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Effetti di Dapagliflozin sulla funzione vascolare renale e sistemica e ruolo dell'epigenetica

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN

MEDICINA INTERNA

Effetti di Dapagliflozin sulla funzione vascolare renale

e sistemica e ruolo dell'epigenetica

Candidato

Relatore

Dr.ssa Livia Giannini

Prof.ssa Anna Solini

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INDICE

PARTE PRIMA

1. Introduzione p 4

2. SGLT2 inibitori: proprietà ed utilizzo clinico p 6 3. Effetti extraglicemici degli SGLT2 inibitori p 10

4. I trials clinici p 14

a. EMPA-REG OUTCOME b. CANVAS Program c. DECLARE-TIMI 58 d. CREDENCE

5. L’epigenetica ed il suo ruolo nel diabete p 21

PARTE SECONDA

6. Introduzione p 24

7. Materiali e metodi p 29

a. Popolazione in studio b. Disegno dello studio

c. Vasodilatazione Endotelio-dipendente e indipendente dell’arteria brachiale d. Indice di resistenza renale basale (RI) e dinamico (DRIN)

e. Tonometria arteriosa

f. Valutazione del sistema renina-angiotensina e del sistema neuro-ormonale

g. Espressione dei microRNAs h. Analisi statistica

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8. Risultati p 34

9. Discussione p 41

10. Conclusioni p 47

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PARTE PRIMA

Introduzione

Il diabete rappresenta una delle patologie di maggior rilievo nel mondo occidentale. Negli ultimi decenni la prevalenza globale di diabete tipo 2 (T2D) è in continua crescita e si stima che nel 2030 ci saranno circa 552 milioni di diabetici nel mondo [1]. Questi dati hanno grande rilevanza per la elevata prevalenza di complicanze micro e macrovascolari, che riducono l’aspettativa di vita dei pazienti e sono gravate da alti costi in termini socio-economici e sanitari.

Con il progredire delle conoscenze nell’ambito della epidemiologia, della patogenesi, della farmacologia sperimentale e clinica, si è comunque assistito ad un aumento della durata media della vita dei soggetti con T2D, con un conseguente incremento del numero di soggetti portatori di multiple comorbidità; tra queste, le più diffuse e severe, in termini di ricaduta prognostica, sono la malattia cardiovascolare (CVD) e la malattia renale cronica (DKD). Risulta quindi chiaro quanto sia necessario l’utilizzo di farmaci che, al di là del raggiungimento di un buon compenso glicemico, garantiscano protezione in termini di outcomes CV e renali. Trials clinici randomizzati condotti negli ultimi anni con farmaci di commercializzazione relativamente recente hanno dato risultati inattesi quanto promettenti, non solo in termini di sicurezza e protezione CV, ma anche di nefroprotezione: gli inibitori del trasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT2) risultano essere, in tal senso, le molecole più interessanti.

Una gestione moderna di una malattia complessa come il T2D richiede la comprensione del ruolo dell’ambiente nel suo sviluppo e nella sua evoluzione. La scienza che si occupa dell’influenza dei fattori ambientali sull’espressione del

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genotipo è l’epigenetica, che può essere rappresentata come un “ponte” tra i fattori ambientali e i geni. Dieta, esercizio fisico o fumo di sigaretta possono modificare l’espressione dei nostri geni attraverso i cosiddetti marker epigenetici (metilazione del DNA, modifiche istoniche), che agiscono come ‘interruttori’ molecolari, accendendo o spengendo i geni, favorendo o proteggendo così dalla comparsa di una serie di malattie, incluso il T2D. L’interesse per questa disciplina è crescente, ed è interessante anche esplorare il suo potenziale ruolo nella risposta alle terapie.

Risulta quindi chiaro come identificare una eventuale modulazione epigenetica operata da tali farmaci potrebbe rivestire un ruolo importante nel migliorare la cura del T2D, e nel prevenirne le temibili complicanze.

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SGLT2 inibitori: proprietà ed utilizzo clinico

Nell’uomo, il 90% del glucosio filtrato a livello renale viene riassorbito da parte del tubulo prossimale attraverso i cotrasportatori SGLT2, localizzati nei segmenti S1 e S2, mentre il restante 10% viene riassorbito nel segmento S3 da parte di SGLT1, prevalentemente espresso a livello intestinale. In condizioni di euglicemia, tutto il glucosio filtrato viene riassorbito. Nel T2D, il carico filtrato di glucosio aumenta sia per l’iperglicemia che per l’aumento del filtrato glomerulare (GFR), non infrequente nella fase iniziale di malattia. In realtà si assiste solo ad un piccolo incremento nella escrezione di glucosio, in quanto la Tmax (ovvero la capacità massima di trasporto del tubulo contorto prossimale) può aumentare come conseguenza di una risposta tubulare maladattativa all’iperglicemia; non appena il carico tubulare eccede la Tmax, la glicosuria aumenta in modo considerevole con andamento lineare.

Sebbene i dati a favore di un’aumentata espressione di SGLT2 nel soggetto con T2D siano contrastanti, si ritiene che in questi pazienti il tubulo prossimale aumenti la sua capacità di riassorbire glucosio, esacerbando quindi l’iperglicemia. L’espressione di SGLT1, invece, si riduce del 40% quando il tubulo contorto prossimale viene esposto a livelli aumentati di glucosio, come si verifica nell’inibizione di SGLT2. È probabile che questo meccanismo costituisca una forma di protezione del segmento S3 nei confronti di un sovraccarico di glucosio, ma anche in questa porzione tubulare, nel complesso, il riassorbimento risulta comunque aumentato [2].

La prima sostanza naturale ad azione inibitrice su SGLT2, la Florizina, fu isolata nel 1835 dalla corteccia del melo [2]. All’inizio degli anni ‘90, Luciano Rossetti, un ricercatore italiano che lavorava nel laboratorio del Prof DeFronzo in Texas, ne identificò le proprietà glicosuriche, nonchè l’efficacia nel ridurre la glucotossicità.

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L’utilizzo della Florizina fu tuttavia abbandonato per la scarsa selettività per SGLT2, per gli effetti collaterali intestinali e per una possibile interferenza con i trasportatori cerebrali del glucosio [3]. Diversi anni dopo questa linea di ricerca è stata ripresa, e sono state scoperte nuove molecole, dotate di affinità crescente per SGLT2, fino allo sviluppo di molecole estremamente selettive, dotate di una configurazione C-carbossilica che ne evita l’idrolisi intestinale, consentendone la mono-somministrazione giornaliera. I primi tre membri di questa classe di farmaci approvati negli Stati Uniti e in Europa sono stati Dapagliflozin, Canagliflozin ed Empagliflozin. Considerando che SGLT2 è responsabile di più del 90% del riassorbimento tubulare di glucosio, ci aspetteremmo una glicosuria massiva, molto vicina all’intero carico filtrato (160-180 g/die in condizioni di normoglicemia). In realtà, la glicosuria non supera il 35-40% del carico filtrato [8], attestandosi intorno a 40-80 g/die anche a fronte di dosi farmacologiche elevate di SGLT2 inibitori [2], probabilmente per un ruolo di “riserva” di SGLT1. Quando SGLT2 è inibito, SGLT1 rimane l’unico a riassorbire glucosio, e pertanto la frazione escreta dipenderà dalla capacità massima di trasporto di SGLT1.

Tali farmaci aumentano l’escrezione urinaria di glucosio, riducendo pertanto la glicemia ed i livelli di emoglobina glicata (HbA1c) di circa 0.6-0.8% quando impiegate in monoterapia [4,5] e di circa 2.0-2.5% nei pazienti con livelli di HbA1c più elevati; un buon effetto anti-iperglicemizzante si ottiene anche quando il farmaco viene utilizzato come add-on alla metformina [6,7]. Essendo il meccanismo d’azione degli SGLT2 inibitori indipendente dall’azione dell’insulina, essi si possono utilizzare in qualsiasi fase della malattia ed in associazione a qualsiasi altro farmaco ipoglicemizzante, insulina compresa, in maniera relativamente sicura [2]. Una condizione che ne limita l’efficacia ipoglicemizzante, pur non costituendo affatto una

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controindicazione al loro uso, è una riduzione significativa della funzionalità renale [2].

