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Il rischio reputazionale in banca

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Academic year: 2021

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INDICE

Introduzione 1

1. Dalla reputazione come valore al rischio reputazionale in banca 6

1.1 Cosa si intende per reputazione 7

1.2 Perché costruire una buona reputazione 9

1.2.1 Corporate Social Responsability per le banche 14

1.2.2 Reputazione e Corporate Social Responsability: misurazione e relazioni 17

1.3 Definizione del rischio reputazionale e sue caratteristiche 21

1.4 Determinanti del rischio reputazionale 23

1.4.1 Effetti del rischio reputazionale sulla gestione bancaria 26

1.5 Il percorso della letteratura in materia di rischio reputazionale 27

2. Metodologie di misurazione e del rischio reputazionale 37

2.1 Gestione del rischio reputazionale 39

2.2 Misurazione del rischio reputazionale 45

2.2.1 Analisi qualitative 48

2.2.2 Analisi quantitative 54

2.3 Vantaggi e limiti dei metodi di misurazione 60

3. Definizione di rischio operativo e sue correlazioni con il rischio reputazionale 64

3.1 Rischio operativo come fonte di perdite reputazionali 74

3.2 Come reagisce il mercato all’annuncio di eventi di rischio operativo? 85

3.3 Eventi di rischio operativo con impatti sulla reputazione 93

3.3.1 Rischio reputazionale e conflitto di interessi 95

3.3.2 Le frodi e l’impatto sul rischio reputazionale 98

3.3.3 Reputazione e compliance 101

3.4 Casi di crisi reputazionale 107

Conclusioni 121

Bibliografia 128

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1 Introduzione

La crisi finanziaria che ha colpito l’economia reale ha avuto molte conseguenze imprevedibili per i mercati azionari di tutto il mondo. Essa ha avuto inizio negli Stati Uniti nel 2006 a causa del problema dei mutui subprime anche se, in realtà, i presupposti della crisi risalgono al 2003 quando cominciò ad aumentare in modo significativo l’erogazione di mutui ad alto rischio verso soggetti che in condizioni normali non avrebbero ottenuto credito in quanto non in grado di fornire sufficienti garanzie (coloro che, nel gergo bancario, vengono definiti “soggetti non bancabili”). I fattori che hanno stimolato la crescita dei mutui subprime sono riconducibili, tra l’altro, alle dinamiche del mercato immobiliare statunitense ed allo sviluppo delle cartolarizzazioni. Con riferimento al primo aspetto, a partire dal 2000 e fino alla metà del 2006, negli Stati Uniti, i prezzi delle abitazioni erano cresciuti in maniera costante e significativa generando una vera e propria bolla immobiliare. Tale dinamica è stata favorita dalla politica monetaria accomodante della Federal Reserve (FED) che mantenne i tassi di interesse su valori storicamente bassi fino al 2004. Tassi di interesse bassi equivalevano ad un basso costo del denaro per i prenditori di fondi, ossia per le famiglie che richiedevano mutui ipotecari, finendo così per stimolare la domanda di abitazioni alimentandone ulteriormente i prezzi. La bolla immobiliare rese conveniente per gli istituti di credito la concessione di mutui che, in caso di insolvenza del mutuatario, potevano comunque recuperare il prestito concesso attraverso il pignoramento e la rivendita dell’immobile. Altro elemento che ha favorito la crescita dei mutui subprime è stato lo sviluppo delle operazioni di cartolarizzazione, ossia la possibilità per le banche di trasferire i mutui, dopo averli “trasformati” in titoli, a soggetti terzi (società veicolo) recuperando nell’immediato una parte del credito che altrimenti avrebbero riscosso solo al termine del prestito (10, 20, 30 anni). Le società veicolo, dal conto loro, finanziavano l’acquisto dei mutui cartolarizzati attraverso l’offerta agli investitori di titoli a breve. Consentendo alle banche di liberarsi, sebbene se solo apparentemente, del rischio di insolvenza dei prenditori di fondi, l’operazione portò gli istituti di credito a valutazioni blande circa l’affidabilità della clientela. Ecco quindi che, in un contesto di bassi tassi di interesse, i titoli cartolarizzati sono stati sottoscritti da molti investitori sia in USA che in Europa. Tale circostanza ha creato i presupposti per la trasmissione della crisi dall’economia statunitense alle economie europee. L’effetto complessivo fu una caduta del reddito e dell’occupazione alla quale concorsero la restrizione del credito bancario a famiglie ed imprese, il crollo dei mercati azionari, dei prezzi delle abitazioni ed il progressivo deterioramento delle aspettative del pubblico che si ripercossero su consumi ed investimenti. In Europa, la crisi coinvolse per prima la Northern Rock, quinto istituto di credito britannico specializzato nei mutui immobiliari che, nel settembre del 2007, fu oggetto di una “corsa agli sportelli” da parte di risparmiatori e depositanti. La Banca Centrale britannica procedette alla nazionalizzazione dell’istituto impegnando circa 110

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2 miliardi di sterline. Consistenti piani di salvataggio per istituti di credito in difficoltà vennero predisposti da Belgio, Danimarca, Franca, Germania, Grecia, Lussemburgo, Paesi Bassi. Nel complesso, gli aiuti erogati dai governi alle banche dei rispettivi sistemi nazionali raggiunsero i 3.166 miliardi di euro, sotto forma di garanzie (2.443 miliardi), ricapitalizzazioni (472 miliardi), linee di credito e prestiti (251 miliardi – dati MBRES, 2013). La crisi ha quindi messo in discussione la capacità di tenuta di tutti i comparti della regolamentazione del sistema finanziario, da quella riguardante i requisiti di capitale (essenziali per l’assorbimento dei rischi), ai principi contabili, alla deresponsabilizzazione promossa da Basilea 2 e che Basilea 3 cercherà di limitare e circoscrivere solo a specifici ambiti. Emerge pertanto la necessità di dettare standard più vincolanti in materia di governance bancaria soprattutto per ciò che attiene le politiche di remunerazione dei manager e la gestione dei rischi. È proprio quest’ultima che sembra aver peccato sotto ogni profilo. È sulla base di queste riflessioni che viene quindi ridisegnata in Europa una nuova architettura istituzionale, Basilea 3, volta a promuovere regole armonizzate e prassi uniformi di vigilanza. Oltre a ciò, durante l’inizio della crisi finanziaria, prove empiriche hanno dimostrato che i valori di mercato delle banche non facevano leva sulle attività immateriali, ossia su quegli elementi strategici sui quali fondare il proprio vantaggio competitivo. Mentre la percentuale di questi, in termini di capitalizzazione di mercato (approssimata dal rapporto nel market-to-book ratio, ossia dal rapporto tra il valore di mercato ed il valore contabile del patrimonio netto) era circa il 70 per cento tra il 1990 e il 2007, durante la recessione (2008) scende a meno del 40 per cento, a conferma di come gli effetti della crisi abbiano ridotto i profitti ed il potenziale di crescita delle imprese, danneggiando la fiducia dei clienti, dei dirigenti e la capacità di questi di gestire la banca in modo consapevole. Il rapporto market-to-book ratio di un’impresa indica l'importanza delle attività immateriali rispetto ai beni materiali. Il numeratore, ossia la capitalizzazione di mercato, è una rappresentazione delle aspettative degli investitori per quanto riguarda la somma dei flussi di cassa futuri attualizzati dell’impresa. Dato che queste aspettative eterogenee non sono stabili ma cambiano nel tempo, i valori di mercato (cioè i prezzi delle azioni) aumentano o diminuiscono. L'ipotesi dei mercati efficienti prevede che gli investitori che vengono a conoscenza di informazioni impreviste (cioè di eventi inaspettati) interpretano queste informazioni rispetto alla loro rilevanza in termini di valore, adattando le loro aspettative per quanto riguarda i flussi di cassa futuri che porteranno a decisioni di vendita o di acquisto delle azioni della banca fino a quando un nuovo equilibrio di mercato non viene raggiunto. Ponendo il focus sull’argomento di questa trattazione, ossia il tema della Reputazione aziendale, la questione è capire se la crisi finanziaria si è tradotta in una crisi reputazionale per il sistema bancario. In altre parole, si intende comprendere come la reputazione, asset immateriale e strategico, può contribuire a spiegare questa distruzione di valore per il sistema finanziario. Certamente, banche che sono state in grado di proteggere la loro reputazione e gestire il rischio reputazionale lucidamente, potrebbero essere state meno

