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L'implementazione del modello organizzativo 231. Il caso Sammontana

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA' DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Strategia, Management e Controllo

Tesi di Laurea

L’implementazione del modello organizzativo 231.

Il caso Sammontana

Relatrice:

Candidata:

Prof. ssa Alessandra Rigolini Chiara Bertini

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INDICE

RINGRAZIAMENTI ... 5

INTRODUZIONE ... 6

CAPITOLO 1 LA RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA DELL’ENTE E IL D.LGS. 8 GIUGNO 2001, N. 231 1.1 La nascita della responsabilità amministrativa dell’ente ... 8

1.2 Destinatari della normativa ... 11

1.3 Principi generali ... 14

1.4 Criteri di attribuzione della responsabilità amministrativa dipendente da reato ... 15

1.5 Gli autori del reato presupposto ... 16

1.6 I reati previsti dal d.lgs. 231/2001 ... 19

1.7 Il sistema sanzionatorio per gli illeciti dipendenti da reato ... 39

CAPITOLO 2 IL MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO EX D.LGS. 231/2001 2.1 Il modello di organizzazione, gestione e controllo ex. d.lgs. 231/2001 e il sistema di controllo interno ... 48

2.2 I modelli organizzativi nell’ordinamento italiano e l’influenza dei compliance programs statunitensi ... 51

2.3 Caratteristiche del modello organizzativo ex d.lgs. 231/2001 ... 53

2.4 L’implementazione del Modello Organizzativo 231 ... 58

2.4.1 Analisi e disegno del modello di organizzazione, gestione e controllo .. 59

2.4.2 Definizione dei protocolli e implementazione del modello... 70

2.4.3 Attività di vigilanza e maintenance del modello ... 71

2.5 L’Organismo di Vigilanza... 72

2.6 La funzione del modello... 77

2.7 Il modello 231 come punto di partenza per una gestione integrata dei rischi aziendali ... 78

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CAPITOLO 3

SAMMONTANA: UNA STORIA ITALIANA

3.1 La storia di Sammontana ... 83

3.1.1 L’acquisizione di GranMilano S.p.A. ... 85

3.1.2 Sammontana dopo il 2008 ... 88

3.1.3 Sammontana oggi ... 92

3.2 Il contesto in cui opera Sammontana ... 97

3.2.1 Fattori critici di successo di Sammontana ... 99

3.3 Sostenibilità in Sammontana ... 100

CAPITOLO 4 L’ADOZIONE DEL MODELLO ORGANIZZATIVO 231 IN SAMMONTANA 4.1 La decisione di adottare il modello 231 ... 103

4.2 Il Progetto 231 in Sammontana ... 103

4.2.1 La metodologia ... 104

4.2.2 Fasi del progetto e deliverable ... 109

4.3 L’adozione del modello di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del d.lgs. 231/2001 ... 114

4.3.1 Obiettivi e finalità perseguiti con l’adozione del modello ... 114

4.3.2 Destinatari del modello ... 115

4.4 Predisposizione del modello organizzativo ed elementi fondamentali ... 116

4.4.1 Il Codice Etico ... 117

4.4.2 Formazione del personale e informativa esterna ... 118

4.4.3 Sistema disciplinare ... 119

4.4.4 L’Organismo di Vigilanza ... 120

CONCLUSIONI ... 125

BIBLIOGRAFIA ... 128

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RINGRAZIAMENTI

Sono arrivata alla fine del mio percorso universitario, un percorso che, nonostante qualche momento più o meno difficile, mai mi sono pentita di aver intrapreso e che mi ha regalato tante soddisfazioni.

Non sono mai stata molto brava con le parole, ma un ringraziamento a chi mi ha accompagnato in questi anni mi sembra doveroso, perché ognuno, a modo suo, ha contribuito al raggiungimento di questo bellissimo traguardo.

Ringrazio i miei genitori e mia sorella Valeria che mi hanno sempre sostenuto e hanno sempre creduto in me, così come i miei nonni, i miei zii, le mie cugine. Non li ringrazierò mai abbastanza.

Grazie a Enrico, per avermi sempre incoraggiato e dato forza, per avermi supportato ma soprattutto sopportato!

Ringrazio i miei amici, tutti, per essermi stati vicini e per avermi tirato su di morale quando ce n’è stato bisogno.

E come non ringraziare gli “Amici di Laura”! Molto più che semplici compagni di università, sono stati davvero importanti in questo percorso ed è stata una fortuna averli conosciuti.

Un ringraziamento speciale va alla mia relatrice, la Professoressa Alessandra Rigolini; grazie per la disponibilità, la pazienza, l’aiuto e per i tanti consigli. Infine, ma sicuramente non in ordine di importanza, ringrazio la Sammontana S.p.A. per avermi dato l’opportunità di svolgere lo stage e la possibilità di elaborare questa tesi; in particolare ringrazio il Dottor Stefano Giusti, il mio tutor Fabrizio Mannini, Davide Baldassini, costante punto di riferimento durante la stesura di questo elaborato e il cui aiuto è stato fondamentale, e Giampaolo Baronti per la preziosa collaborazione.

Grazie di cuore a tutti!

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INTRODUZIONE

Il d.lgs. 231/2001 ha introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento giuridico il concetto di responsabilità amministrativa dell’impresa in seguito a reati commessi, nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso, da soggetti che si trovano in posizione apicale o da soggetti sottoposti alla direzione e alla vigilanza di questi ultimi. Tale responsabilità espone l’azienda a sanzioni di tipo pecuniario e nei casi più gravi anche interdittive, con conseguenze negative non solo in termini economici e patrimoniali, ma anche dal punto di vista dell’immagine aziendale. Fino all’entrata in vigore di questo decreto, infatti, gli enti, coerentemente al principio della personalità giuridica per gli illeciti, non erano esposti alle conseguenze derivanti dalla commissione di reati, a vantaggio della società, da parte di amministratori e/o dipendenti. L’estensione della responsabilità agli enti, avendo come effetto quello di incidere, in caso di sanzione, direttamente sul patrimonio dell’ente e quindi sugli interessi economici dei soci, dovrebbe motivare gli enti stessi ad un maggior controllo della correttezza del loro operato.

Il legislatore ha comunque previsto la possibilità per l’ente di non incorrere in detta responsabilità a condizione che questo abbia adottato ed efficacemente attuato un modello organizzativo idoneo a prevenire i reati, abbia affidato il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza del modello, nonché il suo aggiornamento, ad un organismo di controllo (il c.d. Organismo di Vigilanza) e che tale modello sia stato eluso in modo fraudolento.

L’adozione del modello di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del d.lgs. 231/2001 è facoltativa e non obbligatoria, ciò significa che la mancata adozione di tale modello non comporta alcuna sanzione a carico dell’ente ma lo espone al rischio di incorrere in responsabilità a seguito di illeciti compiuti da amministratori e/o dipendenti.

Per le aziende sta dunque diventando sempre più opportuno dotarsi di un modello organizzativo, soprattutto in conseguenza alla continua introduzione di reati all’interno del decreto, che, ampliando il novero dei comportamenti illeciti passibili di sanzioni, estendono il campo di applicazione del decreto.

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Il modello in esame poi, come vedremo, può essere considerato non solo come strumento per “difendersi” dalla responsabilità ed evitare le sanzioni, ma può essere visto anche come un’occasione di sviluppo dell’organizzazione e della cultura aziendale, comportando per l’ente una serie di benefici.

