beltrami l’esistenza dell’opera. Beltrami studiò a fondo l’opera e pubblicò nel 1889 un breve articolo nel quale Saccheri veniva presantato come “un precursore italiano di Legendre e Lobačevskij".

Analoghi tentativi di dimostrazione del V postulato furono compiuti da Jean-Henri Lambert (1728-1777) nell’ opera Therie der Parallelinien (1786). Qui egli affrontò lo studio di quadrilateri trirettangoli, cioè quadrilateri aventi tre angoli retti. Come per i birettangoli di Saccheri, le ipotesi sul quarto angolo sono:

• ipotesi dell’angolo retto, che equivale a dimostrare il postulato delle parallele;

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• ipotesi dell’angolo acuto;

L’intenzione di Lambert era dunque quella di provare che le ipotesi dell’an-golo ottuso ed acuto fossero in contraddizione con sistema residuo di assiomi. A differenza di Saccheri, Lambert si rese conto ed ammise che le sue argo-mentazioni fatte a partire dall’ipotesi dell’angolo acuto non portavano ad una contraddizione.

Tuttavia, provando a dimostrare il V postulato, fece delle scoperte che apri-rono ancora di più la porta alle geometrie non-euclidee. Ad esempio, nel tentativo di confutare l’ipotesi dell’angolo acuto, Lambert trovò che la som-ma degli angoli interni di un triangolo è minore di due angoli retti e che il difetto di un poligono, ossia la differenza tra (n − 2)π e la somma dei suoi angoli interni, è proporzionale alla sua area. A partire da questo, egli scoprì che nelle geometrie corrispondenti alle ipotesi di angolo ottuso ed acuto, esi-ste un’unità di misura che deriva dalle proprietà del piano.

Sembrerebbe, quindi, di essere davvero vicini alla nascita di queste nuove geometrie. Tuttavia, lo stesso Lambert fece un passo indietro, affermando che le conseguenze che derivano dalla negazione del postulato delle parallele non fossero accettabili.

Farkas Bolyai Farkas Bolyai (1775-1856) dedicò la sua vita alla questio-ne delle parallele. Nel periodo in cui studiò a Gottinga, conobbe Gauss e con lui strinse un’amicizia che sarebbe durata per tutta la vita. Nel 1804, spedì a Gauss la sua opera Theoria Parallelarum, contenente un tentativo di dimostrare l’esistenza di rette equidistanti. Anche se Gauss confutò questa dimostrazione, Farkas non smise di dedicarsi al postulato delle parallele, riu-scendo però solo a sostituirlo con altri postulati; un esempio è rappresentato dall’assioma che afferma che tre punti non in linea retta giacciono sempre sopra una sfera, o equivalentemente, che tre punti non in linea retta appar-tengono sempre ad una circonferenza.

Giunge così a dubitare della dimostrabilità V postulato. Nel 1832 pubblica l’opera Tentamen juventutem in elementa Matheseos (avente come appendi-ce ad uno dei libri l’opera del figlio János), in cui raccoglie le sue riappendi-cerche sul V postulato, evidenziando, per ogni tentativo, l’ipotesi da aggiungere per rendere rigorosa la dimostrazione.

2.1.3

La nascita delle geometrie non-euclidee

Per un matematico odierno, che ha fatto proprio il punto di vista dell’as-siomatica moderna secondo secondo il quale si guarda agli assiomi come a

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principi assunti come punto di partenza di un sistema deduttivo e non come verità necessarie, la sostituzione di un assioma con un altro non costituisce una seria difficoltà. Diversa era la situazione per i matematici che per primi si sono approcciati alle geometrie non-euclidee. Se per noi gli assiomi non hanno valore di verità, per matematici come Gauss, Bolyai o Lobačevskij non era così. Una delle maggiori difficoltà che incontrarono gli scopritori della geometria non-euclidea fu proprio quella di liberarsi del valore di verità che gli assiomi portavano con sè: sotto l’influenza della filosofia kantiana, erano convinti che l’uomo non potesse pensare ad uno spazio avente una struttu-ra diversa da quella descritta dalla geometria euclidea e per loro, assumere che potesse esistere una geometria diversa da quella degli Elementi di Eu-clide equivaleva a dubitare della verità stessa della geometria euEu-clidea. (cfr. [Kárteszi])

Gauss Il problema storiografico di valutare la natura e la rilevanza delle ricerche di Gauss nel campo delle geometrie non-euclidee è di non facile soluzione; esso si deve confrontare con la sua ritrosia a pubblicare i risultati non adeguatamente rifiniti delle proprie ricerche e con il timore esplicitamente confessato di attirare le “strida” dei critici. Tale circostanza ci ha consegnato una scarna traccia di materiale manoscritto, per lo più lettere, dalle quali è possibile desumere solo una vaga e imprecisa idea dell’estensione e della profondità delle ricerche di Gauss sul tema della teoria delle parallele.

