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Comportamento sismico di edifici ospedalieri in muratura del Plesso di Volterra

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Academic year: 2021

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INDICE

I INDICE

PREMESSA pag. 1

CAPITOLO 1

LA SISMICITÀ DEL TERRITORIO ITALIANO pag. 2

1.1. La sismicità italiana in rapporto a quella mondiale pag. 2

1.2. Sismicità storica in Italia pag. 3

1.3. Classificazione sismica del territorio nazionale pag. 5

1.4. Classificazione sismica in Toscana pag. 10

CAPITOLO 2

GLI EDIFICI IN MURATURA pag. 13

2.1. Materiali e caratteristiche tipologiche pag. 13

2.2. Caratteristiche meccaniche della muratura pag. 17

2.2.1. Comportamento a trazione e a compressione pag. 18 2.2.2. Comportamento a flessione e a taglio pag. 21

2.3. Vulnerabilità sismica di edifici esistenti pag. 22

2.3.1. Comportamento scatolare pag. 22

2.3.2. Qualità del sistema resistente pag. 26

2.3.3. I solai pag. 27

2.3.4. La copertura pag. 28

2.3.5. Regolarità in pianta e in altezza pag. 29

CAPITOLO 3

STUDIO DI VULNERABILITÀ SISMICA:

L’OSPEDALE DI VOLTERRA pag. 31

3.1. La procedura SAVE-VM pag. 31

3.2. Metodologia pag. 32

3.3. Individuazione del o dei meccanismi di collasso possibili pag. 33

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INDICE

II

3.5. Vulnerabilità sismica pag. 35

3.6. Tagli di piano pag. 35

3.7. Accelerazioni del suolo pag. 36

3.7.1. Coefficienti di duttilità pag. 37

3.8. Determinazione del livello prestazionale allo SLO pag. 38

3.9. Accelerazioni al suolo pag. 39

3.10. Determinazione dei periodi di ritorno e valutazione del rischio pag. 39

3.11. Evoluzione storica e costruttiva del Presidio Ospedaliero di Volterra pag. 40

3.12. Vulnerabilità degli edifici analizzati pag. 45

CAPITOLO 4

CASO STUDIO pag. 50

4.1. Analisi storico-critica pag. 50

4.2. Rilievo pag. 54

4.3. Caratterizzazione meccanica dei materiali pag. 58

4.4. Analisi dei carichi pag. 62

4.4.1. Peso proprio strutturale pag. 63 4.4.2. Carichi permanenti portati pag. 63

4.4.3. Carichi variabili pag. 67

4.4.4. Azione della neve pag. 67

4.4.4.1. Valore caratteristico del carico neve al suolo pag. 68 4.4.4.2. Coefficiente di esposizione pag. 69

4.4.4.3. Coefficiente termico pag. 69

4.4.4.4. Coefficiente di forma per le coperture pag. 69

4.4.4.5. Calcolo del carico neve pag. 70

4.4.5. Azione sismica pag. 70

4.5. Modellazione della struttura pag. 78

4.5.1. Metodo SAM pag. 78

4.5.1.1. Elemento maschio murario pag. 80

4.5.1.2. Elemento fascia muraria pag. 83

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INDICE

III

4.5.2. Modello del caso studio pag. 87

4.6. Analisi statica non lineare pag. 90 4.6.1. Distribuzione di forze di inerzia pag. 91

4.6.2. Verifica di spostamento pag. 92

4.6.3. Impostazione dell’analisi statica non lineare per il caso studio pag. 96 4.6.4. Risultati dell’analisi del caso studio pag. 99 4.6.4.1. Solaio sottotetto rigido-interpiano deformabile pag. 100

4.6.4.2. Solai rigidi pag. 108

4.6.5. Sintesi dei risultati pag. 114

4.7. Analisi parametrica della struttura pag. 116

4.8. Analisi dei meccanismi locali pag. 120

4.8.1. Ribaltamento semplice pag. 121

4.8.2. Ribaltamento composto pag. 122

4.8.3. Flessione verticale pag. 126

4.8.4. Flessione orizzontale pag. 127

4.8.5. Verifica di sicurezza per lo Stato Limite SLV pag. 130 4.8.6. Analisi dei meccanismi locali di collasso del caso studio pag. 132

4.8.6.1. Parete A pag. 133

4.8.6.2. Cantonale B pag. 136

4.8.7. Analisi dei risultati pag. 139

4.9. Valutazione dell’indice di rischio pag. 140

4.10. Conclusioni pag. 142

Allegati pag. 144

Bibliografia pag. 266

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PREMESSA

1 PREMESSA

La tesi tratta del comportamento sismico di 11 edifici in muratura presenti nel plesso ospedaliero di Volterra mediante il metodo VM del progetto SAVE, e dell’approfondimento analitico di un caso studio rappresentato dal presidio n. 15 nominato Obitorio.

La tesi è articolata in cinque capitoli. Dopo un’introduzione che espone il problema della sismicità del territorio italiano (capitolo 1), viene affrontata la descrizione delle caratteristiche tipologiche e meccaniche della muratura, ponendo poi l’attenzione sui criteri di valutazione della vulnerabilità sismica degli edifici esistenti in muratura (capitolo 2). Il capitolo 3 inizialmente introduce il metodo VM del progetto SAVE, descrivendo in sequenza i passi seguiti nella procedura per valutare la PGA al suolo rigido, che produce il raggiungimento dei due livelli prestazionali considerati; successivamente affronta lo studio di vulnerabilità sismica degli 11 edifici in muratura presi in esame e si conclude con l’esame dei risultati ottenuti e la stima delle priorità di intervento, secondo la valutazione dell’Indicatore di Rischio Sismico.

Il capitolo 4 pone l’attenzione sul caso studio. Nei primi paragrafi l’edificio viene esaminato secondo il processo di conoscenza descritto dal D.M. 14/01/2008 “Norme

Tecniche per le Costruzioni”, caratterizzato dalle seguenti tre fasi:

- analisi storico-critica; - rilievo;

- caratterizzazione meccanica dei materiali.

Segue la valutazione delle azioni agenti sulla struttura e la descrizione del modello di calcolo utilizzato. Viene affrontata l’analisi sismica dell’edificio con ipotesi conformi al livello di conoscenza acquisito, mediante i seguenti metodi:

- analisi statica non lineare (pushover); - analisi cinematica lineare.

Il capitolo di conclude con la valutazione dell’Indicatore di Rischio Sismico e il confronto tra le procedure d’analisi utilizzate.

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CAPITOLO 1 – LA SISMICITA’ DEL TERRITORIO ITALIANO

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1. LA SISMICITA’ DEL TERRITORIO ITALIANO

1.1. La sismicità italiana in rapporto a quella mondiale

L’Italia, se paragonata al resto del mondo, non è tra i siti dove si concentrano né i terremoti più forti né quelli più distruttivi. La pericolosità sismica del territorio italiano può considerarsi medio-alta nel contesto mediterraneo e addirittura modesta rispetto ad altre zone del pianeta. Infatti, ogni anno nel mondo accadono diversi milioni di terremoti, stando a quanto stima uno dei principali centri sismologici internazionali ovvero il National

Earthquake Information Center (NEIC) del servizio geologico degli stati uniti. Il NEIC ne

localizza ogni anno tra 12.000 e 14.000, di cui 60 sono classificati come significativi ossia in grado di produrre danni considerevoli o morti e circa 20 quelli di forte intensità, con magnitudo superiore a 7.0.

La sismicità di un territorio è direttamente proporzionale alla frequenza con cui si manifestano i terremoti. La sismicità italiana dipende essenzialmente dalla sua particolare posizione geografica, perché è situata al margine di convergenza tra due grandi placche, quella africana e quella euroasiatica.

Fig. 1.1 – Placche tettoniche nel bacino del mediterraneo (fonte: INGV)

Le placche in questione convergono lungo una direzione Nord-Ovest/Sud-Est.

Analizzando nello specifico, la Sicilia settentrionale e la Calabria sono caratterizzate da una tettonica compressiva1 che comporta un'elevata sismicità profonda.

1 Tettonica compressiva: meccanismo di rottura dovuto alla convergenza di due placche vicine in direzione perpendicolare alla faglia.

