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Studio retrospettivo su 33 casi di IMHA primaria del cane: caratteristiche clinico-patologiche, follow-up e tempi di sopravvivenza

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Prof. George Lubas

Dott.ssa Alessandra Gavazza

(2)

Ai miei nonni

“Oggi non è che un giorno qualunque di tutti i giorni che verranno, ma ciò che farai in tutti i giorni che verranno dipende da quello che farai oggi.” E. Hemingway

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INDICE

RIASSUNTO 6

ABSTRACT 7

INTRODUZIONE 8

PARTE GENERALE

CAPITOLO 1 – DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE DELL’IMHA 12

1.1 – DEFINIZIONE 12

1.2 – CLASSIFICAZIONE 12

1.2.1 – Cause di IMHA secondaria nel cane 15

CAPITOLO 2 – EZIOPATOGENESI DELL’IMHA PRIMARIA 17

2.1 – EZIOLOGIA DEGLI AUTOANTICORPI 17

2.2 – IMMUNOPATOGENESI DELL’IMHA PRIMARIA 21

2.3 – MECCANISMI DI DISTRUZIONE IMMUNOMEDIATA DEI GLOBULI ROSSI 22

2.3.1 – Distruzione intravascolare da parte del complemento 22

2.3.2 – Interazioni tra eritrociti e fagociti mononucleati 23

2.4 – FISIOPATOLOGIA DELL’EMOLISI 24

CAPITOLO 3 – CARATTERISTICHE CLINICHE DELL’IMHA PRIMARIA 26 3.1 – FATTORI PREDISPONENTI E SEGNALAMENTO 26

3.2 – SINTOMATOLOGIA 27

3.2.1 – Reperti anamnestici 27

3.2.2 – Reperti dell’esame obiettivo 28

3.3 – PROFILO EMATOLOGICO 29

3.4 – PROFILO COAGULATIVO 32

(4)

CAPITOLO 4 – DIAGNOSI DI IMHA PRIMARIA 36

4.1 – TEST DI AUTOAGGLUTINAZIONE 37

4.2 – ESAME MICROSCOPICO DELLO STRISCIO EMATICO 37

4.3 – TEST DI COOMBS 47

4.4 – CITOMETRIA A FLUSSO 50

4.5 – GEL TEST IN MICROCOLONNE 51

4.6 – STRISCIA IMMUNOCROMATOGRAFICA 52

4.7 – APPROFONDIMENTI DIAGNOSTICI 53

4.7.1 – Esame del midollo osseo 53

4.7.2 – Diagnostica per immagini 53

CAPITOLO 5 – LA COAGULOPATIA COME COMPLICAZIONE DELL’IMHA 55

5.1 – EMOSTASI FISIOLOGICA 57

5.2 – PATOGENESI DELLA TROMBOSI IN CORSO DI IMHA 60

5.2.1 – Espressione del fattore tissutale 61

5.2.2 - Esposizione della fosfatidilserina 62

5.2.3 – Rilascio di microparticelle procoagulanti 62

5.2.4 – Ridotta attività anticoagulante 63

5.2.5 – Influenza del trattamento sullo stato protrombotico 63

CAPITOLO 6 - FATTORI PROGNOSTICI ED ESITO DELLA MALATTIA 65

6.1 – PROGNOSI E TASSO DI MORTALITA’ 65

6.2 – FATTORI PROGNOSTICI 66

6.3 – SISTEMI DI PUNTEGGIO 71

6.3.1 – Sistema CHAOS 73

6.3.2 – Sistema Tokyo 74

6.3.3 – Sistemi alternativi 75

6.3.4 – Valutazione della capacità predittiva dei sistemi di punteggio 75

CAPITOLO 7 – TRATTAMENTO DELL’IMHA PRIMARIA 77

7.1 – CONTROLLO DELL’EMOLISI 77

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7.1.2 – Azatioprina 84

7.1.3 – Ciclosporina 86

7.1.4 – Ciclofosfamide 89

7.1.5 – Micofenolato mofetile 90

7.1.6 – Leflunomide 92

7.1.7 – Immunoglobuline umane per via endovenosa 93

7.1.8 – Danazolo 95

7.1.9 – Splenectomia 96

7.1.10 – Plasmaferesi 97

7.2 – PREVENZIONE DEI DANNI TISSUTALI DOVUTI ALL’ANEMIA0 98

7.3 – PREVENZIONE DEL TROMBOEMBOLISMO 100

7.3.1 – Eparina non frazionata ed eparina a basso peso molecolare 100

7.3.2 – Inibitori delle piastrine: aspirina e clopidogrel 102

7.3.3 – Considerazioni generali sulle terapie tromboprofilattiche 103

7.4 – TERAPIE DI SUPPORTO ADDIZIONALI 104

7.5 – STUDI E CONSIDERAZIONI GENERALI CIRCA L’EFFICACIA DEI VARI

PROTOCOLLI DI TRATTAMENTO 104

PARTE SPERIMENTALE

CAPITOLO 1 – INTRODUZIONE E OBIETTIVI 107

1.1 – INTRODUZIONE 107

1.2 – OBIETTIVI 108

CAPITOLO 2 – MATERIALI E METODI 111

2.1 – PAZIENTI 111

2.1.1 – Criteri di inclusione 111

2.1.2 – Criteri di esclusione 111

2.1.3 – Informazioni raccolte 112

2.2 – STRUMENTI IMPIEGATI PER GLI ESAMI DI LABORATORIO 112

(6)

2.2.2 – Profilo biochimico 113

2.2.3 – Profilo coagulativo di base 114

2.2.4 – Esame delle urine 114

2.3 – INTERVALLI DI RIFERIMENTO 115

2.4 – METODI DI CLASSIFICAZIONE 115

2.5 – SISTEMI DI PUNTEGGIO PER LA STADIAZIONE DELLA MALATTIA 116

2.6 – FATTORI PROGNOSTICI 117

2.7 – EVOLUZIONE DELLA TERAPIA IMMUNOSOPPRESSIVA E FOLLOW-UP 118 2.8 – ORGANIZZAZIONE DEI DATI ED ANALISI STATISTICHE 118

2.8.1 – Organizzazione dei dati 118

2.8.2 – Analisi statistiche 119

CAPITOLO 3 – RISULTATI 121

3.1 – SEGNALAMENTO 121

3.2 – ALTERAZIONI CLINICO-PATOLOGICHE 125

3.2.1 – Principali parametri dell’emogramma 125

3.2.2 – Profilo biochimico 133

3.2.3 – Profilo coagulativo di base 141

3.2.4 – Esame delle urine 143

3.3 – STADIAZIONE DELLA MALATTIA E PREVISIONE DELL’ESITO 145

3.3.1 – Applicazione dei sistemi di punteggio riportati in letteratura 145

3.3.2 – Alterazioni clinico-patologiche correlate ad una prognosi infausta 149

3.4 – TRATTAMENTO E FOLLOW-UP 157

3.4.1 – Terapia antecedente la prima visita presso l’ODV 157

3.4.2 – Terapia impostata successivamente alla prima visita presso

l’ODV 158 3.4.3 – Follow-up 165 3.5 – TASSI DI SOPRAVVIVENZA 174 CAPITOLO 4 – DISCUSSIONI 176 4.1 – PAZIENTI 176 4.1.1 – Criteri di inclusione 176

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4.1.2 – Criteri di esclusione 176

4.1.3 – Raccolta delle informazioni 177

4.1.4 – Segnalamento 178

4.2 – ALTERAZIONI CLINICO-PATOLOGICHE ALLA PRIMA VISITA PRESSO L’ODV 178

4.2.1 – Emogramma completo (CBC) 179

4.2.2 – Profilo biochimico 183

4.2.3 – Profilo coagulativo 190

4.2.4 – Esame delle urine 192

4.3 – STADIAZIONE DELLA MALATTIA E PREVISIONE DELL’ESITO 196

4.3.1 – Applicazione e valutazione dei sistemi di punteggio riportati in

letteratura 196

4.3.2 – Alterazioni clinico-patologiche correlate ad una prognosi infausta 197

4.4 – TRATTAMENTO E FOLLOW-UP 201

4.4.1 – Terapia antecedente la prima visita presso l’ODV 201

4.4.2 – Terapia impostata successivamente alla prima visita presso

l’ODV 201

4.4.3 – Follow-up 203

4.5 – TASSI DI SOPRAVVIVENZA 206

CAPITOLO 5 – CONCLUSIONI 208

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- 6 -

RIASSUNTO

Studio retrospettivo su 33 casi di IMHA primaria del cane: caratteristiche clinico-patologiche, follow-up e tempi di sopravvivenza

Background: L’anemia emolitica immunomediata primaria (pIMHA) è la malattia immunoematologica più comune del cane, rappresenta una sfida diagnostica e terapeutica ed è caratterizzata da tassi di mortalità elevati soprattutto nelle prime due settimane dall’esordio. Attualmente, sono solo pochi gli indicatori prognostici che sono stati riconosciuti costantemente in diversi studi.