Al di là di queste oggettive difficoltà storiografiche, un fatto sembra stabi-lito con certezza: fin da giovanissimo, Gauss ebbe piena consapevolezza dello stato insoddisfacente delle ricerche intorno ai fondamenti della geometria e dei problemi posti dall’assioma delle parallele.

Un primo importante documento che attesta l’interesse e la dedizione di Gauss per tali questioni è una lettera che egli scrisse all’amico e compagno di studi all’Università di Gottinga, Farkas Bolyai (padre del celebre Janos Bolyai), il quale aveva accennato a Gauss delle ricerche che aveva intrapreso sui fondamenti della geometria. Il documento suggerisce, pur in maniera un po’ vaga, il grado di profondità degli studi di Gauss sull’argomento. Degno di nota è la scoperta qui menzionata della equivalenza fra il postulato delle parallele di Euclide e l’esistenza di triangoli di area arbitraria, la cui nega-zione rappresenta in effetti una delle proprietà fondamentali della geometria iperbolica.

Mi rincresce non aver sfruttato la nostra precedente maggiore vi-cinanza per saperne di più sul tuo lavoro sui fondamenti della geometria; mi sarei sicuramente risparmiato molti sforzi inutili e sarei diventato più tranquillo, nella misura in cui ciò è possibile

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per qualcuno come me, dal momento che ancora così tanto resta da fare in un tale oggetto. Io stesso ho fatto molti progressi nel mio lavoro anche se le mie altre attività molto eterogenee non mi lasciano molto tempo; il percorso che ho intrapreso non por-ta all’obiettivo desiderato e che tu stesso hai assicurato di aver raggiunto, ma piuttosto, conduce a dubitare della verità della geometria. Ho trovato ciò che per i più si qualificherebbe co-me una dimostrazione [del postulato delle parallele], ma che ai miei occhi non prova alcunché; ad esempio, se si potesse dimo-strare che esistono triangoli rettilinei la cui area è maggiore di ogni regione assegnata, allora sarei nelle condizioni di giustificare rigorosamente l’intera geometria. I più sarebbero portati a con-siderare ciò alla stregua di un assioma; non io; sarebbe possibile che, per quanto lontani gli uni dagli altri siano assunti i vertici di un triangolo nello spazio, tuttavia l’area si mantenga sempre inferiore ad un certo limite. Dispongo di molti risultati simili, ma in nessuno io scorgo nulla di soddisfacente. 2

Una successiva lettera all’indirizzo dello stesso Bolyai, del settembre 1804, restituisce l’immagine di una maggiore cautela e di un Gauss che ancora agli inizi del secolo coltivava la speranza di poter pervenire alla dimostrazione del postulato euclideo.

Ho letto il tuo saggio con estremo interesse e con attenzione e ne ho davvero apprezzato il grande acume. Ma tu non vuoi la mia lode vuota, la quale potrebbe anche sembrare di parte perché le tue idee hanno molto in comune con le mie, con le quali ho cerca-to di risolvere quescerca-to nodo gordiano e ho provacerca-to finora invano. Vuoi solo il mio giudizio sincero, non mascherato. E questo è che la tua procedura non è ancora abbastanza per me. Voglio provare a scoprire la pietra dello scandalo che ancora vi scorgo (e che appartiene anche allo stesso genere di scogli sui quali i miei tentativi finora hanno fallito) con la massima chiarezza possibile. Spero ancora che quelle scogliere un giorno consentano il passag-gio prima della mia dipartita. Tuttavia, ora sono assorbito da una serie di altre occupazioni che al momento mi impediscono di dedicarmi al problema, e credimi, sarei molto felice se mi potrai anticipare e se sarai in grado di superare tutti gli ostacoli. Farei quindi di tutto con il massimo piacere per renderti il tuo merito e per metterlo in luce, per quanto posso.3

2[Gauss Werke, VIII. p. 159].

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In anni successivi Gauss espresse, in maniera sempre più frequente, la convin-zione dell’impossibilità di giungere a una dimostraconvin-zione della necessità della geometria euclidea. Testimonianza di un tale mutamento di prospettiva è una lettera che scrisse all’amico Wilhelm Olbers nell’Aprile del 1817.

Sono sempre più convinto che la necessità della nostra geometria [cioè della geometria euclidea] non possa essere dimostrata, alme-no alme-non dall’intelletto umaalme-no e comunque alme-non per la comprensione umana. Chissà, forse in un’altra vita perverremo ad altre visioni circa la natura dello Spazio che ora ci appaiono irraggiungibili. Sino a quel momento, non si dovrebbe porre la Geometria sul-lo stesso piano dell’Aritmetica, che è puramente a priori, bensì accanto alla Meccanica.4

Passo ulteriore nella revisione delle tradizionali concezioni geometriche, fu il riconoscimento della non-contradditorietà della geometria che scaturisce dalla negazione del postulato euclideo e che Gauss aveva dapprima denominato con l’espressione di geometria “anti-euclidea”, di “geometria astrale” e in seguito di geometria “non euclidea”. Ciò emerge in maniera inequivocabile in una serie di lettere all’indirizzo dell’amico astronomo, Heinrich Christian Schumacher (1780-1850). Quest’ultimo nel mese di Maggio 1831 aveva scritto a Gauss per sottoporgli un proprio tentativo di dimostrazione del postulato delle parallele. In realtà, come lo stesso Gauss spiegò nella risposta a questa lunga lette-ra, i timori di Schumacher di aver compiuto una petitio principii si rivelarono fondati. Nel tentativo di dimostrazione proposto si era insinuato un argomen-to fallace con il quale Schumacher aveva accolargomen-to una proprietà equivalente a quella prescritta dal V postulato.

