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Trenta anni di giudizio abbreviato: alla ricerca della deflazione rispettosa delle coordinate costituzionali.

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Capitolo I IL GIUDIZIO ABBREVIATO NEL CODICE DI

PROCEDURA PENALE DEL 1988 ... 1

1.1 La differenziazione dei riti: una necessità nell’impianto accusatorio del codice di procedura penale del 1988 ... 1

1.2 Il giudizio abbreviato tra deflazione e premialità. ... 6

1.3 I presupposti per l’instaurazione del rito ... 15

1.3.1 La richiesta di parte e il consenso del pubblico ministero ... 15

1.3.2 Il giudizio di definibilità allo stato degli atti ... 20

Capitolo II IL PROCESSO DI COSTITUZIONALIZZAZIONE DEL GIUDIZIO ABBREVIATO ... 26

2.1 Le prime pronunce della Corte Costituzionale ... 26

2.2 Il rimodellamento del diniego del pubblico ministero ad opera della Corte Costituzionale ... 34

2.3 Ulteriori interventi della Consulta sul giudizio abbreviato ... 41

2.4 La decisione allo stato degli atti: un ostacolo insormontabile ... 49

Capitolo III IL GIUDIZIO ABBREVIATO DOPO LA RIFORMA AD OPERA DELLA “LEGGE CAROTTI” ... 54

3.1 La pressante esigenza di una riforma globale del giudizio abbreviato ... 54

3.2 La richiesta dell’imputato ... 61

3.2.1 La richiesta semplice ... 61

3.2.2 La richiesta condizionata ... 67

3.3 L’integrazione probatoria ex officio ... 75

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3.5 L’ergastolo e il giudizio abbreviato ... 90 Capitolo IV LA “RIFORMA ORLANDO” E IL GIUDIZIO

ABBREVIATO ... 97 4.1 Verso la “riforma Orlando”: la ricerca dell’efficienza del sistema penalistico e le proposte in tema di giudizio abbreviato ... 97 4.2 Il giudizio abbreviato e le indagini difensive ... 104 4.2.1 Premessa ... 104 4.2.2 La complessa declinazione del principio del

contraddittorio ... 106 4.2.3 L’evoluzione giurisprudenziale ... 110 4.2.4 L’intervento legislativo ... 117 4.3 Giudizio abbreviato e premialità: una riforma incompiuta . 124 4.4 Possibili sviluppi futuri circa il campo d’applicazione del giudizio abbreviato ... 131 Bibliografia ... 138 Giurisprudenza citata ... 138

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Capitolo I

IL GIUDIZIO ABBREVIATO NEL

CODICE DI PROCEDURA PENALE

DEL 1988

Sommario: 1.1 La differenziazione dei riti: una necessità nell’impianto accusatorio del codice di procedura penale del 1988 – 1.2 Il giudizio abbreviato tra deflazione e premialità – 1.3 I presupposti per l’instaurazione del rito – 1.3.1 La richiesta di parte e il consenso del pubblico ministero – 1.3.2 Il giudizio di definibilità allo stato degli atti.

1.1 La differenziazione dei riti: una

necessità nell’impianto accusatorio del

codice di procedura penale del 1988

Il codice di procedura penale varato nel 1988, è il frutto di un lungo e tortuoso iter legislativo, che ha impegnato Parlamento e Governo per più di un ventennio. L’esigenza di un nuovo codice di procedura penale, che soppiantasse il “codice Rocco”1 del 1930, figlio

dell’ideologia fascista, aveva infatti origini risalenti. Già nell’immediato dopoguerra2, si segnalarono esigenze di superamento del previgente sistema, formalmente misto ma a spiccata connotazione inquisitoria3, in favore di un impianto che abbracciasse il principio accusatorio.

Questa volontà riformatrice si acuì con l’entrata in vigore della Costituzione che palesò l’evidente distonia tra la mutata sensibilità

1 Così denominato dal nome dell’allora ministro della Giustizia, Alfredo Rocco. 2 Le prime riforme del codice in senso garantista si ebbero già nel 1944 e nel 1945. Cfr

E. Fortuna, I principi fondamentali del diritto processuale penale, in AA.VV, Manuale pratico del processo penale, Cedam, 2007, p. 12.

3 Pur professandosi come sistema misto, il codice Rocco era caratterizzato dagli

elementi tipici del sistema inquisitorio che risultavano sostanzialmente prevalenti. Cfr P.Tonini, Manuale di procedura penale, Giuffrè, 2015, p.26.

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sociale, la ricerca di un sistema maggiormente garantista, e l’arretrato assetto processualpenalistico4. Fu allora inevitabile che la Corte Costituzionale, pienamente operativa a partire dal 1956, venisse chiamata più volte a pronunciarsi circa la legittimità del codice di procedura e che il sistema processuale risultasse profondamente rimodellato dalle pronunce della Consulta5. Nonostante l’evidente necessità di una riforma globale del codice, il legislatore, negli anni ’60, non fu in grado di addivenire ad un risultato soddisfacente6, mantenendo immutato l’assetto codicistico.

Un concreto passo per superare l’impasse legislativa si ebbe nel 1974, con l’approvazione della legge n. 108/1974, contenente la delega al Governo per emanare il nuovo codice di procedura penale, secondo le direttive contenute nella legge stessa, entro i due anni successivi. Il governo istituì, allora, una apposita commissione, presieduta da Gian Domenico Pisapia, per l’elaborazione del testo. Frutto dei lavori della commissione fu un progetto, completato nel 1978, che non venne però approvato dal Parlamento. Alla luce del contesto socio-politico dell’epoca, infatti, il legislatore non ritenne opportuno emanare il nuovo codice di procedura, ispirato a principi garantisti, data l’emergenza terroristica imperversante7.

L’esperienza, seppur fallimentare, non risultò essere un esercizio inutile, in quanto la legge-delega e i successivi lavori parlamentari, che da quella prenderanno lo spunto, risulteranno essere decisivi per la

4 A conferma di ciò, una penetrante riforma venne varata con la legge n. 517/ 1955,

che riguardò 129 articoli. Cfr E. Fortuna, I principi fondamentali del diritto processuale penale, cit., p.13.

5 Furono oltre cento le disposizioni dichiarate incostituzionali. P.Tonini, Manuale di

procedura penale, cit., p. 30.

6 La “bozza Carnelutti”, redatta nel 1963 da Francesco Carnelutti, presidente di una

commissione ministeriale nominata appunto per predisporre un progetto di nuovo codice, “non ebbe un immediato seguito operativo”; Così M. Chiavario, Diritto processuale penale, Utet, 2015, p. 38.

7 Considerazioni critiche nei confronti della scelta del legislatore, giudicata

opportunistica, in G. Tranchina, Il diritto processuale penale e il processo penale, in AA.VV, Diritto processuale penale, Giuffrè editore, 2004, p. 13.

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formulazione della successiva legge-delega n. 81/1987, la cui attuazione ha determinato l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, d.p.r. n. 447/ 1988. Dunque, la seconda legge-delega nasce sulle ceneri della prima, rappresentandone una rielaborazione più razionale e matura. I primi concreti spunti per una rivisitazione della delega vennero formulati dal ministro della Giustizia Morlino, in occasione della presentazione del disegno di legge n. 845/ 1979. Il ministro non si limitò a chiedere una proroga del termine per l’emanazione dei decreti delegati, bensì individuò sei punti disarmonici nel tessuto della prima delega, bisognosi, allora, di un ripensamento parlamentare.

Tra questi, il punto due “Possibilità di meccanismi processuali differenziati a seconda della maggiore o minore complessità del processo”8, segnalò “l’eccessiva rigidità”9 del processo così come

tracciato nella legge-delega del 1974, ancorato ad un unico modello processuale, auspicando l’introduzione di una pluralità di istituti che “consentano di ridurre il ricorso al dibattimento”10. In effetti, nella

legge-delega del 1974, non erano stati apprestati strumenti che consentissero un iter processuale differenziato, essendosi ritenuto necessario che ogni processo transitasse dalla fase dibattimentale. Le uniche eccezioni rispetto all’iter ordinario erano il giudizio immediato11,

che comportava comunque la celebrazione del dibattimento, e il procedimento per decreto12.

