! !
!"#$%&'#()*+%,-#*'(!+#*+#*.#'/*
0/12-()*+#*%12"23#/*
!14564*78*-9:5;9*39<86=59>;*8?*
"#$%#&'(%!)%*%'&+&*#!&!,-*#$-..-!
*
*
! ! ! !!
!
-/*'#1!&%@@/*"%#*-!2,A#*+#*-/$2&2B*
#-*1/'2*'/#"(*,2C/#"*,-/''*+%--2*'(/C#-#3%"(2*+#*.#'/*
!
!
!
!
!
!
%>9D459=4*78B!
/%#$(0(%!1&2#-*&!
!
!
&;>9=45;B*
,34+-!/$-54!)%$6-!7(%**(*(!
!
!
!
!
! ! ! 8**-!866%9&+(6-!:;<:=:;<>!I N D I C E
Premessa ... 3
! Parte I - La sicurezza nei luoghi di lavoro ... 5
1. Evoluzione nel tempo della tematica della sicurezza ... 6
1.1 Prima fase: fine 1800 ... 7
1.2. Seconda fase: anni 1920-1930 ... 8
1.3 Terza fase: anni 1940-1950 ... 9
1.4. Quarta fase: anni 1960-1970 ... 10
1.5 Quinta fase: anni 1980-1990 ... 12
1.6. La fase attuale ... 13
1.7. Bibliografia ... 16
2. Definizione di un sistema di gestione della sicurezza e misure di prevenzione e protezione ... 18
2.1. Il sistema di gestione della sicurezza ... 18
2.2. Il modello di gestione della salute e sicurezza sul lavoro UNI-INAIL del 2001 ... 38
2.3. Il sistema di gestione della sicurezza del British Standard OHSAS 18001:2007 ... 42
2.4. La valutazione dei rischi ... 47
2.5. Linea guida dell’ISPESL per l’elaborazione del documento di valutazione dei rischi ... 50
2.6. Costi relativi alla sicurezza ... 62
2.7. Bibliografia ... 68
3. Ruolo della formazione del personale ... 71
3.1 La formazione ... 71
3.2. L’informazione sulla sicurezza: caratteri distintivi ... 74
3.3. Il ruolo della formazione ... 78
3.4. Le criticità su cui intervenire ... 86
3.5. Bibliografia ... 91
4. Rapporto tra sicurezza, clima e benessere organizzativo ... 94
4.1 Definire il lavoro oggi ... 94
4.2 Lavoro come relazioni sociali e salute ... 95
4.3 Lo stress ... 98
4.3.1 Lo stress lavoro-correlato ... 99
4.4 Indicatori di benessere e malessere organizzativo ... 101
4.5 Quadro normativo ... 102
4.6 La valutazione dello stress lavoro-correlato ... 104
4.7 Qualità della vita ... 105
4.8 Benessere ... 109
4.9. Bibliografia ... 118
! Parte II - Il caso: lo stabilimento Saint Gobain Glass di Pisa ... 121
2.1. Lo stabilimento di Pisa: ieri ed oggi ... 122
2.2. Sicurezza del lavoro oggi e relative metodologie utilizzate ... 133
2.3. Conclusioni ... 177
2.4. Bibliografia e sitografia ... 179
Allegati ... 180
! >!
*
*
*
*
.
&%3%''/*
Questa tesi si propone di analizzare il tema della sicurezza nei luoghi di lavoro, nonché le misure di prevenzione e protezione che dovrebbero essere adottate dal lavoratore, l’informazione e in particolar modo la formazione dei lavoratori, strumento molto importante per la salute ma ancora non attivato in tutte le realtà aziendali. Di fatto ancora oggi si verificano tantissimi incidenti sul lavoro e la relazione annuale 2012 del presidente dell’INAIL Massimo de Felice sulla situazione del mondo del lavoro, presenta i dati dell’Istituto sugli infortuni e malattie professionali: su 745 mila denunce di infortuni accaduti nel 2012, l’INAIL ha riconosciuto 496.079 casi, con una diminuzione rispetto al 2011 di circa il 9%.
Per quanto riguarda gli episodi mortali, le denunce pervenute entro la stessa data e relative al 2012 sono state 1.296 (-5,19%): 790 di queste sono state accertate dall’INAIL come infortuni sul lavoro, un decremento dell’8,78% rispetto agli 866 casi mortali dell’anno precedente. L’andamento lievemente decrescente, non deve far scemare l’osservanza delle misure per la protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori ed è importante che continui la realizzazione del piano di incentivi alle imprese, attuato dal governo, per interventi a favore della salute e della sicurezza sul lavoro.
Il contenuto di questa tesi è strutturato in cinque capitoli. Il primo capitolo esamina l’evoluzione nel tempo della sicurezza, ovvero l’evoluzione giuridica che si è avuta nel nostro Paese circa il tema della sicurezza; il secondo considera i sistemi di gestione della sicurezza e le misure di prevenzione e protezione, ovvero l’applicazione sistematica delle politiche, delle procedure e delle attività da parte di un insieme di persone, con gli obiettivi di analizzare, valutare e controllare la salute dei lavoratori; il terzo valuta la formazione del personale, come unico “strumento” idoneo per affermare e accrescere la “cultura della sicurezza” sul lavoro e rafforzare le misure di prevenzione; infatti la formazione è una risorsa metodologica precisa, per l’individuazione di possibili cause di malessere e contribuisce a prospettare eventuali modalità per affrontarle; il quarto tratta il benessere organizzativo, ovvero il lavoro inteso come strumento di autorealizzazione, di produzione di beni e di socializzazione con gli altri soggetti umani. Per ottenere il
! ?!
benessere è utile promuovere e mantenere la salute organizzativa, intesa come l’insieme dei nuclei culturali, processi e pratiche organizzative che animano la convivenza nei contesti di lavoro. Il quinto capitolo analizza un caso pratico dove la sicurezza è ben implementata; si tratta di una azienda multinazionale, la Saint Gobain Glass nello stabilimento di Pisa. Dopo una breve storia sulla nascita di questa azienda, del come si è ampliata nel tempo, viene analizzato il sistema di gestione della sicurezza e le relative metodologie utilizzate, facendo anche specifico riferimento agli standard emanati dalla casa madre di Parigi.
! @! !
P
ARTEI
L
A SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO ! ! ! ! ! ! ! ! ! !! A!
1.EVOLUZIONE NEL TEMPO DELLA TEMATICA DELLA SICUREZZA
La sicurezza sul luogo di lavoro consiste in tutta quella serie di misure di prevenzione e protezione (tecniche, organizzative e procedurali), che devono essere adottate dal datore di lavoro, dai suoi collaboratori (i dirigenti e i preposti), medico competente e dai lavoratori stessi.
La salute, sia secondo il Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro che l’Organizzazione Mondiale della Sanità, è uno stato di benessere fisico, mentale e sociale e non consiste solamente in un’assenza di malattia o di infermità. Questa definizione può ben adattarsi all’argomento in oggetto, rientrando nei problemi di salute ogni forma di infortunio e di malattia professionale in dipendenza dell’attività lavorativa.
Il riferimento è a una persona che svolga una qualsiasi attività lavorativa, nei suoi più svariati risvolti, restando escluse quelle occupazioni che il singolo soggetto può svolgere in modo del tutto personale.
Il tema della prevenzione dei rischi da lavoro è quotidianamente oggetto di cronaca e di analisi da parte di pubblicazioni specializzate e dei media.
Le recenti statistiche in materia offrono, del resto, cifre in merito ai sinistri sui luoghi di lavoro tali da rappresentare, sia pure con valori decrescenti negli ultimi anni, ancora una vera e propria emergenza alla quale il governo, le organizzazioni datoriali e sindacali, esperti della prevenzione, sociologi, psicologi, manager, organi di vigilanza, cercano di farvi fronte.
Poiché salute e sicurezza costituiscono, o dovrebbero costituire, temi di grande rilievo per chi deve gestire un’azienda, sia di grandi che di piccole dimensioni, ci si dovrebbe domandare quali possano essere le carenze, che determinano la situazione appena citata.