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3 colpite dall’impatto negativo che la crisi finanziaria ha avuto sul valore di mercato delle stesse. La reputazione è un fattore fondamentale a causa del forte effetto comunicativo che influenza le percezioni e gli atteggiamenti degli stakeholder. Un eccellente reputazione può aumentare la fiducia dei clienti, spingendoli ad acquistare i prodotti/servizi della banca, incrementando la soddisfazione e la fedeltà degli stessi. Essa consente di reclutare dipendenti di maggior talento e di poter instaurare rapporti commerciali e finanziari di successo. Ancora, agevola l’accesso al mercato dei capitali sia per la maggior facilità di reperimento delle risorse, sia per gli investitori, maggiormente spinti ad investire in banche buone e qualificate dal punto di vista reputazionale. Il miglioramento del livello di reputazione funge da “ricompensa” per gli investitori: essi dovrebbero vedere la reputazione come un elemento di riduzione del rischio assunto con l’investimento. Inoltre, essendo una risorsa difficile da imitare, essa si configura come elemento di differenziazione e di vantaggio competitivo. Il tutto si traduce positivamente sulle prestazioni finanziarie dell’impresa attraverso, ad esempio, rendimenti più elevati, maggior redditività e profittabilità. Così, una buona reputazione può fungere come una “sorta di tampone in tempi di crisi” e la perdita di valore della banca causata dalla crisi finanziaria risulterà inferiore rispetto a quella sperimentata da società che non hanno provveduto, in precedenza, a costruire questo valore. La Reputazione aziendale possiede quindi un valore incrementale che si sostanzia nel poter catturare tutti gli aspetti delle dinamiche finanziarie di mercato che non possono essere pienamente spiegati da pure e semplici metriche contabili. In particolare, la storia ci insegna che la reputazione è il valore rilevante durante uno shock economico. Anche se le banche non sono in grado di eludere l'impatto negativo complessivo della crisi finanziaria, la grandezza di questa influenza dipende per ogni singola società dalle dinamiche della reputazione. Le aziende che sono state in grado di proteggere la loro reputazione da danni derivanti da rischi operativi, di liquidità, legali o di compliance e/o che sono state in grado di migliorare la stessa vengono premiate dagli stakeholder e dal mercato. Una buona reputazione deriva dall’impostazione di una serie di driver che, modificandosi nel tempo, riflettono i cambiamenti nel mondo degli affari e nella società. In tempi moderni questi valori chiave devono includere il richiamo emotivo, la responsabilità sociale ed ambientale dell’impresa, il trattamento dei dipendenti, le prestazioni finanziarie, i prodotti e servizi offerti, la visione e la leadership. Gestire i driver di reputazione non è un compito facile perché si abbraccia la gestione di interessi contrastanti di diversi gruppi di stakeholder e di conseguenza, tale gestione dovrebbe garantire trasparenza, responsabilità, coerenza, autenticità ed affidabilità in tutte le attività e le linee di business della società. Ciascun gruppo di stakeholder può “firmare” una promessa di sostegno o una minaccia per il capitale reputazionale della banca. In questo contesto, anche la Corporate social responsability, quale elemento fondante la reputazione, può essere visto come uno strumento strategico per la gestione del rischio reputazionale, se impostato in un ottica di lungo periodo.

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4 In altri termini, il momento giusto “per costruire uno stock di capitale reputazionale” deve essere prima che la crisi colpisca una società, perché solo così la lunga storia di buona reputazione può sopravvivere i tempi difficili. Tuttavia, sebbene la crisi abbia messo in evidenza la crucialità della variabile reputazionale, il tema della reputazione aziendale ha sempre ricoperto un ruolo centrale nel settore bancario a causa di fattori quali asimmetrie informative, la trasformazione qualitativa del patrimonio, la fornitura di servizi di pagamento e di gestione del rischio che sono in grado di creare un potenziale rischio sistemico con effetti impattanti non solo sul singolo intermediario vigilato ma sull’intero sistema creditizio. Nel settore finanziario, il rischio reputazionale ha attirato ormai dalla fine degli anni novanta l’attenzione di accademici, professionisti e regulator per la sua correlazione con le altre fattispecie rischiose, in particolare con il rischio operativo (si parla infatti di rischio reputazionale come “risk of risks”). Difatti, a causa della deregolamentazione, della privatizzazione e della globalizzazione, le società finanziarie di tutto il mondo hanno sperimentato perdite operative di rilievo i cui impatti si sono riflessi a livello di capitale reputazionale. La causa della crescente esposizione delle banche e degli intermediari finanziari ai rischi operativi si deve perlopiù all’aumento della complessità della gestione aziendale che genera la nascita di nuovi fattori di rischio e/o l’acuirsi di problematiche già esistenti. Valutare l'impatto delle perdite operative sulla reputazione di un'azienda e la sua ricaduta in termini di valore economico, è un compito difficile. Perché il danno reputazionale coincida, almeno in parte, con l'identificazione di una perdita operativa diretta, è necessario identificare precisamente la sua effettiva misura per poter isolare l'effetto reputazionale puro. Quando la grandezza della perdita operativa è nota, la sua identificazione è immediata, ma se rimane qualche incertezza nei confronti dell’ importo totale della perdita - che di solito è il caso in cui l'evento di perdita viene annunciato al mercato - allora la reazione del prezzo delle azioni incorpora l’effetto diretto (operativo) ed indiretto (reputazionale) in proporzioni sconosciute. Si vuole quindi dimostrare che i fatti di gestione (ad esempio, eventi di frodi interne, esterne, interruzioni/disfunzioni nei processi, mancata ottemperanza alle norme) sono in grado di produrre effetti reputazionali sulle istituzioni finanziarie che causano un deprezzamento anomalo dei prezzi delle azioni soprattutto dopo che tale avvenimento viene annunciato al mercato. Sebbene l’emergere di questi eventi abbia portato le banche ad aumentare la propria consapevolezza in termini di rischio operativo (e di conseguenza reputazionale), perdite operative continuano a verificarsi con maggior frequenza ed in tempi di crisi emergono nuovi deficit circa le politiche di gestione del rischio intraprese dalle banche. La forte dipendenza dalla tecnologia dell'informazione, l'automazione, così come la crescente complessità dei prodotti offerti, stanno cambiando l’esposizione delle società finanziarie ai rischi operativi. Questi sembrano attirare l'attenzione dei media e del pubblico anche se le perdite finanziarie che ne scaturiscono a volte sono di piccola entità. Ne deriva che il maggior focus su eventi di rischio operativo può essere particolarmente dannoso per la reputazione

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5 dell'impresa, in particolare se la perdita non è causata da un evento esterno ma deriva da inadempienze e/o negligenze del management bancario. La ragione risiede nel fatto che le conseguenze reputazionali negative a seguito di un evento di rischio operativo, come ad esempio la perdita di clienti o dipendenti, potrebbero essere ben più gravi rispetto all'effetto diretto dalla perdita stessa. Inoltre, la natura multiforme delle perdite operative non solo rende difficile definire il rischio operativo ma, in alcuni casi, è altrettanto arduo tracciare la linea di demarcazione tra il rischio operativo ed il rischio reputazionale. Pertanto, lo scopo del lavoro va oltre la comprensione del concetto di reputazione (comunque ampiamente trattato), di rischio reputazionale e delle opportune metodologie di misurazione e gestione. Esso si occupa anche di indagare il legame con il rischio operativo per comprendere come le perdite reputazionali possono manifestarsi, quali sono le metodologie idonee a quantificarle, quali sono le possibili conseguenze a livello bancario e come il mercato reagisce all’annuncio di eventi di natura operativa. Chiaramente, l’auspicio è quello che le banche arrivino ad implementare misure di gestione dei rischi, non solo operativi e reputazionali, che consentano loro di monitorare, amministrare ed abbattere le fattispecie rischiose soprattutto in una logica ex-ante. Solo con un sistema di risk management puntuale e pervasivo, accompagnato da un adeguato sistema di controllo interno e da una solida struttura di governance societaria, le banche saranno in grado di operare secondo le regole di “sana e prudente gestione” in un’ottica di mantenimento e miglioramento della fiducia e della stabilità del sistema.