Obiettivi: Questo studio retrospettivo ha indagato l’influenza della terapia impostata dai veterinari referenti sulle caratteristiche clinico-patologiche, sulla gravità della malattia al momento della presentazione, sul follow-up e sulla sopravvivenza. Inoltre, ha analizzato la correlazione dei punteggi di gravità della IMHA (CHAOS e Tokyo) e dei principali fattori prognostici già segnalati in letteratura con l’esito della malattia.

Materiali e metodi: Sono stati inclusi 33 casi di pIMHA, presentati tra febbraio 2010 e febbraio 2016, e sono stati raccolte informazioni circa il segnalamento, l’anamnesi, gli esami di laboratorio e la terapia immunosoppressiva ricevuta. La popolazione è stata suddivisa in due gruppi (16 pazienti presentati con una terapia immunosoppressiva già avviata e 17 pazienti non trattati), che sono stati comparati statisticamente.

Risultati: I due gruppi sono risultati statisticamente diversi per: conta piastrinica (P=0,002), proteine totali (P=0,025), globuline (P=0,002), proteina C reattiva (P=0,003), fosfatasi alcalina (P=0,010), lattato deidrogenasi (P=0,028), pigmenturia (P=0,0003) e bilirubinuria (P=0,041). Il sistema CHAOS si è rivelato predittivo dell’esito a 30 e 120 giorni, mentre per il sistema Tokyo non è stata riscontrata alcuna correlazione con la prognosi. Le alterazioni clinico-patologiche che hanno mostrato una correlazione con la prognosi sono state la trombocitopenia (<150x109/L), l’iperbilirubinemia (>1,5 mg/dL), la concentrazione di urea >55 mg/dL e il riscontro di un numero di eritrociti nucleati ≥ 30/100 WBC.

Conclusioni: La terapia immunosoppressiva messa in atto dai veterinari referenti può attenuare o mascherare alcune caratteristiche clinico-patologiche tipiche della malattia, perciò è fondamentale considerare questo fattore anamnestico nell’inquadramento del caso. Il presente studio ha confermato quanto riportato in letteratura circa i protocolli terapeutici, i segni indicativi della risoluzione dell’emolisi e i tempi di sopravvivenza. Il riscontro di un numero elevato di eritrociti nucleati all’esame dello striscio ematico si è rivelato un fattore promettente nel monitoraggio della malattia e nella previsione dell’esito. Parole chiave: cane, anemia emolitica immunomediata, studio retrospettivo, terapia immunosoppressiva, follow-up.

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ABSTRACT

A retrospective study on 33 cases of primary IMHA in dogs: clinicopathological features, follow-up and survival times

Background: Primary immune-mediated hemolytic anemia (pIMHA) is the most common immunohematological disease in dogs. It is characterized by high mortality rate especially in the first two weeks from the onset and it still represents a diagnostic and therapeutic challenge. So far, only a limited number of prognostic indicators has been accepted consistently in several surveys.

Aims: The influence of treatments set-up by referring veterinarians on clinicopathological features, disease severity at presentation, follow-up, and survival has been investigated in this retrospective study. Furthermore, disease outcome was correlated with CHAOS and Tokyo severity scores as well as the main prognostic factors reported in the literature.

Materials and methods: 33 cases of pIMHA collected between February 2010 and February 2016 were included in the study. Details about case referral, history, blood and urine laboratory tests, and immunosuppressive treatments were collected. Patients were divided into two groups (16 patients already under immunosuppressive therapy and 17 untreated patients) and statistical comparative analyses were carried out.

Results: Significant differences between the two groups were found in platelet count (P=0.002), total serum protein (P=0.025), globulin (P=0.002), C-reactive protein (P=0.003), alkaline phosphatase (P=0.010), lactic dehydrogenase (P=0.028), pigmenturia (P=0.0003), and bilirubinuria (P=0.041). The CHAOS system proved to be predictive of the outcome at both 30 and 120 days while Tokyo was not associated with prognosis. Clinicopathological alterations showing a correlation with prognosis included thrombocytopenia (<150x109/L), hyperbilirubinemia (>1.5 mg/dL), urea concentration >55 mg/dL, and number of nucleated RBCs ≥ 30/100 WBC.

Conclusions: Immunosuppressive treatments set-up by referring veterinarians may weaken or mask some of the clinicopathological features of the disease making case history essential for the proper assessment. This study confirmed the literature in terms of treatment protocols, signs indicative of hemolysis resolution, and survival times. The high number of nucleated RBCs found in blood smears proved to be a promising factor for monitoring the disease and predicting the outcome.

Keywords: dog, immune-mediated hemolytic anemia, retrospective study, immunosuppressive therapy, follow-up.

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INTRODUZIONE

Il termine anemia indica una condizione patologica in cui il conteggio degli eritrociti (RBC), il valore dell’ematocrito (Hct) e/o la concentrazione di emoglobina (Hb) sono diminuiti rispetto ai valori di riferimento stabiliti per ciascuna specie. L’anemia rappresenta un reperto clinico e non una diagnosi definitiva, perciò è necessario caratterizzarla attraverso esami di laboratorio al fine di poterne determinare il tipo e la causa e poter impostare quindi un’appropriata terapia. La caratterizzazione dell’anemia deve prendere in considerazione diversi parametri, dato che una singola classificazione può non essere del tutto soddisfacente. I modelli classificativi più utilizzati sono quelli che distinguono le anemie sulla base degli indici corpuscolari medi (macrocitica, normocitica o microcitica ed ipercromica, normocromica o ipocromica) della risposta eritropoietica midollare (rigenerativa o non rigenerativa) e del meccanismo eziopatogenetico scatenante. L’anemia può infatti derivare da una perdita ematica, da un’aumentata distruzione dei globuli rossi o da una diminuita produzione dei globuli rossi a livello midollare. L’anemia da emorragia e quella da emolisi sono solitamente rigenerative, mentre l’anemia da diminuita produzione midollare non è rigenerativa.

L’anemia dovuta a fenomeni emolitici è un riscontro piuttosto comune nella pratica clinica dei piccoli animali. L’emolisi può essere extravascolare (quando gli eritrociti vengono fagocitati dai macrofagi al di fuori dei vasi sanguigni) o intravascolare (quando gli eritrociti subiscono una lisi diretta da parte di complessi anticorpo-complemento, farmaci, tossine, agenti infettivi, squilibri metabolici o filamenti di fibrina). In base all’età di insorgenza, inoltre, le anemie emolitiche possono essere classificate come congenite o acquisite. La maggior parte di cani o gatti con anemia emolitica tendono a presentare un’emolisi extravascolare acquisita1. Tra le molteplici cause di accelerata distruzione degli eritrociti possiamo annoverare le infezioni batteriche (ad es. Clostridium spp., Leptospira spp.), le infezioni protozoarie (ad es. Babesia spp., Anaplasma spp.), gli agenti chimici e tossici (ad es. paracetamolo, veleno di serpente, cipolle, rame, zinco, piombo, piante velenose), i danni meccanici (ad es. alterazioni microangiopatiche, sindrome della vena cava), i disordini metabolici (ad es. ipofosfatemia, carenza di piruvato chinasi) e la distruzione mediata da anticorpi (anemia emolitica immunomediata).

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L’anemia emolitica immunomediata (IMHA) rappresenta la causa più comune di anemia emolitica nel cane, mentre è poco frequente nel gatto2. L’IMHA può essere di natura primaria (autoimmune, idiopatica) o secondaria (se la produzione di anticorpi è scatenata da infezioni, neoplasie, farmaci, veleni o vaccini). La maggior parte degli studi nel cane suggerisce che l’IMHA primaria è più comune della secondaria, benché la frequenza con cui quest’ultima viene identificata dipenda dall’estensione della valutazione diagnostica, dato che la diagnosi di IMHA primaria si raggiunge escludendo le cause secondarie2.

Il primo caso studio descritto su cani con IMHA risale agli anni ’60, nel quale 6 cani sui 19 totali morirono durante l'episodio emolitico iniziale e altri 5 durante le recidive3. Nonostante i numerosi studi condotti da allora, l’IMHA del cane rappresenta ancora oggi una sfida diagnostica e terapeutica per il clinico e continua ad essere caratterizzata da un elevato tasso di mortalità (valore medio intorno al 50%), soprattutto nelle prime due settimane successive alla diagnosi4–9. I segni clinici al momento della presentazione sono generalmente legati all’anemia, ma altri processi fisiopatologici, come la concomitante malattia tromboembolica, contribuiscono notevolmente alla morbilità ed alla mortalità della malattia10,11.

La prima parte di questa tesi si propone di esaminare i meccanismi eziopatogenetici, le caratteristiche cliniche, gli approcci diagnostici, le opzioni terapeutiche ed i fattori prognostici descritti dalla letteratura scientifica veterinaria, facendo talvolta cenni alla letteratura umana come strumento di confronto.

La seconda parte, invece, consiste in uno studio retrospettivo condotto su 33 casi di IMHA primaria del cane, raccolti presso l’Ospedale Didattico Veterinario (ODV) dell’Università di Pisa, che si prefigge come scopi quelli di:

- valutare le principali alterazioni clinicopatologiche relative al profilo biochimico, al profilo coagulativo e all’esame delle urine nei soggetti affetti da IMHA primaria; - valutare l’influenza della terapia impostata dai veterinari referenti sui parametri di

laboratorio (CBC, profilo biochimico, profilo coagulativo ed esame delle urine), sulla gravità della malattia al momento della presentazione presso l’ODV e quindi sulla prognosi;

- analizzare la correlazione dei sistemi di punteggio CHAOS e Tokyo e dei principali fattori prognostici proposti in letteratura con l’esito della malattia nella popolazione oggetto di studio;

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- valutare i principali protocolli immunosoppressivi impostati al momento della presentazione presso l’ODV, le modifiche ad esso apportate durante i primi 28 giorni e la durata media della terapia;

- esaminare la variazione dei principali parametri del CBC durante i primi 28 giorni di terapia;

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CAPITOLO 1

DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE DELL’IMHA

1.1 – DEFINIZIONE

L’anemia emolitica immunomediata (Immune-Mediated Hemolytic Anemia, IMHA) è una sindrome clinica in cui l’anemia deriva da un’aumentata distruzione dei globuli rossi per meccanismi immunomediati. Nel cane, l’IMHA rappresenta la causa più comune di anemia emolitica2, nonché una delle patologie immunomediate più frequenti12,13.

L’IMHA insorge quando gli eritrociti (o i precursori eritroidi nel midollo osseo) vengono distrutti prematuramente mediante un meccanismo di ipersensibilità di tipo II (citotossicità mediata da anticorpi), in seguito al legame di immunoglobuline alla membrana cellulare, che determina a sua volta la deposizione di componenti del complemento sulla membrana cellulare stessa. Se l'attivazione del complemento conduce alla formazione di canali transmembrana, l’eritrocita viene distrutto mediante lisi osmotica (emolisi intravascolare); in alternativa, le immunoglobuline di superficie e il complemento possono interagire con frammenti Fc e recettori del complemento espressi dalle cellule fagocitiche (soprattutto macrofagi), con conseguente danneggiamento o rimozione degli eritrociti all’interno di milza e fegato (emolisi extravascolare)14.

1.2 – CLASSIFICAZIONE

L’IMHA può essere primaria o secondaria (fig. 2.1). L’IMHA secondaria è causata da una risposta immunologica nei confronti di antigeni non-self che hanno modificato le membrane eritrocitarie o che si trovano associati ad esse13. Ad esempio, l’IMHA può verificarsi come fenomeno secondario in corso di patologia neoplastica o quando sono prodotti anticorpi diretti verso agenti infettivi o farmaci che sono legati alla membrana eritrocitaria. In quest’ultimo caso gli eritrociti che vengono distrutti sono detti “spettatori innocenti”, in quanto l’emolisi non è dovuta ad anticorpi diretti verso antigeni self della membrana eritrocitaria ma verso antigeni non-self ad essa associati14.

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Si parla di IMHA primaria (idiopatica), invece, quando non è possibile identificare una malattia sottostante o una recente somministrazione di farmaci o vaccini, e gli anticorpi sono considerati veri auto-anticorpi diretti verso antigeni propri della membrana eritrocitaria. Solo questa forma di malattia è la vera anemia emolitica autoimmune (Auto-Immune Hemolytic Anemia, AIHA), perciò i termini IMHA e AIHA non devono essere utilizzati in modo intercambiabile. L’AIHA può verificarsi come una singola entità clinica oppure può comparire in concomitanza della trombocitopenia autoimmune (nella sindrome di Evans) o della neutropenia autoimmune o, ancora, può rappresentare una manifestazione del lupus eritematoso sistemico (LES). In alcuni casi, la risposta autoimmune è diretta contro i precursori eritroidi del midollo osseo, con conseguente IMHA non rigenerativa (NRIMHA) ed aplasia eritroide pura acquisita (PRCA). Gli auto-anticorpi diretti verso i precursori possono essere associati o meno ad auto-anticorpi diretti verso gli eritrociti circolanti14.

Nel cane, la maggior parte degli studi attesta che l’IMHA primaria sia più comune della secondaria, ma bisogna tener presente che la diagnosi di IMHA primaria si raggiunge escludendo le cause secondarie, perciò la frequenza con cui questa viene identificata dipende dall’estensione della valutazione diagnostica2. Quindi la preponderanza della malattia primaria riflette probabilmente un'incapacità nell’identificare la causa di fondo, piuttosto che una reale elevata incidenza di emolisi autoimmune13. Nell’uomo, infatti, solo una percentuale molto più bassa di casi di IMHA è primaria (25-30% contro il 60-75% del cane)15. Distinguere tra una IMHA primaria e secondaria è di fondamentale importanza per il trattamento e la prognosi8,13,15. La malattia primaria richiede in genere una terapia immunosoppressiva aggressiva mentre la secondaria, una volta identificata ed eliminata la causa sottostante, risponde bene anche ad una immunosoppressione meno aggressiva; invece, se la causa sottostante non viene trattata, la terapia immunosoppressiva può addirittura aggravare il quadro della malattia secondaria. Quindi la mancata identificazione della causa scatenante può contribuire all’elevato tasso di mortalità che caratterizza l’IMHA canina13.

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La risposta immunitaria nei cani con IMHA può talvolta avere come bersaglio i precursori eritroidi del midollo osseo anziché i globuli rossi circolanti, oppure può essere diretta verso entrambi. In questo caso non si assiste ad una risposta rigenerativa, e l'esame del midollo diventa un elemento essenziale del piano diagnostico negli animali con IMHA che non presentano reticolocitosi dopo 5 giorni. Alcuni distinguono la situazione in cui l’eritropoiesi è compromessa ma i precursori eritroidi sono presenti (IMHA non rigenerativa, NRIMHA) da quella in cui vi è una reale assenza di eritropoiesi (aplasia eritroide pura acquisita, PRCA)16. Nella NRIMHA, la linea eritroide può essere caratterizzata sia da iperplasia che da arresto di maturazione in un specifico punto dello sviluppo17,18. I cani colpiti da PRCA possono essere Coombs negativi se l'anticorpo diretto verso i precursori midollari non cross-reagisce con gli

Figura 1.1 Patogenesi dell’anemia emolitica immunomediata primaria e

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antigeni espressi dagli eritrociti maturi. In uno studio retrospettivo volto ad indagare l’IMHA non rigenerativa nel cane, il test di Coombs è risultato positivo nel 57% dei casi ed il 23% di questi pazienti è risultato positivo anche al test ANA (anticorpi antinucleo)16. Non esiste un test diagnostico per il rilevamento degli anticorpi o del complemento associati ai precursori, anche se nel siero di questi cani è stata dimostrata la presenza di anticorpi in grado di inibire l’eritropoiesi in vitro19. Inoltre, nei cani con PRCA sono state descritte una serie di patologie del midollo osseo, ad indicare che il danno ematopoietico coinvolga anche alterazioni in aggiunta all’inibizione dell’eritropoiesi mediata da anticorpi. Le alterazioni che sono state riportate includono la dismielopoiesi, la mielofibrosi, l’edema interstiziale, l’emorragia, l’infiammazione acuta, la sindrome emofagocitica, l’aggregazione linfoide e l’iperplasia delle cellule plasmatiche. Questi cambiamenti sono stati più spesso riscontrati nel midollo di animali con NRIMHA caratterizzata da iperplasia eritroide, rispetto a quelli con NRIMHA caratterizzata da arresto della maturazione o con PRCA. Il primo sottogruppo di cani ha presentato anche un tempo di sopravvivenza inferiore rispetto agli altri due sottogruppi20.

1.2.1 – Cause di IMHA secondaria nel cane

Le possibili cause scatenanti l’IMHA secondaria nel cane sono numerose e dovrebbero essere escluse prima di poter formulare una diagnosi di AIHA.