Cominciò, allora, un fervente dibattito parlamentare che trovò il suo sbocco nella presentazione in aula del testo di una nuova delega al governo per l’emanazione del codice di procedura penale, il 17 novembre 1982, testo approvato alla commissione giustizia della

8 Cfr D.d.l. 845/1979

9 Così G. Neppi Modona, Scelte tecniche e prospettive politiche della riforma del

processo penale. Il ruolo del pubblico ministero e la nuova istruttoria in Giust. Pen., 1981, p. 302

10 D.d.l. 845/1979

11 Direttiva 32 legge n. 108/1974 12 Direttiva 36 legge n. 108/1974

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Camera dei Deputati il 15 luglio 1982. È in questa fase che si cementifica la convinzione dell’imprescindibilità di predisporre riti alternativi.

Emblematica, in tal senso, la relazione dell’onorevole Sabbatino al testo di legge-delega approvato dalla Camera nel 1982: “partendo dalla convinzione che rapidità ed efficacia del nuovo processo penale sono possibili solo affiancando al rito ordinario procedure semplificate capaci di assorbire una rilevante aliquota degli affari penali”. Dall’inciso si può apprezzare come il processo disegnato dal legislatore, che vede quale punto focale del suo dipanarsi il dibattimento, abbisogni di “una ricca articolazione di schemi procedurali diversificati”13 non solo per

“intuitive ragioni di economia processuale; è corretto infatti che casi diversi, con differenti esigenze giudiziali, siano trattate diversamente”14.

Tuttavia, anche in questo caso, non si addivenne ad un risultato concreto; il progetto decadde per la fine anticipata della legislatura. Solo nella successiva legislatura, dopo ulteriori rielaborazioni, il parlamento riuscì ad approvare la legge-delega n. 81/1987. In forza della delega, venne costituita una nuova commissione ministeriale, presieduta nuovamente da Gian Domenico Pisapia, che elaborò prontamente un progetto preliminare del codice, sottoposto poi al vaglio di una commissione parlamentare bicamerale, che, con qualche ritocco, trasmise il testo per la definitiva approvazione del Consiglio dei Ministri il 22 settembre 198815; nacque il nuovo codice di procedura penale, d.p.r. 447/1988. Il nuovo codice disponeva di un apposito libro dedicato ai procedimenti speciali, il sesto, a riconferma dell’importanza fondamentale rivestita da questi. Il novero dei riti alternativi risultava

13 Così, l’on. Sabbatino nella relazione al testo della legge-delega approvata in

commissione giustizia il 15 luglio 1982 in Cass. Pen., 1982, p. 2127.

14 Così G. Lattanzi, E. Lupo, La nuova legge delega per il codice di procedura penale:

continuità e differenze di sistema, in Cass. Pen, 1983, p. 190.

15 Vedi G. Neppi Modona, La parabola dei riti alternativi tra interventi della Corte

Costituzionale e modifiche legislative in AA.VV., Studi in ricordo di Gian Domenico Pisapia, Dott. A. Giuffrè editore, 2000, p. 451

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corposo: giudizio abbreviato, applicazione della pena su richiesta delle parti, giudizio direttissimo, giudizio immediato, procedimento per decreto.

La caratteristica di questi riti, che ne determina appunto la specialità, va apprezzata nella loro deviazione rispetto al procedimento ordinario: mentre quest’ultimo si articola, potenzialmente, in indagini preliminari, udienza preliminare, dibattimento ed impugnazioni, quelli omettono una o più di queste fasi16. La specialità non deve però essere intesa come eccezionalità, perché i riti differenziati “partecipando della filosofia che ha ispirato il nuovo codice, assicurano l’efficienza del sistema. In tal senso manifestano la loro ordinarietà, se si vuole l’identità ontologica col il rito ordinario”17.

Dunque, lungi dal rappresentare strumenti straordinari di definizione delle controversie penali, i riti speciali risultano essere istituti cardine in cui confidare per l’efficienza del sistema predisposto col nuovo codice di procedura. Nelle intenzioni del legislatore, i riti in esame avrebbero dovuto assorbire la gran parte del contenzioso penale, sulla scia di quanto avviene oltremanica, semplificando l’amministrazione della giustizia penale18 e permettendo così di

riservare ai soli processi complessi, vuoi per gli interessi in gioco, vuoi per la scarsa nitidezza del quadro probatorio, l’iter ordinario.

Il nuovo processo, fondato sul principio accusatorio, necessitava di tempi lunghi, data soprattutto la complessità del dibattimento, e proprio per questo il legislatore si dimostrò consapevole della possibilità di successo del sistema soltanto laddove si fosse riusciti a “far pervenire

16Cfr Relazione al progetto preliminare, pubblicata in Gazzetta Ufficiale. n. 250 del

1988, supplemento ordinario n.2, p. 103.

17Cosi G. Riccio, Procedimenti speciali, in AA.VV., Profili del nuovo codice di

procedura penale, Cedam, 1991, p. 295.

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al dibattimento soltanto una parte piccola di processi”19. Particolarmente

importanti risultavano essere, allora, quei riti che permettono di omettere il dibattimento: giudizio abbreviato, applicazione della pena su richiesta delle parti e procedimento per decreto; gli altri procedimenti speciali infatti, assecondando le esigenze di economia processuale attraverso la mancata celebrazione dell’udienza preliminare, conducono comunque al dibattimento, garantendo un risparmio di energie e risorse nettamente inferiore.

1.2 Il giudizio abbreviato tra deflazione e

premialità.

Il libro sesto del codice di procedura penale, dedicato ai procedimenti speciali, si apre con la trattazione, al titolo primo, del giudizio abbreviato. La collocazione sistematica non è frutto di una banale coincidenza, ma simboleggia scelte, peraltro di notevole rilevanza, compiute dal compilatore del codice del 1988. In primo luogo, possiamo apprezzare come il legislatore abbia scientemente collocato il libro dedicato ai procedimenti speciali prima del libro dedicato al dibattimento20; evidentemente si voleva segnalare come questi non fossero ritenuti meramente ancillari di quello, ma come, invero, fossero da ritenersi istituti preferenziali, nell’ottica di riservare lo svolgimento del dibattimento solo ad una manciata di procedimenti penali, onde evitare di ricadere in ingolfamenti della giustizia, cronico problema dei tribunali italiani, sentito già con il “codice rocco”21.

19 Così, l’onorevole Casini nella relazione alla Camera dei Deputati, 10 luglio 1984.

Cfr Atti Camera, IX leg., C 691, resoconto stenografico della seduta del 10 luglio 1984, p. 15487.

20 Libro sesto “procedimenti speciali”, libro settimo “giudizio”

21 Cfr F. Carnelutti, La malattia del processo penale italiano, in Riv. dir. proc., 1962,

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Quindi, la struttura del codice risulta essere un ausilio importante per la ricostruzione della volontà legislativa, in special modo in questo contesto. L’operazione del legislatore non appariva infatti di facile intuizione: si stava creando un sistema che garantisse il maggior spettro possibile di diritti, predisponendo un procedimento ordinario ricco di tutele, incentivando al contempo il ricorso a riti speciali, che in una misura o in un’altra affievolissero tali garanzie.22 Anche la collocazione

al titolo primo del giudizio abbreviato, primo fra i procedimenti speciali, risulta spia delle speranze legislative; è proprio il rito abbreviato, il procedimento speciale nel quale il codificatore ripone la maggior fiducia per il raggiungimento dell’obiettivo di deflazione.

In effetti, se lo scopo comune di questi istituti è rappresentato dall’assecondare esigenze di economia processuale, appare evidente come il giudizio abbreviato rivesta un ruolo principe. Infatti, questo rito prevede che l’imputato, una volta instauratosi il procedimento differenziato, venga giudicato già nell’udienza preliminare, senza addivenire alla celebrazione del dibattimento. Un risparmio di energie e risorse notevole, dato che è proprio il dibattimento a comportare il maggior dispendio di tempo nell’arco del processo ordinario.

Non si tratta, però, dell’unico rito che garantisce un tale vantaggio: l’applicazione della pena su richiesta delle parti, il cosiddetto patteggiamento, omette anch’esso il dibattimento, mentre il procedimento per decreto risulta ancor più incisivo, non comportando nemmeno la celebrazione dell’udienza preliminare. A ben vedere, però, questi ultimi due riti hanno un campo d’applicazione ben delimitato, che ne restringe sensibilmente l’operatività: il patteggiamento può essere realizzato solo nel caso in cui la pena da irrogare sia inferiore a due anni

22 I riti speciali possono essere visti anche come strumenti di “seduzione” che il

legislatore utilizza quali leve per forzare la collaborazione dell’imputato, facendo sì che questi rinunci alle garanzie proprie del procedimento ordinario, influendo negativamente però su tutti i capisaldi del processo penale. Vedi L. Ferrajoli, Diritto e ragione, teoria del garantismo penale, Editori Laterza, 1990, p. 778.

