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L’abdicazione del decisore politico: dalla “neutralizzazione della politica” alla “sindrome di Nimby” del localismo.

LA RAPPRESENTANZA POLITICA IN COSTITUZIONE: LA CRISI DELLA RAPPRESENTANZA PARLAMENTARE

2.2. La crisi dei rappresentanti.

2.2.2. L’abdicazione del decisore politico: dalla “neutralizzazione della politica” alla “sindrome di Nimby” del localismo.

Se dal piano della governance multilivello della rappresentanza ci spostiamo ai fenomeni di carattere politico, economico e sociale che incidono, a vario titolo, sulla perdita di centralità del Parlamento, un primo profilo che viene in rilievo attiene certamente alla crescente complessità – tecnica e politica – degli ambiti su cui il decisore politico è chiamato ad intervenire: la dimensione

300 Si veda per tutti N. L

UPO, A. MANZELLA, Il sistema parlamentare euro-nazionale, Torino,

2014, p. 5 ss. Considera tale vulnus democratico ormai “cronico”, B. CARAVITA, “Parlamentarizzare”, semplificare, razionalizzare i percorsi decisionali europei, in federalismi.it, 2015, n. 14, p. 3. Tali considerazioni emergono fin da subito anche nello Studio sull’e-democracy condotto dal Parlamento Europeo – Prospect for e-democracy in Europe, http://www.europarl.europa.eu/stoa/en/document/EPRS_STU(2018)603213, redatto dal Science and Technology Options Assessment (STOA) del Servizio di ricerca sul parlamentarismo europeo (EPRS) nel febbraio del 2018 – ove si osserva, fin da subito, come “A long-standing and continuing democratic deficit of the European Union is detected in public and scholarly debate. This democratic deficit is explained by the complex and mutually reinforcing mix of institutional design features of the EU and it is held to contribute to a lacking sense of European citizenship and the negative and nation-oriented public discourse around the EU. It is still believed by many that the perceived democratic deficit of the European Union indicates the need for fostering a European public sphere as a space of debate across national public spheres. Moreover, there is a consensus that the new modes of political communication and participation via the internet can play a role in that respect. Redressing the democratic deficit is obviously a daunting task which cannot be accomplished through the introduction of e-participation tools alone. Far-reaching expectations of a fundamental reform of modern democracy through the application of online participatory tools are vanishing after two decades of e-democracy. However, if properly designed and implemented, e-participation has the potential to contribute to accountability and transparency, trans-nationalisation and politicisation of public debates, and the improvement of exchanges and interactions between EU decision-making and European citizens. A common critique on e-participation practices at the EU-level is that they are a successful civic instrument but not a convincing policy instrument. Many e- participative projects suffer from a lack of direct, or even indirect, political or policy impact but seem to provide personal added value for participants and community building” (così Prospect for e-democracy in Europe, cit., part I, p. 1).

transfrontaliera delle interazioni economiche e delle crisi globali 301 e la

pervasività del progresso tecnico-scientifico 302 – non solo rispetto alla sfera giuridica, ma in genere alle attività umane – hanno portato ad ulteriori dismissioni di sovranità a favore di Authorities ed organismi tecnici – anche a livello europeo o sovranazionale – delegando alla potestà regolamentare di questi ultimi la disciplina di settori nevralgici dell’ordinamento proprio sul presupposto della – presunta – “neutralità” dei centri di decisione tecnica rispetto agli interessi pubblici e privati coinvolti 303.

Al di là della complessità tecnica di tali settori, infatti, lo sviluppo a macchia d’olio di tale modello amministrativo è dipeso anche da un deliberato arretramento del “decisore politico” – e, in particolare, del “decisore parlamentare” – rispetto all’attività di mediazione di interessi – pubblici e privati – ed alla risoluzione di rilevanti conflitti economi e sociali, che è stata derubricata a mero “tecnicismo”.

Tale processo – che è stato definito di “neutralizzazione della politica” 304 – ha

301 Su cui si rinvia alla lucida analisi di S. C

ASSESE, The Global Polity. Global Dimensions of Democraty and the Rule of Law, Sevilla, trad. it., Chi governa il mondo, Bologna, 2013. Cfr. anche F. GALGANO, La globalizzazione nello specchio del diritto, Bologna, 2004.