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Capitolo 1

Dalla reputazione come valore al rischio reputazionale in banca

“ Ci vogliono vent’anni per costruire una reputazione e cinque minuti per rovinarla. Se pensi a questo farai le cose in modo diverso.” (Warren Buffett, 2010)

La reputazione, “mosaico” di elementi in buona parte intangibili, sta assumendo vitale importanza nel contesto economico ed in particolar modo nel sistema bancario che, per sua natura, si fonda su rapporti di fiducia con i vari stakeholder, clientela compresa. In tale sistema l’insorgere di una perdita reputazionale può determinare danni ingenti arrivando a minarne il funzionamento e, nei casi più gravi, la stessa sopravvivenza. Nel contesto attuale, caratterizzato da forti tensioni, da una concorrenza sempre più agguerrita e da un senso comune di sfiducia che i soggetti, a vario titolo coinvolti nella banca, sembrano riporre in quest’ultima, la questione assume ancor più rilevanza richiamando gli intermediari bancari a prestare maggiore attenzione

alla gestione di tali aspetti e pertanto al conseguimento di una buona reputazione. Il tutto è stato acuito da vari fattori quali la globalizzazione, la deregolamentazione che ha

caratterizzato il sistema bancario prima dell’avvento di Basilea 3, la rapida innovazione nei processi e nei prodotti offerti e lo sviluppo della comunicazione e dei media. Quest’ultima componente rappresenta indubbiamente un’arma a doppio taglio per la banca: se da un lato consente la diffusione delle informazioni in modo veloce e dinamico, dall’altro, sottopone l’istituto di credito ad un controllo costante da parte dei social media dal quale non esiste via di fuga. La banca potrebbe infatti perdere la sua reputazione, non solo per cause interne ma anche per cause di origine esterna dovute ad una “cattiva” fama ottenuta nel mondo di internet. Tuttavia, vi è anche da dire che gli istituti bancari non sono stati esenti da colpe. La gestione del rischio si è rivelata inefficiente, gli affidamenti non sono stati sostenuti da concrete istruttorie sul soggetto da finanziare, le prove di stress testing si sono dimostrate inadeguate e la gestione delle attività si è orientata verso orizzonti temporali di breve termine trascurando quello che doveva essere l’obiettivo guida: la massimizzazione della redditività nel lungo periodo. E’ perciò evidente quanto i comportamenti posti in essere dagli intermediari bancari abbiano non solo contribuito all’insorgere dell’emorragia verificatasi nel sistema finanziario negli ultimi anni, ma vadano anche in contrasto con la loro funzione di gestori del denaro altrui e di fautori di beni e servizi a favore della clientela. I servizi forniti infatti, sono in gran parte di natura immateriale, intangibile, e le operazioni finanziarie si fondano principalmente sulla fiducia che il cliente ripone nell’intermediario. La fiducia si identifica sia come prerequisito che come conseguenza della relazione tra banca e controparti interessate e, allo stesso tempo, come un importante elemento alla base del funzionamento del sistema bancario. Fattore imprescindibile senza il quale l’attività di una banca difficilmente riuscirà a crescere nel tempo.

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7 Da qui l’esigenza di prestare il massimo interesse agli aspetti reputazionali che gravitano intorno alla banca per gestire la reputazione come sinonimo di valore, di credibilità, di “capacità di stare sul mercato”, di affidabilità e di onorabilità intesa come rispetto degli impegni assunti. Una reputazione così impostata potrà determinare, nel tempo, importanti vantaggi competitivi rispetto alla concorrenza e di conseguenza adeguati livelli di liquidità e di redditività, due aspetti che purtroppo ad oggi stentano a riaffiorare come dovrebbero.

1.1 Cosa si intende per reputazione

La reputazione è un concetto piuttosto complesso da definire e quantificare e pertanto risulta complicato assegnare alla stessa un valore in termini monetari. La reputazione è una pregiata e altamente vulnerabile risorsa aziendale. Nella letteratura sono state varie le ricerche e le interpretazioni fornite al riguardo, per lo più dovute alla volontà di indagare circa la natura pragmatica ed intangibile di tale componente. Non vi è infatti un accordo generale sulla definizione di reputazione; alcuni studiosi la classificano come un bene immateriale – “intangible asset”, altri ritengono invece possa essere rappresentata dall’insieme di credenze, impressioni e conoscenze che i vari stakeholder nutrono nei confronti della banca. Altri ancora (tra i quali Fombrun, 2012) identificano nella reputazione la rappresentazione delle azioni passate della società e delle sue prospettive future e, più in generale, una valutazione circa la capacità della banca di attrarre clienti rispetto ad un gruppo di società di riferimento con le quali l’istituto in questione compete. Per comprendere al meglio il concetto in esame si ritiene opportuno fornire un elenco delle principali definizioni di reputazione date nel corso degli anni:

1. “La reputazione è la rappresentazione percettiva delle azioni passate di una società e delle sue prospettive future che ne descrive il suo appeal globale di fronte ai propri stakeholder e rispetto ai concorrenti” (Fombrun, 1996). Dalla definizione emergono tre elementi chiave della reputazione:

 Natura percettiva della reputazione e quindi il fatto che essa scaturisce dalle credenze e dai giudizi che i vari stakeholder ripongono nell’organizzazione  Essa comprende un aggregato di percezioni derivanti dalle valutazioni delle

diverse controparti interessate

 Visto che le percezioni non possono essere valutate in modo chiaro e preciso, esse devono essere confrontate nel tempo e tra i concorrenti del sistema finanziario (Walker, 2010).

2. “La reputazione è una valutazione collettiva circa l’attrattività di una società da parte di uno specifico gruppo di soggetti interessati rispetto ad un gruppo di società di riferimento con cui la società in questione compete” (Fombrun, 2012). Si parla quindi di diversi stakeholder a cui si ricollegano diverse percezioni e quindi differenti valutazioni circa la reputazione

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8 aziendale. In questo senso si muovono anche altri studiosi, tra cui Walker (2010), che vede la reputazione come un problema specifico o meglio un insieme di questioni specifiche che possono causare diversi giudizi da parte del pubblico. Queste questioni attengono:

 Alla redditività della banca  Alla responsabilità ambientale

 Alla responsabilità sociale (Corporate Social Responsability – CSR)  Al trattamento dei dipendenti

 Alla corporate governance

 Alla qualità dei prodotti/servizi offerti

3. “La reputazione è una rappresentazione percettiva di un aggregato di questioni specifiche relativamente stabile (essa può deteriorarsi a causa di eventi di rischio reputazionale) delle azioni passate della società e delle prospettive future della stessa comparate di alcuni standard come, ad esempio, il confronto del comportamento dell’impresa nel tempo (Walker, 2010).

Si tratta quindi di una variabile ineliminabile e mutevole che, dipendendo da diversi fattori dell’attività bancaria, può deteriorarsi rapidamente a causa dell’insorgere di eventi di rischio reputazionale. Tuttavia, tra le definizione date, a mio avviso, la più completa è quella di Bennett and Kottasz (2000) secondo cui: “ La reputazione di un’ organizzazione è la fusione di tutte le aspettative, percezioni ed opinioni sviluppate nel tempo da clienti, impiegati, fornitori, investitori e vasto pubblico in relazione alla qualità dell’organizzazione, alle caratteristiche, ai comportamenti che derivano dalla personale esperienza, dal sentito dire o dall’osservazione delle azioni passate dell’organizzazione “. Dalla definizione emerge innanzitutto la natura poliedrica della reputazione, ossia la possibilità che essa possa assumere connotazioni differenti a seconda dei portatori di interesse che ad essa ricollegano percezioni, esigenze ed opinioni. Difatti, quando parliamo di “reputazione finanziaria” (o reputazione aziendale) ci riferiamo ad un concetto multidimensionale che non solo si differenzia a seconda del gruppo di stakeholder indagato, ma risulta persino influenzato dall’esperienza che questi ultimi hanno avuto con la banca. La reputazione affonda le proprie radici nei comportamenti e nelle azioni intraprese dall’organizzazione bancaria; è una variabile che si costruisce nel tempo e che non può essere trascurata durante lo svolgimento dell’attività. Il raggiungimento di una reputazione solida e duratura nel tempo, non solo è alla base dell’ottenimento di vantaggi competitivi rispetto ai concorrenti, ma porta la banca ad ottenere ritorni positivi dalle performance finanziarie che, senza dubbio, sono fortemente correlate alla reputazione della società e di conseguenza all’insorgere di eventi di rischio reputazionale. Inoltre una buona reputazione attrae investitori, migliora la posizione di mercato facilitando anche la raccolta di capitale ed agevola le negoziazioni e le relazioni con le controparti interessate.

