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Modelli di Revenue Management e Dynamic Pricing nel settore Moda

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE pag. 3

CAPITOLO I

IL SETTORE MODA

1.1 Il settore del lusso pag.5

1.1.1 Lusso come marca pag. 6

1.1.2 Le diverse tipologie di beni di lusso pag.7

1.2.3 Comunicare il lusso pag.8

1.2 Il settore moda pag.10

1.2.1 L’evoluzione del settore nel tempo pag.12

1.2.2 Il ciclo di vita del prodotto nella moda pag.14

1.3 Il marketing mix: le quattro “P” per il sistema moda pag.18

CAPITOLO II

Revenue Management e le sue applicazioni

2.1 Le origini del RM pag.22

2.2 Definizione di Revenue Management pag.24

2.3 Le condizione economiche pag.29

2.4 I principali campi di Applicazione del Revenue Management System pag.31

2.5 Dynamic pricing pag.33

2.6 Costruire un Dynamic Pricing pag.35

2.7 RM: quantity - based vs Price based pag.38

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2 CAPITOLO III

Modelli di Pricing Dinamico

3.1 Modelli di pricing dinamic- “Myopic customers e strategic customer” pag.46

3.2 Tecniche di prezzo su prodotto singolo senza ri – approvvigionamento pag.53

3.2.1 Approccio Computazionale pag.55

3.3 Un Retail Markdown – Applicazione pag.59

3.4 Tecniche di prezzo su prodotto singolo con ri - approvvigionamento pag.61

3.5 Prezzi multi - prodotto e multi – risorsa pag.65

3.6 Il pricing basato sulle aste pag.67

CONCLUSIONI pag.71

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3 INTRODUZIONE

Le imprese di moda, servizi, negli ultimi anni, si trovano a dover gestire una forte concorrenza in un mercato caratterizzato da una elevata imprevedibilità dell’andamento della domanda, una rigidità della struttura produttiva in termini di capacità di erogazione del prodotto/servizio ed una prevalenza dei costi fissi.

Questo scenario ha indotto lo studio di strumenti capaci di supportare nel miglior modo possibile lo svolgimento del processo di gestione ed il raggiungimento degli obiettivi sia di breve che di medio - lungo periodo.

Il tentativo di risolvere tali problematiche ha determinato il sorgere di numerose tecniche gestionali innovative, tra le quali si evidenzia il Revenue Management.

Con tale espressione ci si riferisce ad una serie di metodologie, più o meno sofisticate, che rendono possibile la massimizzazione del rendimento attraverso l’utilizzo di modelli matematico-statistici che tengono conto contemporaneamente delle particolarità relative alla capacità produttiva dell’azienda (offerta) e di quelle relative al comportamento differenziato della clientela (domanda). Il Revenue Management è, quindi, un sistema di gestione delle capacità disponibili che tende a suggerire come variare le tariffe a seconda dell’andamento della domanda. In Italia il Revenue Management è una disciplina ancora relativamente nuova e non tanto sviluppata. Tuttavia molte aziende di moda dispongono di un Revenue Manager e di strutture che lo supportano.

L’ottimizzazione dei ricavi può essere ottenuta tramite una sistematica attività di ricerca e di cattura dell’intera domanda potenziale che l’azienda è in grado di soddisfare, minimizzando il rischio di mancati ricavi, individuando nuovi segmenti di domanda da servire ed, infine, sfruttando la capacità di contribuzione di ciascun segmento di clientela.

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4 La tesi si articola su tre capitoli:

Nel primo capitolo viene illustrato il settore dei beni di lusso e le diverse tipologie di beni di lusso, nonché l’evoluzione di tale settore nel tempo ed il ciclo di vita del prodotto nella moda. Infine, una overview delle quattro P del marketing mix per il settore moda.

Nel secondo capitolo, si definisce l’innovativa tecnica gestionale di massimizzazione di volumi di affari che va sotto il nome di Revenue Management (RM). Il RM disciplina le decisioni riguardanti la gestione della domanda, ovvero il rapporto impresa-mercato di riferimento con l’obiettivo di incrementare i ricavi. Inoltre si approfondirà l’applicazione del RM nei diversi settori per poi introdurre il concetto di Dynamic Pricing, spesso utilizzato come sinonimo di RM.

Nel Terzo capitolo, infine, vengono illustrati modelli di pricing dinamico, “Myopic

customers VS strategic customer” e tecniche di prezzo su prodotto singolo senza

ri - approvvigionamento e con r i- approvvigionamento, Prezzi multi - prodotto e multi - risorsa (modelli deterministici). Infine, viene illustrato il pricing basato sulle aste.

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5 CAPITOLO I

IL SETTORE MODA

1.3 Il settore del lusso

Il mercato di riferimento dei beni e servizi di lusso è costituito dai cosiddetti High Net Worth Individuals (HNWI) o benestanti. Il mercato mondiale dei beni e servizi di lusso è cresciuto negli ultimi dieci anni ad un tasso annuo composto del 7,6%, passando dai 4,5 milioni di individui nel 1996 agli attuali 7,6 milioni. Se tuttavia osserviamo la distribuzione e il tasso di crescita dei benestanti nelle diverse aree del mondo troviamo, come ci si aspetterebbe, la maggior parte di questi in Europa e Nord America, ma i tassi di crescita più importanti sono in Medio Oriente, Sud America e Africa. Infatti il 32% dei benestanti è localizzato in Europa e cresce ad un ritmo del 4,5%, il 33% è in Nord America e cresce ad un ritmo del 6,9%, il 27% è nell’aria ASIA/Pacifico e cresce ad un tasso del 7,3%, il 3,5% è in Sud America e cresce del 9,7%, il 3,5% è in Medio Oriente

e cresce ad un ritmo del 9,8% e infine l’1,1% è in Africa e cresce dell’11,7%. Si tratta, quindi, di un mercato quantitativamente importante, in fase di netta crescita ma

caratterizzato da un numero relativamente esiguo di soggetti acquirenti: ne deriva la grande importanza che in tutti questi settori riveste la loyalty della clientela. Non è un caso che nei settori del lusso più che in qualunque altro si dedichi una grande attenzione al marchio e alla sua gestione. In realtà un marchio di successo altro non è che la concretizzazione del concetto di loyalty, per i valori di appartenenza che riesce a generare nella clientela fedele. A tutto ciò si aggiunga come il processo di acquisto di quasi tutti questi prodotti sia caratterizzato da valenze fortemente emozionali e soprattutto relazionali con una conseguente ulteriore rilevanza delle competenze e della strumentazione connesse allo sviluppo e alla retention della clientela migliore.

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6 1.1.1 Lusso come marca

Un marchio è considerato di prestigio se il consumatore percepisce che pochi lo possiedono (valore di unicità), se ha un valore in senso sociale e consente di attuare un “gioco ruolo” a chi lo possiede (valore sociale), se il prodotto a cui è associato richiama benefici intangibili e soggettivi, come il valore estetico (valore edonistico) e infine se il marchio è associato a superiorità tecnica e a un’estrema cura durante il processo di produzione. I marchi che appartengono al settore del lusso sono dunque quelli che soddisfano questo bisogno di esperienze eccezionali, di emozioni intense, fondando comunque la propria legittimità su un prodotto di qualità assolutamente superiore. E’ bene a questo punto fare luce su una distinzione concettuale molto importante: quella tra lusso e moda, termini a volte usati come sinonimi, spesso per il fatto che i beni appartenenti a queste due sfere sono caratterizzati da un’alta “intensità simbolica”, perché sono riconosciuti e acquistati più per il loro valore immateriale ed estetico che per le loro qualità funzionali. Classificare il lusso è sempre un compito estremamente azzardato, vuoi perchè le sue accezioni sono molteplici, vuoi perchè a fare la differenza tra un brand e l’altro spesso sono dettagli infinitesimi. Esistono elementi comuni come la notorietà globale o l’offerta di prodotti legati alla persona, ma forse l’aspetto che qualifica di più questi nomi è il prestigio, inteso come tradizione, iconicità, status che dei marchi fanno un’istituzione nel loro specifico settore. Tra i marchi di lusso a più alto valore economico (classifica realizzata da Interbrand), il numero uno del lusso mondiale è la Francia, anche se l’Italia mantiene un consistente e considerevole secondo posto, seguita a grande distanza dalla Svizzera quindi USA e Regno Unito. A determinare la classifica è Louis Vuitton: se il top brand non esistesse, Italia e Francia sarebbero pari. Dei quindici brand mondiali selezionati (i migliori del mondo, tutti di prestigio, tutti costosissimi) le cinque griffe francesi presenti rappresentano il 51.7% del valore totale, contro il 30.19% delle sei italiane. Campione indiscusso nella graduatoria stilata dalla società di consulenza americana è appunto Louis Vuitton. L’etoile del gruppo LVMH vale la bellezza di 16.7 miliardi di euro. Seguono Gucci (6.4 miliardi di euro) e Chanel (4.9 miliardi di euro). Numero quattro la svizzera Rolex con 3.8 miliardi di euro. Al quinto e sesto posto ancora due griffe d’Oltralpe: Hérmes, il cui brand è stimato in 3.5 miliardi di euro e Cartier, il cui valore è pari a 3.3 miliardi di euro. Per trovare in classifica il primo nome italiano si deve scendere fino all’ottavo posto dove si incontra Prada con un brand valutato a 2,8 miliardi di euro. Seguono a ruota la Ferrari (unica

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7 azienda automobilistica) e Bulgari (2.5 miliardi di euro). Nella top 15 figurano anche Dior, la svizzera Patek Philippe, il gioielliere americano Tiffany e il britannico Bulgari. Ermenegildo Zegna e Salvatore Ferragamo chiudono la classifica rispettivamente al quattordicesimo e al quindicesimo posto. La selezione delle aziende classificate da Interbrand, si è limitata al lusso in senso stretto e non sono state inserite realtà che hanno fatto una diversificazione verso target più bassi del marchio (come ad esempio Armani e Dolce & Gabbana, con D&G e accessori di target medio, sono stati esclusi dalla graduatoria del lusso, così come sono stati esclusi anche altri grandi nomi della moda come Polo Ralph Lauren). Per figurare nel palmares, inoltre, i brand devono registrare almeno il 30% delle loro vendite all’estero e godere di popolarità a livello mondiale. Nelle classifiche i nomi sono noti e sinonimo di garanzia. Resta il fatto che tutti gli oggetti di lusso, presenti in vari ambiti dall’abbigliamento all’oreficeria e dall’oggettistica alla cosmesi in nicchie più o meno ristrette, sono precisamente identificabili per il marchio, la qualità e l’esclusività che li caratterizza.

1.1.2 Le diverse tipologie di beni di lusso

Il lusso è un mercato trasversale, globale e molto più accessibile. Il lusso è un termine utilizzato per la stampa e pubblicità per identificare una moltitudine di marchi e prodotti di abbigliamento, accessori, cosmetica, turismo, nautica, auto, persino gelati. Danielle Allérès (1990) ha prospettato tre distinti universi del lusso che fanno riferimento a tre distinte classi sociali: “lusso inaccessibile”, “lusso intermedio” e “lusso accessibile”.

Fig.1 : La piramide del lusso

LUSSO INACCESSIBILE

LUSSO INTERMEDIO

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8 Nella trattazione di Allérès si pone il lusso “inaccessibile” in cima alla piramide. Sono beni di lusso dei quali esistono solo pochi pezzi, spesso realizzati su misura e distribuiti in maniera altamente selettiva a prezzi “astronomici”. Alla categoria di lusso “intermedio” invece appartengono quei prodotti che ricalcano nel marchio e nello stile i beni di lusso della categoria superiore, non sono più customer made ma possono essere adattati alle esigenze del consumatore, sono distribuiti sempre limitatamente, a prezzi molto elevati. Infine il lusso “accessibile” è un lusso seriale, prodotto e distribuito su più larga scala.

Una distinzione simile è formulata da Nueno e Quelch (1998) che hanno definito tre tipologie di bene di lusso: le marche a notorietà limitata, focalizzate su una linea di prodotti circoscritta a un mercato esclusivo e di nicchia; i prodotti della tradizione del lusso, preclusi al mercato di massa per via del prezzo elevato e della limitata distribuzione e i beni diffusi in categorie di prodotto di più basso livello, accessibili per prezzo e reperibilità, ad un ampio target. Infine Kapferer (1997) ha affermato che l’industria del lusso comprende tre livelli: la griffe (creazione pura, prodotti unici, perfezione materializzata); la marca di lusso (serie limitate, artigianato, realizzazione a mano); e per ultimo i prodotti di alta gamma (realizzati in serie, di elevata qualità nella propria categoria di prodotto). Ai livelli del lusso inaccessibile, pur essendovi elevatissimi prezzi unitari di vendita, i profitti ottenuti sono più bassi di quelli relativi al lusso intermedio e al lusso “seriale” per effetto degli alti costi di produzione (creazioni su misura, fatte a mano) e del limitatissimo numero di clienti. A questi livelli vi è quasi la sensazione che la produzione debba essere considerata una forma d’arte creativa e non un business.

1.1.3 Comunicare il lusso

Già nel 1996 (Andrus et al.) si dichiarava che l’importanza di analizzare le strategie di comunicazione per i beni di status “è intuitivamente riconosciuta da accademici e operatori”. Sebbene vi fosse l’esortazione a procedere nella direzione di analisi più approfondite sui beni di lusso, è tuttora limitata la letteratura sull’argomento riportata nelle riviste scientifiche. La comunicazione pubblicitaria assume un ruolo fondamentale nella costruzione della percezione del lusso. Le descrizioni visive e testuali utilizzate nell’annuncio permettono, infatti, all’osservatore di inferire i connotati da associare alla marca e al prodotto. Il processo di inferenza degli attributi di status, di prestigio, di

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9 sogno, di qualità, connessi a un soggetto o un oggetto, sulla base degli elementi che lo descrivono, è una predisposizione naturale negli individui. Il ruolo della comunicazione pubblicitaria nel conferimento di un certo livello di status ad un bene o servizio, si concretizza nell’utilizzo di un certo linguaggio simbolico atto a infondere nel bene/servizio gli attributi desiderati dall’impresa. Uno dei modi utilizzati per operare tale trasferimento di attributi è associare al prodotto altri oggetti o persone che possiedono un livello di status riconosciuto. Allo stesso modo le comunicazioni pubblicitarie riferite ai beni di lusso dovrebbero enfatizzare gli elementi che segnalano all’osservatore il connotato di lusso del bene. A tale scopo i pubblicitari utilizzano spesso elementi lussuosi di “contorno” e di “sfondo” in modo da associare al prodotto un ambiente che ne rafforzi i connotati di lusso. Per esempio, una delle metafore più frequentemente utilizzate per sottolineare il lusso di un bene è quella dell’oro (Alsted e Larsen, 2000). Il colore oro utilizzato per lo sfondo dell’annuncio, la rubinetteria d’oro in uno yacht da crociera, l’utilizzo di un filato oro, di pailletes dorate per un abito, il recentissimo esempio della borsa baguette di Fendi con le maniglie d’oro massiccio, sono tutti elementi utilizzati per associare al prodotto un mondo di glamour, preziosità e valore.

In generale le comunicazioni pubblicitarie riferite ai beni di lusso costruiscono il messaggio intorno ad alcuni elementi fondamentali:

1. il prodotto innanzitutto e le particolarità di produzione dello stesso (i materiali, la manifattura, la serie limitata, l’esemplare da collezione) solitamente raffigurato in immagine e descritto nel testo;

2. gli elementi di sfondo che supportano l’attribuzione del connotato di lusso al bene si concretizzano nell’utilizzo di un’ambientazione ricercata (il prodotto è presentato nelle mani di un individuo che si può supporre benestante, di buon gusto) rappresentata con un’immagine;

3. infine altri elementi che sottolineano aspetti non raffigurabili in immagine quali possono essere la scarsità del bene (con l’indicazione di punti vendita esclusivi), caratteristiche tecniche non evidenti (quali un meccanismo rattrappante in un orologio meccanico) e altro, descritti dunque nel testo dell’annuncio.

Comunicare gli aspetti simbolici della marca di lusso tramite l’annuncio pubblicitario significa dunque enfatizzare gli elementi utili a fornire un’indicazione della desiderata

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10 dimensione astratta da collegare alla marca e al prodotto (ad esempio il prestigio, la scarsità, …). Comunicare l’identità di prodotto di lusso è importante anche per il ruolo che assume la comunicazione nel ridurre il rischio percepito relativo all’acquisto di tale tipologia di beni: anche se sono molti a potersi permettere oggi l’acquisto di un bene di lusso, ciò che difetta a volte è l’esperienza e la capacità di valutare il valore del bene, al di là del prezzo pagato (Frank, 1999). Nel commentare la relazione instaurata con il lusso, molti consumatori, infatti, esprimono un atteggiamento positivo ma al contempo confessano una relativa mancanza di esperienza (Dubois e Laurent, 1994). Secondo Goffman (1979) “gli annunci pubblicitari non descrivono la vita reale”, ma utilizzano descrizioni iper - ritualizzate del modo in cui le persone ritengono sia, o dovrebbe essere, il loro ambiente di riferimento. La pubblicità, quindi, è un insieme di simboli, quasi fittizio e culturalmente costruito, in cui prodotti e servizi sono strategicamente inseriti in una scena che può contenere elementi di contorno, persone o descrivere un’azione (Douglas e Isherwood, 1979; Mick, 1986). I consumatori ricevono, quindi, indicazioni dalle immagini pubblicitarie per costruire le attribuzioni di status di una determinata marca (Dawson e Cavell, 1987). Per citare un caso di utilizzo di tale processo, l’analisi effettuata da Belk e Pollay (1985) sulla pubblicità legata al tema del materialismo evidenzia l’obiettivo dei comunicatori di creare una capacità di discernimento nel consumatore, riferita a come utilizzare marche e prodotti per esprimere un certo livello di status.

1.2 Il settore moda

Il settore dell’alta moda è senza dubbio uno dei più importanti campi di eccellenza del made in Italy. Si tratta di un sistema particolare e poco studiato; in effetti, per lungo tempo, è stato appannaggio esclusivo di stilisti e creativi e solo in epoca recente si è iniziato a guardare ad esso come ad un vero e proprio settore industriale. Indubbiamente l’oggetto di attività dell’industria della moda, ovvero un prodotto ad alto contenuto creativo, rende le imprese che operano in questo campo uniche per la necessaria compresenza al loro interno di quella che è stata definita come una doppia anima, emozionale, costituita da stilisti e creativi, e razionale, rappresentata da manager

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11 La moda, infatti, è un insieme di intuito, estro e creatività, ma anche management e organizzazione. Si tratta, dunque, di componenti apparentemente discordanti ma che devono convivere al fine di raggiungere l’obiettivo ultimo del successo dell’impresa. La compresenza delle suddette anime è essenziale per la sopravvivenza stessa del settore. Da una parte, infatti, i prodotti realizzati devono essere di moda, se non di alta moda ovvero devono racchiudere al loro interno un’elevata qualità ed un alto livello stilistico ed innovativo, dall’altra è necessario che l’azienda rispetti le regole base per una gestione aziendale efficace ed efficiente. Si capisce, dunque, come sia fondamentale che il management di queste aziende cerchi di coniugare ed amalgamare le diverse istanze presenti al suo interno che non sono esclusivamente amministrativo-gestionali: il management della creatività non si deve limitare a mantenere le competenze creative esistenti ma ne deve favorire l’ampliamento e l’arricchimento continuo. Da quanto fin qui osservato si capisce come il prodotto moda presenti caratteristiche proprie e sia, dunque, di difficile collocazione all’interno dei tradizionali schemi economici e produttivi. E’ “un bene che sta fra il necessario ed il superfluo, fra l’economia e la cultura”; la sua definizione appare difficile trattandosi, da una parte, di una vera e propria opera d’arte, dall’altra, di un prodotto che, per esigenze di gestione, deve in ogni caso trovare un mercato di sbocco e di vendita al pari degli altri prodotti. Per capire la natura specifica delle imprese del sistema moda è necessario partire dall’etimologia del termine e dalle definizioni che di questo concetto sono state date nel corso del tempo. Per quanto attiene all’etimologia della parola moda, le interpretazioni non sono univoche; alcuni fanno risalire il termine al francese mode e quindi al latino modus con il significato di modo, foggia, maniera. Altri, invece, farebbero derivare la parola dal latino mos, anziché modus, con un significato di usanza, costume, abitudine. Il termine moda è definito anche come “aspetto e comportamento di una comunità sociale secondo il gusto particolare del momento per lo più a proposito dell’abbigliamento sia maschile che femminile”, e come “foggia, corrente del vestire e dell’acconciarsi, legata ad una determinata epoca e al gusto di una determinata società” e, ancora, “modo, costume passeggero di vivere e di comportarsi”. Tali definizioni mostrano una caratteristica propria dei prodotti di moda: la temporaneità e la brevità; le mode sono per loro natura passeggere, destinate a rinnovarsi nel corso di una stagione. Infatti il prodotto moda viene tradizionalmente interpretato come prodotto per il quale ad una crescita rapida delle vendite corrisponde un declino altrettanto rapido ed un esaurimento del ciclo di vita nell’arco di una stagione (Aiello 2005). Un’azienda del sistema moda che oggi

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12 vuole esser competitiva nel proprio settore deve aver presente sia i fattori globali che no - global (i principali sono realizzazione di economie di scala, estensione della convergenza nei gusti e utilizzo di alta tecnologia, Jones 2006). ovvero “pensare internazionale, globale ma al tempo stesso rispettare le diversità”.

1.3.1 L’evoluzione del settore nel tempo

Trattare dell’evoluzione del fenomeno moda è questione lunga e complessa poiché si può ben affermare che l’attenzione alle diverse maniere e fogge nel vestire risale a tempi antichissimi essendo questo un fatto indissolubilmente legato alla vanità umana. Le prime tracce di tale manifestazione possono essere riscontrate nelle antiche civiltà mediterranee; le evoluzioni stilistiche erano, però, piuttosto lente e con differenze minime tra indumenti maschili e femminili. A quei tempi la distinzione sociale sulla base dei capi di abbigliamento indossati era limitata e si preferiva ricorrere all’utilizzo di accessori ed ornamenti ricchi e preziosi per segnare l’appartenenza ad una casta più importante delle altre. