Dipartimento di Biologia
Corso di Laurea Magistrale in Biologia Applicata alla Biomedicina
Tesi di Laurea
STUDIO DELL’INFLUENZA GENETICA SULLE
SCELTE MORALI IN UN CAMPIONE
SELEZIONATO DI BROKER ASSICURATIVI.
Relatore: Candidato:
Prof.ssa Silvia Pellegrini Irene Feliciotti
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INDICE
RIASSUNTO 3
ABSTRACT 6
CAPITOLO 1: INTRODUZIONE 9
1.1 La genetica comportamentale: nature vs nurture o nature via
nurture? 9
1.1.1 Meccanismi d’interazione tra geni e ambiente 11 1.1.2 Strategie di studio della genetica comportamentale 13
1.1.2.1 Studi osservazionali 14
1.1.2.2 Studi di associazione casi-controlli 15
1.2 Il giudizio morale 18
1.2.1 Modelli sperimentali per lo studio del giudizio morale: i dilemmi
morali 19
1.2.2 Basi neuronali del giudizio morale 21 1.2.3 Basi genetiche del giudizio morale 22
1.2.3.1 Serotonina 23
1.2.3.2 Ossitocina 27
1.2.3.3 Dopamina 28
1.3 La figura del broker assicurativo 29
CAPITOLO 2: SCOPO DELLA TESI 32
CAPITOLO 3: MATERIALI E METODI 34
3.1 Campione oggetto dello studio 34
3.2 Valutazioni psicometriche e dilemmi morali 35
3.2.1 Valutazioni psicometriche 35
3.2.2 Dilemmi morali 42
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3.4 Estrazione del dna dai campioni di saliva 44
3.5 Genotipizzazione dei campioni 46
3.5.1 PCR (Polymerase-Chain reaction) 47
3.5.1.1 Protocolli di genotipizzazione PCR 48 3.5.2 RFLP (Restriction Fragment Lenght Polymorphism) 51 3.5.2.1 Protocolli di genotipizzazione mediante RFLP 51 3.5.3 PCR-HRM (High Resolution Melting) 52 3.5.3.1 Protocolli di genotipizzazione mediante HRM 54
3.6 Raggruppamenti allelici 57
3.7 Analisi statistica 57
CAPITOLO 4: RISULTATI 59
4.1 Frequenze genotipiche 59
4.2 Associazione tra varianti genetiche e punteggi ottenuti alle scale
psicometriche 61
4.2.1 Varianti genetiche e Org-EIQ 61
4.2.2 Varianti genetiche e IRI 62
4.2.3 Varianti genetiche e I7 66
4.3 Associazione tra varianti genetiche e risposte ai dilemmi
morali 68
4.3.1 Varianti genetiche e frequenze di risposte Sì 68 4.3.2 Varianti genetiche e Accettabilità morale 69
CAPITOLO 5: DISCUSSIONE 70
CAPITOLO 6: CONCLUSIONE 74
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RIASSUNTO
“I tratti personologici possono essere ereditati al pari delle caratteristiche morfologiche”. Con questa citazione di Galton ci si pone all’interno di un dibattito secolare, su quanto il comportamento umano sia modulato dai geni e dall’ambiente, che interessa diversi ambiti di studio, quali la psicologia, la filosofia, la biologia e più di recente le neuroscienze. Negli
ultimi anni, diverse ricerche hanno dimostrato come alcuni tratti
comportamentali siano influenzati dai geni, individuando un’associazione tra alcune varianti genetiche e precise caratteristiche personologiche: ad esempio
le varianti Low del gene MAOA, che si associano a maggiore aggressività.
In questo lavoro di tesi, ci siamo chiesti se la genetica potesse avere un ruolo
nel modulare anche le scelte morali. Il comportamento morale, infatti, ha basi
neurobiologiche, come dimostrato dagli studi di risonanza magnetica
funzionale, che, recentemente, hanno identificato le aree cerebrali coinvolte
nei processi decisionali, che sottendono le scelte morali. Abbiamo, quindi,
studiato un gruppo particolare di individui, i broker assicurativi, che, per
professione, compiono spesso scelte utilitaristiche e razionali, chiedendoci se
ciò fosse dovuto alla formazione professionale o piuttosto ad una
predisposizione genetica.
Ai broker e ad un gruppo di soggetti di controllo è stato chiesto di rispondere
ad una serie di dilemmi morali, che descrivevano scenari ipotetici controversi,
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la volontà ad intraprendere un’azione risolutiva di tipo utilitaristico, che prevedesse il sacrificio di un altro soggetto per salvare il gruppo di persone in
pericolo. Ai partecipanti allo studio, inoltre, è stato chiesto di esprimere quanto
ritenessero moralmente accettabile la scelta utilitaristica. Oltre a questo, sono
stati misurati alcuni aspetti di personalità dei soggetti reclutati, quali
impulsività, avventurosità, empatia e Leadership, per comprendere se e in
quale misura questi tratti potessero influenzare le loro scelte. Infine, a ciascun
soggetto è stato chiesto un campione di saliva dal quale estrarre il DNA per la
genotipizzazione di 5 varianti alleliche coinvolte nella neurotrasmissione
serotoninergica: MAOA uVNTR (Variable Number of Tandem Repeat),
rs13212041 del gene HTR1B, rs6313 del gene HTR2A, rs6265 del gene
BDNF ed 5HTTLPR del gene SLC6A4. L’analisi delle differenze
comportamentali tra controlli e broker è stata oggetto di un lavoro di tesi
precedente dal quale è emerso che i broker mostrano punteggi maggiori di
leadership, accettabilità morale e maggior frequenza di scelte utilitaristiche in
associazione ad una maggiore impulsività. Nel presente lavoro di tesi, le
frequenze genotipiche dei broker sono state confrontate con quelle dei
controlli per valutare se i due gruppi fossero geneticamente diversi. Inoltre, in
ciascuno dei due gruppi è stata valutata l’associazione tra le varianti genetiche e i punteggi alle scale psicometriche e le risposte ai dilemmi morali.
Il confronto delle frequenze genotipiche tra controlli e broker non mostra
differenze. Nei controlli, però, ma non nei broker, la genetica sembra
influenzare i tratti empatici e le scelte morali. Solo nei controlli, infatti, i
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alla sottoscala dell’empatia detta empathetic concern, mentre i portatori degli alleli Low del MAOA uVNTR mostrano maggiore empatia totale. I controlli,
inoltre, se portatori del genotipo T/T del polimorfismo rs6313 mostrano
punteggi più bassi di accettabilità morale.
Possiamo ipotizzare, quindi, che, nei controlli, un potenziamento genetico
della trasmissione serotoninergica aumenti i tratti empatici e riduca
l’accettabilità morale. Ciò non si osserva nei broker, pur avendo essi frequenze alleliche simili ai controlli. Potremmo pensare, quindi, che la
formazione professionale moduli le scelte morali dei broker, consentendo loro
di controllare i propri tratti empatici e di aumentare l’accettabilità morale delle scelte fatte. Tuttavia, il maggior utilitarismo dei broker sembrerebbe innato,
piuttosto che appreso, vista l’esistenza di una correlazione con l’impulsività, per cui non possiamo escludere che, in realtà, sia influenzato da varianti
alleliche diverse da quelle qui studiate.
Parole chiave: variabilità genetica, pathway serotoninergico, genetica
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ABSTRACT
“Personality traits can be inherited in the same way as morphological characteristics". With this assertion, Galton gave rise to an ancient debate on
the role of genes and environment in modulating human behaviour, which has
attracted the interest of different scholars, such as psychologists,
philosophers, and, lately, neuroscientists. Several recent studies, in fact, have
shown that genes influence human behavioural traits too, by identifying
associations between some genetic variants and specific aspects of
personality: for example, the Low variants of MAOA have been associated
with aggressive behaviour.