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CAPITOLO 1 – LA SISMICITA’ DEL TERRITORIO ITALIANO

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Spostandosi verso Nord tutta l'area appenninica è caratterizzata da una tettonica distensiva2 in direzione Nord-Est/Sud-Ovest. Sul versante occidentale dell'Appennino settentrionale (Garfagnana, Mugello e Casentino) sono presenti una serie di bacini distensivi, che comportano un'elevata attività sismica dell'area. Le catena montuosa delle Alpi infine, è interessata da una tettonica compressiva in direzione Nord-Sud che si manifesta soprattutto con l'elevata sismicità dell'Italia nord-orientale.

1.2. Sismicità storica in Italia

Ogni giorno la penisola italiana è interessata da numerosi terremoti, sebbene la maggior parte di essi non sia percepibile dall'uomo. In 2500 anni, si sono verificati più di 30.000 terremoti di media e forte intensità superiore al IV-V grado della scala MCS3e da circa 560 eventi sismici di intensità uguale o superiore all’VIII grado. Solo nel XX secolo, ben 7 terremoti hanno avuto una magnitudo uguale o superiore a 6.53, tra cui quelli a Messina e Reggio Calabria (1908), a Avezzano e Marsica (1915), in Lunigiana e Garfagnana (1920), in Irpinia (1980) e nelle Marche (1997). In ultimo si ricorda il terremoto in Abruzzo nel 2009 che ha raggiunto magnitudo superiore a 6.

Dal punto di vista economico, questi eventi hanno causato danni consistenti, valutabili per gli ultimi quaranta anni in circa 135 miliardi di euro. A ciò si devono aggiungere le conseguenze non traducibili economicamente sul patrimonio storico, artistico, monumentale che da sempre è il simbolo del nostro Paese.

In Italia il rapporto tra i danni prodotti dagli eventi sismici e l’energia rilasciata nel corso di tali eventi è molto più alto rispetto ad altri Paesi caratterizzati da elevata sismicità, come la California e il Giappone. Ad esempio il terremoto del 1997 in Umbria e nelle Marche ha prodotto un danno economico stimabile intorno ai 10 miliardi di Euro, mentre quello della California del 1989 circa 14.5 miliardi di Dollari, pur essendo caratterizzato da un’energia dissipata di circa 30 volte maggiore.

2 Tettonica distensiva: meccanismo di rottura dovuto all'allontanamento di due placche vicine in direzione perpendicolare alla faglia.

3 Scala Mercalli-Cancani-Sieberg: scala non scientifica che misura l'intensità di un terremoto sulla base degli effetti che esso produce su persone, edifici e manufatti.

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CAPITOLO 1 – LA SISMICITA’ DEL TERRITORIO ITALIANO

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Questo è dovuto principalmente all’elevata densità abitativa del nostro Paese e alla notevole fragilità del patrimonio edilizio Italiano.

L’INGV sulla base delle rilevazioni dirette fatte attraverso la Rete Sismica Nazionale ha ricostruito la mappa della sismicità recente.

Fig. 1.2 – La sismicità dal 1981 al 2011 (fonte: INGV)

Guardando la mappa degli ultimi 31 anni (1981-2011) di sismicità si nota che i terremoti recenti sono localizzati in aree distribuite principalmente lungo la fascia al di sotto degli Appennini, dell’arco Calabro e delle Alpi.

Al fine di attenuare gli effetti dei futuri terremoti e sulla base della sismicità del territorio, l’INGV ha definito la mappa della pericolosità sismica del territorio italiano (Fig. 1.3). Questa mappa si basa sull’analisi dei terremoti del passato, sulle informazioni geologiche disponibili e sulle conoscenze che si hanno sul modo in cui si propagano le onde (e quindi l’energia) dall’ipocentro all’area in esame. Confrontando tutte queste informazioni è possibile ottenere i valori di scuotimento del terreno in un dato luogo a causa di un probabile terremoto, vicino o lontano che sia: tali valori sono espressi in termini di accelerazione massima orizzontale del suolo rispetto a g (l’accelerazione di gravità).

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CAPITOLO 1 – LA SISMICITA’ DEL TERRITORIO ITALIANO

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Fig. 1.3 – Mappa di pericolosità sismica (fonte: INGV)

La mappa di pericolosità ha validità limitata nel tempo (10% di probabilità di superamento in 50 anni) e costituisce il riferimento per la classificazione sismica dei comuni, oltre ad essere uno strumento fondamentale per la realizzazione di misure di prevenzione che consentano di ridurre gli effetti dei terremoti, per esempio costruendo edifici resistenti alle vibrazioni dei terremoti più forti che possiamo aspettarci in una determinata zona. Un territorio avrà una pericolosità sismica tanto più elevata quanto più probabile sarà, a parità di intervallo di tempo considerato, il verificarsi di un terremoto di una certa magnitudo. Dalla mappa emerge come in Italia esistano aree particolarmente “pericolose” dal punto di vista sismico, come la Calabria, l’Abruzzo, la Sicilia Meridionale e parte del Friuli-Venezia Giulia.

1.3. Classificazione sismica del territorio nazionale

L’attenzione verso il concetto di prevenzione sismica del territorio italiano ha inizio nel primo decennio del ’900, con il R.D. del 18 Aprile 1909 n. 193, a seguito del disastroso terremoto che colpì nel 1908 i territori della Calabria e Sicilia (magnitudo 7.2). Da questo evento in poi si sono susseguite norme che classificavano il territorio italiano in due grandi

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CAPITOLO 1 – LA SISMICITA’ DEL TERRITORIO ITALIANO

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categorie: aree sismiche, che comprendevano i territori colpiti da terremoti rilevanti, e tutto il resto dell’Italia, ritenuto non sismico. La prima classificazione sismica del territorio italiano fu promulgata con il Regio Decreto Legge 13 marzo 1927 n. 431. In questa norma era riportato un elenco dei comuni sismici italiani colpiti dai forti terremoti avvenuti dopo il 1908, mentre tutti i territori colpiti prima di tale data(la maggior parte delle zone sismiche d’Italia) non erano classificati come sismici e, conseguentemente, non vi era alcun obbligo di costruire nel rispetto della normativa antisismica. La lista originariamente consisteva, quindi, dei comuni della Sicilia e della Calabria gravemente danneggiati dal terremoto del 1908, e veniva modificata dopo ogni evento sismico aggiungendovi semplicemente i nuovi comuni danneggiati. Nel 1974 fu promulgata una nuova normativa sismica nazionale contenente alcuni criteri di costruzione antisismica, e una nuova classificazione sismica, la lista, cioè, dei comuni in cui dovevano essere applicate le norme costruttive, aggiornabile qualora le nuove conoscenze in materia lo suggerissero, e nella quale tuttavia, fino al 1980, vennero inseriti semplicemente i comuni nuovamente colpiti da terremoti. Gli studi sismologici e geologici che seguirono i terremoti del 1976 in Friuli e del 1980 in Irpinia, svolti nell'ambito del Progetto Finalizzato Geodinamica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (C.N.R.), portarono ad un sostanziale sviluppo delle conoscenze sulla sismicità del territorio nazionale e permisero la formulazione di una proposta di classificazione sismica basata, per la prima volta in Italia, su indagini di tipo probabilistico della sismicità italiana. La proposta del C.N.R. fu presentata al governo e tradotta in una serie di decreti da parte del Ministero dei Lavori Pubblici, tra il 1980 ed il 1984, che classificarono complessivamente 2.965 comuni italiani su di un totale di 8.102, corrispondenti al 45% della superficie del territorio nazionale, nel quale risiede il 40% della popolazione. Una classificazione più sistematica del territorio arriva soltanto nel 2003, quando tutto il territorio nazionale viene classificato come sismico e suddiviso in 4 zone, caratterizzate da pericolosità sismica decrescente. Il documento di riferimento è l’O.P.C.M. n.3274 del 20 marzo 2003, “Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica" (G.U. n.105 dell’8 maggio 2003) in cui vengono emanati i criteri di una nuova classificazione sismica del territorio nazionale, basati sull’analisi della probabilità che il territorio venga interessato in un certo intervallo di tempo (generalmente 50 anni) da un evento che superi una determinata soglia di magnitudo. Inoltre, a differenza di quanto

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CAPITOLO 1 – LA SISMICITA’ DEL TERRITORIO ITALIANO

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previsto dalla normativa precedente, scompare il territorio “non classificato” (che veniva di fatto interpretato come “non sismico”).

