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La crisi della rappresentanza politica e le prospettive della e-democracy

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Academic year: 2021

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Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE GIURIDICHE PHD IN LEGAL STUDIES (554)

Ciclo XXXI

Settore Concorsuale: 12/C1

Settore Scientifico Disciplinare: IUS -08

TITOLO TESI

LA CRISI DELLA RAPPRESENTANZA POLITICA E LE PROSPETTIVE DELLA E-DEMOCRACY

Presentata da:

Dott.

Gaspare De Lisi

Coordinatore Dottorato

Prof. Andrea Morrone

Supervisore

Prof. Tomaso Francesco Giupponi

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I

NDICE

Introduzione ... 5 CAPITOLO I

La rappresentanza politica: premesse storiche e concettuali.

1.1.–Sulla nozione di rappresentanza politica ... 7 1.2. –L’elaborazione giuridica del concetto di rappresentanza: alcune

osservazioni preliminari

1.2.1. – La nozione civilistica e la rappresentanza giuspubblicistica ... 11 1.2.2. – La rappresentanza come fictio ... 19 1.2.3. – Rappresentanza come situazione di potere e rappresentanza come

rapporto ... 22

1.3.–L’evoluzione storica del concetto di rappresentanza

1.3.1. – La rappresentanza nell’antichità classica ... 27 1.3.2. – L’epoca medievale e la nascita della rappresentanza

giuspubblicistica ... 30 1.3.3. – Dai sistemi assolutistici alla moderna rappresentanza politica .. 40 1.3.4. – La nascita della rappresentanza della Nazione e le prime

Costituzioni liberali ... 44 1.3.5. – Dalla rappresentanza della Nazione alle teorie stataliste in

Germania e Italia ... 57 1.3.6. – La rappresentanza politica nello Stato monoclasse borghese .... 60 1.3.7. – L’eclissi dello Stato monoclasse: verso le nuove forme della rappresentanza politica nella democrazia pluralista ... 64

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CAPITOLO II

La rappresentanza politica in Costituzione: la crisi della rappresentanza parlamentare.

2.1.–La rappresentanza politica nella Costituzione italiana ... 72 2.1.1. – Il principio di sovranità popolare: lo Stato come “rappresentante” del popolo ... 73 2.1.2. – La “rappresentanza nazionale” e il principio del libero mandato ... 86 2.1.3. – Sul rapporto tra rappresentanza ed elezioni ... 90 2.1.4. – La rappresentanza politica attraverso la mediazione dei partiti . 96 2.2. –La crisi dei rappresentanti

2.2.1. – Il pluralismo istituzionale e l’eclissi delle forme classiche della rappresentanza parlamentare ... 104 2.2.2. – L’abdicazione del decisore politico: dalla “neutralizzazione della politica” alla “sindrome di Nimby” del localismo ... 115 2.2.3. – La crisi del sistema partitico e l’esigenza di nuove forme di

partecipazione politica ... 119 2.3.–Prime conclusioni ... 123

CAPITOLO III

La rappresentanza politica nell’era dell’e-democracy.

3.1.–La democrazia elettronica: alcune considerazioni preliminari ... 125 3.1.1. – L’evoluzione storica dell’e-democracy ... 129 3.2. –Un nuovo modello di democrazia partecipativa: la c.d. “democrazia

fluida” ... 135 3.2.1. – Le piattaforme di democrazia elettronica ... 138 3.2.2. – I limiti della partecipazione politica “digitale” ... 147 3.3.–La rete come strumento di democrazia diretta?

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3.3.2. – La democrazia diretta digitale può sostituirsi alla democrazia

rappresentativa? ... 169

3.4.–Il ruolo dell’e-democracy nella democrazia rappresentativa ... 173

3.5.–Conclusioni ... 183

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INTRODUZIONE

A settant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione, l’ordinamento costituzionale italiano è attraversato da forti tensioni, che interessano, in particolare, il modo di intendere la rappresentanza politica, alla luce di un processo di crisi che spinge verso una ridefinizione del rapporto rappresentativo. Ad essere messa in discussione, in primo luogo, sembra essere proprio la centralità del Parlamento a fronte di una governance multilivello della rappresentanza – condivisa ormai con i centri della rappresentanza di carattere locale e sovranazionale – e di fenomeni di “neutralizzazione della politica”che intaccano la stessa capacità di mediazione del decisore politico. Di fronte ai profondi mutamenti in atto, ha ancora senso parlare di “crisi della rappresentanza parlamentare”? Non siamo piuttosto di fronte ad uno snodo cruciale della storia del nostro sistema istituzionale, che impone di prendere atto della nuova veste che il “rappresentante politico” è chiamato a ricoprire? I processi di crisi sono evidenti e, tuttavia, rispetto al quesito sull’attualità della funzione delle istituzioni rappresentative i Parlamenti nazionali – quali sedi principali, ancorché non esclusive, della rappresentanza politica – conservano tuttora un’insostituibile funzione di mediazione politica, di risoluzione dei

cleavages sociali e d’integrazione democratica delle minoranze – tutti elementi

fondamentali per la tenuta degli ordinamenti pluralisti liberaldemocratici. Le democrazie pluraliste, infatti, necessitano di una sede politica nella quale si possa articolare il confronto tra i soggetti del pluralismo. Di fronte al problema – ciclico – della crisi della rappresentanza, si pone, piuttosto, l’esigenza di ripensare le forme tradizionali del modello rappresentativo liberaldemocratico alla luce delle nuove modalità di partecipazione politica della c.d. “società dell’informazione”. Il progressivo impiego delle tecnologie dell’informazione, infatti, ha trasformato profondamente l’organizzazione della società ed ha influito sullo stesso circuito della rappresentanza politica, creando nuovi canali di partecipazione democratica, modificando la comunicazione politica ed il

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processo di formazione dell’opinione pubblica. Il presente lavoro si prefigge l’obiettivo di analizzare l’impatto degli strumenti di e-democracy sulle dinamiche dei moderni sistemi democratici e, in particolare, sulle forme della c.d. democrazia rappresentativa. Sullo sfondo, resta il quesito circa la portata – potenzialmente rivoluzionaria – dei cambiamenti introdotti dalla c.d. “democrazia digitale”: in una società ormai in grado di essere costantemente aggiornata – praticamente in tempo reale – sugli sviluppi del dibattito politico e in cui gli strumenti tecnologici consento ai cittadini – almeno potenzialmente – di esprimersi direttamente sui temi e sulle decisioni fondamentali della politica, ha ancora senso parlare di democrazia rappresentativa? Non si tratta di un inutile “schermo” che rischia più che altro di disperdere e di “tradire” la reale volontà dei rappresentati per rispondere a logiche esterne al principio democratico ed alla sovranità popolare? Le possibilità offerte dagli strumenti dell’e-democracy fanno nascere la tentazione di meditare il superamento dell’attuale sistema costituzionale – incentrato prevalentemente sulle forme della democrazia rappresentativa – e di inaugurare un’inedita “agorà digitale”, riconoscendo più ampio spazio agli strumenti della democrazia diretta e, perfino, immaginando una loro – rinnovata – centralità. In definitiva, l’alternativa che si pone, è se l’e-democracy stia gettando le basi per il decisivo eclissamento della rappresentanza politica o se, piuttosto, costituisca una risorsa a servizio della stessa democrazia rappresentativa, contribuendo a rinnovare i canali tradizionali del circuito rappresentativo, ormai da tempo interessati da una crisi sistemica.

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CAPITOLO I

LARAPPRESENTANZAPOLITICA: PREMESSESTORICHEECONCETTUALI

1.1 – Sulla nozione di rappresentanza politica; 1.2 – L’elaborazione giuridica del concetto di rappresentanza: alcune osservazioni preliminari; 1.2.1 – La nozione civilistica e la rappresentanza giuspubblicistica; 1.2.2 La rappresentanza come fictio; 1.2.3 Rappresentanza come situazione di potere e rappresentanza come rapporto; 1.3 – L’evoluzione storica del concetto di rappresentanza; 1.3.1 – La rappresentanza nell’antichità classica; 1.3.2 – L’epoca medievale e la nascita della rappresentanza giuspubblicistica; 1.3.3 – Dai sistemi assolutistici alla moderna rappresentanza politica; 1.3.4 – La nascita della rappresentanza della Nazione e le prime Costituzioni liberali; 1.3.5 – Dalla rappresentanza della Nazione alle teorie stataliste in Germania e Italia; 1.3.6 – La rappresentanza politica nello Stato monoclasse borghese; 1.3.7 – L’eclissi dello Stato monoclasse: verso le nuove forme della rappresentanza politica nella democrazia pluralista.