Nel presente elaborato, dopo aver passato in rassegna gli aspetti fondamentali del dettato normativo ed aver ripercorso le fasi necessarie per l’implementazione di un modello di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del d.lgs. 231/2001, viene presentato il caso di una grande realtà aziendale italiana che si è dotata di tale modello, la Sammontana S.p.A., mettendo in evidenza le motivazioni che hanno spinto l’azienda ad addentrarsi in questo percorso, le fasi di costruzione del modello, i benefici che ne può trarre e la prospettiva futura.

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CAPITOLO 1

LA RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA DELL’ENTE E IL D.LGS. 8 GIUGNO 2001, N. 231

1.1 La nascita della responsabilità amministrativa dell’ente

Il d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, ha introdotto nel nostro ordinamento un sistema di prevenzione e sanzione dei fatti illeciti posti in essere nell’ambito dello svolgimento delle attività economiche che determinano un pregiudizio per il regolare funzionamento del mercato, per gli interessi pubblici e, in generale, per l’intera collettività.

La norma costituisce una svolta epocale, una rivoluzione nell’ambito del diritto societario italiano, poiché per la prima volta nel nostro ordinamento giuridico si afferma che anche una persona giuridica può delinquere, configurando quindi come realizzabile la responsabilità penale degli enti, la quale si va ad aggiungere a quella della persona fisica che ha materialmente commesso il fatto illecito a vantaggio o nell’interesse della società stessa, senza che questa ne abbia necessariamente ricavato un beneficio concreto.

Nasce dunque un contrasto con il tradizionale sistema penalistico italiano che si ispira al principio della responsabilità personale, in base al quale la responsabilità penale può sorgere solo in capo alla persona che abbia commesso il fatto materiale considerato reato dalla legge. Tale principio è sancito dall’art. 27 della Costituzione, da cui discende il corollario che ammette la possibilità di configurare la responsabilità penale soltanto a carico delle persone fisiche, in quanto capaci di libera autodeterminazione, ed esclude invece la soggettività penale delle persone giuridiche secondo il brocardo di impronta romanistica societas delinquere non

potest. Alla base di questa affermazione troviamo pertanto il fatto che gli enti

collettivi sarebbero incapaci di manifestare un reale atteggiamento colpevole e sarebbero altresì insensibili alla tipica finalità rieducativa della pena1.

La validità di queste affermazioni è stata messa in discussione alla luce del fatto che nel modello industriale post-moderno, i soggetti collettivi, così come sono

1 Iannini A., Armone G., Responsabilità amministrativa degli enti e modelli di organizzazione

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capaci di assumere autonome decisioni attraverso i propri organi, allo stesso modo sembrano essere perfettamente in grado di commettere reati. La tesi risulta avvalorata anche dalla relazione al progetto preliminare di riforma del codice penale, elaborato dalla commissione ministeriale presieduta dal prof. Grosso in cui troviamo scritto che la persona giuridica è ormai considerata come “autonomo centro di interessi e di rapporti giuridici” e “matrice di decisioni ed attività dei soggetti che operano in nome, per conto o comunque nell’interesse dell’ente”2. Alla luce di questa riflessione è sembrato opportuno cominciare ad equiparare gli enti e le persone fisiche anche sotto il profilo dei comportamenti penalmente rilevanti. Le spinte orientate al superamento del principio societas delinquere non

potest hanno raggiunto il loro culmine con la legislazione di matrice

internazionale, cioè nel momento in cui la previsione della responsabilità delle persone giuridiche è divenuta oggetto di obblighi internazionali. Tale orientamento consolidatosi nelle organizzazioni sovranazionali di cui il nostro paese fa parte, ha portato il legislatore italiano ad esaminare in modo approfondito il problema al fine di edificare un sistema generale di responsabilità degli enti collettivi.

Questi i presupposti alla base dell’approvazione della Legge Delega 20 settembre 2000, n. 300, con la quale il legislatore italiano ha ratificato alcune convenzioni internazionali3 ed ha contestualmente delegato il Governo a disciplinare la responsabilità amministrativa da reato degli enti collettivi.

Le motivazioni che hanno spinto a introdurre il principio della responsabilità amministrativa degli enti traggono origine dalle diverse Convenzioni

2 Per la relazione al progetto preliminare del codice penale si veda: www.giustizia.it

3 La legge 29 settembre 2000, n. 300 reca la "Ratifica ed esecuzione dei seguenti Atti

internazionali elaborati in base all'articolo K.3 del Trattato sull'Unione europea:

1) la Convenzione sulla tutela finanziaria delle Comunità europee – Bruxelles 26 luglio 1995; 2) il Primo protocollo della Convenzione di cui al punto 1) – Dublino 27 settembre 1996; 3) il Protocollo concernente l’interpretazione da parte della Corte di Giustizia delle Comunità europee della suddetta Convenzione – Bruxelles 29 novembre 1996;

4) l’Atto del Consiglio che fissa il Secondo Protocollo della stessa Convenzione, dove viene sancito l’obbligo per ciascun Stato membro di introdurre la responsabilità delle persone giuridiche per una serie di delitti – 19 giugno 1997;

5) la Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale siano coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell’Unione Europea – Bruxelles 26 maggio 1997; 6) la Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali – Parigi 17 settembre 1997.

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Internazionali finalizzate alla tutela degli interessi finanziari della Comunità Europea, alla lotta alla corruzione dei funzionari pubblici e al crimine organizzato transnazionale. I principi richiamati, spesso correlati al crescente fenomeno dei cosiddetti white collar crimes (“crimini dei colletti bianchi”)4, rilevati dagli anni’80 in avanti, avevano reso pressante per l’Unione Europea l’esigenza di introdurre un efficace sistema di controllo dell’attività criminale riferibile non solo ai singoli individui, ma anche agli enti intesi come persone giuridiche. Un problema, quest’ultimo, che si è ulteriormente acuito alla fine degli anni’90 con il verificarsi di scandali internazionali che non hanno coinvolto imprese intrinsecamente illecite, ossia operanti per il perseguimento di un fine criminale, ma enti spinti verso azioni economiche del tutto legali, ancorché perseguite con policies aziendali aperte a pratiche illecite quali la corruzione, la truffa finanziaria, la lesione di interessi patrimoniali pubblici e così via.

Il contesto di attuazione degli obblighi internazionali in cui la legge delega si inserisce ha indirizzato l’attenzione del delegante verso forme di attività illecita posta in essere da società sostanzialmente “sane” e riconducibili essenzialmente a due tipologie di condotta aziendale. Da un lato, si collocano le ipotesi in cui la commissione di reati deriva da una diffusa politica aziendale; siamo nel caso in cui l’attività illecita discende da decisioni di vertice dell’ente e comprende la responsabilità di persone che rivestono un ruolo apicale in azienda. Dall’altro lato, si pongono i casi in cui la commissione di reati deriva non da una specifica volontà sociale, ma esclusivamente da un difetto di organizzazione o di controllo da parte degli apici; siamo nell’ipotesi in cui il comportamento materiale è realizzato da soggetti che si trovano in una posizione subordinata.

4 La locuzione colletti bianchi (dalla lingua inglese white-collar worker), identifica quei lavoratori

che svolgono mansioni meno fisiche, ma spesso più remunerate rispetto ai “colletti blu” che svolgono il lavoro manuale. L'espressione viene utilizzata, sempre più di frequente, anche in ambito sociologico e criminologico, per indicare una particolare categoria di reati (i reati dei “colletti bianchi”), prendendo spunto dal termine White-collar crime (“crimini dei colletti bianchi”), introdotta nel 1939 dal criminologo Edwin Sutherland, il quale definiva questo tipo di delitto come un crimine non caratterizzato da una violenza ma commesso da un soggetto rispettabile, di elevata condizione sociale, in occasione della sua attività lavorativa.