Prima di accennare all’evoluzione giuridica che si è avuta nel nostro Paese circa il tema della sicurezza, si può evidenziare, in termini di approccio al tema in oggetto, il superamento del principio “comando e controllo” secondo cui la legge dettava le misure prescrittive e gli organi di vigilanza verificavano che fossero correttamente applicate.
All’interno delle aziende il datore di lavoro disponeva una serie di misure oggettivamente previste dalla legge a cui i lavoratori dovevano attenersi. Successivamente, in modo parallelo alla riorganizzazione dei sistemi produttivi, si è passati ad una prevenzione nei luoghi di lavoro in cui la responsabilità e la partecipazione dei soggetti coinvolti diventano elemento centrale, passando da un concetto di prevenzione oggettiva
! B!
(o tecnologica, dove macchine, attrezzature, impianti e ambienti di lavoro devono possedere i requisiti oggettivi di igiene e di sicurezza) a un concetto di prevenzione oggettivo-soggettiva i cui capisaldi sono rappresentati fondamentalmente dalla formazione, dall’informazione, dalla consultazione e dalla partecipazione dei lavoratori, dalla valutazione dei rischi, dall’istituzione del Servizio di prevenzione e protezione. La sicurezza oggettiva delle macchine e degli ambienti di lavoro deve essere accompagnata da un’organizzazione del lavoro e da comportamenti operativi dei lavoratori “soggettivamente sicuri”. Gli stessi lavoratori dall’essere solo soggetti passivi, divengono soggetti attivi e consapevoli. Si è avuto, quindi, un passaggio ad una logica programmatica che, attraverso la conoscenza del problema e la partecipazione di tutte le componenti interessate, ha generato interventi di prevenzione, intendendo tale termine nel suo corretto significato lessicale, fino a stimolare comportamenti di tipo proattivo, diretti a perseguire miglioramenti continui delle condizioni di sicurezza.
Per comprendere come la legislazione in materia sia pervenuta alla redazione del cosiddetto Testo Unico, si ritiene opportuno fare dei cenni su come il sistema giuridico italiano, prima corporativo e poi post-corporativo, abbia regolamentato il tema della sicurezza sul lavoro.
1.1 Prima fase: fine 1800
All’inizio il concetto di sicurezza era concepito come caso, fatalità, destino avverso o comunque come mancanza di regole definite; pertanto un’entità astratta, non facilmente identificabile, comunque slegata completamente dal processo produttivo.
Questa concezione ha avuto come conseguenza due effetti motivazionali sul comportamento degli attori e dei protagonisti nel campo sicurezza:
• un primo effetto, in direzione di una riduzione degli sforzi organizzativi e personali perché ritenendo di essere soggetti anche alla dinamica di elementi fortuiti si ha la tendenza a porsi in situazione di attesa;
• un secondo effetto, riguarda aspetti più profondi della personalità perché mette l’uomo di fronte ad una delle più grandi difficoltà: la frustrazione totale e certa dei suoi sforzi che non potranno mai giungere ad eliminare completamente il rischio, l’infortunio, la morte.
Da un punto legislativo, le prime attenzioni ai lavoratori infortunati risalgono alla fine del 1800, periodo che coincide con lo sviluppo delle prime grandi attività industriali. Non esistevano regole, procedure e metodi uniformi per concretizzare la
! C!
tutela della sicurezza ed igiene dei lavoratori: l’unica garanzia consisteva nella previsione di forme di risarcimento dei danni.
La prima legge sull’assicurazione degli infortuni sul lavoro nell’industria risale al 1898. In termini organizzativi, si assisteva all’immobilismo e all’impotenza: l’infortunio è dovuto al caso, alla sfortuna e pertanto non si può far nulla.
1.2. Seconda fase: anni 1920-1930
Gli anni Venti e Trenta sono caratterizzati da scarsa attenzione verso questo grande disagio sociale e mancanza d’interventi organizzativi e normativi dovuti anche alla concezione di predisposizione agli infortuni frutto della ricerca in psicologia.
Infatti, le ricerche di Greenwood e Woods fatte nel 1919 all’Arsenale di Londra misero in evidenza che solo una piccola parte della popolazione totalizzava una larga percentuale degli infortuni.
Da qui il concetto che solo pochi individui si infortunavano in quanto erano gli unici predisposti.
Si dirige cosi tutto l’interesse degli scienziati verso l’individuazione di fattori di personalità che, mescolandosi, diano luogo alla cosiddetta predisposizione.
In questo modo l’individuo si pone come l’oggetto di studio e anche come l’elemento sul quale far convergere gli sforzi diretti all’eliminazione o alla riduzione del fenomeno infortunistico.
Il tentativo di spiegare la causa degli infortuni servendosi del concetto di predisposizione aprì la strada a numerose contestazioni.
Innanzitutto, alcuni successivi studi non riscontrarono la presenza di correlazione che aveva portato a concludere che alcuni soggetti subivano più infortuni in un certo periodo di tempo a causa di peculiarità individuali. Inoltre, si notò che la condizione di predisposizione può essere temporanea e variare al mutare delle situazioni che influenzano il soggetto, quindi la composizione del gruppo di individui predisposti è mutevole.
La teoria della predisposizione fu oggetto di rilievi anche riguardo ai metodi con cui gli studi relativi erano stati condotti. In primo luogo, l’influenza dell’ambiente di riferimento era stata trascurata nella spiegazione del fenomeno infortunistico, mentre la sua valenza è addirittura determinante.
Inoltre, i dati utilizzati venivano considerati poco attendibili; la ragione risiedeva nel fatto che non era stata stabilita una chiara definizione d’infortunio, ad esempio
! D!
rispetto alla gravità dell’evento, quindi alcune ricerche consideravano alla stregua d’infortuni alcuni episodi poco significativi che altre ricerche non includevano.
Questi studi, seppur con le erronee conclusioni cui sono giunti, se non altro hanno avuto il merito di porre l’accento sulle determinanti individuali nell’infortunio.
Anche qui, la logica è stata: dato che sono pochi i lavoratori interessati all’infortunio, l’organizzazione non interviene.
Un ulteriore contributo nell’ottica individuale si è avuto da parte della psicoanalisi che ha dato una spiegazione del fenomeno anche attraverso le dinamiche inconsce che influenzano il comportamento.
L’organizzazione aziendale ha aderito completamente alla teoria: l’infortunio è qualcosa che riguarda solo certi individui, è un fatto inevitabile, strettamente personale, un tributo, il giusto prezzo da pagare per poter lavorare, e quindi non è possibile intervenire.
In questo contesto, si affermava comunque l’approccio normotecnico cioè centrato sulla individuazione e rispetto di regole tecniche.
1.3 Terza fase: anni 1940-1950
Negli anni Quaranta con l’introduzione dell’articolo 2087 “Tutela delle condizioni di lavoro”del Codice civile (1942) e degli articoli 32-35-41 della Costituzione della Repubblica Italiana (1948) si sottolinea l’impegno da parte dell’impresa ad una migliore gestione ed organizzazione della tematica in esame.
Secondo l’articolo 2087 !l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori d’opera". Questa norma deve essere interpretata alla stregua di un’espressione legislativa diretta a creare a carico del soggetto aziendale un obbligo generale ed effettivo di tutela del lavoratore. II contenuto di questo articolo, pure se inserito nel Codice Civile entrato in vigore nel 1942, rappresenta tutt’oggi la “norma delle norme” in materia di sicurezza, attesa la sua formulazione che si attaglia a tutte quelle circostanze che possono avere effetti determinanti sulla sicurezza sul lavoro.
Gli articoli, 32-35-41 della nostra Costituzione tutelano il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni; curano la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori senza recare danno alla sicurezza, libertà e dignità umana.
! <;!
Purtroppo, la novità e l’attualità di queste norme non sono state colte, né dagli organi di controllo e dalla Magistratura, che le utilizzavano quasi unicamente dopo che gli infortuni si erano verificati, né dalle imprese, che giudicavano troppo dispendiose le misure che gli articoli imponevano.