1.1. Sulla nozione di rappresentanza politica.

La rappresentanza politica costituisce un pilastro fondamentale delle moderne forme di stato liberaldemocratiche – in uno con il principio di sovranità popolare ed il circuito di legittimazione democratica 1 – e tuttavia, nonostante si tratti di

un concetto basilare e risalente della giuspubblicistica, quando si cerca di fornirne una definizione compiuta ci si trova ancora oggi nell’imbarazzo di

1 Sul punto, si rinvia a A.A. R

OMANO, La rappresentanza politica come legittimazione politica, in Archivio di diritto costituzionale, 1990, n. 1, p. 39 ss.; M.M. FRACANZANI, Il

problema della rappresentanza nella dottrina dello Stato, Padova, 2000, p. 8 ss.; G. ZAGREBELSKY, La sovranità e la rappresentanza politica, in AA.VV., Lo stato delle istituzioni italiane. Problemi e prospettive, Milano, 1994, p. 83 ss.; S. GAMBINO, Sovranità popolare e rappresentanza politica, in Politica del diritto, 1983, n. 2, p. 293-324; per una riflessione sistematica sulla rappresentanza politica in Italia, si rinvia fin d’ora a L. BALBO, P. INGRAO, G. PASQUINO, P. RIDOLA, Democrazia e rappresentanza, a cura di G. PASQUINO, Roma-Bari, 1988; per un’analisi più risalente si veda V.E. ORLANDO, Del fondamento giuridico della rappresentanza politica, in Diritto pubblico generale. Scritti vari (1881-1940) coordinati in sistema, Milano, 1940, p. 417-456; L. ROSSI, I principi fondamentali della rappresentanza politica, Vol. I, Il rapporto rappresentativo, Bologna, 1894; V.MICELI, Il concetto giuridico moderno della rappresentanza politica, Perugia, 1892.

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dover costatare la difficoltà di tale impresa 2.

Finché, infatti, ci si accontenta di una definizione essenziale e neutra di “rappresentanza” – limitandosi così al minum concettuale del “rendere presente

altro” 3, secondo il suo significato etimologico – è ancora possibile trovare un

accordo su una nozione che può essere condivisa in quanto ancora generica ed astratta 4. Ma nel momento in cui si cerca di connotarla con accezioni più

specifiche, chiarendo i presupposti e la natura dell’istituto rappresentativo, si pongono una serie di questioni su cui è possibile riscontrare le posizioni più

2 Si richiamano qui le premesse alla riflessione giuridica poste da V.C

RISAFULLI, Per una teoria giuridica dell’indirizzo politico, 1939, ora in V. CRISAFULLI, Prima e dopo la costituzione, Napoli, 2015, p. 3 ss., ove si evidenziano “le gravi difficoltà e i pericoli insiti in una indagine che, come questa, vuol ricondurre nel campo della scienza giuridica e sottoporre, quindi, a indagine giuridica argomenti di natura prevalentemente politica. Siamo infatti qui veramente ai confini tra politica e diritto (...) in quella nebulosa da cui nasce il diritto”. Tale tipo di indagine incontra almeno “due pericoli principali ed opposti: quello, cioè, di irrigidire soverchiamente i concetti, nello sforzo di risolverli sempre e soltanto giuridicamente, e l’altro di rimanere invece in un generico ed approssimativo discorso, di sapore più letterario che scientifico”. Tali premesse metodologiche si trovano richiamate anche in I.MASSA PINTO, Rappresentanza, Relazione svolta in occasione del XXXI Convegno annuale dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, Di alcune grandi categorie del diritto costituzionale: Sovranità – Rappresentanza – Territorio, Università degli Studi di Trento, 11-12 novembre 2016, in www.rivistaaic.it, n. 3/2017, 2 agosto 2017, p. 4; sul punto si v. anche D. FISICHELLA, La rappresentanza politica, Roma, 1996, p. 6 ss.

3 Cfr. L. R

OSSI, I principi fondamentali della rappresentanza politica, vol. I, Il rapporto rappresentativo, Bologna, 1894, p. 181: “E invero il fenomeno giuridico della rappresentanza, il più largamente presa ed intesa, è di azione per altri, in qualunque campo del diritto, con essenza ultima uguale; il fatto elementare, naturale, costante, nel tema della rappresentanza, è che una persona agisca, ossia compia un atto giuridico, non per sé ma per un’altra persona, o esercitando un diritto altrui, o adempiendo un obbligo altrui con la finzione giuridica che l'altro agisca in lui. Questa definizione adunque non si restringe soltanto al caso in cui una persona agisce «in nome» dell’altra, e quindi al mandato, ma si allarga ad ogni caso in cui l’una agisca «per conto» dell’altra”.

4 Ma sulla ricchezza concettuale del termine si rinvia a H. HOFMANN, Rappresentanza e rappresentazione: parola e concetto dall’antichità all’Ottocento, Milano, 2007; B. ACCARINO, Rappresentanza, Bologna, 1999, p. 18 ss.; P. COSTA, La rappresentazione del politico: verità e metafora nei testi di sapere, in Rappresentanza/rappresentazione. Una questione di studi culturali, a cura di M.COMETA,D.MARISCALCO, Macerata, 2014, p. 47 ss.

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diverse – a partire dalla definizione dell’oggetto 5 e del soggetto 6 di tale

rappresentanza, nonché della relazione che si instaura tra questi, quale rapporto giuridico avente contenuto politico 7 – tanto da essere stata definitiva quale

“figura vaga ed evanescente” 8.

A ciò si aggiunge un problema ulteriore: che la rappresentanza è concetto che potremmo definire “apolide”, che cioè non trova cittadinanza – almeno non

5 Se, cioè, ad essere rappresentati siano la Nazione, lo Stato, piuttosto che il popolo o la

collettività nel suo complesso; ovvero, ancora, se a formare oggetto della rappresentanza non siano “entità personali” – per quanto astratte – ma, piuttosto, gli interessi ad esse riconducibili – c.d. rappresentanza d’interessi. In questo senso si è parlato di “trascendenza della rappresentanza” – con riferimento all’“interesse generale che eccede e trascende gli interessi dei gruppi in cui si articola la società” (così P. RIDOLA, Democrazia rappresentativa e parlamentarismo, Torino, 2011, p. 63) – e di “immanenza della rappresentanza”, consistente nell’accordo e nella continuità tra la volontà dei rappresentati e la volontà dei rappresentanti. Sul dualismo tra “rappresentanza politica” e “rappresentanza di interessi” cfr. G. DUSO, La rappresentanza: un problema di filosofia politica, Milano, 1988 e dello stesso La rappresentanza politica: genesi e crisi del concetto, Milano, 2003; si v. anche J. H. KAISER, Die Repräsentation organisierter Interessen, Berlin, 1978, trad. it. in La rappresentanza degli interessi organizzati, a cura di S. MANGIAMELI, Milano, 1993.

6 Ovvero chi riveste il ruolo di rappresentante – se il singolo parlamentare o le istituzioni

rappresentative (in primis, il Parlamento), a titolo di monopolio o in partecipazione, considerando non solo le istituzioni nazionali ma anche quelle internazionali e subnazionali – è quali siano i presupposti giuridici e ideologici – cioè la legittimazione – su cui si fonda la posizione di potere che egli riveste. Sul punto si veda A. BARBERA, La rappresentanza politica: un mito in declino?, in Quaderni costituzionali, 2008, n. IV, p. 853-888.

7 Come osserva M.M. F

RACANZANI, op. ult. cit., pag. 17-19, “Tentando di ricercare gli elementi ricorrenti negli studi sulla rappresentanza (...) le indagini sull’istituto sembrano tuttavia incontrare una difficoltà comune nel rapporto tra rappresentati e rappresentanti, che ci si prospetta come la reale difficoltà della rappresentanza. In termini più espliciti, riprendendo le fila delle varie posizioni, la quaestio potrebbe riassumersi così: se ed in che misura i rappresentanti siano responsabili verso i rappresentati per il loro operato; se ed in che misura gli eletti debbano ascoltare (e seguire) le istruzioni degli elettori, cioè in che misura la volontà e/o gli interessi dei primi sia, o debba essere, manifestata ai secondi”. 8 Così T. MARTINES, Diritto costituzionale, Milano, 2005, p. 222. Come osserva anche D.