In this dissertation work, we investigated whether genetics would play a role
also in modulating human moral choices. It has been demonstrated, in fact, by
functional magnetic resonance studies, which identified the brain areas
involved in the decision-making processes underlying moral choices, that also
moral behaviour has neurobiological basis. Here we studied a group of
peculiar subjects, the insurance brokers, who are professionally induced to
perform utilitarian and rational choices, in order to investigate whether their
utilitarian behaviour comes from their professional training or is due to genetic
predisposition. Brokers and controls were asked to answer a set of moral
dilemmas, describing controversial hypothetical scenarios, where the life of
one person is in danger. Participants were asked whether they would be
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moral acceptability of this action. In addition, some personality traits were
measured, such as impulsivity, venturesomeness, empathy and leadership, to
understand whether and to what extent these traits influence moral choices.
Then, each subject was asked to provide a sample of saliva for DNA
extraction and genotyping of five allelic variants involved in the serotonergic
neurotransmission: MAOA uVNTR (Variable Number of Tandem Repeat),
rs13212041 on HTR1B gene, rs6313 on HTR2A gene, rs6265 on BDNF gene,
and 5HTTLPR on SLC6A4 gene.
Behavioural differences between controls and brokers were analysed in a
previous work showing that brokers reached higher scores in leadership,
moral acceptability and frequency of utilitarian choices than controls. They
also showed increased impulsiveness. In the present work, the comparison
between controls’ and brokers’ genotype frequencies did not show any difference. However, in the control group, but not in the brokers, genetics
influenced empathic traits and moral choices. Only in the control group, in
fact,, the carriers of the S allele of 5HTTLPR showed higher scores of
empathetic concern as compared to L/L genotype carriers, as well as carriers
of the Low alleles of MAOA uVNTR showed higher scores of total empathy
than the High allele carriers. Moreover, control carriers of the T/T genotype of
rs6313 showed lower moral acceptability than C allele carriers. It appeared,
therefore, that, in controls only, a genetic enhancement of the serotonergic
transmission increased empathy and reduced moral acceptability. This was
not observed in brokers, although their allele frequencies were similar to those
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modulate the moral choices of brokers, allowing them to keep under control
their empathic traits and to increase their moral acceptability. However, the
utilitarian behaviour of brokers seems to be innate rather than acquired, given
the previously observed correlation with impulsiveness; we can not exclude,
therefore, that the moral choices of brokers might be influenced by other not
~ 9 ~
CAPITOLO
1:
INTRODUZIONE
1.1
L
A GENETICA COMPORTAMENTALE:
NATURE VS NURTURE O NATURE VIA NURTURE?
Il comportamento umano è il risultato di complessi meccanismi
neurobiologici, che dipendono dall’azione dei geni e dell’ambiente e dalla loro interazione, creando un’elevata variabilità interindividuale. La misura in cui geni e ambiente influenzano il comportamento è l’interesse principale della genetica comportamentale, il cui fine è determinare le origini e le traiettorie di
sviluppo del comportamento umano.
Lo scienziato Francis Galton (1822-1911) è considerato il padre della genetica
del comportamento; in un articolo pubblicato nel 1865, scrisse: “I tratti psicologici possono essere ereditati al pari delle caratteristiche morfologiche” (Galton 1865).
Il dibattito sul ruolo dei geni (nature) e dell’ambiente (nurture) nello sviluppo dell’organismo umano e del suo comportamento ha coinvolto, nella storia, numerose discipline, come la biologia, la psicologia, la sociologia e
l’antropologia. Durante il secolo scorso due diverse scuole di pensiero si sono confrontate su questa tematica senza trovare un accordo. La prima sosteneva
che le caratteristiche di ciascun individuo fossero determinate
prevalentemente dal corredo genetico, mentre la seconda attribuiva tale ruolo
esclusivamente all’ambiente (Griffiths 2008). In realtà, questa disputa era vivace già da secoli, anche se non si parlava di geni e ambiente ma di “innato”
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e “appreso”. Personaggi illustri nel campo della scienza e della filosofia avevano sostenuto l’una o l’altra posizione. Ad esempio, nel XVII secolo, il filosofo John Locke riteneva che le esperienze avessero un ruolo
predominante nella formazione dell’individuo (Ridley et al. 2004). Al contrario, lo scienziato Charles Darwin, nel XIX secolo, sosteneva che i caratteri
comportamentali fossero ereditari e potessero accomunare specie diverse,
come le scimmie e l’uomo, poiché osservò l’esistenza di alcuni aspetti universali (Darwin 1871).
Durante la seconda metà del XX secolo questo dibattito prese il nome di
nature vs nurture e vide schierati da una parte gli “innatisti”, sostenitori
dell’idea del determinismo genetico, in base al quale ogni aspetto della fisiologia e del comportamento poteva essere imputato prevalentemente
all’azione di specifici geni;e d’altra parte “empiristi” i quali sostenevano l’idea che fossero le esperienze, e quindi l’ambiente, ad avere il ruolo predominante. A partire dall’ultima decade del XX secolo, la comunità scientifica, e più lentamente l’opinione pubblica, iniziò a rifiutare l’esistenza di una contrapposizione netta tra geni e ambiente e a sostenere che entrambi
partecipassero attivamente nel determinare le traiettorie di crescita che danno
forma all’individuo. Oggi si parla, infatti, di nature via nurture, ossia la natura attraverso l’educazione. Ridley, nel suo libro “Nature via Nurture” del 2003, scrisse a proposito del comportamento umano: “Thus nature and nurture are
not opposing forces, but their effects are subtly intertwined” (Ridley et al.
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sia corretto parlare di geni e di ambiente come due entità separate o
addirittura opposte, ma, piuttosto, di due fattori intimamente collegati a tal
punto da potersi influenzare l’un l’altro. Il fenotipo di un organismo, che comprende tutte le caratteristiche morfologiche, funzionali e comportamentali,
è, pertanto, determinato dall'interazione tra il genotipo, ossia il corredo
genetico dell’organismo, e l'ambiente circostante. Quest’ultimo comprende molti aspetti relativi alla qualità della vita, tra cui le abitudini alimentari, lo
sport, il consumo di tabacco, l’ambiente familiare e l’ambiente esterno, che fisicamente ci circonda nella vita quotidiana.
1.1.1 Meccanismi d’interazione tra geni e ambiente
L’interazione tra geni e ambiente svolge un ruolo fondamentale nei processi di adattamento del nostro organismo all’ambiente e nello sviluppo del comportamento. Negli ultimi anni, è stata scoperta l’esistenza di specifici meccanismi molecolari d’interazione tra geni e ambiente, che dimostrano come le esperienze siano in grado di esercitare un’azione diretta sull’espressione dei geni (Rose & Rutter 2007). Fino a pochi anni fa si riteneva che le condizioni ambientali non potessero indurre cambiamenti nella struttura
dei geni e nel loro livello di espressione. Effettivamente, è stato dimostrato che
la sequenza del DNA non è modificata dall’ambiente, ma l’espressione genica sì. Questo fenomeno è conosciuto con il nome di epigenetica; derivato dal
vocabolo aristotelico “epigenesi”, il termine epigenetica è stato introdotto dal biologo Conrad Waddington agli inizi degli anni ’40 per definire “la branca della
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biologia che studia le interazioni causali fra i geni e il loro prodotto cellulare
che pone in essere il fenotipo” (Waddington 1942). A supporto dell’intuizione di Waddington, negli anni ’70, Holliday e Pugh individuarono modificazioni epigenetiche di tipo covalente sul DNA, come la metilazione della coppia
citosina-guanina (Holliday & Pugh 1975). La metilazione avviene su zone del
DNA chiamate isole CpG, ricche in citosina e guanina, ed ha la funzione
d’inibire la trascrizione genica impedendo l’interazione del DNA con i fattori di trascrizione e con l’RNA polimerasi (Jones 2012). La reazione di acetilazione degli istoni rappresenta un altro importante meccanismo epigenetico che, al
contrario della metilazione, favorisce la trascrizione genica, poiché determina
la decondensazione della cromatina (Lombardi et al. 2011).