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Ciò ha portato all’approvazione del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, che ha attuato la delega contenuta nella legge 300/2000 e ha costruito il sistema di responsabilità amministrativa degli enti, con le relative sanzioni.

Il legislatore italiano ha scelto di introdurre quello che nella relazione governativa accompagnatoria del d.lgs 231/2001 viene definito tertium genus (terzo genere) di responsabilità, che coniuga i tratti essenziali del sistema penale con quelli del sistema amministrativo5. La responsabilità in oggetto, infatti, non ha esclusiva natura amministrativa (dal momento in cui presuppone la commissione di un vero e proprio reato) o penale (poiché la sanzione irrogata all’ente, seppur tipicamente punitiva, non ha la funzione rieducativa che è tipica della pena).

La responsabilità amministrativa dell’ente è autonoma. Ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. 231/2001, tale responsabilità sussiste anche quando l’autore del reato non sia identificabile o non sia punibile (non imputabile). Ciò significa che la società sarà comunque sanzionata anche qualora manchi la sicura identificazione del soggetto che ha commesso concretamente il reato (è il caso, ad esempio, della presenza di una pluralità di amministratori) o l’autore non sia imputabile in virtù delle proprie condizioni soggettive (come ad esempio nel caso di vizio totale di mente).

In sostanza, la mancata individuazione del soggetto responsabile della commissione del reato non costituisce esimente per l’ente.

1.2 Destinatari della normativa

L’art. 1, comma 2, del d.lgs. 231/2001 prevede che la disciplina della responsabilità amministrativa dipendente da reato si applichi agli enti forniti di

personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica.

Si tratta dunque dei soggetti che hanno acquisito la personalità giuridica in base alle disposizioni del codice civile, dunque associazioni, fondazioni e altre istituzioni di carattere privato che siano state riconosciute dallo Stato ai sensi

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dell’art. 12 del codice civile e delle società (società per azioni, società a responsabilità limitata, società in accomandita per azioni, società cooperative) che abbiano acquisito la personalità giuridica attraverso l’iscrizione al registro delle imprese ai sensi dell’art. 2331 del codice civile. Tali enti godono di forte autonomia, dal momento in cui il loro patrimonio è distinto da quello dei singoli soci, associati e fondatori.6

Il legislatore ha poi voluto includere tra il novero dei destinatari della disciplina anche gli enti privi di personalità giuridica, vale a dire società semplice, società in nome collettivo, società in accomandita semplice.7

Un caso particolare è costituito dall’imprenditore individuale. In un primo momento, la normativa aveva previsto che la responsabilità amministrativa poteva essere applicata solo agli enti dotati di personalità giuridica in forma societaria e pluripersonale, escludendo quindi dal novero dei destinatari della disciplina le imprese individuali. Più di recente, la giurisprudenza ha parzialmente mutato questo orientamento, affermando che l’impresa individuale è assoggettabile alla disciplina di cui al d.lgs. 231/2001 nel caso in cui questa presenti una struttura complessa e articolata. È vero infatti che molto spesso le imprese individuali ricorrono ad un’organizzazione interna più articolata, in cui si prescinde dall’intervento del titolare dell’impresa in merito a certe problematiche, coinvolgendo altri soggetti che operano comunque nell’interesse dell’imprenditore stesso.8

L’art. 1, comma 3, del d.lgs. 231/2001 prevede espressamente che siano esclusi dall’ambito applicativo della disciplina del presente testo normativo lo Stato, gli

enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici, nonché gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.

6 Monesi C. (a cura di), I modelli organizzativi ex d.lgs. 231/2001. Etica d’impresa e punibilità

degli enti, Giuffrè Editore, 2005

7 La scelta del legislatore di estendere l’applicazione della disciplina anche agli enti a soggettività

privata non dotati di personalità giuridica deriva da una precisa politica legislativa, poiché, come si legge nella Relazione che accompagna il decreto, “si tratta dei soggetti che, potendo più agevolmente sottrarsi ai controlli statali, sono a “maggior rischio” di attività illecite ed attorno ai quali appare dunque ingiustificato creare vere e proprie zone di immunità”.

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In questo caso il termine “Stato” va inteso in senso ampio e comprende tutte le sue articolazioni amministrative quali, per esempio, i Ministeri, le Prefetture, le Questure, ma anche gli organi pubblici di rilievo costituzionale che svolgono le funzioni legislative, giurisdizionali od esecutive (il Parlamento, la Corte Costituzionale, gli organi della Giurisdizione ordinaria, amministrativa etc.). Le ragioni dell’esclusione sono evidenti: l’applicazione di sanzioni interdittive nei confronti di questi soggetti impedirebbe l’esercizio di funzioni istituzionali, mentre l’applicazione di sanzioni pecuniarie finirebbe per ricadere sui contribuenti.

Il legislatore ha scelto di estendere l’esclusione anche agli enti pubblici territoriali (Regioni, Province, Comuni), i quali sono sostanzialmente assimilabili allo Stato in quanto titolari di poteri pubblici (basti pensare, ad esempio, alle competenze regionali in materia legislativa).

Sono altresì esclusi gli enti pubblici non economici; si tratta di tutti quegli enti pubblici che, anche se privi di pubblici poteri, svolgono servizi d’interesse collettivo senza finalità di lucro ed hanno dunque funzioni strumentali rispetto allo Stato (sono, ad esempio, l’INPS, l’INAIL, la Croce Rossa, l’ACI etc.).

Infine, il decreto legislativo esclude espressamente dal proprio ambito di applicazione gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale, tra i quali si fanno rientrare anche i sindacati e i partiti politici. Tale esclusione trova giustificazione alla luce delle conseguenze che le sanzioni previste nel testo normativo in esame potrebbero avere sull’equilibrio costituzionale e sui cittadini. In definitiva, per escludere l’applicazione del decreto legislativo 231/2001, la natura pubblica dell’ente è condizione necessaria ma non sufficiente in quanto deve ricorrere un ulteriore elemento e cioè che l’ente non svolga attività economica. Lo scopo di lucro, anche se si tratta di ente pubblico, fa ricadere nell’ambito di applicazione della normativa citata. Non dimentichiamo, infatti, che la finalità del d.lgs. 231/2001 è la repressione di comportamenti illeciti nello svolgimento di attività di natura economica9.

9 Come si legge nella Relazione, la normativa mira a reprimere “comportamenti illeciti nello

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1.3 Principi generali

La normativa in esame è regolata sul principio di legalità, sulla base del quale la responsabilità amministrativa a carico dell’ente (e il relativo trattamento sanzionatorio) sussiste solo qualora ciò sia espressamente previsto da una legge e che questa fosse già in vigore al momento della realizzazione del fatto illecito10. Il principio, tipico del diritto penale, si articola tradizionalmente in quattro corollari, che sanciscono i principi di riserva di legge, di tassatività (o determinatezza della fattispecie), di irretroattività e del divieto di analogia, i quali sono applicabili anche alla materia in oggetto.

Il principio della riserva di legge impone che solo la legge, o altro atto normativo equiparato, possano prevedere l’ipotesi di responsabilità amministrativa dell’ente in relazione a un determinato reato nonché la tipologia e l’entità delle relative sanzioni, con la conseguenza che non sarà configurabile alcun tipo di responsabilità in assenza di una specifica disposizione legislativa.

Il principio di tassatività prevede che le norme “incriminatrici” siano formulate in modo chiaro e preciso, descrivendo puntualmente il fatto da cui scaturisce la responsabilità, per garantire il maggior grado di certezza del diritto e, allo stesso tempo, limitare al minimo l’interpretazione soggettiva.

Il principio di irretroattività prevede che la legge configurante la responsabilità amministrativa a carico dell’ente e le conseguenti sanzioni debba necessariamente essere entrata in vigore prima della commissione del fatto. Ciò in quanto un soggetto non può essere punito per un fatto avvenuto prima dell’entrata in vigore della norma che lo incrimina e che quindi risultava lecito al momento della sua realizzazione.11

la conseguenza che sono da escludere dal novero dei destinatari “tutti quegli enti pubblici che, seppur sprovvisti di pubblici poteri, perseguono e curano interessi pubblici prescindendo da finalità lucrative”.

10 Art. 2 – Principio di legalità: l’ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto costituente

reato se la sua responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto.

11 Il principio è sancito a livello costituzionale dall’art. 25, comma 2, della Costituzione, ai sensi

del quale “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.

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Infine, il principio del divieto di analogia dispone che, in assenza di una norma che prevede una disciplina specifica per un dato caso, non può essere applicata una disposizione che regola una fattispecie simile.

1.4 Criteri di attribuzione della responsabilità amministrativa dipendente da reato

Ai sensi dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. 231/2001, l’ente è responsabile per reati

commessi nel suo interesse o a suo vantaggio da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso (lettera a), ovvero da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a), salvo che tali soggetti abbiano agito nell’interesse esclusivo proprio o

di terzi.

La responsabilità dell’ente si fonda dunque su due criteri.

Secondo il criterio di imputazione soggettiva, la configurazione della responsabilità a carico dell’ente sorge qualora il reato sia stato commesso da una persona fisica legata ad esso da un rapporto funzionale, che può essere di rappresentanza o di subordinazione.

La norma stabilisce anche un criterio di natura oggettiva in base al quale si configura a carico dell’ente la responsabilità amministrativa dipendente da reato; più precisamente, il presupposto alla base di tale responsabilità consiste nel fatto che il crimine (ovviamente rientrante nel novero dei reati espressamente previsti dal d.lgs. 231/2001) sia stato commesso nell’interesse dell’ente o a suo vantaggio. L’interesse consiste nella finalità di perseguire una utilità per l’ente, senza che sia necessario il suo effettivo conseguimento; in questo caso quindi la condotta criminosa è posta in essere, in base ad una valutazione ex ante, al fine di conseguire una certa utilità per la società stessa.

Il vantaggio, invece, consiste nella concreta acquisizione da parte dell’ente di una qualsiasi utilità, indipendentemente dalla finalità perseguita; si tratta quindi di una valutazione ex post, che si basa sul concreto beneficio ricavato dalla società a seguito della condotta illecita da parte del soggetto.

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Al contrario, l’ente non risponderà se il reato è stato commesso nell’interesse esclusivo dei soggetti che lo hanno posto in essere o nell’interesse di terzi.

Occorre sottolineare che per la determinazione della responsabilità a carico dell’ente è sufficiente anche la sussistenza di una sola delle due condizioni oggettive appena illustrate.

Ai fini della attribuzione della responsabilità amministrativa, non basta che la realizzazione del reato e i suoi effetti siano collegati all’ente sul piano oggettivo, ma occorre che sussista anche una colpevolezza dell’ente medesimo, intesa come “rimproverabilità”: nel sistema delineato dal d.lgs. 231/2001, l’ente è destinatario di sanzioni nel caso in cui ad esso sia rimproverabile una condotta basata su scelte aziendali consapevolmente contrastanti con la norma o consistente nell’inosservanza degli obblighi di predisporre adeguate misure preventive, nonché di controllo e vigilanza.12

1.5 Gli autori del reato presupposto

La responsabilità amministrativa a carico dell’ente è configurabile qualora il reato presupposto sia stato commesso da persone fisiche che, ricoprendo determinati ruoli all’interno della sua organizzazione, hanno un rapporto qualificato con l’ente stesso, con la conseguenza che la loro condotta illecita ricade nella sfera giuridica della società.

In particolare, si tratta di soggetti in posizione apicale (di cui all’art. 5, comma 1, lettera a) e dei soggetti in posizione subordinata (di cui all’art. 5, comma 1, lettera b).

La prima categoria di soggetti che costituiscono i possibili autori del reato presupposto comprende le persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di

amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, e le persone che esercitano, anche di fatto,

12 A tal proposito, il legislatore, nella Relazione ministeriale al d.lgs. 231/2001, ha affermato che

“ai fini della responsabilità dell’ente occorrerà, dunque, non soltanto che il reato sia ad esso ricollegabile sul piano oggettivo (le condizioni alle quali ciò si verifica, come si è visto sono disciplinate dall’art. 5); di più, il reato dovrà costituire anche espressione della politica aziendale o quanto meno derivare da una colpa di organizzazione”.

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la gestione e il controllo dello stesso, soggetti che quindi determinano e

manifestano la volontà dell’ente stesso.

Tra i soggetti in posizione apicale sono quindi compresi coloro che esercitano funzioni di rappresentanza (ad esempio, il legale rappresentante), di gestione (ad esempio, l’amministratore delegato), di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale (ad esempio, rispettivamente, il direttore generale o il direttore di uno stabilimento). Quanto a questi ultimi soggetti, il legislatore ha espressamente previsto tale categoria, poiché, nella realtà economica sono presenti numerose aziende dotate di sedi operative secondarie dotate di un proprio budget e di una forte autonomia gestionale rispetto alla sede centrale. In questi casi, l’autonomia finanziaria e funzionale costituisce il presupposto per equiparare i soggetti a capo di una singola unità organizzativa agli altri soggetti che rivestono posizioni apicali. Infine, la norma fa riferimento alle persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dell’ente (ad esempio, l’amministratore di fatto). Il legislatore ha voluto attribuire rilevanza alla posizione del soggetto che, pur non avendone la qualifica, esercita i poteri propri di chi riveste la funzione di rappresentanza, gestione e direzione e, quindi, sulla base del criterio di “effettività” proprio del diritto penale, ha agito in concreto, a prescindere dal ruolo formale.

Per quanto riguarda i reati commessi dalle persone che rivestono una posizione apicale, l’art. 6 del d.lgs. 231/2001 non prevede espressamente i criteri soggettivi di attribuzione di responsabilità dell’ente, ma dispone a carico di quest’ultimo l’onere di provare una serie di condizioni al fine di esimersi dalla responsabilità. Ciò significa che si presume la responsabilità dell’ente per i reati commessi dai soggetti in posizione apicale che, in virtù del rapporto di cosiddetta immedesimazione organica13 esprimono la volontà dell’ente stesso. Tuttavia, la presunzione non ha carattere assoluto, dal momento che è ammessa la possibilità di prova contraria; più precisamente, l’ente, per non incorrere in responsabilità,

13 Con il termine immedesimazione organica si fa riferimento alla relazione che si instaura tra un

organo della persona giuridica, cioè la persona fisica o l'insieme di persone fisiche che agisce per essa compiendo atti giuridici, e la persona giuridica stessa, cosicché gli atti giuridici compiuti dall'organo sono imputati alla persona giuridica, come fossero stati compiuti dalla stessa.

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dovrà dimostrare di aver rispettato simultaneamente le quattro condizioni indicate nell’art. 6, comma 1:

a) l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;

b) il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo14;

c) le persone fisiche hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e gestione;

d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di cui alla lettera b).

L’art. 6, inoltre, al comma 2, elenca i requisiti affinché i modelli di organizzazione individuati alla lettera a) siano efficaci e quindi idonei ad esimere l’ente da responsabilità o a diminuire la sanzione ad esso applicabile15.

In generale, la previsione dell’art. 6 è finalizzata a incentivare l’adozione di specifici modelli di prevenzione, nonché a indurre l’ente ad attivarsi in modo efficace attuando effettivamente le misure di prevenzione e le attività di controllo. L’art. 5, comma 1, lett. b) prevede che la responsabilità amministrativa dell’ente derivi anche dai reati commessi dalle persone sottoposte alla direzione o alla

vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a), cioè di uno dei soggetti che

ricoprono una posizione apicale. In particolare, si tratta dei prestatori di lavoro subordinato (di cui agli artt. 2094 e 2095 del codice civile) i quali, agendo per conto dell’ente, nell’ambito delle proprie mansioni possono porre in essere determinate condotte criminose, nell’interesse o a vantaggio dell’ente medesimo. A prima vista, non sembra ragionevole prevedere la responsabilità a carico degli enti per reati commessi da soggetti subordinati, i quali, essendo sottoposti all’altrui direzione e vigilanza, non sono autonomi nelle proprie decisioni e non hanno il

14 Il c.d. Organismo di Vigilanza (OdV).

15 Dell’OdV e delle caratteristiche del modello di organizzazione, gestione e controllo si parlerà

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19

potere di esprimere la volontà dell’ente come invece succede con le posizioni apicali. Tuttavia, le aziende più complesse operano proprio attraverso la suddivisione di mansioni e competenze, perciò, per evitare ambiti di impunità, il legislatore ha deciso di configurare la responsabilità amministrativa anche in conseguenza di reati commessi da soggetti che si trovano in posizione subordinata, qualora questi abbiano agito per conto e nell’interesse dell’ente. Nel caso in cui il reato presupposto sia stato commesso da uno dei soggetti sottoposti alla direzione altrui, sarà configurabile una responsabilità amministrativa a carico dell’ente solo nell’ipotesi di inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza, ai sensi dell’art. 7, cioè nei casi in cui è ravvisabile una colpa organizzativa dell’ente per il mancato controllo che ha reso possibile la commissione del reato. L’ente, quindi, per non incorrere in tale responsabilità, deve provare di aver ottemperato ai propri obblighi di direzione e controllo; si presume la correttezza di comportamento nel caso in cui l’ente abbia adottato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati dello stesso tipo di quello poi commesso e lo abbia efficacemente attuato. La suddetta presunzione comporta che, a differenza di quanto è stato disposto per i reati commessi da soggetti in posizione apicale, nel caso di comportamenti illeciti posti in essere da subordinati, l’onere probatorio è a carico dell’accusa, la quale dovrà provare la mancata adozione e attuazione del modello organizzativo.

Quindi, in caso di reato commesso da soggetti in posizione subordinata, per non incorrere in responsabilità amministrativa, è sufficiente che l’ente provi una sola condizione e cioè quella di aver “adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi”.

1.6 I reati previsti dal d.lgs. 231/2001

La responsabilità amministrativa degli enti prevista dal d.lgs. 231/2001 è configurabile nel caso in cui uno dei soggetti indicati in precedenza ponga in essere (nell’interesse o a vantaggio dell’ente medesimo) una delle fattispecie di reato elencate nel testo normativo in esame.

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Nel corso degli anni, l’elenco dei reati presupposto (così si chiamano i reati previsti dal legislatore la cui commissione fa scattare la responsabilità in capo all’ente) è stato sempre più ampliato, andando a costituire un insieme molto vasto ed eterogeneo.

Ad oggi, i reati previsti dal d.lgs. 231/2001 sono i seguenti16:

Art. 24

Indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico

Art. 24-bis Delitti informatici e trattamento illecito di dati Articolo aggiunto dalla L. n. 48/2008; modificato dal D.Lgs. n. 7 e 8/2016

Art. 24-ter Delitti di criminalità organizzata

Articolo aggiunto dalla L. n. 94/2009; modificato dalla L. n. 69/2015

16 Fonte: catalogo reati presupposto AODV 231 (Associazione dei Componenti degli Organismi

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Art. 25 Concussione, induzione indebita a dare o promettere altra utilità e corruzione

Articolo

modificato dalla L. n. 190/2012

Art. 25-bis

Falsità in monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o segni di riconoscimento Articolo aggiunto dal D.L. n. 350/2001, convertito con modificazioni dalla L. n. 409/2001; modificato dalla L. n. 99/2009; modificato dal D.Lgs. n. 125/2016

Art. 25-bis.1 Delitti contro l’industria e il commercio Articolo aggiunto dalla L. n. 99/2009

Art. 25-ter Reati societari

Articolo aggiunto dal D.Lgs. n. 61/2002, modificato dalla L. n. 190/2012, dalla L. n. 69/2015 e dal D.Lgs. n. 38/2017

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22

Art. 25-quater

Reati con finalità di terrorismo o di

eversione dell’ordine democratico previsti dal codice penale e dalle leggi speciali

Articolo aggiunto dalla L. n. 7/2003

Art. 25-quater.1

Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili

Articolo aggiunto dalla L. n. 7/2006

Art.

25-quinquies Delitti contro la personalità individuale

Articolo aggiunto dalla L. n. 228/2003; modificato dalla L. n. 199/2016 Art.

25-sexies Reati di abuso di mercato

Articolo aggiunto dalla L. n. 62/2005

Art. 25-septies

Reati di omicidio colposo e lesioni

colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro

Articolo aggiunto dalla L. n.

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23

Art. 25-octies

Ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, nonché autoriciclaggio

Articolo aggiunto dal D.Lgs. n. 231/2007; modificato dalla L. n. 186/2014 Art. 25-novies

Delitti in materia di violazione del diritto d’autore

Articolo aggiunto dalla L. n. 99/2009

Art. 25-decies

Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria

Articolo aggiunto dalla L. n.

116/2009

Art.

25-undecies Reati ambientali

Articolo aggiunto dal D.Lgs. n. 121/2011; modificato dalla L. n. 68/2015 Art. 25-duodecies

Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare

Articolo aggiunto dal D.Lgs. n. 109/2012

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24

Art. 12, L n. 9/2013

Responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato

[Costituiscono presupposto per gli enti che operano nell’ambito della filiera degli oli vergini di oliva]

L. n.

146/2006 Reati transnazionali

In generale, per ciascuno dei reati presupposto, il legislatore indica il tipo e la quantità delle sanzioni amministrative irrogabili a carico dell’ente, rapportate alla gravità delle corrispondenti fattispecie penali17.

Di seguito si riporta una breve spiegazione delle varie tipologie di reato e l’indicazione dei fatti illeciti rientranti nelle singole categorie.

Indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico (Art. 24)

La prima categoria di reati da cui deriva la responsabilità amministrativa dell’ente è costituita da tipologie di reato realizzate mediante una condotta fraudolenta diretta a conseguire un profitto illecito ai danni dello Stato o di un altro soggetto pubblico.

Rientrano in questa categoria:

 Malversazione a danno dello Stato (art. 316-bis c.p.)

 Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter c.p.)

17 Per approfondimenti in merito alle specifiche sanzioni previste per i singoli reati si veda:

Capparelli O., Lanzino L., Modelli di gestione del rischio e compliance ex d.lgs. 231/2001, IPSOA, 2016, Appendice.

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 Truffa in danno dello Stato o di altro ente pubblico o delle Comunità europee (art. 640, comma 2, n. 1, c.p.)

 Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.)