Diversi studi hanno mostrato che in topi KO per SGLT2 il riassorbimento nel segmento iniziale del tubulo prossimale è completamente assente, ma il riassorbimento renale complessivo si mantiene intorno al 36%, valore vicino a quello osservato nei soggetti non diabetici trattati con SGLT2 inibitori. Inoltre, il riassorbimento di glucosio risulta molto aumentato nel tratto S3 del tubulo, dove è espresso SGLT1; in studi successivi, l’utilizzo di topi KO anche per SGLT1 si associava ad un aumento significativo della glicosuria [5]. Queste evidenze sperimentali, quindi, suggerirebbero che l’uso combinato di SGLT2 e SGLT1 inibitori consentirebbe di raggiungere livelli più alti di glicosuria, con un impatto più incisivo sul profilo glicemico [2], anche se a prezzo di qualche effetto collaterale in più, per la protratta inibizione intestinale di SGLT1. Ciononostante, è stato dimostrato che Canagliflozin, in grado di inibire parzialmente anche SGLT1, ha qualche vantaggio aggiuntivo sul controllo della glicemia, soprattutto post-prandiale: oltre ad aumentarne l’escrezione ne riduce modicamente l’assorbimento intestinale; in tal modo una quota maggiore di glucosio raggiunge l’ileo e il colon dove le cellule L aumentano la secrezione di GLP-1 [2]. Un lieve aumento nei livelli di GLP-1 è riscontrabile anche dopo somministrazione di Empagliflozin, molecola altamente selettiva per SGLT2; è quindi probabile che in questo caso l’aumento del GLP-1 consegua a un effetto metabolico sistemico (riduzione della glucotossicità e miglioramento della sensibilità beta-cellulare al glucosio) [9]. L’incremento del GLP-1, con i noti effetti trofici sulla β-cellula, potrebbe avere un ruolo importante nel miglioramento della funzione β-cellulare osservato con questi farmaci. Dapagliflozin, utilizzato nello studio che qui presento, è caratterizzato da un’affinità per 2 di circa 1200 volte superiore a quella per SGLT1; esso inibisce il

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riassorbimento di glucosio del 40-50%, determinandone un’escrezione giornaliera massima di circa 80-85 g nel soggetto diabetico. Sia la sua farmacocinetica che la sua biodisponibilità non sono influenzate da una dieta grassa, e non presenta interazione con nessun farmaco comunemente usato nel trattamento del diabete [2].

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Effetti extra-glicemici degli SGLT2 inibitori

Gli SGLT2 inibitori sono farmaci relativamente sicuri dal punto di vista clinico e dotati di importanti effetti extra-glicemici, che potremmo definire pleiotropici e che possono contribuire alla prevenzione delle complicanze cardiovascolari e renali.

Innanzitutto, gli SGLT2 inibitori riducono la pressione sistolica di circa 3-6 mmHg e la diastolica di 1-3 mmHg [10]: assieme alla riduzione del peso corporeo e dei livelli di uricemia, ciò contribuisce a migliorare il profilo di rischio cardiovascolare del soggetto diabetico [11,12]. Un ruolo decisivo nella riduzione dei livelli di PA è svolto dalla diuresi osmotica, che accompagna l’aumento dell’escrezione urinaria di glucosio e che complessivamente incrementa l’output urinario giornaliero di 200-600 ml [10]. All’aumento della diuresi corrisponde effettivamente un leggero aumento dell’ematocrito, ma raramente sono stati riportati segni clinici di deplezione di volume, come tachicardia o ipotensione ortostatica [13]. Un effetto natriuretico è senz’altro coinvolto, dato il ruolo di SGLT2 nel riassorbimento tubulare di Na+, glucosio e quindi acqua. Inoltre l’inibizione di SGLT2 riduce l’attività dello scambiatore Na+/H+ exchanger-3 (NIHE3), che fisiologicamente rende ragione del 30% del riassorbimento del Na+ nel tubulo contorto prossimale; in tal modo, la concentrazione luminale di sodio aumenta ulteriormente. L’arrivo di una maggiore quantità di Na+ all’apparato iuxta-glomerulare può esercitare un effetto inibitorio sul sistema renina-angiotensina-aldosterone (SRAA) e ridurre la PA, effetto che potrebbe essere controbilanciato da una opposta tendenza alla sua attivazione, se vi fosse un’eccessiva deplezione di volume. L’effetto natriuretico è comunque di entità non rilevante, essendo compensato in altri segmenti del nefrone, dove la ritenzione di Na+ può avvenire attraverso meccanismi alternativi [2,13].

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È molto interessante sottolineare come l’azione antiipertensiva degli SGLT2 inibitori si mantenga anche in presenza di una funzione renale limitata, a differenza della capacità ipoglicemizzante, che si riduce [9]. Da ciò si evince che la diuresi osmotica e la natriuresi non siano gli unici determinanti dell’effetto antiipertensivo di tali farmaci; probabilmente anche la riduzione della rigidità arteriosa e del peso corporeo giocano un ruolo, sebbene la riduzione dei valori pressori compaia ben prima che una perdita di peso rilevante sia osservabile. Il peso corporeo influenza anche l’elasticità vascolare, ma in questo caso sembrano coinvolti anche altri fattori, tra cui la riduzione dello stress ossidativo indotto dall’iperglicemia e, forse, la protezione del glicocalice delle cellule endoteliali da un sovraccarico di Na+ [10].

Gli SGLT2 inibitori, a differenza di altri diuretici, determinano anche una riduzione dei livelli sierici di acido urico, cosa che potrebbe concorrere a ridurre il rischio cardiovascolare [10]. Il meccanismo ipotizzato alla base di questo effetto è l’aumento dell’escrezione urinaria: è possibile che glucosio ed acido urico interagiscano attraverso il trasportatore GLUT9, localizzato al polo apicale delle cellule tubulari, responsabile di uno scambio in antiporto di glucosio e urato. L’aumento della concentrazione di glucosio nel lume tubulare sembrerebbe in grado di stimolare l’escrezione di acido urico da parte di GLUT9, che si comporterebbe, di fatto, come una pompa ad efflusso, e al tempo stesso di inibirne il riassorbimento nel dotto collettore [9].

Un altro importante effetto dell’inibizione di SGLT2 è una riduzione del peso corporeo, dell’ordine di 2.5-4.0 Kg [10], effetto di non poco conto considerato che l’incremento ponderale è un effetto collaterale di molti farmaci ipoglicemizzanti e che molti pazienti con T2D sono obesi. Questo effetto sembra determinato, almeno nelle fasi iniziali, dalla perdita di calorie associata all’aumento dell’escrezione urinaria di

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glucosio, che corrisponde circa a 200-300 Kcal/die, con una diuresi di 400 ml/die, e che conduce a una perdita di massa grassa principalmente a livello viscerale [9]; viene persa anche una quota minoritaria di massa magra. Tale calo ponderale è minore del valore predetto sulla base della glicosuria (ammontando a 2.5-3 Kg contro i 6-7 Kg attesi); dopo circa 6 mesi di terapia si raggiunge un plateau, suggerendo una qualche forma di “compenso centrale” che porti ad aumentare l’introito calorico [9]; l’organismo deve infatti cercare di mantenere il bilancio energetico tra spesa e apporto. Tutti i tessuti richiedono energia, derivante dall’ATP prodotto con l’ossidazione di diversi substrati, quali glucosio, acidi grassi e amminoacidi. Il glucosio può avere tre diversi destini metabolici: può essere ossidato a CO2, immagazzinato sotto forma di glicogeno oppure convertito in lattato o alanina. Nel diabete, nonostante l’iperglicemia, l’ossidazione del glucosio è ridotta, così come il suo immagazzinamento sotto forma di glicogeno, mentre aumenta la sua conversione anaerobia a lattato ed alanina. A causa della ridotta secrezione insulinica e/o dell’insulino-resistenza, la capacità dei tessuti di utilizzare glucosio è diminuita, e il metabolismo si sposta verso l’utilizzo dei lipidi come principale fonte di energia, con un aumento della lipolisi. L’iperglicemia, inoltre, contribuisce a ridurre l’utilizzo del glucosio da parte dei tessuti, fenomeno definito “glucotossicità” [14]. La riduzione dei livelli plasmatici di glucosio ottenuta mediante l’inibizione di SGLT2 migliora la sensibilità insulinica tissutale, e di conseguenza la capacità di sfruttare il glucosio come fonte di energia, ma l’uso di questi farmaci si associa a un aumento dei livelli di glucagone, che stimola la produzione endogena di glucosio (una delle ragioni per cui la riduzione della glicemia è minore di quanto teoricamente atteso). Conseguenza della riduzione della glicemia, dei livelli di insulina e dell’aumento dei livelli di glucagone è una riduzione dell’ossidazione del glucosio, mentre aumenta l’utilizzo dei lipidi,

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nell’ottica di mantenere il bilancio energetico senza che sia intaccato il metabolismo proteico. Questa è una spiegazione verosimile anche della differenza tra perdita di peso attesa e osservata [15].

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I trials clinici

Negli ultimi anni le Autorità Regolatorie internazionali (EMA e FDA) richiedono che ogni nuovo farmaco per la cura del diabete che venga posto in commercio dimostri una non inferiorità nei confronti delle terapie già disponibili in termini di sicurezza CV. A questo scopo, vengono appositamente condotti trial di sicurezza CV (CVOTs). Anche gli SGLT2 inibitori hanno seguito questa regola, ma questi studi (EMPA-REG OUTCOME per Empagliflozin, CANVAS Program per Canagliflozin e DECLARE-TIMI 58 per Dapagliflozin) hanno riservato positive quanto inattese sorprese: infatti i risultati sono stati positivi in termini di outcomes cardiovascolari e renali per tutti e tre i farmaci, suggerendo pertanto un effetto protettivo di classe. Di seguito analizziamo brevemente i principali risultati di tali studi; a questi si aggiungono i risultati dello studio CREDENCE, un ambizioso trial condotto con Canagliflozin in pazienti con severa compromissione della funzione renale, volto a dimostrare una potenziale nefroprotettività del farmaco.