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di detenzione23, mentre il procedimento per decreto si può applicare esclusivamente laddove sia irrogabile una sanzione pecuniaria.

Dunque, non stupisce che fosse proprio il giudizio abbreviato il rito nel quale riporre più speranze, non essendo stato congeniato dal legislatore alcun limite, relativamente alla tipologia o al quantum di pena da irrogare, che ne circoscrivesse la possibilità di ricorrervi. Scelta del legislatore delegato abbastanza singolare, se si guarda all’iter che ha portato all’emanazione del codice.

L’ embrionale, ma già definito nei suoi lineamenti fondamentali, progetto di giudizio abbreviato, è contenuto nella direttiva 51 del d.d.l. 916/1984: in questa versione, è possibile constatare come vi fosse l’intenzione di limitare la possibilità di richiedere il giudizio abbreviato solo ad alcune categorie di reati. Questo fondamentale inciso, venne rimosso nel corso dei lavori in commissione giustizia in senato, essendosi ritenuto opportuno non porre paletti troppo rigidi al delegato circa la definizione dei limiti di accesso all’istituto. Si voleva lasciar libero il delegato di creare limitazioni autonomamente, senza imbrigliarlo con una previsione contenuta nella delega, rimettendo alla volontà di questi la scelta tra la tipizzazione delle singole fattispecie escluse e l’individuazione di una soglia edittale oltre la quale non fosse possibile azionare il rito abbreviato.

L’intento del delegante venne disatteso dal legislatore delegato che, alla ricerca di strumenti quanto più efficaci contro la congestione del sistema giustizia, scelse di estendere ad ogni fattispecie penale la possibilità di definizione attraverso il giudizio abbreviato. Addirittura, vennero incluse anche le fattispecie passibili di ergastolo. Ancora una volta, si evince come l’economia processuale fosse ritenuta priorità

23 Peraltro, nonostante con la legge n. 134/2003, il patteggiamento abbia visto

estendersi il suo ambito applicativo, con l’introduzione di quello che viene definito appunto patteggiamento “allargato” e che si possa dunque azionare il rito anche per pene fino ai cinque anni, rimane ferma la maggiore estensione applicativa del giudizio abbreviato.

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assoluta per il legislatore, perseguita anche attraverso soluzioni estreme. Per poter perseguire compiutamente questa finalità, è occorso predisporre un incentivo che fosse in grado di allettare gli imputati, tanto da farli rinunciare alle garanzie insite nel dibattimento.

Un premio per coloro che dovessero scegliere il giudizio abbreviato: uno sconto di pena di un terzo in caso di condanna ovvero la commutazione dell’ergastolo in trenta anni di reclusione, come stabilito dall’articolo 442 comma 2 c.p.p.. Dunque, è questo il binomio cardine del giudizio abbreviato predisposto dal legislatore del 1988 e che rappresenta l’anima stessa dell’istituto24: la concessione di una

diminuzione di pena secca, in misura fissa, alla luce di una rinuncia compiuta dall’imputato, che garantisca uno sgravio di attività processuali. Senza dubbio, un istituto di tal fattura ha potenzialmente un effetto prorompente nel panorama giuridico italiano, rappresentando una novità assoluta25, forse la più rilevante del nuovo codice di procedura penale.

Non sono però trascurabili le implicazioni sistematiche ingenerate da un tale meccanismo premiale. Innanzitutto, è d’uopo fare chiarezza circa la natura, molto dibattuta, della diminuente stessa. Sicuramente è necessario escludere la natura circostanziale dello sconto di pena26; infatti, è sufficiente guardare al procedimento applicativo per comprendere l’ontologica distinzione che caratterizza i due istituti. Dovendosi applicare lo sconto di pena previsto dall’articolo 442 comma 2, solo al termine del computo della pena secondo gli ordinari criteri

24Cfr G. Tranchina, I procedimenti alternativi nella giurisprudenza della corte

costituzionale, in AA.VV., I nuovi binari del processo penale. Tra giurisprudenza costituzionale e riforma, Giuffrè Editore, 1996, p. 121.

25 Si è parlato di “novità choquant”, vedi, F. Cordero, Strutture d’un codice, in Ind.

Pen., 1989, p. 22.

26 Contra cfr P. Tonini, I procedimenti semplificati secondo il progetto preliminare in

Giust. Pen., 1988, p. 453, ove si parla di “attenuante generica, sottratta al giudizio di bilanciamento delle circostanze”; S. Ramajoli, I procedimenti speciali nel nuovo codice di procedura, in Cass. Pen., 1989, p. 1343.

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previsti dal codice penale27, emerge lampante l’estraneità di questo rispetto alle circostanze attenuanti in senso tecnico.

Del resto, mentre le circostanze attengono ad una valutazione inerente al fatto illecito o alla persona del colpevole, la diminuente in esame è collegata ad una scelta processuale compiuta dall’imputato28. Proprio per questa constatazione, generalmente veniva attribuito allo sconto di pena natura meramente processuale, anche se l’orientamento giurisprudenziale risultava piuttosto ondivago29, in special modo nei primi anni di applicazione dell’istituto. A fugare ogni dubbio è intervenuta una pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo30,

che ha espressamente dichiarato la natura sostanziale della diminuente, essendo questa direttamente incidente sulla quantificazione della pena.

Le riflessioni circa la sua natura, non possono far altro che spingere ad una analisi critica dell’incidenza che la diminuente ha sulla funzione della pena. Infatti, implicazioni rilevanti investono la funzione retributiva, la funzione special-preventiva e la funzione rieducativa, espressamente prevista all’articolo 27 comma 3 della Costituzione; finalità che sembrano stridere con un meccanismo premiale slegato da valutazioni sostanzialistiche. Posto che lo sconto di pena si applica, nella misura fissa di un terzo, alla pena individuata dal giudice secondo i parametri ordinari, questo parrebbe scalfire la “giusta pena”31.

Per quanto attiene alla funzione retributiva, non vi è legame alcuno tra la scelta del giudizio abbreviato e la minore colpevolezza del

27 Artt 69 e 133 c.p.

28 Cfr L. D. Cerqua, Riti alternativi e incentivi premiali: implicazioni di natura

sostanziale, in Cass. Pen., 1992, p. 1703.

29 La Cassazione si pronunciò a favore della natura circostanziale, vedi Cass., sez. I,

29 novembre 1990, n. 1298, Balestrieri.

30 La pronuncia riguardava la possibilità di applicazione retroattiva del decreto legge

n. 341/2000, modificativo del regime sanzionatorio accordato al condannato a seguito di giudizio abbreviato. Avendo la corte europea riconosciuto natura sostanziale alla diminuente, questa ha statuito circa la contrarietà dell’applicazione retroattiva di detto decreto legge rispetto all’articolo 7 della CEDU. Cfr Corte europea dei diritti dell’uomo, sent. 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia, ricorso n. 10249/03

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soggetto32. Quanto alla funzione special-preventiva, non si dovrebbe dedurre una correlazione tra la scelta del soggetto e il suo futuro comportamento: la scelta potrebbe essere, in modo del tutto legittimo, figlia di considerazioni opportunistiche.33 Infine, per quanto concerne la funzione rieducativa, ci si domanda come sia possibile, considerando rieducativa una pena fissata in una determinata misura, ottenere lo stesso effetto con una pena diminuita di un terzo34.

In buona sostanza, l’istituto sembrerebbe minare le fondamenta di un complesso sistema, quello della pena, in forza di un contrapposto interesse, quello di economia processuale, di natura squisitamente processuale, ma con evidenti risvolti sostanziali, come certificato dalla Corte EDU. Inoltre, potrebbe profilarsi un contrasto con l’articolo 3 della costituzione, laddove lo sconto di pena determini un differente trattamento sanzionatorio in capo a due soggetti, colpevoli di fatti analoghi, solo in virtù di una scelta processuale.