Da parte loro, anche i sindacati riconoscevano ancora il principio di monetizzare la salute per tutti quei rischi, connessi al progresso tecnologico, ritenuti ineliminabili.
Gli anni Cinquanta hanno conosciuto un forte incremento dell’attività industriale; la meccanizzazione e la produzione di massa hanno preso il sopravvento, rendendo necessario un nuovo impegno legislativo più in linea con la prevenzione, che abbandonasse le pratiche assicurative e risarcitorie applicate in precedenza. Vengono così emanati i D.P.R. n.547 del 27 aprile 1955 e il n.303 del 19 marzo 1956 che impartivano al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti specifiche disposizioni tecniche, d’igiene e in merito a rischi specifici(rumore,sostanze chimiche,ecc).
Per quanto riguarda la ricerca psicologica, il campo d’indagine viene allargato ed approfondito: entrano in gioco i fattori psicosociali sotto la spinta dei risultati delle esperienze di E. Mayo e degli studi successivi di K. Lewin. Si passa pertanto dall’individuo al gruppo, e del gruppo vengono messi in rilievo gli aspetti qualitativi: com’e strutturato, quale tipo di leadership è esercitata, come avvengono le comunicazioni al suo interno, ecc. L’ipotesi sottostante è la seguente: il gruppo condiziona il comportamento, i valori, gli atteggiamenti e la percezione della realtà esterna; da qui l’esigenza di intervenire sulla sicurezza prendendo in considerazione l’ambiente di lavoro naturale che vede all’opera, appunto, i gruppi di lavoro.
Ma anche a questo livello si manifestano insufficienze: viene messa in risalto una scissione tra gli uomini e l’ambiente di lavoro, tra uomo e macchina, tra aspetti cosiddetti soggettivi ed aspetti oggettivi e non si assegna il giusto peso agli aspetti mentali del lavoro.
1.4. Quarta fase: anni 1960-1970
Finalmente, negli ultimi anni Sessanta, le aziende diventano oggetto di pressioni più consistenti relativamente alla salute nei luoghi di lavoro. L’organo più attivo è il sindacato, che invita a considerare il problema della salute come strettamente legato al contesto della fabbrica e all’organizzazione del lavoro. I lavoratori divengono soggetti attivi della tutela prevenzionistica come collettività e non come singoli; vengono superati i principi, della monetizzazione della salute e della delega all’esperto. Ai fini
! <<!
della partecipazione dei lavoratori alla modifica dell’ambiente di lavoro, si afferma la realtà del gruppo omogeneo considerato omogeneo dal punto di vista dell’esposizione agli stessi rischi, e si utilizza uno strumento metodologico, derivato dall’esperienza dei singoli ma verificato collettivamente attraverso il confronto delle esperienze e dei modelli interpretativi: la validazione consensuale, intesa come facoltà del gruppo omogeneo di approvare o meno le condizioni esistenti in un ambiente di lavoro.
Un grosso contributo in quest’ottica viene dato dalla legge 300/70, meglio nota come Statuto dei lavoratori, «diritto dei lavoratori, mediante loro rappresentanze, di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica».
Un altro momento importante è costituito dalla legge 833/78 intitolata Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale che oltre a ribadire i principi fondamentali relativi alla tutela preventiva dell’integrità psicofisica dei lavoratori e alla partecipazione all’opera di prevenzione da parte delle organizzazioni sindacali e degli stessi lavoratori, prevede il decentramento territoriale di compiti di prevenzione e controllo in materia di sicurezza con la creazione delle Usl (attuali Asl) e l’istituzione di un organismo centralizzato: l’Ispesl.
Nel campo organizzativo, si assiste all’affermarsi di una nuova disciplina scientifica, chiamata ergonomia, che ha come oggetto tutto quanto costituisce carico di lavoro per l’uomo e le influenze che il carico di lavoro determina sul comportamento e sulla salute del lavoratore, in poche parole, studia l’adattamento del lavoro all’uomo.
La tendenza aziendale, però, è quella di utilizzare l’ergonomia soltanto in termini correttivi, cioè progettando le macchine e le attrezzature in vista di una maggiore funzionalità e di conseguenza di una maggiore produttività, evitando in tal modo qualsiasi spreco e dispendio di energia da parte della forza lavoro. Ciò che non viene preso in esame sono i bisogni psicologici e sociali dei lavoratori.
Lo sviluppo della teoria dei sistemi fa sì che il problema della sicurezza assuma per l’azienda un risvolto diverso: ci sono vincoli sempre più precisi e rigorosi di tutela dell’ambiente, c’è un mutato atteggiamento di lavoratori e sindacato nei confronti della ineluttabilità della tecnologia e comunque un rifiuto della monetizzazione del rischio. Si studiano forme nuove di organizzazione del lavoro cercando di ovviare agli inconvenienti legati ai cosiddetti effetti stancanti diversi dalla fatica fisica: noia, insoddisfazione, tensione e stress.
! <:!
Si evidenzia altresì, che l’incidente o l’infortunio possono essere interpretati come un malfunzionamento del sistema organizzativo che danneggia la produzione ed il benessere individuale.
1.5 Quinta fase: anni 1980-1990
Gli inizi degli anni Ottanta sono caratterizzati da un calo d’interesse nei confronti della tematica da parte delle grandi imprese impegnate in processi di ristrutturazione, con la conseguente introduzione di nuove modalità di produzione e di un nuovo assetto del sistema delle relazioni industriali. Anche la produzione legislativa rimane priva di significative novità ed è solo su impulso della normativa comunitaria che l’inattività del legislatore viene superata.
Infatti, la comunità emana una serie di direttive in materia di salute e sicurezza dei lavoratori che daranno vita, nel corso degli anni Novanta, a due importanti decreti legislativi: il D.Lgs 626/94 e il D.Lgs 494/96 sui cantieri.
Tali decreti hanno introdotto rilevanti novità nell’affrontare in modo gestionale il problema della sicurezza: hanno, tra l’altro, introdotto una migliore puntualizzazione delle responsabilità dei soggetti presenti in azienda nell’ambito di quello che viene definito un sistema di gestione della sicurezza, hanno previsto la formalizzazione di determinati documenti, l’obbligatorietà dell’informazione e formazione dei lavoratori, il mantenimento e l’aggiornamento dei principi di sicurezza in occasione di modifiche tecniche, organizzative e di personale. Sono seguite, negli anni successivi, altre norme integrative al D.Lgs. n. 626/1994; in particolare con riferimento ad una prevenzione “aggiornata” dei rischi connessi allo svolgimento dell’attività lavorativa, con particolare riferimento, ad esempio, ai rischi legati all’utilizzo e alla lavorazione di sostanze pericolose per la salute e per l’integrità fisica dei lavoratori come nei casi di presenza di amianto, di elevati livelli di rumorosità o di vibrazioni, di sostanze chimiche, di sostanze esplosive, tanto per citarne alcune che si sono succedute nel tempo a integrazione di quanto stabilito dallo stesso testo normativo del 1994. Il sistema di tutela si incentra su un concetto di prevenzione inteso come il complesso delle disposizioni o misure adottate o previste in tutte le fasi dell’attività lavorativa al fine di ridurre i rischi professionali tutelando la salute dei soggetti interessati. L’insieme delle diverse Direttive comunitarie relative al tema in oggetto ha dato un contributo sostanziale allo sviluppo della materia prevenzionistica, sia di carattere generale e sia, nella loro specificità con riferimento ai diversi rischi collegati alle attività svolte.
! <>!
Sotto la spinta dei decreti legislativi si afferma un modello di sicurezza che ha una serie di caratteristiche innovative.
Gli interventi che si eseguono devono essere adeguati alla specifica realtà produttiva, invece di rimanere generali e teorici. Ogni programma di prevenzione deve tenere conto dello specifico contesto lavorativo e aziendale nel quale deve essere applicato e le soluzioni devono essere studiate ad hoc per quel particolare contesto.
Viene introdotto il criterio della ripartizione delle responsabilità sui diversi soggetti aziendali: dirigenti, preposti, lavoratori.