EMPA-REG OUTCOME

Nell’EMPA-REG OUTCOME, trial randomizzato in doppio cieco, sono stati valutati 7020 soggetti diabetici con cardiopatia nota ed eGFR (sec MDRD) >30 ml/min/1.73m2, normo, micro o macroalbuminurici, divisi in tre gruppi di

trattamento (Empagliflozin 25 mg, 10 mg o placebo). Il follow up medio è stato di 3.1 anni. L’outcome composito primario (morte CV, infarto miocardico acuto non fatale e stroke non fatale) è risultato inferiore nei soggetti trattati con Empagliflozin rispetto al placebo (10.8% vs 12.1%, HR=0.86, 95% CI 0.74-0.99, P=0.04). L’outcome CV secondario (outcome primario + ospedalizzazione per angina

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instabile) è stato riscontrato nel 12.8% dei soggetti trattati con Empagliflozin e nel 14.3% dei soggetti in placebo (HR=0.89, 95% CI 0.78-1.01, P=0.08). Rispetto al placebo, Empagliflozin ha mostrato una riduzione del rischio di morte per cause CV (HR= 0.62; 95% CI, 0.49-0.77; P<0.001) e per tutte le cause (HR=0.68; 95% CI 0.57-0.82; P<0.001) e del rischio di ospedalizzazione per scompenso cardiaco (HR=0.65; 95% CI 0.50-0.85; P=0.002) [11]. L’outcome composito renale (outcome secondario: raddoppio dei livelli di creatinina sierica con eGFR £45 ml/min/1.73 m2, dialisi o

morte per cause renali) si è manifestato nel 1.7% dei soggetti in terapia con Empagliflozin e nel 3.1% con placebo (HR=0.54, 95% CI 0.40-0.75; P<0.001) [16].

CANVAS Program

Il CANVAS Program [17] è un composito di due trials randomizzati controllati in doppio cieco, CANVAS e CANVAS-R, in cui sono stati reclutati in totale 10142 soggetti affetti da T2D, divisi in gruppi di trattamento con Canagliflozin 100 mg, 300 mg o placebo, con un follow up medio di 2.4 anni. Tutti i pazienti avevano un eGFR >30 ml/min/1.73 m2 ed erano normo, micro o macroalbuminurici. Più della metà dei

soggetti (65.6%) aveva una malattia CV conclamata. L’outcome composito primario era morte CV, infarto miocardico non fatale o stroke non fatale, gli outcomes secondari erano morte per tutte le cause, morte per cause CV, progressione dell’albuminuria ed il composito di morte per cause CV e ospedalizzazione per scompenso cardiaco. L’endpoint CV primario composito è risultato in 26.9 vs 31.5 soggetti con un evento ogni 1000 pazienti/anno (HR=0.86, 95% CI 0.75-0.97; P<0.001) [18]. L’ospedalizzazione per scompenso cardiaco è risultata 5.5 vs 8.7 per 1000 pazienti/anno (HR = 0.67, 95% CI 0.52–0.87, P=0.02) [17]. L’outcome composito renale (riduzione del 40% dell’eGFR in almeno due riscontri consecutivi,

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necessità di dialisi/trapianto o GFR<15 ml/min/1.73 m2 e l morte per cause renali) è

risultato di 5.5 vs 9 su 1000 pazienti/anno (HR=0.6, 95% CI 0.47–0.77, P<0.001) [18]. La progressione dell’albuminuria è risultata meno frequente nei soggetti in trattamento con Canagliflozin rispetto al placebo (89.4 vs 128.7 partecipanti con un evento su 1000 pazienti/anno; HR=0.73, 95% CI, 0.67-0.79) e la regressione dell’albuminuria si è presentata più frequentemente nei soggetti in terapia con Canagliflozin rispetto a placebo (293.4 vs 187.5 partecipanti con una regressione su 1000 pazienti/anno; HR=1.70; 95% CI, 1.51-1.91) [17].

DECLARE-TIMI58

In questo trial clinico randomizzato in doppio cieco, sono stati reclutati 17160 pazienti con T2D ai quali è stato assegnato Dapagliflozin 10 mg o placebo; i pazienti sono stati seguiti per 4.2 anni. I soggetti inclusi (uomini ³55 aa o donne ³60 anni) avevano ³1 fattore di rischio CV ed una clearance della creatinina (sec Cockroft-Gault) ³60 ml/min/1.73 m2 (per gli outcomes renali compositi è stata utilizzato eGFR

calcolato con CKD-EPI). L’outcome primario era il MACE (morte CV, infarto miocardico o stroke ischemico). I due outcomes secondari di efficacia erano il MACE ed un outcome composito di morte CV od ospedalizzazione per scompenso cardiaco. I due outcomes secondari di efficacia erano un outcome composito renale (riduzione sostenuta >40% dell’eGFR con eGFR <60 ml/min/1.73 m2, ESRD di nuovo

riscontro, morte per cause renali o CV) e morte per tutte le cause. Il 40.6% dei pazienti aveva CVD (principalmente coronaropatia), il 92.6% aveva eGFR>60 ml/min/1.73m2, il 67.9% aveva normoalbuminuria. L’endopoint primario CV si è

manifestato nel 8.8% dei trattati vs 9.4% in placebo (HR =0.93, 95% CI 0.84–1.03, P = 0.17). L’ospedalizzazione per scompenso cardiaco è avvenuta nel 2.5% dei

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soggetti in Dapagliflozin vs il 3.3% del gruppo in placebo (HR =0.73, 95% CI 0.61– 0.88, P =0.0008). L’outcome composito secondario era inferiore nel gruppo in Dapagliflozin vs placebo (4.9% vs 5.8%, HR =0.83, 95% CI 0.73–0.95, P =0.005). L’outcome composito renale si è manifestato nel 1.5% dei soggetti in Dapagliflozin e nel 2.8% dei soggetti in placebo (HR =0.53, 95% CI 0.43–0.66, P <0.001). Gli Autori hanno concluso che Dapagliflozin non è inferiore, ma nemmeno superiore, al placebo per l’outcome primario CV, che esplora una componente più “ischemica”, mentre risulta superiore nel ridurre le ospedalizzazioni per scompenso cardiaco. Inoltre, non avendo la maggior parte dei partecipanti una storia di pregresso scompenso cardiaco, sembra che Dapagliflozin possa intervenire prevenendo l’insorgenza di scompenso [18].

CREDENCE

Questo trial randomizzato in doppio cieco ha la peculiarità, rispetto a quelli sopra descritti, di avere un endpoint primario renale, e di essere stato condotto in soggetti albuminurici affetti da CKD. Sono stati studiati 4401 pazienti con T2D e CKD (eGFR sec CKD-EPI 30-90 ml/min/1.73 m2 ed albuminuria 300-5000 mg/g), assegnati a 100

mg di Canagliflozin o placebo, per un periodo mediano di 2.62 anni. Di questi, 2220 (50.4%) soggetti avevano malattia CV e circa il 16% aveva storia di scompenso cardiaco; 2631 (59.8%) avevano un eGFR <60 ml/min/1.73 m2, 3874 (88%) erano

macroalbuminurici e 496 (11.3%) microalbuminurici.

L’endpoint renale primario composito, ovvero il raddoppio sostenuto (>30gg), della creatinina sierica rispetto al basale, l’insorgenza di ESRD (dialisi, trapianto di reni o eGFR <15 ml/min/1.73 m2) o morte CV o renale, è stato riscontrato nel 11.1% dei

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su 1000 pazienti/anno; HR=0.70, 95% CI 0.59–0.82, p=0.00001). L’outcome CV composito secondario (morte CV, IMA non fatale ed ictus non fatale) si manifestava nel 9.9% dei pazienti trattati con Canagliflozin rispetto ai 12.2% in placebo (38.7 vs 48.7 su 1000 pazienti/aa, HR=0.80, 95% CI 0.67–0.95, p=0.01). L’ospedalizzazione per scompenso cardiaco si è registrata nel 4% dei pazienti in Canagliflozin e nel 6.4% dei pazienti in placebo (15.7 vs 25.3 su 1000 pazienti/anno, HR = 0.61, 95% CI 0.47– 0.80, p < 0.001) [19].

Commento ai risultati dei trials

In base ai risultati dei sopracitati trials, è evidente che tale classe di farmaci determini una riduzione del rischio relativo di ospedalizzazione per scompenso cardiaco e di mortalità per tutte le cause; la riduzione di ospedalizzazione per scompenso cardiaco è risultata più rilevante rispetto alla riduzione degli eventi ischemici, sia cardiaci che cerebrovascolari.

Il rischio assoluto di eventi CV sembra essere correlato più al GFR basale che a malattie CV preesistenti (generalmente anamnesi positiva per coronaropatia stabile) [20].

Fra i 4 trials, il CREDENCE ha mostrato il maggior numero di eventi CV ed il DECLARE-TIMI 58 il minore, in accordo con la complessità clinica e le comorbidità dei partecipanti. Le riduzioni del rischio relativo (RRR) hanno avuto un andamento variabile: il CREDENCE ha avuto la maggior RRR CV ed il DECLARE-TIMI 58 la minore; questo è coinciso con un maggior GFR basale riscontrato nei pazienti del DECLARE-TIMI 58. Il CREDENCE ha evidenziato la maggior frequenza di eventi compositi renali, mentre il DECLARE-TIMI 58 la minore; malgrado tali differenze, comunque la RRR negli outcomes renali compositi è risultata simile nei 4 trials [20].

