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Effetti regolatori dell'estetrolo sulla via del plasminogeno in cellule endoteliali umane

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(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area

Critica

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in

Medicina e Chirurgia

______________________________________________________________________________

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN MEDICINA E

CHIRURGIA

TESI DI LAUREA

“EFFETTI REGOLATORI DELL’ESTETROLO SULLA VIA DEL

PLASMINOGENO IN CELLULE ENDOTELIALI UMANE”

RELATORE CANDIDATO

Chiar.mo Prof. Tommaso Simoncini Federica Arini

(2)

Alla mia famiglia,

a tutti coloro che hanno

incoraggiato, sostenuto

(3)
(4)

(5)

SOMMARIO ... 7

CAPITOLO UNO INTRODUZIONE ... 12

1.1GLI ESTROGENI ED I RECETTORI ASSOCIATI (ER): PROPRIETÀ, MECCANISMI D’AZIONE ED EFFETTI ... 13

Generalità sugli estrogeni naturali ... 13

Biosintesi degli estrogeni ... 14

I recettori per gli estrogeni ... 17

Azioni degli estrogeni ... 20

Effetti a livello cardiovascolare ... 24

Effetti sulla mammella ... 28

1.2UTILIZZAZIONE CLINICA DEGLI ESTROGENI ... 30

La contraccezione ormonale ... 30

Menopausa e terapia ormonale sostitutiva ... 40

1.3SISTEMA FIBRINOLITICO ... 52

Fisiologia della coagulazione ... 52

Fibrinolisi ... 55

Plasminogeno ... 58

U-PA e T-PA ... 58

U-PA, T-PA ed estrogeni ... 63

PAI-1 ed estrogeni ... 63

1.4L’ESTETROLO ... 66

Generalità e caratteristiche molecolari ... 67

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CAPITOLO DUE

EFFETTI REGOLATORI DELL’ESTETROLO SULLA VIA DEL PLASMINOGENO IN CELLULE

ENDOTELIALI UMANE ... 78

2.1BACKGROUND E SCOPO DELLA TESI ... 79

2.2MATERIALI E METODI ... 82

Coltivazione delle cellule e trattamento ... 82

Immunoblotting ... 83

Silenziamento genico con RNA interference ... 84

Saggi di migrazione cellulare ... 84

2.3RISULTATI... 86

L’ E4 incrementa l’espressione di PAI-1, t-PA e u-PA in cellule endoteliali umane ... 86

E4 incrementa l' espressione di c-Fos e c-Jun ... 89

L’E4 modula la migrazione delle HUVEC ... 90

PAI-1, u-pa e t-pa sono necessari per la migrazione delle cellule endoteliali indotta da E4 .. 94

2.4DISCUSSIONE E CONCLUSIONI ... 96

CAPITOLO TRE BIBLIOGRAFIA ... 100

(7)

(8)

Gli steroidi sessuali nella donna, oltre ad avere un ruolo essenziale nella differenziazione sessuale, nella maturazione puberale e nella funzione riproduttiva, hanno anche un’azione sistemica di notevole importanza che si ripercuote quasi su ogni organo e apparato. Per quanto concerne il sistema cardiovascolare, gli steroidi sessuali sono implicati nella modulazione della vasodilatazione e vasocostrizione e della pressione arteriosa, nel rimodellamento vascolare e nell’aterosclerosi. Regolano inoltre la funzione circolatoria tramite il controllo del metabolismo lipidico, dell’infiammazione e del sistema della coagulazione. E’ ormai noto che gli steroidi sessuali e i loro recettori sono i determinanti fondamentali delle differenze di genere cardiovascolare; in particolar modo la diversa epidemiologia delle cardiopatie tra i due sessi è stata attribuita alle differenti concentrazioni estrogeniche, che risultano decisamente preponderanti nel genere femminile e maggiori nell’età fertile rispetto all’epoca post-menopausale. La minore incidenza delle malattie cardiovascolari nelle donne, prima della menopausa, è stata classicamente attribuita alla presenza di alti livelli estrogenici.

Gli estrogeni oltre ad essere prodotti dall’organismo, possono essere assunti per via esogena con la terapia estroprogestinica (comunemente chiamata “pillola”) per svariati motivi: per le irregolarità mestruali, per scopi contraccettivi, nella sindrome dell’ovaio policistico, nell’ endometriosi e nella menopausa. Tuttavia in relazione alla terapia sostitutiva in post-menopausa, utilizzata al fine di contrastare le conseguenze negative a lungo termine seguenti alla deprivazione estrogenica, vari studi hanno evidenziato inaspettati eventi avversi di tipo cardiovascolare. Sono stati quindi effettuati dei grandi trials clinici finalizzati a chiarire il ruolo degli steroidi sessuali a livello sia arterioso che venoso, dopo la menopausa.

Un’analisi più attenta ha però sottolineato che tali trials presentano notevoli bias che non permettono l’applicazione incondizionata dei suddetti risultati negativi alla clinica .Inoltre

(9)

non possiamo dimenticare la notevole quantità di dati sia epidemiologici che sperimentali che indicano il ruolo protettivo degli estrogeni.

Una molecola nuova, attualmente in studio, che potrebbe sostituire le attuali formulazioni estrogeniche utilizzate nelle terapie ormonali è l’estetrolo (E4).

L’E4 è una molecola di produzione epatica fetale rintracciabile a livelli dosabili nella donna in gravidanza e nel feto; le sue concentrazioni calano rapidamente subito dopo il parto, suggerendo quindi un’azione fisiologica importante durante questo periodo.

Il suo ruolo specifico non è stato ancora chiarito, ma diversi studi eseguiti su ratti ovariectomizzati(OVX) hanno evidenziato azioni su diversi tessuti: sull’ovaio ha un effetto antiovulatorio e riduce la secrezione di gonadotropine, sull’utero ha un’azione trofica e proliferativa, sulla vagina favorisce il processo di corneificazione, sul tessuto osseo rallenta la perdita di massa ossea e la demineralizzazione, inoltre previene le variazioni termiche indotte dal naloxone che imitano i flushing cutanei associati alla menopausa.

Negli ultimi anni sono stati eseguiti degli studi clinici su donne in età fertile e in menopausa che hanno evidenziato come l’estetrolo presenti proprietà farmacologiche ottimali come una buona biodisponibilità orale e una lunga emivita; inoltre ha una scarsa interazione con l’attività epatica, è ben tollerato e non sembra avere effetti collaterali. Tutte queste osservazioni fanno dell’estetrolo un ottimo ipotetico candidato nella terapia ormonale contraccettiva e sostitutiva.

Ulteriori risultati hanno evidenziato come l’E4 ha anche un’azione antiproliferativa sulle cellule di tumore mammario umano: l’ormone presenta un’ attività antiestrogenica, riduce la trascrizione di ERα, aumenta l’espressione di SHBG che lega l’E2 riducendone conseguentemente la quota libera; inoltre se somministrato insieme all’ E2 ne antagonizza gli effetti proliferativi sulle cellule di tumore mammario.

(10)

Un esperimento del 2012 condotto sempre su ratti OVX ha dimostrato l’effetto vasorilassante su arterie pre-contratte; questi risultati hanno portato alla realizzazione di altri studi che fanno supporre che l’E4 moduli la sintesi di NO nelle cellule endoteliali umane e interferisca sulla sintesi di NO indotta dall’E2.

Una delle azioni chiave degli estrogeni durante la gravidanza è quella di aumentare l'efficienza della coagulazione, aiutando a controllare la perdita di sangue al momento del parto. E' quindi interessante capire se le azioni vascolari dell’estetrolo siano implicate anche nella modulazione della coagulazione del sangue. Dal momento che l’estetrolo controlla la funzione endoteliale, si è esplorato in questo studio se potesse esercitare una azione di modulazione sulla fibrinolisi e si è identificato il suo coinvolgimento nella via del plasminogeno .

Le cellule utilizzate nello studio sono state le HUVEC (cellule endoteliali della vena ombelicale umane); queste sono state isolate dai cordoni ombelicali raccolti, e poi stimolate dall’E4 da solo e con L’E2. Si è misurata l’espressione di PAI-1, t-PA e u-PA a seguito della somministrazione singola di E2 ed E4 e poi contemporanea.

L’E4 ,in misura inferiore dell’E2, favorisce l’espressione di PAI-1, t-PA e u-PA in maniera dose-dipendente. Il trattamento con inibitori dei recettori degli estrogeni diminuisce l’espressione di queste proteine, suggerendo il possibile, ma non unico, coinvolgimento degli ER.