Si ha il passaggio ad una concezione di sicurezza integrata. Ciò significa che la sicurezza sul lavoro è ottenuta come risultato dei modi di gestire la tecnologia, le risorse umane, le competenze e le conoscenze dei tecnici e dei lavoratori e costituisce parte integrante delle procedure aziendali.
1.6. La fase attuale
Tra le numerose innovazioni introdotte dalla legislazione degli anni Novanta, quella sicuramente più rilevante è stata la configurazione di un nuovo modello prevenzionistico. Essa implicava, infatti, una radicale modificazione del modo di intendere la prevenzione per la salute e la sicurezza dei lavoratori e ha richiesto un corrispondente cambiamento di orientamento delle conoscenze e delle pratiche d’intervento nei luoghi di lavoro. In sintesi, ha indirizzato verso una concezione di prevenzione primaria, generale, programmata e progettuale, basata su una valutazione dei rischi che copre in modo esaustivo l’intera situazione di lavoro, oggettivamente fondata su criteri e articolata su più livelli.
Tale approccio viene confermato dalla legge n.81 del 2008(Testo Unico in materia di tutela della sicurezza sul lavoro) che ha inteso raccogliere e unificare in un solo testo normativo una materia vastissima che si era accumulata nel tempo.
L’obiettivo di tale Testo, in effetti, è stato quello di sistematizzare tutte le diverse normative precedenti creando un documento che risultasse intellegibile per tutti i soggetti interessati, teso a fornire una serie di definizioni che hanno portato chiarezza nella terminologia utilizzata precedentemente. Un’ulteriore maggiore sottolineatura dell’importanza degli interventi addestrativi e formativi, un allargamento delle competenze e responsabilità dei dirigenti e dei preposti contribuisce a definire un quadro di riferimento che risulta, seppur necessariamente articolato, assai chiaro nelle sue finalità. Nello stesso Testo Unico sono contenuti, altresì, specifici allegati, i quali fanno parte integrante
! <?!
dello stesso allo scopo di favorire l’applicazione pragmatica dei relativi articoli: si pensi, ad esempio, a tutti i “limiti tecnici” quali-quantitativi che tali allegati contengono, come nei casi di esposizione a rumori, a vibrazioni, a rischi chimici, biologici ecc. Infine con il D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106, sono state emanate “Disposizioni integrative e correttive del D.Lgs. n. 81/2008 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”. Questo nuovo provvedimento, in forza di una recente legge delega del 2007, è intervenuto sul citato D.Lgs. n. 81, in particolare sui diversi profili gestionali e sanzionatori, provvedendo altresì a colmare lacune e imprecisioni verificatesi nell’applicazione dello stesso Testo Unico. Più in dettaglio, così come si legge nella relazione di accompagnamento alle disposizioni del citato D.Lgs. n. 106/2009, le principali novità introdotte sono le seguenti:
• misure di semplificazione inerenti più la forma che la sostanza;
• potenziamento del ruolo della bilateralità: tale bilateralità nasce dal reciproco rapporto contrattuale tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative in campo nazionale e quelle datoriali su materie di biunivoco interesse quali, in particolare, la normativa pattizia in tema di sicurezza sul lavoro; • rivisitazione dell’apparato sanzionatorio.
Con il decreto in oggetto sono stati posti in particolare rilievo i temi che si ricollegano alla programmazione della sicurezza che si concreta nella prevenzione della stessa in termini di addestramento, formazione, educazione del personale nonché nella certificazione dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza. In questo contesto assumono anche particolare rilievo le modifiche al regime sanzionatorio: in effetti, da un lato risultano depenalizzate le sanzioni che attengono ad aspetti solo formali, così come la normativa sanziona con minore gravità, rispetto allo stesso Testo Unico del 2008, i soggetti responsabili (partendo dal datore di lavoro) di violazioni delle norme stesse, ciò allo scopo principale di sollecitare, da parte datoriale, gli aspetti prevenzionistici. Tuttavia, per alcune attività, come già contemplato, per altro, da leggi precedenti, e prevista una particolare gravità sanzionatoria, come nel caso dell’edilizia e, più in generale, per tutte quelle attività per le quali il legislatore ha previsto, a fronte di specifiche gravi infrazioni (ad esempio, occupazione di personale non regolarizzato ai fini previdenziali, ovvero di lavoratori “in nero”, superamento delle ore di lavoro consentite ecc.), la chiusura dell’attività stessa, consentendone la ripresa solo dopo che tali infrazioni sono state rimosse. Al riguardo lo stesso legislatore ha
! <@!
contestualizzato queste disposizioni nel Testo Unico, prevedendo altresì specifiche direttive ministeriali.
Purtroppo, a fronte di stimoli cosi altamente significativi, non si sono avute reazioni concordanti: si deve constatare, infatti, la compresenza di imprese gestite secondo i criteri della qualità, dell’orientamento al cliente e della sicurezza e salute dei lavoratori e di imprese caratterizzate da scarsa attenzione alla tematica sicurezza e da forte resistenza a sostenere i costi di adeguamento di impianti e risorse umane.
Prendendo in esame gli aspetti operativi, emerge che le numerose iniziative attivate hanno privilegiato il piano procedurale e tecnico, trascurando in questo modo gli aspetti più generali del sistema, come il rapporto tra l’organizzazione dell’impresa e le risorse umane che vi operano, il legame tra organizzazione e sicurezza. Il rilievo dei fattori organizzativi è ulteriormente sottolineato dalle recenti trasformazioni che hanno investito gran parte dei paesi industrializzati in cui alla tipologia di lavoro full time-full life, un tempo dominante, si sostituiscono nuove forme di lavoro che incorporano, ciascuna a proprio modo, la nozione di flessibilità. Il riferimento è, in particolare, al lavoro part-time, al lavoro stabilmente notturno o festivo, ai contratti a termine, al lavoro interinale, ai contratti di formazione, al telelavoro.
Alle trasformazioni che interessano gli individui corrispondono quelle che hanno per oggetto il sistema di produzione, orientato verso modelli organizzativi, quali il just in time, la cosiddetta produzione snella, che ridisegnano con i contenuti anche i ritmi e la socialità del lavoro. Queste trasformazioni organizzative hanno importanti conseguenze sul piano della sicurezza, documentate dalla crescita del numero di infortuni indotti sia dalle caratteristiche fisiche degli ambienti di lavoro, sia dal tipo di organizzazione del lavoro e dalla maggiore incidenza delle patologie associate a condizioni di stress. Si assiste, infatti, all’affermarsi e allo sviluppo dello stress occupazionale inteso come un’esperienza emozionale negativa accompagnata da modificazioni biochimiche, comportamentali e cognitive, percepite dalla persona sul luogo di lavoro come conseguenza delle difficoltà a far fronte a richieste interne o esterne valutate come gravose, quindi in rapporto ai propri obiettivi, ai propri standard, alla propria personalità, cultura, ecc. e in rapporto a quella che è l’organizzazione.
Queste considerazioni ci portano ad affermare che oggi, un approccio corretto nei confronti della tematica sicurezza, salute e benessere non può fare a meno di tenere sempre più presenti e valutare attentamente nell’ambiente di lavoro sia i rischi fisici, che comprendono i rischi radiologici, chimici, biomeccanici e biologici, sia i rischi
! <A!
psicosociali definiti come “quegli aspetti relativi alla progettazione, organizzazione e gestione del lavoro, nonché ai rispettivi contesti ambientali e sociali.
1.7. Bibliografia
AA.VV. (2004), Modulo sicurezza, Ipsoa, Milano.
Acquadro Maran D. (a cura di) (2004), Sicurezza del lavoro e qualità della vita: quale ruolo della psicologia, Università degli Studi di Torino, Torino.
Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (2000), Ricerca sullo stress correlato al lavoro, Ispel, Roma.
Avallone F., Paplomatas A. (2005), Salute organizzativa. Psicologia del benessere nei contesti lavorativi, Cortina, Milano.
Berra A. (2004), “Le nuove competenze richieste per gli interventi di sicurezza sul lavoro”, in Sicurezza del lavoro e qualità della vita: quale ruolo della psicologia, Università degli studi di Torino, Torino.