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Si può ipotizzare che i differenti risultati ottenuti siano legati a diversi criteri di inclusione, a diverse equazioni adoperate per il calcolo del GFR ed alla definizione degli eventi, piuttosto che ai differenti farmaci utilizzati. Ad esempio, nello studio CREDENCE la popolazione in studio aveva un rischio di danno renale più elevato (minor eGFR basale e maggior grado di albuminuria rispetto agli altri 3 trials) [20]. Un’altra osservazione importante è che il filtrato renale iniziale sembra giocare un ruolo importante nel predire gli outcomes cardiorenali, forse anche meglio della pregressa CVD. Anche se il CREDENCE non è stato disegnato come un trial con outcomes CV (solo il 50.4% della popolazione in studio aveva malattie CV), comunque ha avuto un incremento di due volte del MACE rispetto al DECLARE-TIMI 58. Questi dati supportano l’ipotesi che gli SGLT2 inibitori riducano il rischio CV in base alla funzionalità renale basale piuttosto che alla presenza di CVD [20]. Da un punto di vista fisiopatologico, la precocità della riduzione degli outcomes per le ospedalizzazioni per scompenso cardiaco suggerisce un ruolo prevalente degli effetti emodinamici legati all’inibizione di SGLT2. Infatti, la riduzione del precarico e del postcarico sembra originare dalla natriuresi, dalla riduzione dei valori di PA, dalla modificazione dell’asse renina-angiotensina intrarenale e dal miglioramento dell’arterial stiffness, ottenuti con tali farmaci, nonchè dalla redistribuzione dell’edema interstiziale. Viceversa, effetti anti-aterosclerotici mediati dalla riduzione della glicemia, della PA e del peso corporeo non sembrano aver svolto un ruolo significativo nei benefici precoci di riduzione dell’ospedalizzazione per scompenso cardiaco [21,22]. Può esserci anche un effetto diretto positivo sul metabolismo cardiaco, attribuibile al passaggio da acidi grassi a corpi chetonici come substrato energetico preferenziale per i miocardiociti. Inoltre l’emoconcentrazione indotta da SGLT2 potrebbe incrementare l’apporto tissutale di ossigeno [21,22].

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In conclusione, in base all’analisi di questi trials sembra possibile parlare di “effetto di classe” in termini di benefici sia a livello cardiovascolare che a livello renale [20].

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L’epigenetica ed il suo ruolo nel diabete

Il T2D ha una patogenesi complessa, in cui si identificano importanti elementi di predisposizione genetica; tuttavia la sua complessità risiede soprattutto nell’interazione fra geni e fattori ambientali ed il breve lasso di tempo in cui è esplosa l’epidemia di T2D rende atto di quanto sia determinante il ruolo dell’ambiente rispetto alla predisposizione genetica nello sviluppo della patologia [23].

L’epigenetica è la scienza che studia i cambiamenti dell’espressione genica in assenza di alterazioni a carico delle sequenze nucleotidiche. Le variazioni epigenetiche sono dinamiche, ed è l’ambiente a modulare il genoma, modificando il fenotipo senza alterare il genotipo.

Le modificazioni epigenetiche sono molteplici: fra le principali ricordiamo la metilazione del DNA, le modificazioni degli istoni e la presenza di RNA non codificanti. La metilazione del DNA consiste nell’aggiunta di un gruppo metile in posizione 5’ della citosina nel DNA, generalmente a livello della regione promoter od

enhancer del gene, determinandone pertanto il “silenziamento”. Le modificazioni

degli istoni possono alterare l’accessibilità alla cromatina, cambiando l’affinità per il DNA da parte degli enzimi di trascrizione; ciò avviene per aggiunta di alcuni gruppi a livello della porzione N-terminale dell’istone (acetilazione della lisina, metilazione dell’arginina e lisina, fosforilazione della treonina e serina ed ubiquitinazione della lisina). Infine esistono RNA non codificanti, che includono i microRNA (miRNA), gli small non coding RNA (sncRNA) ed i long non coding RNA (lncRNA). Essi, attraverso vari meccanismi d’azione, legano gli RNA messaggeri (mRNA), riducendone l’espressione e favorendone la degradazione [23].

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I microRNA (miRNA) sono piccoli RNA a singolo filamento (18-25 nucleotidi) che regolano vari aspetti della vita cellulare inibendo l’espressione di moltissimi geni. Finora nell’uomo ne sono stati identificati più di 2000 e si ritiene che siano determinanti maggiori dell’espressione genica. Ciascun miRNA può legare (e regolare) più di un target, esercitando perciò il proprio effetto a vari livelli. Anche se la maggior parte dei miRNA è localizzata a livello intracellulare, una buona quota di queste molecole si trova nello spazio extracellulare, compresi sangue ed altri fluidi corporei. Grazie alle nuove tecnologie (quali northen blotting, qRT-PCR, microarrays ecc…) i miRNA circolanti possono essere estratti dal plasma, dal siero, o dal sangue intero e studiati come nuovi marcatori diagnostici e/o target terapeutici per numerose patologie [24].

Negli ultimi anni sono state ricercate possibili correlazioni fra miRNA, insorgenza di T2D e predisposizione a svilupparne le complicanze micro e macrovascolari. Ad esempio, è stato dimostrato come i miR-9, miR-29a, miR-30d, miR-34a, miR-124a, miR-146a e miR-375 possano giocare un ruolo importante nell’insulinoresistenza e

nella patogenesi del T2D [25]. E’ stata evidenziata anche un’associazione fra elevati

livelli di miR-150, miR-192, miR-27a, miR-320a e miR-375 e T2D, suggerendo un

loro utilizzo clinico nel predire l’insorgenza della malattia [26].

Il miR-126 è stato proposto come potenziale marcatore in grado di predire lo sviluppo di T2D, in quanto è ridotto nei soggetti prediabetici e diabetici rispetto ai soggetti con normale tolleranza al glucosio. Questo miRNA sembra rivestire anche un ruolo prognostico, mostrando come un miglioramento del profilo glucidico di pazienti diabetici si associ ad una riduzione dei suoi livelli plasmatici [27]. Ci sono numerose evidenze di una stretta correlazione fra miR-126, infiammazione e T2D: elevati livelli di miR-126 correlano inversamente con alcuni marcatori di infiammazione (conta

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23 leucocitaria, fibrinogeno, VCAM-1, endotelina ed E-selectina); d’altronde, la riduzione di miR-126 incrementa l’infiammazione a livello vascolare nel T2D, sottolineando ancora una volta un suo ruolo rilevante nella patogenesi di questa malattia e delle sue complicanze [28].

Il miR-126 ed il miR-200b sono coinvolti nei processi di neoangiogenesi alla base della retinopatia diabetica: entrambi risultano down-regolati a livello retinico nei soggetti con retinopatia [29,30]. Una ridotta espressione dei miR-146a e miR-29b è coinvolta anche nei processi di fibrosi che caratterizzano gli stadi più avanzati della nefropatia diabetica, in quanto tali miRNA generalmente hanno il ruolo di down-regolare NF-kB [31,32].

Questi sono solo alcuni esempi delle ultime scoperte in ambito di epigenetica e diabete, che possono permettere di capirne l’importanza e la potenzialità: individuare il ruolo patogenetico dei miRNA potrebbe permetterci in un futuro, più o meno prossimo, di utilizzarli come veri e propri target terapeutici, o come biomarcatori per ottimizzare e personalizzare le strategie di intervento nella gestione del diabete e delle sue complicanze.

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24 PARTE SECONDA

Introduzione

L’inibizione di SGLT2 ha un effetto protettivo sia a livello cardiovascolare che a livello renale, e tale effetto non è legato al solo miglioramento del compenso glicemico. Nei principali trials condotti con SGLT2 inibitori è stato suggerito che le variazioni emodinamiche legate alla deplezione di volume siano alla base della riduzione della mortalità cardiovascolare dei soggetti trattati con Empagliflozin e

Canagliflozin, rispetto a quelli trattati con placebo [21,22]. Più recentemente i risultati

dello studio DECLARE-TIMI 58 hanno dimostrato che anche Dapagliflozin garantisce

una protezione in termini CV, suggerendo pertanto un effetto di classe [17].

Alcuni studi hanno dimostrato un miglioramento della funzione vascolare nei diabetici trattati con Dapagliflozin in diverse fasi della malattia, contribuendo ad un

miglioramento degli outcomes CV [33,34]. Tuttavia non è ancora chiaro se tali effetti

siano soltanto legati ad una riduzione dei livelli pressori ed alla contrazione del volume plasmatico, con conseguente risposta neurormonale.