302 Cfr. N. IRTI, E. SEVERINO, Dialogo su diritto e tecnica, Roma, 2001.

303 Cfr. M. C

LARICH, Autorità indipendenti. Bilancio e prospettive d’un modello, Bologna, 2005, p. 106 ss.; P. BILANCIA, La regolazione dei mercati di settore tra autorità indipendenti nazionali e organismi europei, Milano, 2012, p. 103 ss. Sul concetto di “neutralità” rispetto agli interessi – e sulla differenza rispetto al concetto di imparzialità e terzietà – si veda già L. CARLASSARE, Amministrazione e potere politico, Padova, 1974, p. 83 ss.; nonché A.M. SANDULLI, Funzioni pubbliche neutrali e giurisdizione, ora in Scritti giuridici, Napoli, 1990, vol. II, p. 261 ss.

304 Così M. L

UCIANI, Il paradigma della rappresentanza di fronte alla crisi del rappresentato, op. cit., p. 113 ss. il quale osserva come “Le difficoltà di una mediazione politica del conflitto sociale hanno suggerito il ricorso a meccanismi autoregolativi della società civile, anche per il tramite di apposite istituzioni pubbliche capaci di essere (più che un luogo di decisione autoritativa) la sede di quell’autoregolazione (è il caso delle autorità indipendenti). Dell’arretramento della politica, ovviamente, non poteva non risentire il meccanismo della rappresentanza, e infatti il Parlamento ha cominciato a conoscere ostacoli sempre maggiori nel mantenersi come il naturale centro della mediazione tra i soggetti sociali. Nel generale

comportato la riduzione di ambiti particolarmente rilevanti dell’agere politico

305 a problemi di natura eminentemente “tecnica”, in cui il ruolo della politica

scompare del tutto o, comunque, rimane sullo sfondo.

Si è assistito così alla dismissione di importanti decisioni – anche di carattere strettamente politico 306 – a favore di organismi tecnici ed “imparziali”, le c.d. autorità amministrative indipendenti 307, che pur presentando legami

particolarmente deboli con il circuito democratico-rappresentativo – o forse, proprio per questo – sono divenuti il “giudice naturale” della risoluzione di

processo di ridefinizione dei rapporti tra sfera pubblica e sfera privata (tra Stato e mercato), le istituzioni rappresentative hanno subito le conseguenze più rilevanti”.

305 Si pensi alla regolazione del sistema bancario (Banca d’Italia), alla lotta alla corruzione,

alla vigilanza nel settore dei contatti pubblici ed alla trasparenza della P.A. (ANAC), al controllo dei trasporti e dei servizi minimi essenziali (ART), al controllo del settore delle telecomunicazioni (AGCOM), alla vigilanza sulla libera concorrenza, concentrazioni, posizioni dominanti e tutela del consumatore (AGCM), alla vigilanza sul corretto esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali (CGS), alla tutela degli investitori ed all’efficienza e trasparenza del mercato mobiliare (CONSOB), alla garanzia dei diritti dei detenuti (GNPL), alla tutela dei diritti relativi al trattamento dei dati personali (Garante per la protezione dei dati personali) solo per dirne alcuni.

306 In questo senso F. M

ERUSI, Democrazia e autorità indipendenti. Un romanzo quasi giallo, Bologna 2000, p. 42 ss.; L. IEVA, Autorità indipendenti, tecnica e neutralità del potere, in Foro amm., 2001, p. 71 ss.

307 Si tratta di un modello di amministrazione – diffusosi negli Stati Uniti già a partire dalla

prima metà del novecento (cfr. R.L. RABIN, Federal regulation in historical prospective, in Standford Law Review, 1986, p. 1189 ss.) – alternativo a quello ministeriale, in quanto posto al di fuori del circuito democratico-rappresentativo. Sul punto cfr. F. GIUFFRÈ, Le autorità