FISICHELLA, La rappresentanza politica, op. cit., p. 6, “Se è vero, infatti, che con qualche sforzo siamo in grado di indicare con sufficiente approssimazione ciò che la rappresentanza non è, malgrado molti secoli di impegno teoretico non possiamo dire cosa la rappresentanza è”.

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esclusivamente – in ambito giuridico, e la cui appartenenza è rivendicata, a pari titolo, dalla sociologia, dalla politica, dalla filosofia e financo dalla teologia 9. Ciò pone l’esigenza di una scelta iniziale, che è anche di metodo: distinguere, anzitutto, tra i plurimi significati evocati – e ricavabili – dal concetto di rappresentanza e provare, per quanto possibile, a “isolare” il suo significato nell’accezione che è propria delle scienze giuspubblicistiche 10.

9 Sulla pluralità di significati ricollegati a tale espressione si v. S. S

TAIANO in La Rappresentanza, Relazione svolta in occasione del XXXI Convegno annuale dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, Di alcune grandi categorie del diritto costituzionale: Sovranità – Rappresentanza – Territorio, Università degli Studi di Trento, 11-12 novembre 2016, in www.rivistaaic.it, n. 3/2017, 2 agosto 2017, p. 3: “è comune il rilievo nella cultura giuridica della difficoltà a elaborare un concetto unitario di rappresentanza, definibile in termini generali, nell’ambito del quale poter articolare una tipologia per specie e sottospecie. Una difficoltà considerata insormontabile, al punto da condurre a ritenere che il concetto di rappresentanza possa essere realisticamente solo ritenuto ‘una metafora ricca e suggestiva’ (...) ne consegue il raggrumarsi in un sorta di globo indistinto di concetti «deformati» o «deformabili» di rappresentanza, dal quale talvolta vengono attinti, in maniera piuttosto arbitraria, elementi congruenti con le ricostruzioni che si vogliono proporre, secondo simmetrie ricostruttive immaginate a priori (ed esigenze di compatibilità ideologica) o avendo mente solo a composizioni coerenti in termini di logica formale, senza alcun rapporto verificato con il dato storico”; più in generale, si veda anche D. NOCILLA, L. CIAURRO, Rappresentanza politica, in Enciclopedia del diritto, XXXVIII, Milano, 1987, p. 553 ss., ove si evidenzia come al termine «rappresentare» si ricolleghino essenzialmente quattro funzioni fondamentali, e cioè “il riprodurre, il far presente (nel senso di manifestare), il simboleggiare ed il sostituire” le quali, a loro volta, si riferiscono “ai quattro diversi tipi di «rappresentanza» indicati dalla dottrina - cioè descrittiva, degli interessi, simbolica ed ascrittiva (…) Infatti, la funzione descrittiva sembra corrispondere all'attività del riprodurre; quella simbolica all'attività del simboleggiare; la funzione ascrittiva a quella di sostituzione, anche se quest'ultima pone l'accento più sul fatto dell'agire per altri che sul trasferirsi degli effetti di tale azione al rappresentato o sostituito (come avviene, invece, quando si parla di funzione ascrittiva)”.

10 Come osserva T.K

LITSCHE DE LA GRANGE, Sulla rappresentanza politica, Napoli, 2000, p. 61, infatti, “L’essenziale è, trattando di tale argomento, da una parte non far confusioni, pretendendo di paragonare il concetto giuridico con quello sociologico e disputare sulla validità dell’uno o dell’altro; operazione impossibile, dato che la disomogeneità dei campi e criteri d’indagine la rende simile al tentativo di sottrarre triangoli a quadrati. Dall’altra a non perder del tutto i contatti, anche al fine di chiarire il concetto giuridico di rappresentanza, con i contributi che possono derivare da altre scienze umane. Tale premessa si rende necessaria perché la rappresentanza è uno dei temi che più si prestano a confondere il diritto con la politica, la sociologia o la filosofia, ed addirittura con modi di intendere usuali ed atecnici”.

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Questa prima opzione metodologica non esaurirà, a ben vedere, le difficoltà riconnesse alla definizione di tale concetto – anche solo nell’ambito giuridico e all’interno dello stesso diritto pubblico – ma consentirà di evitare facili (quanto indebite) sovrapposizioni 11.

D’altra parte, non può omettersi di dar conto dell’apporto che le varie forme di sapere hanno fornito nell’origine e nell’evoluzione dell’idea di rappresentanza – alle quali la stessa elaborazione giuridica ha indubbiamente attinto – e a cui deve necessariamente farsi riferimento in un’analisi che abbia ad oggetto la ricostruzione del concetto di rappresentanza politica: quest’ultima, infatti, “appartiene a quella categoria di concetti del diritto pubblico in cui il giuridico

si salda con qualcosa che giuridico non è, e perciò rimane sempre al di là del diritto (...) La cosa più interessante è che questi sono, in un certo senso, i punti d’Archimede dell’organizzazione costituzionale, laddove la dimensione esistenziale della politica si congiunge col diritto. Pensare di poterli formalizzare con termini, concetti e relazioni esclusivamente giuridiche, vale a precludersene una comprensione esauriente ed i significati, anche giuridici, più interessanti” 12.

1.2. L’elaborazione giuridica del concetto di rappresentanza: alcune osservazioni preliminari.

1.2.1 La nozione civilistica e la rappresentanza giuspubblicistica.

Sotto questo profilo, risulta determinante porre una prima distinzione concettuale – interna al mondo del diritto e trasversale ai vari modi di intendere la rappresentanza politica nelle diverse epoche – che è quella tra il più ampio

11 Il rischio sotteso a un tale errore di metodo, come osserva M.M. F

RACANZANI, op. ult. cit., p. 20 è che “un’indagine improntata sulla convenzionalità e operatività della riflessione, porta ad assumere ipoteticamente, ad enucleare tante definizioni convenzionali di rappresentanza, quanti sono i risultati operativi che si vogliano raggiungere con tale istituto, piegandolo, di volta in volta, alle contingenti necessità pratiche o, forse meglio, poietiche del momento”. 12 Così T.K

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genus dell’elaborazione giuridica del concetto di rappresentanza e la

“rappresentanza politica” propriamente intesa.

Tale summa divisio – spesso evocata da parte della dottrina 13 – deve però

ricondursi non tanto alla contrapposizione con la rappresentanza giuridica tout

court – quasi che questa, di per sé, sia una nozione incommensurabile o

contrapposta alla rappresentanza politica 14 – ma, più precisamente, alla

distinzione tra il modello privatistico della rappresentanza giuridica – propria del diritto civile 15 – e la sua ricostruzione giuspubblicistica 16 – propria del diritto costituzionale – nella quale la rappresentanza politica rientra a pieno titolo 17. Diversificazione, questa, evidenziata dalla dottrina tedesca anche sul

13 Cfr. C. L

AVAGNA, Istituzioni di diritto pubblico, Torino, 1982, p. 5469. Come osserva M.

LUCIANI, Il paradigma della rappresentanza di fronte alla crisi del rappresentato, in Percorsi e vicende attuali della rappresentanza politica, a cura di N.ZANON e F.BIONDI, Milano, 2001, p. 109 ss., “Dal punto di vista dogmatico, la storia della rappresentanza politica coincide con quella degli sforzi per la sua emancipazione e differenziazione dalla rappresentanza giuridica (…) il senso in cui affermiamo che il mandatario «rappresenta» il mandante nell’acquisto di un qualsivoglia bene è assai diverso da quello evocato da previsioni come l’art. 67 della Costituzione, ove si dispone che ciascun parlamentare rappresenta la nazione”.