Berra A., Prestipino T. (1996), La sicurezza del lavoro, psicologia, prevenzione, organizzazione, FrancoAngeli, Milano.
Cassidy T. (2002), Stress e salute, Il Mulino, Bologna.
Cox T., Giffiths A., Rial-Gonzales E. (2002), Ricerca sullo stress correlato al lavoro, Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro, Ispesl.
Favretto G. (2005), Le forme del mobbing. Cause e conseguenze di dinamiche organizzative disfunzionali, Cortina, Milano.
Frey M. (a cura di) (1996), Sicurezza sul lavoro e trasformazioni organizzative, Egea, Milano.
Frey M. (a cura di) (1999), Gestione e organizzazione della sicurezza nelle imprese industriali, Iefe, Milano.
Gabassi P.G. (2003), Psicologia del lavoro nelle organizzazioni, FrancoAngeli, Milano. Ghepardi S., Nicolini D., Odella F. (1997), “La cultura della sicurezza sui luoghi di
Lavoro”, in Sviluppo e Organizzazione, 162, 15-23.
Giannini M., Turini V. (2010), La sicurezza sul lavoro:aspetti gestionali e organizzativi, FrancoAngeli, Milano.
Kaneklin C., Spaltro E., Berra A., Costa P., Friso F., Gallo R., Giuffrè M., Pellegrini P., Prestipino T., Reati A. (2005), Qualità della vita e sicurezza nei luoghi di lavoro, FrancoAngeli, Milano.
! <B!
La Rosa M., Stanzani F. (a cura di) (1999), Sicurezza, prevenzione e qualità del lavoro, FrancoAngeli, Milano.
Levi L. (2002), “Spice of Life or Kiss of Death”, in Working on Stress, n. 5, pp. 11-13. Montuschi L. (a cura di) (1997), Ambiente, salute e sicurezza, per una gestione
integrata dei rischi di lavoro, Giappichelli, Torino.
Prestipino T. (2004), I principali approcci alla sicurezza lavorativa, in Sicurezza del lavoro e qualità della vita: quale ruolo della psicologia, Università degli studi di Torino, Torino.
Sarchielli G. (2003), Psicologia del lavoro, Il Mulino, Bologna.
Sarchielli G., “Nuovi impulsi dall'Europa alla formazione (e all'occupazione) degli psicologi del lavoro e delle organizzazioni”, in La professione psicologo, 4/2, 30-34.
Simard M., Marchand A. (1994), “The behavior of first-line supervisors in accident prevention and effectiveness in occupational safety”, in Safety Science.
Spaltro E. (2003), “L'idea di sicurezza”, in Psicologia e lavoro, 128,3-12.
Spaltro E. (2004), Il clima lavorativo. Manuale di meteorologia organizzativa, FrancoAngeli, Milano.
! <C!
2.DEFINIZIONE DI UN SISTEMA DI GESTIONE DELLA SICUREZZA E MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE
2.1. Il sistema di gestione della sicurezza
Il sistema di gestione della sicurezza è l’applicazione sistematica delle politiche, delle procedure e delle attività da parte di un insieme di persone, risorse e responsabilità con gli obiettivi di analizzare, valutare e controllare la salute dei lavoratori.
L’art. 30 del Testo Unico, integrato con D.Lgs. n. 106/2009, indica in modo sintetico i contenuti di un modello organizzativo e gestionale per la definizione e l’attuazione di una politica aziendale per la sicurezza sul lavoro. Partendo dal presupposto che il saper organizzare si può ricollegare alla identificazione degli obiettivi che si intendono realizzare, alla determinazione delle risorse necessarie, alla definizione di compiti e responsabilità nonché delle più adeguate modalità di coordinamento e controllo, con l’obiettivo di creare quelle sinergie che consentano di valorizzare le risorse a disposizione e di perseguire continui miglioramenti nel tempo dei risultati ottenuti. Verosimilmente l’origine di tale modello può farsi risalire a quando l’INAIL, allo scopo di sollecitare i datori di lavoro ad una più puntuale osservanza delle norme sulla sicurezza sul lavoro, aveva previsto (e continua a prevedere) la concessione di una riduzione della tariffa media del premio assicurativo applicata al datore di lavoro, per la sua specifica attività svolta, che ne faceva richiesta sulla base del rispetto di precise linee guida per implementare un sistema di gestione della sicurezza sul lavoro.
Opportunamente, l’art. 30 precisa che il modello di organizzazione e di gestione, per avere efficacia esimente in termini di responsabilità (l’art. 6 del D.Lgs. n. 231/2001 parla una forma di “esonero” da responsabilità amministrativa (e penale) nei confronti delle posizioni di vertice dell’organizzazione, amministratore delegato, presidente, direttore generale ecc.) per reati di omicidio colposo e di lesioni colpose gravi o gravissime che si verificano in connessione a violazioni delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e per la tutela dell’igiene e della salute sul lavoro; tale “esonero” potrà concentrarsi in occasione di un procedimento penale per uno dei reati considerati, si dimostri di aver adottato ed efficacemente attuato modelli di organizzazione e gestione della sicurezza idonei a prevenire la realizzazione degli illeciti penali considerati, deve essere adottato ed efficacemente attuato, assicurando un sistema aziendale per l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi:
-«al rispetto degli standard tecnico-strutturali di legge relativi ad attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici;
! <D!
- alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti;
- alle attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti, riunione periodiche di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;
- alle attività di sorveglianza sanitaria;
- alle attività di informazione e formazione dei lavoratori;
- alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori;
- alla acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie per legge;
- alle periodiche verifiche dell’applicazione e dell’efficacia delle procedure adottate». Il modello organizzativo deve in ogni caso prevedere, per quanto richiesto dalla natura e dalle dimensioni dell’azienda e dal tipo di attività svolta, un’articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio, nonché un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello. Lo stesso modello deve altresì prevedere un idoneo sistema di controllo sulla sua attuazione e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate. II riesame e l’eventuale modifica del modello organizzativo devono essere adottati, quando siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all’igiene sul lavoro, ovvero in occasione di mutamenti nell’organizzazione e nell’attività in relazione al progresso scientifico e tecnologico.
In sede di prima applicazione, i modelli di organizzazione aziendale definiti conformemente alle Linee guida UNI-INAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro del 2001 o al British Standard OHSAS 18001:2007 si presumono conformi ai requisiti previsti. Ulteriori modelli possono essere indicati dalla Commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro. Tale stessa Commissione, in base al comma 5 bis dello stesso art. 30, potrà elaborare procedure semplificate, recepite con decreto ministeriale, per l’adozione e l’efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza nelle piccole e medie imprese. Si parla, al riguardo, di specifici modelli “su misura” per le piccole e medie imprese.
In ogni caso va precisato che l’intervento normativo di cui trattasi presenta e sostiene un nuovo approccio culturale nell’affrontare il tema della gestione della sicurezza che si sostanzia nel superamento da parte delle imprese dei soli aspetti formali per orientarsi verso l’adozione di specifici modelli di organizzazione e gestione della sicurezza; ciò si concreta in un’opera di
! :;!
costante aggiornamento e affinamento di norme tecniche redatte da enti legittimati a questo scopo.
Riguardo all’adozione di tali modelli si può fare anche riferimento a quanto previsto dall’art. 51 del Testo Unico, relativamente agli Organismi paritetici, definiti dall’art. 2 dello stesso Testo come «organismi costituiti a iniziativa di una, più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, quali sedi privilegiate per: la programmazione di attività formative e l’elaborazione e la raccolta di buone prassi a fini prevenzionistici; lo sviluppo di azioni inerenti alla salute e alla sicurezza sul lavoro; l’assistenza alle imprese finalizzata all’attuazione degli adempimenti in materia; ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contralti collettivi di riferimento».
In particolare all’art. 3 bis, introdotto con il D.Lgs. n. 106/2009, si afferma che gli stessi «su richiesta delle imprese, rilasciano un’attestazione dello svolgimento delle attività e dei servizi di supporto al sistema delle imprese, tra cui l’asseverazione della adozione e dell’ efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza di cui all’art. 30 del decreto, della quale gli organi di vigilanza possono tener conto ai fini della programmazione delle proprie attività».