Rispetto a quanto mi scrivete sulle parallele avete visto bene. Nei vostri sillogismi avete fatto uso di un’affermazione intermedia (Zwischensatz) senza che la abbiate resa esplicita. E’ la seguente: se due rette (1) e (2) formano con una terza retta (3), che le taglia, rispettivamente angoli A0 e A00 e se una quarta (4), nel medesimo

piano, è tagliata da (1) sotto il medesimo angolo, allora (4) sarà tagliata da (2) sotto l’angolo A00.

Il fatto è che questa affermazione non solo necessita di una dimo-strazione ma anzi, si può dire, che è essa stessa l’affermazione che si intende dimostrare.

Da alcune settimane ho cominciato a scrivere qualcosa delle mie riflessioni a riguardo, ormai vecchie (almeno in parte) di 40 anni,

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delle quali non ho mai scritto nulla e che per 3 o 4 volte ho dovuto ripensare da capo. Non vorrei che questi miei pensieri scomparissero con me.

L’osservazione di Gauss può essere compresa alla luce del ragionamento se-guente. Indipendentemente dalla validità del V postulato la configurazione delle rette (1), (2), (3), (4) descritta è tale che le rette (3) e (4) sono parallele; è infatti sufficiente invocare la proposizione I.28 degli Elementi la quale sta-bilisce che se due rette qualsiasi tagliate da una trasversale formano angoli corrispondenti uguali allora le rette sono parallele. Ciò che dipende dal V postulato è l’asserzione che la retta (4) è tagliata da (2) sotto l’angolo l’an-golo A00. In effetti, quest’ultima affermazione è equivalente alla richiesta che

due rette parallele tagliate da un trasversale formano angoli corrispondenti congruenti (Proposizione I.29 degli Elementi5).

Qualche settimana più tardi (25 Maggio 1831), Schumacher sottopose a Gauss un nuovo tentativo di dimostrazione che sfruttava la nozione di circolo con raggio infinito.

Alla seconda lettera di Schumacher, Gauss rispose puntualmente in una lunga missiva che costituisce uno dei più importanti documenti che sono rimasti per ricavare informazioni riguardo alle ricerche e alle convinzioni di Gauss in materia di geometria non euclidea. Al di là delle considerazioni di carattere generale intorno all’impiego della scivolosa nozione di infinito, il testo della lettera fornisce una prova molto solida di come alcune proprietà caratteristiche della geometria iperbolica fossero note allo stesso Gauss, prima che egli venisse a conoscenza dei lavori di Bolyai e di Lobatschewsky.

Per quanto riguarda le linee parallele, mi sarebbe piaciuto molto scriverti il mio giudizio sulla tua prima lettera, se non avessi dovu-to presumere che ti sarebbe stadovu-to di scarsa utilità senza sviluppi completi. Tali sviluppi completi, se vogliono essere veramente convincenti, richiederebbero forse argomenti concernenti la lun-ghezza di arco in risposta a ciò che in sostanza hai accennato solo in poche righe, ma per i quali attualmente non ho la mentalità richiesta. Per assicurarti della mia buona volontà, vorrei aggiun-gere quanto segue.

Voi considerate subito punti propri su ogni triangolo, ma potresti impiegare sostanzialmente il solito ragionamento se considerassi dapprima il caso più semplice e formulassi il teorema:

5Come è noto, questa è la prima proposizione degli Elementi nella quale si fa uso del postulato V.

(23)

1) In ogni triangolo un lato del quale è finito, mentre il secondo lato, e di conseguenza anche il terzo sono infiniti, la somma dei due angoli è = 180◦

Dimostrazione secondo la tua maniera:

L’arco di circonferenza CD dà la misura dell’angolo CAD così come dell’angolo CBD, giacché in una circonferenza di raggio in-finito uno spostamento in-finito del centro devo essere considerato come nullo. Così:

CAD = CBD, CAD + CBA = CBD + CBA = 180◦. Il resto si ottiene da sè facilmente. Infatti da questo teorema si

ha:

α + β + δ = 180◦ 180◦ =  + δ γ +  = 180◦.

(2.1) Così sommando si ha:

(24)

Ma per quanto riguarda la tua dimostrazione per 1), in primo luogo protesto contro l’uso di una grandezza infinita come di una finita, cosa che non è mai consentita in matematica. L’infinito è solo una façon de parler, quando si parla in realtà di limiti a cui certi rapporti si avvicinano, mentre altri crescono senza re-strizioni. In questo senso, la geometria non euclidea non contiene nulla di contraddittorio in se stessa, anche se coloro [che impa-rano a conoscerla] devono inizialmente considerare molti dei suoi risultati come paradossali, ma ciò che è considerato contradditto-rio sarebbe solo un inganno, causato dalla precedente abitudine di considerare la geometria euclidea come rigorosamente vera. Nella geometria non euclidea [Nicht-Euklidischen Geometrie] non esistono figure simili senza uguaglianza, ad es., gli angoli di un triangolo equilatero non sono solo diversi da 2/3R, ma [in trian-goli diversi] a seconda delle dimensioni dei lati, se il lato cresce indefinitamente, possono diventare piccoli quanto si voglia. [...] Nella geometria euclidea non esiste una grandezza assoluta; que-sto è precisamente il suo carattere essenziale e coloro che non lo ammettono presuppongono già, eo ipso, l’intera geometria eucli-dea. Tuttavia, come detto, secondo me si tratta di un semplice autoinganno.

Per il caso in questione, non vi è alcuna contraddizione nel fatto che se i punti A, B e la direzione AC sono dati, e se C può crescere senza restrizioni, allora, sebbene DBC si avvicini al DAC, la differenza non può mai essere portata sotto una certa differenza finita. Il tuo ricorso all’arco CD rende la conclusione tanto più

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accennato, dovresti procedere così: Vale CAB : CBD = CD ECD :

CD0

E0CD0 e al crescere di AC all’infinito, CD e C

0D0 da un lato e

ECD, E0CD0 dall’altro tendono ad avvicinarsi sempre più. Entrambe queste circostanze non si presentano nella geometria non euclidea, se si intende con ciò che i rapporti geometrici si avvicinano quanto si voglia alla uguaglianza. Infatti, nella geo-metria non euclidea la semicirconferenza di un circolo, il cui raggio è = r è:

= 1 2πk e

r/k − e−r/k , (2.2)

dove k è una costante, della quale attraverso l’esperienza sappia-mo che essa deve essere enormemente grande rispetto a tutto ciò che possiamo misurare. Nella geometria di Euclide è infinita. [...]

6

Gli spunti di riflessione offerti da questa lunga citazione sono innume-revoli. Tralasciando le considerazioni intorno all’impiego della nozione di infinito, è interessante sottolineare in primo luogo la identificazione da parte di Gauss di un caratteristica chiave (“essenziale” per usare l’espressione del testo) della geometria iperbolica quale l’esistenza di una unità di misura as-soluta. Essa viene spiegata alla luce della non esistenza di triangoli simili, nel senso che triangoli simili tra loro sono necessariamente congruenti. Non sappiamo come Gauss sia giunto a sviluppare una tale convinzione che pure è documentata, seppur indirettamente, già nel 1808. Non si può escludere che questa scoperta sia stata ottenuta come conseguenza di relazioni trigo-nometriche del tipo di quelle dedotte e impiegate da Franz Taurinus nella sua Geometriae prima elementa (1826) e che Gauss potrebbe aver ricavato secondo un metodo simile a quello adottato in appunti privati redatti negli anni 1840-1846. Qui egli ricavò le formule di trigonometria in un approccio

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unificato, valido sia nel caso sferico che in quello iperbolico, basato sull’ipo-tesi che per triangoli infinisull’ipo-tesimi valgono le stesse leggi della trigonometria ordinaria anche nel caso sferico e non euclideo.7 Più probabilmente però la

convinzione potrebbe essere stata tratta dalla riflessione di carattere più ele-mentare intorno all’equivalenza del postulato delle parallele con il cosiddetto postulato di John Wallis (1616-1703) secondo il quale di ogni figura ne esiste una simile di grandezza arbitraria.

Notevole è l’espressione esplicita per la lunghezza di una semicirconferen-za (iperbolica) di raggio r a partire dalla quale l’argomento di Schumacher veniva puntualmente confutato. L’affermazione di Gauss in base alla quale, al tendere del punto C all’infinito, le semicirconferenze ECD e E0CD0 (e

gli archi CD, CD0) hanno rapporto distinto dall’unità, può essere

verifica-ta facilmente, ad esempio, mediante l’impiego del modello della geometria iperbolica offerto del semipiano complesso superiore

 H,dx 2+ dy2 y2  .8

Naturalmente, saremmo tentati di supporre che un ruolo rilevante nelle ricerche di Gauss sulle geometrie non euclidee abbiano rivestito gli studi da lui compiuti intorno alla teoria delle superfici. Ed è indubbio che il metodo intrinseco che egli stesso aveva elaborato in tale contesto costituì un passo importantissimo ed essenziale verso il processo di comprensione delle nuove geometrie. Tuttavia non c’è traccia nell’opera di Gauss (almeno nei docu-menti di cui disponiamo) di una esplicita identificazione della geometria non euclidea (iperbolica) con la geometria di una superficie a curvatura costante e negativa.

Alcuni commentatori9 hanno ritenuto di poter rinvenire indirette

indica-zioni nel senso contrario.

7A tale riguardo, si veda [Gauss Werke, pp. VIII, 255–265]. Si tratta di appunti sparsi rinvenuti in un esemplare delle Geometrischen Untersuchungen zur Theorie der Parallellinien di Lobatchewsky, in possesso di Gauss.

8Consideriamo tre punti z

A = (xA, yA), zB = (xB, yB), zC = (xC, yC) ∈ H. Siano scelti in maniera che xA= xB. La metrica in H è data da cosh dH(z, w) =

|z − w| 2Im(z)Im(w). Indicate con ΓA,C, ΓB,C le semicirconferenze di centro rispettivamente A e B e raggio dH(zA, zC) e dH(zB, zC), si ricava (alla luce di (2.2), riscritta con k = 1):

lim yC→0 ΓA,C ΓB,C = s y2A+ (xA− xC)2 y2 B+ (xB− xC)2 ,

(si tenda conto del fatto che i punti dell’asse delle x rappresentano punti all’infinito di H) che dipende, oltre che dalla posizione dei punti A e B, anche dalla direzione delle rette AC, BC.

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Una prima testimonianza a riguardo sarebbe costituita da una lettera di Gauss all’indirizzo dello stesso Schumacher nella quale Gauss rifletteva sui rapporti fra le ricerche che Lobatschewsky aveva consegnato al trattato Geo-metrische Untersuchungen zur Theorie der Parallellinien (1840) e i propri studi sulle geometrie non euclidee. Scrisse:

Di recente ho avuto l’occasione di rivedere il lavoro di Loba-tschewsky [. . . ]. Esso contiene le caratteristiche essenziali del-la geometria che dovrebbero avere luogo e potrebbero aver luo-go riluo-gorosamente se la geometria euclidea non fosse quella vera. Schweikart chiamava tale geometria, geometria astrale, geome-tria immaginaria la chiama Lobatschewsky. Sai che ho coltiva-to la stessa convinzione per 54 anni (dal 1792) (con una certa estensione tardiva, che non menzionerò qui). [. . . ]10

Non pare insensato pensare che con la generica allusione alla “spätern Er-weiterung” (sviluppo successivo) Gauss volesse riferirsi al contenuto delle Di-squisitiones, instaurando in questo modo una connessione fra la teoria delle superfici e la geometria non euclidea.

Una ulteriore indicazione di tale connessione sarebbe offerta dall’impiego da parte di Gauss della lettera k per designare una costante di integrazione adottata nella deduzione generale, prima menzionata, delle formule trigono-metriche. Tale notazione viene interpretata come il segno esteriore dell’iden-tificazione di tale costante con la curvatura (Krümmung) gaussiana di una superficie.

In realtà, più che dalla notazione impiegata, una tale interpretazione po-trebbe forse essere meglio supportata dall’osservazione seguente. In questa occasione, cioè in [Gauss Werke, pp. VIII, 255–265], Gauss prendeva le mosse dall’ipotesi che per triangoli infinitamente piccoli valgano, qualunque sia la geometria considerata, le note regole di trigonometria euclidea. La liceità di una tale supposizione può essergli stata suggerita dalle ricerche sulla teoria delle superfici e dalla possibilità più volta invocata di approssimare (al primo ordine) una superficie in un intorno di un suo punto mediante il corrispon-dente piano tangente. Un esempio di tale identificazione si trova in [Gauss 1828, §15]. Qui, nel fornire una dimostrazione geometrica del cosiddetto lem-ma di Gauss egli osservava: cum triangulum infinite parvum [...] tamquam planum tractare licet [...]. Dunque l’assunzione fatta propria da Gauss che una analoga proprietà valga anche per le geometrie non euclidee, potrebbe essere interpretata come un segnale (alquanto indiretto) del fatto che la teo-ria delle superfici (a curvatura costante negativa) costituisca un modello per le geometria iperbolica.

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Nondimeno, pur non potendo escluderne a priori la possibilità, ogni ten-tativo di argomentare in favore di una identificazione da parte di Gauss della geometria di Bolyai e Lobačevskij con la geometria di una superficie con misu-ra di curvatumisu-ra negativa pare destinato ad arrestarsi ad un livello pumisu-ramente congetturale.11

2.1.4

L’Appendix di Janos Bolyai

A Janos Bolyai, insieme a Lobačevskij, si deve una delle prime sistematiche elaborazioni delle conseguenze imposte dalla negazione del postulato euclideo delle parallele. Essa è contenuta in una breve appendice ad una monumentale opera sui fondamenti dell’aritmetica e della geometria che il padre Farkas pubblicò nel 1832.

Sebbene, come il padre, Janos fosse inizialmente convinto della possibilità di dimostrare l’assioma delle parallele, gradualmente egli cominciò a nutrire dubbi sulla percorribilità di un tale approccio. E’ tuttavia arduo determinare con precisione quando egli abbia compiuto il passo decisivo verso l’assunzione dell’ipotesi alternativa di parallelismo, che lo avrebbe condotto a sviluppare la “teoria assoluta dello spazio”. In tale riguardo, viene spesso citata una lettera dello stesso Janos al padre (Novembre 1823) nella quale vengono menzionati, in maniera piuttosto vaga per la verità, alcuni progressi compiuti nella teoria delle parallele.

Sono ormai risoluto di pubblicare un’opera sulla teoria delle pa-rallele, appena avrò ordinato la materia e le circostanze me lo permetteranno. Non l’ho ancora fatto, ma la via che ho seguito ha certamente, per così dire, quasi raggiunto lo scopo; lo sco-po proprio non è raggiunto, ma ho scoperto cose sì belle che ne sono rimasto abbagliato, e si dovrebbero sempre rimpiangere se andassero perdute. Quando le vedrete, lo riconoscerete voi pure. Nell’attesa non vi posso dire altro che questo: ho dal nulla creato un nuovo universo. Tutto ciò che vi ho comunicato fino ad ora non è che un palazzo di carta di fronte a questa torre. Sono tanto persuaso che questo mi farà onore come se ciò fosse già avvenuto.

11Un illustre sostenitore di questa posizione fu Eugenio Beltrami che, in una lettera a Hermann von Helmholtz dell’Aprile nel 1869, osservò che assai probabilmente Gauss era riuscito a “penetrare” nelle geometrie di Bolyai e Lobačevskij proprio attraverso la teoria intrinseca delle superficie che egli aveva elaborato nelle Disquisitiones. E’ tuttavia verosimile che tale interpretazione riflettesse più le personali convinzioni di Beltrami che non il punto di vista originario di Gauss. La medesima idea è fatta propria in [Abardia et al. 2012].

(29)

Non è dato tuttavia sapere in che cosa consistesse la scoperta alla quale Bolyai accennava in questo frangente né quale fosse l’obiettivo da lui menzio-nato. Come sostenne ad esempio Schlesinger, è probabile che Janos alludesse ancora alla possibilità di ottenere delle contraddizioni a partire dalla nega-zione del postulato, e dunque che l’obiettivo in vista del quale le sue ricerche muovevano fosse (ancora nel 1823) una dimostrazione indiretta dell’assioma euclideo.

E’ certo invece che un paio di anni più tardi (1825), Janos fu in grado di consegnare al padre una bozza del lavoro contente il nucleo essenziale della sua “scienza assoluta dello spazio”. Con questa espressione Janos si riferiva al sistema deduttivo di proposizioni che egli fu in grado di dimostrare indipen-dentemente dalla particolare ipotesi adottata sul parallelismo. La geometria euclidea (indicata con il simbolo Σ) da un lato e quella iperbolica (indica-ta con S) dall’altro si configuravano nell’approccio del giovane Bolyai come specializzazioni di tale scienza assoluta (ciò che oggi chiameremmo geome-tria neutrale). Come giustamente osservato in [Bonola, p.92], a differenza di Lobatschewki il quale fu maggiormente interessato a sviluppare le conse-guenze della “geometria immaginaria” (geometria iperbolica), Janos esaminò con maggiore cura “le proposizioni e le costruzioni [...] che non dipendono dal postulato” delle parallele. Tra i teoremi cosiddetti assoluti spiccano le seguenti proposizioni trigonometriche: i) In un triangolo rettilineo le circon-ferenze di raggio uguale ai lati stanno fra loro come i seni degli angoli apposti [Bolyai J. 1832, §25]; ii) in un triangolo sferico i seni degli angoli e i seni dei lati sono proporzionali.

Quanto ai sistemi S (infiniti in numero, poiché la geometria dipende da un parametro indeterminato che solo retrospettivamente può essere identi-ficato con la curvatura dello spazio), Bolyai presentava un certo numero di costruzioni notevoli tra le quali riveste un particolare rilievo la quadratura di alcuni cerchi iperbolici.

Al di là dei singoli risultati di dettaglio, è opportuno riflettere sul signi-ficato che Bolyai accordava ai sistemi geometrici del tipo S. Hanno eguale legittimità di Σ? E’ possibile provare l’indimostrabilità del postulato delle parallele (a partire dai restanti assiomi euclidei)?

