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Comportamento responsabile delle imprese e percezione dei consumatori: il caso del "Vuoto a buon rendere" di Ichnusa

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di laurea magistrale

in Marketing e Ricerche di Mercato

Comportamento responsabile delle imprese

e percezione dei consumatori:

il caso del “Vuoto a buon rendere” di Ichnusa

Aurora Puddu

Relatore: Lucio Masserini Anno Accademico 2017/2018

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Indice

Indice I

1 Introduzione 1

2 La Responsabilità Sociale d’Impresa:

teorie e classificazioni 4

2.1 Definire la RSI . . . 5

2.1.1 Classificazione della RSI . . . 7

2.2 Le B-Corp e i LOHAS: la RSI diventa protagonista . . . 9

2.3 La norma SA8000 . . . 11

2.4 L’economia circolare . . . 12

2.5 Gli obiettivi di sviluppo sostenibile . . . 13

2.6 L’importanza della comunicazione della RSI . . . 15

3 Caso studio: Ichnusa e il vuoto a rendere 20 3.1 Ichnusa e la sua brand image . . . 20

3.2 Le politiche di responsabilità sociale del gruppo . . . 22

3.3 Le politiche di responsabilità sociale di Ichnusa . . . 23

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4 L’esperimento: il "Vuoto a buon rendere" di Ichnusa 28

4.1 La metodologia . . . 31

4.1.1 La scelta del design dell’esperimento . . . 33

4.2 Il questionario . . . 34

4.2.1 La scala Ethically Minded Consumer Behavior . . . 37

5 Analisi descrittiva 41 5.1 Descrizione delle variabili del questionario . . . 41

5.2 Composizione del campione . . . 44

5.2.1 L’eticità dei rispondenti . . . 46

5.2.2 I dati relativi il consumo di birra . . . 47

6 Analisi dell’intenzione d’acquisto 48 6.1 Analisi sull’omogeneità dei gruppi . . . 48

6.2 La variabile dipendente: la scala "Purchase Intention" . . . 53

6.3 Analisi dell’intenzione d’acquisto . . . 55

6.4 Modelli di regressione . . . 58

6.4.1 Modello di regressione lineare applicato a tutti i rispondenti . 59 6.4.2 L’interazione tra variabili . . . 64

6.4.3 Modello di regressione lineare applicato ai consumatori di birra 65 7 Conclusioni 68 Appendici 71 A Questionari completi 72 A.1 Questionario Rosso . . . 73

A.2 Questionario Verde . . . 80

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INDICE

C Analisi della variabile dipendente 89

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Il seguente lavoro di tesi è partito da lontano per arrivare fino a un problema ben definito e coinciso, che comunque rientra nella cornice generale delineata nei primi capitoli: in seguito a una presentazione approfondita delle tematiche di Responsa-bilità Sociale d’Impresa, ci si è soffermati sulla sosteniResponsa-bilità e sulla pratica del vuoto a rendere come azione virtuosa per le aziende e per l’ambiente, ed anche formati-va per i consumatori; infine è stato trattato il caso della campagna sul "Vuoto a buon rendere" lanciata da Ichnusa, la storica società birraia sarda. La trattazione di questo caso specifico ha permesso di capire come viene percepito dai consumato-ri il comportamento responsabile dell’impresa e in che modo influenza il momento dell’acquisto.

Un aspetto fondamentale è quello comunicativo, in quanto si tiene in considerazione la modalità con cui l’azienda ha effettuato la comunicazione dell’iniziativa tramite la trasformazione della classica bottiglia utilizzata e lo sconvolgimento dei colori caratterizzanti del marchio stesso.

Per giungere al cuore della tesi, costituito appunto dall’esperimento di cui era protagonista la nuova bottiglia di Ichnusa, è stato necessario studiare e presentare le motivazioni che hanno portato l’azienda, come tante altre, a inserire una nota di verde nella produzione. Gli albori del management e dell’imprenditoria furono caratterizzati esclusivamente dalla spinta verso il profitto, tanto che per alcuni de-cenni l’impatto generato verso l’esterno, in tutti i sensi, venne totalmente ignorato. In seguito alle grandi guerre che hanno sconvolto l’assetto mondiale, si sentì sempre di più la necessità di individuare dei diritti fondamentali dell’uomo, da proteggere tramite istituzioni e dogmi imprescindibili da riconoscere a livello globale, che

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sal-CAPITOLO 1. INTRODUZIONE

vaguardassero la dignità degli esseri umani. Alla presa di coscienza della condizione umana, si è unita anche quella della condizione ambientale: dopo essere stata tra-scurata per lunghissimo tempo, la situazione del pianeta è finalmente finita al centro di discussioni significative da parte degli enti di garanzia e salvaguardia.

A tal ragione, significativa è la nascita, nel 1972, del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), un’organizzazione che agisce per contrastare i cambiamen-ti generacambiamen-ti dal riscaldamento globale e in difesa dell’ambiente, promuovendo azioni volte alla salvaguardia del globo e formalizzando una volta per tutte ed a livello mondiale la necessità di soffermarsi con decisione su queste problematiche.

Questo processo coinvolse in maniera determinante anche le imprese, le quali non potevano comportarsi più da passive spettatrici ma dovevano agire in prima linea per la difesa ambientale. In questo nuovo panorama nato da una società in evolu-zione, che sempre più manifestava nuove necessità umane e ambientali, iniziarono a cambiare anche le priorità aziendali, e da un orientamento al profitto ci si diresse sempre più verso un comportamento volto alla generazione di valore a 360 gradi. Fondamentale era anche l’aspetto comunicativo con fine formativo e informativo, in quanto si doveva mirare a generare una consapevolezza diffusa anche fra i con-sumatori, per far sì che a loro volta potessero contribuire quanto più possibile alla risoluzione dei problemi già esposti, alla crescita e al miglioramento sociale ed am-bientale.

Le pratiche di responsabilità Sociale d’Impresa al giorno d’oggi sono protagoniste del sistema aziendale, a volte in maniera coercitiva, quando previste da regolamenti e leggi, talvolta in maniera facoltativa. L’unica certezza è che garantiscono una cresci-ta repucresci-tazionale dell’impresa e un miglioramento sociale e ambiencresci-tale estremamente significativo.

In questo contesto si inserisce il caso di studio che è stato preso in considerazione nell’analisi: il lancio da parte di Ichnusa della campagna "Vuoto a buon rendere" accompagnato dal restyling della bottiglia.

Il processo del vuoto a rendere delle bottiglie di vetro e plastica garantisce un mi-glioramento sostanziale dell’impatto ambientale dell’impresa, e in tanti stati è pro-tagonista del sistema produttivo già da decenni, grazie anche a previsioni legislative, mentre in Italia non è ancora diffuso. Ichnusa, nonostante lo praticasse già in

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pas-sato, ha rilanciato il progetto mettendo questa volta in evidenza il proprio impegno e il beneficio generato nei confronti della collettività.

L’esperimento realizzato tramite la diffusione di un questionario, permetterà di stu-diare come gli intervistati, al di là dell’essere consumatori o meno del prodotto, rea-giscono alla comunicazione sostenibile, e se questa può generare una crescita della disponibilità ad acquistare un prodotto, tenendo in considerazione anche l’eventuale tendenza all’eticità e alla sostenibilità.

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2

La Responsabilità Sociale d’Impresa:

teorie e classificazioni

L’eterna lotta nel campo aziendale è quella che ha visto contrapporsi per decenni i sostenitori del profitto come unico fine dell’attività d’impresa, anche a discapito degli interessi della comunità circostante, e coloro che predicano una molteplicità di finalità oltre quella economica, di tipo qualitativo e quantitativo, che tengano conto dell’ambiente che circonda l’azienda. Per lungo tempo, nessuna obiezione è stata posta allo scopo di massimizzazione del profitto, ma con il passare degli anni e la crescente attenzione alle tematiche ambientali e sociali e con la nascita di organismi internazionali che hanno individuato e formalizzato i diritti umani fondamentali dell’uomo in ambito lavorativo e sociale, anche la vita aziendale ha visto nascere (o semplicemente emergere) la necessità di articolare in maniera più razionale i propri scopi.

A questo si aggiunge l’attenzione crescente verso la sostenibilità, che smette di essere accessoria e opinabile, per diventare un fattore fondamentale per il mantenimento di un buon livello reputazionale. La consapevolezza è diventata la parola chiave della realtà attuale. Conoscere ed essere consapevoli è prerogativa a diffusione crescente tra la popolazione, la quale, agevolata da mezzi sempre più efficienti, si informa sull’azione e sul comportamento delle aziende. Sempre più soggetti si preoccupano della qualità della vita e quindi chiedono alle imprese uno sforzo maggiore rispetto al mero risultato economico, una maggiore attenzione nei confronti della salvaguardia ambientale e sociale.

La presa di coscienza delle condizioni ambientali sempre più precarie, accompagnate alla rapida ed incessante crescita della popolazione mondiale collegata alla necessità

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incrementale di risorse, ha portato le realtà aziendali ad adottare un comportamento responsabile. La capacità di un’azienda di adottare un comportamento sostenibile si può esprimere come il grado con cui l’azienda stessa ha capacità di rigenerarsi nel tempo mantenendo inalterate le qualità iniziali [31].

2.1

Definire la RSI

La responsabilità sociale d’impresa (RSI), meglio nota come CSR (Corporate Social Responsbility) nel mondo anglosassone, consiste in una serie di pratiche aziendali orientate alla sostenibilità sociale ed ambientale dell’impresa, sotto molteplici punti di vista e nei confronti di tutti i soggetti coinvolti nella vita aziendale [26]. Si tratta di una vera e propria presa di coscienza dell’impatto che un’impresa ha su tutto il tessuto sociale ed economico che la circonda [16]. Erroneamente, può capitare che tale definizione venga intesa esclusivamente in senso ambientale, mentre lo spettro d’azione è molto più ampio e articolato: la sostenibilità va intesa in senso ampio, che comprende sia l’ambito ambientale, che quello etico, sociale, filantropico ed energe-tico.

Fino alla metà degli anni Ottanta la massimizzazione del profitto era l’unico obietti-vo d’impresa ad essere considerato, e tanto meno si badava all’impatto all’esterno di tale attività. Col tempo questa visione è diventata man mano obsoleta, anche a cau-sa dei problemi sempre più consistenti che sono stati riscontrati a livello ambientale dovuti all’inquinamento crescente avvenuto di pari passo con l’industrializzazione. Un comportamento menefreghista e sregolato da parte dei produttori è diventato insostenibile, e viene sempre più disincentivato anche dalla legislazione.

A partire dalla metà degli anni Ottanta, è stato sempre più adottato un modello aziendale orientato alla soddisfazione delle necessità di tutti i soggetti legati all’im-presa, in maniera sia diretta che indiretta, e considerando interessi non solo di tipo economico. Gli stakeholder in effetti, letteralmente le "parti interessate", sono for-temente coinvolte dall’agire aziendale [11]. La figura 2.1 offre un esemplificazione di quali potrebbero essere le parti interessate sulle quali si riflettono le azioni aziendali.

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CAPITOLO 2. LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA: TEORIE E CLASSIFICAZIONI

Figura 2.1: Diagramma stakeholder aziendali.

Una definizione chiara della responsabilità sociale d’impresa, che viene ritenuta fra le più esaustive e sulla quale si è basata la normativa comunitaria di tale tematica, risale al 1987 ed è contenuta in un rapporto stilato da Brundtland, allora presiden-te della Commissione Mondiale su Ambienpresiden-te e Sviluppo delle Nazioni Unipresiden-te. La definizione spiega la sostenibilità come segue:

"Lo sviluppo che è in grado di soddisfare i bisogni della generazione presente, senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri bisogni."

In queste poche righe, emerge la natura estremamente altruistica della RSI che mira al rispetto degli interessi della società non solo attuale, ma anche e soprattutto futura, conciliando la natura economica dell’attività d’impresa con i bisogni delle generazioni future, in modo da non influenzarne lo stile di vita.

La responsabilità sociale d’impresa, secondo l’impostazione attuale, ha lo scopo di garantire alle società future un livello ambientale e di risorse almeno pari a quello odierno, tramite una serie di precauzioni e provvedimenti orientati allo sviluppo sostenibile.

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2.1.1

Classificazione della RSI

Gli stakeholder aziendali sono i soggetti protagonisti di questi processi, e possono avere natura molto differente a seconda del tipo di interesse che li lega all’attività aziendale. Nel tempo vari studiosi si sono susseguiti nello studio e nell’interpreta-zione dei vari rapporti che formano la rete aziendale, in modo da poter formalizzare e classificare le varie interazioni fra impresa e società, e costruire uno schema della responsabilità sociale.

Figura 2.2: La Piramide della RSI di Carroll

Uno degli schemi più noti ed affermati è la Piramide di Carroll (1979) [12, 13], in figura 2.2, che individua le quattro macro aree che richiedono l’impegno da parte dell’attività aziendale:

1. La responsabilità economica alla base della piramide, in quanto le aziende costituiscono le unità elementari del tessuto economico della società. Inoltre gli stakeholder primari si aspettano una remunerazione economica, e quindi si tratta della parte più consistente che gli permette di ottenere la remunerazione attesa.

2. Al secondo posto della piramide troviamo la responsabilità legale, ossia tutti gli adempimenti legislativi che sono imposti all’impresa dal paese in cui opera e che non sono opzionali.

3. La responsabilità etica occupa il terzo gradino della piramide, e comprende tutte quelle regole che non sono incluse nelle prime due tipologie citate, ma

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CAPITOLO 2. LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA: TEORIE E CLASSIFICAZIONI sono attese dalla società, in quanto considerate corrette, anche a livello mo-rale. L’azienda non ha l’obbligo legislativo di osservare queste regole, ma non facendolo risulta molto screditata agli occhi degli stakeholder, che le reputano indispensabili. Agisce dunque per la salvaguardia della propria immagine. 4. Sulla punta della piramide si trova la responsabilità filantropica,

l’appli-cazione della quale è del tutto a discrezione dell’azienda, e consiste principal-mente nell’intervento in problemi anche non direttaprincipal-mente generati dall’impatto aziendale, e relativi a svariati gruppi sociali o al settore ecologico (donazioni, volontariato). In questo caso si tratta puramente di generare un miglioramen-to alla comunità in maniera del tutmiglioramen-to volontaria, e non di una remunerazione dovuta in cambio di danni o scompensi apportati dall’azienda.

Con le premesse date finora, è facile capire che la sostenibilità non rappresenta una strategia di breve termine, ma si incastra nel DNA aziendale, è una vera e propria filosofia fondante, che oltre la generazione di effetti per la comunità circostante, produce benefici di vario tipo per l’azienda stessa [31]:

• vantaggi industriali, in quanto diventa più semplice individuare aree di miglio-ramento dei processi;

• vantaggi normativi, consistenti nell’adeguamento rapido alle normative am-bientali;

• vantaggi competitivi, sia per lo sviluppo di prodotti eco-sostenibili che ga-rantiscono una differenziazione maggiore e più efficace, sia per la migliore reputazione nel mercato.

La teoria della Triple Bottom Line di Elkington [17] sostiene che un’orga-nizzazione per generare risultati nel lungo periodo e creare un vantaggio competitivo, deve necessariamente attuare una strategia che si basi su tre variabili, individuate come le 3P: Profitto, Pianeta e Persone. Oggigiorno, l’azienda che ignora questa necessità, può avere successo solo nel breve periodo, e si troverà inesorabilmente sbaragliata dalle concorrenti che hanno agito in maniera sostenibile.

Il principale scopo di questa teoria è quello di evidenziare che l’adozione di prati-che pro-sostenibilità non può essere ritenuta solamente uno strumento di marketing,

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ma dev’essere un elemento fondante della filosofia aziendale. La generazione di ric-chezza economica deve essere accompagnata dalla creazione di ricric-chezza più ampia, portatrice di un benessere diffuso. L’azienda deve misurare il proprio agire con le persone, sia i soggetti interni che la comunità esterna, ma deve anche avere un occhio di riguardo per l’eco-sistema.

Nel modello elaborato da Swoboda-Lowenberg [40] viene spiegata la relazione tra la sostenibilità e la Responsabilità Sociale. Si tratta di un modello bifasico: nel primo micro-livello, si posizionano le pratiche di RSI, che permettono di accedere al macro livello, che è l’obiettivo finale, dove si trova lo sviluppo sostenibile, che si traduce in azioni pratiche che mirano a un progresso sociale, ecologico ed economico. In quest’ottica, le pratiche di CSR vengono utilizzate come mezzo per arrivare a uno scopo sociale molto più elevato.

2.2

Le B-Corp e i LOHAS: la RSI diventa protagonista

Come si è visto finora, lo sviluppo delle pratiche di RSI nasce da una presa di co-scienza crescente dell’impatto aziendale nei confronti dell’ambiente e della società. Col tempo il coinvolgimento è cresciuto a un livello tale che si sono create comunità e associazioni di imprese e di consumatori che ne condividono e diffondono i principi della sostenibilità.

Questi soggetti hanno raggiunto un’importanza notevole per le aziende, tanto da aver definito un nuovo segmento di mercato che da dieci anni a questa parte è in continua crescita. Nel mondo anglosassone e in Germania è stato definito come co-munità LOHAS, acronimo di Lifestyles of Health and Sustainability, letteralmente "Stili di vita improntati sulla salute e sulla sostenibilità": si tratta di soggetti for-temente coinvolti nella salute propria e del pianeta, che muovono le proprie scelte quotidiane, come l’acquisto o l’utilizzo di beni o servizi, nella direzione dell’ecososte-nibilità. Sono persone solitamente istruite e attente, consapevoli del fatto che a ogni azione, anche quella che può sembrare più innocua, corrisponde una determinata reazione che impatta in qualche modo sulla società, sull’ambiente, sulla comunità che gli sta intorno: hanno una forte cognizione della relazione causa-effetto delle

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CAPITOLO 2. LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA: TEORIE E CLASSIFICAZIONI proprie azioni. Fra i tanti prodotti acquistati dai LOHAS si possono citare, a titolo di esempio, alimenti biologici, elettrodomestici a risparmio energetico, yoga ed eco-turismo.

Il profilo di questi soggetti si può completare come segue [5]: praticano stili di vita naturali, utilizzando prodotti a basso consumo e arredamento e abbigliamento soste-nibili; acquistano prodotti per la salute personale di tipo naturale e biologico; fanno uso della bioedilizia, e quindi sistemi a energia rinnovabile, alternativi, certificazioni per gli edifici; mezzi di trasporto alternativi, come come veicoli ibridi, carburante biodiesel e programmi di car sharing; quando viaggiano, praticano l’ecoturismo; uti-lizzano energie alternative.

La stima attuale sostiene che a livello mondiale a questa categoria di soggetti ap-partengano circa 100 milioni di persone, mentre nel nostro continente sono circa il 20% della popolazione. La Germania è capofila di questa rappresentanza, in quanto circa un terzo della popolazione risulta essere parte del segmento. Negli USA questo segmento di mercato genera un indotto di 209 miliardi di dollari, e comprende circa il 19% della popolazione [5].

Le comunità che uniscono e condividono i valori della responsabilità sociale non sono solo tra le fila dei consumatori, ma è un fenomeno che ha coinvolto in maniera massiccia anche le aziende. In questo caso, degno di nota è il movimento delle B-Corp [34, 43].

Quello delle Benefit corporation è un vero e proprio stato giuridico, riconosciuto in vari stati a livello globale e in Italia a partire dal 1 gennaio 2016. La differenza rispetto alle altre società costituite giuridicamente è che in questo caso si riconosce non solo lo scopo di profitto, ma anche di responsabilità e trasparenza. Gli azionisti sono direttamente coinvolti nel processo di supervisione non soltanto delle presta-zioni economiche, ma anche di altra natura, sia qualitativa che quantitativa, in base agli obiettivi che sono stati dichiarati dall’impresa stessa. Prima della nascita di questa categoria giuridica lo scopo altro rispetto al profitto era difficile da gestire, si basava esclusivamente sul sistema di norme di diligenza, le quali non sempre sono tenute in considerazione in sede di valutazione giuridica. Con una legislazione de-dicata le Benefit Corporations possono richiedere agli investitori di valutare anche l’impatto sugli stakeholder, nella totale libertà di perseguire una missione altra

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ri-spetto a quella economica.

Questo riconoscimento da parte del sistema giuridico italiano, nonché il successo che è stato riscosso in appena due anni da questo movimento, che ha raccolto 200 azien-de, ci fa capire quanto gli obiettivi extra-profit stiano sempre di più raccogliendo l’attenzione dei manager.

Nel sito ufficiale di questo movimento si trova la dichiarazione di indipendenza che racchiude tutti i principi che guidano le imprese orientate alla responsabilità sociale. Scrivono così: "Immaginiamo un’economia globale, che usa il business come una forza per fare il bene. Questa economia è composta da un nuovo tipo di società, le B Corporation, che sono guidante dal voler creare valore per tutti gli stakeholder, e non solo per gli azionisti. Come società e leader appartenenti a questa economia emergente, noi crediamo:

Che dobbiamo essere il cambiamento che cerchiamo nel mondo.

Che tutti gli affari dovrebbero essere condotti come se la gente e il posto importas-sero.

Che, attraverso i loro prodotti, pratiche e profitti, le imprese dovrebbero aspirare a non fare del male e creare valore per tutti.

Per farlo è necessario agire con la consapevolezza che ognuno di noi dipende da un altro e quindi siamo responsabili ognuno per gli altri e per le generazioni future."[6]. Le B-Corp si impegnano per rispettare i più alti standard di responsabilità e traspa-renza. Attualmente si contano più di 2000 aziende appartenenti a questo movimento, provenienti da 50 diversi stati e 130 settori diversi.

2.3

La norma SA8000

Uno dei principali strumenti che vengono utilizzati per garantire le prestazioni in ambito di RSI è la norma SA8000:2014, dove l’acronimo SA sta per Social Accounta-bility. Si tratta di uno standard internazionale che certifica gli aspetti della gestione aziendale concernenti la responsabilità sociale delle imprese, redatto dal CEPAA, ossia il Council of Economical Priorities Accreditation Agency. Si tratta della pri-ma norpri-ma internazionale ad occuparsi della certificazione del RSI [18].

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CAPITOLO 2. LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA: TEORIE E CLASSIFICAZIONI Nello specifico, i temi trattati dallo standard sono il rispetto delle regole sull’etica del lavoro, il rifiuto di tutte le condizioni lavorative di disagio e spregevoli, in condi-zioni disumane, di sfruttamento, con retribuzione iniqua o senza rispettare i requisiti minimi per garantire il rispetto della salute e della sicurezza per il lavoratori. Que-sti temi consistono in una serie di provvedimenti e princìpi previQue-sti principalmente dall’International Labour Organization (ILO).

La prima edizione risale al 1997 ed è stata poi aggiornata tramite quattro successive versioni, nel 2001, nel 2004, nel 2008, e infine l’attuale versione che risale al 2014, con la quale è stata introdotta la Social Fingerprint, una misura di autovalutazione del sistema di responsabilità sociale articolato in 10 aree.

Nonostante gli svantaggi, consistenti principalmente nel fatto che lo standard non comprende tutte le aree previste dalla responsabilità sociale, e nell’elevato impegno richiesto per l’ottenimento e il mantenimento della certificazione, in termini sia di tempo che finanziari, possono essere annoverati vari punti di forza garantiti dal-l’applicazione della norma. Prima di tutto, genera un impatto vigoroso e positivo sull’immagine aziendale, mentre si riduce drasticamente il rischio di reputazione. Questo si deve sia al fatto che si tratta di un riconoscimento valido a livello globale, sia al fatto che viene assegnato da un organismo esterno, il che incrementa notevol-mente la credibilità della certificazione agli occhi dei consumatori e degli stakeholder in generale.

In sintesi, risulta un chiaro miglioramento sotto molteplici punti di vista, quali la gestione del rischio aziendale, nelle relazioni con i soggetti coinvolti nell’azienda, e per la reputazione.

2.4

L’economia circolare

I concetti di cui si è parlato finora fanno parte di un progetto molto più vasto, di un’evoluzione dell’economia in toto. Si parla di economia circolare proprio per indicare un sistema economico che sia in grado di riutilizzare tutti i materiali che immette nel ciclo produttivo una o più volte, in modo da ridurre al minimo gli sprechi. Gli oggetti che sembrano essere giunti al termine della loro vita, vengono

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rigenerati per entrare di nuovo in circolo e diventare risorse per qualcun altro [38]. Parlando di economia circolare, è inevitabile il riferimento alla Ellen MacArthur Foundation, che si occupa attivamente e specificamente di promulgare i principi di questo sistema virtuoso. Proprio questa fondazione ne dà una definizione precisa, descrivendo l’economia circolare come "un’economia pensata per potersi rigenerare da sola". I flussi di materiali seguono due direzioni: flussi biologici, ossia quei materiali che possono essere reimmessi nella biosfera, e flussi tecnici, costituiti da materiali che non possono essere reintegrati nella biosfera ma vengono rivalorizzati. Per quanto riguarda l’impatto di questo tipo di economia, uno studio su sette nazioni europee ha rilevato che la sua applicazione permetterebbe di ridurre le emissioni di gas serra di ciascuno di questi stati del 70%, e di incrementare la forza lavoro del 4% [38].

2.5

Gli obiettivi di sviluppo sostenibile

I Paesi membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite nel 2015 hanno stilato un documento, l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, che stabilisce una serie di obiettivi fondamentali da raggiungere nel periodo prefissato. La struttura orga-nizzativa è articolata in 17 obiettivi principali, ciascuno dei quali è ulteriormente approfondito, articolandosi in un totale di 169 sotto-obiettivi.

Nel documento ufficiale stilato durante l’Assemblea Generale del 25 settembre 2015 è espressa la volontà di attuare i diritti umani di tutti e raggiungere l’ugua-glianza di genere, con interventi spalmati nell’arco di 15 anni che riguardano: le persone, il pianeta, la prosperità, la pace e la collaborazione. L’impresa non è affat-to semplice, ma probabilmente è realizzabile, in quanaffat-to gli Obiettivi del Millennio che erano stati stipulati hanno portato a risultati rilevanti, migliorando la vita di milioni di persone e diminuendo la povertà a livello globale [20], come per esempio interventi per combattere la malaria o l’AIDS . Tutti i Paesi che hanno partecipato all’assemblea sono tenuti non solo al rispetto degli obiettivi, ma ad attuare politiche e soluzioni attive per il loro raggiungimento, ovviamente tenendo conto della capa-cità di azione del singolo di stato.

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CAPITOLO 2. LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA: TEORIE E CLASSIFICAZIONI

Figura 2.3: Gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile

I 17 obiettivi sono graficamente esposti nella figura 2.3 (fonte Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo), e sono i seguenti [30]:

1. Porre fine ad ogni forma di povertà nel mondo;

2. Porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutri-zione e promuovere un’agricoltura sostenibile;

3. Assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età

4. Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di appren-dimento per tutti;

5. Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze; 6. Garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle

strutture igienico-sanitarie;

7. Assicurare a tutti l’accesso a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni;

8. Incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occu-pazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti;

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9. Costruire un’infrastruttura resiliente e promuovere l’innovazione ed una indu-strializzazione equa, responsabile e sostenibile;

10. Ridurre l’ineguaglianza all’interno di e fra le nazioni;

11. Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili; 12. Garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo;

13. Promuovere azioni, a tutti i livelli, per combattere il cambiamento climatico; 14. Conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine

per uno sviluppo sostenibile;

15. Proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre; 16. Promuovere società pacifiche e inclusive per uno sviluppo sostenibile;

17. Rafforzare i mezzi di attuazione e rinnovare il partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile.

Si tratta certamente di obiettivi pretenziosi, ma sono estremamente necessari, e rappresentano una presa di posizione forte ma estremamente necessaria, soprattut-to da parte di organizzazioni come quella delle Nazioni Unite che determinano il comportamento e influenzano la legislazione degli stati.

2.6

L’importanza della comunicazione della RSI

La funzione di uno standard è quella di certificare in maniera inconfutabile che nel-l’azienda vengono rispettate determinate regole e norme relative un certo ambito, nel nostro caso, la responsabilità, sotto molteplici punti di vista. Detto ciò, è evidente che la necessità di una dichiarazione che certifichi e garantisca queste informazioni nasce non dall’azienda stessa, bensì da parte di quei soggetti che hanno un interesse, di svariato tipo, nei confronti del comportamento aziendale. I destinatari e i richie-denti stessi delle certificazioni quindi sono proprio gli stakeholder, e l’azienda nutre interesse nel migliorare il più possibile la comunicazione con essi, assolvendo questa

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CAPITOLO 2. LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA: TEORIE E CLASSIFICAZIONI richiesta con strumenti di garanzia forte.

Inoltre, gli standard permettono anche di rendere confrontabili, riguardo l’aspetto preso in considerazione, aziende diverse, appartenenti allo stesso settore o anche a settori di diversa natura.

Già questo è sufficiente a far capire quanto effettivamente sia importante la comu-nicazione dei risultati per i soggetti che orbitano intorno alla vita aziendale, la cui necessità è quella di percepire un eventuale rischio derivante dall’impatto societario. La comunicazione ambientale può definirsi come "l’insieme delle strategie e delle azioni poste in essere da istituzioni, imprese, mass media allo scopo di diffon-dere una corretta conoscenza dei temi ambientali, promuovere un rapporto costante di dialogo e di cooperazione tra i cittadini, consumatori, istituzioni, imprese, clienti e fornitori, e agevolare il processo di costruzione del consenso."

Perché è importate?

Prima di tutto, perché una comunicazione efficiente permette di creare una barriera tra le aziende che praticano il greenwashing e quelle che non lo fanno, rafforzando queste ultime e la loro credibilità. Inoltre, sono i consumatori stessi che richiedono una comunicazione efficace ed efficiente. Questi vengono definiti Prosumers: hanno un ruolo attivo nella società e nella determinazione delle scelte aziendali, agiscono informati e sono attenti al comportamento e alla comunicazione esterna. Preceden-temente si è parlato anche dei gruppi di consumatori individuati dagli agenti interni ai mercati, e questo mette in evidenza che l’importanza è reciproca, e quindi anche le aziende hanno interesse sempre maggiore a comprendere e comunicare in maniera efficiente con questa categoria.

Dato per assodato il valore chiave ricoperto dall’agire sostenibile, nasce il problema di coloro che approfittano della corrente della RSI senza però applicarne in maniera effettiva le pratiche. Il fenomeno di cui si sta parlando è quello del greenwashing, definibile come "una pratica abbastanza diffusa, non sempre lecita, associata a quelle aziende che si servono della comunicazione per attribuire valenze di carattere am-bientale alle proprie attività, nonostante nella realtà esse siano guidate solo in parte, o non lo siano affatto, da logiche di marketing sostenibile."[1, 23].

Tramite questa strategia di comunicazione le aziende cercano di ottenere i vantaggi competitivi generati dall’applicazione delle pratiche di responsabilità sociale, senza

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averle effettivamente applicate, oppure sovrastimando l’effettività. Si tratta sostan-zialmente dell’utilizzo di campagne di comunicazione ingannevoli. Con l’attuale evoluzione del mercato in senso sostenibile si va sempre di più verso una condizione in cui solo le aziende che la praticano effettivamente riusciranno a distinguersi e a comunicare all’esterno le proprie azioni, eliminando dal mercato i maniera pulita le ingannevoli.

Il modello delle "6 i" elaborato da John Grant [19] individua sei aspetti chiave da tenere in considerazione per attuare una buona strategia di marketing sostenibile.

• L’intuitività, perché il marketing sostenibile deve fare in modo che i prodotti green non siano percepiti come qualcosa di inarrivabile, ma come accessibili, e semplice da capire. Spesso questi prodotti hanno un alto valore tecnologico, e le caratteristiche che li differenziano potrebbero essere complesse. Mette-re in evidenza i motivi per cui si diffeMette-renziano agevola sicuramente il loro apprezzamento.

• L’integrazione fra tutte le leve strategiche è fondamentale per un approccio che generi effetti nel lungo periodo.

• L’innovazione è un elemento base della sostenibilità perché permette la crea-zione di soluzioni sempre nuove e migliori che impattino sempre meno sul ter-ritorio. L’innovazione genera prodotti in grado di rispettare le nuove necessità della comunità e del pianeta.

• L’invito all’acquisto dei prodotti verdi, che devono essere presentati in modo da sembrare più attraenti dei prodotti normali.

• L’informazione sulle iniziative sostenibili dell’azienda deve creare una nuova consapevolezza nei consumatori e spingerli a un consumo responsabile. Si deve trattare di una comunicazione leale e onesta, in grado appunto di informare ed educare, no di abbindolare.

• L’interdisciplinarità, in quanto una strategia sostenibile necessita della col-laborazione di tante aree differenti che ne sviluppino i vari aspetti tecnologici, creativi, comunicativi ecc.

(23)

CAPITOLO 2. LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA: TEORIE E CLASSIFICAZIONI La svolta green delle imprese non è qualcosa di improvviso, ma ci si arriva dopo percorsi elaborati e profondi di revisione dei propri processi e tramite un miglio-ramento continuo di questi aspetti. Si tratta di un’ottimizzazione di tutto il ciclo di vita dei prodotti, dalla culla alla tomba, considerando quindi sia le fasi di re-perimento delle materie prime, trasformazione, distribuzione, uso, manutenzione e dismissione [31]: in tutte le fasi va considerato e analizzato l’impatto ambientale e sociale della produzione.

Risulta chiara la differenza esistente fra la comunicazione della sostenibilità e la classica comunicazione commerciale. Un prima differenza rilevante è ascrivibile al differente obiettivo ricercato nei due casi: mentre la comunicazione classica cerca principalmente di concludere uno scambio economico, cercando di rendere note le caratteristiche qualitative del prodotto o del brand (in passato spesso questo avveni-va anche tramite l’inganno, tecnica che ora è stata abbandonata), la comunicazione della sostenibilità non sposa la persuasione ma piuttosto ha uno scopo puramen-te informativo. Deve cercare di avvicinare il più possibile tutti gli stakeholders e l’azienda, di comunicare in maniera concreta le capacità delle strategie adottate dal-l’impresa di arrivare agli obiettivi prefissati. Solitamente gli argomenti legati alla sostenibilità si legano a un certo grado di complessità che li rende ostici e di non immediata comprensione: la comunicazione deve essere in grado di colmare questo gap, rendendo fruibili a tutti gli interessati le strategie imprenditoriali intraprese. Per ottenere un risultato comunicativo di questo tipo, si deve fare leva sulla creativi-tà e sulle idee, trasmesse dai mezzi di comunicazione coerenti con il messaggio stesso. Ci sono diverse caratteristiche che non possono essere tradite affinché si ottenga una buona comunicazione sostenibile:

• la correttezza e veridicità delle informazioni, le quali devono avere un fondamento tecnico-scientifico, e avvenire in modo trasparente e basando-si su dati attendibili, fondati su analibasando-si codificate e standardizzate a livello internazionale;

• la chiarezza, che deve essere garantita nonostante la complessità degli argo-menti, in modo da essere resi fruibili e comprensibili per tutti;

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• l’accuratezza, necessaria per una comunicazione puntuale e precisa, inequi-vocabile e sempre sostenuta da dimostrazioni scientifiche oggettive;

(25)

3

Caso studio: Ichnusa e il vuoto a rendere

In questo capitolo verrà presentato un approfondimento riguardante l’azienda Ich-nusa, i cui prodotti saranno oggetto dell’esperimento condotto, riportato nei capitoli successivi. Inoltre, si parlerà anche della pratica del vuoto a rendere, con un focus internazionale, in quanto anche questa tematica sarà ripresa nei capitoli successivi.

3.1

Ichnusa e la sua brand image

Ichnusa è una storica azienda produttrice di birra nata a Cagliari nel 1912, appar-tenente al gruppo olandese Heineken dal 1986. L’attuale stabilimento di produzione si trova vicino al capoluogo sardo, ad Assemini, dove nel 1963 venne costruito un nuovo impianto all’avanguardia, grazie all’istallazione del primo impianto di produ-zione in Italia con serbatoi di fermentaprodu-zione verticali conici.

Nonostante il cambio a livello amministrativo, la produzione della birra è rimasta nel tempo sempre interamente onere dello stabilimento sardo, puntando sempre su una forte identificazione con la realtà territoriale. L’azienda ha infatti costruito nel tempo la propria brand image proprio sull’identità territoriale, e questo è bastato nel tempo a costruire un’immagine talmente forte da rendere la bionda sarda leader in-discusso del mercato nell’isola. Il dato è interessante se si tiene conto anche del fatto che il consumo di birra in Sardegna è particolarmente elevato, circa doppio rispetto alla media nazionale italiana. Questo dato porterebbe naturalmente a pensare che a un alto consumo corrisponda anche un’elevata varietà di marche consumate, inve-ce sorprendentemente il consumo è quasi completamente coperto dalla produttriinve-ce

(26)

sarda.

Questo comportamento in letteratura è ascrivibile all’effetto "Country of origin" [42], che il tempo è stato rivalutato svariate volte per capire se davvero fosse influente durante il processo d’acquisto. Obermiller e Spangenberg (1989) [29] riconducono l’influenza del processo suddetto a tre componenti fondamentali:

• nel caso della componente cognitiva, il paese di origine viene utilizzato dal consumatore per valutare la qualità del prodotto, in mancanza di fattori che la definiscano meglio, tramite l’associazione al prodotto delle caratteristiche percepite per il paese di provenienza;

• la componente affettiva entra in gioco quando il paese di origine del prodot-to suscita nel consumaprodot-tore un valore affettivo, costituiprodot-to da un determinaprodot-to legame con il paese stesso, che può essere generato anche da una vacanza, oppure un valore simbolico (per esempio si associa al paese una determinata identità o status sociale);

• nella componente normativa l’acquisto si basa sulla volontà o meno di sostenere l’economia di quel determinato paese, solitamente per motivi etici.

In questo caso, sarebbe la componente affettiva a generare la maggiore volontà dei sardi ad acquistare principalmente la birra che viene prodotta nella propria isola e brandizzata con la propria bandiera.

Altro punto di vista della letteratura che spiega il comportamento in esame è quello di Shimp e Sharma [37], che danno un forte risalto agli atteggiamenti etnocentrici dei consumatori, elemento che li porta a preferire i prodotti nazionali a prescindere da altre caratteristiche. Questo porta a una sovrastima delle caratteristiche effettive del prodotto, non basata sull’utilizzo dello stesso, ma su quella che è una mera percezione.

Questi atteggiamenti sono stati teorizzati in riferimento a unità statali e nazionali, il che sembrerebbe non essere il caso della Sardegna, la quale non rientra in questa tipologia. In realtà, tanti sono i fattori che nel tempo hanno portato a sviluppare nella popolazione un senso di appartenenza territoriale molto marcato, fattori sia di tipo territoriale (il fatto di essere un’isola molto distante dal resto della nazione

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CAPITOLO 3. CASO STUDIO: ICHNUSA E IL VUOTO A RENDERE

ha limitato nel tempo la contaminazione), sia storici, che l’hanno vista per lungo tempo staccata dalle realtà italiane, sia, infine economici, a causa di uno sviluppo più lento e di situazioni di crisi più profonde.

3.2

Le politiche di responsabilità sociale del gruppo

Prima di inoltraci nel caso specifico dell’azienda Ichnusa, è bene notare l’adesione al Codice Etico condiviso con il gruppo Heineken di cui fa parte. Nel sito ufficiale [2] è possibile trovare il collegamento al Codice, il quale è articolato in tre sezioni: integrità personale, integrità nella pratica commerciale e integrità aziendale. I va-lori aziendali condivisi sono quelli del piacere ("Vava-lorizziamo la vita per renderla più piacevole"), del rispetto ("Per gli individui, la società ed il pianeta"), e della passione per la qualità.

"Siamo solidamente radicati nelle comunità locali in cui operiamo. Ciò significa che ci prendiamo cura al meglio delle persone e dei luoghi che ci circondano. Riconosciamo la dignità fondamentale dell’uomo e la Di-chiarazione universale dei diritti umani in cui tale valore viene sancito. Rispettiamo le leggi e i regolamenti di ciascuno dei mercati locali in cui operiamo. Traiamo anche forza dalle diversità fra individui e dal-le differenze tra culture. La responsabilità di cui ci sentiamo investiti nei riguardi della realtà che ci circonda ha plasmato le nostre attività altamente innovatrici con riguardo all’alcol, alla società ed all’ambiente"

Un approfondimento è dovuto alla seconda sezione, nella quale si esprimono le po-sizioni relative prettamente alle tematiche di RSI (Consumo responsabile e comuni-cazione; Lavoratori e diritti umani, vessazioni e discriminazioni; Salute, sicurezza e ambiente; Conflitti di interesse).

Si esprime una posizione forte per quando riguarda il consumo responsabile e mode-rato delle bevande alcoliche, con una particolare attenzione alla sua comunicazione, presentandosi come veri e propri "ambasciatori di responsabilità" su tutti i canali di comunicazione utilizzati, e anche tramite iniziative dedicate.

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Un forte incentivo viene dato per mantenere un ambiente lavorativo collaborativo ed amichevole, come se si trattasse di una vera e propria squadra, adottando norme sulla tutela dei lavoratori e sui diritti umani, per garantire un ambiente di lavoro sicuro e sano.

Brewing a Better World è un piano integrato per la sostenibilità a livello globale lanciato nel 2010 da Heineken, con obiettivi a 10 anni, e coinvolge tutte i marchi produttori facenti parte del gruppo, estendendosi a tutte le aree aziendali (dall’ap-provvigionamento delle materie prime alla produzione, dalla distribuzione al soste-gno delle comunità locali). Si dichiara una attenzione particolarmente marcata alla riduzione del consumo di materie prime ed energia, parallelamente a una riduzione dell’emissione dei rifiuti. Oltre a migliorare l’impatto aziendale sull’ambiente circo-stante, mira anche a determinare cambiamenti positivi nella società promuovendo il consumo responsabile.

Nell’ultimo Rapporto Sostenibilità del gruppo Heineken Italia, pubblicato nel 2017, vengono mostrati i risultati raggiunti dal 2010 grazie all’applicazione del programma "Brewing a Better World":

• le emissioni di CO2 sono state ridotte del 56% (4 kg di CO2 per ogni ettolitro

di birra nel 2017);

• l’energia utilizzata per la produzione è completamente derivante da fonti rin-novabili;

• l’uso dell’acqua è stato ridotto dal 2010 del 38%; • nel 2017 sono stati istallati quasi 6000 frigoriferi green;

• 10 mila ore in più di formazione sulla sicurezza rispetto al 2016.

3.3

Le politiche di responsabilità sociale di Ichnusa

Il forte legame con il territorio sulla base del quale Ichnusa ha nel tempo costruito la propria immagine, utilizzato come vero e proprio perno della filosofia aziendale, viene messo in evidenza anche con l’attuazione di politiche ambientali e sociali che

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CAPITOLO 3. CASO STUDIO: ICHNUSA E IL VUOTO A RENDERE

l’azienda porta avanti. Queste iniziative sono di svariato tipo sia come aria di per-tinenza che come importanza degli eventi stessi: si parte dalla sponsorizzazione di attività culturali, come l’annuale mega concerto del Mondo Ichnusa, a quelle sporti-ve, con la sponsorizzazione di realtà quali il Cagliari Calcio e la Dinamo Sassari, ma anche accademiche, con il Premio Ichnusa per il marketing destinato agli studenti dell’Università degli Studi di Cagliari. Queste sono le principali iniziative finanziate dall’azienda per migliore il tessuto sociale dell’isola, ma sono tantissime altre quelle secondarie che inondano gli eventi e la vita sociale.

Oltre ad essere un’azienda premurosa sia con l’ambiente che con il territorio in senso esteso, sul quale si basa l’immagine aziendale, si preoccupa anche di tenere vive le politiche delle sicurezza sul posto di lavoro: all’ingresso dello stabilimento di Assemi-ni è presente un cartellone che conteggia quotidianamente le giornate senza infortuAssemi-ni all’interno dell’azienda ("Lavoriamo insieme senza infortuni da 750 giorni", si legge al 26 giugno 2018).

Da alcuni mesi la storica produttrice ha lanciato la campagna "Ichnusa per la Sarde-gna", con la quale manifesta un impegno volto alla salvaguardia della terra "nostra isola", si legge nel sito ufficiale [2]. La comunicazione ambientale in questo caso, assume una duplice funzione, oltre all’azione rivolta alla difesa dell’ambiente in ge-nerale, infatti, emerge anche il legame del marchio al territorio, che ancora una volta diventa un elemento cruciale nella politica aziendale. Sul sito e sui vari canali so-cial, di volta in volta si dà risalto a una diversa località dell’isola per sottolineare il rispetto praticato costantemente per la tutela del territorio. Proprio all’interno di questa campagna di comunicazione si è inserito anche il rilancio del vuoto a rendere, che sarà oggetto della trattazione da questo punto in poi.

3.4

Il rilancio del vuoto a rendere

Il vuoto a rendere è una nobile pratica che consiste nel riutilizzo delle bottiglie, sia di materiale plastico (il PET), sia di vetro. Il processo prevede che al momento della consegna delle bottiglie all’esercente, di solito appartenente al canale HO.RE.CA, sia dovuto il pagamento di una cauzione per ogni bottiglia, che viene restituita

(30)

al momento della restituzione al produttore della stessa, affinché venga immessa nuovamente nel ciclo produttivo. La cauzione costituisce una sorta di garanzia per la buona riuscita del processo stesso.

Originariamente, il sistema venne introdotto per la diminuzione dei costi dei processi industriali, ma con il tempo si è percepita la portata ambientale in linea con i principi di economia circolare e sostenibile. Questo sistema era molto diffuso in passato, soprattutto nei periodi del dopoguerra, durante i quali, date le condizioni di miseria delle famiglie, la somma della cauzione costituiva per queste un peso significativo. L’abbandono di questo sistema si ebbe a partire dagli anni Sessanta, decade segnata dal benessere economico che innesca il consumismo sfrenato, e anche dalla maggiore disponibilità di petrolio. L’"usa e getta" diventa il sistema prevalente, un’innovazione che diventa uno dei simboli della società di quel tempo, ma viene trascurato l’impatto disastroso di questa moda utilizzata in maniera totalmente irresponsabile. La pratica del vuoto a rendere viene completamente abbandonata in Italia, e abbiamo una ripresa solo nell’ultimo decennio. In tanti altri stati europei, invece, la tendenza è opposta, e già negli anni Novanta vennero applicate politiche decisive a favore del vuoto a buon rendere o del riciclaggio sotto cauzione, con la relativa normalizzazione di queste procedure da parte della legge, come avviene in Germania ancora oggi. Nella figura 3.1 sono indicati tutti gli stati appartenenti all’Unione Europea che hanno introdotto l’obbligo del vuoto a rendere e il rispettivo anno di promulgazione della legge.

Come visto nel primo capitolo, a partire soprattutto dagli anni 2000 si ha una crescente presa di coscienza dell’aggravarsi delle condizioni ambientali, che porta al cambiamento delle priorità tanto per le aziende quanto per il consumatore, sempre più informato e consapevole, nonché per il legislatore stesso. Con l’articolo 219 -bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio e del Mare avvia una sperimentazione del vuoto a rendere, dedicando anche una sezione nel sito ufficiale del ministero [3].

Nel D.M. 224/2017 sono indicate le modalità per la messa in pratica della speri-mentazione, compreso anche il valore della cauzione da depositare a seconda della tipologia di bottiglia. Questa pratica viene inizialmente riservata solo alle bottiglie di vetro di acqua e birra. La sperimentazione iniziale, della durata di un anno, prevede

(31)

CAPITOLO 3. CASO STUDIO: ICHNUSA E IL VUOTO A RENDERE

Figura 3.1: Paesi e relativo anno di introduzione del vuoto a rendere.

la partecipazione su base volontaria dei soggetti esercenti, che si occupano della ven-dita diretta al consumatore finale, dei soggetti produttori, nonché dei distributori. Il periodo di prova è volto primariamente a valutare la fattibilità tecnico-economica dell’iniziativa, che in seguito all’anno potrebbe essere rinnovata e anche estesa ad altre tipologie di prodotto.

Il ministero dichiara che lo scopo primario dell’iniziativa è quello di educare i consu-matori alla preferenza delle bottiglie per le quali è previsto il riutilizzo. Infatti viene prevista l’applicazione di un logo che ne indichi la natura sostenibile, in modo da rendere la bottiglia riconoscibile e da agevolare la scelta del consumatore. L’iniziati-va del riutilizzo delle bottiglie ha ovviamente un impatto diretto sulla riduzione degli sprechi [36], si parla di una riduzione dei rifiuti del 96% per il vetro e dell’80% per la plastica, secondo uno studio condotto dall’Ufficio federale dell’ambiente tedesco. Utilizzando 20 volte la stessa bottiglia di vetro, si ha un risparmio energetico quasi del 77% rispetto al vuoto a perdere, che comporta uno spreco decisamente significa-tivo di materie prime e energia [27]. Per quanto riguarda la capacità di riuso delle

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bottiglie, quelle di PET possono essere riutilizzate fino a 20 volte, quelle di vetro fino a 40 volte [36].

In seguito a queste osservazioni sull’effetto estremamente positivo generato dall’ap-plicazione di questa strategia, salta all’occhio l’affermazione riportata nel sito del Ministero nella sezione riguardante il vuoto a rendere, ossia che la finalità prima-ria non è tanto quella di generare un impatto positivo immediato, quanto quella comunicativa ed educativa. Con l’uso di una corretta comunicazione, applicata di-rettamente nelle bottiglie coinvolte nel progetto, il consumatore finale viene esposto e coinvolto nel processo, ne è parte e diventa consapevole dell’effetto benefico che scaturisce dal solo fatto di consumare utilizzando quel contenitore piuttosto che uno usa e getta. La comunicazione e l’educazione a un consumo più responsabile diven-tano le finalità primarie da parte del soggetto statale, e questo fa capire quanto sia importante anche per le aziende generare una buona comunicazione a tale riguardo, e dare risalto all’importanza del consumo sostenibile.

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4

L’esperimento: il "Vuoto a buon rendere" di

Ich-nusa

L’azienda Ichnusa, con la già citata campagna "Ichnusa per la Sardegna", ha intro-dotto nel mercato una nuova bottiglia, che rompe gli schemi rispetto all’immagine tradizionale del brand. Nel sito viene messo in evidenza che la società non hai mai abbandonato la pratica del vuoto a rendere, con la finalità di proteggere e salva-guardare il più possibile i territori e i panorami della Sardegna, ma il processo era in realtà in disuso in tutto il territorio. Ma allora, perché rilanciare il progetto e reinventare la bottiglia classica proprio adesso?

L’analisi condotta nella tesi si pone l’obiettivo di capire se la nuova bottiglia, con il messaggio legato alla causa ambientale, possa portare a un incremento delle vendite e a un maggior apprezzamento del brand. Si tratterebbe di verificare se, alla luce di tutte le argomentazioni trattate precedentemente, la maggiore attenzione da parte delle imprese alle tematiche sostenibili generi un apprezzamento positivo anche da parte dei consumatori, e se questi si sentano a tal proposito, maggiormente attratti da questi prodotti.