14 A partire dalle posizioni di C.S

CHMITT, Verfassungslehre, Berlin, 1928, trad. it. in Dottrina della costituzione, Milano 1984, p. 276 ss. Sul punto si veda M.M. FRACANZANI, op. cit., pag. 50, il quale osserva come “Sembrerebbe che l’impossibilità di concepire la rappresentanza nell’ambito del diritto privato per Schmitt, sia dovuta non alla diversità della struttura che stiamo enucleando, ma proprio per il diverso ambito di applicazione. Gli affari di diritto privato in altre parole, concernono il singolo e non riguarderebbero la sfera politica. E questo carattere distinguerebbe rappresentanza politica da delega privata. In altre parole, e con un paradosso, nell’ambito pubblico i cittadini possono entrare in relazione tra di loro e può darsi rappresentanza. Nell’ambito privato non entrano in rapporto uti cives, ma uti singuli e nemmeno la rappresentanza sarebbe concepibile bensì solo una delega”.

15 Su cui si veda U. N

ATOLI, voce Rappresentanza (dir. priv.), in Enciclopedia del diritto, XXXVIII, Milano, 1987, p. 463 ss.

16 Sul tema si rinvia a G.ARANGIO-RUIZ, Intorno alla rappresentanza di diritto pubblico, in Studi giuridici in onore di Carlo Fadda pel 25 anno del suo insegnamento, IV, Napoli, 1906, p. 99-117.

17 Per un’approfondita disamina delle differenze tra i due modelli si rinvia a G. S

ARTORI, La rappresentanza politica, in Studi politici, IV, Firenze, 1957, p. 527-605.

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piano lessicale, con la distinzione tra il concetto di rappresentanza del diritto pubblico (Repräsentation) e quello nato ed elaborato in ambito privatistico (Vertretung) 18.

La concezione della rappresentanza politica come species della più ampia elaborazione giuridica sulla rappresentanza, consente anche di sfuggire un modello di ricostruzione delle due figure di rappresentanza – quella privatistica e quella pubblicistica – appiattito sul piano delle similitudini e delle differenze

19: mentre quest’ultima impostazione, infatti, si presta a sostenerne, di volta in

18 Sul punto si veda G. L

EIBHOLZ, Das Wesen der Repräsentation unter besonderer Berücksichtigung des Repräsentativsystems, Berlin, 1929 – ampliato nella III edizione Das Wesen der Repräsentation und der Gestaltwandel der Demokratie im 20, Berlin, 1966, trad. it. in La rappresentazione nella democrazia, a cura di S. FORTI, con Introduzione di P.

RESCIGNO, Milano, 1989. Tale distinzione viene ripresa anche da R. SMEND, Verfassung und Verfassungsrecht, München, 1928, trad. it. in Costituzione e diritto costituzionale, Milano 1988, p. 158 ss.; si v. anche G. COLAVITTI, La rappresentanza di interessi tra Vertretung e Reprasentation, in Percorsi e vicende attuali della rappresentanza e della responsabilità politica, a cura di N. ZANON e F. BIONDI, Milano, 2001, p. 145 ss.; S. FORTI, La rappresentanza nella democrazia, Milano, 1989, p. 69 ss.; sull’uso dei due termini in un’ottica non disgiuntiva cfr. L. ORNAGHI, Atrofia di un’idea. Brevi note sull’«inattualità» odierna della rappresentanza politica, in Rivista di diritto costituzionale, 1998, p. 16; N. BOBBIO, Dell’uso delle grandi dicotomie nella teoria del diritto, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, 1970, p. 195. Si veda anche D. NOCILLA, L. CIAURRO, Rappresentanza politica, op. cit., p. 560, che tuttavia rileva come “Questa differenza però non deve essere risolta nel contrasto tra il diritto privato e il diritto pubblico, al quale generalmente viene ricondotta: infatti, anche nel campo giuspubblicistico, emergono tipici esempi di Vertretung. Quindi, è necessario procedere ad una analisi specifica per individuare quale concetto sia applicabile - se quello originariamente civilistico di Vertretung o quello di Repräsentation - nelle diverse fattispecie del diritto pubblico, laddove un soggetto agisca secondo certe forme nell'interesse dello Stato”.

19 Sulle principali divergenze tra le due forme di rappresentanza si veda L. F

ERRAJOLI, Principia iuris. Teoria del diritto e della democrazia, Vol. II, Roma-Bari, 2007, p. 168-169: “Nella rappresentanza giuridica gli atti compiuti dal rappresentante sono imputati anche al rappresentato, che è titolare di tutte le situazioni attuate dal rappresentante e resta il dominus del rapporto. Nella rappresentanza politica, invece, non si determina nessuna doppia imputazione, ma solo un generico vincolo di tutela e soddisfazione degli interessi e delle aspettative che le pubbliche funzioni hanno il compito di tutelare” (...) “Di rappresentanza giuridica (...) si può quindi parlare, a proposito dei rappresentanti politici, solo per designare il rapporto di rappresentanza organica da essi intrattenuto non già con i loro elettori, da essi rappresentati politicamente, ma con le istituzioni politiche cui i loro atti sono imputati. Neppure nelle forme di democrazia basate sul mandato politico imperativo potrebbe parlarsi

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volta, la coincidenza o la radicale contrapposizione, la prima lettura guarda ai due tipi di rappresentanza in termini di mutua influenza – soprattutto della prima sulla seconda 20 – a partire da un comune patrimonio concettuale 21.

Così, ad esempio, non è mancato chi ha sottolineato i punti di contatto tra le due figure di rappresentanza nella declinazione della rappresentanza politica fondata sul vincolo di mandato tra eletti ed elettori – figura che più si avvicina in astratto al modello ideale di democrazia diretta e alla stessa rappresentanza giuridica di tipo privatistico – e tuttavia, anche in tale ipotesi, rimangono delle differenze fondamentali e non facilmente trascurabili, in particolare se si guarda alla natura

di rappresentanza in senso giuridico tra eletti ed elettori, non essendo imputabili ai secondi né i poteri, né gli atti, né gli effetti degli atti imputati ai primi. Ciò non toglie che i rappresentanti siano soggetti ai vincoli propri della sfera pubblica nell’esercizio delle pubbliche funzioni e che, per questa via, siano responsabili nei confronti dei rappresentati, nello stesso modo in cui lo sono gli amministratori di una società per azioni nei confronti dell’assemblea dei soci dalla quale sono stati eletti. Ma si tratta di una generica e vaga responsabilità politica, che si aggiunge a quella propriamente giuridica nei confronti dell’istituzione rappresentata”.

20 Come osserva M.M. FRACANZANI, op. cit., pag. 51, “La primogenitura storica del privato sul pubblico ne sottende, in realtà, una di carattere logico. È il comunicare degli uomini, logòn èkon, a permettere la nascita della politica, ed il diritto è lo strumento di tale comunicazione. Essa si concreta tanto nel privato quanto nel pubblico (quand’anche – come detto – la distinzione sia proficua e la si voglia mantenere a fini sistematici) e ne è la ragione di esistenza”.

21 Può infatti parlarsi di una “configurazione giuridica del concetto di rappresentanza”, la

quale, pure, ha fornito un apporto fondamentale all’elaborazione del corrispondente concetto politico, conferendogli una forma tipizzata e più precisa, che è tipica del tecnicismo giuridico. Come osserva M. COTTA, Rappresentanza, in Enciclopedia delle scienze sociali, Roma,

Istituto della enciclopedia italiana, Vol. VII, 1997, p. 215-230: “La sfera del diritto ha quindi potuto fornire strumenti concettuali molto elaborati per descrivere e interpretare relazioni sociali alle quali, con una interpretazione più o meno estensiva, si può applicare l’etichetta di rappresentanza. I poteri, i doveri e la legittimazione del rappresentante, i poteri del rappresentato, la natura del vincolo tra i due soggetti sono tutti aspetti sui quali la dottrina giuridica si è soffermata a lungo. E l’esperienza politica vi ha attinto ampiamente quando ha dovuto affrontare i problemi cruciali dei rapporti tra governanti e governati. Naturalmente sulla trasferibilità dell’esperienza giuridica a un tema altamente politico come quello qui in discussione possono essere sollevati dei dubbi, e infatti così è stato”. Né tale apporto da parte della dottrina giuridica pone nel nulla il contributo insostituibile della scienza politica alla definizione di tale concetto.

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– ed alle finalità – di tale rapporto rappresentativo 22.