Nella sezione finale dell’Appendix, Bolyai aveva menzionato il problema di decidere quale fra i diversi sistemi geometrici sviluppati sussista effettiva-mente, rimandando la dimostrazione della impossibilità di una tale decisione ad un momento più opportuno. Sembra infatti che sin dalla redazione con-clusiva dell’Appendix Bolyai fosse convinto di tale impossibilità e addirittura di poter produrne una dimostrazione. Ciò risulta confermato anche da una serie di note a margine alla edizione tedesca della stessa opera, alla quale Bolyai lavorò fra il 1833 e il 1835. In una di queste, si legge:

(30)

Se ora entra in gioco la prova della impossibilità di decidere fra Σ e S (prova di cui l’autore dispone), allora l’essenza dell’Assio-ma XI è pienamente spiegata e l’intricata dell’Assio-materia delle parallele compresa appieno [...]. L’autore ha la chiara convinzione che at-traverso il chiarimento di questa materia sarà realizzato uno dei contributi più importanti e più luminosi al vero arricchimento della Scienza e quindi all’elevazione del destino dell’Uomo. 12

Non sono noti gli argomenti che spinsero Bolyai a riporre tanta fiducia nella possibilità di fornire una tale dimostrazione di impossibilità. Come os-servano Stäckel e di riflesso anche Bonola13è probabile che una tale sicurezza

gli derivasse dalla convinzione che non era possibile dedurre contraddizioni a partire dalle applicazioni della trigonometria iperbolica. In ogni caso, in anni successivi, le ricerche di Bolyai subirono un radicale cambiamento di rotta che lo condusse a esplorare nuovamente la possibilità di dimostrare il postulato delle parallele. Per qualche tempo, egli fu addirittura convinto di aver ottenuto il risultato mediante la scoperta (evidentemente erronea) di una contraddizione nelle relazioni trigonometriche che sussistono fra 5 punti dello spazio. Accortosi dell’errore, egli tuttavia non procedette oltre in questa direzione.

Relegando sullo sfondo il problema storiografico dello status che Bolyai attribuì ai sistemi S, è interessante esaminare alcuni dei contenuti principali dell’Appendix. Un punto fondamentale dell’approccio di Bolyai, e del resto anche di Lobačevskij, fu il ricorso a considerazioni di ordine tridimensionale per ricavare le formule della trigonometria dei sistemi S, come giustamente viene sottolineato in [Gray 2011, p. 105],

Bolyai [. . . ] made a vital shift into three dimensions. No previous investigations of the parallel postulate had taken this route, and it shows that Bolyai was concerned that his new geometry be taken as a possible geometry of physical space. It also allowed him to develop crucial results that gave his results any chance of convincing a skeptical public. It also makes the exposition quite unlike Euclid’s Elements.

Il punto di partenza di Bolyai fu una nuova definizione per il parallelismo tra rette. Una prima distinzione importante rispetto al caso euclideo era la necessità di limitarsi a considerare il parallelismo tra semirette, distinguendo di fatto tra parallelismo destro e parallelismo sinistro. La nozione adottata,

12[Stäckel 1900, pp. 290-291]

(31)

Figura 2.1: La definizione di parallelismo.

che pare gli sia stata suggerita da alcune discussioni con l’amico Szàsz, era la seguente:

Se una semiretta−−→BN non interseca la semiretta complanare−−→AM, mentre ogni altra semiretta −BP−→ in ABN la interseca, allora scri-veremo −−→BN k−−→AM.14

Sulla base di questa definizione, Bolyai dedusse un certo numero di proprietà fondamentali tra le quali la transitività del parallelismo in un verso fissato e l’esistenza di punti A, B su due parallele cosiddetti corrispondenti, cioè tali che l’angolo MAB e l’angolo ABN sono congruenti. Quest’ultima proprietà consentiva di introdurre una curva piana così definita: presa una semiretta a di origine A e una semiretta b complanare ad a e ad essa parallela nel senso della definizione sopra riportata, sia B quell’unico punto di b tale che gli angoli in A e in B (individuati dalla retta AB e dalle semirette a, b) siano congruenti. Al variare della retta b tra le parallele ad a nel medesimo piano, i punti B individuati percorrono una curva che Bolyai indicò con il simbolo L. Al variare del piano passante per la retta a le curve L così ottenute descrivono una superficie nello spazio che Bolyai designò con il simbolo F .

L’importanza di tale superficie risiedeva nel fatto che, pur di considerare come linee rette i tratti di curve del tipo L che uniscono due qualunque della superficie, valgono su di essa tutti i risultati della geometria euclidea. E’ questa una proprietà di tipo assoluto, valida cioè indipendentemente dal fatto di aver assunto il sistema Σ o il sistema S,15 che Bolyai sfruttò in

maniera determinante per ricavare una serie di relazioni trigonometriche per

14Si rectam −−→AM non secet plani ejusdem recta −−→BN , at secet quaevisBP (in ABN ):−→ designetur hoc per −−→BN k−−→AM .

15In effetti, nel caso del sistema Σ (sistema euclideo), la superficie F si riduce ad un piano (euclideo).

(32)

il sistema S, ivi incluso il citato teorema secondo il quale “in un triangolo rettilineo le circonferenze di raggio uguale ai lati stanno fra loro come i seni degli angoli apposti”.

Un ruolo importante per gli sviluppi della trattazione ebbe infine la de-terminazione del cosiddetto angolo di parallelismo che restituisce l’angolo δ in funzione della distanza d tra il punto B e la sua proiezione A sulla retta M0M (il riferimento è alla figura 2.1). Segnaliamo in particolare la sezione 32 dell’Appendix nella quale, introducendo un opportuno sistema di coordi-nate, Bolyai affrontò alcuni problemi di geometria metrica iperbolica quali la determinazione dell’area del cerchio e del volume della sfera.