Un ulteriore meccanismo epigenetico è mediato dai microRNA (miRNA), che
svolgono un ruolo fondamentale nella regolazione dell’espressione genica durante importanti processi biologici, quali lo sviluppo embrionale, il
differenziamento cellulare e l’apoptosi (Bartel 2004). I miRNA sono RNA non codificanti altamente espressi nel genoma in sequenze introniche o
organizzati in cluster multicistronici (Tanzer & Stadler 2006), che agiscono a
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Figura 1. Genesi e meccanismo d’azione dei miRNA (Ryan et al. 2015).
Nello specifico, i miRNA si legano al complesso RISC (RNA-induced silencing
complex) per poi appaiarsi all’mRNA bersaglio. Una complementarietà totale determina la degradazione del messaggero, mentre una complementarietà
parziale induce l’inibizione della sua traduzione (Zeng et al. 2003; Doench & Sharp 2004).
1.1.2 Strategie di studio della genetica comportamentale
Al fine di valutare in che misura la genetica influenza il comportamento,vengono impiegate le tecniche di genetica quantitativa, che studiano i caratteri
fenotipici quantificabili di una popolazione. Nell’ambito della genetica quantitativa, la ricerca si avvale di due fondamentali approcci: gli studi
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1.1.2.1 Studi osservazionali
Gli studi osservazionali mettono a confronto i gemelli e i fratelli comuni,
sia biologici sia adottivi, che sono cresciuti nello stesso ambiente famigliare o
in ambienti differenti, al fine di determinare quanto certi tratti comportamentali
sono ereditati e quanto sono, invece, indotti dall’ambiente.
Le adozioni creano due situazioni distinte che permettono di valutare
rispettivamente il contributo della genetica e quello dell’ambiente. Il primo caso si verifica quando due fratelli comuni o due gemelli dizigoti, che hanno metà
del corredo genetico in comune, o addirittura due gemelli monozigoti, che
sono geneticamente identici, vengono separati alla nascita e adottati da due
famiglie diverse. La seconda situazione avviene, invece, quando individui
geneticamente diversi crescono nel medesimo ambiente famigliare. Si
distinguono, quindi, i “fratelli genetici”, figli degli stessi genitori, adottati molto presto da famiglie diverse, dai “fratelli ambientali”, figli di genitori diversi, adottati dalla stessa famiglia.
I fattori genetici hanno mostrato un effetto predominante nello sviluppo della
maggior parte delle capacità cognitive generali (Dunn & Plomin 1991). Un
esempio interessante proviene da uno studio condotto da Heston nel 1966
sulla schizofrenia, che ha mostrato come la percentuale di figli adottati che
sviluppavano schizofrenia rimanesse sempre del 10%, indipendentemente
dalla famiglia di adozione (Heston 1966). In altri studi, è stato osservato che
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l’altruismo e l’empatia, hanno una base genetica con ereditabilità variabile tra il 10% e il 60% (Knafo et al. 2008).
1.1.2.2 Studi di associazione casi-controlli
Gli studi di associazione casi-controlli mettono a confronto la frequenza
di una particolare caratteristica genetica di un gruppo selezionato di “casi” con quella di un gruppo di controllo. I soggetti appartenenti ai due gruppi devono
presentare caratteristiche precise, essere il più possibile simili (stessa
percentuale dei due sessi, stessa età, etnia, ecc.), non essere imparentati e
differire solo per il fenotipo d’interesse. Per questo motivo, la selezione dei soggetti è una fase critica per una buona riuscita dello studio, specialmente se
il fenotipo indagato è un tratto comportamentale complesso, soggetto
all’influenza di vari fattori.
Gli studi di associazione possono focalizzarsi su geni candidati o investigare
l’intero genoma. L’approccio dei geni candidati si concentra sull’associazione tra un determinato fenotipo e uno o più polimorfismi selezionati a priori in base
a conoscenze pregresse sulla loro localizzazione e sul loro ruolo biologico.
L’approccio che prevede lo studio dell’intero genoma è, invece, detto GWAS
(Genome Wide Association Study). Gli studi GWAS si basano sull’analisi di
associazione tra tutti i polimorfismi noti e il fenotipo d’interesse, senza che vi sia un’ipotesi di partenza su quali possano essere i geni legati alla caratteristica d’interesse. Il primo studio di GWAS è stato pubblicato nel 2005 su soggetti affetti da degenerazione maculare ed ha portato alla scoperta di
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2005). Solo recentemente sono stati pubblicati i primi studi GWAS nell’ambito della genetica del comportamento, che hanno identificato alcuni dei
polimorfismi potenzialmente implicati nello sviluppo del comportamento
aggressivo e antisociale (Brevik et al. 2016; Pappa et al. 2016; Tielbeek et al.
2012). Nonostante l’avvento della tecnica GWAS, che offre il vantaggio di analizzare simultaneamente tutti i polimorfismi in associazione ad un fenotipo
di interesse, la tecnica dei geni candidati rimane valida, in particolare se
l’ipotesi di partenza è stata elaborata sulla base di solide evidenze biologiche e se lo studio riguarda varianti alleliche a bassa frequenza nella popolazione
(Wilkening et al. 2009).
Nel complesso, gli studi di associazione portano all’individuazione di fattori di suscettibilità genetica, che predispongono ad un determinato fenotipo. Infatti, i
polimorfismi sono definiti “fattori di suscettibilità”, in quanto la loro presenza può aumentare la probabilità di manifestare un determinato tratto
comportamentale o una determinata patologia (Garcia-Closas et al. 2008).
Non si parla, però, di fattori causativi, poiché il singolo polimorfismo raramente
produce un fenotipo evidente, ma è piuttosto la combinazione di più fattori
genetici, in interazione tra loro e con l’ambiente, che porta allo sviluppo di determinati tratti, in particolar modo di aspetti comportamentali complessi.
1.1.2.2.1
I polimorfismi
I polimorfismi sono variazioni della sequenza del DNA, presenti nella
popolazione con una frequenza maggiore dell’1%. I polimorfismi a singolo nucleotide (SNP, Single Nucleotide Polymorphism) sono variazioni di una
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singola base in una determinata sequenza del DNA (Manolio et al. 2009) e
rappresentano degli ottimi marker biallelici,frequentemente utilizzati negli studi
di associazione (Pearson & Manolio 2008). Gli SNP possono trovarsi
all’interno di una sequenza genica codificante (esone), all’interno di una regione genica non codificante (introne), o in una regione intergenica. SNP
posizionati nelle sequenze geniche possono provocare un cambiamento della
sequenza amminoacidica della proteina prodotta (SNP non sinonimo)
(Sachidanandam et al. 2001), con potenziale alterazione della struttura e/o
della funzione della proteina stessa. In alternativa, lo SNP, sia che si trovi in
una regione esonica, intronica o intergenica, può generare un peptide con
sequenza aminoacidica invariata (SNP sinonimo). In quest’ultimo caso, lo SNP può avere comunque un impatto biologico modificando, ad esempio, il
legame con i fattori di trascrizione o interferendo con i meccanismi di splicing
(Djebali et al. 2012).
I polimorfismi comprendono anche altre tipologie di variazioni della sequenza
nucleotidica, come le VNTR (Variable Number of Tandem Repeat) che sono
sequenze costituite da unità di 10-100 nucleotidi ripetuti in tandem per un
numero variabile di volte, e le STR (Short Tandem Repeat) in cui le unità
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1.2 I
L GIUDIZIO MORALESecondo il filosofo Haidt, il giudizio morale si definisce come un insieme
di azioni o comportamenti messi in atto da un soggetto in riferimento ad un
contesto culturale che prevede determinate virtù (Haidt 2001).
Sono stati sviluppati due principali modelli teorici che descrivono i meccanismi
con cui si sviluppa il giudizio morale.