Il Testo Unico sulla sicurezza, nel citato art. 2, fa riferimento anche alle cosiddette “buone prassi”, intese come soluzioni organizzative o procedurali coerenti con la normativa vigente e con le norme di buona tecnica, adottate volontariamente e finalizzate a promuovere la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro attraverso la riduzione dei rischi e il miglioramento delle condizioni di lavoro. Tali “buone prassi” appaiono riconducibili a problemi di carattere prevenzionale nelle specifiche situazioni aziendali. Il riferimento a “norme di buona tecnica”, nelle miriadi di situazioni che si possono presentare sul piano pratico, non può, evidentemente, entrare in tutti i dettagli possibili e immaginabili.
Di conseguenza, nella produzione industriale la ricerca della “buona prassi” passa attraverso un approccio che investe, dal progettista e dal costruttore degli strumenti tecnici utilizzati, tutta la catena dei soggetti interessati nel processo di produzione: ognuno di essi è chiamato a fornire il suo contributo facendo leva sulle sue competenze. Con riferimento alla progettazione la “buona prassi” può ricondursi ad un approccio in base al quale, si richiede, prima dell’effettiva realizzazione, uno studio scientifico-tecnologico nella valutazione dei vari aspetti connessi alla sicurezza. Successivamente, a livello produttivo, si tratterà di adottare, nell’ambito della varietà dei sistemi organizzativi, quelli che più si attagliano allo scopo, coniugando al meglio economicità della produzione e sicurezza. Si può, quindi, affermare che la “buona prassi” confermi, in termini di sicurezza, l’applicazione di norme tecniche.
! :<!
In genere il Sistema di Gestione della Sicurezza definisce, tenendo conto delle prescrizioni normative e delle tipologie di attività, un insieme di responsabilità, procedure, azioni, risorse, verifiche finalizzate all’obiettivo di un miglioramento continuo dei livelli di sicurezza.
Il datore di lavoro
Secondo l’art 2 del Testo Unico si definisce datore di lavoro: “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto, che secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità di organizzare l’attività o l’unità produttiva, in quanto esercita i poteri decisionali o di spesa”. Il datore di lavoro deve assolvere a precisi obblighi non delegabili, secondo l’art. 17, e cioè eseguire la valutazione dei rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto, designare il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi.
Il legislatore ha previsto, al di là dei casi appena citati, l’eventualità per lo stesso datore di lavoro di delegare funzioni collegate alla sicurezza sul lavoro purché: la stessa delega risulti da atto scritto; il delegato possegga tutti i requisiti professionali e le esperienze richieste dalla specifica natura delle funzioni delegate; la delega stessa attribuisca al delegato l’autonomia di spesa ed i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate; la delega sia accettata dal delegato per iscritto».
La delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza da parte del datore di lavoro riguardo il corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite.
Al datore di lavoro che ha alle proprie dipendenze fino a 10 dipendenti la normativa dà la possibilità di svolgere direttamente, dopo aver frequentato un breve corso di formazione («adeguato alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativo alle attività lavorative»), i compiti di prevenzione e protezione dai rischi, con esclusione di alcune attività ritenute ad alto rischio.
L’art. 34 al comma 1 bis stabilisce altresì che «nelle imprese o unità produttive che occupano fino a cinque lavoratori, il datore di lavoro può svolgere direttamente anche i compiti di primo soccorso nonché di prevenzione degli incendi e di evacuazione dei lavoratori in caso di emergenza, anche in caso di affidamento interno o esterno del servizio di prevenzione e protezione, dandone preventiva informazione al rappresentante degli stessi lavoratori per la sicurezza».
Il riferimento, comunque, al limite dimensionale dei dipendenti non convince del tutto in un’ottica aziendale, considerando la difficoltà di definire in modo preciso la dimensione di un’azienda, il concetto di dimensione, in effetti, risulta sempre meno correlato ai tradizionali
! ::!
parametri legati alla sua definizione. Il riferimento normativo al parametro del numero dei dipendenti, se risponde alla necessità di definire precisamente gli ambiti di applicazione delle diverse normative, non consente di cogliere appieno le differenze dimensionali delle aziende riconducibili ad un complesso di fattori, quali l’ampiezza dei mercati di sbocco, la figura dello stesso imprenditore che, nelle aziende “minori”, è sovente “manager di se stesso”.
In altri termini, non si ritiene che i limiti dimensionali previsti siano in ogni caso accettabili, sia in generale e sia in particolare con riferimento al tema in oggetto. La ricerca di maggiori livelli di semplificazione non può, del resto, rientrando in questa classe dimensionale un numero molto elevato di piccoli imprenditori, andare a discapito delle condizioni di sicurezza sul lavoro. Se è vero, che il legislatore deve definire dei dati numerici per individuare il campo di applicazione delle diverse normative, resta pur sempre la difficoltà di generalizzazioni sul concetto di dimensione aziendale.
La formazione dei soggetti che svolgono in modo diretto o sotto forma consulenziale attività legate alla prevenzione e alla protezione dai rischi collegati alla sicurezza sul lavoro deve essere molto specifica, grazie all’intervento di formatori che, oltre alle capacità didattiche, devono possedere significative esperienze nel settore di riferimento.
A tale scopo potrebbero essere coinvolti come formatori soggetti esperti, preparati ad hoc per ciò che concerne lo svolgimento di attività formative, che conoscono “dal vivo” le diverse tipologie di rischio che l’attività svolta presenta, comprese quelle di non facile identificazione: l’esperienza del formatore prima ed esaminatore poi potrà indicare e proporre, sulla base di casi vissuti, le più opportune modalità di fronteggiamento.
Appare evidente come, nella misura in cui la dimensione aziendale cresce, all’interno dell’organizzazione si definiscano più precisamente le diverse responsabilità e si ritrovino esperti nelle varie discipline tecnico-operative che investono i rischi specifici dell’attività svolta. In ogni caso, il datore di lavoro e i dirigenti che organizzano e dirigono le stesse attività in base alle attribuzioni e competenze ad essi conferite (art. 18) devono, tra l’altro, nominare il medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria nei casi previsti; designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio; affidare i compiti ai lavoratori, tenendo conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e sicurezza; fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale; richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti nonché delle disposizioni aziendali in termini di sicurezza e igiene del lavoro; adottare le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato e
! :>!
inevitabile, abbandonino il posto di lavoro; adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento; comunicare all’INAIL, a fini statistici e informativi i dati relativi agli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell’evento e, a fini assicurativi, le informazioni relative agli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza dal lavoro superiore a tre giorni; aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e sicurezza sul lavoro o in relazione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e della protezione ecc.
La legge impone, al datore di lavoro, come precipuo e indelegabile adempimento, la redazione del piano dei rischi, documento guida dal quale scaturisce la disamina dei pericoli e dei rischi da fronteggiare; tale documento identifica, quindi, tutti i fattori di rischio relativi all’attività svolta, la stima della loro gravità, della probabilità degli effetti, l’identificazione dei lavoratori esposti e i relativi livelli di esposizione, l’individuazione delle misure di protezione e prevenzione definite in conseguenza della valutazione stessa.
Premesso che ogni attività lavorativa umana presenta generalmente un pericolo e/o un rischio che al loro verificarsi possono risultare più o meno gravi per le conseguenze dannose sia per la salute che l’integrità fisica del soggetto, la procedura relativa all’applicazione pragmatica del sistema di sicurezza previsto dalle norme attuali è la seguente: valutati i pericoli o i rischi per l’esecuzione di una data operazione negli innumerevoli campi di attività lavorativa, vengono adottati protocolli e procedure le quali, tenendo presenti le norme cogenti che regolano tali attività, considerano tutte le possibili misure antinfortunistiche o di natura igienico sanitario. Con tale sistematica viene posto in essere il fronteggiamento dei suddetti rischi e valutata la possibilità che, oltre a quelli previsti, ve ne possano essere altri di natura residuale (cripti), i quali, verificandosi, potrebbero portare ad effetti aggravanti dell’infortunio e della malattia professionale.