Ad ogni Comune viene attribuita una zona sismica sulla base della seguente pericolosità: Zona 1 sismicità alta E’ la zona più pericolosa, dove in passato si sono avuti danni gravissimi a causa di forti terremoti.

Zona 2 sismicità media

Nei comuni inseriti in questa zona in passato si sono avuti danni rilevanti a causa di terremoti abbastanza forti.

Zona 3 sismicità bassa I comuni inseriti in questa zona hanno avuto in passato pochi danni. Zona 4 sismicità molto bassa E’ la meno pericolosa. Nei comuni inseriti in questa zona le possibilità di danni sismici sono basse.

Tab. 1.1 – Zone sismiche

Nelle prime tre zone della nuova classificazione è prevista l’applicazione della progettazione sismica con livelli differenziati di severità. Per la zona 4, di nuova introduzione, viene data, invece, facoltà alle Regioni di imporre o meno l’obbligo della progettazione antisismica. A ciascuna zona, inoltre, viene attribuito un valore dell’azione sismica utile per la progettazione, espresso in termini di accelerazione massima su suolo rigido (ag)4 :

- Zona 1= 0,35 g; - Zona 2= 0,25 g; - Zona 3= 0,15 g; - Zona 4= 0,05 g.

Sulla base della nuova classificazione risultano esserci 725 comuni in zona 1, 2344 comuni in zona 2, 3488 comuni in zona 3 e 3488 comuni in zona 4.

4 ag: accelerazione orizzontale massima al suolo caratteristica del sito di riferimento che viene prodotta dal

terremoto sul substrato considerato rigido. Tale parametro è indicato dalla Norma come atto a definire il terremoto.

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CAPITOLO 1 – LA SISMICITA’ DEL TERRITORIO ITALIANO

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Fig. 1.4 – Zone sismiche del territorio italiano nel 2003 (fonte: INGV)

Un ulteriore importante aggiornamento dei criteri relativi alla pericolosità sismica sul territorio nazionale è stato adottato successivamente con l’O.P.C.M. n.3519 del 28 aprile 2006 "Criteri generali per l'individuazione delle zone sismiche e per la formazione e l'aggiornamento degli elenchi delle medesime zone".

L’O.P.C.M. n.3519/2006 detta i criteri generli per l'individuazione delle zone sismiche e per la formazione e l'aggiornamento degli elenchi delle medesime zone. Sostanzialmente l'Ordinanza riprende la suddivisione (introdotta dall'O.P.C.M.3274/2003) del territorio italiano in quattro zone, introducendo degli intervalli di accelerazione (ag), con probabilità di superamento pari al 10% in 50 anni, da attribuire alle 4 zone sismiche. Il risultato è la suddivisione del territorio in dodici fasce che perfezionano la vecchia classificazione dell’O.P.C.M. 3274/2003.

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CAPITOLO 1 – LA SISMICITA’ DEL TERRITORIO ITALIANO

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Fig. 1.5 – Mappa di pericolosità sismica del 2006 (fonte: INGV)

Le attuali Norme Tecniche per le Costruzioni (Decreto Ministeriale del 14 gennaio 2008), hanno modificato il ruolo che la classificazione sismica aveva ai fini progettuali: per ciascuna zona – e quindi territorio comunale – precedentemente veniva fornito un valore di accelerazione di picco e quindi di spettro di risposta elastico da utilizzare per il calcolo delle azioni sismiche.

Dal 1 luglio 2009 con l’entrata in vigore delle Norme Tecniche per le Costruzioni del 2008, per ogni costruzione ci si deve riferire ad una accelerazione di riferimento “propria” individuata sulla base delle coordinate geografiche dell’area di progetto e in funzione della vita nominale dell’opera. Un valore di pericolosità di base, dunque, definito per ogni punto del territorio nazionale, su una maglia quadrata di 5 km di lato, indipendentemente dai confini amministrativi comunali.

Sulla base del lavoro di affinamento e verifica della classificazione sismica fatta dalle Regioni nel 2012 è stata pubblicata dalla Protezione Civile una nuova mappa di classificazione sismica comunale.

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CAPITOLO 1 – LA SISMICITA’ DEL TERRITORIO ITALIANO

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Fig. 1.6 – Zone sismiche del territorio italiano nel 2012 (fonte: INGV)

1.4. Classificazione sismica in Toscana

La prima classificazione sismica della Toscana si ha con il Regio Decreto del 13 marzo 1927 n.431 con il quale vengono dichiarati sismici poco più di 70 comuni appartenenti alle aree della Lunigiana, Garfagnana, Mugello, Alta Val Tiberina e Amiata. Come per il resto del territorio nazionale, i successivi decreti hanno apportato modifiche alla lista dei territori classificati come sismici o meno, sulla base del verificarsi di un evento sismico più o meno rilevante. In seguito all’evento sismico dell’Irpinia nel Novembre del 1980, furono adottati in tutto il territorio nazionale i Decreti Ministeriali relativi alla classificazione delle zone sismiche, tra cui quello relativo alla regione Toscana del 19 marzo 1982: con quest’ultimo la Toscana passò da 80 comuni classificati sismici a 182 comprendendo il 75% del territorio e l’80% della popolazione. Tutti i comuni toscani classificati simici ricadevano in zona 2 (sismicità media) mentre il resto del territorio era considerato non sismico.

Successivamente si arrivò a un nuovo aggiornamento delle liste dei comuni classificati con l’Ordinanza 3274 del 2003 e alla classificazione approvata con Deliberazione di GR del 19 giugno2006 n. 431, vigente fino al 2012. Nella nuova classificazione sismica, la Regione ha introdotto la zona 3s, nella quale sono stati inseriti comuni a bassa sismicità, dove è

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CAPITOLO 1 – LA SISMICITA’ DEL TERRITORIO ITALIANO

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però obbligatoria l’applicazione delle norme tecniche previste per la zona 2. Su un totale di 287 comuni:

- 90 sono stati inseriti in zona 2 (31,3% del territorio regionale), ad alta sismicità; - 106 in zona 3s (36,9% della superficie), a bassa sismicità;

- 67 in zona 3 (23,3% della superficie), con possibilità di modesti scuotimenti; - 24 in zona 4 (8,3%), la meno pericolosa.

La classificazione sismica attuale della Regione Toscana è stata approvata con Del. GRT n° 878 del 8 ottobre 2012 ed è un aggiornamento che si è reso necessario al fine di rendere la classificazione sismica maggiormente aderente all’approccio “sito dipendente” introdotto dalle vigenti normative.

In generale l’aggiornamento prevedeva il riassetto dei comuni in 3 sole classi:

Zona 2 (95comuni)

Comuni confermati in zona 2 90

Comuni che entrano in zona 2 da zona 3s 1

Comuni che entrano in zona 2 da zona 3 4

Zona 3 (168

comuni)

Comuni confermati in zona 3 63

Comuni che entrano in zona 3 da zona 3s 105

Zona 4 (24 comuni) Comuni confermati in zona 4 24 Tab. 1.2 – Riepilogo generale dell’aggiornamento della classificazione sismica della Regione Toscana

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CAPITOLO 1 – LA SISMICITA’ DEL TERRITORIO ITALIANO

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Fig. 1.7 – Aggiornamento della classificazione sismica del territorio toscano a confronto con la classificazione del territorio ai sensi della delibera di Giunta n°431/2006

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CAPITOLO 2 – GLI EDIFICI IN MURATURA

13 2. GLI EDIFICI IN MURATURA

2.1. Materiali e caratteristiche tipologiche

La muratura è un materiale composito, ottenuto mediante la sovrapposizione di elementi resistenti in blocchi più o meno regolari, pietre naturali o artificiali, e talvolta un materiale legante, generalmente malta, tra le superfici di contatto tra gli elementi.

In passato era il rispetto della “regola dell’arte” il criterio che guidava il buon progettista ed il costruttore nel concepimento dell’opera in muratura. Le regole costruttive riguardavano sostanzialmente il giusto modo di posa delle pietre e l’allontanarsi da questa regola era indice di minore qualità.