indipendenti nel panorama evolutivo dello Stato di diritto: il caso dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, in www.federalismi.it, n. 25, 2016 che riconduce una prima teorizzazione del modello nell’Europa continentale a Carl Schmitt (cfr., C. SCHMITT, Das Problem der innerpolitischen Neutralität des Staates, in Verfassungsrechtliche Aufsätze, Berlino, 1958, p. 41 ss.), in particolare, “nel corso della celebre conferenza tenuta alla Camera di Commercio di Berlino nel 1930, con la raffigurazione di un “potere neutrale” della Banca centrale e di altri organismi tecnici, posti sì al riparo dall’indirizzo politico governativo, ma, comunque, titolari di ‘decisioni politiche’ nel campo del governo dell’economia in forza della loro competenza specialistica”. In argomento, si veda S. CASSESE, Le autorità indipendenti: origini storiche e problemi odierni, in S. CASSESE, C. FRANCHINI, I garanti delle regole, Bologna 1996, p. 217 ss.

conflitti economico-sociali particolarmente complessi e delicati, a scapito del tradizione ruolo di mediazione politica delle istituzioni rappresentative e, in primo luogo, dal Parlamento.

A monte di tale processo di “neutralizzazione”, pertanto, si pone la tendenza sempre più marcata delle istituzioni rappresentative – e dei loro componenti – ad abdicare al ruolo di “decision maker” e, soprattutto, a smarcarsi dalla responsabilità politica ad esso collegata.

Tale approccio – almeno nel breve periodo – può forse apparire prudente e vantaggioso per un sistema politico già sofferente sul piano della legittimazione e del consenso popolare, ma, in realtà, questa “fuga dalla decisione” non fa altro che alimentare la sfiducia verso la capacità delle istituzioni rappresentative di fornire una risposta politica ai “nodi gordiani” delle moderne società pluraliste. A fronte di tale debolezza del decisore politico, emerge un ulteriore processo di “crisi” delle tradizionali istituzioni rappresentative, che nasce dal basso, come moderna variante politica della c.d. teoria del “Rollback” 308 applicata al

partigianesimo campanilista: a livello locale, infatti, si assiste ad una nuova affermazione delle istanze particolari a scapito degli interessi generali, secondo le forme della c.d. “sindrome di Nimby” – acronimo della locuzione inglese “Not

in my back yard”, solitamente impiegata per esprimere la tradizionale

opposizione che le grandi opere o i progetti infrastrutturali trovano a livello territoriale – che nell’attuale “società dell’informazione” ha assunto una connotazione globale e trasversale, che non interessa solo le comunità locali direttamente interessate ma l’intera collettività e che si contrappone a qualunque tipo di decisione politica, dagli eventi sportivi ai summit internazionali, dalle infrastrutture di difesa militare alle disinfestazioni su larga scala, dalle fonti di approvvigionamento energetico alle reti di trasporto, e così via.

308 Il riferimento è alla nota teoria sociologica anglosassone formulata a partire dalle politiche

messe in atto dalla presidenza Reagan negli Stati Uniti e dal premierato Thatcher nel Regno Unito negli anni Ottanta del secolo scorso, volte a limitare l’attività delle Amministrazioni centrali e, più in generale, a promuovere un ritiro generalizzato dello Stato dalle precedenti politiche interventiste, al grido di “Rolling back the State”.

Tale forma di contestazione, a ben vedere, muove da un’idea di “autogoverno” – diametralmente opposta al concetto stesso di democrazia rappresentativa – che vorrebbe imporre al potere centrale di “negoziare” – in condizioni di parità – ogni forma di intervento sul territorio in virtù di una pretesa “superiorità” che trova giustificazione nella vicinitas delle comunità locali agli interessi in gioco

309.

In altre parole, ad essere messa in discussione è “la stessa legittimazione delle

istituzioni rappresentative superiori, nazionale o regionale, ad assumere decisioni in materie che toccano gli interessi delle comunità locali (potenzialmente tutte, quindi) (...) La recessione della «soggettività politica» e l’obnubilamento delle forme tradizionali della rappresentanza politica sono, in questa impostazione, evidenti” 310.

Sullo sfondo, comune a tutti i fenomeni sopra descritti, rimane un “complesso di inferiorità della politica” che affonda le radici, a sua volta, in un’evidente crisi del sistema dei partiti.

2.2.3. La crisi del sistema partitico e l’esigenza di nuovi canali di