 Frode informatica in danno dello Stato o di altro ente pubblico (art. 640-ter c.p.)

Delitti informatici e trattamento illecito di dati (Art. 24-bis)

Nella realtà economica, l’utilizzo delle tecnologie informatiche svolge sempre di più un ruolo fondamentale e per le imprese cresce dunque la necessità di tutelare la sicurezza informatica. Da ciò nasce l’esigenza di proteggere sistemi, programmi, dati e comunicazioni informatiche da accessi non autorizzati, danneggiamenti, condotte fraudolente o dirette a falsificarne i contenuti.

L’art. 7 della legge 18 marzo 2008, n. 48 ha esteso la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti ai c.d. cybercrimes18.

I reati presupposto che rientrano in questa categoria sono:

 Falsità in un documento informatico pubblico o avente efficacia probatoria (art. 491-bis c.p.);

 Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico (art. 615-ter c.p.);  Detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o

telematici (art. 615-quater c.p.);

 Diffusione di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico o telematico (art. 615-quinquies c.p.);

 Intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche (art. 617-quater c.p.);

 Installazione di apparecchiature atte a intercettare, impedire o interrompere comunicazioni informatiche o telematiche (art. 617-quinquies c.p.);

18 Un crimine informatico è un fenomeno criminale che si caratterizza nell'abuso della tecnologia

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 Danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici (art. 635-bis c.p.);

 Danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici utilizzati dallo Stato o da altro ente pubblico o comunque di pubblica utilità (art. 635-ter c.p.);

 Danneggiamento di sistemi informatici o telematici (art. 635-quater c.p.);  Danneggiamento di sistemi informatici o telematici di pubblica utilità (art.

635-quinquies c.p.);

 Frode informatica del certificatore di firma elettronica (art. 640-quinquies c.p.).

Delitti di criminalità organizzata (Art. 24-ter)

La legge 15 luglio 2009, n. 94 (c.d. pacchetto sicurezza) ha ampliato l’elenco dei reati presupposto includendo quelli di criminalità organizzata, disponendo un severo trattamento sanzionatorio a carico dell’ente, rapportato alla gravità delle ipotesi di reato e al grado di allarme sociale connesso alla loro realizzazione. In generale, le norme in questione sono poste a tutela dell’ordine pubblico, che risulta minacciato dall’esistenza di una stabile organizzazione volta ad attuare una serie di delitti o comunque un programma criminoso.

In particolare, il legislatore ha previsto reati quali:  Associazione per delinquere (art. 416 c.p.);

 Associazioni di tipo mafioso anche straniere (art. 416-bis c.p.);  Scambio elettorale politico-mafioso (art. 416-ter c.p.);

 Sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.);

 Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope (art. 74 DPR 9 ottobre 1990, n. 309);

 Tutti i delitti se commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis c.p. per agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo (L. 203/91);

 Illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra

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o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo (art. 407, c. 2, lett. a), numero 5), c.p.p.).

Concussione, induzione indebita a dare o promettere altra utilità e corruzione (Art. 25)

La categoria delineata dall’art. 25 comprende fattispecie di reato che costituiscono presupposto per la responsabilità amministrativa dell’ente sin dalla versione originaria del decreto.

In particolare, ai fini della responsabilità sono rilevanti il reato di concussione, nel quale il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, abusando della sua funzione e dei suoi poteri, costringe il privato a una contribuzione o una promessa non dovuta, nonché le ipotesi di corruzione, in cui, invece, è il privato a dare o promettere denaro o altra utilità al pubblico ufficiale, per indurlo a violare i propri doveri.

In particolare, le fattispecie di reato rientranti in questa categoria sono:  Concussione (art. 317 c.p.);

 Corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.);

 Corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio (art. 319 c.p.);  Circostanze aggravanti (art. 319-bis c.p.);

 Corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter c.p.);

 Induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319 quater c.p.);  Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio (art. 320 c.p.);  Pene per il corruttore (art. 321 c.p.);

 Istigazione alla corruzione (art. 322 c.p.);

 Peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di stati esteri (art. 322-bis c.p.).

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Falsità in monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o segni di riconoscimento (Art. 25-bis)

L’art. 6 del d.l. 25 settembre 2001, n. 350, convertito in Legge 23 novembre 2001, n. 409, in occasione dell’introduzione della moneta unica europea, ha inserito nel d.lgs. n. 231/2001 l’art. 25 bis (successivamente modificato dalla legge 23 luglio 2009, n. 99), ampliando ulteriormente l’elenco dei reati presupposto.

In generale, i reati presupposto di cui al presente articolo sono quelli che puniscono il c.d. falso nummario, cioè la falsificazione di monete o beni ad esse equiparati; questa disposizione è stata prevista a tutela oltre che della pubblica fede19, anche della legalità della circolazione monetaria, degli interessi finanziari e patrimoniali degli enti autorizzati all’emissione delle monete, nonché quelli dei privati che risultino danneggiati dalle suddette falsità.

In particolare, sono previsti i seguenti reati:

 Falsificazione di monete, spendita e introduzione nello Stato, previo concerto, di monete falsificate (art. 453 c.p.);

 Alterazione di monete (art. 454 c.p.);

 Spendita e introduzione nello Stato, senza concerto, di monete falsificate (art. 455 c.p.);

 Spendita di monete falsificate ricevute in buona fede (art. 457 c.p.);

 Falsificazione di valori di bollo, introduzione nello Stato, acquisto, detenzione o messa in circolazione di valori di bollo falsificati (art. 459 c.p.);

 Contraffazione di carta filigranata in uso per la fabbricazione di carte di pubblico credito o di valori di bollo (art. 460 c.p.);

 Fabbricazione o detenzione di filigrane o di strumenti destinati alla falsificazione di monete, di valori di bollo o di carta filigranata (art. 461 c.p.);

 Uso di valori di bollo contraffatti o alterati (art. 464 c.p.);

19 Intesa come fiducia della collettività in determinati oggetti, simboli o forme esteriori sulla cui

autenticità o genuinità deve potersi fare affidamento, al fine di rendere certi e veloci i traffici giuridici.

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 Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni (art. 473 c.p.);

 Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 c.p.).

Delitti contro l’industria e il commercio (Art. 25-bis.1)

La legge 23 luglio 2009, n. 99, oltre alle modifiche apportate all’art. 25 bis, ha introdotto una nuova categoria di reati presupposto: i delitti contro l’industria e il commercio.

Si tratta di una tipologia di delitti creata per tutelare l’esercizio leale e ordinato delle attività industriali e commerciali svolte dai privati, secondo le normali regole di mercato.

I reati compresi in questa categoria sono:

 Turbata libertà dell’industria o del commercio (art. 513 c.p.);  Illecita concorrenza con minaccia o violenza (art. 513-bis c.p.);  Frodi contro le industrie nazionali (art. 514 c.p.);

 Frode nell’esercizio del commercio (art. 515 c.p.);

 Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine (art. 516 c.p.);  Vendita di prodotti industriali con segni mendaci (art. 517 c.p.);

 Fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale (art. 517-ter c.p.);

 Contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari (art. 517-quater c.p.).