Tra queste cause troviamo innanzitutto la malattia neoplastica. L’associazione tra IMHA e linfoma21, malattie mieloproliferative, sarcoma anaplastico22 ed emangiosarcoma sono ben documentati, ma i meccanismi immunologici con cui le neoplasie potrebbero innescare la produzione di anticorpi diretti contro gli eritrociti non sono ancora del tutto compresi14. Una causa di IMHA di crescente importanza è rappresentata dalle malattie infettive. In particolare, le malattie infettive trasmesse da vettori (babesiosi, erlichiosi, leishmaniosi, rickettsiosi, e probabilmente anaplasmosi e bartonellosi) possono includere l’IMHA nella loro complessa patogenesi23,24. Questi organismi, infatti, stabiliscono un’interazione con il sistema immunitario dell'ospite che esita in una serie di fenomeni immunomediati secondari non direttamente associati all'infezione in sé25. L’IMHA causata dalle malattie trasmesse da vettori è da tempo riconosciuta nelle aree tradizionalmente endemiche, ma l’incremento delle movimentazioni internazionali degli animali da compagnia e i cambiamenti climatici hanno fatto sì che la patologia debba ormai essere presa in considerazione anche nelle

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regioni geografiche non endemiche e che debba essere valutata la storia di viaggio di qualsiasi cane che presenti anemia. Recentemente ha suscitato particolare interesse la potenziale capacità dei micoplasmi emotropici di innescare l’IMHA26–28. Uno studio caso-controllo ha cercato di indicare la batteriemia come potenziale causa di IMHA, ma nessuno tra i campioni di sangue prelevati da 12 cani con IMHA e sottoposti a coltura batterica ha mostrato batteriemia29. Infine, uno studio ha indicato una possibile associazione tra l’infezione da Ancylostoma caninum e l’insorgenza di IMHA in tre cani30.

Un’ulteriore causa ben documentata dell’IMHA canina è la terapia farmacologica. Classicamente sono incriminati, in una vasta gamma di razze, i sulfamidici potenziati31,32, ma è stato documentato anche un caso di citopenia immunomediata associata alle cefalosporine33. Uno studio ha inoltre identificato una reazione avversa al carprofene quale possibile causa di anemia emolitica e trombocitopenia immunomediate34.

L'associazione più controversa è quella proposta tra lo sviluppo di IMHA e la vaccinazione nelle 4 settimane precedenti35. Per un certo periodo di tempo sono state disponibili solo prove aneddotiche di questa associazione36. In seguito, uno studio pilota ha fornito la prova dell’esistenza di una relazione temporale tra vaccinazione e sviluppo di IMHA nel cane37. Tuttavia, una vasta indagine epidemiologica che è stata successivamente condotta nel Regno Unito non è riuscita a supportare questa teoria38, così come non vi è riuscito uno studio più recente eseguito su 72 cani con IMHA39. In numerosi studi, comunque, è risultato che circa un quarto dei pazienti con IMHA erano stati vaccinati entro 30 giorni dalla presentazione della malattia13. In generale, sembra che l’IMHA associata a vaccini si verifichi nei cani, ma con bassa incidenza (incidenza di 0.001 per 10.000 dosi di vaccino venduti)40. I meccanismi immunologici con cui queste reazioni si sviluppano non sono comprese e nessun vaccino in particolare è stato implicato14. Tuttavia, esistono delle giustificazioni teoriche del possibile nesso causale tra vaccinazione e IMHA, dato che la vaccinazione può rappresentare una causa aspecifica di attivazione dei macrofagi, accrescere la condizione infiammatoria e deregolamentare l'equilibrio del sistema immunitario13.

Talvolta può risultare difficile determinare se l'anemia emolitica sia immunomediata o meno. Ad esempio, uno studio ha riferito una IMHA secondaria ad un avvelenamento da puntura d’ape in due cani41; tuttavia, dal momento che il veleno d'ape contiene emolisine, può essere difficile distinguere la distruzione mediata da anticorpi dall’emolisi diretta causata dalla tossina13.

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CAPITOLO 2

EZIOPATOGENESI DELL’IMHA PRIMARIA

I fattori che stanno alla base dello sviluppo di una vera e propria risposta autoimmune sono complessi e tuttora non del tutto compresi. A grandi linee, l'espressione di qualsiasi malattia autoimmune richiede che una combinazione di fattori predisponenti consenta lo sviluppo di una alterazione immunologica, la quale si traduce poi nella malattia autoimmune osservata. Queste alterazioni immunologiche sono state sperimentalmente indagate utilizzando modelli murini di AIHA. Ad esempio, l’AIHA può essere indotta in particolari ceppi di topi che sono immunizzati con i globuli rossi di ratto42 o che sono transgenici per alta espressione di interleuchina IL-443 o per espressione di un autoanticorpo diretto contro gli eritrociti44. I topi con carenza di IL-2, ottenuta mediante distruzione mirata del gene responsabile della sua produzione, sviluppano una sindrome linfoproliferativa con autoimmunità multisistemica che include un’anemia emolitica Coombs-positiva45. I topi di razza New Zealand Black (NZB) sviluppano spontaneamente malattie autoimmuni, tra cui l’AIHA e una malattia LES-simile caratterizzata da glomerulonefrite da immunocomplessi ed anticorpi antinucleari nel siero; l’AIHA è mediata dai linfociti Th1 CD4+ che sono attivati per la prima volta nei topi molto giovani, prima della comparsa degli autoanticorpi e dell’anemia46. Un ceppo di topi diabetici non obesi che sviluppano la distruzione autoimmune delle cellule beta pancreatiche mediata dalle cellule T (che esita in diabete mellito insulino-dipendente) può sviluppare, più tardi, anche un’anemia emolitica Coombs-positiva47.

2.1 – EZIOLOGIA DEGLI AUTOANTICORPI

L'eziologia della maggior parte degli autoanticorpi anti-eritrociti non è ancora del tutto compresa. Data l'associazione tra IMHA e altre malattie autoimmuni, probabilmente gioca un ruolo importante la generalizzata disfunzione del sistema immunitario. Il rapporto tra AIHA e malattie linfoproliferative ed altre neoplasie, allo stesso modo, suggeriscono una disfunzione generalizzata della sorveglianza immunitaria. Il sistema immunitario ha molti punti di controllo, che mantengono un equilibrio tra la necessità di tollerare gli auto-antigeni

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e la necessità di rispondere in modo appropriato agli antigeni estranei; l’alterazione di uno di questi processi può rappresentare una potenziale causa di malattia autoimmune48.

Esistono diversi meccanismi di regolazione che vengono messi in atto per impedire l’auto-attacco da parte del sistema immunitario. I meccanismi di tolleranza centrale consistono nella eliminazione dei linfociti B e T autoreattivi durante lo sviluppo. Tuttavia, cellule T e B che sono sfuggite ai meccanismi di tolleranza centrale ed hanno la possibilità di reagire agli auto-antigeni sono presenti anche negli individui normali; esistono perciò diversi meccanismi di tolleranza periferica atti ad impedire che queste cellule vengano attivate e/o per tenere sotto controllo cellule già attivate49.

L'attivazione dei linfociti autoreattivi è generalmente considerata il risultato del fallimento della regolazione naturale (ovvero della soppressione) di tali cellule. Tra gli svariati meccanismi coinvolti nel controllo dei linfociti autoreattivi possiamo annoverare:

- la soppressione centrale delle cellule T autoreattive durante lo sviluppo intra-timico e delle cellule B autoreattive durante lo sviluppo nel midollo osseo;

- la soppressione periferica delle cellule T autoreattive al momento dell’esposizione del peptide autoantigenico al di fuori del timo;

- l'induzione di anergia da esposizione all’autoantigene in assenza di liberazione di segnali di costimolazione;

- l'ignoranza immunologica dovuta alla mancata presentazione dell’autoantigene alle popolazioni autoreattive;

- la soppressione attiva da parte dei linfociti regolatori.

Ultimamente sono stati compiuti particolari progressi riguardo alla comprensione di quest’ultimo componente. Una popolazione di linfociti T “soppressori naturali”, che esprimono CD4 e CD25, sembra essere costitutivamente presente all'interno del sistema immunitario per impedire l'attivazione dei linfociti T patogeni specifici per autoantigeni o allergeni. Queste cellule regolatorie sono ulteriormente definite dall’espressione di geni specifici (ad es. Foxp3, GITR) e, anche se secernono la citochina IL-10, sembrano richiedere il contatto diretto con le cellule bersaglio che intendono regolare. Le cellule “Treg” sono state identificate nel cane50 e, dato che servono a mantenere sotto controllo le risposte immunitarie dirette verso i tessuti propri dell’organismo, è probabile che la loro inefficienza giochi un ruolo importante nell’autoimmunità canina14.

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Un ruolo centrale nel mantenimento della tolleranza periferica è rivestito anche dalle cellule dendritiche. La cellula dendritica è una cellula presentante l'antigene che processa e presenta l'antigene alle cellule T naive nel contesto dell’MHC di classe I e II. I linfociti T CD4+ che si legano al complesso MHC-II/Ag, in presenza di un segnale di costimolazione, si differenziano nei vari sottotipi di linfociti T helper (Th1, Th2, Th17 e altri). Il tipo di cellule T helper che si sviluppa dipende dal segnale o dalla citochina che è presente al momento della presentazione dell'antigene. È importante sottolineare che è necessario un segnale di costimolazione per attivare una cellula T in seguito all’iniziale legame al recettore. Le cellule dendritiche non esprimono questo segnale di costimolazione, a meno che non siano attivate da particolari eventi scatenanti, come il riconoscimento di PAMPs (Pathogen-Associated Molecular Patterns), come LPS batterici ed RNA virali, da parte dei PRRs (Pattern Recognition Receptors). Citochine come il TNF facilitano la maturazione delle cellule dendritiche e la loro espressione di segnali di costimolazione. In assenza di un segnale di costimolazione, la cellula T è resa anergica o va incontro ad apoptosi; perciò l’impegno del recettore dei linfociti T (TCR) in assenza di un segnale di costimolazione è un importante meccanismo di tolleranza periferica. Esistono anche ulteriori segnali che provocano la proliferazione e la differenziazione delle cellule T quando interagiscono con le cellule dendritiche; tra questi troviamo ad esempio citochine come la IL-12. Il segnale indotto dalle citochine provoca la differenziazione dei linfociti T nei vari sottotipi che mediano diverse risposte del sistema immunitario; ad esempio, le cellule Th-1 migliorano l'immunità cellulo-mediata, le Th-2 intensificano l’attivazione delle cellule B e le Th-17 aiutano a reclutare i neutrofili per combattere i batteri extracellulari. Dal momento che l’attivazione di particolari sottotipi di linfociti T è associata allo sviluppo di malattie immunomediate, la capacità delle cellule dendritiche di facilitare la differenziazione dei linfociti T può influenzare la tolleranza ed essere quindi importante per la comprensione dei meccanismi coinvolti nell’autoimmunità49. Tuttavia, esistono anche processi autoimmuni meno generalizzati. Per esempio, una malattia autoimmune può derivare dalla risposta ad un antigene estraneo, se questo mostra un'omologia sufficiente con un autoantigene (mimetismo molecolare). Un'altra fonte teorica di autoanticorpi è un clone di cellule B maligne, ma gli autoanticorpi diretti verso i globuli rossi sono generalmente policlonali. Infine, sulla base di studi effettuati su altre malattie autoimmuni, sia umane che veterinarie, sembra che la produzione di autoanticorpi anti-eritrociti sia legata anche a fattori genetici ed ambientali48.

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Oggi si ritiene che anche l'infezione microbica rivesta una particolare importanza nell’induzione delle malattie autoimmuni. Individui clinicamente normali possiedono linfociti circolanti che sono programmati per riconoscere e non rispondere agli autoantigeni (tolleranza immunologica); l’alterata immunoregolazione conseguente all'infezione può determinare la perdita dell’immunotolleranza e la successiva espressione della malattia autoimmune14. Ad esempio, uno studio riporta che topi infettati con un particolare substrato del virus della coriomeningite linfocitaria sviluppano una transitoria AIHA e che, in questo caso, l'anemia non è determinata da anticorpi che reagiscono con un epitopo comune a virus ed eritrociti, ma da veri autoanticorpi specifici nei confronti degli eritrociti51. La risposta autoimmune sembra essere causata dall'inappropriata attivazione di cellule T autoreattive da parte di peptidi di derivazione virale che imitano peptidi di derivazione eritrocitaria (fenomeno del mimetismo molecolare); questi peptidi normalmente non vengono presentati dalle cellule presentanti l'antigene, e quindi i linfociti T autoreattivi sono mantenuti in uno stato di “ignoranza immunologica”14. Il mimetismo molecolare è stato proposto come meccanismo eziopatogenetico delle malattie autoimmuni sia nell’uomo che negli animali. Esso è stato ipotizzato in parte sulla base delle abbondanti prove epidemiologiche, cliniche e sperimentali di una associazione tra agenti infettivi e malattie autoimmuni e sulla cross-reattività dei reagenti immunitari con antigeni propri dell'ospite e determinanti microbici. Il mimetismo molecolare è definito come la condivisione di strutture simili da parte di molecole di differenti geni o dei loro prodotti proteici. Una risposta immunitaria diretta contro il determinante che è condiviso dall’ospite e dal virus può evocare una risposta immunitaria che è presumibilmente in grado di causare la distruzione cellulare e tissutale. Il probabile meccanismo è la generazione di linfociti citotossici cross-reattivi o di anticorpi che riconoscono determinanti specifici sulle cellule bersaglio. L'induzione della cross-reattività non richiede la presenza di un agente replicante, e il danno immunomediato può anche essere successivo alla rimozione dell’agente immunogeno; l'infezione virale o batterica che avvia il fenomeno autoimmune potrebbe quindi non essere presente nel momento in cui si sviluppa la malattia52–54.

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2.2 – IMMUNOPATOGENESI DELL’IMHA PRIMARIA

Gli autoanticorpi che caratterizzano l’IMHA canina sono eterogenei per classe e specificità, suggerendo che una vasta gamma di meccanismi sottostanti possa essere coinvolta nell’innesco della malattia. Si riscontrano autoanticorpi sia di classe IgG che di classe IgM e, per quanto riguarda la classe IgG, predominano le sottoclassi IgG1 e IgG455. Possono inoltre essere associate alla membrana eritrocitaria anche quantità significative di IgA, ma la presenza di questa classe di immunoglobuline è di dubbia rilevanza14. La specificità degli anticorpi di classe IgG è stata caratterizzata eluendoli dalla superficie dei globuli rossi del paziente ed incubandoli con eritrociti ottenuti da cani normali e marcati con biotina (nella tecnica di immunoprecipitazione)56,57. Questi autoanticorpi sono diretti contro vari componenti eritrocitari, tra cui le glicoforine e le proteine della banda 3 (proteine integrali di membrana) e la spettrina (proteina del citoscheletro)56,58,59. Esiste una certa corrispondenza tra le varie specie per quanto riguarda questi autoantigeni; la banda 3, ad esempio, è stata riconosciuta sia nei cani che negli esseri umani con AIHA, ed è il bersaglio della risposta autoimmune anche in alcuni modelli di malattia nei topi da esperimento46,51. Recenti studi hanno inoltre identificato una reattività nei confronti della calpaina, del componente C3 del complemento e della perossiredossina 2 in alcuni cani con AIHA, ma non nei cani sani. Queste proteine sono coinvolte nello stress ossidativo e nell’apoptosi (calpaina), nell’infiammazione (complemento) e nella rimozione dei radicali liberi dell’ossigeno (perossiredossina 2). Resta da stabilire se queste proteine siano importanti nell’induzione dell’autoimmunità o se le immunoglobuline dirette verso queste proteine si sviluppino durante l’AIHA60.

Nei cani con AIHA è stata inoltre esaminata la reattività delle cellule T. Come altre specie, cani clinicamente normali presentano linfociti autoreattivi che possono essere indotti a proliferare in vitro quando stimolati con antigeni derivati dagli eritrociti. Tali cellule hanno un maggior grado di reattività quando sono ottenute da cani guariti dall’AIHA (linfociti memoria) o da cani normali che sono strettamente correlati ai casi di AIHA61. Quest'ultima osservazione suggerisce un meccanismo immunologico per la suscettibilità genetica all’AIHA nei cani14.

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È importante investigare ulteriormente la specificità di tali risposte autoimmuni, in quanto ciò potrebbe costituire la base per lo sviluppo di nuovi agenti immunoterapeutici nei prossimi anni14.

2.3 – MECCANISMI DI DISTRUZIONE IMMUNOMEDIATA DEI GLOBULI ROSSI

È ormai chiaro che, nei pazienti con AIHA, il rivestimento da parte degli auto-anticorpi di per sé non danneggia gli eritrociti, ma provoca la loro distruzione attivando il complemento e/o inducendo interazioni con le cellule del sistema reticoloendoteliale. La distruzione degli eritrociti può essere extra o intravascolare. Nella maggior parte dei pazienti l’emolisi è extravascolare e coinvolge perciò i fagociti mononucleati, che reagiscono con gli eritrociti rivestiti da anticorpi di classe IgG o IgM e dal componente C3b del complemento62. Come precedentemente accennato, possono essere associate alla membrana eritrocitaria anche quantità significative di IgA, ma la presenza di questa classe di immunoglobuline sembra non sembra essere coinvolta nel processo patologico14. La distruzione extravascolare degli eritrociti rivestiti dagli anticorpi si verifica solitamente nella milza ma, quando il rivestimento anticorpale è abbondante, la distruzione può avvenire in qualsiasi parte del sistema fagocitario mononucleare. Meno frequentemente, la distruzione eritrocitaria si verifica in sede intravascolare, mediante l'attivazione del complemento o, più discutibilmente, anche attraverso l’interazione degli eritrociti con le cellule linfoidi e granulocitarie62.

2.3.1 – Distruzione intravascolare da parte del complemento

Nell’uomo, l’emolisi intravascolare è riscontrata in meno del 20% dei pazienti con AIHA62. Nelle gravi reazioni immunitarie, un gran numero di anticorpi si attacca alla membrana eritrocitaria, attivando la cascata del complemento. Il complesso di attacco alla membrana, che origina dall’attivazione della cascata del complemento, provoca danni diretti alla membrana cellulare, mediante la formazione di canali transmembrana che causano l’afflusso del fluido extracellulare all’interno del globulo rosso e la conseguente lisi osmotica della cellula, con rilascio di emoglobina libera in circolo13,14. Poiché le IgM sono migliori delle IgG nel fissare il complemento, l’emolisi intravascolare è più probabile che si verifichi nell’AIHA IgM-mediata12; tuttavia esistono anche emolisine di classe IgG62. La deposizione del

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componente terminale C5b-9 sugli eritrociti dei pazienti con AIHA è stata dimostrata utilizzando un metodo a radioisotopi. La lisi indotta dal complemento è il metodo più efficace per la distruzione dei globuli rossi e provoca una grave anemia. Per fortuna rappresenta un evento raro, in quanto la temperatura ottimale di attività delle emolisine risulta ben al di sotto di 37°C. L’emolisi non è mai completa perché esistono inibitori che operano a diversi livelli della cascata del complemento. Nei pazienti con AIHA l'inibizione avviene a livello del C3. Gli eritrociti ricoperti dal C3b possono poi essere distrutti in sede extravascolare dalle cellule del sistema reticoloendoteliale62. Nei pazienti con AIHA è stata dimostrata anche una diminuzione delle proteine regolatrici del complemento (che proteggono le cellule dell’ospite dalla distruzione mediata dal complemento)63.

2.3.2 – Interazioni tra eritrociti e fagociti mononucleati

L’efficacia delle interazioni eritrociti-fagociti dipende da diversi fattori, tra cui la classe e sottoclasse delle immunoglobuline, il numero di molecole anticorpali legate a ciascun eritrocita, il range termico dell'anticorpo, la capacità dell'anticorpo di attivare il complemento, la quantità di IgG libere nell'ambiente circostante e probabilmente l'attività dei macrofagi dell'individuo. Nella maggior parte dei pazienti, gli eritrociti sono rivestiti da autoanticorpi IgG non fissanti il complemento, che inducono la distruzione dei globuli rossi mediante l’attacco della porzione Fc della molecola IgG a specifici siti recettoriali presenti sulla superficie del macrofago. Questa adesione provoca danni a carico della membrana eritrocitaria mediante ADCC (citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente) ed eritrofagocitosi. Resta ancora da stabilire se il meccanismo principale di distruzione degli eritrociti sia l'ADCC o la fagocitosi, benché entrambi siano in grado di causare una notevole emolisi in vivo. La quantità di anticorpo legato alla cellula sembra essere importante: è stato dimostrato che l’entità della fagocitosi è inversamente proporzionale al grado di sensibilizzazione; a bassi livelli di sensibilizzazione la fagocitosi diventa più importante dell’ADCC, e ciò accade a livelli molto più bassi per le lgG4 che per le lgG1. L'adesione ai macrofagi può anche determinare una fagocitazione parziale degli eritrociti: la porzione non fagocitata diventa un rigido sferocita, che viene prematuramente distrutto nella milza. In vivo, i macrofagi splenici e le cellule di Kupffer epatiche rappresentano i principali effettori della distruzione dei globuli rossi, mentre i monociti circolanti sembrano rivestire solo un

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ruolo minore. Mentre gli eritrociti rivestiti da IgG sono solitamente distrutti nella milza, quelli ricoperti da solo C3b vengono distrutti (mediante fagocitosi e attraverso la produzione di sferociti) principalmente nel fegato62.

Così come nell’uomo, anche nel cane l’emolisi extravascolare è più comune di quella intravascolare e tipicamente si tratta di un processo meno acuto, spesso caratterizzato da sferocitosi e iperbilirubinemia2. Dato che l'emoglobina eritrocitaria entra nella via metabolica della bilirubina anziché riversarsi nella circolazione, nell'emolisi extravascolare non si riscontrano emoglobinemia ed emoglobinuria13.

2.4 – FISIOPATOLOGIA DELL’EMOLISI

In condizioni normali, dopo il rilascio dal midollo, i globuli rossi circolano nel sistema vascolare migliaia di volte prima di essere rimossi, distrutti e riciclati da parte del sistema monocito-macrofagico. La durata di vita degli eritrociti del cane è di circa 100-115 giorni, dopodiché i globuli rossi vecchi vengono rimossi dalla circolazione64. Il danno ossidativo, in particolare verso la fine della loro vita, sembra essere responsabile del normale invecchiamento degli eritrociti e della loro conseguente rimozione65. La normale via di rimozione dei globuli rossi è la distruzione intracellulare da parte delle cellule del sistema monocito-macrofagico di midollo osseo, milza, fegato e linfonodi; negli stati emolitici, però, la milza può diventare quantitativamente più importante del midollo66. I globuli rossi fagocitati sono digeriti all'interno dei fagolisosomi dei macrofagi e l'emoglobina viene dissociata in eme e globina. La globina, a sua volta, viene digerita e gli aminoacidi risultanti vengono riutilizzati. Il catabolismo dell'eme produce ferro, biliverdina e piccole quantità di ossido di carbonio. L'eme ossigenasi-1 è l'enzima limitante la velocità di degradazione dell'eme ed è responsabile del rilascio del ferro. Il ferro dell'eme può essere conservato nei macrofagi o immesso nella circolazione legato alla transferrina64,67,68. La biliverdina viene convertita all'interno del macrofagi in bilirubina non coniugata, che è relativamente insolubile in acqua. Quando la bilirubina lascia la cellula, si lega all'albumina con un legame non covalente, per migliorare la propria solubilità ed essere trasportata al fegato. L'assorbimento della bilirubina non coniugata da parte degli epatociti e la sua successiva coniugazione con glucuronidi produce la bilirubina coniugata, che è solubile in acqua e viene escreta mediante trasporto attivo nei canalicoli biliari per essere riversata nel lume

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intestinale. Qui la bilirubina coniugata viene catabolizzata ad urobilinogeno, il quale viene sia riassorbito sia convertito in stercobilinogeno, che viene escreto con le feci e contribuisce al loro colore marrone scuro. L'urobilinogeno riassorbito viene captato nuovamente dagli epatociti ed escreto con la bile oppure entra nella circolazione generale e viene escreto con le urine64.

La distruzione intravascolare dei globuli rossi, in condizioni normali, avviene con un tasso molto basso, come risultato dei traumi meccanici che avvengono nei piccoli vasi. In alcuni casi di accelerata emolisi con fissazione del complemento, i globuli rossi vengono distrutti mediante lisi intravascolare con tassi molto più elevati della norma, fenomeno che esita in emoglobinemia ed emoglobinuria66.

L’anemia da emolisi, quindi, si sviluppa quando il tasso di distruzione degli eritrociti, extravascolare e/o intravascolare, supera quello della loro produzione da parte del midollo osseo. Dal momento che i prodotti del catabolismo dell’emoglobina sono prontamente riutilizzati, l'anemia da emolisi è tipicamente intensamente responsiva (rigenerativa), e quindi caratterizzata da reticolocitosi ed incremento del volume corpuscolare medio (MCV)66. La durata di vita degli eritrociti ricoperti da anticorpi normalmente si riduce da circa 120 giorni a meno di 10 giorni69. Nell’uomo è stato provato che il midollo osseo può incrementare fino a 6 volte la produzione di eritrociti in corso di anemia emolitica, ed il cane sembra possedere una capacità rigenerativa simile; perciò, prima che l’anemia diventi evidente, deve essere distrutto un numero rilevante di globuli rossi1.

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CAPITOLO 3

CARATTERISTICHE CLINICHE DELL’IMHA PRIMARIA

3.1 – FATTORI PREDISPONENTI E SEGNALAMENTO

Nel cane sono stati definiti un certo numero di fattori predisponenti allo sviluppo di AIHA. Vi è innanzitutto una forte influenza genetica, suggerita dalla maggiore prevalenza della malattia in alcune razze (ad es. Bobtail, Cocker Spaniel, Border Collie, Barboncino, Springer Spaniel inglese, Setter irlandese, Schnauzer nano) e all'interno di particolari linee di sangue4,5,7,11,15,29,36,39,70–73. I Cocker Spaniel Americani rappresentano circa un terzo dei cani con IMHA12. Alcune tra queste razze sensibili possono anche presentare una maggiore incidenza per più di una malattia immunomediata70,72,74. Alcuni studi hanno inoltre rivelato associazioni con allotipi e aplotipi di geni del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC), che sono più forti quando sono considerati specifici gruppi di razza (ad es. Cocker e Springer Spaniel inglese): alcuni aplotipi MHC aumentano la suscettibilità all’IMHA, mentre altri sembrano conferire protezione75. Uno studio ha suggerito che l'espressione del gruppo sanguigno DEA7 nei Cocker Spaniel possa ridurre la suscettibilità all’IMHA29.

Anche se non esiste una chiara predisposizione di sesso, molti studi hanno rilevato una predisposizione nelle femmine e nei soggetti sterilizzati4,5,7,11,29,39,73,76,77 e la malattia sembra poter essere indotta dallo stress del parto e dall'estro 78. Alcuni studi indicano che i maschi interi sono meno rappresentati, il che può far ipotizzare una protezione da parte dagli androgeni nei confronti della malattia66.

L’età media di insorgenza della malattia è di circa 6 anni4,5,37,73,79, ma possono essere colpiti cani di qualsiasi età. Sebbene la maggior parte degli studi descrivano un esordio dopo il primo anno4,5,11,13,73, uno studio ha riscontrato la malattia anche in 8 cani di età inferiore ad un anno (su un totale di 222 cani)9.

Per quanto riguarda la stagionalità dell’AIHA, i vari studi hanno riportato risultati contrastanti: alcuni di essi hanno rilevato una maggiore incidenza della malattia durante i mesi caldi73,80, mentre altri non hanno notato alcuna associazione con la stagione5,81. Le possibili motivazioni dell’apparente stagionalità includono l'effetto della temperatura ambientale sulla risposta immunitaria, il maggiore rischio di disidratazione o distress

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respiratorio nei mesi più caldi, l'effetto di un potenziale agente infettivo non rilevato (come le malattie trasmesse da zecche, che si verificano più frequentemente durante la stagione calda) e la tempistica delle vaccinazioni14,37,82.

3.2 – SINTOMATOLOGIA

3.2.1 – Reperti anamnestici

Un’anamnesi accurata e precisa è raccomandata al fine di individuare possibili cause di emolisi, come le malattie trasmesse da zecche o l’esposizione a tossine/farmaci49. I segni clinici non differiscono nell’IMHA primaria e secondaria. Solitamente predominano i segni clinici di ipossia tissutale dovuti ad una anemia grave, anche se possono essere osservati segni associati ai prodotti dell’eccessiva emolisi (bilirubina o emoglobina libera) e al processo infiammatorio ed immunomediato generalizzato. Se l'insorgenza dell’anemia è lenta, i segni clinici possono essere minimi fino a quando l'anemia non diventa grave13.

Esistono due principali manifestazioni cliniche dell’IMHA canina: una forma con esordio acuto ed una con esordio cronico. La manifestazione clinica con esordio cronico (giorni o settimane) è quella più comunemente riconosciuta ed è caratterizzata da segni riferibili all’anemia, all’eritrofagocitosi e all’attività immunologica: debolezza, letargia, intolleranza all'esercizio, anoressia, febbre, pallore delle mucose, tachipnea, tachicardia, epato-splenomegalia, linfoadenomegalia. L’esordio acuto (1-2 giorni) è meno comunemente riscontrato ed è associato a grave emolisi intravascolare con ittero, emoglobinemia ed emoglobinuria, piressia e vomito14. Il paziente può perciò essere presentato alla visita sia per una crisi emolitica acuta sia, più comunemente, a causa di una prolungata storia di sintomi (da giorni o settimane).

I reperti anamnestici spesso includono collasso, debolezza, intolleranza all'esercizio, letargia, anoressia, tachipnea, dispnea, vomito e diarrea e, occasionalmente, poliuria e polidipsia. In alcuni pazienti anemici, i segni clinici sono minimi a riposo ma peggiorano con lo stress o con l’esercizio fisico13. La maggior parte degli autori, comunque, descrivono come sintomi più comuni la debolezza, l’anoressia e la letargia8; questi appaiono nell’80-95% dei casi, ma hanno ben poco valore diagnostico essendo altamente aspecifici. La revisione di Piek del

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2011 ha riassunto l'incidenza dei vari segni clinici riscontrati alla presentazione in sei studi condotti su casi di AIHA canina (tabella 3.1).

In tre di questi sei studi, una percentuale di cani pari all’1-5% presentava anche petecchie, probabilmente dovute ad una concomitante trombocitopenia immunomediata5,8,9. La voce “organomegalia” (tabella 3.1) si riferisce ad una organomegalia addominale craniale (riferibile a fegato e/o milza) riscontrata durante l’esame fisico83. Dalla tabella 3.1 si può evidenziare che i segni aspecifici, come la letargia e la perdita di appetito, si verificano nella maggior parte dei cani e sono accompagnati da vomito e diarrea nel 15-30% dei casi8,9,76. I segni più specifici di emolisi sono rappresentati dal colore giallo-arancio delle feci e da quello rossastro delle urine4,5,8,9,76.

3.2.2 – Reperti dell’esame obiettivo

L'esame fisico rivela segni clinici legati all’anemia, all’emolisi e/o al processo infiammatorio immunomediato. I segni clinici dovuti all’anemia che possono essere rilevati all’esame obiettivo generale sono ad esempio la tachicardia, la tachipnea, il polso rapido, le mucose pallide e il soffio sistolico4,5. Le mucose pallide, in particolare, sono evidenziate nel 98% dei pazienti8. Le alterazioni cardiovascolari quali la tachicardia, il ritmo di galoppo S3 e il soffio sistolico sono comuni nei pazienti anemici. Un soffio sistolico di II o III grado è frequentemente riscontrato negli animali con ematocrito inferiore al 15-20% ed è causato dalla turbolenza ematica associata all’anemia13.

Tabella 3.1 Incidenza dei principali segni clinici riscontrati al momento della presentazione nei cani

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Per quanto riguarda i segni dovuti all’emolisi, un'anomalia osservata piuttosto frequentemente all’esame obiettivo è l’ittero, che viene solitamente notato prima a livello delle mucose (quando il livello di bilirubina sierica supera i 2-3 mg/dl) e poi anche a livello della cute (quando le concentrazioni di bilirubina diventano più elevate)13.

Per quanto riguarda le alterazioni legate al processo immunomediato e all’infiammazione, reperti clinici frequenti sono la febbre84, riscontrata nel 46% dei cani8,9, l’organomegalia addominale craniale (dovuta a epato-splenomegalia), riscontrata nel 40% dei casi4,5,8,73 e la linfoadenopatia, più comune nella forma cronica della malattia7,14,73.

Circa il 50-70% dei cani con IMHA presenta anche una concomitante trombocitopenia immunomediata (sindrome di Evans)11,39,73,81. Inoltre, la trombocitopenia riscontrabile in corso di IMHA può essere anche dovuta al consumo piastrinico da CID. Se la trombocitopenia è grave possono essere presenti petecchie, ecchimosi e melena. Le petecchie sono evidenziate nel 2-5% dei casi di IMHA5,8.

Nei pazienti con IMHA possono inoltre essere identificati segni sistemici legati a lesioni da complessi antigene-anticorpo, tra cui poliartrite e glomerulonefrite. Il Lupus Eritematoso Sistemico (causato da autoanticorpi diretti contro i componenti nucleari, tra cui DNA, RNA e proteine nucleari) colpisce più organi e coinvolge sia l’ipersensibilità di tipo II sia quella di tipo III. Il danno immunitario può quindi essere diretto contro i globuli rossi, le piastrine ed altri organi, quali la pelle, le articolazioni e i reni13.

Infine, una certa percentuale di cani con IMHA manifesta dispnea a causa dell’insorgenza di tromboembolismo polmonare10,85, che rappresenta una comune complicazione di questa malattia. Il tromboembolismo è trattato in maniera approfondita nel capitolo 5.

3.3 – PROFILO EMATOLOGICO

Il classico profilo ematologico di un paziente con IMHA è caratterizzato da un’anemia moderata/grave, macrocitica ipocromica, rigenerativa, accompagnata da sferocitosi ed autoagglutinazione7,8,13,14,73,83,86,87. Altri riscontri frequenti all’esame dello striscio ematico sono i reticolociti, i policromatofili, i globuli rossi nucleati e l’anisocitosi14, a supporto del carattere rigenerativo dell’anemia.

La revisione di Piek del 2011 ha riassunto i risultati di nove diversi studi, comprendendo un totale di 614 cani, ed ha ottenuto un ematocrito medio del 14,8%, un valore mediano del

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14,5% ed un range del 4-32%83. Uno studio ha riscontrato che l’88% dei cani affetti da IMHA presentava un ematocrito inferiore al 20%85. L’ossigenazione dei tessuti risulta gravemente compromessa quando l’ematocrito scende al di sotto del 10%88 e può portare a grave intolleranza all'esercizio, tachipnea e tachicardia, con conseguente necessità di trasfusione di sangue83.

Una recente revisione sull’approccio diagnostico all'anemia nel cane nel gatto ha riferito che l’anemia emolitica è inizialmente normocitica normocromica (pre-rigenerativa) e solo dopo, quando la reticolocitosi diventa rilevante, diventa macrocitica ipocromica89. Inoltre, un’anemia rigenerativa può presentare abbastanza macrociti da riuscire ad aumentare il valore MCV ma non abbastanza globuli rossi ipocromici da riuscire a portare il valore MCHC al di sotto del limite inferiore dell’intervallo di riferimento, ed essere perciò un’anemia macrocitica normocromica86.