Il termine “muratura” raggruppa molte tecniche diverse, che si differenziano tra di loro per diverse ragioni: la qualità dei materiali utilizzati, la tessitura, la dimensione dei conci e le caratteristiche meccaniche degli elementi costituenti.

Si possono così distinguere:

- monoliti o megaliti: costruzioni realizzate con pochi grandi blocchi di pietra (Fig.

2.1);

- strutture a blocchi lapidei senza connessione di malta(Fig. 2.2);

Fig. 2.1 – I megaliti di Stonehenge Fig. 2.2 – Mura ciclopiche

- muratura di blocchi lapidei squadrati con connessione di malta (Fig. 2.3a); - muratura di blocchi lapidei non squadrati con connessione di malta (Fig. 2.3b);

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CAPITOLO 2 – GLI EDIFICI IN MURATURA

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a) b)

Fig. 2.3 – Pietra squadrata a) e pietra non squadrata b), con connessione di malta

- murature caotiche e miste;

Fig. 2.4 – Muratura caotica e mista

- murature a più strati;

Fig. 2.5 – Muratura a più strati: (a) a sacco con nucleo incoerente, (b) a sacco con nucleo parzialmente vuoto, (c) a doppio paramento senza diatoni, (d) a doppio paramento con diatoni, (e) a doppio paramento con ricorsi

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CAPITOLO 2 – GLI EDIFICI IN MURATURA

15 - murature miste;

Fig. 2.6 – Muratura in pietrame listata - muratura di mattoni;

Fig. 2.7– Muratura di mattoni: (a) a una testa in folio o di costa, (b) a una testa, (c) e (d) a due teste, (e) a tre teste, (f) a quattro teste

Negli ultimi anni si sono sviluppate tecniche costruttive innovative, che hanno introdotto nuovi tipi di materiali idonei alla costruzione delle murature portanti. Un esempio è costituito dalla muratura armata, che prevede l’introduzione di armature verticali e orizzontali all’interno della muratura.

L’armatura verticale può essere alloggiata in appositi fori verticali presenti nei blocchi (Fig. 2.8a) oppure in tasche create da una disposizione opportuna degli elementi (Fig.

2.8b).I fori e le tasche sono successivamente riempiti con malta o calcestruzzo. L’armatura

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CAPITOLO 2 – GLI EDIFICI IN MURATURA

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oppure entro tasche a sviluppo orizzontale create da un’opportuna conformazione dei blocchi (Fig. 2.8d).

Un particolare tipo di muratura armata è la muratura a cavità con parete di cemento armato inclusa tra due pareti in muratura (Fig. 2.8e).

Fig. 2.8– Tipologie di muratura armata

Le armature hanno la funzione di:

- conseguire un aumento di resistenza a flessione sia per le azioni ortogonali che per quelle parallele al piano della muratura, aumentando la stabilità dell’edificio nei confronti delle azioni orizzontali come vento e sisma;

- evitare collassi successivi alla fessurazione mantenendo l’integrità della parete in campo post-elastico con un sensibile aumento della duttilità, diminuire la sensibilità al danneggiamento e incrementare la resistenza a taglio per azioni nel piano.

Atro esempio di tecnica costruttiva innovativa è rappresentato dalla muratura intelaiata. Essa viene realizzata mediante cordoli in cemento armato orizzontali e verticali adeguatamente collegati tra loro ed aderenti agli elementi murari assieme ai quali formano l’organismo resistente. L’effetto telaio prodotto dall’introduzione di cordoli verticali collegati con quelli orizzontali fornisce alla struttura un maggior livello di duttilità, un minor degrado di resistenza e una minore suscettibilità al danneggiamento (Fig. 2.9).

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CAPITOLO 2 – GLI EDIFICI IN MURATURA

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Fig. 2.9– Tipologie di muratura intelaiata: (a) con blocchi speciali, (b) con cordoli orizzontali e verticali

Tutte queste variabili rendono la muratura un materiale estremamente complesso, tanto che il comportamento di murature realizzate con gli stessi materiali può differire profondamente a causa della tessitura utilizzata o alla dimensione degli elementi.

2.2. Caratteristiche meccaniche della muratura

La conoscenza delle caratteristiche meccaniche degli elementi costituenti la muratura è importante ma non sufficiente per effettuare analisi e considerazioni affidabili sul comportamento della muratura stessa in quanto occorre considerare, specie in edifici storici, numerosi fattori che influenzano la risposta alle sollecitazioni come la dimensione e la forma dei blocchi, lo spessore e lo sfalsamento dei giunti, la tessitura muraria e la specializzazione della manodopera.

Le caratteristiche che qualificano il comportamento meccanico della muratura sono:

- disomogeneità (differenza di comportamento da punto a punto), dovuta a componenti con caratteristiche meccaniche molto diverse, inducendo a considerare il comportamento macroscopico della muratura come il risultato dell’interazione meccanica fra elementi e malta attraverso la loro interfaccia;

- anisotropia (differenza di comportamento nelle diverse direzioni), dovuta alla direzionalità intrinseca della muratura legata alla forma e dimensione degli elementi, alla presenza dei fori, a giunti orizzontali continui e verticali discontinui; - asimmetria, di comportamento trazione-compressione degli elementi, della malta e

(22)

CAPITOLO 2 – GLI EDIFICI IN MURATURA

18

- non linearità del legame sforzi-deformazioni, che caratterizza il comportamento della muratura sia in compressione, sia in trazione, sia in stati di sollecitazione composti.

Nella prassi progettuale non è sempre possibile né necessario tenere conto di tutte le caratteristiche sopra elencate in quanto vengono utilizzati modelli in cui la muratura viene idealizzata come un continuo omogeneo equivalente caratterizzato dalle caratteristiche meccaniche macroscopiche.

2.2.1. Comportamento a trazione e a compressione

La statica delle costruzioni in muratura si basa sul comportamento in compressione del materiale, mentre viene trascurata la resistenza a trazione in quanto è molto bassa.

Sottoponendo la malta e il laterizio a una prova monoassiale di trazione-compressione, si ottiene il seguente grafico:

Fig. 2.10– Comportamento di malta e laterizio alla prova monoassiale di trazione-compressione

Analizzando il grafico riportato in Fig. 2.10, è possibile evidenziare le seguenti proprietà: - entrambi i materiali presentano una resistenza molto più elevata a compressione

che a trazione;

- rispetto alla malta, il laterizio presenta tensioni di rottura e modulo elastico maggiori;

- il laterizio presenta una rottura fragile, mentre la malta presenta una rottura duttile, cioè caratterizzata da una fase di grandi deformazioni.

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CAPITOLO 2 – GLI EDIFICI IN MURATURA

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Qualitativamente, il comportamento di una muratura(Fig. 2.11) non si discosta da quello dei suoi componenti, ma in genere le sue caratteristiche meccaniche sono diverse da quelle dei costituenti essendo influenzate da molti fattori:

- resistenza dei mattoni; - geometria dei mattoni; - resistenza della malta;

- caratteristiche deformative dei mattoni e della malta; - spessore dei giunti;

- aderenza tra malta e mattoni;

- capacità di assorbimento d’acqua dei mattoni; - capacità di ritenzione d’acqua della malta.

Fig. 2.11– Comportamento della muratura alla prova monoassiale di trazione-compressione

Sottoponendo una muratura ad una compressione uniforme, tutti gli elementi, malta e laterizio, sono soggetti alla stessa tensione verticale. La malta, per i modesti valori di modulo elastico che la caratterizzano subirà deformazioni, maggiori rispetto a quelle del laterizio, in direzione perpendicolare ai letti di malta e in direzione trasversale. Per la congruenza delle deformazioni all'interfaccia, nel laterizio nascono tensioni di trazione nelle direzioni trasversali mentre la malta risulta soggetta ad uno stato di compressione triassiale (Fig. 2.12).

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Fig. 2.12– Stato di tensione nel laterizio e nella malta

La presenza di tale stato di tensione nel laterizio spiega come nella muratura soggetta a compressione uniforme la crisi si manifesti generalmente con lo sviluppo di fessure da trazione parallele all'asse di carico, per valori dei carichi inferiori alla resistenza a compressione monoassiale del laterizio (Fig. 2.13): infatti, le tensioni principali di trazione risultano avere valori maggiori che non nella prova sul singolo mattone.