Il primo è rappresentato dal modello razionalista i cui principali esponenti sono
stati Jean Piaget e Lawrence Kohlberg. Piaget, nei suoi primi scritti, studiò lo
sviluppo morale dei bambini osservando il modo in cui si rapportavano al
concetto di “bene” e “male” nell’ambito del gioco (Piaget 1933). Dagli studi di Piaget è emerso che la moralità può essere intesa come un processo
evolutivo basato sulla crescente aderenza alle regole, sui doveri e
sull’obbedienza all’autorità. Sulle orme di Piaget, anche secondo Kohlberg la moralità si basa sulla comprensione delle norme, che regolano la convivenza
sociale e sul progressivo adeguamento alle norme morali della propria famiglia
e del gruppo sociale a cui si appartiene (Kohlberg 2008).
Il secondo modello, quello intuizionista, analizza le dinamiche con cui
intuizioni, ragionamento ed emozioni interagiscono nella formulazione del
giudizio morale. Il principale esponente di questo modello è stato Haidt, il
quale per dimostrare le sue teorie fece leggere una storiella ad un gruppo di
volontari, che dovevano esprimere un giudizio in merito. Utilizzò la seguente
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Francia durante le vacanze estive. Una notte sono soli in cabina vicino alla
spiaggia. Decidono che potrebbe essere interessante e divertente provare a
fare l’amore. Almeno sarebbe una nuova esperienza per entrambi. Julie già prende la pillola per il controllo delle nascite, ma anche Mark usa un
preservativo, giusto per essere sicuro. A entrambi piace aver fatto l’amore, ma decidono di non farlo mai più. Considereranno quella notte come un segreto
speciale, che li renderà perfino più prossimi l’uno all’altro. Cosa pensi di tutto questo? La loro scelta è moralmente accettabile?”
Dopo aver letto la storia, la maggior parte dei volontari si mostrava perplessa
e disorientata e incapace di motivare in modo razionale i propri sentimenti.
Haidt concluse che l’uomo è dotato di un’intuizione morale indipendente dal ragionamento. Secondo Haidt, tuttavia, il giudizio morale può essere
influenzato dall’ambiente culturale in cui si vive, ma dopo essere stato appreso diventa automatico.
1.2.1 Modelli sperimentali per lo studio del giudizio
morale: i dilemmi morali
Per studiare le basi biologiche del comportamento morale sono stati
sviluppati dei modelli sperimentali basati sui “dilemmi morali”. Un dilemma morale è una situazione ipotetica di natura controversa, che viene presentata
al soggetto partecipante allo studio, il quale sarà tenuto a scegliere o meno
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qualsiasi sia la scelta del soggetto viene comunque violato un obbligo morale
e attribuita una colpa inevitabile al decisore (Manfrinati et al. 2013).
Sono state sviluppate due tipologie di dilemmi morali, quella del trolley, di tipo
impersonale, e quella del footbridge, di tipo personale. Nel dilemma del trolley,
una locomotiva si dirige senza controllo verso cinque operai che lavorano sui
binari, che saranno travolti e perderanno la vita. Il percorso dei binari presenta
una deviazione a sinistra, che permette di far deviare la locomotiva. Tuttavia,
sul tracciato di sinistra si trova un altro operaio. Ai soggetti viene chiesto di
esprimere la volontà di deviare la locomotiva verso il secondo binario per
salvare i cinque operai, sacrificando, quindi, solo una vita, e di esprimere
quanto ritengono moralmente accettabile tale scelta. Nel dilemma del
footbridge, il soggetto che deve prendere la decisione si trova su un ponte
disposto sopra la ferrovia e al suo fianco si trova un uomo dalla corporatura
massiccia. In questo caso, è possibile impedire che la locomotiva uccida i
cinque operai che si trovano sui binari spingendo l’uomo dal ponte. L’uomo cadendo dal ponte sicuramente morirà, ma le altre vite saranno risparmiate. È
appropriato anche in questo caso salvare la vita delle cinque persone a
discapito di quella dell’uomo sul ponte?
Seppur in entrambi i dilemmi viene proposta un’azione di tipo utilitaristico, nel dilemma del footbridge la maggioranza dei soggetti sceglie di intraprendere
l’azione, mentre nel dilemma del trolley preferisce non sacrificare la vita dell’uomo. Questa differenza è stata attribuita al fatto che il dilemma del trolley ha un minore impatto emotivo, poiché in questo caso l’azione sacrificale non è
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compiuta direttamente dal soggetto violando la propria moralità, ma avviene
attraverso un mezzo.
1.2.2 Basi neuronali del giudizio morale
Il tema dello sviluppo del senso morale ha da sempre interessato i
filosofi, da Platone a Hume. A fine ’800 si fece sempre più forte l’idea che il comportamento morale avesse una base neurobiologica e che esistesse un
centro cerebrale specifico per il controllo dei processi che sottendono le scelte
morali (Maudsley 1867). Epocale in questo contesto fu il caso dell’operaio statunitense Phineas Gage. Nel 1848 Gage venne ricoverato per un incidente
sul lavoro: una sbarra di ferro gli attraversò il cranio da sotto l’occhio sinistro fino alla fronte sullo stesso lato. La nota interessante non fu tanto che il
paziente sopravvisse all’incidente ma più che altro il cambiamento di personalità che si osservò in lui in seguito all’incidente. Phineas Gage era un uomo intelligente, responsabile e socievole; dopo l’incidente diventò irascibile, irriverente e capriccioso. La trasformazione della personalità di Gage fu
imputata alla lesione a carico delle regioni ventromediali dei lobi frontali
(Harlow 1868; Damasio et al. 1994).
Si ipotizzò, quindi, l’esistenza di una moralità intrinseca al cervello umano. Dai risultati ottenuti grazie alle tecniche di risonanza magnetica funzionale (fMRI)
è emersa l’importanza della corteccia prefrontale nella modulazione delle scelte morali. La corteccia prefrontale è considerata un’area associativa polimodale per le sue numerose connessioni con diverse aree corticali, con il
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talamo e con il sistema limbico. In particolare, la porzione dorsolaterale della
corteccia è deputata all’organizzazione e alla pianificazione dei comportamenti complessi e delle capacità cognitive superiori (Fuster 1989; Diamond &
Goldman-Rakic 1989; Miller & Cohen 2001). Studi fMRI hanno proposto un
modello dualistico del comportamento morale, secondo il quale sia i processi
cognitivi sia quelli emotivi concorrono all’elaborazione del giudizio morale, coinvolgendo diverse aree cerebrali (Greene & Haidt 2002; Greene et al.
2004a). Nello specifico, è stato osservato che la corteccia prefrontale
dorsolaterale e la corteccia del cingolo anteriore, coinvolte rispettivamente nel
pensiero astratto e nel controllo razionale, si attivano simultaneamente
quando viene richiesto di risolvere in modo utilitaristico un dilemma morale ad
elevato carico conflittuale (Greene et al. 2004a).
1.2.3 Basi genetiche del giudizio morale
Grazie agli studi condotti negli ultimi anni è emerso che varianti
alleliche nei geni implicati nel controllo del funzionamento e del metabolismo
dei neurotrasmettitori, come serotonina, ossitocina e dopamina, possono
influenzare l’espressione di alcuni fenomeni comportamentali, come ad esempio, il giudizio morale.
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1.2.3.1 Serotonina
La serotonina (5-HT, 5-idrossitriptammina; Figura 2) è un
neurotrasmettitore sintetizzato dai neuroni serotoninergici distribuiti in diversi
siti corporei.
A livello periferico, i neuroni serotoninergici sono localizzati nella parete
intestinale, dove le cellule cromaffini derivate dalla cresta neurale contengono
circa il 90% della quantità totale di serotonina, e nel sangue, dove le piastrine
accumulano serotonina da secernere in seguito a danno tissutale.
Nel sistema nervoso centrale, la serotonina è maggiormente concentrata in
specifiche aree del lobo limbico, in particolare nella corteccia del cingolo, nella
corteccia entorinale, nel lobo dell’insula, nel lobo temporale, nel nucleo pallido, nello striato e nella corteccia orbitofrontale mediale (Varnas et al. 2004).