In uno studio pilota, condotto in acuto su soggetti affetti da T2D, abbiamo reclutato 26 pazienti ai quali abbiamo somministrato Dapagliflozin 10 mg/die (16 pazienti) o

Idroclorotiazide (HCT) 12.5 mg/die (10 pazienti) [35]. I principali criteri di inclusione

erano: età fra i 40 ed i 70 anni, indice di massa corporea (BMI) <40 kg/m2, adeguato

controllo glicemico (HbA1c<64 mmol/M) con qualsiasi farmaco antidiabetico orale, PA clinica <140/90 mmHg, nessuna terapia antipertensiva. I criteri di esclusione

erano: ipertensione arteriosa in trattamento, eGFR <60 ml/min/1.73 m2, patologie

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25 valutati al basale (visita 0) e due giorni dopo il trattamento (visita 1): esame obiettivo con misurazione di PA clinica e peso corporeo, esami ematochimici di routine, raccolta delle urine delle 24 ore (elettroliti urinari, albuminuria, glicosuria), studio della funzione neuro-ormonale, ovvero attività reninica plasmatica (PRA), aldosterone e catecolamine plasmatiche, valutazione dello stress ossidativo con dosaggio dell’8-isoprostano; studio della funzione vascolare attraverso la vasodilatazione dell’arteria brachiale in maniera endotelio-dipendente/indipendente (flow mediated dilation, FMD, e dopo nitrati), misurazione dell’arterial stiffness (con la pulse wave velocity carotido-femorale, PWV, e l’Augmentation Index, AIx) ed infine gli indici di resistenza renale basale (RI) e dinamico (DRIN). Per lo studio vascolare nel dettaglio, rimandiamo al Paragrafo “Materiali e metodi” di questa tesi.

Dapagliflozin si è dimostrato efficace nel migliorare la funzionalità vascolare

arteriosa, misurata come FMD, e questo effetto si è verificato in assenza di variazioni

nel diametro dell'arteria brachiale allo stimolo iperemico e in risposta ai nitrati sublinguali, indicando un effetto selettivo positivo di Dapagliflozin sull'endotelio. Inoltre, Dapagliflozin ha ridotto lo stress ossidativo in acuto, con un ulteriore meccanismo protettivo sull’endotelio. Non è stata poi riscontrata alcuna variazione a livello del sistema neuro-ormonale (catecolamine ed aldosterone) né una riduzione significativa dei livelli di glicemia. A questo va aggiunto che, fisiologicamente, una riduzione acuta della PA, come quella riscontrata nei nostri pazienti trattati sia con Dapagliflozin che con HCT, avrebbe dovuto determinare in acuto un incremento della frequenza cardiaca: tale incremento di frequenza è stato riscontrato solo nei pazienti trattati con HCT. Questo dato può indurre ad ipotizzare un effetto diretto di Dapagliflozin sul sistema simpatico, e quindi un ulteriore meccanismo protettivo nei confronti dell’endotelio. Inoltre Dapagliflozin si è dimostrato efficace nel ridurre la

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26 PWV aortica indipendentemente dalla PA, dal momento che tale variazione non è stata osservata nel gruppo in HCT, che ha ottenuto riduzione dei valori di PA sovrapponibili al gruppo in Dapagliflozin. Anche questo dato, quindi, conferma un potenziale effetto diretto dell’SGLT2 inibitore sull’endotelio. Questi risultati, se confermati in cronico, potrebbero contribuire a spiegare la riduzione degli eventi CV riscontrati nei trials sopra descritti.

Nei soggetti trattati con Dapagliflozin, ma non nei trattati con HCT, è stata riscontrata una riduzione della RI. Questo dato potrebbe essere spiegato con un riarrangiamento

dell’emodinamica renale operato dagli SGLT2 inibitori, dovuto al ridotto

riassorbimento tubulare di glucosio e sodio, che porta ad una maggiore concentrazione di sodio a livello della macula densa e quindi al ripristino del feedback tubuloglomerulare con vasocostrizione relativa della arteriola glomerulare afferente. Viceversa, la somministrazione di Dapagliflozin ha determinato un incremento del DRIN, ovvero una minor riduzione di RI indotta dalla somministrazione sublinguale di nitrato; in altre parole, una ridotta vasodilatazione in risposta ai nitrati. Il DRIN potrebbe rappresentare un indicatore della capacità di vasodilatazione renale; in questo studio, gli effetti di Dapagliflozin sul DRIN sono stati probabilmente mascherati dagli effetti sopra descritti sul flusso plasmatico renale e sulla riduzione del RI basale. Dall’analisi dei nostri dati è evidente che Dapagliflozin agisca in acuto come composto puramente “glucoretico”: con la glicosuria aumenta l’escrezione dell'acqua libera senza però modificare il profilo elettrolitico urinario. Si afferma comunemente che gli SGLT2 inibitori esercitino un effetto natriuretico benefico, ma non abbiamo confermato questa osservazione con Dapagliflozin. La mancanza di variazione nella natriuresi, che abbiamo riscontrato, supporta l’ipotesi di una maggiore espressione e/o attività funzionale di altri trasportatori del sodio che potrebbero determinarne un

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aumentato riassorbimento a valle. Inoltre, non abbiamo osservato variazioni acute nei livelli di potassio sierico: quest’azione selettiva sul pool di acqua libera può essere considerata come un effetto clinicamente vantaggioso rispetto alla diuresi indotta, ad esempio, dai diuretici tiazidici. Viceversa, abbiamo riscontrato che l’aumento dei livelli di magnesio sierico dopo SGLT2 inibizione è un effetto immediato, evidente già dopo 2 giorni di trattamento. È stato riportato che valori di magnesiemia nel range normale-alto, come quelli osservati nella nostra popolazione, siano associati a un rischio cardiovascolare inferiore [36], configurando quindi un potenziale ulteriore effetto cardioprotettivo esercitato da Dapagliflozin. Infatti, la supplementazione di magnesio esercita effetti favorevoli sulla funzione endoteliale nei soggetti a rischio di diabete [37], suggerendo un altro meccanismo possibile attraverso il quale gli inibitori di SGLT2 determinano una protezione vascolare [36,37].

Seppur questo studio pilota presentasse delle limitazioni (campione di piccole dimensioni, brevissima durata di osservazione), in base ai promettenti risultati ottenuti, abbiamo deciso di condurre uno studio volto a valutare se tali effetti benefici sull’endotelio svolti da Dapagliflozin si mantenessero nel tempo, in modo da poter ipotizzare realmente un ruolo di questo meccanismo nella protezione CV riscontrata nei grandi trials clinici.

Pertanto abbiamo disegnato il presente studio [38] con lo scopo di: 1) chiarire l’effetto

subacuto di Dapagliflozin sulla funzione endoteliale e vascolare sia renale che sistemica, valutate con misurazioni non invasive, anche in relazione alla sodiemia, alla volemia, al RAAS, al sistema neuro-ormonale ed alla PA; 2) cercare una relazione fra l’emodinamica sistemica e renale ed il potenziale ruolo epigenetico degli SGLT2 inibitori, valutando se l’espressione basale di alcuni miRNA potesse predire gli effetti

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28 clinici e l’efficacia di Dapagliflozin e, viceversa, se Dapagliflozin fosse in grado di modificare l’emodinamica sistemica e renale attraverso meccanismi epigenetici.

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29 Materiali e Metodi

Popolazione in studio

Abbiamo reclutato consecutivamente quaranta pazienti ipertesi con T2D tra coloro che afferivano ai nostri ambulatori di Diabetologia e disturbi metabolici nell’anno 2017. I

criteri di inclusione erano: 1) età tra 40 e 75 anni; 2) BMI <40 kg/m2; 3) adeguato

controllo glicemico (HbA1c <64 mmol/mol), ottenuto con qualsiasi farmaco antidiabetico orale; 4) valori di PA >130/80 mmHg nonostante terapia con ACE-inibitore; 5) capacità di aderire al protocollo di studio; 6) firma del consenso informato. I criteri di esclusione erano: 1) valori di PA >160/100 mmHg; 2) compromissione della funzione renale di grado moderato-severo (velocità di filtrazione glomerulare stimata,

eGFR, <60 ml/min/1.73m2); 3) disidratazione o rischio di disidratazione (ad es.

utilizzo di diuretici, lassativi, diarrea cronica…); 4) presenza di patologie ematologiche, CV, polmonari ed epatiche clinicamente rilevanti.

Disegno dello studio

Nel corso della visita di screening (una settimana prima dell’inizio dello studio), i pazienti sono stati randomizzati a ricevere terapia con Dapagliflozin 10 mg o Idroclorotiazide (HCT) 12.5 mg in add on alla terapia con ACE-inibitore.

Dopo lo screening, ogni soggetto è stato valutato due volte: al basale (Visita 0), e dopo 4 settimane di trattamento con Dapagliflozin 10 mg/die o HCT 12.5 mg (Visita 1). Durante entrambe le visite, sono stati raccolti parametri vitali (PA, FC), campioni di sangue e urine delle 24 ore per eseguire esami di routine e dosaggio di PRA, aldosterone, adrenalina, noradrenalina ed escrezione urinaria degli elettroliti. È stato inoltre prelevato un campione di siero/plasma per il dosaggio dei miRNA. È stata

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30 eseguita una valutazione vascolare non invasiva completa, comprensiva di flow

mediated dilation (FMD) dell’arteria brachiale, dell'indice di resistenza renale basale

(RI) e dinamico (DRIN). Sono state inoltre misurati la pulse wave velocity carotido-femorale (PWV) e l’Augmentation Index (AIx). Tutte le valutazioni vascolari sono state eseguite dal medesimo operatore.