D'altro canto, la rottura avviene per valori superiori ai limiti di resistenza a compressione monoassiale della malta (Fig. 2.13): infatti, in quest'ultimo caso di carico, esistono tensioni principali di trazione mentre nella prova sulla muratura le tensioni principali nella malta sono tutte di compressione (effetto cerchiante).

Fig. 2.13– Comportamento a compressione monoassiale di una muratura in mattoni

Il comportamento in compressione monoassiale di un prisma di muratura è quindi intermedio fra quello del singolo mattone e quello della malta, a causa della coazione che si instaura fra i due elementi.

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CAPITOLO 2 – GLI EDIFICI IN MURATURA

21 2.2.2. Comportamento a flessione e a taglio

Se si analizza il comportamento di pannelli di muratura soggetti contemporaneamente a carichi verticali e carichi orizzontali diretti parallelamente al loro piano medio, si evidenzia che il collasso può manifestarsi secondo tre diverse modalità:

- rottura per scorrimento;

- rottura per fessurazione diagonale; - rottura per schiacciamento.

Il primo meccanismo di rottura si ha in genere per bassi valori di sforzo normale. La rottura avviene per cedimento a taglio dei giunti (Fig. 2.14c).

La rottura per fessurazione diagonale avviene quando la tensione principale di trazione supera la resistenza della muratura e per valori intermedi di sforzo normale (Fig. 2.14b). Le fessure possono seguire l’andamento dei giunti di malta o coinvolgere gli elementi in laterizio a secondo delle caratteristiche dei materiali e dalla tessitura.

Il terzo meccanismo di rottura avviene quando la massima tensione di compressione verticale alla base del muro raggiunge la resistenza a compressione della muratura (Fig.

2.14a). Questo tipo di crisi si ha per uno sforzo normale di elevata entità.

(a) (b) (c)

Fig. 2.14– Modalità di rottura del pannello murario

Ai tre meccanismi di collasso, si possono associare altrettanti criteri di resistenza (condizioni locali) che portano alla definizione di un dominio di rottura del tipo:

a) criterio di resistenza alla Coulomb: b) resistenza a trazione dell’elemento; c) resistenza a compressione della muratura

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Fig. 2.15– Dominio di rottura per muratura soggetta a compressione e taglio

2.3. Vulnerabilità sismica di edifici esistenti

La vulnerabilità di un edificio con struttura portante in muratura tende a valutare la sua propensione a subire danni sotto azione sismica di riferimento. Tale indicatore è determinato dai seguenti fattori:

- l’importanza dei collegamenti tra pareti verticali;

- l’importanza dei collegamenti tra pareti ed orizzontamenti; - il ruolo della resistenza meccanica delle pareti murarie.

2.3.1. Comportamento scatolare

Una parete muraria, investita dal sisma, può presentare diversi meccanismi di collasso, classificabili in due categorie fondamentali:

- meccanismi di I modo; - meccanismi di II modo.

I primi rappresentano i cinematismi di collasso in cui le forze sismiche agiscono ortogonalmente al piano medio della parete, con comportamento flessionale e di ribaltamento (Fig.2.16a);i secondi, invece, sono innescati da forze sismiche che agiscono parallelamente al piano medio della parete, con rotture per taglio e flessione.

(27)

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(a) (b)

Fig. 2.16– Meccanismi di collasso

Quindi, la resistenza delle pareti murarie per forze agenti parallelamente al proprio piano medio, è molto maggiore rispetto a quella nel caso di forze agenti in senso ortogonale. L’attivazione dei vari meccanismi di collasso è fortemente influenzata dal grado di connessione tra gli elementi strutturali. Ad esempio, carenze nel collegamento tra pareti ortogonali e tra pareti e orizzontamenti, fanno si che la struttura sia caratterizzata da un comportamento disaccoppiato delle singole pareti fuori dal proprio piano, con un aumento della vulnerabilità sismica.

Quindi, il buon comportamento di una costruzione in muratura, soggetta a sisma, si esplica attraverso il raggiungimento di un funzionamento scatolare.

Presupposto essenziale per il funzionamento scatolare, è il fatto che i muri portanti, di controvento e i solai devono essere efficacemente collegati tra loro.

Il collegamento tra pareti e orizzontamenti può essere effettuato mediante cordoli continui in cemento armato lungo tutti i muri, all’altezza dei solai di piano e di copertura. I cordoli svolgono una funzione di vincolo alle pareti sollecitate ortogonalmente al proprio piano, ostacolandone il meccanismo di ribaltamento. Spesso negli edifici esistenti il collegamento degli orizzontamenti alle strutture verticali è assente, in quanto, la trave in legno o le longarine metalliche sono appoggiate direttamente in scassi prodotti nelle murature. Nel caso di solaio deformabile e assenza di cordolo (Fig.2.17a), la struttura è maggiormente vulnerabile a meccanismi di I modo; nel caso di solaio deformabile e presenza di cordolo (Fig.2.17b), si ha un miglioramento della risposta sismica, grazie all’azione di trattenuta esercitata dal cordolo.

(28)

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(a) (b) (c)

Fig. 2.17– Risposta di un edificio alle azioni orizzontali

Infine, la presenza di solaio rigido e cordolo (Fig.2.17c), assicurano un buon comportamento scatolare, impedendo qualsiasi tipo di meccanismo.

È inoltre opportuno che i muri, ortogonali fra loro, siano efficacemente ammorsati lungo le intersezioni verticali, mediante un’adeguata disposizione degli elementi (Fig. 2.18).

Fig. 2.18– Ammorsamento dei muri

Negli edifici storici, l’efficacia del collegamento tra pareti ortogonali si esplica anche attraverso la presenza di catene metalliche, adeguatamente disposte e dimensionate. È di fondamentale importanza che la catena sia, per quanto possibile, disposta parallelamente a una parete che funziona da elemento di contrasto, al fine di evitare fenomeni di inflessione nella parete ortogonale. Nell’inclinazione dei paletti capochiave occorre prestare attenzione al fatto che questi siano rivolti in modo che, sia il solaio, sia la parete verticale, funzionino da elementi di contrasto (Fig. 2.19).

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(a) (b)

Fig. 2.19– Disposizione errata (a) e corretta (b) dei paletti capochiave della catena

Garantendo un buon grado di ammorsamento tra pareti perimetrali e in corrispondenza dei martelli murari, la singola parete investita dall’azione sismica perpendicolare al suo piano, chiama in compartecipazione nella risposta le pareti ad essa ortogonali, trasferendo a queste un’azione complanare alla parete e attivando, quindi, il meccanismo resistente nel quale esse esplicano la loro naturale resistenza a taglio (Fig. 2.20).

(a) (b)

Fig. 2.20– Meccanismo di ribaltamento della parete in assenza di collegamenti parete-parete (a) e trasferimento delle azioni orizzontali ai setti di taglio in presenza di collegamenti parete-parete (b)

Il buon ammorsamento tra l’altro tende a realizzare una maggiore ridistribuzione dei carichi verticali tra muri ortogonali, anche nel caso di solai a orditura prevalente in una direzione (Fig. 2.21).

(30)

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Fig. 2.21– Ridistribuzione dei carichi verticali

Nelle costruzioni esistenti occorre condurre un’analisi precisa e dettagliata degli aspetti suddetti, in modo da poter fare emergere le eventuali carenze strutturali e delineare le differenze tra il comportamento reale e quello scatolare. Inoltre, occorre controllare:

- la qualità del sistema resistente;

- la rigidezza dei solai e la resistenza delle pareti verticali alle quali i solai sono appoggiati;

- la regolarità strutturale dell’edificio, sia in pianta che in elevazione.

2.3.2. Qualità del sistema resistente

Per qualità del sistema resistente si intende da una parte la qualità del tessuto murario, intesa come disposizione e dimensione degli elementi costituenti la parete muraria (blocchi artificiali, mattoni o pietre naturali), dall’altra la qualità dei materiali componenti, ovvero della malta e dei blocchi.

Per quanto riguarda i blocchi artificiali o le pietre naturali, una delle caratteristiche che ne determina la qualità, è la presenza di foratura. Murature portanti in blocchi forati con eccessiva percentuale di fori presentano, infatti, un’elevata vulnerabilità dal momento che, anche in presenza di malta di buona qualità tra i giunti, denotano comunque una spiccata fragilità. Anche le murature in pietra arrotondata di fiume presentano un’elevata vulnerabilità a causa della loro superficie estremamente levigata che impedisce un buon livello di aderenza con il legante.