L’incremento dell’espressione è mediato dall’up-regolazione di c-Fos e c-Jun appartenenti al complesso dimerico trascrizionale AP-1.

Inoltre il trattamento con E4, come evidenziato da 2 diversi saggi di migrazione cellulare, incrementa la migrazione delle cellule endoteliali.

Quando le HUVEC sono sottoposte alla somministrazione contemporanea di E4 ed E2, è stato notato come l’estetrolo antagonizzi gli effetti di E2 quando questo si trova a

(11)

concentrazioni gravidiche(10-8M), mentre non influisca in maniera significativa a

concentrazioni tipiche della fase follicolare (10-9M) e post –menopausale (10-10 M).

I risultati suggeriscono che in questo caso non sono presenti modifiche rilevanti, poiché né alte, né basse quantità di estetrolo modificano l'effetto di E2 (a concentrazioni post-menopausali) sul sistema fibrinolitico endoteliale e sulla migrazione cellulare .

In conclusione, sulla base dei risultati attuali, si ritiene che le cellule endoteliali siano un probabile bersaglio dell’ estetrolo durante la gravidanza e che questo agisca come un SERM. In particolare modo, la regolazione del sistema fibrinolitico nelle cellule endoteliali, può essere una delle azioni chiave dell’ estetrolo relativamente al sistema vascolare, con potenziali implicazioni per il controllo locale della coagulazione del sangue e per il rimodellamento vascolare.

(12)

CAPITOLO UNO

(13)

1.1 Gli estrogeni ed i recettori associati (ER): proprietà,

meccanismi d’azione ed effetti

Generalità sugli estrogeni naturali

Gli estrogeni naturali costituiscono una famiglia di composti steroidei che si ritrovano in concentrazioni significative sia nell’uomo che nella donna. Essi sono tuttavia prodotti in quantità molto più elevata nella donna in età fertile.

La loro funzione primaria è lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari e il controllo dell’attività riproduttiva. La produzione e il rilascio di questi ormoni sono regolati principalmente dall’asse ipotalamo-ipofisi-ovaio: a livello ipotalamico viene prodotto e rilasciato in maniera pulsatile il GnRH (ormone peptidico favorente il rilascio di gonadotropine), che induce l’ipofisi a produrre e secernere LH (ormone luteinizzante) e FSH (ormone follicolo stimolante); queste gonadotropine sono responsabili della

produzione di estrogeni e progesterone1, 2.

Dei principali estrogeni fanno parte: estrone ( E1), estradiolo ( E2) ed estriolo (E3). Esiste un quarto estrogeno naturale l’estetrolo , che presenta 4 gruppi idrossilici che giustificano l’acronimo E4.

Tra gli estrogeni spicca l’estradiolo, sintetizzato a partire dal colesterolo da una serie di reazioni enzimatiche; presenta due gruppi idrossilici in posizione 3 e 17, da qui la sigla E2.

(14)

Figura 1: struttura chimica degli estrogeni naturali.

Biosintesi degli estrogeni

La biosintesi degli estrogeni comincia dalle cellule della teca interna dell’ovaio a partire dal colesterolo e passando per l’androstenedione. Questa trasformazione è dipendente da un complesso enzimatico, l’aromatasi, appartenente alla famiglia dei citocromi; il suo nome biochimico è infatti citocromo P450 19A. Tale enzima è espresso oltre che nelle cellule della granulosa,del Leyding e del Sertoli anche in osteoblasti,condrociti,

preadipociti, fibroblasti e neuroni3.

Il corpo luteo è ugualmente responsabile della produzione di progesterone ed estrogeni durante la fase luteinica del ciclo mestruale. Benchè nella donna la produzione principale avvenga nell’ovaio, esistono sedi di sintesi secondaria come il tessuto adiposo, la cute, l’osso, i muscoli, le ghiandole surrenali e l’endotelio vascolare tramite l’azione

dell’aromatasi presente in questi tessuti periferici2. Queste fonti secondarie sono

(15)

cessa4. Nell’uomo la sintesi degli estrogeni avviene nel testicolo ad opera delle cellule del Leyding e del Sertoli, e nelle ghiandole surrenaliche.

Sebbene in alcuni tessuti gli estrogeni possano essere sintetizzati “a richiesta”, una riserva può essere rappresentata dall’Estrone Solfato.

L’estrone (E1) è il più debole tra gli estrogeni naturali. E’ prodotto in molteplici tessuti, in particolar modo negli adipociti e nelle cellule muscolari per aromatizzazione dell’androstenedione. La sua potenza è 12 volte inferiore a quella dell’estradiolo, ma diventa l’estrogeno dominate durante la menopausa, a causa del blocco della produzione

ovarica di estradiolo5.

L’estriolo (E3) è un prodotto metabolico dell’estradiolo; si trova in concentrazioni elevate durante la gravidanza in quanto viene sintetizzato dalla placenta a partire dal 16 idrossi-deidroepiandrosterone solfato (DEHA 16-OH), uno steroide androgenico prodotto dal fegato fetale e dalle ghiandole surrenali. Il legame con il complesso recettoriale non è molto stabile, con una minore stimolazione recettoriale ed effetti biologici meno marcati

rispetto ad altri estrogeni naturali come l’estradio6.

L’E1 e l’E3 possono quindi modulare alcune funzioni biologiche, tuttavia le loro azioni specifiche non sono del tutto chiare in ragione della loro debole affinità per il recettore ERβ ,per la loro breve emivita e per la loro scarsa biodisponibilità.

L’estradiolo (E2) è considerato l’estrogeno naturale più potente. E’ prodotto dal follicolo ovarico, sia dalle cellule della granulosa sotto stimolazione dell’FSH, che da quelle della teca interna; queste ultime vengono stimolate dall’LH e producono androgeni, dei quali una piccola quota resta in circolo costituendo il pool circolante della donna, mentre la maggior parte viene captata dalle cellule della teca e convertita dall’aromatasi in estradiolo. Una quota minoritaria di estradiolo viene prodotta a livello surrenalico a partire dal diidroepiandrostenedione, e a livello periferico per la conversione del testosterone

(16)

sempre ad opera delle aromatasi. L’ormone si trova a concentrazioni molto inferiori anche

nell’uomo, dove viene sintetizzato nei tubuli seminiferi e nelle ghiandole surrenali2.

Durante la gravidanza l’E2 viene prodotto anche dalla placenta, e questo ne giustifica l’incremento fino anche a 100 volte rispetto ai valori basali; questa produzione differisce da quella ovarica perché non parte da prodotti presenti in loco, ma dalla conversione del diidrossiepiandrosterone e del 16–idrossidiidroepiandrosterone sintetizzati in precedenza

dalla corteccia surrenalica della madre e del feto7.

L’estradiolo ha un’emivita di circa 11-12 ore e una volta immesso in circolo la maggior parte viene legata dalla SHBG (sex hormone binding protein), una globulina legante gli ormoni sessuali, e la restante parte viene coniugata con solfati o glucuronati; solo una minima quota rimane in forma libera. L’E2 è sottoposto ad un elevato effetto di primo passaggio epatico e a questo livello viene idrossilato per ottenere catecolestrogeni, a loro

volta sottoposti all’azione delle catecolossimetiltransferasi (COMT)8, 9. I prodotti ottenuti

da quest’ultima reazione vengono successivamente coniugati e immessi in parte nelle vie biliari, quindi assorbiti e introdotti nel circolo enteroepatico, contribuendo al mantenimento di concentrazioni costanti di estradiolo. Infine l’ormone verrà eliminato per via renale. Nmol/l Ng/L INFANZIA <0.11 <35 FASE FOLLICOLARE 0.10-0.55 27-150 OVULAZIONE 0.35-2.20 95-600 FASE LUTEINICA 0.15-1.10 41-300 MENOPAUSA 0.04-0.18 11-49

TABELLA 1: Concentrazione plasmatica di E2 nella donna nelle varie fasi della vita e del ciclo mestruale.