Vasodilatazione Endotelio-dipendente e indipendente dell’arteria brachiale.

La funzione endoteliale è stata valutata come vasodilatazione dell’arteria brachiale in risposta all’iperemia reattiva post-ischemica (flow mediated dilation, FMD) [39]. Un manicotto pediatrico è stato posto all’avambraccio, 2 cm sotto il gomito, e l’arteria brachiale destra è stata localizzata e scansionata longitudinalmente tra i 5 e i 10 cm al di sopra del gomito usando una sonda lineare da 10 Mhz (MyLab 25, ESAOTE). Il trasduttore è stato mantenuto nella stessa posizione durante la scansione attraverso un sistema stereotassico, allo scopo di assicurare la stabilità dell’immagine. Dopo 1 minuto di registrazione basale, il manicotto è stato gonfiato per 5 minuti a 300±30 mmHg e poi sgonfiato per indurre iperemia reattiva. La vasodilatazione endotelio-indipendente è stata ottenuta con la somministrazione sublinguale di glicerolo trinitrato (GTN) 25 µg. Le misurazioni del diametro dell’arteria brachiale sono state eseguite attraverso apposito sistema di rilevamento (Cardiovascular Suite). La FMD e la risposta al GTN sono state calcolate come la percentuale massima di incremento di diametro rispetto al basale (media delle misure ottenute durante il primo minuto). Il coefficiente di variazione della FMD nel nostro laboratorio sono stati 7.6%

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31 Indice di resistenza renale basale (RI) e dinamico (DRIN).

La scansione ecografica intraparenchimale renale è stata eseguita da un singolo operatore usando un ecografo (MyLab 25, Esaote, Florence, Italy) dotato di una sonda Convex ad alta risoluzione multifrequenza (2.5-4.5 Mhz). Utilizzando un approccio translombare o anteriore, sono state ottenute tre misure velocimetriche delle arterie interlobari renali. L’RI è stato calcolato in entrambe i reni attraverso la formula:

picco di velocità sistolica – velocità tele diastolica picco di velocità sistolica

L’indice di resistenza renale è stato calcolato al basale e 5 minuti dopo stimolo farmacologico con una bassa dose (25µg) GTN; tale dose è priva di effetti sulla PA e sulla frequenza cardiaca. Il DRIN è stato calcolato come percentuale assoluta di variazione rispetto al basale in risposta al GTN [35].

Tonometria arteriosa

La tonometria arteriosa (SphygmoCor, AtCor Medical, Sydney, Australia) è stata effettuata in accordo con le raccomandazioni internazionali [41]. Una sonda è stata posta sull’arteria selezionata, e sono state registrate da 10 a 15 immagini consecutive. La pressione centrale è stata ottenuta dalla forma dell’onda pressoria rilevata a livello radiale tramite una funzione di conversione, e confermata su tre misurazioni consecutive. L’Augmented pressure (AP) è stata calcolata come la differenza tra il secondo e il primo picco sistolico; l’Augmentation Index (AIx) è stato calcolato come il rapporto tra AP e PA differenziale (PP), normalizzato per una frequenza cardiaca di 75 bpm. La PWV aortica è stata misurata con lo stesso dispositivo, registrando consecutivamente le onde a livello carotideo e femorale. La PWV è stata calcolata

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come il rapporto tra la distanza tra i due punti di registrazione (distanza diretta x 0,8) e il tempo di transito dell’onda. Sono state registrate tre misurazioni consecutive, ed è stato considerato il valore medio.

Valutazione del sistema renina angiotensina e del sistema neuro-ormonale

I campioni per la determinazione dell’attività della renina plasmatica (PRA) e dell’aldosterone sono stati prelevati a paziente supino da 15 minuti; tali ormoni sono stati dosati con metodo radioimmunologico (DiaSorin, Saluggia, Italia). Noradrenalina e adrenalina plasmatiche sono stati dosati con cromatografia liquida ad alte prestazioni (HPLC).

Espressione dei microRNA

I miRNA circolanti sono stati isolati utilizzando un estrattore automatico QUIACUBE (Quiagen, Hilden, Germania) equipaggiato con un kit specifico per siero/plasma (miR-Neasy Serum/plasma, catalogo n° 217184; Quiagen). Dopo averli riportati a temperatura ambiente, i campioni di siero sono stati centrifugati per rimuovere i crioprecipitati; sono stati processati 200 µl seguendo il protocollo standard del kit. Per ciascun soggetto, 2 µl dell’eluato contenente miRNA sono stati utilizzati per retrotrascrivere i cDNA utilizzando il kit di sintesi TaqMan Advanced miRNA (catalogo n° A28007; Applied Biosystems, Foster City, CA). Il livello di espressione dei miRNA è stato determinato mediante Real Time PCR, utilizzando TaqMan Advanced miRNA Assays (catalogo n° A25576; Applied Biosystems).

I seguenti miRNA: miR-30e-5p, miR-199a-3p, miR-27b, miR-200b, miR-27a-3p e miR-21-5p sono stati dosati a digiuno al basale e dopo 4 settimane di trattamento.

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33 Analisi statistica

I dati sono stati riportati come media (± deviazione standard), oppure come mediana e range interquartile per le variabili con distribuzione non normale. I gruppi sono stati opportunamente comparati utilizzando lo Student t test per dati appaiati per variabili continue normalmente distribuite, il test dei ranghi con segno di Wilcoxon per variabili continue distribuite in maniera non-normale, o il test del c2 per variabili non

categoriche. I dati di serie temporale sono stati analizzati utilizzando l’ANOVA per misure ripetute. Le differenze tra i gruppi sui dati di serie temporale sono state analizzate mediante ANOVA a due vie per misure ripetute. Le differenze tra i gruppi sono state calcolate utilizzando il test HSD di Tukey. E’ stata, altresì, utilizzata la correzione di Bonferroni per test multipli. La correlazione tra le variabili è stata stimata utilizzando il coefficiente di correlazione per ranghi di Spearman. Sia per l’ANOVA a due vie che per l'analisi di correlazione di Spearman è stata applicata la trasformazione logaritimica per tutte le variabili con una distribuzione non-normale. L'analisi statistica è stata eseguita utilizzando JMP®7.0. Un valore della p < 0.05 è stato considerato statisticamente significativo. Dal momento che il nostro è uno studio

proof-of-concept, non esistono ancora in letteratura dati a disposizione circa l’effetto

del Dapaglifozin sui miRNA e, pertanto, non è stato possibile eseguire un convenzionale calcolo della dimensione campionaria. Tuttavia, è stato eseguito un calcolo post hoc della dimensione del campione considerando miR-30e-5p come variabili ed utilizzando i dati raccolti in questo studio. Una dimensione del campione di 40 pazienti (n=20 in ciascun gruppo) è risultata adeguata per dimostrare un effetto di interazione gruppo per tempo con una potenza statistica di 0.99 e una significatività di 0.05.

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Risultati

Tutti i pazienti hanno completato il protocollo senza comparsa di eventi avversi. Come indicato nella Tabella 1, i due gruppi non differivano per caratteristiche bio-antropometriche (età, sesso e BMI). Dopo 4 settimane di terapia, in entrambi i gruppi non sono state riscontrate variazioni significative di PA. La glicemia a digiuno è risultata più elevata al basale nei soggetti trattati con Dapagliflozin, e ha mostrato una riduzione significativa solo in questo gruppo (P=0.03 interazione tempo/trattamento); viceversa, la HbA1c è risultata simile nei due gruppi. I livelli di magnesio sierico sono incrementati solo dopo 4 settimane di Dapagliflozin, ma non dopo HCT. Gli altri elettroliti sierici, il profilo lipidico ed il eGFR non sono risultati statisticamente differenti rispetto al basale in entrambi i gruppi e non sono stati influenzati dal tipo di trattamento. Dapagliflozin ha indotto un significativo incremento dei livelli di aldosterone, mentre i livelli di PRA e delle catecolamine plasmatiche non si sono modificati.