Una rigenerazione eritroide da lieve a marcata è stata dimostrata in due terzi dei pazienti al momento della presentazione iniziale7,8,73,87. La scarsa o nulla rigenerazione al momento della presentazione, riscontrata in un terzo di pazienti, può essere legata all’insorgenza acuta della malattia (e quindi alla mancanza del tempo sufficiente a sviluppare una rigenerazione adeguata) oppure alla presenza di anticorpi diretti contro i precursori eritroidi del midollo osseo12.

La sferocitosi è la principale tipologia di poichilocitosi riscontrata all’esame dello striscio ematico, che è stata identificata in un 89-95% dei cani con IMHA7,11,39. Gli sferociti, all’esame microscopico dello striscio, appaiono come piccoli e rotondeggianti eritrociti intensamente colorati, con assenza di pallore centrale. La loro peculiare forma origina dalla parziale perdita della membrana cellulare durante il processo di eritrofagocitosi extravascolare13. La presenza di sferociti non è patognomonica ma è considerata fortemente indicativa di IMHA8,13, in particolare se associata al riscontro di autoagglutinazione14. La sferocitosi può anche essere indirettamente diagnosticata usando il test di fragilità osmotica: l’aumentata fragilità osmotica riflette il fatto che la superficie degli eritrociti è ridotta in relazione al volume, con conseguente riduzione della capacità degli eritrociti di dilatarsi prima di raggiungere il punto di rottura90.

Il fenomeno dell’agglutinazione può essere osservato direttamente facendo ruotare la provetta oppure mettendo una goccia di sangue su un vetrino e osservandola al microscopio ottico. L’auto-agglutinazione può avvenire solo a 4°C, quindi il sangue deve essere

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refrigerato prima di questa valutazione. La vera autoagglutinazione (aggregazione di eritrociti mediata da anticorpi) può essere grossolanamente distinta dalla formazione di rouleaux (impilamento non immunomediato di globuli rossi) aggiungendo alla goccia di sangue un volume uguale di soluzione salina: in questo modo il rouleaux scompare, mentre l’agglutinazione persiste. Spesso si afferma che un risultato positivo al test di agglutinazione fornisce la prova definitiva a favore dell’IMHA ed esclude la necessità di un test di Coombs; tuttavia il test di Coombs può fornire preziose informazioni supplementari e quindi, ove possibile, dovrebbe essere eseguito14. Un risultato positivo al test di agglutinazione salina è comune negli animali con IMHA ed è stato riportato nel 40-89% dei cani con IMHA da numerosi studi5,7,11,39. Alcuni clinici raccomandano un vigoroso lavaggio degli eritrociti con soluzione salina per garantire che l’auto-agglutinazione sia vera e non artefatta; una persistente agglutinazione in seguito all’aggiunta di soluzione salina sembra essere correlata ad una elevata gravità della malattia e ad un alto tasso di mortalità13,77.

Un altro comune riscontro nel CBC dei cani con IMHA è la marcata leucocitosi neutrofilica con spostamento a sinistra (risposta leucemoide)13,14,83,91,92, che sembra essere dovuta alla combinazione di diversi fattori, tra cui l’aumentato rilascio di neutrofili da parte del midollo osseo durante la risposta rigenerativa eritroide, l’iperplasia mieloide stimolata da citochine pro infiammatorie (ad es. IL-1, IL-6 e TNF), la demarginazione dei neutrofili e la ridotta migrazione dei neutrofili nei tessuti necrotici poco perfusi13,14,93. Uno studio condotto nel 2001 ha suggerito che la leucocitosi dovrebbe allertare i clinici ad una potenziale necrosi tissutale secondaria all'ipossia anemica93 ed un altro studio ha riportato la leucocitosi come un indicatore prognostico negativo, senza aver valutato il contributo del left shift4. Quando la reazione leucemoide è associata alla presenza di globuli rossi nucleati in circolo, come spesso succede nell’IMHA, si parla anche di “reazione leucoeritroblastica”94. Molti cani presentano anche monocitosi1,15,95,96. Una percentuale minore di cani mostra una conta leucocitaria normale alla presentazione iniziale, e ancora più raramente viene evidenziata leucopenia8.

Nella tabella 3.2 sono riassunti i principali parametri del CBC, fino a qui analizzati, sulla base dei dati provenienti da nove diversi studi (totale di 614 cani con IMHA).

Il 67-85% dei pazienti con IMHA mostra inoltre un certo grado di trombocitopenia5,8,11,39,73 e nel 20% circa di questi soggetti la conta piastrinica risulta essere addirittura inferiore a 50000/l83. La trombocitopenia, nei cani con IMHA, può svilupparsi a causa di una

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coagulopatia da consumo risultante da CID, di una concomitante distruzione immunomediata delle piastrine (sindrome di Evans), di un sequestro splenico delle piastrine o di un fallimento nella produzione delle piastrine (immunomediata o da tossicità ai chemioterapici)7.

La presenza di CID è supportata dal riscontro di una bassa concentrazione di fibrinogeno nel 20% dei cani, di aumentate concentrazioni di D-dimero e altri FDP e di una diminuita attività antitrombinica8,11. Uno studio97 ha riscontrato, al contrario, un aumento della concentrazione di fibrinogeno nel 30-90% dei cani, verosimilmente dovuto al fatto che il fibrinogeno viene prodotto durante la reazione di fase acuta83.

La sindrome di Evans si verifica nel 20-45% dei casi di IMHA nel cane8,15 e sembra avere una prognosi peggiore rispetto alle singole malattie costituenti8,15,39,98, sebbene uno studio riporti una prognosi simile a quella delle due malattie costituenti99.

3.4 – PROFILO COAGULATIVO

I cani con IMHA possono presentare tutta una serie di anomalie emostatiche, tra cui PT e aPTT prolungati, FDP e D-dimero aumentati e attività antitrombinica ridotta11,39, così come un'attivazione delle piastrine circolanti, valutata mediante aumento dell'espressione della P-selectina di membrana81. Il tempo di protrombina risulta aumentato nel 50% dei casi e il

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tempo di tromboplastina parziale attivata nel 50-60% dei casi5,8,11,39. L’IMHA predispone gli animali all’ipercoagulabilità e di conseguenza allo sviluppo di CID, perciò i tempi di coagulazione dovrebbero essere valutati in tutti i pazienti con sospetta IMHA11. La riduzione della conta piastrinica causata della sindrome di Evans può essere difficile da differenziare dalla trombocitopenia causata da una iniziale CID, ma i tempi di coagulazione possono aiutare a differenziare le due condizioni: una trombocitopenia combinata a PT e aPTT prolungati e positività di D-dimero o FDP suggerisce la presenza di una dissoluzione di coaguli, come può accadere nella CID e nel tromboembolismo polmonare13.

Per quanto riguarda la concentrazione ematica del fibrinogeno, come precedentemente accennato, i cani con IMHA possono presentare ipofibrinogenemia (da consumo), normofibrinogenemia, o iperfibrinogenemia (da infiammazione acuta). Lo studio di Piek et al. del 2008 ha riportato un 18% di cani con ipofibrinogenemia, un 48% di cani con normofibrinogenemia ed un 34% di cani con iperfibrinogenemia8.

3.5 – PROFILO BIOCHIMICO ED ESAME DELLE URINE

Nei pazienti affetti da IMHA è possibile riscontrare, innanzitutto, un incremento della concentrazione della proteina C reattiva (PCR o CRP, C-reactive protein)100,101. Un recente studio ha osservato una concentrazione sierica di PCR notevolmente più elevata nei cani con IMHA rispetto ai cani sani. La concentrazione di PCR non differiva tra i vari pazienti in base alla sopravvivenza, ma potrebbe comunque rappresentare un buon marker per il monitoraggio a lungo termine di questi pazienti100.

Un’alterazione riscontrata molto comunemente è anche l'iperbilirubinemia7,8,66,102, che può essere sia di origine pre-epatica sia di origine epatobiliare. L’iperbilirubinemia pre-epatica è dovuta all'aumentata emolisi e quindi all’aumentata velocità di degradazione dell'emoglobina, che porta ad un eccessivo accumulo di bilirubina non coniugata nel sangue. L’iperbilirubinemia può non essere presente nei casi lievi o cronici di IMHA, se la bilirubina prodotta dalla distruzione degli eritrociti non supera la capacità del fegato di metabolizzarla. Il danno epatocellulare secondario all’ipossia, al tromboembolismo e all'ischemia può inoltre contribuire alla genesi dell’iperbilirubinemia13. Gli studi dimostrano, inoltre, che nella malattia emolitica sussiste un difetto nella clearance della bilirubina da parte del fegato, a causa dell’aumentata domanda metabolica in associazione alla necrosi centrolobulare da

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