(17)

I recettori per gli estrogeni

Una volta prodotti gli estrogeni esplicano le loro azioni attraverso i recettori per gli estrogeni (ER). Gli ER sono recettori espressi sia a livello citoplasmatico che sulla membrana e sono responsabili della risposta cellulare all'azione degli estrogeni. Se ne conoscono tre forme, simili per struttura ma con diversa affinità di legame per gli ormoni e con effetti diversi a livello genomico:

ERα: è codificato da un gene posto sul cromosoma 6 ed è espresso principalmente a

livello mammario, uterino, vaginale, in misura minore in altri organi10. Favorisce la

trascrizione genica, ha effetto proliferativo e favorisce la differenziazione cellulare. Presenta diverse sequenze : la regione A/B è il sito di interazione proteica con i cofattori, la regione C lega le sequenze ERE (elementi responsivi agli estrogeni) poste sul genoma grazie a domini “zinc finger”, la D è capace di assumere conformazioni spaziali differenti, la E è fondamentale per il legame al ligando o alle sue proteine di legame, la regione F non ha ancora una funzione ben definita;

ERβ: è codificato dal cromosoma 14 11ed è espresso principalmente sull'ovaio, sulla

milza, sui polmoni, nell'ipotalamo; in misura minore a livello del SNC (corteccia e ippocampo) e a livello cardiovascolare. Ha attività repressiva sulla trascrizione e antiproliferativa. Presenta una struttura simile a quella dell'ERα, con le stesse sequenze, che possono presentare omologie più o meno marcate;

Proteina G accopiata al recettore 1 degli estrogeni (GPER)12: è un recettore di membrana codificato dal cromosoma 7; può legare e funzionare come recettore per gli estrogeni.

(18)

FIGURA 2:struttura tridimensionale di ERα e ERβ legati all’estradiolo. Le colorazioni diverse indicano i

vari domini

Gli ER possono sfruttare diverse vie di segnalazione per la loro azione e di queste se ne conoscono tre principali tipi: una dipendente dagli ERE (elementi responsivi al complesso posti sul DNA che modulano la trascrizione dei geni bersaglio degli estrogeni) e per questo definita “ERE dipendente”, una via “ERE indipendente”, e una via definita come "non genomica". A sua volta la prima via (ERE dipendente) distingue due modalità, una ligando-dipendente e l'altra ligando-indipendente.

Nella via ERE-dipendente ligando-dipendente gli ormoni in circolo attraversano la membrana cellulare e legano in maniera non covalente i recettori nucleari dopo averli dissociati dalle HSP (proteine dello shock termico, con le quali sono dimerizzati quando sono allo stato inattivo). Il complesso recettore-ormone riconosce un altro complesso analogo e lo lega assieme a vari cofattori: la struttura così formatasi riconosce sul genoma

(19)

gli elementi responsivi agli estrogeni (ERE), permettendo l'inizio della trascrizione dei geni bersaglio degli estrogeni grazie all'azione dei cofattori trasportati.

Nella via ERE-dipendente ligando-indipendente l'azione dell'ER parte dalla fosforilazione di alcuni residui serinici dell’ER da parte di vie e molecole attivate da altre sequenze attivatrici, quindi non è coinvolto il legame del ligando. L'effetto della segnalazione passa sempre dal riconoscimento degli ERE a livello genomico.

FIGURA 3: esempio di segnalazione ERE-dipendente (in questo caso ligando-dipendente): il dimero

ormone/recettore si lega ad un altro analogo e ad altre molecole (come AIB1 e At nell'immagine), formando un complesso che riconosce le sequenze ERE sul genoma dando il via alla trascrizione del DNA.

Nella via ERE-indipendente l'azione degli ER come dice lo stesso nome è slegata dal riconoscimento degli ERE: l'effetto passa sempre per la modulazione della trascrizione genomica, ma coinvolge sequenze sul genoma come AF-1 e Sp-1, che sono ricche in guanine e citosine. Il riconoscimento di queste sequenze è favorito da fattori come Fos e Jun13, 14.

(20)

FIGURA 4: nella via di segnalazione ERE-indipendente il complesso formato dal recettore con l'apposito

recettore, AIB1, At, Fos e Jun si lega ad altre sequenze genomiche (come AP-1 o SP-1) per dare inizio alla trascrizione del DNA.

Nella via "non genomica" l'azione degli estrogeni è rapida e dura da pochi secondi a pochi minuti. Si attivano chinasi e fosfatasi che regolano il flusso ionico transmembrana, questa regolazione è messa in atto da pool di ER legati alla caveolina che possono interagire velocemente con le MAP kinasi e con la via c-Src.

Azioni degli estrogeni

Gli estrogeni possono agire su tutto l'organismo a partire dall'ovaio, dove le concentrazioni aumentano durante la fase follicolare sotto l'azione congiunta delle cellule della teca interna (stimolate dall'LH) e della granulosa del follicolo ovarico (sotto l'azione dell'FSH). Le cellule della teca interna, infatti producono androstenedione e testosterone che vengono convertiti dall'aromatasi (espressa dalle cellule della granulosa) in estradiolo: il follicolo ovarico è infatti una vera e propria ghiandola endocrina che secerne grosse quantità di 17-beta-estradiolo. Gli estrogeni inoltre agiscono in maniera autocrina sulla granulosa, favorendo (assieme all'FSH) la comparsa di recettori per l'LH nell'ultima fase di sviluppo.

(21)

Gli estrogeni prodotti possono essere immessi in circolo per mezzo di capillari presenti a livello tecale e agiscono sull'asse ipotalamo-ipofisario con un meccanismo a feed-back positivo aumentando il rilascio di gonadotropine (soprattutto LH) e innescando così il picco di LH e la successiva ovulazione.

L'aumento della produzione ovarica di estrogeni favorisce nell'endometrio la fase proliferativa o estrogenica con mitosi delle cellule epiteliali del fondo ghiandolare e di quelle stromali, facendoli rigenerare. Con la gravidanza le concentrazioni di estradiolo aumentano notevolmente e si mantengono elevate fino al parto; la produzione differisce rispetto a quella ovarica per le vie metaboliche coinvolte. In questo periodo gli estrogeni fanno si che l'utero incrementi di volume, che i genitali esterni femminili aumentino in dimensioni e che la pelvi si modifichi per favorire il passaggio del feto durante il parto; quest’ultima azione si ha grazie al rilasciamento dei legamenti pelvici della sinfisi pubica e alla minore rigidità delle articolazioni sacro-iliache.

Tra le altre azioni degli estrogeni:

• a livello osseo stimolano la produzione di osteoprotegerina (inibitore competitivo del legame Rank/RankL, tipico segnale di rimodellamento osseo), di TGF-beta e di BMP (fattori favorenti l'osteogenesi). Le azioni di queste molecole permettono la conservazione della massa ossea. Gli estrogeni sull'osso hanno diverse azioni: la prima azione in ordine temporale riguarda la pubertà; favoriscono la saldatura precoce delle cartilagini epifisarie di accrescimento, con un'azione più potente di quella del testosterone nel maschio; questo aspetto, unito al picco di crescita puberale anticipato nella femmina rispetto al maschio, spiega perchè generalmente la statura media nella donna sia inferiore a quella dell'uomo. Gli estrogeni favoriscono l'aumento dell'assorbimento intestinale del calcio ed il suo

(22)

riassorbimento nei tubuli renali, stimolano la secrezione di calcitonina (ormone ipocalcemizzante e antagonista del PTH) e contemporaneamente riducono quella di paratormone (ipercalcemizzante), di IL-6 e di IL-1 (associate ai fenomeni di riassorbimento osseo). Un'altra azione che sembra essere legata all'effetto protettivo degli estrogeni nelle donne post-menopausa è l'aumento di BGP (bone GLA protein), una proteina prodotta e secreta dagli osteoblasti che pare correli con i livelli di formazione e di mineralizzazione dell'osso. Gli estrogeni inibiscono l'apoptosi degli osteoblasti, l'attività osteoclastica, la produzione di citochine infiammatorie e di fattori di crescita da parte delle cellule staminali del midollo

osseo sfruttando meccanismi sia genomici che non genomici15.

L'importanza degli estrogeni per l'osso è evidenziata dalla menopausa, periodo in cui le concentrazioni di questi ormoni calano fisiologicamente, con conseguenze quali l’aumento di attività degli osteoclasti e la negativizzazione del bilancio osseo. La perdita di tessuto osseo, unita al peggioramento della struttura ossea favorisce la comparsa dell’osteoporosi post-menopausale, caratterizzata da un aumento dei livelli di IL-6, di altre citochine infiammatorie e dell'attività degli osteoclasti. In questa condizione patologica il tessuto osseo diventa più rarefatto e altera la sua architettura, cosa che lo espone ad un rischio maggiore di fratture, quali i crolli

vertebrali, le fratture del collo femorale e quelle del Colles a livello radiale16.

L'importanza degli estrogeni nell'osteoporosi spiega i vantaggi derivanti dall'uso della terapia sostitutiva ormonale nel postmenopausa nella prevenzione dell’osteoporosi.

• a livello epatico inducono la produzione di TBG (globulina legante gli ormoni

(23)

• influiscono sul metabolismo basale e sulla conservazione dei grassi.