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Per quanto riguarda la tessitura muraria, è indice di buona qualità la disposizione dei blocchi in strati il più possibile regolari, con filari approssimativamente orizzontali e con giunti verticali sfalsati, in modo da creare un immaginario reticolo a maglie regolari. Sono ricorrenti nella pratica muraria pareti costituite da due o più paramenti verticali affiancati che generalmente compongono le pareti in muratura di pietrame: in questi casi è fondamentale, per il funzionamento monolitico della parete sotto le azioni orizzontali, la presenza di elementi trasversali di collegamento (diatoni) che attraversano tutto lo spessore della parete collegando i due paramenti.

Tuttavia la presenza di paramenti esterni ben organizzati con elementi squadrati non è sempre sinonimo di una muratura ben fatta: è sempre bene accertarsi infatti che al suo interno non sia presente un paramento interno con caratteristiche dimensionali e di apparecchiatura di qualità sensibilmente inferiori. Infine la presenza di listature, come ricorsi in mattoni pieni o fascioni di calcestruzzo deve essere valutata positivamente quando la listatura ha uno spessore pari a quello della muratura sottostante, e la malta, impiegata tra i mattoni pieni, presenta un buono stato di conservazione. Viceversa, queste possono diventare anche elementi di vulnerabilità, andando a indebolire l’omogeneità della tessitura muraria.

2.3.3. I solai

Nel complessivo funzionamento scatolare occupano un posto importante gli orizzontamenti ed i loro collegamenti alle pareti verticali; vengono privilegiati quest’ultimi rispetto alla rigidezza (comportamento a diaframma), che spesso è sinonimo di pesantezza, specialmente in taluni errati interventi di miglioramento sismico.

Oltre ai solai anche le volte sono da considerarsi degli orizzontamenti. Il loro punto debole è di essere degli elementi spingenti; quindi l’azione sismica orizzontale può notevolmente aumentare la spinta di questi sistemi e causare meccanismi di collasso. Di solito si trovano, proprio per questo motivo, associate a catene che ne limitano (per lo meno staticamente) la spinta.

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28 2.3.4. La copertura

Così come i solai, anche le coperture devono essere efficacemente collegate alle pareti perimetrali attraverso un cordolo in cemento armato, in grado di trasferire le azioni orizzontali del sisma alle strutture verticali portanti; tale vincolo costituisce una sorta di

“cerchiatura” in testa dell'intera struttura che favorisce un comportamento globale

dell'edificio.

È importante valutare la natura spingente della copertura, poiché possono favorire il collasso per ribaltamento fuori piano. Nelle coperture a padiglione (come nel caso studio), la presenza dei puntoni può portare all’instaurarsi di crolli localizzati della muratura nelle zone d’angolo (Fig.2.22).

Fig. 2.22– Danni provocati dalla spinta del puntone diagonale di una copertura a padiglione per effetto del sisma

Coperture ad una sola falda risultano poco spingenti; nel caso di tetto a due falde invece, per limitare l'azione spingente della copertura, è necessaria la presenza di tramezzi intermedi, oppure di travi di colmo di opportuna altezza (Fig. 2.24a).Le spinte della copertura possono essere annullate grazie all'inserimento di tiranti metallici (catene)opportunamente disposti oppure di capriate (Fig. 2.24b).Ovviamente, minore è l'inclinazione della falda, minore sarà la spinta sulle murature.

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(a)

(b)

(c) Fig. 2.24– Coperture spingenti (a), poco spingenti (b) e non spingenti (c)

2.3.5. Regolarità in pianta e in altezza

Un altro fattore che gioca un ruolo molto importante è la regolarità dell’edificio: - regolarità in pianta;

- regolarità in altezza.

Per quanto riguarda la forma in pianta, si può dire che le forme compatte, avendo rigidezza paragonabile in ogni direzione, danno luogo a un miglior comportamento di insieme. Inoltre le forme simmetriche sono da preferire a quelle asimmetriche, in quanto in queste ultime il centro delle masse e delle rigidezze di solito sono molto eccentrici e ciò provoca importanti sollecitazioni torsionali.

E’ opportuno adottare piante di forma semplice, cioè prive di rientranze; infatti, l’incavo degli angoli rientranti è sede di concentrazioni di sforzi dovute al diverso comportamento dinamico delle due porzioni di edificio che vi si intersecano.

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CAPITOLO 2 – GLI EDIFICI IN MURATURA

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Per gli edifici in muratura la disposizione delle aperture influenza significativamente la regolarità in elevazione. Una loro errata disposizione può provocare pericolosi flussi di tensioni prodotte dai carichi e rendere i setti troppo snelli. La regolarità in altezza non dipende solo dalla geometria, ma anche dai materiali. Questa può essere compromessa ad esempio da sopraelevazioni con materiale diverso, magari più pesante rispetto a quello originale.

Le strutture irregolari in alzato, possono essere sede di concentrazioni di sforzi al pari di quelle irregolari in pianta. In un edificio composto da due porzioni di altezza notevolmente diversa, si possono infatti generare considerevoli concentrazioni di tensioni nella zona di connessione dovute al diverso comportamento dinamico che avrebbero le due porzioni, se fossero staccate l’una dall’altra. Le configurazioni che portino ad aumenti di massa dal basso verso l’alto sono assolutamente da evitare. E’ opportuno inoltre disporre le aperture su file, sia verticali che orizzontali; questo per permettere che gli sforzi fluiscano con regolarità senza dar luogo a pericolose concentrazione di tensione.

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CAPITOLO 3 – STUDIO DI VULNERABILITA’ SISMICA: L’OSPEDALE DI VOLTERRA

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3. STUDIO DI VULNERABILITA’ SISMICA: L’OSPEDALE DI VOLTERRA

3.1. La procedura SAVE-VM

L’esigenza di effettuare analisi di vulnerabilità e rischio sismico si è manifestata nel passato soprattutto per grandi insiemi di strutture con caratteristiche omogenee, per i quali valutazioni avente carattere statistico erano sufficienti. A seguito dei tragici eventi del 31/10/2002 e 1/11/2002, l’attenzione delle istituzioni e del mondo scientifico è stata indirizzata fortemente verso gli edifici pubblici di tipo strategico, per funzione e contenuto, come scuole e ospedali, al fine di individuare e mettere a punto gli strumenti per la determinazione e la riduzione del loro rischio sismico.

Le metodologie oggi disponibili per la valutazione della vulnerabilità degli edifici, sono finalizzati a indagini e valutazioni su larga scala e possono fornire stime affidabili in senso statistico, piuttosto che puntuale. Essi sono basati su rilievi sommari “a vista”, e difficilmente possono tener conto delle differenze nei dettagli costruttivi e nelle resistenze dei materiali che caratterizzano edifici diversi. Se da un lato questi approcci garantiscono una buona robustezza della stima in senso statistico, essi non possono fornire indicazioni verosimili sul singolo edificio.

Sul versante opposto si collocano gli usuali metodi dell’analisi strutturale per la determinazione della sicurezza degli edifici rispetto alle diverse azioni, e in particolare rispetto a quella sismica. L’affidabilità di tali valutazioni, però, è strettamente legata alla conoscenza di tutte le caratteristiche della struttura, relative ai materiali, alla geometria esterna e ai dettagli costruttivi, che spesso incidono maggiormente nella risposta sismica a forti terremoti. Se il conseguimento di risultati pienamente affidabili è un fatto oggi realizzabile, i costi e i tempi connessi (per le indagini e i rilievi strutturali e per l’esecuzione dei calcoli) diventano proibitivi, quando le valutazioni vanno effettuate su un numero di edifici dell’ordine delle centinaia di migliaia, quali gli edifici pubblici da sottoporre a programma di verifica ai sensi dell’art. 3 dell’O.P.C.M. 3274/2003.

Era, perciò, necessario mettere a punto uno strumento operativo intermedio tra i metodi per l’analisi della sicurezza e i metodi per la valutazione della vulnerabilità su larga scala, che ottimizzasse indagini e rilievi, accuratezza e complicazioni del calcolo, tenendo conto delle caratteristiche tipiche degli edifici da valutare.