La valutazione dei rischi è alla base delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro identificabili in base all’art. 15 in:
- «programmazione della prevenzione, mirata ad un complesso che integri nella prevenzione le condizioni tecniche produttive nonché l’influenza dei fattori dell’ambiente e dell’ organizzazione del lavoro;
- eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico;
- rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro, nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e
! :?!
produzione, in particolare al fine di ridurre gli effetti sulla salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo;
- riduzione dei rischi alla fonte;
- sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è, o è meno pericoloso;
- limitazione al minimo del numero dei lavoratori che sono, o che possono essere, esposti al rischio;
- utilizzo limitato degli agenti chimici, fisici e biologici sui luoghi di lavoro; - attenzione alle misure di protezione;
- controllo sanitario dei lavoratori;
- allontanamento del lavoratore dall’esposizione al rischio per motivi sanitari inerenti la sua azione;
- informazione e formazione adeguate per i lavoratori, per dirigenti e preposti, per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;
- partecipazione e consultazione dei lavoratori e dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;
- programmazione delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza;
- adozione di misure di emergenza da attuare in caso di primo soccorso, di lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori e di pericolo grave e immediato;
- uso di segnali di avvertimento e di sicurezza;
- garantire una regolare manutenzione di ambienti, attrezzature, impianti, con particolare riguardo ai dispositivi di sicurezza in conformità alle indicazioni dei fabbricanti».
Al di là poi dei dati ancora negativi e degli elevati costi che ne derivano, si fa rilevare come, al di là di tutto, non fare formazione, farla in maniera approssimativa o solo sotto il profilo formale, comporta per i soggetti responsabili aziendali l’irrogazione di sanzioni penali a loro carico e il rischio, altrettanto negativo, di perdite di produzione, di produttività e di immagine della stessa combinazione aziendale.
La figura del dirigente
Seguendo la gerarchia aziendale, dopo il datore di lavoro, il Testo Unico, così come le norme che precedenti, ha preso in esame la figura dei dirigenti ed è significativo che il legislatore abbia considerato, nel novero delle responsabilità penali, questi soggetti, per numerose infrazioni alle norme sulla sicurezza del lavoro, alla stregua dello stesso datore, essendone, per cosi dire, l’alter ego. Il dirigente secondo art.2 è “la persona che, in virtù delle
! :@!
competenze professionali possedute e dei poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa.” Si può parlare di una completa responsabilizzazione su tutto il piano prevenzionale, anche in virtù della possibilità del datore di lavoro di delegare ad un proprio dirigente attribuzioni legate all’implementazione di un sistema di gestione della sicurezza.
Le figure direttive «supportano il datore di lavoro per l’attuazione del sistema di gestione della sicurezza, collaborano alla redazione dei documenti di definizione e attuazione del sistema di sicurezza per quanto di competenza, sorvegliano sulla corretta applicazione del sistema di sicurezza, collaborano per individuare azioni che permettono di migliorare continuamente gli standard di sicurezza e sviluppare l’addestramento e la formazione del personale che opera nella propria unità organizzativa».
Quando un dirigente accetta la delega di funzioni, in materia infortunistica, proprie del datore di lavoro, il legislatore ha previsto il citato principio in base al quale resta a carico del delegante (in questo caso il datore di lavoro) l’obbligo di vigilanza sul delegato per le funzioni ad esso trasferite. Anche il soggetto delegato dal datore di lavoro in materia di salute e sicurezza sul lavoro, d’intesa con lo stesso datore, può delegare a sua volta specifiche funzioni. Resta il fatto che il datore di lavoro ha l’obbligo della vigilanza in capo al soggetto delegante per il corretto espletamento delle stesse funzioni trasferite. Sul piano operativo l’istituto della subdelega è previsto in circostanze particolari, generalmente legate alla molteplice e complessa tematica delle funzioni da svolgere, legate alla natura e alla pericolosità del processo produttivo, alla sistematicità dei controlli da effettuare, alla dimensione aziendale (generalmente riguarda aziende di più grandi dimensioni). E’ previsto, altresì, che il soggetto investito dalla sub-delega non possa delegare ulteriormente le funzioni assegnate.
Una figura direttiva ha certamente conoscenze generali e specifiche circa l’attività che deve gestire e coordinare, ma può presentare carenze nella conoscenza della materia sulla sicurezza sul lavoro per cui ha bisogno di essere formato.
Il Testo Unico prevede, al riguardo, all’art. 37, che i dirigenti, cosi come anche i preposti, devono ricevere, a cura del datore di lavoro, un’adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico in relazione ai propri compiti in materia di salute e sicurezza sul lavoro. I contenuti di tale formazione comprendono:
- principali soggetti e i relativi obblighi;
- definizione e individuazione dei fattori di rischio; - valutazione dei rischi;
! :A!
- individuazione delle misure tecniche, organizzative e procedurali di prevenzione e protezione.
Anche nei confronti delle figure direttive appare necessario avere non solo e non tanto una generica conoscenza delle tematiche relative alla sicurezza sul lavoro, ma altresì una più puntuale visione concreta degli aspetti applicabili al proprio ambito di attività, alla luce delle esperienze e delle “accortezze” acquisite nel tempo.
La legittimazione di chi è chiamato a svolgere tale attività formativa, oltre al possesso di uno specifico titolo di studio, deve ricollegarsi ad una vasta e significativa conoscenza dei fenomeni che presiedono la sicurezza del lavoro, nonché ad un’adeguata esperienza didattica.
La figura del preposto
Tale figura, è definita dallo stesso Testo Unico come colui che, «in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico affidatogli, sovrintende all’attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa». Dopo aver sottolineato la chiarezza di questa definizione va precisato che, con riguardo a tale figura, la giurisprudenza, dopo varie sentenze consolidate, si è recentemente espressa nel senso di identificarla in colui che, a prescindere dalla effettiva posizione contrattuale, rimane il soggetto responsabile di fatto, quando sovrintenda all’attività dei lavoratori che operano sotto il suo comando e controllo.
Si può parlare, in effetti, di una figura chiave nelle cui “mani” è accentrato il controllo diretto dei suoi sottoposti, rispetto ai quali può fornire suggerimenti e indicazioni, verificare e controllare il corretto utilizzo delle procedure di sicurezza, dei mezzi di prevenzione e protezione. In tale contesto può trovarsi a dover affrontare, in maniera estemporanea, situazioni non previste nel dettaglio nel piano dei rischi o nelle istruzioni ricevute: si pensi, ad esempio, ai rischi interferenziali, che non sempre possono essere previsti e che, invece, si possono presentare con tutta la loro gravità.
Più in dettaglio, in base all’art. 19 del Testo Unico sono considerati obblighi del preposto: - «sovraintendere e vigilare sull’osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi
di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso di persistenza nell’inosservanza, informare i loro superiori diretti;
! :B!
- verificare che solo i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico;
- richiedere l’osservanza delle misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato e inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa;
- informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione;
- astenersi, salvo eccezioni debitamente motivate, dal richiedere ai lavoratori di riprendere le loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave ed immediato; - segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e
delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle quali venga a conoscenza». Anche per i preposti il Testo Unico ha previsto una loro specifica formazione sulle tematiche in oggetto. Non può sfuggire il fatto che, trattandosi spesso di un soggetto con una certa anzianità di servizio, egli può conoscere, per cosi dire, i “segreti del mestiere”, risultando pertanto più facilitato nell’applicare le norme sulla sicurezza, che sono state oggetto del corso che ha frequentato. Per tale ragione appare auspicabile che i programmi di formazione rivolti a tali figure tengano conto del fatto di rivolgersi a soggetti meno scientificamente preparati rispetto ai dirigenti, ma che sono portatori di un’esperienza che costituisce anch’essa una “pietra miliare” della prevenzione.
La figura del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (Rspp)
Il Testo Unico dedica al Servizio di prevenzione e protezione un’intera sezione a dimostrazione del fatto che il legislatore ha attribuito particolare rilievo a tale funzione.