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Tabella 1. Variabili bio-antropometriche alla Visita 0 ed alla Visita 1

Dapagliflozin (n=20) Idroclorotiazide (n=20) P

Visita 0 Visita 1 Visita 0 Visita 1 Gruppo Tempo

Tempo x Gruppo Età (anni) 60±8 --- 62±8 --- Sesso (M/F) 12/8 --- 14/6 --- BMI (Kg/m2) 32.38±6.72 31.69±6.81 28.79±4.88 28.98±4.48 0.149 0.563 0.074 PAS (mmHg) 135.9±11.4 134.1±14.6 139.3±15.9 134.6±16.5 0.748 0.177 0.773 PAD (mmHg) 75.6±6.5 73.1±8.0 76.2±10.1 73.9±7.2 0.867 0.104 0.758 Glicemia a digiuno (mg/dl) 147.03±36.76# 132.25±32.97 124.68±28.29 130.63±49.37 0.367 0.469 0.046 HbA1c (mmol/mol) 58.9±14.5 --- 52.3±12.2 --- Ematocrito (%) 41.82±3.34 41.84±2.92 42.39±2.67 41.85±3.15 0.767 0.303 0.162 Col totale (mg/dl) 169±28 169±22 164±21 163±29 0.378 0.641 0.963 HDL (mg/dl) 50±15 51±18 55±17 51±14 0.607 0.278 0.115 Trigliceridi (mg/dl) 128±51 138±67 102±45 109±49 0.148 0.130 0.623 eGFR (ml/min/1.73m2) 94.7±11.9 99.3±16.9 91.2±10.9 91.8±12.4 0.179 0.792 0.157 s-Sodio (mEq/l) 139.95±2.11 139.61±1.54 139.56±1.93 139.88±2.13 0.953 0.967 0.480 s-Potassio (mEq/l) 4.55±0.33 4.97±0.36 4.57±0.35 4.47±0.31 0.927 0.109 0.383 s-Calcio (mg/dl) 2.39±0.10 2.39±0.09 2.41±0.12 2.43±0.13 0.391 0.420 0.793 s-Cloro (mEq/l) 99.95±2.72 99.78±2.16 99.81±2.81 99.53±2.63 0.922 0.703 0.702 s-Magnesio (mg/dl) 0.94±0.14 1.00±0.11* 0.95±0.14 0.95±0.12 0.481 0.064 0.018 s-Osmolarità (mOsm/l) 294.9±5.0 293.6±4.0 292.5±4.6 294.8±4.6 0.684 0.476 0.026 Attività reninica plasmatica (ng/ml/h) 2.18±3.31 3.19±3.56 2.72±3.12 5.15±6.67 0.232 0.156 0.553 Aldosterone (pg/ml) 1.14±0.55 1.79±1.09#* 1.44±0.95 1.01±0.43 0.276 0.575 0.007 Noradrenalina (pmol/l) 638.2±224.1 574.9±275.0 755.8±231.2 765.9±282.6 0.072 0.533 0.380 Adrenalina (pmol/l) 47.0±38.8 33.4±19.4 56.3±38.2 50.9±28.7 0.221 0.085 0.472 *p< 0.05 fra Visita 1 e Visita 0; #p< 0.05 Dapagliflozin vs Idroclorotiazide

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I parametri urinari sono riportati nella Tabella 2. Come atteso, Dapagliflozin ha determinato un incremento della diuresi nelle 24 h, della glicosuria e della clearance osmolare, mentre non sono state riscontrate differenze fra i due gruppi nel rapporto albuminuria/creatininuria e negli elettroliti urinari.

Tabella 2. Parametri urinari alla Visita 0 ed alla Visita 1

Dapagliflozin (n=20) Idroclorotiazide (n=20) P

Visita 0 Visita 1 Visita 0 Visita 1 Gruppo Tempo

Tempo x Gruppo Diuresi (ml/24h) 1250 [1000-2100] 2250* [1900-3000] 1750 [1250-2100] 1950 [1288-2138] 0.993 <0.001 <0.001 Albuminuria/creatininuria ratio (mg/g) 1.20 [0-14.75] 1.30 [0-10.68] 13.95 [0.78-20.25] 8.75 [3.98-21.93] 0.281 0.734 0.932 u-Sodio (mEq/24h) 179 [118-235] 185 [157-213] 148 [95-229] 188 [140-240] 0.725 0.074 0.450 u-Potassio (mEq/24h) 66 [46-90] 78 [56-97] 65 [45-100] 93 [64-104] 0.323 0.043 0.163 u-Calcio (mg/24h) 222 [59-332] 236 [167-405] 194 [89-253] 185 [84-231] 0.085 0.694 0.555 u-Cloro (mEq/24h) 186 [122-239] 175 [159-198] 157 [93-228] 197 [130-247] 0.653 0.101 0.262 u-Magnesio (mg/24h) 70 [41-129] 110 [92-137] 77 [53-115] 88 [51-143] 0.416 0.082 0.203 u-Osmolarità (mOsm/l) 569±154 614±118 479±154 520±154 0.057 0.114 0.945 Glicosuria (mg/24h) 180 [111-3826] 79326*# [59959-147923] 115 [67-1536] 127 [66-198] <0.001 <0.001 <0.001 Clearance osmolare (mL/24h) 2618 [2230-3275] 4324*# [3404-5693] 2699 [1880-3587] 2995 [2537-3814] 0.061 <0.001 <0.001 Clearance dell’acqua libera (ml/24h) -935 [-1706;1099] -30 [-87;-11] -757 [-1688;-380] -22 [-27;-6] 0.910 0.186 0.42 Escrezione frazionale del

sodio 0.77±0.37 0.79±0.33 0.66±0.26 0.72±0.26 0.503 0.241 0.613

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37

La Tabella3 riporta i parametri vascolari. La vasodilatazione endotelio-dipendente ed indipendente e la rigidità arteriosa non sono variate dopo i trattamenti.

Tabella 3. Parametri vascolari alla Visita 0 ed alla Visita 1

Dapagliflozin (n=20) Idroclorotiazide (n=20) P value

Visita 0 Visita 1 Visita 0 Visita 1 Gruppo Tempo

Tempo x Gruppo Diametro basale arteria

brachiale-FMD (mm) 4.18±0.63 4.18±0.54 4.52±0.61 4.56±0.63 0.088 0.869 0.653 Diametro massimo arteria

brachiale-FMD (mm) 4.43±0.64 4.32±0.58 4.70±0.58 4.60±0.53 0.297 0.169 0.252 Shear stress basale (s-1) 268.6±110.4 220.8±57.2 238.5±108.3 208.3±73.1 0.451 0.080 0.932 Shear stress iperemico (s-1) 925.0±380.3 805.5±259.5 839.2±354.0 779.9±274.8 0.744 0.277 0.568

FMD (%) 3.80±1.87 2.98±1.91 3.27±2.00 2.88±2.05 0.643 0.210 0.425

Diametro basale arteria

brachiale-GTN (mm) 4.32±0.57 4.17±0.51 4.47±0.46 4.45±0.58 0.364 0.231 0.331 Diametro massimo arteria

brachiale-GTN (mm) 4.59±0.60 4.46±0.55 4.76±0.54 4.73±0.55 0.353 0.262 0.273 Risposta al GTN (%) 6.08±2.69 6.73±3.87 5.89±3.87 5.96±4.46 0.689 0.631 0.967 Cf-PWV(m/s)*0.8 10.35±1.64 10.18±1.47 11.15±2.61 10.63±2.65 0.387 0.202 0.640 Augmentation Index (%) 27.90±8.14 23.67±10.11 26.44±11.93 26.31±9.05 0.863 0.130 0.147 Augmentation Index75 (%) 24.15±7.28 20.89±9.49 24.88±11.50 23.44±7.97 0.599 0.099 0.477 PAS aortica (mmHg) 123.1±9.6 119.9±13.7 128.7±17.3 122.1±15.7 0.399 0.062 0.672 PAD aortica (mmHg) 79.2±11.4 74.5±8.4 79.6±13.7 75.4±7.6 0.958 0.051 0.767 PP aortica (mmHg) 43.90±11.96 45.39±9.94 49.06±14.89 46.69±13.54 0.395 0.849 0.402 Frequenza cardiaca (bpm) 67.15±8.62 69.11±9.62 71.31±9.98 69.00±8.45 0.544 0.745 0.139 RI 0.65±0.05 0.64±0.06 0.64±0.04 0.62±0.05 0.657 0.002 0.265 DRIN (%) -3.36±3.19 -3.70±3.49 -5.60±4.43 -3.36±3.88 0.308 0.495 0.047

FMD, flow mediated dilation; GTN, glyceryl trinitrate; Cf-PWV, carotid-femoral pulse wave velocity; RI, Renal resistive index; DRIN, dynamic renal resistive index.

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In relazione ai parametri renali vascolari, il RI non ha mostrato variazioni dopo Dapagliflozin o HCT; viceversa il DRIN non è variato dopo terapia con Dapagliflozin, mentre si è evidenziata una sua tendenza all’aumento dopo terapia con HCT (P=0.04 interazione tempo per trattamento; Figura 1).

Figura 1. DRIN alla Visita 0 ed alla Visita 1

La PA centrale ha mostrato tendenza alla riduzione dopo Dapagliflozin e HCT; la frequenza cardiaca non si è modificata.

Non sono state riscontrate correlazioni fra le modifiche dei parametri vascolari ed i livelli di sodio plasmatico, il sistema neuro-ormonale ed i livelli di PA.

Infine abbiamo valutato se alcuni miRNA potenzialmente coinvolti nella funzione cardiorenale potessero essere modificati da Dapagliflozin, e se potessero essere coinvolti nel miglioramento della compliance arteriosa renale determinata da tale farmaco. La Tabella 4 riporta i livelli circolanti dei miRNA al basale e alla fine dello studio. Non sono state evidenziate differenze nei livelli basali nei due gruppi. Entrambi i farmaci hanno determinato un incremento di miR-200b, miR-27b, miR-130b-3p e

Visita 1

Visita 0 Visita 1 Visita 0

D

R

IN

(

%)

P= 0.047 interazione tempo x trattamento

Dapagliflozin Idroclorotiazide -15 -10 -5 0 5

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39

miR-27a-3p, sebbene con un comportamento simile (non significativa interazione tempo per gruppo). Viceversa i miR-30e-5p e miR-199a-3p venivano modulati in maniera differente dai due farmaci (up-regulation del primo e down-regulation del secondo con Dapagliflozin).