In particolare, basti considerare che la rappresentanza politica – a differenza del modello civilistico – non comporta una diretta imputazione giuridica dell’attività posta in essere dai rappresentanti nella sfera giuridica del soggetto rappresentato – “dovendosi imputarla piuttosto alla figura dello Stato-persona”

23 – e si caratterizza per il contenuto eminentemente politico delle funzioni

svolte dal rappresentante 24, elemento questo del tutto sconosciuto alla figura

civilistica 25.

22 Sul punto si veda L.F

ERRAJOLI, op. ult. cit., p. 166, che osserva come la rappresentazione politica caratterizzata dal vincolo di mandato nei confronti degli elettori “ha una qualche vaga analogia con la rappresentanza giuridica, anche se è assai difficile, per non dire impossibile, condensare in un preciso mandat impératif la volontà degli elettori, o anche solo i loro interessi e le loro aspettative, ed obbligare il rappresentante a soddisfarli”; sulle differenze ineliminabili tra i due tipi di rappresentanza cfr. anche M. LUCIANI, Il paradigma della rappresentanza di fronte alla crisi del rappresentato, op. cit., p. 111, che osserva come “I due tipi di rappresentanza si distinguono, infatti, perché la rappresentanza giuridica, mantenendosi tutta nella sfera della privatezza, non consente di trasmettere, da un luogo all’altro, da un soggetto all’altro, identità culturali, valori, idee, convincimenti morali. Essa è semplicemente una tecnica di commercio giuridico, impiegata per facilitare gli scambi, perfettamente adiafora rispetto ai contenuti (anzi: inadeguata a far valere un contenuto purchessia). Tutt’altro che una mera tecnica, invece, è la rappresentanza politica, ed è per questo che le è connaturato il divieto di mandato imperativo, laddove il mandato caratterizza pienamente la rappresentanza giuridica e la stessa rappresentanza degli interessi.

23 Così G. M

OSCHELLA, Rappresentanza politica e costituzionalismo, Teoria e giurisprudenza costituzionale, un’analisi comparatistica, Rimini, 1999, p. 51. Cfr. anche S. ROMANO, Principi di diritto costituzionale generale, Milano, 1942, p. 164 ss.

24 Il quale si fa portatore dell’interesse generale e del bene comune della collettività, non già

dei soli interessi particolari del gruppo di estrazione, né di quelli dei suoi elettori o del partito di appartenenza, ma della comunità nel suo insieme. Sul punto si rinvia a H.F. PITKIN, La controversia mandato-indipendenza, ora in La rappresentanza politica, a cura di D. FISICHELLA, Milano, 1983, p. 195 ss.

25 Il carattere politico del mandato rappresentativo di diritto pubblico distingue, dunque, le due

tipologie di rappresentanza. Individua quale elemento distintivo il carattere politico riferito – non solo al rappresentante ma anche – al soggetto rappresentato T.KLITSCHE DE LA GRANGE, op. ult. cit., p. 67, il quale osserva come “la rappresentanza è politica, proprio perché il rappresentato ha un carattere esclusivamente e genuinamente politico, ovvero perché il rappresentato non è per nulla (o è solo in parte) giuridificabile”; d’altra parte, “si può dire con formula generale che il rappresentante rappresenti l’unità politica. In ciò, nel dar forma

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A ciò si aggiungono, quali determinanti elementi distintivi tra le due forme di rappresentanza, sia l’indeterminatezza dell’oggetto dell’incarico rappresentativo – in quanto il contenuto del mandato politico, in ordinamenti democratici minimamente complessi, non è del tutto prevedibile ab initio 26

sia l’ineffabilità della volontà del soggetto rappresentato – che essendo costituito da una “pluralità di mandanti” non possiede, se non per approssimazione 27, un’unica volontà da (im)porre al rappresentante nello

svolgimento del suo mandato – sia, infine, l’obbligatorietà di tale rappresentanza, in quanto, il soggetto rappresentato – per le sue stesse caratteristiche intrinseche, come visto – non può esercitare da sé i poteri conferiti al rappresentante e, in definitiva, è destinato ad essere “assente” 28. E infatti, mentre nel caso della rappresentanza privatistica l’“assenza del rappresentato” è del tutto eventuale e, comunque, volontaria – potendo anche

ad un’entità informale, ideale e pre-giuridica, è la sua caratteristica peculiare, che lo differenzia dagli altri tipi di rappresentanza”.

26 Come si vedrà nel prosieguo, è questo uno dei motivi che porterà, in epoca medievale, al

superamento del mandato imperativo ed alla nascita della “rappresentanza politica” propriamente intesa nella sua accezione giuspubblicistica. Sul punto cfr. V. MICELI, op. cit., p. 140: “la grande complessità d’interessi e di bisogni prodotta dall’estensione dello stato e della sua attività doveva rendere impossibile, il mandato giuridico o il così detto mandato imperativo. Quando gl’interessi e i bisogni diventano così numerosi e diversi, non è più dato ad ogni individuo di comprenderli tutti, d’interpretarli e di formularli tutti in modo preciso; come non è possibile di prevedere tutte le trasformazioni che potranno subire e tutte le maniere per poterli soddisfare. E parimenti non è più possibile ad un gruppo di elettori di determinare tutta la linea di condotta che dovrà seguire il rappresentante”.

27 Un’approssimazione che, negli ordinamenti democratici, assume generalmente le forme del

principio maggioritario.

28 A meno di voler accedere alla tesi secondo cui, anche in ordinamenti complessi, sarebbe

possibile ricorrere alla c.d. “democrazia diretta” quale modello di riferimento principale per il governo della res pubblica. Sul punto si veda già MONTESQUIEU, Esprit des lois, libro XI, p. 6, riportato in A. BARBERA, I Parlamenti, Roma-Bari, 2003, p. 6 – che osserva come “Poiché in uno stato libero ogni uomo (...) deve essere governato da se stesso, bisognerebbe che il popolo in corpo possedesse la potestà legislativa; ma siccome ciò è impossibile nei grandi stati ed è soggetto a molti disordini nei piccoli, occorre che il popolo faccia per mezzo dei suoi rappresentanti tutto quello che non può fare da se stesso”.

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essere solo momentanea e contingente, legata alle motivazioni più svariate, fosse anche solo la convenienza economica o perfino l’indifferenza del soggetto rappresentato rispetto agli affari delegati 29 – in ambito pubblicistico tale

“assenza” si fa necessaria, essendo un elemento ineliminabile che, si può dire, costituisce la stessa ragion d’essere della rappresentanza politica 30.

Così – anticipando fin d’ora riflessioni che saranno più diffusamente sviluppate nel prosieguo – parlare di “sovranità popolare” intanto ha senso in quanto vi è la consapevolezza che un tale “sovrano” – inteso quale decisore unico, dotato di un univoco convincimento 31 – non è dato nella realtà – se non per

29 Il rappresentato, poi, potrebbe in ogni momento revocare l’investitura del rappresentante e

scegliere di condurre direttamente e personalmente le attività inizialmente delegate. Sicché si tratta di una contingenza che riguarda tanto l’an quanto il quid, il quando ed il quomodo. Tali caratteristiche si ricollegano alla complessità della vita sociale ed economica, dalla quale dipendono anche le questioni relative ai limiti dei poteri conferiti, alle rispettive responsabilità ed agli effetti che l’attività posta in essere dal rappresentante produce nella sfera del soggetto rappresentato. Per un’elencazioni dei profili di distinzione tra la rappresentanza civilistica e quella politica si veda T. MARTINES, op. ult. cit., p. 221, il quale evidenzia come “mentre nella rappresentanza di volontà (o diretta) (così come disciplinata negli artt. 1387 e ss. cod. civ.), i negozi compiuti da un soggetto (rappresentante) producono normalmente effetto diretto nella sfera giuridica di quest’ultimo, nella rappresentanza che qui occupa: a) gli eletti non rappresentano i loro elettori ma una entità astratta, la nazione o, se si vuole, l’intera collettività popolare; b) non esiste alcun rapporto giuridico fra ‘rappresentanti’ e ‘rappresentati’, ché, anzi, a norma dell’art. 67 Cost., i primi esercitano le loro funzioni ‘senza vincolo di mandato’; c) non esiste (almeno nella maggior parte degli Stati) la possibilità degli elettori di revocare gli eletti; d) il rapporto è esclusivamente bilatero (fra rappresentante e rappresentato) e non trilatero, come nella rappresentanza di volontà (rappresentante, rappresentato, ‘terzo’)”:

30 Come osserva P.C

OSTA, Il problema della rappresentanza politica: una prospettiva storica,

in Il Filangeri, Napoli, 2004, n. 3, p. 329-330, “La rappresentanza è una strategia contro un’assenza per qualche motivo insuperabile; rappresentare è mettere in scena, è creare una presenza evocativa o sostitutiva di una realtà che non si dà (o non si dà più) se non in una forma (discorsivamente, simbolicamente, ‘scenicamente’) mediata, ma non per questo evanescente o ‘irreale’”.

31 Come osserva Hobbes (cfr. Leviatano, Cap. XVI) c’è un solo modo perché una moltitudine

di individui possa essere pensata – e possa conseguentemente agire – come un soggetto unico, e cioè che un soggetto unico (monarca o assemblea) ne sia il rappresentante. Sul punto, G. DUSO, Ripensare la rappresentanza alla luce della teologia politica, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 41, 2012, p. 17: “Il concetto moderno di rappresentanza è tutto ancorato alla immaginazione politica che si basa su questi due poli:

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approssimazione – ed è destinato ad essere e rimanere “assente”, in quanto “È

impensabile che tutto il popolo decida sempre su tutto, se non altro perché non esiste una volontà unitaria di tutto il popolo” 32: si pone dunque l’esigenza di

“fingere la presenza di tutti” 33, rispetto alla quale la moderna rappresentanza

politica costituisce forse lo strumento giuridico più sofisticato che gli

l’unità del soggetto collettivo e la moltitudine indefinita degli individui. La logica della costruzione hobbesiana appare ferrea e ben più determinante per gli sviluppi della politica moderna di quanto solitamente si sia disposti a ritenere; i tentativi di superarla, che spesso si presentano proprio sulla base della rilevanza politica dell’individuo, sembrano essere perciò destinati al fallimento. Ma essa appare condizionante e difficilmente superabile solo a patto che si resti all’interno del presupposto sopra indicato: che si pensi cioè l’entità politica in relazione ai due poli costituiti dal soggetto individuale e dal soggetto collettivo (nelle costituzioni: Stato e cittadini). È al di là di questa immaginazione che bisogna dunque andare qualora si voglia superare il nesso di sovranità-rappresentanza che ha nel diritto naturale la sua genesi”.

32 Così L.F

ERRAJOLI, op. ult. cit., p. 165, secondo cui, in definitiva, “Il modello ideale della democrazia politica (...) ossia la coincidenza tra governati e governanti (...) è non solo irreale (...) ma è altresì irrealizzabile”. Esprime posizioni scettiche sulla possibilità di H. KELSEN, Essenza e valore della democrazia, Cap. II,, pag. 50-51: “Democrazia significa identità di governanti e di governati, di soggetto e di oggetto del potere, governo del popolo sul popolo. Ma che cos’è questo popolo? (...) una pluralità di individui senza dubbio. E sembra che la democrazia presupponga, fondamentalmente, che questa pluralità di individui costituisca un’unità, tanto più che, qua, il popolo come unità è – o dovrebbe teoricamente essere – non tanto oggetto quanto soggetto del potere. Ma di dove possa risultare questa unità che appare col nome di popolo, resta problematico finché si considerano soltanto i fatti sensibili. Diviso da contrasti nazionali, religiosi ed economici, il popolo appare, agli occhi del sociologo, piuttosto come una molteplicità di gruppi distinti che come una massa coerente di uno e di un medesimo stato di agglomerazione”.

33 Così G. M

IGLIO, Le trasformazioni del concetto di rappresentanza, in AA.VV., La rappresentanza politica, Bologna, 1985, in Le regolarità della politica, Milano, 1988, II, p. 978. Sul punto si veda anche M.LUCIANI, Il paradigma della rappresentanza di fronte alla crisi del rappresentato, op. cit., p. 112: “Accede, infatti, alla rappresentanza politica una generalità (rinvenibile anche lessicalmente nel suo riferirsi alle cose della polis) che è sconosciuta alle altre due forme di rappresentanza, le quali sono in grado di afferrare solo il particolare di un certo affare o di un determinato interesse economico-sociale. Sempre per questa ragione è immanente alla rappresentanza politica un elemento di rappresentazione simbolica, un’aspirazione a «rendere presente» il rappresentato, sia pure attraverso il filtro della fictio, nella globalità del suo essere pubblico”.

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ordinamenti abbiano finora saputo dare 34. 1.2.2. La rappresentanza come fictio.

Sotto questo profilo, certamente comune ad entrambe le figure di rappresentanza – quella civilistica e quella giuspubblicistica – è l’elaborazione del concetto di rappresentanza giuridica a partire da una – evidente – “fictio”, con la quale qualcuno “si rende presente” per mezzo di un altro, il quale agisce e decide in nome del primo “come se” fosse lo stesso rappresentato ad agire e a decidere 35.

Ciò vale tanto nei rapporti di diritto privato, quanto, in un certo senso, nelle dinamiche della rappresentanza politica: come osservava incisivamente Hans Kelsen – tra i principali teorici della “rappresentanza politica come fictio” – “La

formula che il membro del parlamento non è il rappresentante dei suoi elettori ma di tutto il popolo o, come taluno scrive, di tutto lo Stato (...) è una finzione politica” 36.

34 Sul punto si veda H. KELSEN, op. ult. cit., p. 296, il quale osserva come “Se gli scrittori politici insistono nel definire un organo «rappresentativo» il parlamento della democrazia moderna, nonostante la sua indipendenza giuridica dal corpo elettorale, se taluni scrittori dichiarano persino che il mandat impératif è contrario al principio del governo rappresentativo, essi non presentano una teoria scientifica, ma sostengono un’ideologia politica. La funzione di questa ideologia è di nascondere la situazione reale, di mantenere un’illusione che il legislatore sia il popolo nonostante il fatto che, in realtà, la funzione del popolo – o, formulata più esattamente, del corpo elettorale – sia limitata alla creazione dell’organo legislativo”.

35 Sulla rappresentanza come fictio si veda S. F

URLANI, Rappresentanza politica, in Nss. D.I..,

vol. XIV, Torino, 1975, p. 871 ss., part. p. 872; T. MARTINES, Diritto costituzionale, op. cit., p. 278. Nella più risalente dottrina italiana, V.E. ORLANDO, Del fondamento della rappresentanza politica, 1895, ora in Diritto pubblico generale. Scritti vari (1881-1940), Milano, 1954.

36 Così H. KELSEN, Teoria generale del diritto e dello Stato, Milano, 1963 p. 296. In

particolare, secondo Kelsen, non vi può essere un governo propriamente rappresentativo se il rappresentante non è giuridicamente vincolato a eseguire la volontà dei suoi elettori, sicché “L’indipendenza giuridica del parlamento dal corpo elettorale significa che il principio della democrazia è sostituito, in una certa misura, da quello della divisione del lavoro. Per celare questo passaggio da un principio ad un altro, si ricorre alla finzione secondo la quale il parlamento «rappresenta» il popolo” (ibidem p. 297). Sul rapporto tra rappresentanza politica

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In particolare, all’interno della teoria della rappresentanza come fictio è possibile scorgere una distinzione – pure presente nel pensiero Kelseniano 37 – tra la ricostruzione della rappresentanza come “finzione politica” e la sua classificazione come mera “finzione giuridica” – cioè come fictio iuris in senso stretto 38.

Nel primo caso si evidenzia l’elemento comune della “finzione” – posto alla base di entrambe le figure di rappresentanza – ma si considerano le differenze sostanziali della rappresentanza politica, la fictio essendo ricondotta più alle premesse ideologiche del rapporto rappresentativo – cioè all’assunto secondo cui i componenti delle Assemblee elettive rappresentano, a seconda delle varie ricostruzioni, la Nazione, lo Stato o il popolo nella sua totalità – che legittimano la stessa “sovranità parlamentare” 39.

Nel secondo caso, invece, si tende ad assimilare – e porre sullo stesso piano – la rappresentanza politica con la rappresentanza di tipo civilistico, in quanto anche la prima prevedrebbe la “sostituzione” del rappresentato ad opera del rappresentante – con la differenza che tale sostituzione non troverebbe origine in un negozio giuridico, ma nella legge e nelle stesse carte costituzionali 40

e finzione in Kelsen, si rinvia a B. MONTANARI, La questione della rappresentanza politica in Hans Kelsen, in Riv. int. fil. dir., 1972.