Gli estrogeni influenzano la deposizione e l'accumulo dei grassi nel sottocute nella donna, con notevoli differenze anatomiche anche in base al periodo della vita: nella donna in età fertile gli estrogeni favoriscono la deposizione di grasso a livello mammario, sui fianchi e sulle cosce; nell'uomo e nella donna in menopausa invece l'accumulo adiposo è principalmente a livello viscerale.

• a livello cutaneo: aumentano la vascolarizzazione cutanea, contribuendo a

innalzare la temperatura.

• a livello sistemico hanno azione anabolizzante: durante la crescita post-natale

favorisce la sintesi e la secrezione di GH.

• intervengono sul bilancio idroelettrolitico: gli estrogeni possono indurre un

modesto riassorbimento sodico e idrico a livello tubulare renale, cosa che in gravidanza diventa più rilevante vista la produzione placentare estrogenica. Il motivo di questi effetti è da ricercarsi nella somiglianza strutturale degli estrogeni con i mineralcortidoidi.

• Il sistema nervoso centrale viene interessato su più fronti dall'azione degli

estrogeni: proteggono le cellule nervose dal danno indotto dai radicali attivi

dell'ossigeno17, dalla beta-amiloide18, dall'eccitossicità da glutammato e da

deprivazione di ossigeno e glucosio19, dall'infiammazione e dall'ischemia. In più

questi ormoni influenzano e promuovono la plasticità sinaptica20, il rilascio e la

segnalazione dei neurotrasmettitori21, infine hanno un effetto neurotrofico

fondamentale per il mantenimento dell'omeostasi a livello cerebrale22. Inoltre

recenti studi hanno evidenziato un ruolo importante degli estrogeni nella regolazione dell’espressione di diversi geni. E’ stato studiato nel cervello di ratti l'effetto indotto sull'espressione genica dalla somministrazione di E2 ed è stato

(24)

messo in evidenza come l'ormone favorisca la trascrizione di determinati geni e ne reprima altri, in maniera diversa nelle aree del SNC; su queste regolazioni incide la

durata del trattamento23. Sul versante microvascolare riducono la permeabilità della

barriera emato-encefalica (BEE) grazie all'aumento di PDGF-beta e alla riduzione delle acquaporine, riducono il danno vascolare ischemico e favoriscono il supporto alla cosiddetta "unità neurovascolare", una struttura costituita da neuroni, astrociti, microglia e periciti, fondamentale per il supporto ed il trofismo nervoso e per la sua interfaccia con le strutture vascolari. Questi ormoni, attraverso un aumento di espressione di TGFβ1 e una riduzione di VCAM1 (che favorisce l'adesione alle pareti vascolari dei leucociti) inducono azione antiinfiammatoria a livello vascolare. Infine favoriscono il turnover degli oligodendrociti e l'estensione assonale, fondamentale per la comunicazione e per la trasmissione tra neuroni .

Effetti a livello cardiovascolare

L’individuazione di profonde modificazioni metaboliche in associazione alla cessazione della funzione ovarica, ha portato la ricerca scientifica a concentrarsi sul possibile ruolo protettivo degli steroidi sessuali sul sistema cardiovascolare. La ricerca negli ultimi decenni ha infatti portato alla scoperta di un‘ampia serie di azioni regolatorie degli estrogeni sul sistema cardiovascolare che hanno fornito una solida base razionale per i

supposti effetti cardioprotettivi di questi ormoni24. Gli steroidi sessuali sono implicati nei

processi di regolazione della pressione arteriosa, vasodilatazione e vasocostrizione,

infiammazione, rimodellamento vascolare e aterosclerosi25, 26. La loro importanza emerge

chiaramente considerando situazioni fisiologiche quali la pubertà e la menopausa, in cui le variazioni nell’equilibrio fra estrogeni e progesterone determinano notevoli cambiamenti

(25)

della funzione vascolare. Lo stesso dicasi per condizioni patologiche ,quali l’amenorrea ipotalamica o la sindrome dell’ovaio policistico, in cui le variazioni dei livelli di steroidi sessuali, si associa ad un peggioramento della funzione cardiovascolare. Gli estrogeni mettono in atto queste azioni poiché hanno, come bersaglio principale, le cellule endoteliali e muscolari lisce vascolari: questi tipi cellulari sono infatti riccamente dotati di recettori per gli steroidi sessuali, ed inoltre, esprimono l’aromatasi, enzima chiave nella

biosintesi degli estrogeni26. L’endotelio rappresenta un target elettivo per gli estrogeni, in

particolare per il principale estrogeno endogeno, il 17β-estradiolo. La somministrazione cronica di estrogeni migliora la funzione vascolare in svariati distretti. Inoltre, soggetti di sesso femminile presentano, con l’avanzare dell’età, una maggiore riduzione della funzione vasodilatatoria rispetto agli uomini, in particolare dopo la menopausa: ciò ha fatto

ormai da tempo ipotizzare la funzione protettiva degli estrogeni27. I recettori per gli

estrogeni sono espressi a livello delle cellule endoteliali e sono stati associati ad una funzione ateroprotettiva. Tramite l’interazione col proprio recettore, l’estradiolo aumenta la produzione di ossido nitrico (NO) e la sintesi di prostacicline : queste azioni rallentano la formazione dell’ateroma. L’estradiolo inoltre riduce la sintesi di citochine pro-infiammatorie da parte di cellule immunitarie sia circolanti che residenti. Oltre a ciò, esso favorisce il processo di guarigione a livello vascolare e la neo-angiogenesi. Molti di questi processi sono messi in atto tramite i recettori degli estrogeni, sebbene l’ERα appaia

svolgere un ruolo prioritario a livello vascolare28, 29. In modelli animali questo sottotipo

recettoriale ha una funzione protettiva sull’endotelio sottoposto a danno ischemico: lo studio di topi geneticamente privati di ERα ha evidenziato che essi perdono la capacità di produrre NO e inoltre in essi non si ritrova l’iperplasia della media a seguito di danno ischemico, che invece è stata osservata in topi sani. Per quanto riguarda l’ERβ, esso sembra essere coinvolto soprattutto nella regolazione della pressione sanguigna, della

(26)

permeabilità dell’endotelio a livello cerebrale e nella fisiopatologia dell’insufficienza

cardiaca28.Gli estrogeni hanno anche una funzione antiinfiammatoria e antiossidante

attuata in molteplici modi: in particolare, l’estradiolo può up-regolare la sintesi di prostacicline e l’espressione di fattori di crescita endoteliale. Inoltre, esso inibisce il rilascio di endotelina-1 e modula l’espressione di molecole di adesione e del tumor

necrosis factor α (TNF α) nonché l’apoptosi cellulare30, 31.

A livello cardiaco possiedono proprietà protettive, permesse dall'aumentata espressione di SOD-2. Un effetto sul cuore descritto recentemente riguarda l'aumento di espressione di SOD-2 a livello cardiaco, con probabili effetti protettivi. La SOD-2 (superossido dismutasi di tipo 2) è un'ossidoreduttasi, un enzima dotato di capacità detossificanti nei confronti dei ROS (specie reattive dell'ossigeno) e nello specifico media la seguente reazione:

Questa reazione di detossificazione, poi completata in una seconda fase dalla Perossidasi catalasi, agisce sul perossido di idrogeno, ed è importante perché i ROS sono capaci di indurre danni a livello CV e possono essere responsabili di ipertensione, aterosclerosi e danno post-riperfusione. Gli effetti dell'E2 sulla SOD2 sono limitati al cuore e ai grossi vasi e si aggiungono ad una serie di altre azioni svolte dall'ormone, come la prevenzione della disfunzione mitocondriale che sta alla base dell'aumentata produzione di ROS, la prevenzione dell'accumulo di grassi in circolo anche a seguito di dieta iperlipidica e il

miglioramento della funzione cardiaca32, 33. La maggior parte degli studi sperimentali

evidenziano un ruolo protettivo degli estrogeni in termini di danno ossidativo, poiché essi possono modulare l’equilibrio radicalico tramite la produzione incrementata di NO e, di

(27)

conseguenza, l’aumentata vasodilatazione endotelio-dipendente. Gli estrogeni possono anche regolare l’equilibrio redox tramite modulazione dell’attività mitocondriale: è proprio questo insieme di fattori protettivi, nei confronti del danno ossidativo, che sembra rappresentare uno dei principali meccanismi di protezione nelle donne durante l’età fertile,

quando cioè presentano un rischio cardiovascolare minore rispetto al sesso maschile33.