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CAPITOLO 3 – STUDIO DI VULNERABILITA’ SISMICA: L’OSPEDALE DI VOLTERRA

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Nella presente tesi, viene illustrata la procedura SAVE-VM, studiata e messa a punto, dal GNDT e dall’Università della Basilicata, per l’analisi della vulnerabilità degli edifici esistenti in muratura del “Presidio Ospedaliero di Volterra”. Tale procedura, implementata su foglio elettronico, consente di operare in maniera rapida ed agevole su di un numero limitato di dati di input.

3.2. Metodologia

Come già detto nel paragrafo precedente, la finalità dello studio è la valutazione della vulnerabilità sismica e del rischio sismico del singolo edificio.

La vulnerabilità è riferita a due livelli di danneggiamento, corrispondenti, in termini prestazionali, alla condizione limite di operatività, ossia di danneggiamento lieve tale da non pregiudicarne l’utilizzazione, e alla condizione di collasso incipiente. La vulnerabilità, pertanto, viene intesa come stima dell’intensità del terremoto per la quale l’edificio raggiunge le due condizioni dette. Il rischio, ovviamente riferito alle condizioni di pericolosità sismica del sito in cui sorge la costruzione, tenendo conto anche di eventuali effetti di amplificazione locale, viene espresso in termini di periodo di ritorno del terremoto che produce le due condizioni limite sopra citate.

La metodologia utilizzata è basata su di un modello di calcolo semplificato, che permette l’analisi piano per piano, per la determinazione degli spostamenti relativi tra un piano e l’altro, ai fini della valutazione delle condizioni di operatività, e della resistenza sismica dell’organismo strutturale, ai fini della valutazione delle condizioni di collasso.

Il livello di complessità del modello è commisurato al livello di conoscenza della struttura reale, in termini di caratteristiche sia meccaniche dei materiali, che geometriche dei diversi elementi strutturali e dell’organismo strutturale nel suo insieme. Infatti, la conoscenza di una struttura esistente non è mai totale, ed il livello di dettaglio è commisurato ai tempi e ai costi di esecuzione dei rilievi e delle indagini sperimentali sui materiali e sugli elementi strutturali.

La procedura può essere applicata secondo due logiche diverse. La prima, coerente con un’analisi della sicurezza svolta ai sensi della normativa, richiede la considerazione di coefficienti di sicurezza e fattori di confidenza, così come definiti nelle normative specifiche relative ai diversi tipi e materiali strutturali, conduce ad una valutazione

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CAPITOLO 3 – STUDIO DI VULNERABILITA’ SISMICA: L’OSPEDALE DI VOLTERRA

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convenzionale e cautelativa della reale vulnerabilità e del rischio sismico dell’edificio in esame. La seconda prescinde dall’adozione di coefficienti di sicurezza e fattori di confidenza e fa riferimento direttamente ai valori stimati più probabili delle resistenze dei materiali, essendo finalizzata alla determinazione della più probabile stima delle capacità sismiche della struttura in esame. Essa pertanto fornisce valutazioni meno cautelative ma più verosimili della reale vulnerabilità e del rischio sismico dell’edificio in esame.

L’adozione di numerose assunzioni sulle caratteristiche della struttura e dell’azione sismica, legate alla non perfetta conoscenza della struttura, basata su indagini sicuramente non esaustive, della pericolosità del sito, basata su una delle mappe disponibili a livello nazionale, dei terreni di fondazione, basata su conoscenze spesso sommarie dei profili stratigrafici, nonché l’adozione di un modello semplificato, limita, ovviamente, l’affidabilità dei risultati in termini assoluti. Ciononostante, l’applicazione di una stessa procedura ai diversi edifici permette di raffrontare in maniera diretta, e su base quantitativa, i loro livelli di vulnerabilità e di rischio, e di evidenziare quelle situazioni precarie, sulle quali occorre intervenire con maggiore urgenza.

3.3. Individuazione del o dei meccanismi di collasso possibili

Le strutture murarie degli edifici sollecitate da azioni sismiche, sono caratterizzate da comportamenti molto diversi, dipendenti principalmente dalle caratteristiche e dall’efficacia dei collegamenti tra pareti ortogonali e tra pareti e strutture orizzontali. Gli edifici pubblici sono spesso caratterizzati da buoni collegamenti tra pareti e solaio, realizzati attraverso cordoli in c.a., nonché da solai adeguatamente rigidi. Pertanto, al fine di determinare la vulnerabilità sismica degli edifici, la procedura SAVE-VM considera unicamente i meccanismi di collasso per azioni nel piano, fermo restando che occorre verificare le condizioni di validità delle ipotesi assunte.

3.4. Modello di comportamento

In base al meccanismo di collasso predefinito, la procedura considera le modalità di plasticizzazione e rottura per taglio e/o per pressoflessione dei maschi murari sollecitati nel proprio piano, determinando il taglio complessivo portato dalla struttura.

(38)

CAPITOLO 3 – STUDIO DI VULNERABILITA’ SISMICA: L’OSPEDALE DI VOLTERRA

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La resistenza all’azione orizzontale del maschio murario i-esimo, al j-esimo piano, nella direzione dell’analisi, sollecitato nel proprio piano, viene valutata considerando il valor medio della sua resistenza unitaria a taglio, secondo la formulazione di Turnsek-Cacovic. La formula originaria esprime bene la resistenza di un maschio murario quando la rottura avviene per taglio, mentre ne fornisce una sovrastima quando il maschio murario è snello e soggetto ad una tensione di compressione bassa, a causa del sopraggiungere della crisi per flessione, prima che si determini la crisi per taglio.

Per tener conto di questa eventualità, si applica un fattore riduttivo della resistenza specifica tangenziale, funzione della snellezza e della tensione di compressione media, così da ottenere il valore corretto τcorr,i,j, per il maschio murario i-esimo del piano j-esimo, nella direzione parallela al piano medio del maschio murario:

dove Vij è la resistenza a taglio del maschio murario i-esimo, al piano j-esimo, sollecitato nel proprio piano;σ0,i,j è la tensione di compressione agente sullo stesso maschio murario per effetto dei carichi verticali; Ai,j è l’area della sua sezione orizzontale.

La valutazione di τcorr,i,j viene effettuata automaticamente dalla procedura, una volta specificate le caratteristiche geometriche del maschio murario e delle fasce di piano inferiore e superiore ed i carichi agenti. La valutazione della resistenza complessiva dell’edificio, infatti, richiede la determinazione delle aree di muratura resistente nelle due direzioni, escludendo naturalmente le aperture di porte e finestre, valutando per ciascun allineamento la snellezza media e la tensione media di compressione, così da determinare il fattore riduttivo da applicare alla resistenza unitaria a taglio.

La resistenza complessiva in ciascuna direzione è ottenuta sommando i contributi dei singoli maschi murari del livello in esame sollecitati parallelamente, secondo l’equazione:

La rigidezza dei singoli maschi murari viene valutata tenendo conto della deformabilità a taglio e a flessione con l’equazione:

Vi , j=Ai , jτcorr , i , j

1+ σ0, i , j 1,5 τcorr , i , j Vj=

iVi , j Ki , j=r GA χ hdef 1 1+Ghdef 2 χ Eb2

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dove E = 6G e G= 1000τk; r è un fattore riduttivo che tiene conto della riduzione di rigidezza per fessurazione, compreso tra 0,5 e 1; hdef è l’altezza deformabile, valutata tenendo conto delle dimensioni delle aperture adiacenti al maschio murario in esame; b è la larghezza del maschio murario; A è l’area della sezione orizzontale del maschio murario.

3.5. Vulnerabilità sismica

La vulnerabilità sismica dell’edificio viene valutata in termini di accelerazione di picco a terra che produce il raggiungimento dei due livelli prestazionale considerati: l’operatività e il collasso.

Il passaggio dalle resistenze di piano, o dalle forze di piano, all’accelerazione al suolo che determina le condizioni critiche, richiede una serie di passaggi che mettono a confronto gli effetti indotti dall’azione sismica (sollecitazioni, richieste di duttilità, deformazioni), ossia la domanda, con le corrispondenti capacità per ciascun piano e per ciascuna direzione, andando poi a individuare la situazione più sfavorevole nel rapporto domanda/capacità, sulla base della quale si valuterà l’accelerazione al suolo che ne determina il raggiungimento.