37 In particolare, proponendo, in un primo tempo l’idea della rappresentanza come mera

“finzione politica” di carattere mistificante (cfr. H. KELSEN, op. ult. cit., p. 295) e, successivamente, riducendo la rappresentanza a “finzione giuridica” in senso stretto (cfr. H. KELSEN, Reine Rechtslehre Vienna, 1960, trad. it. in La dottrina pura del diritto, a cura di

M.G. LOSANO, Torino, 1966). 38 Sul punto si veda B. M

ONTANARI, op. ult. cit., p. 200 ss.

39 E infatti, la fictio si riferisce al fatto che, nella realtà, sono i membri del Parlamento – e non

il popolo – a partecipare all’attività legislativa, non esistendo alcun punto di contatto “reale” ed effettivo tra la volontà del parlamento e la volontà popolare al di fuori delle consultazioni elettorali.

40 Cfr. H. K

ELSEN, La dottrina pura del diritto, op. cit., p. 332, che la configura come una vera e propria “rappresentanza legale”, con la quale vengono imputati al popolo tutti gli atti posti in essere dai rappresentanti.

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interessando non solo i presupposti del rapporto rappresentativo, ma il mandato parlamentare nella sua interezza, sostanziandosi in un “procedimento di

ascrizione al popolo di atti posti in essere dai rappresentanti” 41.

Anche sotto tale profilo, peraltro, valgono i rilievi già sollevati a proposito della doverosa distinzione – per così dire – ontologica tra il modello civilistico e la rappresentanza politica propriamente intesa, le quali – al di là di analogie e punti di contatto certamente presenti – in realtà condividono più l’origine storica da una comune elaborazione giuridica – come si vedrà nel prosieguo – che non la medesima natura, eziologia e finalità.

Da una parte, pertanto, è evidente come l’elemento della “finzione” sia, in un certo senso, ineliminabile e rappresenti uno dei presupposti fondamentali – quanto meno sul piano giuridico – che costituiscono il concetto stesso di rappresentanza.

Dall’altra parte, tuttavia, la rappresentanza pubblicistica e la “finzione” ad essa sottesa, per cui il popolo si fa presente ed agisce per mezzo dei suoi rappresentanti, presenta, come visto, delle peculiarità sue proprie, estranee alla rappresentanza civilistica, e riconducibili, in ultima istanza, al carattere fondamentalmente “politico” della rappresentanza di diritto pubblico 42.

Da qui l’esigenza di sottolineare la distinzione tra i due tipi di “rappresentanza” – che presuppone il riferimento a due diversi tipi di fictio – laddove “mentre la

rappresentanza giuridica, insomma, è una fictio iuris in senso proprio (un mezzo, ripeto, per facilitare gli scambi ed il commercio giuridico tra più

41 Così D. N

OCILLA, L. CIAURRO, Rappresentanza politica, op. cit., p. 551.

42 Come osserva M. L

UCIANI, Il paradigma della rappresentanza di fronte alla crisi del rappresentato, op. cit., p. 11 “lo Schmitt di Cattolicesimo romano e forma politica (...) ammoniva: «Al ‘politico’ inerisce l’idea, dato che non c’è politica senza autorità, né c’è autorità senza un ethos della convinzione» e «la rappresentanza conferisce una particolare dignità alla persona del rappresentante, poiché chi rappresenta un alto valore non può essere privo di valore». E per sua stessa essenza allora, che la rappresentanza politica è carica di valore, in quanto è di questo che si predica il rappresentato, trasmettendo il proprio pregio anche al rappresentante”.

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soggetti di diritto), la rappresentanza politica è quel che Vaihinger chiamava finzione etica, e cioè un «ideale», una «costruzione concettuale in sé contraddittoria e in contraddizione anche con la realtà», che tuttavia possiede un eccezionale valore. Un valore che è dato dalla capacità di orientamento di comportamenti umani e di intere visioni del mondo. Qui sta l’essenza della rappresentanza politica” 43.

1.2.3 Rappresentanza come situazione di potere e rappresentanza come rapporto.

Nell’introdurre il discorso sulla nozione di rappresentanza si è già posto in evidenza l’esistenza di plurime posizioni dottrinali che ruotano attorno alla definizione degli stessi elementi essenziali dell’istituto rappresentativo.

Sotto tale profilo, si sono prospettate in dottrina due teorie ricostruttive fondamentali, che tendono a leggere il fenomeno rappresentativo esaltando, rispettivamente, l’una la prospettiva della “situazione” di potere del rappresentante 44 – a prescindere dal titolo di legittimazione del suo mandato –

l’altra, la dimensione del “rapporto” che intercorre con il soggetto rappresentato

45 – sia esso la Nazione, lo Stato, o il popolo.

La prima lettura – c.d. rappresentanza come situazione – privilegia il ruolo e l’autonomia del rappresentante, presupponendo una certa omologazione e comunanza di interessi – e, in definitiva, l’esistenza di un interesse generale

43 Così M.L

UCIANI, op. ult. cit., p. 112.

44 Per una sintesi delle posizioni in dottrina si rinvia a D. N

OCILLA, Situazione rappresentativa e rapporto nel diritto positivo e nelle prospettive di riforma della rappresentanza politica, in Arch. Giur., 1990, p. 87 ss.

45 Si veda, ex pluribus, V. C

RISAFULLI, La Costituzione della Repubblica italiana ed il controllo democratico dei partiti, in Studi politici, 1960, p. 270 ss.; C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, I, Padova, 1975, p. 423 ss.; M. COTTA, Parlamenti e rappresentanza, in Manuale di scienza della politica a cura di G. PASQUINO, Bologna, 1986, p. 283 ss. Tale tesi, peraltro, trova sostenitori anche nella dottrina civilistica: si veda, per tutti, S. PUGLIATTI, Il conflitto di interessi tra principale e rappresentante, in Studi sulla rappresentanza, Milano, 1965, p. 53 ss.; P. RESCIGNO, Un libro sulla rappresentanza, in Riv. dir. civ., 1951, I, p. 86 ss.

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della Nazione o del popolo, contrapposto agli interessi particolari dei gruppi intermedi – che, come tali, sarebbero facilmente “decifrabili” da parte del rappresentante, il quale potrebbe farsene interprete e tutore a prescindere dalla presenza di un significativo rapporto con i soggetti rappresentati e di un effettivo “controllo” da parte di quest’ultimi – sia in termini di vincoli e direttive impartiti al mandato rappresentativo, sia in termini di responsabilità politica per l’eventualità in cui i primi vengano disattesi 46.

La seconda lettura – c.d. rappresentanza come rapporto – attribuisce carattere dirimente alla relazione tra rappresentante e rappresentato, quale presupposto fondamentale ed ineliminabile del modello rappresentativo: e infatti, non avrebbe senso parlare di “rappresentanza” come concetto slegato dall’idea di

relazione, il che equivarrebbe ad annichilire la posizione dello stesso

rappresentato e ad esasperare l’autonomia del rappresentante, che sconfinerebbe nel puro arbitrio.

In altre parole, la rappresentanza tenderebbe a ridursi ad una mera investitura formale di potere, priva di contenuto, fondata – questa volta sì – su una fictio

iuris in senso stretto.

D’altra parte, anche la situazione di autonomia del rappresentante risulta una componente essenziale del fenomeno rappresentativo 47, in quanto, in sua assenza, non si parlerebbe neppure di rappresentanza ma, semmai, di perfetta

coincidenza tra la volontà del rappresentante e quella del rappresentato, il quale

non potrebbe far alto che dare puntuale esecuzione al mandato ricevuto, il suo

46 È questa la ricostruzione elaborata dalla dottrina giuridica in epoca liberale – e che si ritrova

nella configurazione delle istituzioni rappresentative tra il XVIII ed il XIX secolo – fondata sul principio del libero mandato, sulla rappresentanza della Nazione e sull’autonomia ed indipendenza del rappresentante nel farsi interprete privilegiato di tale volontà.