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9 Ecco i motivi per i quali il ruolo della reputazione sta assumendo sempre più importanza all’interno del sistema creditizio, un sistema che ha la necessità, più di altri, di individuare le fonti e i driver reputazionali per poterli gestire e monitorare. Tale esigenza rispecchia anche l’attenzione che il regulator ha posto sul tema, occupandosi, come vedremo nel seguito della trattazione, di dar vita ad una chiara e puntuale definizione di rischio reputazionale configurandolo come un vero e proprio rischio, rientrante nel secondo pilastro di Basilea 2 prima e Basilea 3 oggi.

1.2 Perché costruire una buona reputazione

Il ruolo della reputazione nell'attività bancaria è un aspetto che il settore creditizio ha iniziato ad affrontare con maggiore attenzione soprattutto a seguito della profonda recessione che sta caratterizzando l’economia reale ormai da diversi anni. Che la reputazione rappresenti un elemento di notevole importanza per le banche è indubbio; Munari (1988) sosteneva che la scelta dei servizi da parte dei consumatori, in particolare quella dei servizi finanziari, si basa prevalentemente su qualità di esperienza e su qualità fiduciarie; Draghi (2006) confermò l’assunto che i rapporti bancari si fondano sulla fiducia; Cesar (2008) affermò che la “fiducia” è la “componente reputazionale di lungo periodo sulla quale è possibile costruire relazioni stabili con gli stakeholder”. Costruire una reputazione forte e solida può richiedere molti anni; se raggiungere elevati valori nel brand aziendale può richiedere ingenti sforzi da portare avanti nel tempo, perderli può essere molto più semplice in conseguenza della cattiva gestione bancaria degli elementi reputazionali, per eventi di rischio operativo, di liquidità o di altra natura rischiosa. Ebbene, mentre la maggior parte delle imprese non finanziarie sono probabilmente giunte prima ed in modo autonomo a questa conclusione - e quindi al fatto che la reputazione rappresenta un fattore strategico sul quale lavorare assiduamente - le società finanziarie sono guidate da un programma di regolamentazione che richiede (o comunque dovrebbe richiedere) al regulator di attuare un regime di vigilanza in grado di generare e preservare la fiducia del pubblico e la stabilità del sistema finanziario attraverso una guida sulle modalità di gestione del rischio reputazionale. Questo perché le imprese hanno bisogno di prendere consapevolmente provvedimenti per garantire che i loro processi di gestione del rischio siano adeguati per la gestione della fattispecie reputazionale. La problematica principale per la gestione della reputazione è capire se il rischio reputazionale rappresenta di per sé un rischio o se è il risultato/conseguenza di altri rischi. Quest'ultima è facile da spiegare se si considerano, a titolo esemplificativo, i seguenti scenari. A causa di un guasto o un malfunzionamento dei sistemi vi è un ritardo nei pagamenti. Questo potrebbe portare ad un potenziale danno di reputazione derivante da una copertura mediatica negativa, dalla perdita di affari nuovi o già esistenti. Notizie negative circa la forza finanziaria di una banca, dovute, ad esempio, a perdite nella sua

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10 divisione di investment banking, si traducono in un malcontento della clientela che, nei casi più gravi, può condurre gli stessi ad una chiusura dei loro conti di deposito. In entrambi i casi è evidente che la causa della perdita non è di matrice reputazionale ma l’effetto finale di tali manifestazioni (rischio operativo e di liquidità) si riverbera sulla reputazione dell’istituto di credito. In altre parole, l’impatto reputazionale si manifesta sotto forma di perdita di attività. Esso è guidato dalla pubblicità negativa che deriva dal malfunzionamento della gestione, dall’inadeguatezza delle procedure e/o dall’inosservanza delle regole per la sana e prudente gestione. La reputazione è il risultato del valore sostenibile creato dall’impresa che nasce dai rapporti che la banca ha con i propri stakeholder. Essa costituisce una forma di comunicazione sulla qualità dei servizi della banca (Engert, 2002). Pertanto, la costruzione di una buona reputazione si rivela fondamentale sotto diversi profili. In primo luogo la reputazione deve essere intesa come capacità di stare sul mercato (o su definiti segmenti di mercato) e come coerenza nel rispondere alle aspettative di una pluralità di soggetti. In questo caso la variabile reputazionale diventa elemento intangibile come vantaggio competitivo, come elemento di differenziazione rispetto alla concorrenza (Sisto et al., 2006). Secondariamente, essa è sinonimo di fiducia, di credibilità, ossia di capacità di garantire adeguati standard di prodotto. Il contenuto fiduciario e la difficoltà di garantire gli standard crescono con la complessità dei prodotti e con l’allargamento dell’offerta, mentre i costi della mancata reputazione aumentano con l’ampliarsi dello spettro di attività (despecializzazione) e con l’aumento delle asimmetrie informative nelle transazioni di mercato. Ad oggi tale aspetto risulta amplificato data la crescente complessità dell’organizzazione bancaria, non solo dal punto di vista dei prodotti/servizi offerti ma anche sotto l’aspetto gestionale, sempre più accurato, pervasivo e blindato dagli interventi della Vigilanza. Infine, si parla di reputazione come attitudine ad essere “compliant” rispetto ad una pluralità di regolamenti e sistemi normativi. L’articolazione e la complessità dell’impianto regolamentare (con Basilea 2 prima e Basilea 3 oggi) enfatizzano il ruolo del regulator come stakeholder verso il quale misurare la coerenza dei comportamenti e delle aspettative (Tanzi, 2009). L’esposizione al rischio reputazionale degli intermediari bancari presenta quindi importanti connessioni con le scelte strategiche relative all’articolazione del business e al contenuto dei prodotti, con le soluzioni organizzative a sostegno delle strategie prescelte nonché con la coerenza delle scelte aziendali rispetto al sistema normativo. Questo perché la gestione del rischio reputazionale poggia sull’interazione continua tra risk management e organi responsabili delle strategie aziendali con il fine di monitorare la sensibilità del portafoglio di business al rischio reputazionale, di incorporare correttamente tale fattispecie rischiosa (e le componenti di costo) nella misurazione dei rischi e di sviluppare metriche di misurazione (o mix di approcci) credibili e solidi (presumibilmente diversi per banche con differenti profili di business e posizione di mercato).