L’insieme di queste regioni è chiamato “cervello sociale” e supporta due processi cognitivi: la social cognition e il decision making (Siegel & Crockett
2013). I principali sistemi serotoninergici originano dai nuclei del Raphe da cui Figura 2. Formula di struttura della serotonina.
~ 24 ~
si dipartono lunghe proiezioni a prevalente azione inibitoria sulle trasmissioni
colinergiche, noradrenergiche e dopaminergiche.
La biosintesi della serotonina avviene a partire dall’amminoacido triptofano, che viene convertito in 5-idrossitriptofano dalla triptofano-idrossilasi e
decarbossilato poi a serotonina (Hasegawa & Nakamura 2010) (Figura 3).
Il corretto sviluppo e funzionamento del sistema serotoninergico dipende
dall’attività del fattore neurotrofico BDNF (Brain Derived Neurotrophic Factor). Il BDNF, infatti, promuove il differenziamento e la sopravvivenza dei neuroni
serotoninergici e regola la plasticità sinaptica (Fisher et al. 2015).
La serotonina espleta la sua funzione interagendo con specifici recettori,
classificabili in 7 tipologie: i recettori HT1, HT2, HT4, HT5, HT6 e
5-HT7, facenti parte della superfamiglia dei recettori accoppiati alle proteine G, e Figura 3. Rappresentazione schematica del pathway serotoninergico. TpH: triptofano-idrossilasi; 5-HTP: 5-idrossi-L-triptofano; 5-HT: serotonina; SERT: trasportatore della serotonina; MAO: monoamine ossidasi; 5-HIAA: acido 5-idrossiindolacetico; 5-HTR: recettore della serotonina. (Buller et al. 2012).
~ 25 ~
il recettore 5-HT3, che è un recettore-canale controllato da ligando, che
permette il flusso di Na+ e K+.
Uno dei meccanismi essenziali per il corretto funzionamento del sistema
serotoninergico consiste nella rapida eliminazione della serotonina dal vallo
sinaptico tramite reuptake nelle vescicole presinaptiche per essere
immagazzinata o degradata. Il trasportatore della serotonina, 5HTT o SERT,
codificato dal gene SLC6A4, localizzato sul cromosoma 17, è un sistema di
trasporto transmembrana Na+-dipendente.
Il meccanismo di eliminazione della serotonina tramite degradazione è
catalizzato dall’enzima mitocondriale MAO (monoammino ossidasi): per deaminazione ossidativa si ottiene una 5-idrossi-3-indolacetaldeide, che viene
poi convertita in acido 5-idrossi-3-indolacetico, che, a sua volta, viene
eliminato tramite escrezione renale. Questo enzima è codificato dal gene
MAOA, localizzato sul cromosoma X.
Nel sistema nervoso centrale, la serotonina svolge un ruolo importante nella
regolazione dell’umore, dell’apprendimento, della memoria, dell’appetito e del sonno (Veenstra-VanderWeele et al. 2000). Inoltre, la serotonina è coinvolta
nella patogenesi di numerosi disturbi psichiatrici, come il disturbo bipolare, la
depressione, l'ansia, il disturbo ossessivo compulsivo e il disturbo da abuso di
sostanze (Lucki 1998; Coppen 1967). È stato, inoltre, dimostrato che la
serotonina sia implicata anche nei processi biologici, che stanno alla base del
comportamento sociale (Kiser et al. 2012). Ad esempio, è stato osservato che
~ 26 ~
sociale nei topi (Beis et al. 2015; Mosienko et al. 2015) e che, di contro, la
somministrazione di serotonina esogena induce comportamenti prosociali
(Schaechter & Wurtman 1990), suggerendo che un potenziamento della
trasmissione serotoninergica sia legato ai tratti prosociali. Nell’ambito dei dilemmi morali, la serotonina sembra ridurre l’accettabilità morale, inibire le scelte utilitaristiche ed aumentare i tratti empatici (Siegel & Crockett 2013;
Crockett et al. 2010)
Alcuni studi di genetica comportamentale indicano che una regione polimorfica
nel gene che codifica per il trasportatore della serotonina (SLC6A4) sia in
grado di influenzare i livelli di serotonina libera nel cervello e le risposte ai
dilemmi morali (Heinz & Goldman 2000; Marsh et al. 2011; Smolka et al.
2007). Nello specifico, nella regione del promotore del gene SLC6A4 è
presente un polimorfismo denominato 5HTTLPR (5HT transporter gene-linked
polymorphic region) (De Neve 2011). Il 5HTTLPR consiste nella variazione
della lunghezza di una regione contenente elementi ripetuti, ricchi in
appaiamenti G-C, con lunghezza compresa tra 20bp e 23bp. In particolare,
sono state osservate due varianti del polimorfismo: l’allele Long, con 16 elementi ripetuti, e quello Short, con 14 elementi. Quest’ultimo è stato visto essere correlato ad una minore espressione del gene e quindi ad una
maggiore permanenza della serotonina nel vallo sinaptico (Heils et al. 1996).
In uno studio nel 2011 è stato dimostrato che i soggetti portatori dell’allele
Short, rispetto ai portatori del genotipo L/L, sono meno propensi ad
intraprendere scelte di tipo utilitaristico suggerendo che quest’allele potrebbe essere implicato nei processi emotivi (Marsh et al. 2011). Il dato pubblicato da
~ 27 ~
Marsh e colleghi rappresenta la prima e unica evidenza scientifica di
associazione tra una variante allelica e le scelte morali, nell’ambito del pathway serotoninergico.
1.2.3.2 Ossitocina
Negli ultimi anni sono state identificate tre diverse varianti alleliche
situate nel gene che codifica per il recettore dell’ossitocina (OXTR, oxytocin receptor) in grado di influenzare le scelte morali. Nella regione del promotore
del gene OXTR, si trova uno SNP che comporta un cambio di base T>C
(rs2268498) associato ad una maggiore densità recettoriale e quindi ad un
signaling dell’ossitocina più efficiente (Walter et al. 2012). È emerso che i portatori dell’allele C mostrano una maggior tendenza a giudicare negativamente scelte che provocano un danno accidentale ad altre persone.
In una regione intronica del gene OXTR è presente un polimorfismo che
consiste in un cambio C>T (rs237889) associato linearmente all’espressione del gene OXTR. In uno studio del 2016, Bernhard e colleghi, hanno mostrato
che i portatori dell’allele C prediligono scelte di tipo utilitaristico (Bernhard et al. 2016).
Infine, nel terzo introne del gene OXTR si trova lo SNP rs2254298 che
consiste in un cambio G>A. In un recente studio è stata trovata
un’associazione tra la presenza dell’allele G e un maggior comportamento prosociale nel rispondere ai dilemmi morali (Shang, 2017).
~ 28 ~
Si pensa che le varianti presenti nel gene OXTR possano modulare il
comportamento morale, perché capaci di modificare sia i livelli di ossitocina
neuronale sia la funzionalità ed il volume dell’amigdala, la quale ha un ruolo critico nelle risposte emotive (Greene et al. 2004b; Blair 2008; Greene et al.
2001).
1.2.3.3 Dopamina
La dopamina regola aspetti cognitivi, come la memoria e l’apprendimento, ed aspetti comportamentali, come l’altruismo e il comportamento prosociale (Sáez et al. 2015; Anacker et al. 2013).
A livello del promotore del gene DRD4 è presente un polimorfismo a singolo
nucleotide - rs1800955 - che consiste in un cambio di base T>C in
associazione ad una riduzione dell’espressione del gene. L’allele C di questo polimorfismo è stato associato al comportamento estroverso (Bookman et al.