Nonostante la pluralità di aspetti problematici, la Corte Costituzionale ha sancito la legittimità dell’istituto, richiamando l’articolo 133 c.p. e facendo riferimento al criterio, ivi previsto, della valutazione della condotta susseguente al reato per la determinazione della pena35. Ricomprendendosi generalmente nei criteri di valutazione della sanzione penale la condotta del soggetto, in questo caso estrinsecata attraverso la scelta del giudizio abbreviato, il premio appare in linea coi canoni ordinari e dunque perfettamente legittimo36.

32 Cfr F. Bricola, Riforma del processo penale e profili di diritto sostanziale, in Ind.

Pen., 1989, p. 332.

33 Cfr E. Dolcini, Razionalità nella commisurazione della pena: un obiettivo ancora

attuale? in Riv. it. dir. e proc. pen. 1990, p.807.

34 Cfr Tribunale di Bologna, ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale del 19

gennaio 2000

35 Cfr Corte Cost., 14 giugno 1990, n. 284

36 Considerazioni critiche circa la ricostruzione offerta dalla Corte Costituzionale in:

L. D. Cerqua, Riti alternativi e incentivi premiali: implicazioni di natura sostanziale, cit., p.1705; E. Marzaduri, Poteri delle parti e disponibilità del rito nella giustizia negoziata, in Costituzione, diritto e processo penale. I quarant’anni della corte costituzionale a cura di G. Giostra e G. Insolera, Giuffrè Editore, 1998, p. 133.

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La Corte non ha inoltre mancato di sottolineare l’inscindibile connessione intercorrente tra premio e rinuncia alle garanzie offerte dal dibattimento, alla luce della quale la differenziazione sanzionatoria tra due soggetti, pur colpevoli di fatti analoghi, appare pienamente giustificata.

La rinuncia, peraltro, non risulta certo di poco conto; l’imputato, infatti, presta il suo consenso ad un giudizio che si svolgerà in udienza preliminare. Così facendo, questi vedrà compiersi il giudizio riguardo la sua colpevolezza, non già sulla base di prove formatesi nel contraddittorio tra le parti, sotto la supervisione di un giudice terzo ed imparziale, bensì alla luce di atti di indagine raccolti unilateralmente dal pubblico ministero, nel corso delle indagini preliminari.

Quindi, col giudizio abbreviato, quegli atti che in via ordinaria il pubblico ministero dovrebbe utilizzare per assumere le determinazioni inerenti l’esercizio dell’azione penale e che nel dibattimento sono caratterizzati da inutilizzabilità fisiologica, assurgono ad atti in base ai quali il giudice deve formare il suo convincimento circa la reità dell’imputato. L’imputato si priva del suo diritto a “difendersi provando”37, fondamentale conquista del nuovo modello accusatorio. Il

contraddittorio, che nelle dinamiche ordinarie è configurato quale strumento conoscitivo per il giudice, cede il passo a reminiscenze inquisitorie38, ad un giudizio basato su atti raccolti da una sola parte processuale, che, peraltro, alla luce della richiesta necessariamente già formulata di rinvio a giudizio, sono evidentemente orientati verso la dimostrazione di colpevolezza dell’imputato39.

37 Celebre espressione coniata da G. Vassalli, Il diritto alla prova nel processo penale,

Riv. it. dir. e proc. pen., 1968, p. 12.

38 Il recupero della logica inquisitoria è stato qualificato come “inaccettabile”, vedi P.

Ferrua, Studi sul processo penale, Vol.II, Anamorfosi del processo accusatorio, G. Giappichelli editore, 1992, p. 21.

39 Secondo P. Ferrua, formalmente gli esiti del giudizio abbreviato sono analoghi a

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Nonostante un simile assetto possa paventare delle incongruenze coi principi regolatori del nuovo processo, a ben vedere il giudizio abbreviato, come tutti gli altri procedimenti speciali, è stato ritenuto, in via maggioritaria, in linea col nuovo modello accusatorio40. In genere, si ritiene perfettamente coerente con detto sistema, una implementazione dei poteri delle parti41, alle quali viene riconosciuta la facoltà di incidere sulla scelta del rito, rinunciando eventualmente anche ad alcuni propri diritti.

Il fatto che la rinuncia al dibattimento sia in ogni caso conseguenza di una iniziativa dell’imputato, rende del tutto legittimo un giudizio fondato su atti raccolti nelle indagini preliminari; il potere di difesa riconosciuto all’articolo 24 della costituzione, ricomprende anche la facoltà di richiedere il giudizio abbreviato, laddove l’imputato, conscio dei risultati ottenuti con le indagini preliminari42, ritenga opportuno rinunciare allo svolgimento del dibattimento43. Del resto, con la riforma dell’articolo 111 cost., avvenuta con la legge cost. 2/1999, la legge “sul giusto processo”, si è reso evidente come sia possibile una rinuncia al contraddittorio, pur consacrato quale metodo di formazione della prova al quarto comma, in virtù del consenso della parte, come esplicitato dal quinto comma44.

I profili probatori non risultano essere gli unici coinvolti nella scelta del giudizio abbreviato; azionando il rito infatti, l’imputato si

l’eventualità del proscioglimento. Vedi P. Ferrua, Studi sul processo penale, Vol.II, Anamorfosi del processo accusatorio, cit., p. 36.

40 “I procedimenti speciali rappresentano null’altro che atteggiamenti assunti dal

normale processo penale per il suo necessario e costante adeguamento agli aspetti della realtà concreta” Così G. Paolozzi, I procedimenti speciali, in Giust. Pen 1989, p. 231.

41 Per una disamina circa la costituzionalizzazione del “processo di parti” vedi M.

Griffo, Volontà delle parti e processo penale, Edizioni Scientifiche Italiane, 2008.

42 La richiesta di giudizio abbreviato è necessariamente successiva alla richiesta di

rinvio a giudizio formulata dal p.m. ergo l’imputato ha già avuto modo di consultare il fascicolo delle indagini, vedi G. Conso, I nuovi riti differenziati tra procedimento e processo, in Giust. Pen., 1990, p. 198.

43 Cfr F. Zacché, Il giudizio abbreviato, Giuffrè Editore, 2004, p. 41. 44 Vedi Cass., sez VI, 12 novembre 2015, n. 1052.

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vedrà giudicato dal giudice dell’udienza preliminare45,

indipendentemente da quella che sarebbe stata la competenza giurisdizionale in via ordinaria. Ha destato più di una perplessità un simile automatismo, soprattutto laddove i reati fossero stati astrattamente attribuibili alla Corte d’Assise. A tal proposito, sono stati sollevati dubbi riguardo la legittimità costituzionale dell’istituto, essendo stata ritenuta la normativa contraria all’articolo 25 comma 1 della costituzione. Nel caso in cui fosse prevista la partecipazione popolare, la stessa sembrava essere condizione necessaria per il rispetto del principio del giudice naturale precostituito per legge, convincimento rafforzato dalla lettura degli articoli 101 e 102 della costituzione.

Anche in questo caso, però, la corte costituzionale non ha individuato alcuna incompatibilità tra la scelta legislativa e la Carta Fondamentale, non ravvisando alcuna ontologica connessione tra la Corte d’Assise e i reati di sua competenza. Il giudice naturale è quello individuato dalla legge, scelta che evidentemente spetta al legislatore, vincolato esclusivamente dai criteri di non manifesta irragionevolezza e arbitrarietà46. Infine, Il giudizio di fronte al giudice monocratico si svolge a porte chiuse; ulteriore incentivo per l’imputato congeniato dal legislatore, dal momento che “costano meno le condanne al chiuso”47.

45 Questo secondo l’ipotesi “tipica” di giudizio abbreviato. È possibile invece che il

giudizio abbreviato venga instaurato a seguito di conversione di altri riti speciali, ipotesi di instaurazione che danno vita al giudizio abbreviato “atipico”. Nel caso in cui si instauri il giudizio abbreviato convertendo dal giudizio direttissimo, il giudice competente sarà quello del dibattimento, ai sensi dell’art. 452 c.p.p.