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11 Tuttavia, i diversi scandali che hanno colpito il sistema finanziario negli ultimi anni hanno creato un generalizzato declino di fiducia e ne sono riprova le numerose indagini di mercato effettuate da alcuni prestigiosi istituti di ricerca; ad esempio il Reputation Institute ha visto l’indice reputazionale contrarsi di circa il 4% dal 2012 al 2013. È necessario pertanto domandarsi cosa significa reputazione, a quali rischi ci espone e quali sono i benefici che si ottengono da un adeguato raggiungimento della stessa. Probabilmente se ad una persona venisse richiesto di definire la parola “reputazione” penserebbe ad una situazione che ha provocato un qualche danno di immagine. Il centro studi sulla reputazione (CeSAR) ne dà la seguente definizione: “La reputazione è un giudizio complessivo su un’organizzazione, dato da coloro che, in modo diretto o indiretto, ne influenzano l’operato (portatori di interesse). Cosa può influenzare questo giudizio? L’elemento fondante è ancora una volta la fiducia che un soggetto ripone nei confronti della banca che permette la costruzione di rapporti duraturi e la promozione di un business sicuro e profittevole. CeSAR definisce la fiducia come la componente reputazionale di lungo periodo sulla quale è possibile costruire relazioni stabili con i vari stakeholder. In generale, i vantaggi generati dalla reputazione sono normalmente riconducibili ai seguenti fattori:

– Capacità di condizionare il livello di contendibilità del mercato – Capacità di comunicazione sulla qualità dei servizi dell’impresa – Capacità di attrazione delle migliori risorse umane

– Capacità di attrazione degli investitori

– Capacità di accedere alle migliori condizioni al mercato dei capitali

Una migliore comprensione del ruolo della reputazione serve per creare maggior valore finanziario oltre che un beneficio per gli operatori, in particolare, per i manager e dipendenti che operano all’interno dell’organizzazione. Inoltre, questo maggior valore può essere fonte di maggiori profitti e più elevate performance finanziarie. Riguardo a questo è opportuno domandarsi come può la reputazione portare a maggiori profitti. Sebbene la domanda sia semplice, sembra difficile dare una risposta. Al riguardo, Sabate and Puente (2003) suggeriscono che la ragione principale di questa difficoltà risiede nella mancanza di una spiegazione teorica di causa ed effetto. La questione chiave è capire se una buona reputazione porta al raggiungimento di maggiori profitti (e di conseguenza di migliori performance finanziarie) o se l’ottenimento di elevati profitti conduce ad una buona reputazione aziendale. Certamente, la creazione di una migliore reputazione aziendale conduce alla creazione di valore per gli azionisti, sapendo che c'è oltre ad una ricompensa finanziaria per l’investimento, il mantenimento di una buona reputazione aziendale rappresenta una buona notizia per le aziende, per i loro investitori, e per gli altri partner commerciali e finanziari. Tuttavia lo studio preso in esame si limita a confermare il legame tra reputazione e profitti ma non ad

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12 ammettere il contrario. Sembra infatti che l’ottenimento di elevati profitti derivanti dalle varie unità di business della banca non si traduca necessariamente in un aumento/consolidamento della variabile reputazionale. Ora, anche se ci possono essere diverse ragioni alla base di tali discrepanze (misure utilizzate per valutare profitti e reputazione, tipologia di intervistati, modelli di ricerca utilizzati) gli autori giungono alla conclusione che probabilmente non vi è una relazione bidirezionale che consenta di considerare certo tale rapporto e per questo resta necessario promuovere attività per lo sviluppo di una migliore reputazione. Tuttavia, prendendo un altro studio (Roberts and Dowling, 2002) si notano interessanti conclusioni che permettono di capire la relazione causa – effetto tra profitti e reputazione. Questo studio, analizzando la reputazione aziendale e finanziaria delle aziende incluse nella classifica Fortune tra il 1984 ed il 1998 conferma invece il nesso biunivoco tra la reputazione e i profitti. Inserendo come variabili per valutare il grado di reputazione di un istituto di credito la “solidità finanziaria” ed il “valore degli investimenti” vi è la prova dell’ipotesi che una buona reputazione spinge la banca verso una maggiore profittabilità. L'ipotesi è che vi sia piuttosto un rapporto biunivoco, un rapporto a due parti. Entrambe le variabili (reputazione e profitti) sarebbero contemporaneamente in grado di guidare le banche verso il raggiungimento di performance finanziarie sopra la media. Gli effetti agiscono in qualche modo all'unisono. Pertanto, il modo per le aziende bancarie di raggiungere prestazioni finanziarie superiori e sostenute nel tempo è quello di investire per raggiungere una maggiore profittabilità ed essere percepite come affidabili e credibili. Una buona reputazione aziendale contribuisce altresì ad aumentare il fatturato attraverso i seguenti meccanismi:

- Aumento delle dimensioni della base clienti, dove la dimensione, il numero di clienti rappresentano il numero di clienti fidelizzati

- Aumento del volume acquistato da ciascun cliente

- Aumento del prezzo da poter applicare sui prodotti e servizi, specie se competitivi

- Rafforzamento della soddisfazione del cliente cercando di contrastare gli episodi di insoddisfazione

La logica è semplice: una buona reputazione aziendale rende psicologicamente più facile per un consumatore scegliere (per esempio, riducendo la percezione del rischio, e/o per fattori valutativi ed emotivi), e / o agire con una società che esalta il valore complessivo del proprio prodotto o servizio. Ancora, una migliore reputazione comporta effetti positivi sul marchio aziendale potendo sfruttare tale risorsa (brand equity) per il lancio di nuovi prodotti e servizi, per entrate in nuovi mercati, per ottenere più facilmente le risorse e così via. Inoltre, un buon marchio aziendale (e la reputazione) è spesso responsabile di incrementare la fedeltà dei clienti, aiutando a produrre una base di vendite più stabile, riducendo così la varianza delle vendite quando le condizioni economiche mutano negativamente. Una buona reputazione agisce anche come garanzia di esecuzione per le aziende che hanno messo la loro reputazione a rischio

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13 consentendo loro di negoziare migliori condizioni commerciali rispetto ai concorrenti. Varie ricerca dimostrano altresì che le aziende dotate di una reputazione solida e duratura nel tempo godono di un periodo di sostenuta redditività rispetto a quelle con livelli di reputazione più deboli. Vale a dire che una buona reputazione aziendale contribuisce a prolungare la profittabilità. In questo modo la banca risulterà anche meno rischiosa per gli investitori e le altre parti interessate che intrattengono una relazione fiduciaria con la stessa. Buone aziende, dal punto di vista reputazionale, possono puntare ad emettere azioni ad un prezzo iniziale più elevato allo scopo di far guadagnare i loro proprietari facendo affidamento sulla credibilità che hanno ottenuto sul mercato. Si è quindi spiegato come la reputazione aziendale può contribuire a migliorare il valore intrinseco di una società ed il suo valore di mercato. Tuttavia, prove empiriche suggeriscono che vi è stato un cambiamento nella dimensione e nella natura delle responsabilità percepite dalle banche nel mercato in cui operano. Questo spostamento pone dilemmi strategici significativi per la gestione aziendale. Le banche infatti sono costrette a prendere decisioni riguardanti il tipo e il grado di responsabilità che hanno nei confronti delle parti interessate, come i clienti, i dipendenti e l'ambiente di riferimento. Queste responsabilità devono essere poi bilanciate con coloro che hanno interessi finanziari diversi come gli investitori e i creditori. Chiaramente questo compito sarebbe meno complicato se si potesse essere certi che l’obiettivo di soddisfare le aspettative degli attori sociali contribuisca direttamente alla salute finanziaria dell'organizzazione e quindi alla sua reputazione. Ecco che negli ultimi anni i professionisti e gli accademici sono diventati sempre più interessati al fattore reputazione collegato al concetto di responsabilità (Fombrun, 2005; Brammer and Pavelin, 2006). Ciò è dovuto al fatto che elementi di responsabilità (standard di Corporate social responsability, sviluppo di rapporti fiduciari con le parti interessate) sono visti come fattori chiave della reputazione. D'altra parte, le questioni relative alle responsabilità di un business sono gli attributi chiave con cui si giudica la reputazione di un'organizzazione. Schnietz and Epstein (2005), per esempio, identificano la responsabilità sociale come una dimensione fondamentale della reputazione; Tucker and Melewar (2005) vedono la responsabilità sociale come un elemento critico della reputazione rilevante per la gestione delle crisi e Lindgreen and Swaen (2005) sostengono che le questioni relative alla responsabilità sono incorporate all'interno delle relazioni funzionali che sono alla base delle attività di business. Essi suggeriscono che ci sarà una significativa sovrapposizione tra la reputazione della banca ed il suo impegno in termini di responsabilità sociale. Rimane comunque poco chiaro come la reputazione e la responsabilità sociale interagiscono. È il comportamento socialmente responsabile dell’impresa che determina buoni livelli di reputazione (ossia la responsabilità sociale precede la reputazione) oppure i due aspetti sono concatenati ed integrati tra loro? La reputazione aziendale è un concetto multi-stakeholder che si riflette nelle percezioni che le parti interessate hanno di un'organizzazione (Smidts et al., 2001). Il fatto è che esistono tante

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14 “reputazioni” quanti sono i vari gruppi di stakeholder. Ad esempio, la reputazione che la banca vanta nei confronti dei propri dipendenti è certo avere un impatto sulla reputazione verso i clienti e i risparmiatori (Carmeli, 2005). Quindi, quando si gestisce la reputazione aziendale, le organizzazioni devono, o quantomeno dovrebbero, tener conto non solo dei loro rapporti con le parti interessate, ma anche controllare come le percezioni di alcuni soggetti interessati influenzano le credenze degli altri.