Tabella 4. Espressione dei miRNA circolanti alla Visita 0 ed alla Visita 1

Dapagliflozin (n=20) Idroclorotiazide (n=20) P

Visita 0 Visita 1 Visita 0 Visita 1 Tempo x Gruppo

miR-21-5p 1.596 [2.088] 1.772 [1.395] 1.443 [1.835] 1.292 [3.206] 0.611 miR-200b 0.379 [0.580] 2.802 [4.179]* 0.375 [0.453] 2.105 [2.318]* 0.629 miR-30e-5p 1.195 [3.134] 4.004 [3.563]* 1.405 [2.062] 2.615 [1.867]# 0.012 miR-199a-3p 0.353 [0.480] 0.171 [0.181]* 0.293 [0.314] 0.418 [0.725]# 0.017 miR-27b 0.072 [0.050] 0.172 [0.209]* 0.063 [0.050] 0.184 [0.305]* 0.343 miR-130b-3p 0.074 [0.083] 0.155 [0.200]* 0.044 [0.046] 0.096 [0.190]* 0.800 miR-27a-3p 0.753 [1.105] 2.039 [2.302]* 0.615 [0.619] 2.606 [3.132]* 0.297 *p< 0.05 fra Visita 1 e Visita 0; #p< 0.05 Dapagliflozin vs Idroclorotiazide

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40

La Figura 2 mostra l’esistenza, nei pazienti trattati con Dapagliflozin, di una correlazione lineare fra la variazione del DRIN (DRIN post-trattamento - DRIN basale, DDRIN) e l’espressione basale di miR-200b e miR-27b (r= 0.43, P=0.05 e r=0.50, P=0.03, rispettivamente), già associati a scompenso cardiaco, disfunzione endoteliale ed insufficienza renale.

Figura 2. Correlazione fra miR-200b e miR-27b alla Visita 0 (espresse come ln, logaritmo naturale) e variazione del DRIN (espressa come variazione in percentuale, DDRIN, rispetto al basale)

Infine, le variazioni del miR-27b dopo terapia erano inversamente correlate a variazioni di FMD (r= -0.474; P=0.026) e dell’AIx (r= -0.476; P= 0.022). Δ DRIN (%) ln e sp re ss ion e m iR -200b ln e sp re ss ion e m iR -27b -2,5 -2 -1,5 -1 -0,5 0 0,5 1 -10 -7,5 -5 -2,5 0 2,5 5 P=0.05 r=0.43 -4,5 -4 -3,5 -3 -2,5 -2 -1,5 -1 -10 -7,5 -5 -2,5 0 2,5 5 P=0.03 r=0.50

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Discussione

I risultati principali di questo studio propongono due nuovi meccanismi di protezione cardiorenale associati alla terapia con Dapagliflozin. Innanzitutto, Dapagliflozin aumenta l’espressione di miR-30e-5p e miR-199a-3p, entrambi coinvolti nella patogenesi dello scompenso cardiaco. In secondo luogo, il trattamento di 4 settimane con Dapagliflozin preserva la funzione vasodilatatoria renale, effetto mediato dall’espressione basale di alcuni miRNA. Tali effetti sono indipendenti dalla riduzione dei livelli di PA e dall’effetto diuretico di Dapagliflozin [35], in quanto non si manifestano nel braccio trattato con HCT.

In questo studio è stata inoltre effettuata un’estesa valutazione della risposta vascolare sistemica e renale al Dapagliflozin. La funzione endoteliale dell’arteria brachiale, che aumenta in acuto con lo SGLT2 inibitore [35], non si è invece modificata durante un trattamento a breve termine. I nostri risultati in qualche modo riflettono quelli dello studio DEFENCE (Dapagliflozin Effectiveness on the Vascular Endothelial Function and Glycemic Control) [33], che ha evidenziato un miglioramento della funzione endoteliale dopo 16 settimane di trattamento con Dapagliflozin rispetto al trattamento con un comparatore non emodinamicamente attivo (Metformina), ma tale miglioramento era evidente solo nei pazienti (n=13) con peggior controllo metabolico al basale. Si potrebbe inoltre ipotizzare che, per un periodo di osservazione molto breve, come accade in questo studio, alcuni meccanismi controregolatori (ad es. l’attivazione dell’aldosterone) potrebbero aver ridotto l’iniziale miglioramento della FMD, indice di funzione endoteliale. Si può quindi ipotizzare che il miglioramento di alcuni parametri funzionali, come la stiffness arteriosa (indicata dalla PWV), richieda una durata di trattamento più lunga. Pertanto i nostri risultati non escludono che un

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effetto diretto sulla struttura e sulla funzione vascolare sia uno dei meccanismi sottostanti la protezione cardiovascolare indotta dagli SGLT2 inibitori [31,32]. Al contrario, un breve trattamento sembra già determinare un effetto positivo a livello vascolare renale, con il DRIN, indice di capacità vasodilatatrice renale, che rimane conservato con Dapagliflozin, mentre aumenta nei pazienti trattati con HCT. E’ importante ricordare che un incremento nel DRIN (valore generalmente negativo) indica un’alterazione della capacità vasodilatatoria mediata dai nitrati. Tale effetto non risulta presente dopo 48 ore di somministrazione di Dapagliflozin, quando gli effetti emodinamici acuti sono predominanti [35], mentre può essere indice di un effetto a lungo termine. Abbiamo precedentemente dimostrato come il DRIN possa predire l’insorgenza di albuminuria in soggetti ipertesi diabetici [42]. Al momento, non siamo a conoscenza di studi che abbiano esplorato l’effetto a breve termine degli SGLT2 inibitori su parametri vascolari quali il RI e il DRIN; i nostri dati potrebbero quindi aggiungere un tassello alla conoscenza degli effetti nefroprotettivi di questi farmaci, a sottolineare che l’intero rene, e non solo il tubulo, sia il target di numerose risposte determinate dall’inibizione di SGLT2.

I miRNA sono piccoli RNA non codificanti capaci di regolare l’espressione genica post-trascrizionale. Sono espressi a livello plasmatico e sierico e si pensa che il loro pattern di espressione sia come una “firma” in certe patologie, tra cui il T2D [43]. Questo lavoro ha esplorato se markers epigenetici (studiati come un pannello di miRNA potenzialmente coinvolti in malattie cardiovascolari e renali) potessero predire gli effetti vascolari di questi farmaci e se l’inibizione di SGLT2 fosse in grado di esercitare alcuni effetti protettivi anche attraverso una modulazione epigenetica. E’ interessante notare come il comportamento del DRIN determinato da Dapagliflozin sia influenzato dall’espressione di miR-27b: la capacità vasodilatante renale è

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conservata in terapia con Dapagliflozin solo quando l’espressione di miR-27b è bassa. Alcuni studi hanno dimostrato che l’espressione di miR-27b sia associata a sindrome metabolica e T2D [26] e questo miRNA è stato recentemente identificato come marker di insorgenza o progressione di retinopatia nei pazienti affetti da diabete tipo 1 [44]. Inoltre abbiamo dimostrato che l’espressione basale di miR-200b predice variazioni nel DRIN, e che il suo livello di espressione aumenta dopo entrambi i trattamenti. Questi risultati sono in linea con quanto già riscontrato nell’occhio, dove miR-200b potrebbe essere alla base della proliferazione delle cellule endoteliali retiniche attraverso l’espressione di TGFb1 e VEGF [45]. Comunque non possiamo escludere che la correlazione fra variazioni dei parametri vascolari e variazione dei miRNA sia casuale, visto l’elevato numero di comparazioni eseguito.

Abbiamo anche comparato l’effetto dei due trattamenti rispetto ad un pannello di miRNA potenzialmente coinvolti nel danno cardiovascolare. La differenza osservata nell’espressione dei miRNA correlati alle malattie CV ed al peggioramento della funzione renale nei pazienti con scompenso cardiaco merita una particolare attenzione [46,47], mirata soprattutto ad una migliore definizione del ruolo di tali miRNA nel modulare la cardioprotezione ad opera degli SGLT2 inibitori. Nello specifico, il miR-30e-5p, selettivamente up-regolato da Dapagliflozin, inibisce l’autofagia dei miocardiociti modulando un pathway di ACE2 in un modello sperimentale di scompenso cardiaco [48], la sua espressione è diversa nel cuore scompensato e in quello sano ed aumenta in quei pazienti che rispondono alla terapia resincronizzante [49,50]. Inoltre, se confermato in ulteriori studi, la ridotta espressione di miR-199a-3p indotta da Dapagliflozin potrebbe essere rilevante, in quanto l’inibizione di questo miRNA potrebbe de-reprimere i livelli cardiaci di PPARd, in modo da ripristinare l’ossidazione mitocondriale degli acidi grassi e migliorare la performance cardiaca in

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