• Non ci sono risultati.

La democrazia diretta digitale può sostituirsi alla democrazia rappresentativa?

LA RAPPRESENTANZA POLITICA IN COSTITUZIONE: LA CRISI DELLA RAPPRESENTANZA PARLAMENTARE

3.2. Un nuovo modello di democrazia partecipativa: la c.d “democrazia fluida”.

3.3.2. La democrazia diretta digitale può sostituirsi alla democrazia rappresentativa?

Non è solo la mancanza di una diffusa “cultura digitale” a deporre a sfavore del generale ricorso a forme di “democrazia on-line”, in quanto, come visto, le eccezioni più significative attengono, a monte, alla stessa possibilità che la c.d. democrazia diretta possa essere in grado di gestire la complessità – politica, economica e sociale – delle società contemporanee pluraliste, sostituendo tout

court le forme consolidate proprie della democrazia rappresentativa.

In altre parole, in rete si riproducono i medesimi schemi – e le medesime problematiche – che caratterizzano da sempre la partecipazione politica “di massa”, rimanendo impregiudicata l’esigenza di uno “spazio” – fisico o virtuale – che raccolga e metta insieme la generalità delle posizioni politiche, delle istanze e degli interessi della società pluralista 444.

Tralasciando per un momento le problematiche relative alla frammentarietà delle piattaforme di democrazia digitale ed alla difficoltà di ricreare una partecipazione continua e globale della cittadinanza 445 – immaginando un contesto politico in cui i cittadini fossero ormai abituati ad essere quotidianamente interpellati e a pronunciarsi sulle principali questioni della vita politica del Paese – resterebbero comunque alcuni rilievi decisivi sulla capacità di un siffatto sistema di governare la vita politica di un sistema democratico pluralistico.

In primo luogo, deve dubitarsi del fatto che il ricorso a consultazioni plebiscitarie sulla rete sia in grado di individuare e tutelare l’interesse generale là dove questo non risulti dalla semplice sommatoria degli interessi particolari

444 Sul punto si vedano le riflessioni sviluppate in A. V

ALASTRO, Internet e strumenti partecipativi nel rapporto fra privati e amministrazioni, in M. NISTRICÒ, P. PASSAGLIA, Internet e Costituzione, Torino, 2014, p. 245-263; cfr. anche P. MARSOCCI, Lo spazio di internet nel costituzionalismo, in Costituzionalismo.it, 2, 2011, p. 12 ss.

445 Il cui superamento, ad oggi, risulta comunque difficilmente ipotizzabile, nonostante le

dei singoli cittadini, ma sia il frutto di un processo di mediazione e di sintesi politica che passa attraverso l’adozione di soluzioni di compromesso, il sacrificio di interessi particolari e settoriali, la capacità di visione e programmazione di politiche di medio-lungo periodo, tutti elementi che costituiscono – o dovrebbero costituire – il valore aggiunto della discussione politica in seno alle Assemblee rappresentative e che difficilmente sarebbero “riproducibili” all’interno delle dinamiche “virtuali” 446.

In secondo luogo, il ricorso a decisioni “a somma zero”, in cui gli elettori si pronunciano su alternative secche – sì, no – lascia impregiudicato il problema di come assicurare l’irrinunciabile funzione di integrazione politica e di tutela delle minoranze che le Assemblee rappresentative svolgono negli ordinamenti costituzionali contemporanei 447.