1.2.1 Corporate Social Responsability per le banche

Il tema della responsabilità sociale delle imprese è cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi dieci anni tanto che un numero sempre maggiore di aziende si sta impegnando per definire ed integrare la Corporate social responsability in tutti gli aspetti dell’attività. A questo si aggiunge la crescente domanda di trasparenza da parte del regulator e degli stakeholder al fine di spingere le imprese a misurare, migliorare e comunicare continuamente le loro performance economiche e sociali. McWilliams and Siegel (2001), nel loro studio, definiscono la Corporate Social Responsability - CSR come “l’insieme delle azioni atte al raggiungimento del successo commerciale in modo che vengano onorati i valori etici e siano rispettate le persone, le comunità e l'ambiente di riferimento.” Gli autori descrivono la CSR come “ l’insieme delle azioni che conducono al conseguimento di un bene sociale, al di là dell'interesse della società e di ciò che è richiesto dalla legge.” Una società socialmente responsabile dovrebbe fare un passo avanti ed adottare politiche e pratiche commerciali che vadano oltre i requisiti minimi di legge e che contribuiscano al benessere delle sue principali parti interessate. La CSR è vista quindi come una serie completa di politiche, pratiche e programmi che sono integrati in operazioni di business, processi decisionali e che includono le questioni legate all'etica del business, agli investimenti per gli stakeholder, alla governance societaria e al mercato. Ogni banca si differenzia nel modo in cui attua tale modalità dato che le differenze dipendono da fattori quali la dimensione della società, la cultura d'impresa e le richieste delle parti interessate. Per una implementazione di successo è fondamentale che i principi della Corporate Social Responsability siano parte integrante dei valori culturali della banca, del suo processo di pianificazione strategica, e che vi sia il pieno coinvolgimento del management e dei dipendenti. Il tutto deve risultare in linea con gli specifici obiettivi aziendali della società e con le sue competenze di base. Ciò che ci preme in questa fase è dare una risposta ad una serie di interrogativi in merito alla responsabilità sociale d’impresa, ossia: la Corporate Social Responsability influenza la redditività delle imprese? È possibile stabilire un legame tra la performance sociale dell’impresa e la performance finanziaria? In altre parole, l’ottenimento di adeguate performance sociali può essere tradotto in un vantaggio competitivo per la banca o al contrario aumenta i costi a scapito di un maggior guadagno monetario?

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15 Per cercare di dare una risposta a questi quesiti partiamo dalla definizione di responsabilità sociale di impresa e dalle modalità di misurazione della stessa. La Responsabilità sociale d’impresa, meglio conosciuta come Corporate Social Resposability (CSR) può essere definita come una modalità di gestione strategica dell’impresa che si realizza attraverso una logica multi-stakeholder di attenzione sia agli azionisti che ad altri interlocutori della banca: clienti, dipendenti, investitori, fornitori, mercato di riferimento. La Corporate Social Responsability promuove una concezione dell’impresa orientata al profitto ed all’economicità della gestione e, allo stesso tempo, consapevole degli effetti che la propria attività può generare sui diversi interlocutori e di come questi ultimi possano a loro volta influenzare la performance globale dell’impresa, il suo successo e la sua sostenibilità nel tempo. Si tratta in sostanza di un sistema di principi, di processi, di politiche e programmi che si riferiscono ai rapporti sociali della società, i cui effetti vengono traslati sulle percezioni ed i comportamenti degli stakeholder. Come Campbell (2007) fa notare, il comportamento socialmente responsabile delle imprese può assumere connotati differenti in luoghi differenti per soggetti diversi in momenti altrettanto diversi. Peloza e Papania (2008) suggeriscono che una delle ragioni del legame incoerente e poco chiaro tra Corporate Social Responsability e performance finanziaria dell'azienda riguarda proprio le valutazioni dei vari soggetti circa le diverse attività intraprese dalla banca. Lo scopo di questa sezione è quello di comprendere come l’impostazione di attività socialmente responsabili può creare valore per un istituto di credito. E’ indubbio che le percezioni positive degli stakeholder circa le attività in oggetto siano strumentali per l’ottenimento di ritorni finanziari positivi e per creare un impatto sociale e/o ambientale altrettanto proficuo (Bhattacharya et al 2009; Peloza, 2009). Questo perché le attività di Corporate Social Responsability sono, prima di tutto, attività di costruzione di relazioni con le parti interessate. Tale modalità, se vogliamo, si inserisce in un processo di scambio tra la banca che si impegna ad offrire un prodotto/servizio di valore e i vari stakeholder, che si concluderà solo nel momento in cui questi ultimi avranno l’effettiva percezione del valore creato. Attività di Corporate Social Responsability sono state adottate sulla base della crescente evidenza che i consumatori sono disposti a dare incentivi alle imprese socialmente responsabili. Ad esempio, i consumatori saranno disposti a pagare prezzi più elevati per i prodotti offerti da una società “etica”, a cambiare banca per sostenere quella maggiormente attiva a livello sociale o ad acquistare prodotti semplicemente perché l’azienda sostiene cause benefiche. Sostenere un’attività di Corporate Social Responsability non colpisce solo l’ ”acquisto delle motivazioni” ma anche la valutazione che il pubblico attribuisce all’istituto finanziario. Certamente adottare principi di CSR comporta dei costi per le imprese riguardanti ad esempio, il cambiamento della struttura di gestione o l’attuazione di controlli di maggior qualità. Per tale motivo è necessario considerare, con la dovuta attenzione, i benefici che ne potrebbero scaturire al fine di porre in essere una pratica di business sostenibile. Indaghiamo quindi sui vantaggi che le banche potrebbero

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16 ottenere dall’impostazione di un adeguato processo di Corporate Social Responsability. In primo luogo, le aziende socialmente responsabili sperimentano una migliorata reputazione ed immagine (miglioramento del brand). Questo beneficio non si limita soltanto al rapporto con la clientela, sicuramente spinta all’acquisto nel caso di banche con elevati brand, ma anche con riferimento al mercato attraverso la maggior capacità di attrarre capitali ed istaurare relazioni profittevoli con i diversi partener commerciali e finanziari. Sicuramente, la reputazione è elemento difficile da quantificare e misurare e lo è ancor di più nel caso in cui aumenta il valore aziendale. Essere socialmente responsabili significa ridurre le probabilità di rischio legate ad eventi negativi rari. Infatti, i rischi legati alla Corporate Social Responsability possono essere raggruppati in tre categorie: corporate governance, rischio ambientale ed aspetti sociali. Le aziende che perseguono tale obiettivo non solo risultano maggiormente trasparenti agli occhi del mercato ma si dotano anche di sistemi di controllo interno maggiormente rigorosi che, sebbene più costosi, consentono loro di individuare con celerità eventuali rischi da gestire e coprire. Beneficiandone la reputazione, le banche dovrebbero sperimentare una crescita degli utili più stabile accompagnata da rendimenti continuativi nel tempo ( e quindi minore volatilità). Ancora, valide iniziative in materia di responsabilità sociale d’impresa, portano ad una riduzione dei costi di gestione, motivando i manager a rivedere le loro pratiche commerciali per cercare di operare in modo più efficiente. Il tutto si ripercuote anche nel rapporto con i dipendenti bancari, magari disposti ad accettare una retribuzione inferiore, per lavorare in società finanziarie con una buona reputazione anche in termini di Corporate Social Responsability. I dipendenti, molto spesso valutano la reputazione di una banca per stabilire se i valori di quest’ultima sono o meno in conflitto con i propri. Non sono stati pochi i casi ( basta vedere i fatti di dissesto operativo delle banche negli ultimi anni) in cui i dipendenti vengono “invitati”, sotto la spinta dei propri supervisori, a trascurare le leggi e/o i regolamenti interni al fine di ottenere un maggior profitto. Queste pratiche non solo creano della paura nei luoghi di lavoro ma danneggiano la fiducia dei dipendenti, la lealtà ed il loro impegno nella società. Le aziende che invece formano, motivano ed incentivano i propri dipendenti sperimentano anche un aumento della produttività. Sebbene tali pratiche siano costose, l’aumento della produttività e della fiducia dei dipendenti comporta un’inevitabile miglioramento nella qualità dei prodotti e servizi che si traduce in flussi di cassa positivi in grado di coprire i costi associati. Pertanto, una volta indagati i vantaggi derivanti da strategie in materia di responsabilità sociale, si cerca di capire qual è l’effettivo legame che intercorre tra la reputazione e la Corporate Social Responsability e come questo influisce sulle performance della banca.