Infatti lo stress ossidativo è mediamente maggiore nell’uomo rispetto alla donna, almeno

fino all’età pre-menopausale34. Dopo la menopausa quando i livelli ormonali diminuiscono

rapidamente e il numero di eventi avversi cardiovascolari aumentano di pari passo, si

assiste in parallelo ad un incremento dei marker biochimici di stress ossidativo35, 36.Inoltre,

nonostante autori diversi abbiano evidenziato differenti correlazioni fra l’entità dello stress

ossidativo e il genere sessuale37, 38, è stato evidenziato che all’interno di una popolazione

anziana includente sia soggetti sani che affetti da malattia coronarica, le donne risultano

complessivamente più suscettibili al danno ossidativo34, 36. Dunque la valutazione dello

stress ossidativo, centrale nella patogenesi delle malattie cardiovascolari39, potrebbe

costituire un biomarker promettente per la stima del rischio cardiovascolare nelle pazienti di sesso femminile. Inoltre, ciò potrebbe orientare anche scelte di tipo terapeutico: le donne infatti potrebbero beneficiare, più degli uomini, di supplementazione di agenti con funzione di tipo antiossidante.

Altri processi importanti in cui sappiamo essere coinvolti gli estrogeni sono il processo di cicatrizzazione endoteliale e di angiogenesi; fra le varie strategie terapeutiche in studio per promuovere la ricrescita endoteliale dopo danno a carico della parete di un’arteria, l’uso di

E2 risulta una delle possibilità più affascinanti40. E2 aumenta sia la migrazione che la

proliferazione di cellule endoteliali in vitro, e queste stesse azioni contribuiscono direttamente ad accelerare il processo di riepitelizzazione endoteliale tramite il

(28)

Oltre al ruolo positivo nei confronti della riparazione endoteliale, gli estrogeni dimostrano

un efficacia pro-angiogenetica sia in vivo che in vitro42, 43. Probabilmente la fisiopatologia

di tale effetto è multifattoriale: l’estradiolo induce infatti la sintesi di 3 dei principali fattori

pro-angiogenetici, ovvero l’isoforma 2 del fattore di crescita fibroblastico44, il fattore di

crescita di derivazione endoteliale43 e l’ NO42.

Effetti sulla mammella

Un altro organo interessato dall'azione degli estrogeni ed in particolar modo dall’estradiolo è la mammella: l'ormone ne favorisce lo sviluppo nella pubertà ,il cosiddetto telarca, dove si assiste allo sviluppo e all’ approfondimento dei dotti mammari , alla comparsa dei primi acini, nonchè all'aumento delle cellule stromali e della rete vascolare; l’ormone agisce in fase premestruale causando spesso un senso di tensione e dolenzia mammaria lamentato da molte donne in questo periodo; interviene durante la gravidanza allungando e ramificando i dotti mammari e stimolando lo sviluppo dello stroma e della rete vascolare della ghiandola con conseguente incremento di volume.

Gli estrogeni hanno effetti proliferativi sulle cellule di tumore alla mammella, in particolare nel Luminal A e nel Luminal B, caratterizzati dall'espressione di recettori estroprogestinici da parte delle cellule tumorali; il primo tipo è positivo unicamente per questi recettori, il secondo è anch'esso positivo per questi ma in misura minore e può presentare positività per l'Her-2 + o un’elevata espressione di Ki-67. L'importanza degli estrogeni nelle forme luminal è testimoniata dall'uso dell'ormonoterapia nella terapia adiuvante del tumore mammario, basata sull’uso di molecole modulatrici del recettore degli estrogeni (SERM) come il Tamoxifene.

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Altri studi hanno evidenziato altri effetti di questi ormoni su queste cellule, a dimostrare la complessità del ruolo dell'E2 e dei propri recettori sul tumore della mammella, visto che si riconosce un attività stimolante degli estrogeni, ma al tempo stesso l’assenza di espressione di questi recettori comporta una maggiore aggressività e invasività dei cloni neoplastici. Tra questi studi ne spicca uno, riguardante il fenomeno di transizione epitelio-stromale (EMT).

Nello studio si analizza l'EMT, fenomeno di invasione stromale descritto nei tumori di origine epiteliale: si osserva la perdita delle giunzioni intercellulari e la graduale scomparsa della membrana basale, di conseguenza le cellule tumorali migrano dall’epitelio allo stroma sottostante assumendo caratteristiche di tipo mesenchimale. Le cellule diventano mobili ed aumenta l'espressione di proteasi ed integrine, che favoriscono la migrazione. Osservando le cellule selezionate per il knock out del gene codificante per l'ERα, sono stati registrati diversi effetti, tipici delle cellule tumorali non Luminal, come Her-2 + e Basal: si ha la perdita dell'E-caderina ed aumenta l'espressione di integrine e vimentine, tipici marcatori mesenchimali dello stroma. Le cellule neoplastiche diventano estremamente invasive; aumenta l'espressione di EGFR (tipica dei cloni Her-2 +) e si riduce quella del proteasoma beta-5, che di norma lo degrada; varia l'espressione delle metalloproteasi (MMP) e dei loro inibitori tissutali (TIMP), nonchè del plasminogeno attivato urochinasico (u-PA). Queste azioni hanno come conseguenza il rimodellamento tissutale, fondamentale per permettere il fenomeno di transizione epitelio-stromale alle

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1.2 Utilizzazione clinica degli estrogeni

La contraccezione ormonale

La contraccezione ormonale ha rappresentato un progresso medico e sociale in grado di

rivoluzionare la vita delle donne. Tra i differenti tipi di contraccezione ormonale disponibile, la contraccezione orale, più comunemente chiamata “pillola”, rappresenta uno

dei metodi contraccettivi più popolari46. La grande efficacia della pillola e la sua facilità di

utilizzo, offrono alle donne allo stesso tempo autonomia e flessibilità nel controllo delle loro gravidanze. Questo tipo di contraccezione è disponibile in Europa da più di 50 anni, e il tasso di utilizzo nelle donne in età fertile raggiunge percentuali del 40% in vari paesi; il loro impiego è cresciuto negli anni e si stima che attualmente in Italia circa il 20% delle donne tra i 15 e i 45 anni di età ne faccia un uso abituale. I contraccettivi ormonali combinati prevengono la gravidanza attraverso differenti meccanismi, primo fra tutti l’inibizione dell’ovulazione, ovvero l’espulsione dell’ovocita dalle ovaie, che avviene di norma intorno al quattordicesimo giorno del ciclo mestruale in corrispondenza di un picco di ormone luteinizzante (LH) e di estrogeni. Quest’azione avviene attraverso l’effetto combinato del progestinico e dell’estrogeno. In particolare il progestinico inibisce l’ovulazione bloccando il rilascio ciclico di ormone luteinizzante (LH) da parte dell’i- pofisi, modifica la densità del muco cervicale, rallenta il trasporto degli spermatozoi e inibisce la capacitazione (l’attivazione degli enzimi che permettono allo sperma di penetrare nell’ovocita). Gli estrogeni, invece, contribuiscono all’inibizione dell’ovulazione sopprimendo il rilascio di ormone follicolo-stimolante (FSH) dall’ipofisi, accelerando il trasporto dell’ovocita, riducendo il tempo di fertilizzazione e alterando le secrezioni della mucosa uterina e comportando di conseguenza la creazione di un ambiente sfavorevole

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all’impianto dell’ovocita47.

L’efficacia di un metodo contraccettivo si misura con l’Indice di Pearl, che indica il numero di gravidanze che si verificano in 100 donne che usano un determinato metodo nell’arco di un anno. Più è basso l’indice di Pearl, più il metodo è sicuro. Si valuta che il rischio di gravidanza per una donna che non pratichi alcuna profilassi anticoncezionale sia del 2-4% in qualsiasi momento del ciclo e del 20-30% se il rapporto non protetto avviene in fase ovulatoria (tra il 10° ed il 17° giorno in un ciclo di 28 giorni). In base all’Indice di

Pearl, la contraccezione ormonale combinata è il metodo contraccettivo più sicuro48, 49.

I contraccettivi ormonali per bocca possono essere costituiti da formulazioni combinate di estrogeni e progestinici (contraccettivi ormonali combinati) o dalla sola componente progestinica(contraccettivo con solo progestinico).L’estrogeno impiegato nei contraccettivi ormonali combinati è l’etinilestradiolo, a dosaggi che possono variare dai 20 ai 50 μg. Si parla di pillole a basso dosaggio di estrogeno per quantitativi <35 μg. La componente progestinica è invece molto variabile; i progestinici attualmente impiegati sono: noretisterone, levonorgestrel, norgestrel, gestodene, desogestrel, dienogest, drospirenone, clormadinone.

