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La crisi del sistema partitico e l’esigenza di nuovi canali di partecipazione politica.

LA RAPPRESENTANZA POLITICA IN COSTITUZIONE: LA CRISI DELLA RAPPRESENTANZA PARLAMENTARE

2.2. La crisi dei rappresentanti.

2.2.3. La crisi del sistema partitico e l’esigenza di nuovi canali di partecipazione politica.

Oltre alla perdita del “monopolio della rappresentanza” rispetto alla comunità nazionale, il Parlamento subisce gli effetti della crisi di legittimazione che investe il sistema partitico nel suo complesso 311.

309 Secondo un’applicazione esasperata del principio di sussidiarietà, che sembra non

conoscere il temperamento dei principi di differenziazione e di adeguatezza.

310 Così A. B

ARBERA, op. ult. cit., p. 876-877: “Si è tanto discusso dei limiti del centralismo, paralizzante e uniformizzante, ma del localismo non sempre si ha piena coscienza, avvertendosi ancora l’eco delle tendenze dei decenni precedenti in cui, in periodi di stagnazione, si erano manifestati gli effetti positivi delle tendenze localistiche dell’industria italiana. Così non è più; anzi il localismo rappresenta oggi un freno allo sviluppo e alla necessaria infrastrutturazione del territorio”.

311 Per un’analisi dei fattori più risalenti del fenomeno si rinvia a D. N

OCILLA, Crisi della rappresentanza e partiti politici, in Giurisprudenza Costituzionale, 1989, p. 527 ss. Da ultimo cfr. L. FERRAJOLI, Poteri selvaggi. La crisi della democrazia italiana, Roma-Bari, Laterza,

Come già anticipato, infatti, il trend inaugurato alla fine del XIX secolo sembra essersi invertito, e i partiti, da “volano” della partecipazione politica popolare, sembrano piuttosto essere divenuti – in tempi relativamente brevi – il principale elemento di debolezza del circuito rappresentativo.

In particolare, le forme tradizionali di partecipazione politica attraverso la “mediazione dei partiti” – un tempo in grado di ricondurre a unità e rappresentare compiutamente all’interno del Parlamento le molteplici istanze della società pluralista – oggi sono percepite, piuttosto, in contrapposizione alla libera volontà popolare 312, come parte di un sistema che, nel suo complesso, è

d’intralcio all’ingresso della società all’interno delle istituzioni rappresentative

313.

Si è assistito pertanto ad un fenomeno, per così dire, di autogoverno degli interessi organizzati, con l’emersione di gruppi di pressione – alcuni anche interni allo Stato-apparato 314 – in grado di svolgere un ruolo sempre più incisivo

312 In questo senso, i partiti sono passati dall’essere percepiti quali organismi potenzialmente

“anti-sistema” agli albori della società di massa a vero e proprio “organo di Stato”, andando incontro ad un processo di burocratizzazione e di assimilazione all’apparato statale.

313 E, infatti, come osserva D. F

ISICHELLA, La rappresentanza politica, op. cit., p. XVIII, “In un arco di tempo relativamente breve, infatti, si passa nel nostro Paese dalla onnipotenza partitocratica, che ha ampiamente svuotato le istituzioni parlamentari ma che è prosperata entro i recinti ideologici e funzionali del parlamentarismo assemblearistico (assunto come dogma della sovranità) alla crocefissione dei partiti come soggetti che subordinano ogni interesse generale agli interessi particolari; dalla ‘centralità del parlamento’ alle raffiche referendarie che vengono vissute e imposte come altrettante rivendicazioni della sovranità popolare di fronte alle prevaricazioni dei politici professionali operanti al riparo dei Palazzi del parlamentarismo”.

314 In questo senso A. BARBERA, op. ult. cit., p. 884-885, il quale osserva come “la funzione di rappresentanza non è più da tempo monopolio parlamentare, essendo ormai svolta con sempre più evidente incisività da altri soggetti, o maggiormente legati alla società (come le organizzazioni sindacali o le organizzazioni di interessi) o incardinati nello stesso Stato (come i vari organismi di rappresentanza: Consigli nazionali, conferenze Stato-regioni- autonomie, Consiglio superiore della Magistratura)”.

all’interno dello stesso contesto parlamentare 315.

Tali gruppi di interesse o lobbies, peraltro, perseguono finalità profondamente diverse – e, per certi versi, opposte – rispetto alla funzione tradizionalmente svolta dal sistema partitico, in quanto si limitano a “rappresentare” – e massimizzare – gli interessi particolari a cui sono legati, laddove i partiti – già solo per il fatto di mirare al raggiungimento di una maggioranza politica e di dover formulare ed attuare programmi di governo – si fanno portatori di interessi generali – cioè politici – e svolgono – o dovrebbero svolgere – un’attività di sintesi e di concertazione politica sconosciuta ai gruppi di pressione 316.

L’elemento più grave di tale contesto di crisi, tuttavia, resta il deficit di

rappresentatività dei partiti tradizionali, cioè la perdita della capacità di intuire

e proporre soluzioni ai cleavages della società pluralista 317.

Ciò, per reazione, ha portato, da ultimo, ad una rincorsa sregolata al consenso popolare – epurata però da ogni “filtro” politico – venendo meno quel ruolo di sintesi politica del sistema partitico nel suo complesso 318.

315 Cosicché i disegni di legge presentati in Parlamento si ritrovano ciclicamente accerchiati

da una pluralità di forti poteri di veto ed i provvedimenti infine adottati risultano spesso largamente condizionati dagli interessi organizzati (il che incide in misura non trascurabile anche sul livello della tecnica normativa). Sul punto cfr. S. PANEBIANCO, Il lobbying europeo, Milano, 2000. D. FISICHELLA, L'altro potere. Tecnocrazia e gruppi di pressione, Roma, 1997.

316 E infatti, questi ultimi, per definizione, operano in un’ottica “antagonista” rispetto

all’interesse generale e – a differenza dei partiti – sono al riparo rispetto ad ogni responsabilità politica in ordine alle decisioni che collaborano a definire. Sul punto si rinvia a J. H. KAISER,

Die representation organisierter interessen, Berlin, 1978, trad. it. La rappresentanza degli interessi organizzati, a cura di S. MANGIAMELI, Milano, 1993. Sullo studio di Kaiser sulla “rappresentanza di interessi organizzati” si rinvia a A. SCALONE, Rappresentanza politica e rappresentanza degli interessi, Milano, 1996.

317 Secondo il macro-modello delle fratture sociali – centro-periferia, Chiesa-Stato, città-

campagna, capitale-lavoro – elaborato da Rokkan e Lipset (cfr. S.M. LIPSET, S. ROKKAN, Cleavages Structures, Party systems and voter Alignments. An Introduction, in Party Systems and Voter Alignments. Cross national perspectives, New York, 1967).

318 Sul punto cfr. L. E

LIA, G. BUSIA, Stato democratico, in Digesto delle discipline

Con il crollo delle grandi ideologie politiche e la fine dell’epoca del “pensiero forte” 319 – che ha comportato una “crisi di identità” dei principali soggetti

politici della storia del novecento – i partiti, infatti, hanno perso quel chiaro sostrato di valori e linee programmatiche che contribuiva non poco alla razionalizzazione del sistema politico ed al collegamento tra partito e società. Sotto questo profilo, alla “crisi del rappresentante” fa da contraltare un processo che, da più parti, è stato definitivo di “crisi del rappresentato” 320, per cui la

ragione più profonda della crisi della rappresentanza politica andrebbe ricercata “sul terreno sociale, vale a dire dal lato del rappresentato, e quindi nella

perdita delle identità non solo collettive, ma anche individuali, determinata dallo sviluppo socio-economico delle democrazie consolidate” 321.

Sicché la crisi del partito di massa sarebbe conseguenza diretta del vuoto d’identità collettiva che caratterizza il contesto sociale contemporaneo, divenendo, a sua volta, un fattore di moltiplicazione della crisi che, in definitiva, può incidere sulla concreta declinazione dello stesso principio di sovranità popolare nel rapporto con le istituzioni democratiche 322.

319 Cfr. G. V

ATTIMO, La società trasparente, Milano, 1989, p. 17: “Caduta l'idea di una razionalità centrale della storia, il mondo della comunicazione generalizzata esplode come una molteplicità di razionalità ‘locali’ - minoranze etniche, sessuali, religiose, culturali o estetiche- che prendono la parola, finalmente non più tacitate e represse dall'idea che ci sia una sola forma di umanità vera da realizzare, a scapito di tutte le peculiarità, di tutte le individualità limitate, effimere, contingenti”.

320 In questo senso M. L

UCIANI, op. ult. cit., p. 114 ss.

321 Così M. V

OLPI, Crisi della rappresentanza politica e partecipazione popolare, in Percorsi e vicende attuali della rappresentanza politica, a cura di N.ZANON e F.BIONDI, Milano, 2001, p. 119 ss., in particolare, p. 121.

322 Sul punto risultano di impressionante attualità le incisive osservazioni di A. BARBERA, Una riforma per la Repubblica, op. cit., p. 91: “non solo in Italia, ma anche in tutti i paesi in cui permangono forme di democrazia mediata, la progressiva crisi dei partiti come strumenti di espressione della volontà popolare può condurre a forme di regressione dello stesso principio di sovranità popolare. La presenza di partiti ancorati saldamente alle loro basi popolari non ha impedito in questi paesi quanto Carrè de Malberg aveva avuto modo di rilevare in ordine