Infine, in un tale sistema politico, si profilerebbe il rischio di un latente “dirigismo” nel governo della consultazione popolare on-line – sia in sede di iniziativa sia in sede di traduzione del risultato 448 – secondo dinamiche non

446 Cfr. L. B

OBBIO, Dilemmi della democrazia partecipativa, in Democrazia e diritto, n. 4, 2016, p. 11-26: “l’essenza della democrazia non consiste nella conta dei voti tra posizioni precostituite, secondo il principio di maggioranza, o nella negoziazione tra interessi dati, ma nella discussione fondata su argomenti (deliberation, in inglese) tra tutti i soggetti coinvolti dal tema sul tappeto. Le numerose esperienze pratiche che si richiamano alla democrazia deliberativa si fondano perciò su due pilastri: da un lato l’uso del confronto argomentato, dall’altro l’inclusione di tutti gli interessi e i punti di vista che sono toccati dall’oggetto della discussione. La democrazia deliberativa è, quindi, una forma di democrazia partecipativa, ma i suoi contorni sono più circoscritti e più definiti. Esclude la pura e semplice azione di pressione dei movimenti o delle associazioni sulle istituzioni (che invece la democrazia partecipativa sembrerebbe ammettere) e pretende che tra i diversi punti di vista si instauri un confronto dialogico”.

447 È vero che alcune piattaforme elettroniche contemplano già ora strumenti di garanzia a

tutela delle minoranze e procedure più rispondenti a dar voce alle opinioni dissenzienti e, tuttavia, resta da capire se tali strumenti costituiscano un meccanismo di tutela sufficiente rispetto alle tradizionali garanzie costituzionali. Sul punto si rinvia a M. CUNIBERTI, Tecnologie digitali e libertà politiche, in Diritto dell’Informazione e dell’informatica, II, 2015, p. 275 ss.).

448 Al di là dei meccanismi – già impiegati da alcune piattaforme elettroniche – che consentono

diverse da quelle più sopra evidenziate già con riferimento all’attuale funzionamento delle piattaforme digitali: in altre parole, si profilerebbe il problema di individuare una figura di “governo dei processi decisionali e deliberativi”, incaricata di svolgere l’ineliminabile funzione di gestione della piattaforma di consultazione, con tutto il potere che ne deriverebbe in ordine al contingentamento dei tempi di discussione, alla determinazione dell’“ordine del giorno”, alla determinazione delle modalità procedurali (con garanzie più o meno accentuate, con modalità di votazione a maggioranza semplice o qualificata, con o senza quorum strutturali, etc.) 449.

Si tratta di profili che le moderne Costituzioni hanno in parte disciplinato, in parte rimesso all’autonomia delle Assemblee rappresentative e che, nel caso di specie, ben potrebbero essere rimesse ad una normativa ad hoc, conferendosi l’incarico di “gestione” della piattaforma a figure lato sensu istituzionali, ma resterebbe comunque il quesito di fondo: “chi controlla il controllore?”, specie in un contesto “virtuale” – come quello delle piattaforme digitali – che rende più difficile un “controllo diffuso” e in cui le conoscenze tecniche sul funzionamento del software e sull’attendibilità complessiva del sistema – per quanto possa essere elevato il livello generale di competenza digitale – non sono certo alla portata degli utenti e, in ogni caso, risulterebbero comunque inaccessibili, vista la rilevanza delle funzioni svolte.

In definitiva, anche immaginando un “modello ideale” di e-democracy – in cui siano rimosse le problematiche (probabilmente ineliminabili) relative alle dinamiche della partecipazione “di massa” nella democrazia digitale – l’opzione per una “democrazia diretta virtuale” rischia di condurre, alternativamente, o ad

riproporrebbero, inoltre, i rischi già esposti in ordine alla possibile predeterminazione dei quesiti in senso manipolatorio, ovvero alla predisposizione delle possibili risposte in senso confacente al risultato voluto da chi le ha formulate, etc.

449 Si pensi all’esempio della già citata piattaforma digitale Flux, ove la verifica della

correttezza delle votazioni viene affidata ad un ente terzo indipendente (aspetto che in effetti è assente in altre piattaforme di democrazia elettronica).

un impoverimento delle sofisticatezza politica e delle garanzie costituzionali assicurate tradizionalmente dal sistema rappresentativo o, comunque, alla configurazione di tali strumenti di consultazione secondo una connotazione che più che incarnare il modello propriamente detto di “democrazia diretta” finiscono per accostarvi i meccanismi – ineliminabili – del modello rappresentativo 450, secondo una prospettiva eclettica che è già stata definita,

appunto, di “democrazia fluida” e che sarebbe forse più corretto ricondurre al

genus della “democrazia partecipativa” 451.

450 Come nota incisivamente N. B

OBBIO, Il futuro della democrazia, Torino, 2005, p. 48: “se è vero che nel momento della formazione iniziale della partecipazione di quartiere o di zona, nel momento della nascita più o meno spontanea dei comitati di quartiere, si può parlare appropriatamente di democrazia diretta (…) è altrettanto vero (...) che non appena si è provveduto alla legittimazione e alla regolamentazione della partecipazione di base, la forma che essa ha assunta è quella della democrazia rappresentativa”. Sul punto si v. anche S. STAIANO, La Rappresentanza, op. ult. cit., p. 41: “Si può ormai constatare l’inadeguatezza dei tentativi di colmare la «distanza rappresentativa» a vantaggio della «registrazione di volontà» compiuta con l’impiego delle tecnologie telematiche (e-democracy): il popolo è identificato in una «piattaforma deliberativa», cioè siede in permanenza in assemblea virtuale e viene chiamato a decidere su singole issue. Si tratterebbe dunque di democrazia diretta, poiché si realizzerebbe la compresenza – benché non in un luogo fisico – di tutti i componenti del corpo deliberante. Il meccanismo non è tuttavia risolutivo, poiché resta ferma la necessità dell’investitura nel potere di formulare le proposte da deliberare, e non si riesce a pensare a modalità diversa da quella rappresentativa. E soprattutto – in contrasto con il senso letterale del lemma e- democracy, evocativo della possibilità di tornare, grazie alla potenza delle tecnologie, ai fasti presunti di una democrazia antica immaginata più che ricostruita nella sua realtà storica – questo modo di decisione è intrinsecamente non democratico, poiché parcellizza le decisioni e oscura il quadro delle compatibilità in vista di fini generali in cui esse si collocano, cioè elude il nodo della complessità, che, nelle democrazie contemporanee, deve essere districato in collegi ristretti legittimati a farlo, attraverso procedure deliberative non così lineari. Dunque le deliberazioni di quest’«assemblea virtuale» non sono democratiche, per eccesso di «direttismo» e per eccesso di restrizione”.

451 Sul punto cfr. M. L

UCIANI, Il paradigma della rappresentanza, op. cit. p. 110, il quale, rileva la forte contrapposizione tra la “democrazia” – propriamente intesa – ed il “governo rappresentativo” – dove la prima, in senso stretto, sarebbe riferibile solo alla c.d. democrazia diretta, sicché “Quando si parla di ‘democrazia rappresentativa’ si evoca una contradictio in adiecto, mentre quando si fa riferimento alla ‘democrazia diretta’ si commette una duplice violenza concettuale. La prima si commette perché si definiscono come ‘istituti di democrazia diretta’ certi strumenti giuridici che con la democrazia diretta non hanno nulla da spartire, visto che, specie nelle società complesse, ogni forma di governo ed ogni tecnica di decisione politica comportano la mediazione (anche in entrata, con l’iniziativa che provoca la decisione

In definitiva, alla luce delle considerazioni più sopra riportate sui limiti della “democrazia diretta digitale” – sia quelli legati al mezzo tecnico utilizzato, sia quelli relativi all’opzione per la democrazia diretta tout court – deve, infine, condividersi la tesi secondo cui il modello destinato a consolidarsi nel futuro non sia quello di una democrazia di “pura partecipazione online” ma, piuttosto, un “sistema misto”, che veda la combinazione e la mutua influenza tra i tradizionali canali di partecipazione politica e gli strumenti di partecipazione c.d. “digitale” a supporto del funzionamento del sistema democratico rappresentativo 452.