46 Corte cost., 2 aprile 2009, n. 102

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1.3 I presupposti per l’instaurazione del

rito

1.3.1 La richiesta di parte e il consenso del pubblico

ministero

L’articolo 2 n 53 della legge-delega n.81/1987, recitava: “potere del giudice di pronunciare nell'udienza preliminare anche sentenza di merito, se vi è richiesta dell'imputato e consenso del pubblico ministero a che il processo venga definito nell'udienza preliminare stessa e se il giudice ritiene di poter decidere allo stato degli atti …”. Questo fondamentale inciso, racchiude i tre presupposti elaborati dal legislatore delegante per l’accesso al giudizio abbreviato. Agli stessi, verrà data concreta attuazione attraverso gli articoli 438 comma 1 e 440 comma 1 del codice di procedura penale del 1988. Dunque, occorre esaudire contemporaneamente tre condizioni affinché possa instaurarsi il rito speciale: la richiesta di parte, il consenso del pubblico ministero, il giudizio di definibilità allo stato degli atti da parte del giudice. Un quadro complesso, che coinvolge, potenzialmente, tutti e tre i principali soggetti del processo, anche se in momenti diversi.

La genesi del procedimento, è affidata ad un’iniziativa dell’imputato; è questi, infatti, che deve attivarsi, rivolgendo la richiesta di definizione del processo nell’udienza preliminare48. L’impostazione

appare condivisibile: la celebrazione del giudizio nell’udienza preliminare comporta notevoli sacrifici per i diritti difensivi dell’imputato e risulta perciò fisiologico ancorarne l’instaurazione ad una personale scelta del soggetto. Allora, la richiesta viene coerentemente enucleata all’art 438 comma 3 quale atto, manifestante volontà, da esprimere personalmente o per mezzo di procuratore

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speciale con autorizzazione autenticata. D’altronde, visti gli interessi in gioco, appare opportuno assicurarsi che l’imputato sia pienamente conscio della scelta che compie. La giurisprudenza, peraltro, ammette che la richiesta sia presentata direttamente dal difensore, anche se non munito di procura speciale, in udienza, alla presenza dell’imputato silente49. Si ritiene in questo caso che il difensore sia un portavoce, soggetto che esterna la volontà dell’imputato50.

Quanto al momento di presentazione della domanda, è necessario individuare due diversi modelli di instaurazione del giudizio abbreviato: il modello “tipico” e il modello “atipico”. Il primo, definito tipico perché ipotesi fisiologica prevista dagli articoli 438 e ss. del codice di procedura penale, prevede la proponibilità della richiesta al giudice, previo il consenso del pubblico ministero, almeno cinque giorni prima della data fissata per la celebrazione dell’udienza preliminare ovvero in udienza, fino alla presentazione delle conclusioni ex art. 421 e 422 c.p.p. 51. Nel primo caso, la richiesta evidentemente dovrà essere formulata per iscritto, mentre nel secondo dovrà essere realizzata oralmente52.

Per quanto riguarda i modelli atipici, questi sono così definiti poiché il giudizio abbreviato viene richiesto dalla parte quale conversione di un altro rito speciale già instauratosi. Questa peculiarità ovviamente incide anche sul momento di presentazione della richiesta. Così, nel caso in cui fosse instaurato il giudizio direttissimo, è possibile richiedere la celebrazione del giudizio abbreviato prima dell’apertura del dibattimento53, mentre per il giudizio immediato è possibile introdurre la celebrazione del giudizio abbreviato mediante il deposito dell’apposita richiesta, con la prova dell’avvenuta notifica al pubblico

49 Cfr Cass., sez VI, 13 marzo 1997, n. 8851, Capizzi.

50 Interpretazione cui la Corte di Cassazione è pervenuta dopo alcune pronunce

contrastanti con l’indirizzo, cfr Cass., sez I, 11 gennaio 1995, n. 3622 Fodde.

51 Art 439 commi 1 e 2 c.p.p. 52 Art 438 comma 2

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ministero, nella cancelleria del g.i.p. entro i sette giorni successivi dalla notifica del decreto di giudizio immediato54. Nel caso, infine, di procedimento per decreto, l’imputato potrà richiedere la celebrazione del giudizio abbreviato attraverso l’opposizione al decreto stesso, entro i quindici giorni successivi alla sua notifica55.

La richiesta dell’imputato, deve trovare in primo luogo il consenso del pubblico ministero. Le forme attraverso le quali questi può prestare il consenso saranno speculari a quelle utilizzate dall’imputato. A prescindere dal dato formale, ciò che più interessa è che il legislatore abbia configurato l’accesso all’istituto alla stregua di un accordo tra le parti, tant’è che parrebbe possibile parlare di logica negoziale sottesa al giudizio abbreviato. Negozialità che ben si concilia con la definizione di “patteggiamento sul rito”56, che è stata data nel corso dei lavori

preparatori al codice di procedura penale. Del resto, gli spazi, sempre più ampi, riservati alla giustizia penale consensuale, risultano essere uno dei tratti caratteristici del nuovo codice di procedura penale57.

Dunque, in linea con questa tendenza, il legislatore subordina l’instaurazione del rito all’incontro di volontà tra imputato e pubblico ministero. Invero, a destare perplessità non è il meccanismo negoziale in sé, quanto l’ampiezza del potere riconosciuto alla pubblica accusa. Infatti, il legislatore non ha congeniato limiti di sorta o criteri orientativi volti a circoscrivere la discrezionalità riservata al pubblico ministero. Questi risulta pienamente in grado di formare il suo libero convincimento circa la richiesta di giudizio abbreviato rivoltagli

54 Art 458 comma 1 c.p.p. 55 Art 461 comma 3 c.p.p.

56 Definizione, affine a quella di “patteggiamento sulla pena”, utilizzata dall’onorevole

Casini, nell’intervento alla camera dei deputati del 26 giugno 1984. Cfr Atti Camera, IX leg., C 691, resoconto stenografico della seduta del 26 giugno 1984, p. 14904.

57 Cfr V. Bonini, Limiti sistematici ed opzioni ricostruttive della negozialità nella

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dall’imputato, andando a concedere o negare il suo consenso in virtù di una decisione non motivata e perciò non vagliabile da alcuno.

La scelta in ordine alla celebrazione del rito differenziato, non può essere sindacata dal giudice, che si trova vincolato dal diniego posto dal pubblico ministero, diversamente rispetto a quanto avviene invece per l’applicazione della pena su richiesta delle parti. In quel rito è possibile per il giudice, ritenendo ingiustificato il dissenso del pubblico ministero, pervenire comunque ad una definizione del giudizio attraverso il rito alternativo58, seppur a seguito della celebrazione del dibattimento59. Il diverso regime predisposto dal legislatore si spiega

alla luce della netta contrapposizione intercorrente tra i due riti, l’uno, il giudizio abbreviato, riguardante solo aspetti strettamente processuali, l’altro, il patteggiamento, che incide in maniera decisiva anche sul merito dell’imputazione60.

D’altronde, se il legislatore intendeva introdurre un vero e proprio atto di volontà, coerentemente con la logica del processo di parti, non stupisce che si sia lasciata libertà massima al pubblico ministero. La motivazione dell’atto è tendenzialmente propedeutica ad un sindacato sullo stesso; nel momento in cui dovesse essere introdotta la necessità di una motivazione, fisiologicamente strumentale ad un controllo sulla decisione, si paventerebbe il passaggio da atto di volontà a mero parere61.

58 Il legislatore ha recepito le indicazioni della Corte cost. in materia. La Consulta si

era infatti espressa circa la necessità di un simile meccanismo a riguardo della forma embrionale di patteggiamento, contenuto nella legge n. 689/1981 in Corte cost., 30 aprile 1984, n. 120

59 Art 448 comma 1 c.p.p.

60 Cfr Relazione al progetto preliminare, pubblicata in Gazzetta Ufficiale. n. 250 del

1988, supplemento ordinario n.2, p. 104.

61 Cfr F. M. Iacovello, Parere del p.m. e decidibilità allo stato degli atti nel giudizio

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Dunque, il pubblico ministero viene a configurarsi quale dominus62 in ordine alla scelta del rito; non vi sarebbe, secondo il legislatore, nemmeno astrattamente la possibilità di un controllo circa le sue determinazioni, vista l’ampiezza di valutazioni che possono esserne sottese63. Non sono tipizzabili ex ante le ragioni del diniego del pubblico ministero, che possono svariare da questioni puntuali d’opportunità, determinate dallo specifico caso o dalle caratteristiche del soggetto, finanche a valutazioni generalissime in chiave di politica criminale64. Si potrebbe prefigurare, ad esempio, un diniego alla richiesta di giudizio abbreviato, per evitare che, in quel determinato momento storico, quel soggetto goda di una diminuzione premiale della pena, in ragione della tipologia di reato posta in essere65.