2002; Eichhammer et al. 2005; Munafò et al. 2008) e alla ricerca di nuove
sensazioni (novelty seeking) (Munafò et al. 2008). Inoltre, da una ricerca in
fase di pubblicazione è emerso che i soggetti di sesso femminile con genotipo
C/C attribuiscono alle scelte utilitaristiche punteggi di accettabilità morale
maggiori, rispetto ai soggetti portatori dell’allele T, suggerendo una correlazione positiva tra una maggior trasmissione dopaminergica e
l’accettabilità morale (Pellegrini et al., submitted 2017). Lo stesso tipo di osservazione è stato riscontrato nelle donne portatrici dell’allele A del polimorfismo rs4680 presente sul gene COMT (catecol-O-metiltransferasi)
~ 29 ~
SNP rs4680 si trova nell’esone 4 del gene e consiste in un cambio G>A, che comporta una sostituzione dell’aminoacido valina in posizione 158 con una metionina, associato ad una riduzione dei livelli della proteina e dell’attività dell’enzima (Weinshilboum et al. 1999).
1.3 L
A FIGURA DEL BROKER ASSICURATIVOIl broker assicurativo è una figura professionale il cui compito è mediare
gli interessi tra le compagnie di assicurazioni ed i propri clienti. Il broker deve
essere in grado di valutare il rischio assicurativo allo scopo di vendere il
prodotto migliore, che soddisfi sia le esigenze del cliente sia quelle delle
compagnie assicurative. Si occupa, infine, di gestire le polizze stipulate, dalla
negoziazione all’eventuale sinistro o alla disdetta. La remunerazione solitamente è decisa dalle compagnie mediante provvigioni commisurate ai
premi intermediati. Coloro che intendano esercitare la professione di broker
devono iscriversi al Registro unico degli intermediari (RUI), gestito dall’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS), e possedere i requisiti morali e
professionali stabiliti per legge sul rispetto dei principi di onorabilità; quindi,
non devono aver riportato condanne penali né essere stati assoggettati a
procedure concorsuali, e devono mantenere un adeguato livello di
professionalità tramite corsi di aggiornamento (dal Codice delle Assicurazioni
D. Lgs. N. 209/2005 e dal Regolamento ISVAP n. 5 del 16 ottobre 2006).
L’IVASS ha un codice deontologico secondo il quale gli associati devono esercitare la loro professione basandosi su principi di trasparenza,
~ 30 ~
indipendenza e professionalità. Come ultimo obbligo, ogni singolo
professionista deve stipulare una polizza privata di assicurazione della
responsabilità civile professionale, per il risarcimento di situazioni dannose,
causate a terzi, conseguenti a errori o negligenze.
Per diventare un broker assicurativo è, inoltre, necessario seguire un iter
preparatorio a livello teorico e pratico. Un buon broker assicurativo deve
essere autonomo, avere spirito d’iniziativa, un’ottima capacità di rapportarsi agli altri e una buona dote organizzativa. Tutte queste caratteristiche denotano
una personalità peculiare del broker che deve, quindi, essere carismatico,
razionale e assumere un ruolo da leader all’interno del gruppo.
La figura del broker suscita un grande interesse tra gli studiosi di
neuroscienze, poiché rappresenta un modello interessante per lo studio del
decision making e del comportamento morale. Questo perché, per avere
successo, un buon venditore deve avere una certa propensione al rischio, che
favorisca l’investimento finanziario e deve saper controllare le proprie riposte emotive, in particolare quelle empatiche, poiché potrebbero influenzare i
processi decisionali.
Secondo uno studio del 2009 pubblicato sulla rivista PLoS ONE (Kuhnen &
Chiao 2009) due varianti genetiche, che regolano la neurotrasmissione della
dopamina e della serotonina, sono state associate alla propensione a
compiere decisioni finanziarie a rischio. In particolare, i soggetti con il genotipo
S/S del polimorfismo 5HTTLPR sono meno propensi al rischio; mentre i
~ 31 ~
nel gene che codifica per il recettore della dopamina, sono più portati a scelte
rischiose.
Studi di neuroimaging suggeriscono che distinti circuiti neuronali sono legati a
due aspetti del decision making in ambito finanziario: il risk-seeking, ossia la
tendenza ad intraprendere scelte rischiose, e il risk-aversion, ossia la
tendenza ad un comportamento fin troppo cauto. Il primo è stato associato ad
una maggiore attivazione del nucleus accumbens mentre il secondo è stato
associato all’attivazione dell’insula anteriore (Kuhnen & Knutson 2005). Anche i livelli ormonali sembrano avere un ruolo nelle scelte in campo finanziario. E’ stato, infatti, osservato che, in un gruppo di broker londinesi, livelli più alti di
testosterone al mattino sono predittivi di performance migliori e quindi di un
maggiore ritorno economico (Coates & Herbert 2008). Sembra, quindi, che il
~ 32 ~
C
APITOLO
2:
SCOPO
DELLA
TESI
Il presente lavoro di tesi si propone di approfondire l’influenza dei geni e dell’ambiente sul comportamento, in particolare andando a studiare l’effetto di alcune varianti alleliche, coinvolte nella neurotrasmissione serotoninergica,
sulle scelte di tipo morale di un gruppo selezionato d’individui, portati per professione ad operare scelte utilitaristiche e razionali, i broker assicurativi.
In un lavoro di tesi precedente erano stati indagati il profilo personologico
e le risposte ai dilemmi morali dei broker a confronto con un gruppo di
controllo. Da questa analisi era emerso che i broker sembrerebbero optare
maggiormente per scelte utilitaristiche in maniera impulsiva,
indipendentemente dai propri livelli di empatia e dagli anni di attività lavorativa.
Queste osservazioni hanno suggerito che i broker potessero avere una
componete innata, e quindi genetica, che li predisponesse al comportamento
utilitaristico.
Nello specifico, a ciascun partecipante allo studio era stato presentato un set
di dilemmi morali che rappresentavano scenari ipotetici controversi in cui era
messa a repentaglio la vita di uno o più individui. Per ciascun dilemma era
stata proposta un’azione risolutiva di tipo utilitaristico, che prevedeva il sacrificio di un individuo per salvare il maggior numero di persone; ai soggetti
era stato chiesto di esprimere la volontà ad intraprendere l’azione utilitaristica e di indicare quanto ritenessero moralmente accettabile tale scelta. Erano
~ 33 ~
stati, inoltre, misurati aspetti personologici, quali l’impulsività, l’avventurosità, l’empatia (perspective taking, empathetic concern, personal distress) e la
leadership, per comprendere se e in quale misura questi tratti potessero
influenzare i processi decisionali.
Nel presente lavoro di tesi, sono state selezionate cinque varianti genetiche
candidate, coinvolte nella regolazione della neurotrasmissione
serotoninergica, MAOA uVNTR, rs13212041 (nel gene HTR1B), rs6313 (nel
gene HTR2A), rs6265 (nel gene BDNF) e 5HTTLPR (nel gene SLC6A4), al
fine di valutare un loro eventuale ruolo nelle differenze comportamentali
~ 34 ~
C
APITOLO
3:
MATERIALI
E
METODI
Il protocollo di studio è stato articolato in sei fasi:
1. reclutamento dei partecipanti allo studio;
2. somministrazione di scale psicometriche e di un set di dilemmi morali;
3. raccolta di un campione di saliva da ciascun partecipante;
4. estrazione del DNA dai campioni di saliva;
5. genotipizzazione dei DNA per le varianti d’interesse;
6. analisi di associazione tra genotipo ed aspetti personologici e tra
genotipo e risposte ai dilemmi morali.
3.1
CAMPIONE OGGETTO DELLO STUDIOPer il presente progetto di ricerca sono stati reclutati un gruppo
sperimentale, costituito da broker assicurativi (N= 129 maschi) con 25,74 ±
0,857 anni di attività lavorativa come broker, ed un gruppo di controllo,
costituito da soggetti dello stesso sesso (N= 109 maschi), aventi età e livello di
~ 35 ~
Tabella 3.1. Caratteristiche demografiche del campione suddiviso in gruppo di controllo e gruppo sperimentale. I valori di età, anni di istruzione e anni di attività lavorativa in qualità di broker rappresentano le medie ± SEM (Standard Error of the Mean). **p<0.01.
Il confronto tra l’età media dei due gruppi ha mostrato una differenza significativa (p=0.002). Tale differenza, però, non ha mostrato alcuna
correlazione né con i punteggi ottenuti alle scale psicometriche né con le
risposte ai dilemmi morali. La ricerca è stata condotta in conformità ad un
protocollo approvato dal Comitato Etico dell’Università di Pisa. Al momento dell’adesione allo studio, ciascun soggetto ha firmato un consenso informato, previa illustrazione verbale dei dettagli della ricerca stessa.
3.2
VALUTAZIONI PSICOMETRICHE E DILEMMI MORALI3.2.1 Valutazioni psicometriche
A ciascun soggetto sono state somministrate tre scale psicometriche,
l’Interpersonal Reactivity Index (IRI), l’Impulsiveness-Venturesomeness-Empathy Questionnaire (I7) e l’Organizational-Emotional-Intelligence
~ 36 ~
tipicamente condizionano le scelte morali, quali l’empatia, l’impulsività e la
leadership. Per escludere la presenza di eventuali disturbi gravi di personalità,
inoltre, è stato loro somministrato il Millon Clinical Multiaxial Inventory-III
(MCMI-III).
Interpersonal Reactivity Index (IRI)
L’IRI costituisce un questionario ideale per lo studio dell’empatia. È stato sviluppato da Mark H. Davis che definì l’empatia come “la risposta di un individuo all’osservazione dell’esperienze altrui” (Davis 1983) ed elaborò quattro sottoscale che potessero misurare sia la componente cognitiva che
emotiva dell’empatia:
Fantasy (IRI_F): permette di valutare la capacità di identificarsi nei sentimenti o nelle azioni di personaggi fittizi appartenenti a
libri, film o giochi;
Empathic concern (IRI_EC): permette di valutare la capacità di provare sentimenti di compassione e preoccupazione per
un’altra persona in difficoltà;
Personal distress (IRI_PD): permette di valutare la capacità di provare ansia e disagio quando si assiste ad una situazione di
stress vissuta da altri;
Perspective taking (IRI_PT): permette di valutare la capacità di assumere il punto di vista altrui.
~ 37 ~
L’empatia (IRI_TOT) corrisponde alla sommatoria delle quattro sottoscale e dà una misura complessiva della competenza empatica.
Ai soggetti campione dello studio sono stati somministrati 28 item relativi
alle sottoscale IRI_PT, IRI_EC e IRI_PD, presentati in forma scritta.
Dopo aver letto attentamente ogni affermazione, ciascun soggetto è stato
invitato ad indicare il grado in cui ognuna di esse descriveva il proprio
comportamento, utilizzando un punteggio da 0 a 4 (0= mai vero, 4= sempre
vero).
Di seguito sono riportati alcuni esempi di item presentati:
“In caso di disaccordo, cerco di tener conto del punto di vista di ognuno prima di prendere una decisione”…….. 0 1 2 3 4 (per l’IRI_ PT).
“Provo spesso sentimenti di tenerezza e di preoccupazione per le persone meno fortunate di me” ……… 0 1 2 3 4 (per l’IRI_EC).
“Quando vedo qualcuno che ha urgente bisogno di aiuto in una situazione di emergenza, crollo”……… 0 1 2 3 4 (per l’IRI_PD).
Impulsiveness-Venturesomeness-Empathy Questionnaire (I7)
Il questionario I7 è stato ideato da Eysenck nel 1978 (Eysenck &
~ 38 ~
l’avventurosità, l’impulsività e l’empatia. Per questo studio, è stata utilizzata la versione italiana redatta da Russo et al. nel 2011 (Russo et al. 2011).
Il questionario consta di 54 domande alle quali il soggetto può rispondere Sì
o No, raggruppate in tre sottoscale:
Impulsiveness (I7_I): 19 domande che permettono d’indagare l’impulsività, ossia la tendenza a prendere decisioni avventate senza tener conto delle possibili conseguenze;
Venturesomeness (I7_V): 16 domande che permettono d’indagare la tendenza ad avventurarsi, assumendo comportamenti rischiosi, consci delle possibili conseguenze;
Empathy (I7_E): 19 domande che permettono d’indagare l’empatia, ossia la capacità di immedesimazione con il punto di vista altrui.
Di seguito sono riportati alcuni esempi di domande:
“Spesso comperi cose d’impulso?”...Sì No (per l’I7_I).
“Ti piacerebbe lanciarti con il paracadute?”...Sì No (per l’I7_V).
“Ti turbi molto nel vedere qualcuno che piange?”... Sì No (per l’I7_E).
~ 39 ~
Ai soggetti reclutati per lo studio sono state somministrate solo le
sottoscale I7_I e I7_V, poiché l’empatia è stata valutata con il questionario IRI.
Organizational-Emotional Intelligence Questionnaire (Org-EIQ) L’Org-EIQ è stato sviluppato per valutare l’intelligenza emotiva in relazione al setting lavorativo (contextual performance). Lo psicologo
statunitense Goleman ha descritto l’intelligenza emotiva come un insieme di competenze o caratteristiche fondamentali per affrontare con successo la
vita, tra cui l’autocontrollo, l’entusiasmo, la perseveranza e la capacità di automotivarsi (Goleman 1995). Mayer e Salovey(1997) hanno esteso questa
definizione includendo anche la capacità di percepire le emozioni e le
sensazioni, di capire le informazioni che derivano da queste emozioni e di
essere in grado di sfruttarle a proprio vantaggio (Mayer & Salovey 1997).
Il questionario si compone di 99 item, a cui si chiede di rispondere mediante
una scala a 5 punti (0= molto raramente o mai vero, 5= molto spesso o
sempre vero). Gli item permettono d’indagare quattro macrofattori dell’intelligenza emotiva:
1. La Consapevolezza e valutazione del sé, che indica la
~ 40 ~
2. L’Autogestione, che indica la capacità di dominare gli impulsi, di controllare il proprio umore e i propri sentimenti in modo che non
influenzino la qualità delle prestazioni lavorative.
3. La Competenza sociale, che indica l'abilità nelle relazioni
interpersonali, la capacità di gestire i vissuti emotivi nelle relazioni e
di saper leggere accuratamente le situazioni e le relazioni sociali.
4. Il Relationship management, che indica la capacità di saper guidare
efficacemente le emozioni altrui e interagire in modo efficace con gli
altri.
Ogni macrofattore è, a sua volta, composto da tre subfattori riportati in
Tabella 3.2.
Tabella 3.2. Organizzazione dei macrofattori dell'Org-EIQ.
Macro fattori Sub fattori
Consapevolezza e valutazione del sé
- Consapevolezza di sé - Sicurezza di sé - Intrapersonale Autogestione - Autocontrollo emotivo - Tenacia - Adattabilità Competenza sociale - Empatia - Consapevolezza organizzativa - Orientamento al cliente Relationship Management - Lavoro di gruppo - Leadership
~ 41 ~
Nel presente lavoro di tesi, ai soggetti sono stati somministrati gli item
relativi alla sottoscala Leadership (parte del macrofattore Relationship
Management). Per ciascuna affermazione, è stato richiesto di indicare il
grado in cui era descritto il proprio comportamento con una scala a 5 punti
(1= molto raramente o mai vero, 5= molto spesso o sempre vero).
Esempio di item presentato:
“Riconosco i punti di forza altrui”………… 1 2 3 4 5
Millon Clinical Multiaxial Inventory-III (MCMI-III)
Il Millon Clinical Multiaxial Inventory-III (ultima versione italiana: Zennaro et
al., 2008) rappresenta un valido strumento di valutazione psicologica
dell’adulto. Sin dalla prima edizione (1997), questo test è diventato uno degli strumenti diagnostici più utilizzati nella valutazione dei disturbi di
personalità e delle maggiori sindromi cliniche. Si tratta di un questionario
costituito da 175 item con risposte dicotomiche (vero/falso), che permette di
misurare 14 pattern di personalità e 10 sindromi cliniche, grazie ad un
sistema di misurazione direttamente correlato al DSM-IV. La terza ed ultima
versione si compone di 24 scale cliniche e di personalità, suddivise in
quattro raggruppamenti:
- Scale di personalità,
~ 42 ~
- Sindromi cliniche,
- Sindromi cliniche gravi.