47 Cfr. A. BARBERA, La rappresentanza politica: un mito in declino?, op. cit., p. 856:

“L’autonomia del rappresentante è quindi condizione necessaria (anche se non sufficiente) perché esso possa operare una selezione di interessi talvolta fra loro contraddittori, perché possa rappresentare una «pluralità» altrimenti non rappresentabile. Essenziale è, quindi, per il costituzionalismo liberaldemocratico, in questo quadro, il divieto del mandato imperativo”.

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ruolo riducendosi a quello di mero delegato o “nuncius” 48.

Pertanto, entrambe le prospettive, se portate agli estremi – e cioè, da una parte, una rappresentanza priva di ogni legame con i soggetti rappresentanti, che sfocia in finzione giuridica; dall’altra parte, un mandato in cui al rappresentante è negato ogni margine di autonomia, che porta, in definitiva, alla coincidenza con la volontà del rappresentato 49 – si pongono al di fuori dello stesso paradigma

rappresentativo, configurandosi più quali “concetti-limite” che non come possibili declinazioni reali della rappresentanza.

Rapporto rappresentativo e situazione di potere costituiscono, piuttosto, due elementi indefettibili del fenomeno rappresentativo, sicché nello studio sulla rappresentanza politica – e sui modelli in cui questa si è storicamente realizzata, in concreto – non può non adottarsi un’impostazione che guardi ai profili che caratterizzano l’una e l’altra prospettiva 50.

A tal proposito, è possibile notare come la prevalenza di una componente sull’altra, storicamente, ha segnato l’evoluzione dei vari modelli di rappresentanza nell’ambito del più ampio processo di trasformazione della forma di Stato 51.

E così, se in epoca medievale la rappresentanza politica è intesa in chiave sostanzialmente fiduciaria – per cui è soprattutto l’elemento del rapporto a

48 Così A. P

APA, La rappresentanza politica: forme attuali di esercizio del potere, Napoli, 1998, p. 11.

49 Tale tesi è riconducibile a Rousseau – cfr. J.J. R

OUSSEAU, Il contratto sociale, op. cit., p.

320 ss. – che, non a caso, sembra teorizzare un modello di “Governo del popolo” più vicino alle forme della democrazia diretta che non a quelle della democrazia rappresentativa (cfr. J.J. ROUSSEAU, op. ult. cit., p. 803: “nel momento in cui un popolo si dà dei rappresentanti, non è più libero anzi non esiste più”).

50 In questo senso D. NOCILLA, L. CIAURRO, Rappresentanza politica, op. cit., p. 544, secondo

cui “la pretesa di ridurre il fenomeno rappresentativo ad uno soltanto degli aspetti più sopra individuati finisce per introdurre una falsa prospettiva nel dibattito, tuttora aperto in dottrina, teso alla individuazione degli elementi e dei caratteri costitutivi della rappresentanza giuridica”.

51 Così G. M

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risultare ancora nettamente prevalente 52 – in epoca liberale sarà la situazione di

potere del rappresentante ad emergere quale elemento – quantomeno – preminente del modello rappresentativo, in uno con la centralità del Parlamento

53.

Il recupero della componente relazionale all’interno del fenomeno rappresentativo – che avverrà gradualmente, attraverso il progressivo superamento del modello liberale classico e culminerà con l’avvento delle Costituzioni liberaldemocratiche nel secondo dopoguerra ed il riconoscimento del principio di sovranità popolare – coinciderà con l’affermazione di un nuovo modello di rappresentanza, che privilegia la dimensione del rapporto rappresentativo – non più secondo la lettura “fiduciaria” tipica del sistema vassallatico medievale ma – in chiave partecipativa – con l’ingresso della

52 Peraltro, come si vedrà più diffusamente nel prosieguo, è proprio nel Medioevo che si

sviluppa la prima forma di rappresentanza giuspubblicistica – propriamente intesa – a partire dalla progressiva “emancipazione” del rappresentante dai vincoli del mandato imposto dal soggetto rappresentato, con il riconoscimento di una crescente sfera di autonomia decisionale e di indipendenza (a partire dalla c.d. plena potestas conferita ai delegati): è qui che nasce il primo nucleo della situazione rappresentativa come posizione autonoma del rappresentante, ancorché sussista ancora un vincolo molto forte che lo lega al soggetto rappresentato, sicché l’elemento del rapporto è ancora preminente su quello della situazione di potere.

53 E infatti, il Parlamento – a composizione monoclasse e a (pretesa) rappresentanza generale

– diviene la sede naturale in cui prende forma la stessa volontà della Nazione – della quale il singolo rappresentante si fa legittimo interprete – non configurandosi più come un mosaico frammentato di interessi particolari e sezionali. Fino al superamento del modello dell’ancient regime, infatti, la rappresentanza dei Parlamenti esprimeva, piuttosto, la molteplicità dei centri di interesse – corporazioni, ceti, borghi, etc. – che componevano il variegato panorama sociale, in contrapposizione alla rappresentanza del Sovrano quale unico vero “garante” dell’interesse generale. Con la rivoluzione francese – e, sostanzialmente, fino al XIX secolo – il paradigma muta in maniera diametralmente opposta, ed il Parlamento – più che centro di rappresentanza e sintesi degli interessi particolari – diviene espressione dell’interesse generale dello Stato monoclasse borghese. In realtà anche alle assemblee medievali era ancora sconosciuto il ruolo di “composizione di interessi” proprio dei parlamenti liberal-democratici negli ordinamenti pluralisti, sostanziandosi piuttosto, come luogo privilegiato in cui tali istanze – tra loro spesso confliggenti e contrapposte – potevano essere presentate al Monarca. Era il Sovrano, dunque, ad eleggere gli interessi meritevoli di tutela ed a rappresentare l’interesse generale della Nazione. Sul punto cfr. D. NOCILLA, L. CIAURRO, Rappresentanza politica, op. cit., p. 556.

(26)

società all’interno delle istituzioni rappresentative 54 – e che vede nelle elezioni

politiche non soltanto uno strumento di legittimazione del potere – e di selezione dei “migliori” rappresentanti – ma anche la sede in cui viene definito il contenuto stesso di un vero e proprio “mandato politico” conferito al rappresentante 55.

In questo senso, al Parlamento viene conferito il compito fondamentale di ricondurre la complessità in unità, la teoria della rappresentanza politica costituendo lo strumento concettuale attraverso cui conciliare le ragioni del rapporto rappresentativo – ormai vera chiave di volta del circuito di legittimazione democratica – con le esigenze di governabilità delle moderne assemblee parlamentari – riconducibili alla rappresentanza come situazione di potere autonomo – bilanciando, cioè, rappresentatività e capacità decisionale, responsabilità politica e funzione di governo 56.

Prima di arrivare al discorso sulla rappresentanza nelle costituzioni liberaldemocratiche contemporanee, tuttavia, è necessario ripercorrere più approfonditamente l’evoluzione storica della rappresentanza politica.

54 Così che, mentre in epoca medievale il popolo veniva rappresentato di fronte al potere, nella

modernità il popolo è rappresentato dal potere.

55 Sicché “La realizzazione della volontà degli elettori e il perseguimento dei loro interessi viene demandato, attraverso lo strumento del mandato elettorale, ai deputati responsabili politicamente di fronte agli elettori. È proprio nel binomio responsabilità-mandato che si coglie l’intuizione più originale, ma anche il limite maggiore, della teoria della rappresentanza come rapporto” (così G. MOSCHELLA, Rappresentanza politica e costituzionalismo, op. cit., p. 58).

56 Critica la contrapposizione tra la componente della responsiveness – ovvero la capacità di

farsi portatori delle richieste dei rappresentanti – e della accountability – intesa come capacità decisionale e di governo – A. BARBERA, La rappresentanza politica: un mito in declino?, op. cit., p. 884 :“Trovo fuorviante l’alternativa fra «rappresentanza» e «decisione» spesso presente nel dibattito sulle politiche istituzionali (...) Contrapporre le ragioni dell’una e dell’altra è privo di senso. Non è possibile porsi il tema della crisi della rappresentanza senza tenere conto che gli input rappresentativi hanno bisogno di sbocchi decisionali (democrazia in versione output). La complessità dei fenomeni da regolare richiede, inoltre, decisioni spedite che accrescano il ruolo del governo nell’iniziativa legislativa e nell’attività regolamentare”.

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