Forse, è proprio l’ampiezza del potere riconosciuto al pubblico ministero che ha permesso al legislatore di non circoscrivere l’ambito d’applicazione del giudizio abbreviato: la selezione, per così dire, non viene compiuta in astratto dalla legge, quanto in concreto, proprio dal magistrato.

La posizione dell’imputato può qualificarsi, allora, come di aspettativa66, mutuando il concetto dalla dottrina civilistica, essendo la

62 Cfr M. Bonetti, Il giudizio abbreviato, in AA.VV., I procedimenti speciali, a cura di

M. Pisani, Giuffrè editore, 1997, p. 19.

63 Cfr Relazione al progetto preliminare, pubblicata in Gazzetta Ufficiale. n. 250 del

1988, supplemento ordinario n.2, p. 104.

64 “Sulla scelta del pubblico ministero potranno, di volta in volta, avere valore decisivo

tutti o solo alcuni degli aspetti che differenziano il giudizio abbreviato rispetto al giudizio ordinario, oltre alla economia processuale che costituisce la ragione del nuovo istituto: la diversità di organo decisorio (singolo o collegiale nei processi di competenza del tribunale e della corte d’Assise), la segretezza o la pubblicità del giudizio, la opportunità o meno di facilitare la partecipazione al giudizio della parte civile, la opportunità che sia limitata la proponibilità dell’appello, la rilevanza che rispetto all’esito del giudizio può assumere il diverso regime di utilizzabilità degli atti compiuti ai fini della decisione nel merito, la stessa diminuzione della pena nel caso che l’imputato venga condannato.” In Relazione al progetto preliminare, pubblicata in Gazzetta Ufficiale. n. 250 del 1988, supplemento ordinario n.2, p.104.

65 Cfr E. Marzaduri, Poteri delle parti e disponibilità del rito nella giustizia negoziata,

cit., p. 94.

66 Cfr G. Tranchina, I procedimenti alternativi nella giurisprudenza della corte

costituzionale, cit., p.122; G. Bianchi, Una rilettura del giudizio abbreviato alla luce degli interventi della Corte Costituzionale, in Giur. Cost, 1993, p.2335.

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sua richiesta in balia della libera decisione del pubblico ministero, non essendo gli effetti sperati autonomamente azionabili. Una siffatta disciplina, per quanto coerente con il disegno complessivo prospettato dal legislatore, finisce inevitabilmente per sollevare dubbi di legittimità. Seppur l’instaurazione del giudizio abbreviato attenga, in effetti, a profili processualistici, vi è una indubbia incidenza sul piano sostanziale, nella misura in cui viene assicurata la diminuzione di pena in sol ragione dell’accesso al rito. Sottoporre al vaglio libero del magistrato la possibilità di godere di tale sconto, potrebbe astrattamente portare a irrogare sanzioni diverse a soggetti, autori di fatti analoghi, in forza del consenso accordato all’uno e negato all’altro, per ragioni rimaste oscure67. Indubbi i riflessi costituzionalmente problematici di

una simile impostazione68; vuoi sul piano della legalità della pena, vuoi

secondo il principio d’uguaglianza riconosciuto all’articolo 3 della Carta Fondamentale.

1.3.2 Il giudizio di definibilità allo stato degli atti

Il terzo presupposto necessario per l’instaurazione del rito, ultimo da un punto di vista cronologico se si guarda al susseguirsi degli input soggettivi, è il giudizio positivo del giudice circa la possibilità di definizione del processo allo stato degli atti69. Di fronte alla richiesta presentata dal soggetto, necessariamente corredata del consenso del pubblico ministero, il giudice dovrà valutare se ritiene di poter decidere allo stato degli atti e, in base a questo giudizio, ordinare l’instaurazione del giudizio abbreviato ovvero proseguire secondo l’ordinario iter

67Analoghi profili problematici erano già stati individuati anche nel corso dei lavori

preparatori. Vedi l’intervento dell’onorevole Casini alla camera dei deputati del 26 giugno 1984. Cfr Atti Camera, IX leg., C 691, resoconto stenografico della seduta del 26 giugno 1984, p. 14905.

68 Cfr G. Lozzi, Il giudizio abbreviato, in AA.VV, Studi in ricordo di Gian Domenico

Pisapia, Dott. A. Giuffrè Editore, 2000, p.426.

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processuale. Tale determinazione appare necessaria alla luce della natura stessa del rito abbreviato.

Infatti, il legislatore ha congeniato un giudizio a prova contratta70, un giudizio che si svolge sulle carte formatesi in modo unilaterale. Essendo così strutturato, vedendosi, cioè, preclusa ogni possibilità di integrazione probatoria una volta instauratosi, il giudizio abbreviato può essere azionato soltanto laddove il giudice ritenga di aver elementi sufficienti ad emettere quella sentenza di merito che gli viene richiesta dall’imputato. In realtà, se si guarda alle regole attinenti alla decisione di merito, cui anche le norme del giudizio abbreviato rimandano, suscita perplessità l’impostazione predisposta71.

In effetti, nel momento della decisione, il giudice si trova di fronte ad una duplice possibilità: condannare, laddove la prova della colpevolezza sia dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio, ovvero assolvere, nel caso in cui sia dimostrata l’estraneità dell’imputato rispetto all’addebito mosso nei suoi confronti o se la prova della sua colpevolezza non sia raggiunta al di là del ragionevole dubbio. Non esiste l’opzione che conduca al non liquet; teoricamente, il giudice è sempre in grado di prendere una decisione riguardo la colpevolezza del soggetto. Secondo le regole ordinarie, di fronte a qualsiasi richiesta di giudizio abbreviato, il giudice avrebbe la possibilità di decidere, applicando eventualmente la regola dell’ “in dubio pro reo”, andando ad assolvere l’imputato se il quadro probatorio si dimostrasse lacunoso. Una simile lettura evidentemente svilirebbe il criterio stesso, annichilirebbe il dato testuale. Sicché occorre comprendere quale sia la corretta interpretazione del criterio, seppur espresso in modo equivoco72 dal legislatore. Si è parlato, a tal proposito, di una valutazione

70 Vedi Corte cost., 9 marzo 1992, n. 92.

71 L’art. 442 richiama, ai fini della decisione, gli artt. 529 e seguenti. È dunque

ricompresa la disposizione di cui all’art. 533, che stabilisce il quantum di prova occorrente per condannare.

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prognostica che il giudice dovrebbe compiere per poter discernere tra le alternative: se dovesse ritenere il quadro probatorio completo, cioè, senza che siano possibili ulteriori evoluzioni di rilievo nel corso del dibattimento, si potrebbe dare corso al giudizio abbreviato; contrariamente, laddove ritenesse il quadro probatorio lacunoso, oggetto di possibile perfezionamento nel corso del dibattimento, dovrebbe rigettare la richiesta e proseguire con l’udienza preliminare ordinaria73.

Una simile ricostruzione, però, non convince a pieno. Tale interpretazione sembra non tener conto del principio di separazione delle fasi processuali. Sarebbe rimessa al giudice la valutazione circa la possibilità di perfezionamento di prove che, in realtà, nel dibattimento si formano ex novo, non sono frutto di un ritocco di atti precedentemente raccolti. Le indagini preliminari ed il dibattimento sono fasi separate e sono solo eccezionali le ipotesi in cui è possibile veder trasbordare nel giudizio atti della fase antecedente. Non si comprende, allora, come sia possibile, per il giudice dell’udienza preliminare, compiere una valutazione prognostica attendibile circa le possibili evoluzioni di una fase per lo più estranea a contaminazioni provenienti dalla fase in cui detta valutazione dovrebbe compiersi74.

Parrebbe opportuno legare la decisione del giudice ad elementi più strettamente correlati alla fase nella quale la stessa viene presa. Il giudice dovrebbe compiere una valutazione inerente alla completezza del quadro probatorio, andando a ravvisare se eventuali lacune siano conseguenza o meno di una carenza investigativa. In questo modo, non si compirebbe una improbabile prognosi circa futuri sviluppi

73 Cfr A. Pignatelli, Sub art. 440 c.p.p., in AA.VV., Commento al nuovo codice di

procedura penale, coordinato da M. Chiavario, Vol. IV, Utet, 1990, p. 778; Sez. Un., 6 dicembre 1991, Di Stefano.

74 Cfr, F. M. Iacovello, Motivazione e impugnabilità dell’ordinanza del g.i.p. che

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dibattimentali, quanto una più calzante verifica sullo stato di completezza delle indagini preliminari75.