Ad integrazione della definizione fornita dall’art. 2 («tale servizio è l’insieme delle persone, dei sistemi e dei mezzi interni o esterni all’azienda finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali per i lavoratori»), l’art. 31 esplicita come lo stesso Servizio deve essere strutturato (gli addetti e i responsabili del servizio, interni o esterni, devono possedere le rapacità e i requisiti professionali previsti, devono essere in numero sufficiente rispetto alle caratteristiche dell’azienda e disporre di mezzi e di tempo adeguati per lo svolgimento dei compiti loro assegnati) e quando l’istituzione del Servizio all’interno dell’azienda è obbligatoria, come nelle centrali termoelettriche, nelle aziende per la fabbricazione e il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni, nelle aziende industriali
! :C!
con oltre 200 dipendenti, nelle industrie estrattive con oltre 50 lavoratori, nelle strutture di ricovero e cura pubbliche e private con oltre 50 lavoratori ecc. Si tratta, evidentemente, di attività o particolarmente rischiose o che, comunque, necessitano di una presenza continua di operatori di detto Servizio.
Riguardo i compiti del Servizio di prevenzione e protezione, l’art. 33 prevede, tra l’altro: - l’individuazione dei fattori di rischio, la valutazione dei rischi e l’individuazione delle
misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell’organizzazione aziendale;
- l’elaborazione, per quanto di competenza, delle misure preventive e protettive; - l’elaborazione delle procedure di sicurezza per le vane attività aziendali; - la proposta di programmi di informazione e formazione dei lavoratori;
- la partecipazione alle consultazioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, nonché alla riunione periodica sull’andamento del sistema di gestione della sicurezza. Per far fronte a tali compiti le funzioni che il Servizio di prevenzione e protezione viene a svolgere nell’organizzazione sostanzialmente sono:
- analisi della situazione e definizione dei problemi: essa comprende l’identificazione e la valutazione dei bisogni dell’azienda dal punto di vista della sicurezza e della salute dei lavoratori, il riconoscimento e la classificazione dei problemi secondo un ordine di priorità, l’analisi delle loro conseguenze sulla stessa sicurezza e sull’azienda in generale;
- progettazione degli interventi e contestuale formulazione al datore di lavoro delle esigenze di intervento preventivo in tutte le sue articolazioni: tale funzione comprende la progettazione dei programmi di prevenzione e controllo dei rischi rivolti a perseguire gli obiettivi che sono stati definiti per cercare di affrontare i problemi identificati in precedenza; in tale contesto possono delinearsi linee di azione che possono investire il miglioramento delle condizioni di sicurezza, l’igiene industriale, l’ergonomia, l’organizzazione del lavoro ecc.
- controllo della realizzazione degli interventi programmati: per supportare tale funzione è importante adottare opportuni metodi, strumenti e procedure finalizzati a tale attività di controllo negli ambienti di lavoro;
- attività di informazione nei confronti dei lavoratori: si tratta di attuare e gestire i necessari flussi informativi verso i lavoratori innanzitutto, ma anche verso le altre figure interessate per la migliore gestione dei processi preventivi;
- valutazione di efficacia e di efficienza: si tratta di verificare se le azioni adottate a scopo preventivo per il controllo dei rischi e per lo sviluppo di condizioni di lavoro “ottimali” dal
! :D!
punto di vista della sicurezza e della salute sono riuscite a perseguire i propri obiettivi rispettando condizioni di efficienza.
Particolare rilievo assume l’art. 32 in tema di capacità e requisiti professionali degli addetti e dei responsabili dei servizi di prevenzione e protezione, interni ed esterni. Come regola generale si precisa che tali capacità e requisiti devono essere adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative.
L’idoneità a svolgere tali funzioni, al di la della necessità del possesso di un “qualsiasi” titolo di studio non inferiore al diploma di istruzione secondaria superiore, viene concessa a fronte della frequenza, con verifica di apprendimento, di specifici corsi di formazione in materia di prevenzione e protezione dei rischi, anche di natura ergonomica e da stress di lavoro correlato.
Si ritiene che la figura professionale del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione deve poter frequentare dei corsi che lo aiutino a sviluppare particolari competenze quali:
- conoscenza degli aspetti tecnici e della normativa; - conoscenza del proprio campo di azione e di gestione; - conoscenza dei ruoli con cui interfacciarsi;
- conoscenza delle “leve del cambiamento”, per impegnarsi in azioni potenzialmente efficaci;
- conoscenza delle strategie aziendali attuabili;
- conoscenza dei principi della comunicazione efficace, per essere persuasivo e coinvolgente in merito ad un tema che coinvolge tutti a più livelli, personalmente, come gruppo, come azienda, come società;
- conoscenza dei processi informativi e formativi, per attivare iniziative efficaci e non solo meri adempimenti formali;
- conoscenza degli aspetti economici legati alla sicurezza per aiutare l’organizzazione a concepire la stessa come un investimento e non come un obbligo di spesa.
Valutando i citati “specifici corsi di formazione”, che sono in genere organizzati a livello provinciale su delega regionale, a prescindere dal riferimento ad un generico titolo di studio che potrebbe, quindi, essere anche estraneo rispetto alle conoscenze tecnico-scientifiche relative all’attività per la quale il soggetto viene legittimato al suo svolgimento, emergono, delle significative criticità: a livello di programmazione, prevista dalla Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e Regioni, emerge il rischio che le diverse attività previste vengano accumunate per generi di rischio aggregando ambiti lavorativi che presentano, tra loro, anche
! >;!
sostanziali differenze; a livello, poi, del corpo docente, al di là di una preparazione sulla parte generale, relativa ai rischi in tema di sicurezza sul lavoro, possono mancare conoscenze più specifiche in relazione ad ogni specifico ambito lavorativo. Se è comprensibile che, a livello della citata Conferenza Stato-Regioni, sarebbe molto laborioso ed estremamente complicato considerare tutti i tipi di rischi per le diverse attività, resta il fatto, dell’opportunità di prevedere un docente che riesca ad abbinare requisiti culturali, didattici con l’esperienza nello specifico settore, individuando in ciò la possibilità di meglio operare nello stesso spirito della norma.
Da rilevare, poi, che per tutte le figure ricordate sono previsti corsi obbligatori di aggiornamento al fine di riuscire a seguire una normativa che si modifica frequentemente.
La figura del medico competente
Si tratta di un professionista (solo grandi aziende presentano tale soggetto strutturato nel proprio organico, emergendo tuttavia la tendenza, quasi generalizzata, ad esternalizzare tale servizio) dotato di particolari prerogative, funzioni, doveri e responsabilità, che diviene una sorta di “tutore” della salute di chi opera all’interno dell’organizzazione, assumendo un ruolo di rilievo su tutte le tematiche che interessano la medicina del lavoro. In tale contesto si può affermare che l’igiene del lavoro, in rapporto alla disciplina dell’igiene in generale, che è la scienza della salute delle collettività umane, ha come scopo precipuo, quello di far fronte ai diversi danni legati alle molteplici attività produttive e ai rischi cui queste espongono l’individuo, al fine di rendere nello stesso tempo il lavoro igienicamente idoneo, tecnicamente sicuro e psicologicamente accettabile.
Circa gli obblighi del medico competente si ricordano tra gli altri, in base all’art. 25: - «collaborare con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla
valutazione dei rischi, anche ai fini della sorveglianza sanitaria, alla predisposizione dell’attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori, all’attività di formazione ed informazione nei confronti degli stessi lavoratori per la parte di propria competenza, all’organizzazione del servizio di primo soccorso, considerando i particolari tipi di lavorazione e di esposizione e le peculiari modalità organizzative del lavoro;
- programmare ed effettuare la sorveglianza sanitaria che comprende visite mediche preassuntive (tese ad accertare se la persona che si intende assumere presenta condizioni di salute idonee per intraprendere un lavoro il cui svolgimento può essere connotato da specifici rischi), visite mediche preventive (volte a verificare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato per valutare la sua idoneità alla