A seconda della dose di etinilestradiolo e del progestinico impiegato si distinguono contraccettivi ormonali combinati:

• Di prima generazione, contenenti dosaggi elevati di etinilestradiolo e noretisterone, risultano tuttavia poco tollerati per la frequenza e l’entità degli effetti avversi. • Di seconda generazione, preparati con dosaggi ridotti di etinilestradiolo e

progestinici più recenti come levonogerstrel e norgestrel. La riduzione delle dosi di estrogeno e l’impiego di questi progestinici ha sensibilmente migliorato la compliance e la tollerabilità.

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• Di terza generazione, preparati con dosaggi ridotti di etinilestradiolo e con l’impiego di progestinici ancora più recenti (gestodene, desogestrel, dienogest, drospirenone e clormatidone).

Recentemente sono entrate in commercio anche pillole di quarta generazione.

I progestinici formano una classe eterogenea di molecole derivate dal testosterone o dal progesterone; differiscono per le loro proprietà farmacologiche. I progestinci di prima generazione (norgestrienone, noretisterone) presentano proprietà androgeniche importanti, responsabili di effetti indesiderati come acne e incremento ponderale. Lo sviluppo di progestinici di seconda generazione (levonogestrel, norgestrel) e in seguito di terza (desogestrel, gestodene, norgestimate) presentando una affinità più debole per i recettori degli androgeni ha permesso di ridurre questi effetti. La disponibilità di uno spettro ampio di formulazioni ha consentito a un numero sempre crescente di donne di ricorrere a questo metodo contraccettivo. In particolare i contraccettivi orali di seconda generazione hanno ridotto il rischio di effetti avversi quali nausea, tensione mammaria, comparsa di macchie sulla pelle e sul viso, alterazioni del tono dell’umore e riduzione del desiderio sessuale, permettendo anche di allargare l’uso a donne di età più avanzata. La riduzione del dosaggio di etinilestradiolo può comportare di contro un incremento dei sanguinamenti intermestruali, in particolare nei primi mesi di trattamento, ma non incide sull’efficacia contraccettiva. Al contrario i contraccettivi ormonali combinati di terza generazione non hanno rappresentato un effettivo progresso in quanto sono associati a un maggior rischio di tromboembolismo venoso rispetto a quelli di seconda generazione. Sebbene fosse noto che questo effetto avverso, raro ma grave, era associato all’uso dei contraccettivi ormonali combinati, si stima che il rischio associato alle pillole di terza generazione sia doppio

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Come detto, i diversi contraccettivi ormonali combinati si differenziano nel dosaggio dell’etinilestradiolo e nel tipo di progestinico usato, ma anche nel dosaggio con cui i due ormoni sono contenuti nelle diverse compresse. In alcune formulazioni infatti il dosaggio dei due ormoni è fisso per tutti i giorni dell’assunzione (pillole “monofasiche”), mentre in altre formulazioni sono presenti compresse di due o tre tipi differenti di dosaggio: si parla in questo caso di pillole “bifasiche” e “trifasiche”. Non esiste a oggi alcuna prova convincente secondo cui le pillole multifasiche siano meglio tollerate e/o offrano vantaggi rispetto alle pillole monofasiche; sembrano al contrario aumentare il rischio di errori

nell’assunzione del contraccettivo, aumentando così il rischio di gravidanze indesiderate49,

52. Negli ultimi anni un nuovo contraccettivo ormonale combinato multifasico contenente

estradiolo valerato e dienogest è stato ampiamente pubblicizzato come “naturale”, “completamente biologico”, “in armonia con il corpo della donna”. La naturalezza del nuovo contraccettivo starebbe nel fatto che al posto dell’etinilestradiolo contiene l’estradiolo valerato, un derivato semisintetico dell’estradiolo naturale umano, che nella mucosa intestinale viene scisso in estradiolo e acido valerico, facendo sì che agli organi bersaglio arrivi estradiolo e non etinilestradiolo. Tuttavia non è al momento chiaro come l’uso dell’estradiolo valerato conferisca una maggior sicurezza ed efficacia al nuovo contraccettivo. Se da un punto di vista teorico la nuova pillola dovrebbe garantire una miglior tollerabilità, tali vantaggi non hanno forti prove a sostegno in letteratura scientifica, mentre sembra esserci un maggior rischio di errore nell’assunzione, con le conseguenze del caso. Il nuovo contraccettivo ormonale è infatti un quadrifasico che prevede l’assunzione di 5 tipi di compresse (4 forme attive contenenti ciascuna una specifica combinazione dei due principi attivi e compresse placebo). Negli studi clinici l’Indice di Pearl è risultato superiore al contraccettivo orale di confronto (etinilestradiolo più levonorgestrel) senza alcun vantaggio in termini di effetti avversi. La letteratura

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scientifica è concorde nel sostenere che questo nuovo contraccettivo orale esponga a un alto rischio di errore nell’assunzione e al momento la caratteristica di contenere un estrogeno “naturale” non sembra tradursi in alcun vantaggio clinico, a fronte di un costo

più alto53.Un nuovo contraccettivo ormonale combinato, masticabile, è recentemente stato

approvato dalla FDA: gli studi clinici hanno trovato un indice Pearl pari a 2,01, che indica una minore efficacia rispetto ai contraccettivi orali tradizionali.

EFFETTI BENEFICI NON CONTRACCETIVI

Sin dalle prime formulazioni estroprogestiniche utilizzate negli anni 60 si sono evidenziati gli effetti aggiuntivi e caratteristici dei vari progestinici via via utilizzati, che hanno mostrato i molti effetti benefici delle pillole oltre al semplice effetto contraccettivo per cui

sono nate54. E’ ben noto tuttavia che alcuni degli effetti positivi indotti dai progestinici

vengono potenziati dalla componente estrogenica; ad esempio l’effetto antiandrogenico di alcuni progestinici si potenzia con dosaggi più alti di EE, per esempio i 30 mcg. Va precisato comunque che la riduzione del dosaggio della componente estrogenica ha portato ad una sempre migliore tollerabilità delle terapie contraccettive con una riduzione progressiva dei fastidiosi effetti collaterali, ma è stato solo dopo circa 50 anni dalle prime formulazioni estroprogestiniche usate in commercio che sono state sviluppate le prime pillole con estradiolo valerato o micronizzato, quelle cioè con un impatto sul metabolismo

epatico migliore, con una netta riduzione del rischio tromboembolico54. E’ evidente

pertanto che a fronte di rischi sempre minori e ad un profilo di tollerabilità sempre più alto, le terapie estroprogestiniche offrono un effetto contraccettivo con un indice di Pearl che è intorno allo 0,1% per le terapie assunte per os, in associazione a numerosi e rilevanti effetti

benefici non contraccettivi ad alto valore terapeutico55.Dalle ultime evidenze scientifiche

appare sempre più chiaro che i benefici dell’assunzione del contraccettivo orale risultano maggiori rispetto ai rischi: il controllo dei sanguinamenti uterini anomali, l’attenuazione

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della dismenorrea e della sindrome premestruale, il miglioramento dei segni e sintomi dell’iperandrogenismo, la regressione di cisti funzionali, la prevenzione ed il controllo di endometriosi, adenomiosi, fibromatosi uterina e PID, la riduzione del rischio di incidenza di artrite reumatoide, la posticipazione dell’insorgenza di sclerosi multipla, il miglioramento della cefalea mestruale, la riduzione del rischio di patologie mammarie benigne ma soprattutto del tumore dell’ovaio, dell’endometrio e del colon. Emerge pertanto che la terapia estroprogestinica, assunta a lungo termine, possa essere considerata una protezione valida per la donna nei confronti di un’ampia gamma di patologie a cui è fortemente esposta nell’arco della sua vita e che rappresenti dunque una terapia che può migliorarne la salute. Riguardo all’effetto causale dei contraccettivi orali sull’insorgenza di tumore ed in particolare di quello della mammella, utilizzando bassi dosaggi di estrogeni, non ci sono evidenze che esistano differenze sul rischio nelle donne utilizzatrici. Va tuttavia ricordato che l’assunzione di contraccettivo orale per più di cinque anni pare avere un ruolo sia causale che promuovente l’infezione da Papilloma Virus e conseguentemente

l’insorgenza del tumore della cervice56.