Laddove un eventuale vuoto probatorio risultasse figlio di una carenza a livello investigativo si potrebbe tendere verso una indecidibilità allo stato degli atti, sul presupposto di una effettiva impossibilità di pronunciarsi sulla colpevolezza dell’imputato perché non muniti di tutti gli elementi necessari76. Invece, se le indagini dovessero essere ben strutturate, una lacuna nel quadro probatorio assumerebbe tutt’altro carattere, assurgerebbe eventualmente ad elemento sulla cui base fondare una decisione di proscioglimento al termine del giudizio abbreviato77.

Ad ogni modo, la decisione del giudice circa la possibilità di instaurazione del rito è insindacabile, analogamente a quanto previsto per l’assenso o il dissenso del pubblico ministero. Insindacabilità che, secondo il legislatore, si giustifica alla luce della personalità della scelta, frutto della “coscienza interiore” del giudice78. Essendo la domanda di

emettere sentenza a seguito di giudizio abbreviato, rivolta a quel determinato giudice, dovrà essere questi a valutare intimamente se ritiene giudicabile il caso, non è configurabile un sindacato su questa scelta. È quel determinato giudice che deve decidere se è possibile

75 Il collegamento tra la completezza delle indagini preliminari e la fruibilità dei riti

abbreviati è stato segnalato anche dalla Consulta. Vedi Corte Cost, 15 febbraio 1991, n. 88; cfr B. Lavarini, La definibilità del processo allo stato degli atti nel giudizio abbreviato in Riv. it. dir. e proc. pen., 1994, p. 571.

76 Cfr F. M. Iacovello, Motivazione e impugnabilità dell’ordinanza del g.i.p. che decide

sulla richiesta di giudizio abbreviato, cit., p. 1687.

77 Vi è chi ritiene che un simile presupposto sia esclusivamente congeniato per

escludere la possibilità di proscioglimento dell’imputato sottoposto a giudizio abbreviato. Il giudice di fronte ad un quadro probatorio incerto, che comporterebbe il proscioglimento in sede decisoria, non farebbe altro che ritenere il giudizio non definibile, rifiutando l’instaurazione del rito speciale e rimettendo a futuri sviluppi dibattimentali la decisione in ordine alla colpevolezza dell’imputato. Vedi P. Ferrua, Studi sul processo penale, Vol. II, Anamorfosi del processo accusatorio, cit., p. 37.

78 Cfr Relazione al progetto preliminare, pubblicata in Gazzetta Ufficiale. n. 250 del

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prendere una decisione con il materiale raccolto, senza che sia possibile poi alcuna integrazione probatoria.

Quanto al materiale utilizzabile per la decisione, il giudice si baserà sugli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero e quelli eventualmente raccolti in udienza preliminare, antecedentemente l’instaurazione del rito abbreviato. Sono ivi ricompresi, in primo luogo, gli atti oggetto di indagini compiute a seguito della richiesta di rinvio a giudizio, ai sensi dell’articolo 419 comma 3 c.p.p.. Inoltre, si ritiene comunque possibile per l’imputato, richiedere di essere sottoposto ad interrogatorio79 ai sensi dell’articolo 421 c.p.p.. Infine, nonostante

l’articolo 441 c.p.p. escluda espressamente l’operatività degli articoli 422 e 423 c.p.p. durante lo svolgimento del giudizio abbreviato, non pare preclusa la possibilità di ricorrere all’integrazione probatoria ex articolo 422 c.p.p. prima che si sia instaurato il rito speciale, sul presupposto che l’articolo 439 c.p.p. individua quale termine ultimo per richiedere il rito abbreviato la formazione delle conclusioni, anche ai sensi dell’articolo 422 c.p.p.80. Sarà allora possibile procedere con la

raccolta delle sommarie informazioni ai sensi dell’articolo 422 c.p.p. e successivamente instaurare il giudizio abbreviato, andando ad arricchire il materiale a disposizione del giudice.

A dispetto di questa interpretazione strumentale ad un infoltimento del materiale probatorio, rimane ferma la generale preclusione per l’integrazione in sede di giudizio abbreviato. La ratio della preclusione risiede nel timore del legislatore di reintrodurre una sorta di giudice istruttore, laddove venisse consentito al giudice di superare lacune probatorie, reperendo materiali strumentali alla decisione81 . Inoltre, posto che la richiesta dell’imputato e il consenso

79 Cfr S. Lorusso, La decisione allo stato degli atti nel giudizio abbreviato in Riv. it.

dir. e proc. pen., 1990, p.1534.

80 Cfr G. Lozzi, Il giudizio abbreviato, cit., p.424. 81 Cfr F. Zacchè, Il giudizio abbreviato, cit., p. 20.

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del pubblico ministero vengono forniti in relazione ad un determinato quadro probatorio, il legislatore ha ritenuto corretto non permettere di mutare lo scenario processuale nel quale, in special modo a tutela dell’imputato, si addiverrà a sentenza82.

Non può non osservarsi come questa scelta risulti estremamente disincentivante per gli imputati83. Il dato era già emerso nel corso dei lavori preparatori, ove, in sede di commissione redigente, si era constatato come una simile preclusione avrebbe determinato una sensibile diminuzione del ricorso al nuovo istituto84. In effetti, prendendo ad esempio il caso limite di un imputato che pur abbia confessato la propria responsabilità, questi potrebbe decidere di non optare per il giudizio abbreviato in quanto impossibilitato ad introdurre questioni relative ad eventuali attenuanti, non risultanti dalle indagini preliminari85. Tantomeno, dunque, risulterà incentivato un soggetto che si professi addirittura innocente, che potrebbe preferire difendersi in dibattimento, ove sarà messo nelle condizioni di partecipare attivamente alla formazione delle prove. Una simile preclusione, insomma, priva di efficacia deflattiva uno strumento che potrebbe, invece, risultare ben più incisivo.

82 Cfr Relazione al progetto preliminare, pubblicata in Gazzetta Ufficiale. n. 250 del

1988, supplemento ordinario n.2, p. 106.

83 Vedi O. Bruno, L’ammissibilità del giudizio abbreviato, Cedam, 2007, p. 39. 84 Cfr Relazione al progetto preliminare, pubblicata in Gazzetta Ufficiale. n. 250 del

1988, supplemento ordinario n.2, p. 105.

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2

Capitolo II

IL PROCESSO DI

COSTITUZIONALIZZAZIONE DEL

GIUDIZIO ABBREVIATO

Sommario: 2.1 Le prime pronunce della Corte Costituzionale – 2.2 Il rimodellamento del diniego del pubblico ministero ad opera della Corte Costituzionale – 2.3 Ulteriori interventi della Consulta sul giudizio abbreviato – 2.4 La decisione allo stato degli atti: un ostacolo insormontabile.

2.1 Le prime pronunce della Corte

Costituzionale

L’ardita innovazione operata dal legislatore del 1988, ha prestato fin da subito il fianco a pressanti critiche86. Certo che, essendo una novità assoluta nel panorama giuridico italiano, non era difficile preventivare una certa ritrosia di studiosi ed operatori87 del diritto nei

confronti del giudizio abbreviato. Come solitamente accade con le innovazioni, non potevano evitarsi riflessioni che ne mettessero in risalto i tratti più delicati. Tanto più, se si considera la portata

86 In particolar modo, oggetto di riflessioni è stata, fin da subito, la possibile

confliggenza del consenso del pubblico ministero, configurato come libero ed insindacabile, con la costituzione. Vedi E. Lupo, Il giudizio abbreviato, in Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, 1988, p. 174; S. Ramajoli, I procedimenti speciali nel nuovo codice di procedura penale, in Cass. Pen. 1989, p. 1343.

87 Anche a livello forense e giurisdizionale non tardarono a crearsi perplessità circa la

configurazione del rito, in particolar modo riguardo la differenza intercorrente tra patteggiamento e giudizio abbreviato, professata dal legislatore a giustificazione della diversa disciplina predisposta per i due istituti. Cfr P. Corvi, Istanza di giudizio abbreviato e dissenso del pubblico ministero al vaglio della Corte Costituzionale in Riv. it. dir. e proc. pen., 1990, p. 1151.

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rivoluzionaria del rito speciale in esame e l’impostazione che ne era stata data dal legislatore, il profilarsi di criticità era inevitabile88.