L’accelerazione massima, PGA, viene innanzitutto riferita al sito in cui è localizzato l’edificio, includendo anche l’amplificazione e la distorsione spettrale prodotta dai terreni deformabili di fondazione; successivamente viene determinata l’accelerazione di picco riferita alle condizioni ideali su roccia ag, corrispondente all’accelerazione al sito PGA che produce il raggiungimento dei due livelli prestazionali della struttura.

3.6. Tagli di piano

Il primo passo consiste nel determinare il taglio prodotto ai vari piani dell’accelerazione agente globalmente sulla struttura, assunta convenzionalmente pari a 1g. A tale scopo si utilizza il metodo dell’analisi statica lineare, che definisce le forze di piano in relazione ad una prefissata forma semplificata lineare del primo modo di vibrare della struttura:

(40)

CAPITOLO 3 – STUDIO DI VULNERABILITA’ SISMICA: L’OSPEDALE DI VOLTERRA

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dove Fh= W avendo assunto l’accelerazione pari a 1g; Fj è la forza da applicare al piano j-esimo; Wi e Wj sono i pesi, rispettivamente, della massa i e della massa j; zi e zj sono le quote, rispetto al piano di fondazione, delle masse i e j; W è il peso complessivo della costruzione; g è l’accelerazione di gravità.

Il taglio agente al piano j, Vag,j, nella direzione considerata è ottenuto sommando le forze calcolate agenti al di sopra del piano in esame:

I rapporti SDj , tra i tagli di piano Vj corrispondenti alla condizione limite in esame (Vj,COLL= “raggiungimento della resistenza di piano per il collasso” oppure Vj,OPER = “raggiungimento dello spostamento interpiano dr pari al limite di operatività dr,OP”) ed i corrispondenti tagli di piano agenti Vag,j, definiscono la prestazione strutturale dei singoli piani dell’edificio in termini di accelerazioni sulle masse strutturali, espresse in frazione di g.

3.7. Accelerazioni del suolo

Il passaggio successivo consiste nel determinare le accelerazioni massime del terreno in situ (PGA) e su roccia (ag), corrispondenti al raggiungimento delle condizioni limite ai singoli piani e nelle due direzioni considerate.

Questo passaggio richiede la considerazione di diversi effetti legati al comportamento dinamico della struttura, alle sue capacità duttili e, eventualmente, alle capacità dissipative degli elementi non strutturali non portati in conto in termini di resistenza, oltre che delle forme spettrali in relazione al tipo di terreno.

Tali effetti vengono messi in conto attraverso una serie di coefficienti, che trasformano l’accelerazione del terreno che produce il raggiungimento della condizione limite in esame, definita come PGAj, in accelerazione sulle masse strutturali:

SDj = PGAj.

α

PM .

α

AD .

α

DS/

α

DUT,j = agj. S .

α

PM .

α

AD .

α

DS/

α

DUT,j (1)

dove:

-

α

PM è il coefficiente di partecipazione modale del primo modo di vibrare nella direzione considerata, che può essere assunto pari a 0,8 per edifici aventi più di un piano, 0,9 per edifici aventi solo due piani, 1 per edifici ad un piano, in analogia al

Vag , j=

i= j p

(41)

CAPITOLO 3 – STUDIO DI VULNERABILITA’ SISMICA: L’OSPEDALE DI VOLTERRA

37 coefficiente riduttivo λ1

, ma con una maggiore differenziazione tra gli edifici con 1-3 piani, intervallo nel quale si collocano numerosi edifici pubblici, ed in particolare quelli scolastici;

-

α

AD è l’amplificazione spettrale, funzione del periodo del primo modo nella direzione in esame e della forma spettrale; esso viene determinato con riferimento agli spettri per i diversi tipi di terreno, secondo le categorie di profili stratigrafici del suolo di fondazione. Il periodo proprio della struttura viene automaticamente calcolato mediante la formula di Rayleigh, adottando la deformata prodotta dalle forze statiche precedentemente definite;

-

α

DS negli edifici in muratura, nei quali il contributo degli elementi non strutturali, ove presenti, si considera trascurabile, è normalmente assunto pari a 1, sebbene tale valore sia modificabile nella procedura, per tener conto di situazioni particolari; -

α

DUT,j è un coefficiente funzione di numerosi parametri, alcuni riferiti all’edificio

globalmente, altri al piano in esame. Tali parametri, penalizzanti per le capacità duttili della struttura, varieranno il valore di

α

DUT,j tra 1 e 2.Nella valutazione delle prestazioni strutturali rispetto alle condizioni di operatività il coefficiente di duttilità assume, in ogni caso, valore unitario.

3.7.1. Coefficiente di duttilità

Per gli edifici in muratura perfettamente regolari si adotta un valore di riferimento del coefficiente di duttilità di piano pari a 2. Tale valore può essere ulteriormente penalizzato mediante i coefficienti pk, che tengono conto dell’influenza delle irregolarità sulla duttilità

di piano:

α

DUT,j= 2. p1,j . p2 . p3

dove:

- p1,j è il coefficiente riduttivo di piano per irregolarità di resistenza tra piani successivi, calcolato considerando i rapporti che quantizzano un eccessivo aumento del rapporto tra capacità e domanda in termini di taglio di piano, procedendo dal basso verso l’alto:

(42)

CAPITOLO 3 – STUDIO DI VULNERABILITA’ SISMICA: L’OSPEDALE DI VOLTERRA

38

p1,j = 0,5 + 0,5Rj ≥ 0,75 se Rj = (Vj/Vag,j)/(Vj+1/Vag,j+1) < 1

p1,j = 1 se Rj ≥ 1

Il coefficiente p1,j, pertanto, sarà pari a 1 se ai piani inferiori si hanno delle sovraresistenze rispetto ai piani superiori, a 0,75 quando si hanno delle sovraresistenze dei piani superiori maggiori del 50% rispetto ai piani inferiori, e valori compresi tra 0,75 e 1 negli altri casi. Ovviamente il coefficiente è sempre unitario all’ultimo piano;

- p2èilcoefficiente riduttivo dovuto all’irregolarità di rigidezza o di massa in pianta; sarà pari a 1per situazioni regolari, a 0,95 per situazioni mediamente irregolari e a 0,90 per situazioni fortemente irregolari;

- p3èilcoefficiente riduttivo dovuto all’irregolarità di forma geometrica (in pianta e in elevazione); sarà pari a 1per situazioni regolari, a 0,95 per situazioni mediamente irregolari e a 0,90 per situazioni fortemente irregolari;

3.8. Determinazione del livello prestazionale allo SLO

La perdita di operatività è riferita alla condizione di danneggiamento non trascurabile delle parti non strutturali e/o di quelle strutturali. Per questo essa è determinata dal raggiungimento di una delle due seguenti condizioni:

- drift percentuale (spostamento interpiano/altezza di interpiano) dr,lim= 0.3%;

- accelerazione a terra corrispondente ad un valore unitario di

α

DUT,j.

Per quanto riguarda la prima condizione, nota la rigidezza totale Kj e l’altezza hj del piano j-esimo, il taglio che provoca il drift limite nella direzione considerata sarà pari a:

Vop,j= Kj⋅hj⋅dr,lim

Considerando questo come valore massimo “resistente”, è possibile, procedendo analogamente a quanto fatto per l’individuazione del limite di collasso, determinare le massime accelerazioni spettrali. Le uniche differenze sono legate ai coefficienti riduttivi

p1,j e p3 che assumono valore unitario. L’espressione del coefficiente di duttilità di piano, quindi, degenera in:

Figura

Fig. 1.4 – Zone sismiche del territorio italiano nel 2003 (fonte: INGV)
Fig. 1.7 – Aggiornamento della classificazione sismica del territorio toscano a confronto con la  classificazione del territorio ai sensi della delibera di Giunta n°431/2006
Fig. 2.3 – Pietra squadrata a) e pietra non squadrata b), con connessione di malta
Fig. 2.20– Meccanismo di ribaltamento della parete in assenza di collegamenti parete-parete (a) e  trasferimento delle azioni orizzontali ai setti di taglio in presenza di collegamenti parete-parete (b)
+7

Riferimenti

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