EFFETTI AVVERSI DEI CONTRACCETIVI ORMONALI

La comparsa di effetti avversi è la principale causa di sospensione della pillola, nonostante la maggior parte di essi sia transitoria e tenda ad affievolirsi o a scomparire entro i primi 3 mesi d’uso. Gli effetti indesiderati correlati alla componente estrogenica includono nausea, mastodinia e cefalea; quelli correlati alla componente progestinica includono stanchezza, affaticabilità, depressione, alterazioni della libido, seborrea e acne. Ci sono studi limitati sulla reale incidenza di questi effetti avversi, soprattutto nelle donne che assumono contraccettivi ormonali a basso contenuto di estrogeni. Per le donne non fumatrici e senza fattori di rischio, come ipertensione o diabete, gli studi epidemiologici non hanno trovato

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Impatto sull’emostasi

La tromboembolia venosa, la trombosi venosa profonda e l’embolia polmonare sono un possibile effetto indesiderato dei contraccettivi ormonali combinati. La trombosi venosa profonda, è un evento raro nella popolazione generale, manifestandosi con un’incidenza di circa 5 casi su 10.000 soggetti/anno. La sua evoluzione verso un evento potenzialmente fatale come l’embolia polmonare è ancora più rara (2% dei casi), ma l’incidenza aumenta di circa 3-6 volte fra le donne che assumono la pillola anticoncezionale. Pertanto, in considerazione dell’elevato numero di donne che ogni anno fa uso di questo metodo contraccettivo e del differente rischio di eventi tromboembolici tra progestinici di 2° e 3° generazione, la tromboembolia venosa nelle donne che prendono la pillola è un problema da tenere in seria considerazione. I primi casi segnalati di tromboembolia venosa risalgono agli inizi degli anni ‘60 e diversi studi hanno confermato successivamente un aumento del rischio da 2 a 6 volte nelle donne che assumono contraccettivi ormonali orali combinati. Per ridurre il rischio la dose di estrogeno è stata progressivamente ridotta negli anni da 150 μg (presente nelle formulazioni degli anni ‘60) fino alle attuali dosi di 30,20 e 15μg. A parità di dose di estrogeno, tuttavia, i progestinici più recenti presentano un più alto rischio di tromboembolia venosa: il levonorgestrel e il norestisterone sono quelli a minor rischio e i progestinici di terza generazione (soprattutto il desogestrel) presentano un rischio circa doppio. Altri fattori di rischio sono l’età della donna e la durata del trattamento: il rischio aumenta con l’avanzare dell’età ed è più alto nei primi mesi di assunzione del contraccettivo, riducendosi progressivamente nel tempo. Questo rischio è principalmente dovuto al forte impatto dell’etinilestradiolo sulla sintesi delle proteine da parte del fegato; questo è infatti la sede principale della sintesi dei fattori della coagulazione vitamina k dipendenti. In situazioni normali esiste un equilibrio tra i fenomeni di coagulazione e fibrinolisi; la terapia contraccetiva orale ( COC) è in grado di perturbare questo equilibrio a

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entrambi i livelli contribuendo così al rischio trombotico. Più precisamente la COC provoca un aumento del fibrinogeno e della sintesi dei fattori della coagulazione(2-7-8-10); inoltre induce una diminuzione di antitrombina-3 e proteina S in maniera dose-dipendente. La COC induce quindi uno stato di ipercoagulabilità che in situazioni normali è controbilanciata da un incremento dell’attività fibrinolitica. In assenza di vantaggi dal punto di vista dell’efficacia, la scelta della formulazione del contraccettivo dovrebbe considerare questo possibile effetto indesiderato. Le raccomandazioni attuali sono proprio rivolte all’utilizzo di contraccettivi con levonorgestrel e con la più bassa dose possibile di estrogeno. Anche una metanalisi recente conferma che l’uso dei contraccettivi orali aumenta il rischio di tromboembolia venosa e che la forza di questa associazione varia secondo la generazione dei contraccettivi orali (minore per quelli di seconda generazione, maggiore per quelli di terza generazione). Nessun rischio è invece segnalato per i

contraccettivi con solo progesterone (levonorgestrel o desogestrel)50, 51, 58.

Interazioni con citromo P450 e sintesi di SHBG

L’impatto dell’etinilestradiolo sulla funzione epatica si ripercuote sui livelli plasmatici di SHBG (sex hormone binding protein) , aumentando i livelli da 5 a 10 volte, modificando la biodisponibilità e l’accessibilità di alcune molecole ai loro siti bersaglio. L’aumento del tasso di SHBG provoca in particolare una diminuzione della forma libera del progestinico che di conseguenza non può avere la sua efficacia ottimale. L’incremento di SHBG può essere considerato un marcatore di predizione del rischio tromboembolico nelle donne

trattate con estrogeni59. L’utilizzo della COC può ugualmente alterare l’attività di altri

farmaci quali anticoagulanti,beta-bloccanti, antidepressivi e corticosteroidi. I citocromi sono enzimi epatici che intervengono nel metabolismo di substrati endogeni o esogeni come i farmaci. La COC modula l’attività di questi enzimi inibendone alcuni e

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inducendone altri, spiegando così la modifica dell’emivita e della biodisponibilità dei farmaci prima elencati. Più specificatamente etinilestradiolo (EE) inibisce il CYP3A4 intervenendo nel catabolismo steroideo epatico; il risultato di questa azione è una persistenza eccessiva dell’attività dell’EE sul fegato.

Impatto sul metabolismo lipidico, sulla pressione arteriosa e sulla colecisti

L’aumento di peso di solito è considerato uno degli effetti indesiderati della pillola più frequenti e in grado di scoraggiarne l’impiego. Secondo alcuni studi osservazionali della seconda metà degli anni ‘90 l’aumento di peso o la sola preoccupazione di questo possibile effetto indesiderato sono state identificate come le principali cause di sospensione del trattamento nelle donne che avevano smesso l’assunzione della pillola. Secondo alcune stime epidemiologiche l’aumento di peso sembra interessare circa il 20% delle donne in trattamento. L’effetto potrebbe essere dovuto sia alla componente estrogenica sia a quella progestinica: la prima potrebbe causare ritenzione idrica soprattutto nei primi mesi di terapia, aumentando anche la deposizione di grasso a livello di bacino, gambe e seno; la componente progestinica potrebbe invece aumentare nel lungo termine la sensazione di appetito e conseguentemente l’introito calorico. Una revisione sistematica di Cochrane condotta sugli studi clinici randomizzati disponibili ha tuttavia smentito l’esistenza di una correlazione tra l’assunzione della pillola e l’aumento di peso: dalla revisione non sono infatti emerse differenze significative rispetto al placebo e tra le diverse formulazioni di contraccettivi ormonali orali comunemente impiegati. Una delle possibili spiegazioni ai risultati ottenuti negli studi epidemiologici precedenti è piuttosto da ricercarsi nelle abitudini alimentari e negli stili di vita: l’aumento di peso è infatti frequente fra le giovani

donne, soprattutto nel periodo dell’adolescenza quando inizia l’assunzione della pillola60.

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delle VLDL che trasportano i trigliceridi epatici verso gli organi periferici, così come i tassi plasmatici di colesterolo HDL. Questo conduce ad un aumento dei trigliceridi e del colesterolo totale, incrementando la resistenza all’insulina; l’impatto della COC sul metabolismo lipidico cambia in base alla dose dell’estrogeno e alla natura del progestinico utilizzato. L’impatto sul metabolismo glucidico è evidente ma in modo molto più limitato rispetto a quello lipidico. La COC è generalmente associata ad un leggero aumento della pressione arteriosa; l’EE induce un aumento della sintesi epatica di angiotensinogeno che stimola il sistema renina-angiotensina incrementando di conseguenza i livelli di angiotensina 2. Questo aumento si ripercuote a vari livelli: a livello vascolare induce vasocostrizione arteriolare, mentre a livello surrenalico aumenta l’aldosterone, il quale ritenendo Na nell’organismo porta ad espansione del volume plasmatico. Visto l’effetto di primo passaggio epatico, l’EE incrementa il rischio di patologia alla colecisti come

infezione, calcolosi e cancro62.