Reati societari (Art. 25-ter)

A seguito della riforma del diritto penale societario, attuata con d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61, il legislatore (con l’art. 3, comma 2 del medesimo decreto) ha introdotto nel d.lgs. n. 231/2001 l’art. 25 ter, con il quale ha ampliato la responsabilità amministrativa degli enti anche in dipendenza della commissione dei reati di cui al Titolo XI, del Libro V, c.c.:

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 Fatti di lieve entità (art. 2621-bis c.c.);

 False comunicazioni sociali delle società quotate (art. 2622 c.c.);  Impedito controllo (art. 2625, comma 2, c.c.);

 Indebita restituzione di conferimenti (art. 2626 c.c.);

 Illegale ripartizione degli utili e delle riserve (art. 2627 c.c.);

 Illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante (art. 2628 c.c.);

 Operazioni in pregiudizio dei creditori (art. 2629 c.c.);

 Omessa comunicazione del conflitto d’interessi (art. 2629-bis c.c.);  Formazione fittizia del capitale (art. 2632 c.c.);

 Indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori (art. 2633 c.c.);  Corruzione tra privati (art. 2635 c.c.);

 Istigazione alla corruzione tra privati (art. 2635-bis c.c);  Illecita influenza sull’assemblea (art. 2636 c.c.);

 Aggiotaggio (art. 2637 c.c.)

 Ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza (art. 2638, comma 1 e 2, c.c.).

Reati con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico previsti dal codice penale e dalle leggi speciali (Art. 25-quater)

L’art. 25 quater è stato introdotto dall’art. 3 della legge 14 gennaio 2003, n. 7, con cui l’Italia ha ratificato la Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo, stipulata a New York il 9 dicembre 1999.

Sarà dunque configurabile la responsabilità dell’ente nelle seguenti ipotesi:  Associazioni sovversive (art. 270 c.p.);

 Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico (art. 270-bis c.p.);

 Assistenza agli associati (art. 270-ter c.p.);

 Arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale (art. 270-quater c.p.);

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 Addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale (art. 270-quinquies c.p.);

 Finanziamento di condotte con finalità di terrorismo (art. 270-quinquies.1 c.p.);

 Sottrazione di beni o denaro sottoposti a sequestro (art. 270-quinquies.2 c.p.);

 Condotte con finalità di terrorismo (art. 270-sexies c.p.)

 Attentato per finalità terroristiche o di eversione (art. 280 c.p.);

 Atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi (art. 280-bis c.p.);  Atti di terrorismo nucleare (art. 280-ter c.p.);

 Sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione (art. 289-bis c.p.);  Istigazione a commettere alcuno dei delitti preveduti dai capi primo e

secondo (art. 302 c.p.);

 Cospirazione politica mediante accordo (art. 304 c.p.);  Cospirazione politica mediante associazione (art. 305 c.p.);  Banda armata: formazione e partecipazione (art. 306 c.p.);

 Assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata (art. 307 c.p.);  Impossessamento, dirottamento e distruzione di un aereo (l. n. 342/1976,

art. 1);

 Danneggiamento delle installazioni a terra (l. n. 342/1976, art. 2);  Sanzioni (L. n. 422/1989, art. 3)

 Pentimento operoso (d.lgs. n. 625/1979, art. 5);

 Convenzione di New York del 9 dicembre 1999 (art. 2).

Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (Art. 25-quater.1)

A seguito dell’introduzione nel codice penale, con legge 9 gennaio 2006, n. 7, del reato che punisce le pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili, il legislatore ha previsto la responsabilità amministrativa nel caso in nella struttura dell’ente venga commesso il suddetto delitto.

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Delitti contro la personalità individuale (Art. 25-quinquies)

L’art. 25 quinquies del decreto prevede la responsabilità amministrativa dell’ente in relazione alle ipotesi di delitti contro la personalità individuale di cui alla sezione I del capo III del titolo XII del libro II del codice penale:

 Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (art. 600 c.p.);  Prostituzione minorile (art. 600-bis c.p.);

 Pornografia minorile (art. 600-ter c.p.);

 Detenzione di materiale pornografico (art. 600-quater);  Pornografia virtuale (art. 600-quater.1 c.p.);

 Iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600-quinquies c.p.);

 Tratta di persone (art. 601 c.p.);

 Acquisto e alienazione di schiavi (art. 602 c.p.);

 Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603-bis c.p.);  Adescamento di minorenni (art. 609-undecies c.p.).

Reati di abuso di mercato (Art. 25-sexies)

Questa categoria comprende i delitti di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato previsti, rispettivamente, dagli artt. 184 e 185 del testo unico di cui al d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58.

Si tratta di fattispecie che comportano un danno per il mercato finanziario, in quanto ne alterano l’andamento o, comunque, pregiudicano lo scambio di strumenti finanziari, mediante la strumentalizzazione a proprio vantaggio di informazioni privilegiate, ovvero mediante la diffusione di notizie false idonee a incidere sulla determinazione dei prezzi.

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Reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro (Art. 25-septies)

L’art. 25 septies, introdotto dall’art. 9 della legge 3 agosto 2007 e successivamente modificato dall’art. 330 del d.lgs. 9 aprile 2008, n.81 (Testo Unico sulla sicurezza), ha inserito per la prima volta nel catalogo dei reati presupposto anche due fattispecie di delitto colposo: omicidio colposo (art. 589 c.p.) e lesioni personali colpose (art. 590 c.p.).

Con tale statuizione, il legislatore non solo ha ampliato il catalogo dei reati presupposto, ma ha sicuramente esteso alla maggior parte delle imprese l’obbligo di dotarsi di modelli di organizzazione, gestione e controllo adeguati in conformità allo scopo della normativa che non è tanto quello di punire gli enti, quanto quello di indurli ad attivarsi al fine di evitare la realizzazione di illeciti e di prevenire gli incidenti sul lavoro che stanno diventando una triste realtà quotidiana. Pertanto, nella costruzione di un modello organizzativo, ai fini dell’efficacia esimente, occorrerà tenere conto anche delle prescrizioni contenute nel citato d.lgs. n. 81/2008.

Ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, nonché autoriciclaggio (Art. 25-octies)

Per evitare che l’impresa si trasformi in uno strumento di reimpiego di denaro o altre utilità di provenienza illecita, con il d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231, è stata estesa la possibilità di attribuire a carico dell’ente la responsabilità amministrativa a seguito della commissione dei seguenti reati:

 Ricettazione (art. 648 c.p.);  Riciclaggio (art. 648-bis c.p.);

 Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (art. 648-ter c.p.);  Autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.).

In generale, la lotta al riciclaggio serve anche a combattere le organizzazioni criminali, impedendo loro di reimpiegare profitti illeciti nel sistema economico:

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infatti, tali reati vengono perseguiti al fine di tutelare il patrimonio e l’amministrazione della giustizia, ma anche per proteggere l’ordine pubblico e il mercato da investimenti che consentono ai colpevoli di ricavare ulteriori utilità dai proventi illeciti.

Delitti in materia di violazione del diritto d’autore (Art. 25-novies)

La responsabilità amministrativa a carico dell’ente è configurabile, ai sensi dell’art. 15, comma 7, lett. c) della legge 23 luglio 2009, n. 99, in seguito alla realizzazione dei delitti in materia di violazione del diritto d’autore elencati dall’art. 25 novies del d.lgs. n. 231/2001; in particolare:

 Messa a disposizione del pubblico, in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di qualsiasi genere, di un’opera dell’ingegno protetta, o di parte di essa (art. 171, legge n.633/1941 comma 1 lett. a) bis);

 Reati di cui al punto precedente commessi su opere altrui non destinate alla pubblicazione qualora ne risulti offeso l’onore o la reputazione (art. 171, l. n. 633/1941, comma 3);

 Abusiva duplicazione, per trarne profitto, di programmi per elaboratore; importazione, distribuzione, vendita o detenzione a scopo commerciale o imprenditoriale o concessione in locazione di programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla SIAE; predisposizione di mezzi per rimuovere o eludere i dispositivi di protezione di programmi per elaboratori (art. 171-bis legge n. 633/1941 comma 1);

 Riproduzione, trasferimento su altro supporto, distribuzione, comunicazione, presentazione o dimostrazione in pubblico, del contenuto di una banca dati; estrazione o reimpiego della banca dati; distribuzione, vendita o concessione in locazione di banche di dati (art. 171-bis legge n. 633/1941 comma 2);

 Abusiva duplicazione, riproduzione, trasmissione o diffusione in pubblico con qualsiasi procedimento, in tutto o in parte, di opere dell’ingegno destinate al circuito televisivo, cinematografico, della vendita o del noleggio di dischi, nastri o supporti analoghi o ogni altro supporto

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contenente fonogrammi o videogrammi di opere musicali,

cinematografiche o audiovisive assimilate o sequenze di immagini in movimento; opere letterarie, drammatiche, scientifiche o didattiche, musicali o drammatico musicali, multimediali, anche se inserite in opere collettive o composite o banche dati; riproduzione, duplicazione, trasmissione o diffusione abusiva, vendita o commercio, cessione a qualsiasi titolo o importazione abusiva di oltre cinquanta copie o esemplari di opere tutelate dal diritto d’autore e da diritti connessi; immissione in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di qualsiasi genere, di un’opera dell’ingegno protetta dal diritto d’autore o parte di essa (art. 171-ter legge n. 633/1941);

 Mancata comunicazione alla SIAE dei dati di identificazione dei supporti non soggetti al contrassegno o falsa dichiarazione (art. 171-septies legge n. 633/1941);

 Fraudolenta produzione, vendita, importazione, promozione, installazione, modifica, utilizzo per uso pubblico e privato di apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato effettuate via etere, via satellite, via cavo, in forma sia analogica sia digitale (art. 171-octies legge n. 633/1941).

Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria (Art. 25-decies)

L’art. 4, comma 1, della legge 3 agosto 2009, n. 116, come sostituito dall’art. 2 del recente d.lgs. 7 luglio 2011, n. 121, ha introdotto tra le tipologie di reato presupposto anche quella di induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria (art. 377 bis c.p.).

Tale fattispecie rientra nei reati che puniscono condotte lesive dell’amministrazione della giustizia in genere e, in particolare, è volta a tutelare il corretto esercizio dell’attività giudiziaria, evitando che un soggetto chiamato a fornire dichiarazioni utilizzabili in un procedimento penale possa subire coercizioni o sia indotto a tacere o a dire il falso.

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La ratio dell’inserimento di tale comportamento nell’elenco dei reati presupposto la troviamo nella volontà di evitare che l’ente possa trarre un indebito vantaggio, conseguendo magari l’impunità, per effetto della condotta illecita che ha indotto il soggetto alla dichiarazione mendace o alla reticenza dinanzi all’Autorità Giudiziaria.

Reati ambientali (Art. 25-undecies)

Il decreto legislativo 7 luglio 2011, n. 121, in attuazione dell’art. 19 della l. 4 giugno 2010, n. 96 (Legge Comunitaria 2009), ha modificato il d.lgs. n. 231/2001 introducendo il nuovo articolo 25-undecies e andando dunque ad ampliare il catalogo dei reati presupposto con l’inserimento dei principali reati ambientali, quali:

 Inquinamento ambientale (art. 452-bis c.p.);  Disastro ambientale (art. 452-quater c.p.);

 Delitti colposi contro l’ambiente (art. 452-quinquies c.p.);

 Traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività (art. 452-sexies c.p.);  Circostanze aggravanti (art. 452-octies c.p.);

 Uccisione, distruzione, cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette (art. 727-bis c.p.);

 Distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto (art. 733-bis c.p.);

 Importazione, esportazione, detenzione, utilizzo per scopo di lucro, acquisto, vendita esposizione o detenzione per la vendita o per fini commerciali di specie protette (l. n. 150/1992, art. 1, art. 2, art. 3-bis e art. 6);

 Scarichi di acque reflue industriali contenenti sostanze pericolose; scarichi sul suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee; scarico nelle acque del mare da parte di navi od aeromobili (d.lgs. n. 152/2006, art. 137);

 Attività di gestione di rifiuti non autorizzata (d.lgs. n. 152/2006, art. 256);  Inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle

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 Traffico illecito di rifiuti (d.lgs. n. 152/2006, art. 259);

 Violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari (d.lgs. n. 152/2006, art. 258);

 Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (d.lgs. n. 152/2006, art. 260);

 False indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti nella predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti; inserimento nel SISTRI di un certificato di analisi dei rifiuti falso; omissione o fraudolenta alterazione della copia cartacea della scheda SISTRI – area movimentazione nel trasporto di rifiuti (d.lgs. n. 152/2006, art. 260-bis);

 Emissioni in atmosfera (d.lgs. n. 152/2006, art. 279);

 Inquinamento doloso provocato da navi (d.lgs. n. 202/2007, art. 8);  Inquinamento colposo provocato da navi (d.lgs. n. 202/2007, art. 9);

 Cessazione e riduzione dell’impiego delle sostanze lesive (l. n. 549/1993, art. 3).

Il provvedimento era atteso da tempo, poiché già la Legge Delega 300/2000 contemplava alcune fattispecie di reato in materia di tutela dell’ambiente e del territorio, mostrando sensibilità per il tema della responsabilità dell’impresa per i reati ambientali, profilo che però inizialmente è rimasto inapplicato.

La successiva progressiva estensione dell’ambito di operatività del d. lgs. n. 231/01 ha reso inevitabile questo ulteriore ampliamento20.

Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (Art. 25-duodecies)

L’entrata in vigore del d.lgs. n. 109/2012 ha apportato una modifica al d.lgs. 231/2001, ampliando il ventaglio dei reati presupposto con la fattispecie riguardante l’impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare; ciò a ulteriore conferma del ricorso al meccanismo sanzionatorio di responsabilità

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amministrativa utilizzato per disincentivare e reprimere comportamenti scorretti nel mercato del lavoro.

Tale reato, previsto dall’art. 25-duodecies, si verifica quando il datore di lavoro occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno previsto dall’ art. 22 del d.lgs. 286/98, ovvero il cui permesso sia scaduto (e non sia stato chiesto nei termini di legge il rinnovo), revocato o annullato.

Responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato [costituiscono presupposto per gli enti che operano nell’ambito della filiera degli oli vergini di oliva] (Art. 12, L. n. 9/2013)

Con questa introduzione, il legislatore “231” ha voluto rafforzare la tutela di uno dei prodotti italiani di eccellenza. In realtà, gli enti operanti nell’ambito della filiera degli oli extra vergine di oliva già rientravano nella sfera di applicazione del d.lgs. 231/2001, ma la novità apportata dalla Legge 14 gennaio 2013, n. 9 “Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini” (c.d. Legge Salva Olio, in vigore dal 1° febbraio 2013) ha implicato l’ampliamento del “catalogo 231” in caso di commissione, da parte dei succitati enti, dei seguenti reati21:

 Impiego Adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari (art. 440 c.p.);

 Commercio di sostanze alimentari contraffatte o adulterate (art. 442 c.p.);  Commercio di sostanze alimentari nocive (art. 444 c.p.);

 Contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell´ingegno o di prodotti industriali (art. 473 c.p.);

 Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 c.p.)

 Frode nell´esercizio del commercio (art. 515 c.p.);

 Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine (art. 516 c.p.);  Vendita di prodotti industriali con segni mendaci (art. 517 c.p.);

Riferimenti

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