In questo lavoro di tesi, il Millon è stato utilizzato come strumento di
screening per escludere dallo studio soggetti con problematiche
psicopatologiche gravi.
3.2.2 Dilemmi morali
A ciascun soggetto è stato chiesto di rispondere a 27 dilemmi morali
somministrati in formato cartaceo.
I dilemmi morali descrivono scenari ipotetici in cui la vita di un certo numero di
persone è in pericolo. Per ciascun dilemma viene proposta un’azione risolutiva di tipo utilitaristico, che porta al salvataggio del maggior numero possibile di
individui; il soggetto deve rispondere se intraprenderebbe o meno l’azione risolutiva (Sì vs No) ed indicare quanto reputa moralmente accettabile l’azione proposta con una scala Likert a 8 punti (0= non accettabile, 7= completamente
accettabile) (Rota, 2016; Sarlo, 2014).
I dilemmi utilizzati erano divisi in:
Dilemmi incidentali: in cui il sacrificio di una persona per salvarne altre rappresenta un effetto collaterale previsto, ma non intenzionale.
Dilemmi strumentali: in cui il sacrificio intenzionale di una persona rappresenta il mezzo per salvarne altre.
~ 43 ~
Entrambe le tipologie di dilemmi erano ulteriormente suddivise in base
all’appartenenza o meno dello stesso decisore al gruppo delle persone da salvare (coinvolgimento del sé vs non coinvolgimento del sé) e in
base all’aspettativa di vita delle persone da sacrificare (aspettativa di vita normale – giovani e sani - vs aspettativa di vita ridotta – anziani e/o malati).
Esempio di dilemma morale presentato:
tipologia strumentale / coinvolgimento del sé / aspettativa di vita normale
“Sei il capocantiere di un’impresa di costruzioni e stai controllando il lavoro di una squadra di operai all’ultimo piano di un grattacielo. Ad un certo punto ti rendi conto che sta per cedere uno dei cavi d’acciaio che sostengono la piattaforma esterna dove, insieme a te, ci sono 3 operai che stanno lavorando
ad una struttura di sostegno. Butti giù dalla piattaforma uno degli operai per
alleggerire il peso ed evitare che il cavo d’acciaio ceda. Sai che morirà nella caduta, ma tu e gli altri 3 avrete tempo di scendere e mettervi in salvo.”
Faresti quest’azione?... Sì No In che misura l’azione proposta è moralmente accettabile?.... 0 1 2 3 4 5 6 7
3.3
RACCOLTA DEL CAMPIONE DI SALIVAI campioni di saliva sono stati raccolti tramite l’utilizzo dei collettori DNA
self-collection kit Oragene•DNA® OG-500 (DNA Genotek Inc., Ontario,
~ 44 ~
collettore, con la raccomandazione di non mangiare, bere, fumare o masticare
chewing-gum durante i 30 minuti antecedenti la raccolta del campione. Il
protocollo per la raccolta del campione prevede i seguenti passaggi:
espellere la saliva, priva di bolle, nell’imbuto fino al raggiungimento della linea di riempimento (2 ml);
tenere la provetta verticalmente e chiudere il coperchio; premere con decisione per permettere al liquido presente nel coperchio di riversarsi
nella provetta e mescolarsi alla saliva;
tenere la provetta verticalmente e svitare il coperchio; chiudere ermeticamente la provetta utilizzando il tappo; agitare la provetta per 5 sec tramite inversione;
Il liquido contenuto nel coperchio dell’imbuto consente di stabilizzare il campione di saliva e di conservarlo per anni a temperatura ambiente.
3.4
ESTRAZIONE DEL DNA DAI CAMPIONI DI SALIVAL’estrazione del DNA dai campioni di saliva è stata effettuata utilizzando il kit prepIT•L2P® (DNA Genotek Inc.), che prevede i seguenti passaggi:
1. incubare il campione overnight a 50°C in un forno ventilato al fine
di garantire la completa solubilizzazione del DNA e l’inattivazione irreversibile delle nucleasi;
~ 45 ~
2. mescolare il campione di saliva contenuto nella provetta di
raccolta Oragene•DNA® mediante inversione per qualche secondo;
3. trasferire 500 µl del campione in una provetta da 1.5 ml;
4. aggiungere 20 µl di prepIT•L2P® e vortexare per 10 sec per precipitare le proteine;
5. incubare in ghiaccio per 10 min;
6. centrifugare a temperatura ambiente per 15 min a 13000 rpm;
7. trasferire il sovranatante in una provetta da 1.5 ml, scartare il
pellet contenente le proteine e i lipidi di membrana precipitati;
8. aggiungere 600 µl di etanolo al 100% e mescolare delicatamente
per inversione per precipitare il DNA;
9. lasciare il campione in posizione verticale a temperatura ambiente
per 10 min per consentire la completa precipitazione del DNA;
10. centrifugare la provetta a temperatura ambiente per 10 min a
13000 rpm;
11. rimuovere delicatamente il sovranatante, avendo cura di non
agitare il DNA precipitato;
12. aggiungere 250 µl di etanolo al 70%, lasciare la provetta in
posizione verticale per 1 min, rimuovere completamente l’etanolo senza agitare il pellet ed attendere circa 30 min per permettere la
~ 46 ~
13. aggiungere 100 µl di acqua e vortexare per almeno 5 sec al fine di
sciogliere il pellet di DNA;
14. incubare il campione a 50°C per 1 h per assicurare il passaggio
completo del DNA in soluzione;
15. conservare il campione a -20°C (per lunghi periodi) oppure a 4°C
(per brevi periodi).
L’integrità del DNA genomico è stata valutata tramite elettroforesi su gel d’agarosio all’1%.
La qualità e la quantità del DNA sono state valutate tramite l’utilizzo dello spettrofotometro NanoDrop® ND-1000 (Thermo Scientific, Waltham, MA,
USA).
3.5
GENOTIPIZZAZIONE DEI CAMPIONIL’analisi del genotipo è stata effettuata utilizzando tre diverse tecniche di biologia molecolare:
1. Polymerase Chain Reaction (PCR), seguita da elettroforesi su gel
d’agarosio per le VNTR del MAOA e del 5HTT.
2. PCR, seguita da Restriction Fragment Length Polymorphism (RFLP) ed
elettroforesi su gel d’agarosio per il polimorfismo rs25531, che cade all’interno della VNTR presente nel 5HTT.
~ 47 ~
3. PCR, seguita da High Resolution Melting (HRM), per i polimorfismi
rs1321204, rs6313 e rs6265.
3.5.1 PCR (Polymerase-Chain reaction)
La PCR è una metodica di biologia molecolare, che permette di
amplificare una sequenza nota (amplicone), creandone numerose copie
identiche.
Composizione della miscela di reazione della PCR:
DNA stampo;
desossinucleotidi (dNTP);
primer, ossia due oligonucleotidi (forward e reverse) complementari alle estremità 3’ dei due filamenti antiparalleli del tratto di DNA da amplificare;
enzima Taq polimerasi, ossia una DNA polimerasi termoresistente proveniente dal batterio termofilo Thermus aquaticus;
tampone;
ioni Magnesio come cofattori per la Taq polimerasi.
Per questo studio è stato utilizzato il Multiplex PCR Kit (Qiagen®, Hilden,
Germania) costituito da una Master Mix contenente dNTP, Taq polimerasi,
tampone 10X e ioni magnesio, e da una Q-Solution che migliora l’efficienza della reazione di PCR.