L’Appendix fu letta da Gauss, fu lo stesso Farkas ad inviargliene una co-pia. Famosa la sua risposta:

Se comincio col dire che non posso lodare questo lavoro, tu cer-tamente per un istante resterai meravigliato; ma non posso dire altra cosa, lodarlo sarebbe lodare me stesso; infatti tutto il con-tenuto dell’opera, la via spianata da tuo figlio, i risultati ai quali egli fu condotto coincidono quasi interamente con le mie medi-tazioni, che hanno occupato in parte la mia mente da trenta a trentacinque anni a questa parte. Così rimasi pienamente stupe-fatto. In quanto al mio lavoro personale, del quale fin quì ho ben poco confidato alla carta, era mia intenzione di non lasciare che si pubblicasse nulla durante la mia vita. Infatti la maggioranza degli uomini non ha idee chiare sulle questioni di cui si parla, ed io ho trovato ben poche persone che prestassero uno speciale inte-resse a ciò che loro comunicai su tale soggetto. Per poter prendere questo interesse bisogna prima di tutto aver sentito molto viva-mente ciò che manca essenzialviva-mente, e su questa materia quasi tutti sono in una completa oscurità. Al contrario era mia idea di scrivere, col tempo, tutto ciò, perché esso almeno non perisse con me. Dunque è per me una gradevole sorpresa vedere che questa fatica può ora essermi risparmiata, e sono estremamente conten-to che sia proprio il figlio del mio vecchio amico, che mi abbia preceduto in modo così notevole.16

Farkas fu entusiasta di questa risposta, ma lo stesso non si può dire del figlio János; infatti egli non poteva e non voleva credere che qualcun’altro prima di lui fosse arrivato alla geometria non-euclidea, per questo le parole di Gauss generarono una sorta di crisi esistenziale nel giovane János, che in qualche modo accusò Gauss di falsità e di plagio.

(33)

2.1.5

Le ricerche di Lobačevskij

Pressoché contemporanei alle ricerche di Bolyai furono i lavori con i quali Nicolaj Lobačevskij elaborò un sistema geometrico di fatto equivalente ai sistemi S di Bolyai, fondato sulla esistenza di più rette parallele a una retta data. Come avvenne per i primi studi di Bolyai sull’argomento, così anche le prime ricerche (1815-1817) di Lobačevskij si orientarono verso il tentativo di pervenire a una dimostrazione del V postulato. Tuttavia, già a partire dal 1823 egli cominciò a sviluppare una geometria indipendente dal postulato euclideo. I risultati preliminari di questa indagine confluirono in uno scritto, sventuratamente andato perduto, che recava il titolo Exposition succinte des principes de la géométrie, avec une demonstration rigoureuse du théorème des parallèles.

A partire dalla fine degli anni venti (1829-1830), Lobačevskij si dedicò con particolare cura e costanza all’attività di diffusione della sua geometria immaginaria o pangeometria, secondo la denominazione da lui stesso impie-gata per denotare il sistema geometrico nel quale viene assunta l’esistenza di più rette parallele passanti per un dato punto ad una retta data. Egli diede alle stampe una discreta mole di articoli e monografie (redatte, oltre che in russo, anche in tedesco e in francese) tra le quali rivestono un interesse particolare, per completezza e sistematicità della trattazione, le Geometri-sche Untersuchungen zur Theorie der Parallellinien (1840) e la Pangéométrie (1855).

Rivolgiamoci in particolare alle Geometrische Untersuchungen, un breve saggio il cui obiettivo principale consisteva nel ricavare formule trigonome-triche per la nuova geometria affatto analoghe a quelle della trigonometria ordinaria. In molti punti della trattazione è possibile rinvenire delle corri-spondenze piuttosto evidenti con i risultati dell’Appendix come ad esempio nella definizione di parallelismo, per il quale Lobačevskij dimostrò, al pari di Bolyai, l’indipendenza dal particolare punto considerato (Proposizione 17), la simmetria (Proposizione 18) e la transitività (Proposizione 25).

Nondimeno, si possono rinvenire delle divergenze piuttosto marcate come nella definizione di circolo limite (orociclo) e nella enfasi posta sul tema della ricerca di formule trigonometriche per la geometria immaginaria.

Rispetto alla definizione di orociclo, Lobačevskij non impiegò la nozione di punti corrispondenti di cui Bolyai aveva fatto uso per introdurre la nozione (equivalente) di L-linea, piuttosto egli definì (Proposizione 31) un circolo limite come una curva piana con la proprietà che gli assi di qualsivoglia sua corda costituiscono un fascio di rette reciprocamente parallele.

Quanto alla funzione della trigonometria iperbolica nelle Geometrische Untersuchungen, è importante riflettere sul ruolo fondazionale che

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