COC e rischio oncologico

Una delle principali preoccupazioni legata all’uso dei contraccettivi ormonali combinati è quella del rischio di tumore di endometrio, cervice uterina, ovaio e mammella. Tale preoccupazione è da attribuirsi alle proprietà proliferative dell’estrogeno. Una metanalisi di 54 studi pubblicata su Lancet nel ‘96 con 50.000 casi e 100.000 controlli aveva trovato un aumento del 24% del rischio di tumore della mammella nelle donne che avevano fatto uso di contraccettivi ormonali orali nei 10 anni precedenti. Il rischio era più alto per le donne di età inferiore ai 20 anni e in quelle che avevano iniziato i contraccettivi prima della nascita del primo figlio, periodo nel quale il tessuto della mammella potrebbe essere maggiormente sensibile all’effetto di agenti cancerogeni. Questi risultati, che avevano comunque trovato un rischio assoluto molto basso, erano basati sui vecchi contraccettivi

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contenenti dosi di estrogeno elevate. Il rischio di tumore alla mammella è stato escluso invece dagli studi epidemiologici più recenti, che non hanno rilevato alcun rischio associato a età di inizio dell’assunzione, durata e tipo di contraccettivo assunto. Anche la correlazione tra mortalità per tumore della mammella e uso di contraccettivi ormonali è

stata esclusa dagli studi più recenti63, 64. Alcuni studi hanno trovato un effetto protettivo dei

contraccettivi combinati sul cancro dell’ovaio e dell’endometrio (riduzione dell’incidenza del 50% che si mantiene per 15 anni dopo sospensione del contraccettivo) attribuito

all’effetto del progestinico, che si contrappone alle proprietà proliferative dell’estrogeno56.

Secondo dati ancora preliminari i contraccettivi combinati potrebbero avere anche effetti

protettivi sul cancro del colon-retto65, 66.

Menopausa e terapia ormonale sostitutiva

GENERALITA’

Il climaterio rappresenta una fase di transizione della vita femminile, nel corso della quale cessa la capacità riproduttiva, in quanto l’attività secretoria dell’ovaio si riduce progressivamente a causa dell’esaurirsi del suo patrimonio follicolare e della insensibilità alla stimolazione gonadodropinica da parte dei follicoli residui. Il declino della funzione ovarica si ripercuote inoltre su tutta una serie di funzioni di carattere metabolico, psicologico, sessuale che contribuiscono a rendere complesso e al tempo stesso estremamente variabile il quadro soggettivamente vissuto da ogni donna in queste

condizioni. In Italia l’età media alla menopausa naturale risulta di 50.8 anni. Circa l’1%

delle donne ha una menopausa spontanea prima dei 40 anni ed il 10 % tra i 40 ed i 45 anni, inoltre circa il 15% va incontro a menopausa chirurgica ad un’età media di 42 anni . Fra le donne di età inferiore ai 40 anni, il 3.4-4.5% ha una menopausa su base iatrogena

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conseguente ad interventi chirurgici, terapia farmacologica o radiante. Dati Internazionali definiscono 51.4 anni come età media alla menopausa nella popolazione Caucasica. Vari fattori influenzano l’età alla menopausa: genetici, secondo molti studi anche riproduttivi,

etnici e di stile di vita (il fumo di sigaretta tende ad anticiparla di 1.5-2 anni)67.

La carenza di estrogeni che si instaura dopo la menopausa comporta una serie complessa di sintomi che possiamo raccogliere sotto la denominazione comune di sindrome climaterica. I disturbi che ne fanno parte sono suddivisibili in due grandi gruppi: un primo ad insorgenza precoce, conseguenza diretta e immediata della caduta dei livelli estrogenici, e un secondo, più numeroso, legato alle modificazioni creatisi nel tempo a causa della perdita degli effetti metabolici degli estrogeni stessi.

Definiamo il primo gruppo di sintomi come sindrome climaterica precoce; essa include i fenomeni vasomotori, i disturbi psichici e le turbe della sessualità. Fra questi sicuramente i più frequenti sono i disturbi vasomotori che interessano circa il 75% delle donne e in genere si risolvono entro 1-5 anni. Sotto il termine sindrome climaterica tardiva sono inclusi invece l’osteoporosi, le modificazioni cardiovascolari, quelle dell’apparato genitourinario e le alterazioni cutanee.

MENOPAUSA E RISCHIO CARDIOVASCOLARE

Nel corso della vita, a parità di fattori di rischio (fumo, ipertensione, diabete, obesità, ecc..), le donne sembrano godere di una specie di protezione dal rischio di malattia cardiovascolare di tipo aterosclerotico (coronarosclerosi, infarto miocardico, ecc.) rispetto agli uomini. Questa differenza legata al sesso è maggiore durante gli anni di vita riproduttiva, quando la mortalità per malattie cardiovascolari nella donna è circa 1/5 rispetto a quella degli uomini. Dopo la menopausa, con la cessazione dell’attività ovarica,

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il rischio di malattie coronariche nella donna si raddoppia e la mortalità per questo tipo di patologia tende ad eguagliarsi nei 2 sessi intorno ai 65 anni. La spiegazione più probabile per questo relativo aumento della mortalità femminile per cause cardiovascolari sembra essere legata al fatto che l’attività ovarica, in particolare la secrezione di estrogeni conferisce alla donna un effetto protettivo che si perde con lo stabilirsi della menopausa. L’effetto protettivo degli estrogeni deriva dall’azione che questi ormoni esplicano sui

lipidi, le lipoproteine e sulla parete arteriosa68. Per quanto riguarda l’azione sui lipidi, gli

estrogeni da un lato riducono i livelli ematici di colesterolo, soprattutto delle LDL, mentre dall’altro aumentano quello delle HDL: è noto che un elevato rapporto HDL/LDL si associa ad un minor rischio di patologie aterosclerotiche. Gli estrogeni in realtà aumentano l’LDL colesterolo, ma aumentano in misura maggiore il suo catabolismo per cui alla fine i livelli circolanti di LDL colesterolo risultano diminuiti. Gli estrogeni aumenterebbero il catabolismo dell’LDL colesterolo aumentano il numero dei recettori delle LDL sugli epatociti e altre cellule. Sembra inoltre che gli estrogeni svolgano un’ azione antiossidante che avrebbe conseguenze anti-aterosclerotiche riducendo la possibilità di ossidazione a carico delle LDH e di accumulo di lipidi sulla parete vasale. Gli estrogeni inoltre appaiono in grado di agire direttamente sulla parete arteriosa come dimostra la presenza di recettori per questi ormoni sull’endotelio e sulla parete muscolare della parete arteriosa. Essi agirebbero favorendo la vasodilatazione mediante l’aumento della produzione di fattori vasorilassanti (endothelial relaxant faxtors o EDRFs) e la diminuzione di fattori contraenti ( endothelial contraent factors o EDCFs) la parete endotelio-derivata, riducendo quindi la possibilità di formazione della placca. Inoltre gli estrogeni alterano il metabolismo delle prostaglandine favorendo la formazione di prostacicline ed ossido nitrico ad azione vasodilatante ed antiaggregante piastrinica. Oltre agli effetti positivi degli estrogeni a livello cardiovascolare, essi esercitano anche alcuni effetti negativi rappresentati da un

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aumento dei trigliceridi, dei marker infiammatori tra cui la proteina c reattiva, e dei fattori protrombotici (aumento di protrombina e riduzione di antitrombina 3). Tutti questi dati sugli effetti protettivi degli estrogeni sull’apparato cardiovascolare, insieme ad una serie di studi epidemiologici deponenti per un effetto protettivo degli stessi, avevano portato alla convinzione che la terapia ormonale sostitutiva avesse, tra gli altri effetti, anche quello di proteggere l’apparato cardiovascolare, per cui poteva essere utilizzata con finalità

preventive nei confronti della malattia cardiovascolare aterosclerotica69.

TERAPIA ORMONALE SOSTITUTIVA

La terapia ormonale dovrebbe far parte di una strategia complessiva che includa raccomandazioni relative allo stile di vita, concernenti la dieta, l’esercizio fisico, il fumo e l’alcol; deve essere individualizzata in base ai sintomi, alla necessità di prevenzione, all’anamnesi personale e familiare, ai risultati delle indagini diagnostiche, alle preferenze e alle attese della donna. I rischi e i benefici della terapia ormonale sono diversi nelle donne vicine alla menopausa rispetto alle donne più anziane. La terapia ormonale include un’ampia serie di prodotti e vie di somministrazione, con potenziali rischi e benefici che possono essere molto differenti. Le donne che vanno incontro ad una menopausa spontanea o iatrogena prima dei 45 anni e soprattutto prima dei 40, sono a maggior rischio di malattie cardiovascolari e osteoporosi; queste donne possono beneficiare della terapia ormonale sostitutiva, che andrebbe eseguita almeno fino all’età normale per la menopausa. In generale in tutte le donne con l’utero, alla terapia sistemica con estrogeni dovrebbe essere associato a progesterone o a un progestinico per 12-14 giorni in base al regime scelto, per prevenire l’iperplasia e il cancro endometriale. Comunque, il progesterone naturale e alcuni progestinici hanno anche specifici effetti positivi che potrebbero giustificare un loro utilizzo al di là dell’azione protettiva sull’endometrio. Basse dosi di estrogeni

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