Dunque, era scontato che la Corte Costituzionale sarebbe stata chiamata a pronunciarsi circa la conformità dell’istituto ai principi della Carta Fondamentale e che le sue pronunce avrebbero avuto un ruolo di primo ordine nella definizione dei confini entro i quali è possibile predisporre meccanismi negoziali all’interno del procedimento penale. Non stupisce, allora, che la prima sentenza di incostituzionalità della Consulta relativa al nuovo codice di procedura, riguardasse proprio il giudizio abbreviato89. Pronuncia promossa con ordinanze di rimessione

datate 9 novembre e 20 novembre 198990, sostanzialmente

contemporanee l’entrata in vigore del codice, del 24 ottobre 1989; conferma, questa, dello scetticismo con cui anche gli operatori del diritto si erano approcciati al nuovo istituto.

Quanto all’oggetto, le due ordinanze differivano in parte: mentre la prima sollevava la questione di costituzionalità con esclusivo riguardo all’art. 247 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), la seconda non limitava la verifica alla suddetta norma, ma estendeva il vaglio anche agli articoli 438 comma 1 e 440 comma 1 c.p.p.. Dunque, in entrambe le ordinanze si poneva all’attenzione della Corte il giudizio abbreviato “transitorio”, nella forma, cioè, predisposta dal legislatore per quei processi che pure avrebbero dovuto proseguire

88 Cfr E. Marzaduri, Poteri delle parti e disponibilità del rito nella giustizia negoziata,

in Costituzione Diritto e processo penale. I quarant’anni della Corte Costituzionale a cura di G. Giostra e G. Insolera, Giuffrè Editore, 1998, p. 95

89 Corte Cost., 8 febbraio 1990, n. 66.

90 Ordinanza emessa il 9 novembre 1989 dal Tribunale di Roma nel procedimento

penale a carico di Issaa El Sayed Ali ed altri, iscritta al n. 646 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell'anno 1989; ordinanza emessa il 20 novembre 1989 dal Tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Zaccagnini Ivan ed altri, iscritta al n. 648 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell'anno 1989.

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secondo le norme del codice di procedura del 1930, essendo già in corso nel momento dell’emanazione del nuovo codice, ma ai quali veniva comunque riconosciuta la possibilità di definizione attraverso il giudizio abbreviato, non essendosi ancora esperite le formalità d’apertura del dibattimento.

Soltanto nella seconda ordinanza, invece, l’incostituzionalità veniva prospettata anche in rapporto al regime “ordinario” del giudizio abbreviato, quello disciplinato, appunto, agli articoli 438 e seguenti c.p.p.. In entrambi i casi, comunque, il punto cruciale, tacciato di incostituzionalità dai giudici remittenti, era rappresentato dal consenso del pubblico ministero; configurato quale presupposto indefettibile per l’instaurazione del rito, totalmente rimesso alla volontà dell’accusa e perciò insindacabile, se ne lamentava la contrarietà alla Costituzione. Nello specifico, l’insindacabilità del dissenso del pubblico ministero, preclusiva allora della possibilità di applicazione dello sconto di pena di un terzo previsto in caso di celebrazione di giudizio abbreviato, veniva ritenuta lesiva, sommando le due ordinanze, degli articoli 3, 24, 25, 27, 101, 102 e 107 della Costituzione.

Molti i punti segnalati, ma le due ordinanze risultavano decisamente dissimili. La prima, molto più scarna, figurava l’incostituzionalità del giudizio abbreviato transitorio, alla luce di un confronto operato con il rito dell’applicazione di pena su richiesta delle parti, anch’esso nel suo regime transitorio91. Infatti, in quest’ultimo caso

il legislatore aveva introdotto, mediante il richiamo agli articoli 446 comma 6 e 448 comma 1 c.p.p., la necessaria motivazione del diniego del pubblico ministero all’instaurazione del rito speciale e la conseguente sindacabilità dello stesso da parte del giudice.

La mancata previsione di un meccanismo analogo all’interno del giudizio abbreviato, poteva risultare contrastante con il principio di

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uguaglianza e col diritto di difesa. La seconda ordinanza era invece ben più nutrita: l’articolo 247 c.p.p., predisponendo un meccanismo d’accesso ancorato al discrezionale consenso del pubblico ministero, pareva figurarsi contrario al principio d’uguaglianza, in forza della possibile discriminazione perpetrabile dall’accusa attraverso il consenso prestato ad un soggetto e negato ad un altro, pur in condizioni analoghe. Ma la lesione del principio d’uguaglianza veniva segnalata anche in relazione ad un ulteriore profilo, avendo il legislatore posto il pubblico ministero in una posizione di netta “supremazia”92, contraria al principio

di parità tra le parti, fondamento del nuovo sistema accusatorio93. Inoltre, considerando che, in caso di condanna, la scelta del rito abbreviato ha incidenza sulla commisurazione della pena, si lamentava la violazione del principio di legalità e del principio di colpevolezza, nella misura in cui il soggetto avrebbe potuto vedere modificarsi la risposta sanzionatoria irrogata nei suoi confronti, a seconda di una scelta immotivata della pubblica accusa.

Evidentemente, la ricchezza dei parametri segnalati dalle ordinanze, certifica la delicatezza dell’istituto e la sua correlazione con tematiche trasversali. Proprio per questo, la pronuncia della Corte avrebbe potuto esprimere una netta presa di posizione nei confronti dell’istituto, non solo nella sua versione transitoria, ma anche nel regime ordinario; in realtà così non è stato. Infatti, in primo luogo, la Corte Costituzionale si è preoccupata di circoscrivere minuziosamente il campo d’intervento, andando a sottolineare le innegabili differenze intercorrenti tra il regime transitorio e quello ordinario, tali da giustificare l’inammissibilità della questione di costituzionalità per gli

92 Vedi l’ordinanza emessa il 20 novembre 1989 dal Tribunale di Roma nel

procedimento penale a carico di Zaccagnini Ivan ed altri, iscritta al n. 648 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell'anno 1989.

93 Questa argomentazione era stata invece espressamente screditata dal primo giudice

remittente, sul presupposto che ad entrambi i soggetti era dato modo di esprimere liberamente la propria volontà, non essendo conseguentemente riscontrabile alcuna disparità.

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artt. 438, primo comma, e 440, primo comma c.p.p., perché non rilevanti nei giudizi a quibus. Inoltre, seppur addivenendo ad una pronuncia di incostituzionalità, la Corte ha ritenuto sufficiente il solo riferimento all’articolo 3 della Costituzione, ravvisando l’illegittimità dell’articolo 247 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, in virtù di una irragionevole disparità tra il giudizio abbreviato transitorio e il patteggiamento transitorio.

La Consulta non si è pronunciata con riguardo a profili ontologici del giudizio abbreviato transitorio, che avrebbero certamente inficiato anche il giudizio abbreviato ordinario, limitandosi a dichiararne l’illegittimità solo alla luce di un confronto con un altro rito speciale. La pronuncia sembra frutto di una selezione accurata delle premesse, strumentale a ingenerare il minor effetto possibile sul nuovo codice di procedura94. In ogni modo, la Corte è arrivata a stabilire l’incostituzionalità della norma impugnata nella parte in cui non prevedeva la necessaria motivazione del dissenso del pubblico ministero e la conseguente sindacabilità dello stesso da parte del giudice, cui viene conseguentemente riconosciuto il potere, all’esito del dibattimento, di applicare lo sconto di pena di un terzo, nel caso in cui dovesse ritenere

ex post tal dissenso ingiustificato95.

La ratio seguita dalla decisione non appare, però, priva di rilievi critici. Infatti, è stato evidenziato come possa essere impropria l’assimilazione che viene compiuta tra il giudizio abbreviato e il patteggiamento, pur loro regimi transitori. Nella pronuncia, ci si sarebbe

94 Cfr G. Giostra, Primi interventi della Corte Costituzionale in materia di giudizio

abbreviato in Giur. Cost., 1990, p. 1288.

95 “l'illegittimità costituzionale dell'art. 247, primo, secondo e terzo comma, del testo

delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale 1988 (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), nella parte in cui non prevede che il pubblico ministero, in caso di dissenso, debba enunciarne le ragioni e nella parte in cui non prevede che il giudice, quando, a dibattimento concluso, ritiene ingiustificato il dissenso del pubblico ministero, possa applicare all'imputato la riduzione di pena contemplata dall'art. 442, secondo comma, del codice di procedura penale del 1988” Così, Corte Cost., 8 febbraio 1990, n. 66.

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