Come visto nel secondo capitolo, anche il Ministero dell’ambiente ha dato una forte importanza alla comunicazione sostenibile sul packaging delle bottiglie, probabil-mente a scopo educativo. La campagna ha lanciato un nuovo motto che si ripropo-ne anche ripropo-nelle bottiglie stesse: il vuoto a rendere vieripropo-ne ribattezzato come "Vuoto a buon rendere", per mettere un forte accento sulla bontà della pratica del vuoto a rendere e ne sottolinea il legame con la terra stessa. Come già visto, l’elemento fulcro della nuova campagna è la nascita di una nuova bottiglia, nei tre formati standard della bionda di Sardegna, da 66 cl, 33 cl e da 20 cl. Il nuovo packaging

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stupisce principalmente per l’introduzione di un colore che rompe lo schema rispetto alla tradizionale tipologia comunicativa dell’azienda: il verde. Ovviamente la scelta non è casuale, ma vuole evidenziare in maniera forte la nuova spinta ad abbracciare la causa ambientale.

Proprio da questo aspetto nasce la domanda alla base della ricerca:

la decisione di creare una nuova bottiglia ha un impatto positivo sulla propensione all’acquisto?

Ichnusa già in passato applicava la pratica del vuoto a rendere, ma in quel caso nessuna comunicazione veniva destinata al consumatore finale, o almeno non evi-dente. Principalmente si trattava di un accordo con gli esercenti i quali pagavano una cauzione che veniva restituita al momento della restituzione delle bottiglie ai produttori.

Recentemente invece l’iniziativa è stata rilanciata, creando una bottiglia che si differenzia rispetto a quella tradizionale per diversi punti, molto d’impatto:

• tappo verde, con la raffigurazione del profilo dell’isola. Il tappo della bottiglia classica è tradizionalmente di colore rosso. Circolarmente è stampato il testo chiave della campagna "Vuoto a buon rendere".

• Il secondo elemento di distinzione è l’etichetta sul collo della bottiglia, che riporta anche in questo caso la forma dell’isola di colore verde, circondata da tre frecce circolari che creano un rapporto circolare e recitano "Riuso, Impegno, Rispetto". Sotto si legge il testo "Ichnusa per la Sardegna. Ogni bottiglia restituita è il primo segno di rispetto per la nostra isola".

• Il terzo e ultimo elemento che differenzia le due bottiglie nella visione frontale, quella di primo impatto, è l’aggiunta di una nuova sezione in fondo all’etichetta principale, che richiama di nuovo l’iniziativa del "Vuoto a buon rendere".

Sul sito aziendale [2] si trova il report che riassume la carbon footprint della bot-tiglia Ichnusa "dalla culla alla tomba", quindi nel ciclo completo, secondo i requisiti di ISO/TS 14067:2013 [22]. Nel report emergono dati estremamente significativi in relazione all’uso del sistema del vuoto a rendere, basati su una vita media stimata del vuoto a rendere di 25 anni ("con un tasso di reintegro del 4% e un numero di

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CAPITOLO 4. L’ESPERIMENTO: IL "VUOTO A BUON RENDERE" DI ICHNUSA

Figura 4.1: La bottiglia tradizionale e la nuova bottiglia verde.

ritorni dei vuoti a rendere di 4 volte l’anno"). L’analisi si riferisce all’anno 2016, e considera le bottiglie distribuite al settore Ho.Re.Ca. Emerge che il formato Botti-glia di vetro a rendere fa risparmiare rispetto al formato BottiBotti-glia di vetro a perdere [22]:

• 38 kgCO2eq. per ogni ettolitro di birra per la 33cl (pari al 39%); • 31 kgCO2eq. per ogni ettolitro di birra per la 66cl (pari al 36%);

• 32 kgCO2eq. per ogni ettolitro di birra per la media pesata dei due formati (pari al 37%).

Il problema posto per l’analisi focale della tesi va a riprendere varie tematiche precedentemente trattate, che nella vita reale delle aziende si intrecciano dando luo-go a fattispecie differenti. In questo caso, si intersecano sia l’elemento comunicativo ai fini di un miglioramento dell’immagine dell’impresa, sia l’elemento educativo nei riguardi delle tematiche sostenibili. Nel caso specifico l’azienda lancia un segnale molto forte al consumatore, coerente con la propria filosofia aziendale ma lontano dalla abituale strategia comunicativa, che non aveva mai esternato tematiche soste-nibili.

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Il problema esposto si ricollega alla tematica della comunicazione sostenibile, di cui si è parlato nel primo capitolo. In quella sede è stata analizzata in linee ge-nerali l’importanza che assume oggigiorno, in termini di differenziazione d’impresa, la comunicazione leale delle politiche di sostenibilità che vengono attuate a livello aziendale.

L’Ichnusa ha sempre rimarcato un’attenzione particolare al rispetto del territorio in cui opera, in quanto, come detto, in questo modo costruisce la propria politica e la propria immagine. Si tratta di un’azienda che applica in maniera sempre più deci-sa le politiche di respondeci-sabilità sociale, per ottimizzare l’impatto sul territorio. In passato però era mancata la volontà di comunicare al consumatore finale l’effettivo coinvolgimento nelle tematiche di sostenibilità, mentre con la nuova iniziativa c’è stata una svolta decisiva.

Si tratta di una svolta che ha un impatto sulle intenzioni del consumatore?

4.1

La metodologia

La metodologia utilizzata è quella dell’esperimento, che viene impiegato in molte discipline scientifiche per studiare la relazione causa-effetto. L’esperimento può essere definito come "una forma di esperienza su fatti naturali che si realizza a seguito di un deliberato intervento modificativo da parte dell’uomo, e quindi come tale si contrappone alla forma di esperienza che deriva dall’osservazione dei fatti nel loro svolgersi naturale" [14].

Questo tipo di relazione viene studiata anche nell’ambito del marketing per veri-ficare l’esistenza di un comportamento, solitamente insito nei consumatori, ma che viene indotto da un determinato stimolo, che può essere relativo alla qualità del prodotto, al packaging, alla comunicazione e alla pubblicità, al luogo di vendita o di erogazione del servizio o ad altri elementi.

Il concetto di causalità è l’elemento chiave di ogni sperimentazione, non solo in am-bito di marketing, e si manifesta ogniqualvolta che, riportando le parole di Malhotra [25] "il verificarsi di X aumenta le probabilità del verificarsi di Y". L’esperimento permette di osservare l’impatto che viene determinato da una certa variabile

(37)

indi-CAPITOLO 4. L’ESPERIMENTO: IL "VUOTO A BUON RENDERE" DI ICHNUSA pendente (X) al variare di una o più variabili dipendenti (Y) [14]. L’esperimento serve a verificare se effettivamente una variazione di X è seguita puntualmente da una variazione di Y, tenendo costanti le altre possibili cause che potrebbero gene-rarla.

Per spiegare il funzionamento del metodo in esame, supponiamo una semplificazio-ne in cui esistono solo due possibili casi assumibili dalla variabile indipendente, uno viene definito come controllo Xce l’altro trattamento Xt. Nel primo caso

l’esposizio-ne alla variabile è assente, mentre l’esposizio-nel secondo caso viel’esposizio-ne somministrata. L’effetto causale t sarebbe definito come segue: t = Yt(u) − Yc(u) sulla stessa unità u, e nello

stesso momento.

Idealmente, l’effetto delle due condizioni dovrebbe essere rilevato sulla stessa unità Y, ma questo è impossibile, in quanto una volta che l’esperimento viene realizzato, il soggetto si troverà in una sola delle due condizioni, rispettivamente quella di trat-tamento o controllo, rendendo impossibile la verifica della relazione di causa-effetto. Si tratta del problema fondamentale dell’inferenza causale [14], che rimane insoluto tanto nelle scienze sociali quanto in quelle naturali, dovuto all’impossibilità di ef-fettuare un’osservazione simultanea sullo stesso soggetto. Questo comporta il dover necessariamente sottoporre i due test a soggetti differenti, introducendo così una serie di ulteriori complessità, dovute al fatto che questi dovrebbero essere equivalen-ti per quanto riguarda tutequivalen-ti gli aspetequivalen-ti significaequivalen-tivi che li caratterizzano (Assunto di equivalenza) e che ci dovrebbe essere una stabilità temporale e una condizione di ininfluenza (Assunto di invarianza). Holland [14] propone due soluzioni: una scientifica e una statistica. Nel caso di esperimenti scientifici, la soluzione è la realiz-zazione di almeno uno dei due assunti. Nel campo delle scienze sociali è impossibile individuare unità identiche (irriproducibilità), come è impossibile l’ininfluenza, dato un certo arco temporale o un esperimento precedente ripetuto. La soluzione statisti-ca propone dunque di selezionare due gruppi di individui che siano statististatisti-camente equivalenti, in modo da poterli sottoporre a valori differenti della stessa variabile di trattamento. Questo è possibile tramite l’uso del processo di randomizzazione. La selezione dei due gruppi viene fatta in maniera casuale, in modo che i due gruppi differiscano, per quanto riguarda i valori medi delle variabili che li caratterizzano, solo per un fattore accidentale.

(38)

In questo modo si ottiene il valore dell’effetto causale medio T, dato da:

T = E(Yt) − E(Yc).

Per concludere, i due elementi caratterizzanti dell’esperimento sono la possibilità di manipolazione della variabile indipendente che identifica il trattamento e la pos-sibilità di tenere sotto controllo le terze variabili che potrebbero influire su tale variazione. Poter controllare questi due elementi è ciò che differenzia gli esperimenti da una semplice analisi della covariazione.

4.1.1

La scelta del design dell’esperimento

Un altro fattore che ha richiesto la ricerca e lo studio di riscontri nella letteratura è stato il design da utilizzare per la ricerca sperimentale. Esistono tante diverse mo-dalità in cui può essere condotto l’esperimento, sia per quanto riguarda la selezione del campione, sia capire le dinamiche di somministrazione e la gestione del controllo e del trattamento.

Prima di procedere, è opportuno fornire un chiarimento lessicale per una migliore leggibilità della restante trattazione. Essendo l’esperimento basato sull’uso di due questionari che si distinguono esclusivamente per l’immagine della bottiglia, con "questionario rosso" si intende indicare il questionario che contiene la bottiglia di Ichnusa tradizionale, mentre ogni qualvolta si utilizzerà la dicitura "questionario verde, si tratterà di quello con l’immagine della nuova bottiglia del "Vuoto a buon rendere", che si distingue proprio per il diverso colore del tappo.

Inizialmente, è stata presa in considerazione la possibilità di ripetere il questio-nario sullo stesso gruppo di soggetti selezionati, a distanza di un intervallo di tempo definito, ponendo prima il questionario rosso, e in seguito il questionario verde. Le difficoltà in questo caso, erano:

1. la definizione dell’intervallo di tempo da un questionario all’altro, che non poteva essere né troppo lungo, per evitare che fattori esterni intervenissero a cambiare la condizione del soggetto, alterando così le risposte al questionario, né troppo corto, perché comunque le due risposte dovano essere indipendenti;

(39)

CAPITOLO 4. L’ESPERIMENTO: IL "VUOTO A BUON RENDERE" DI ICHNUSA 2. individuare un campione di soggetti omogeneo per caratteristiche di partenza; 3. un elevato rischio di non risposta al secondo questionario;

4. la modalità di effettuare un secondo contatto con i rispondenti;

5. una possibile influenza delle riposte al primo questionario su quelle fornite nel secondo.

Lo studio di articoli di letteratura ha permesso di capire che l’opzione migliore da seguire era quella di utilizzare due gruppi di persone differenti, ma restava viva la dif-ficoltà di individuare gruppi omogenei di persone che rispondessero a due questionari diversi. A questo punto interviene l’elemento che può essere definito fondamentale nel tipo di ricerca per esperimento che è stato condotto, ossia la casualizzazione, o randomizzazione, volendo utilizzare il termine di derivazione anglosassone. Con randomizzazione si intende "il processo di assegnazione casuale (per sorteggio) dei soggetti ai gruppi che partecipano all’esperimento" [14]. Se i questionari vengono sottoposti ai rispondenti in maniera casuale, si può supporre che le condizioni di partenza di ciascun soggetto siano fra di loro omogenee, in quanto non sono stati discriminati in base a delle caratteristiche intrinseche dei soggetti. Perciò l’espe-rimento è stato condotto su due gruppi di soggetti selezionati in maniera casuale, grazie al software utilizzato per la diffusione del questionario, e in maniera contem-poranea, eliminando così anche la problematica dei tempi intercorrenti fra le varie somministrazioni.

4.2

Il questionario

L’esperimento è stato sottoposto tramite l’utilizzo di un questionario online, quindi con l’uso della metodologia C.A.W.I. Computer Assisted Web Interview. La scelta di questo metodo è dovuta principalmente a una questione di praticità, in quanto già di base è molto complesso sottoporre l’esperimento in maniera diretta, ancora di più lo è nell’ambito di una tesi di laurea. Con la somministrazione online è stato possibile raggiungere un gran numero di persone in un tempo relativamente molto

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breve, e un altro elemento positivo è la completa assenza di qualsiasi tipo di condi-zionamento nei confronti del rispondente.

Per la creazione del questionario è stato utilizzato "Limesurvey", un applicativo che consente la realizzazione di indagini in maniera molto semplificata ma efficiente. Mediante il software è stato possibile impostare la randomizzazione del questionario, elemento fondamentale per la buona riuscita dell’esperimento. Per valutare la frui-bilità del questionario è stato effettuato un pre-test su 5 soggetti, che ha permesso di far emergere problematiche principalmente relative alla forma che era stata im-postata per le domande, che sono state corrette e migliorate. I problemi riscontrati riguardavano soprattutto la diversa forma che l’interfaccia presentava nei diversi dispositivi, n quanto molte domande risultavano poco immediate e di difficile com-pletamento negli smartphone, a causa appunto della differente presentazione rispetto al computer con cui il questionario è stato creato.

Il questionario è stato diffuso principalmente utilizzando il social network Face-book, tramite la pubblicazione su gruppi di consumatori responsabili e di appassio-nati del prodotto birra, nonché su gruppi di studenti. La somministrazione ha avuto una durata di 15 giorni, ed è stato somministrato dal 18 luglio al primo agosto 2018.

La struttura del questionario è stata definita come segue:

• La sezione A era esclusivamente destinata alla definizione dell’equazione ran-dom, impostata nel formato di domanda equazione, poi nascosta al rispon-dente. In questo modo, al momento dell’apertura del link del questionario, al rispondente veniva assegnato in maniera del tutto casuale il numero uno, che rimandava al questionario rosso, oppure il numero due, corrispondente al questionario verde. La restante parte del questionario era uguale per tutti i rispondenti.

• La sezione B del questionario era denominata "Sei un consumatore responsa-bile?" e proponeva una scala likert che misura il comportamento eticamente corretto dei consumatori (Ethically Minded Consumer Behavior scale) [39]. Questa scala si può suddividere in cinque parti, che individuano i cinque filoni indagati:

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CAPITOLO 4. L’ESPERIMENTO: IL "VUOTO A BUON RENDERE" DI ICHNUSA – RECYCLE comprende la tendenza al riciclaggio;

– ECOBOYCOTT verifica in che misura si verifica il rifiuto di un prodotto per motivi ambientali;

– CSRBOYCOTT invece indaga il rifiuto ad acquistare il prodotto per motivi sociali;

– PAYMORE indaga la disponibilità a spendere di più per un prodotto etico.

Con un ulteriore item, si è voluta indagare anche l’inclinazione del rispondente alla comunicazione dei prodotti verdi sul packaging [32].

Il grado di eticità del consumatore è stato ritenuto un elemento importante in quanto in fase di analisi questo avrebbe permesso di capire se la scelta di una o dell’altra bottiglia era determinata dal fatto che il soggetto fosse precedentemente molto influenzato da una convinzione personale relativa alle tematiche della sostenibilità e della responsabilità sociale, o se a prescindere da questo, ci fosse comunque una preferenza per l’opzione verde.

• La sezione C del questionario, intitolata "Sei un consumatore di birra?", po-neva invece alcune domande riguardate il consumo di birra, che sono state ritenute utili soprattutto per agevolare, in fase di analisi, la lettura dei dati. In particolare, la prima domanda era mirata a individuare i consumatori del prodotto, che continuavano a compilare la sezione con le domande relative la bevanda alcolica, e distinguerli da coloro che non consumano birra, che veni-vano rimandati direttamente alla parte successiva. Le altre domande invece indagavano le occasioni di consumo del prodotto e poi veniva esposta una bre-ve introduzione della compagnia oggetto di analisi, Ichnusa, chiedendo se il rispondete conoscesse l’azienda e se consumasse il prodotto.

• Le sezioni D ed E sono il cuore del questionario in quanto contengono l’espe-rimento. Come già spiegato, il re indirizzamento avveniva in maniera casuale. Le due sezioni sono state strutturate in maniera identica: veniva presentata l’immagine della bottiglia, un’immagine frontale, la stessa visuale che si sup-pone avere nel momento in cui si ha il primo impatto con la bevanda; insieme alla foto, si invitavano i rispondenti ad osservare con attenzione la bottiglia e

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