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17 1.2.2 Reputazione e Corporate social responsability: misurazione e relazioni

Per migliorare e gestire al meglio la reputazione aziendale è necessario comprendere come misurare questo asset. Una banca non può pensare di incrementare il proprio capitale reputazionale se prima ancora tale variabile non viene misurata. Dato che questo tema sarà ampiamente trattato nel successivo capitolo della trattazione, si ritiene opportuno concentrarsi sulle metriche da poter utilizzare per misurare la responsabilità sociale delle imprese. Esse sono sostanzialmente mirate ad esprimere una valutazione sintetica della performance etica della società. Per quanto riguarda il sistema bancario, focus del presente studio, le soluzioni più utilizzate possono essere distinte in due categorie:

 Rating etici: vengono elaborati consultando agenzie di rating esterne (ad esempio Eiris, SAM, KLD, Vigeo, Calvert, Accountability Rating). Il rating etico è assimilabile al voto che tutti conosciamo che sintetizza il grado di solvibilità di una banca. Di fatto il rating etico si differenzia per il fatto che pone l’accento sulle prestazioni sociali dell’impresa prescindendo dall’aspetto economico-finanziario. Esso rappresenta una sorta di barometro dell’intensità con la quale una banca mette in atto strategie e politiche in materia di Corporate Social Responsability. Perché una società possa rientrare in questa valutazione deve essere in possesso di determinati criteri, la cui verifica avviene tramite la somministrazione di un questionario e l’analisi dei documenti societari (Turker, 2009). L’analisi prende come riferimento anche le informazioni provenienti dall’Autorità di vigilanza, dai media e da altri canali di comunicazione. Gli standard di valutazione possono variare ampiamente sia in relazione al tipo di approccio adottato dall’agenzia di rating sia in relazione al tipo di punteggio che verrà elaborato. Nello specifico, si può distinguere due tipologie di metodi:

1. Rating etici multi-dimensionali: mirano a valutare contemporaneamente molteplici dimensioni della responsabilità sociale di impresa. Esempi sono l’indice RepRisk e i “rating ESG” emessi da KLD che accertano allo stesso tempo le prestazioni sociali e di governance della società, nonché le prestazioni ambientali. Un valore alto dell’indice riflette un basso livello di responsabilità sociale dell’impresa.

2. Rating etici mono-dimensionali: si limitano a valutare le prestazioni ambientali della società.

La valutazione finale può essere espressa da un punteggio numerico o da un giudizio sintetico. Solitamente i punteggi possono essere visualizzati; solo in poche circostanze viene pubblicata la classifica priva dei punteggi assegnati alle singole società. Il problema tuttavia, è che allo stato attuale non vi è una vasta gamma di soluzioni per la valutazione del grado di moralità di un’organizzazione. Infatti, in alcuni casi, una società può essere esclusa dalla classifica del

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18 rating etico nonostante sia ancora giudicata “buona” dal mercato. Inoltre, l’approccio utilizzato varia a seconda delle agenzie di rating considerate e dei criteri e sistemi di ponderazione adottati. Per questi motivi è stato sviluppato il progetto “Global Initiative for sustainability ratings” con l’obiettivo di definire un modello standard di elaborazione del rating etico che può essere condiviso ed accettato a livello internazionale.

 Indici etici, composti da gruppi di titoli di società quotate caratterizzate da elevate prestazioni etiche. Essi vengono prodotti da società specializzate nella creazione e nella gestione di indici di borsa che, per il caso in questione, sono generalmente assistite da un’agenzia di rating etico esterno (Soana, 2011; Goss and Roberst, 2011). In questo caso la misura di moralità di una banca si accerta semplicemente verificando che la stessa sia presente sull’indice etico selezionato. Gli indici azionari etici rappresentano uno strumento importante di etica degli affari – Social Responsable Investment e questo perché, confrontandoli con gli indici tradizionali, si è in grado di verificare le prestazioni che il settore può offrire. Inoltre, come strumento di misurazione della Corporate Social Responsability, gli indici etici consentono di identificare e ravvisare nell’immediato le imprese più etiche, senza fornire una misura sintetica del loro livello di responsabilità sociale, fungendo da riconoscimento delle attività sociali dell’impresa. Per quanto invece attiene alla metodologia, essi sono costruiti nello stesso modo dei precedenti, ossia sulla base di una combinazione di criteri positivi e negativi. Mentre questi ultimi mirano ad escludere le aziende che operano in settori in contrasto con principi di moralità e responsabilità, i criteri positivi valutano l’impegno della società in termini ambientali, sociali e di governance. Per ottenere una valutazione completa è necessario confrontare gli indici etici con quelli tradizionali al fine di confrontare le prestazioni sociali e finanziarie per far sì che esse risultino eque e corrette. Infine, anche in questo caso, è possibile distinguere due fattispecie:

1. Indici etici multi-dimensionali: vengono utilizzati per valutare le performance sociali della società sotto diversi aspetti tra cui l’ambiente, le relazioni con gli stakeholder ed il sistema di governance societaria.

2. Indici etici unidimensionali: si riferiscono ad un solo aspetto della performance sociale dell’impresa (prestazione ambientale o struttura di governance).

Elencate le metodologie utilizzate per la valutazione della Corporate Social Responsability, l’intento è comprendere il legame tra la reputazione aziendale ed il tema della responsabilità sociale d’impresa anche in un ottica di approccio integrato. Un aspetto che sicuramente unisce i due elementi riguarda il numero di metriche proposte in letteratura che, se da un lato dimostra il grande interesse in materia, dall’altro comporta anche un certo grado di incertezza (Carreras et al., 2013). La molteplicità delle metodologie a disposizione presuppone la necessità di compiere

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19 una scelta verso la soluzione più adeguata in relazione alle esigenze della singola banca. Ciò che emerge a primo impatto sono sicuramente i criteri utilizzati per la valutazione delle due variabili che risultano pressoché identici. In altre parole, sia la reputazione che la Corporate Social Responsability analizzano i medesimi aspetti dell’attività bancaria, ossia la governance societaria, la qualità del prodotto/servizio offerto, il livello di innovazione aziendale, la cultura bancaria. In molti casi infatti, la Corporate Social Responsability è compresa tra i fattori fondanti la reputazione a causa anche della forte correlazione con il capitale reputazionale. Allo stesso modo, si include la reputazione come dimensione etica da analizzare nel momento in cui si costruisce un indicatore di responsabilità sociale. Questa sovrapposizione dovrebbe condurci a riflettere sulla possibilità di un approccio integrato che ci permetta di misurare in modo congiunto la reputazione di una banca e la sua performance sociale. Tuttavia emergono significative differenze circa l’applicazione delle metodologie. Spiegandosi meglio, i punteggi di reputazione vengono costruiti sulla base delle percezioni e dei giudizi che i vari stakeholder nutrono verso la banca. Al contrario, le valutazioni riguardanti la Corporate Social Responsability si basano per lo più sull’analisi dei documenti aziendali, sulla somministrazione di questionari ed interviste ai dirigenti della società, risultando così maggiormente oggettive (Turker, 2009). Nonostante i due sistemi facciano leva su informazioni e dati differenti, di fatto, le parti interessate esprimono giudizi su più aspetti dell’attività bancaria e da qui la possibilità per la banca di impostare un sistema integrato per la valutazione di questi due elementi. Lo sviluppo di un approccio integrato che combini ed integri, da un lato le valutazioni soggettive che caratterizzano la misurazione della variabile reputazionale, e dall’altro misure più oggettive che contraddistinguono il tema della responsabilità sociale di impresa, consentirebbe anche di superare alcuni limiti relativi alla formulazione dei punteggi reputazionali quali l’eccessivo affidamento su variabili soggettive e qualitative. Un approccio potrebbe essere ad esempio quello di procedere, come prima analisi, alla valutazione dei parametri soggettivi per verificare se il comportamento della banca è percepito e giudicato dal pubblico in modo positivo e solo dopo andare ad integrare le stime oggettive per fornire come output finale un punteggio numerico che dia una rappresentazione quanto più puntuale della “reputazione etica” della società. Quali sono quindi le relazioni tra reputazione e Corporate Social Responsability? Per la banca questi possono essere considerati come due facce della stessa medaglia. Il nesso è rappresentato dalle relazioni fiduciarie che la banca instaura con i propri stakeholder e la funzione sociale della stessa. In altri termini, la responsabilità sociale d’impresa non è altro che un esercizio efficace per il raggiungimento della stabilità e della fiducia sul mercato (Esen, 2013). Un’attenta pianificazione dei processi di business, un sistema di controlli interni efficace e rigoroso, una struttura organizzativa efficiente porterebbero l’organizzazione bancaria al raggiungimento di relazioni con la clientela impostate in funzione della fiducia e quindi alla costruzione di una reputazione sul mercato di lungo periodo.

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20 È quando i pilastri su cui si fonda la Corporate Social Responsability vengono meno che si può affermare che la funzione sociale dell’impresa risulta indebolita e questo, come conseguenza, comporterà la manifestazione di un rischio reputazionale (Walter, 2013). La reputazione dell’intermediario bancario si misura, in prima battuta, nel suo senso di responsabilità sociale. Poi, i risultati economici non sono meno importanti. Difatti, diversi studi di ricerca ne confermano il collegamento positivo, sottolineando che lo sviluppo di politiche di responsabilità sociale promuove la profittabilità della banca, soprattutto in un ottica di medio-lungo termine (Esen, 2013; Walker and Dyck, 2014). Le ricerche affermano che l’attuazione di strategie in materia di Corporate Social Responsability, aumentando il valore della reputazione aziendale, migliorano anche la creazione di valore economico. In altre parole, la profittabilità della società si incrementa anche grazie allo sviluppo del capitale reputazionale che, a sua volta, costituisce il primo risultato positivo della realizzazione di strategie di responsabilità sociale. Il legame tra prestazioni etiche e reputazione è quindi inequivocabile e confermato dal fatto che la Corporate Social Responsability rappresenta uno dei principali fattori reputazionali che contribuiscono al soddisfacimento delle aspettative degli stakeholder. Inoltre, il rischio di incorrere in perdite reputazionali, spesso molto ingenti e difficili da prevedere, è uno dei motivi principali che spinge le banche ad impegnarsi nella costruzione di una funzione sociale. Klein and Dawar (2004) sostenevano, nel loro studio, che la responsabilità sociale d’impresa rappresenta una sorta di “assicurazione” contro eventi negativi. L’alta percezione che gli stakeholder hanno per attività etiche riduce al minimo le attribuzioni di colpa per eventuali errori, disfunzioni o difetti nei prodotti offerti. Pertanto, anche in assenza di un impatto diretto sulla redditività aziendale, tale attività produce valore perché può calmierare gli effetti negativi di un evento dannoso salvaguardando il valore della reputazione. Tuttavia, sebbene la CSR sia in grado di contenere eventuali effetti derivanti dalla manifestazione di un danno reputazionale, è anche vero che un alto coinvolgimento in pratiche di questo tipo sottopone la banca ad un giudizio più severo da parte degli stakeholder soprattutto se tali perdite reputazionali sono la conseguenza di una condotta fraudolenta dell’istituto di credito. Quando una società vanta di una buona reputazione anche in virtù della sua condotta etica, violazioni in materia possono essere severamente punite. Al contrario, se la banca è nota per avere un governo societario debole e quindi già soffre di una “cattiva” reputazione, l’impatto sarà sicuramente più contenuto (Janney and Gove, 2011). I rapporti tra la reputazione e la CSR non sono però solo di tipo consequenziale; i due concetti sono caratterizzati da interdipendenza e reciprocità. Infatti, la reputazione aziendale non rappresenta solo una conseguenza dell’attuazione di una buona strategia di responsabilità sociale ma anche un presupposto di questa. La reputazione si configura come prerequisito per il successo di una strategia di CSR senza il quale quest’ultima non potrà essere attuata con successo.

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21 In particolare, la dottrina evidenzia due condizioni di base: la prima è il possesso di una buona reputazione, senza la quale l’attuazione di pratiche di CSR non potranno essere efficaci e, secondariamente, vi deve essere compatibilità tra performance etica e reputazione. Per compatibilità si intende coerenza tra strategie di CSR, reputazione ed immagine aziendale. Per creare valore economico e reputazionale, l’immagine proiettata attraverso strategie di CSR deve essere coerente con la reputazione della banca per evitare di creare un valore non congruo, gravato anche dal sostenimento di costi che non trovano adeguata compensazione nel valore economico creato. Al contrario, per creare valore, gli sforzi in ambito di Corporate Social Responsability devono essere coerenti con il valore della reputazione. In ogni caso, a prescindere dalla metodologia di misurazione della reputazione adottata e dalla tipologia di stakeholder indagata, l’elemento sociale ricoprirà sempre un ruolo centrale come driver reputazionale. Essa risulta infatti un driver facilmente comunicabile, tramite lo strumento del bilancio sociale e facilmente misurabile (tramite rating o indici etici). Inoltre la sua gestione ed attivazione, non prevedendo particolari abilità o competenze, permette elevati livelli di diffusione e di penetrazione sia all’interno che all’esterno dell’organizzazione bancaria. Chiaramente, in assenza di fiducia, qualsiasi strategie di CSR intrapresa si rivelerebbe inutile o addirittura controproducente (Strahilevitz, 2003). Detto ciò resta comunque importante valutare l’impatto che iniziative di Corporate Social Responsability possono avere sul valore di mercato della banca dato che la salute finanziaria della stessa rappresenta il test finale per il suo successo.

1.3 Definizione del rischio reputazionale e sue caratteristiche

Come già accennato, nel sistema creditizio si riscontrano notevoli difficoltà nel definire il valore della reputazione, l’origine, l’entità del danno reputazionale e le fonti del rischio reputazionale. Tali problematiche si collegano alla natura del rischio e di conseguenza alla difficoltà di determinare lo stesso in termini di quantità. Anche se non vi è quindi un accordo generale nel definire il rischio reputazionale, tutte le definizioni date in letteratura sono concordi nel definire il rischio reputazionale come un rischio di secondo impatto, ossia come la conseguenza dell’emergere di altre fattispecie rischiose – i cosiddetti “rischi primari”. Tra le definizioni date emerge quella del Comittè Europèen des Assurences (CEA) e del Groupe Consultatif Actuariel Euroopeen (2007) che, nel loro lavoro sulla regolamentazione di Solvency 2, definiscono il rischio reputazionale come “il rischio che la pubblicità negativa, con riferimento alle pratiche ed alle attività di un’assicurazione, possa tradursi in una perdita di fiducia dell’integrità della società stessa”. Il rischio della perdita di fiducia si ricollega quindi alle percezioni ed ai giudizi dei vari stakeholder. La definizione concepisce il danno reputazionale come la perdita di fiducia nella credibilità di un’istituzione che si misura nel deterioramento delle percezioni dei soggetti interessati. Altri, vedi ad esempio Tonello (2009), concepiscono le perdite reputazionali come

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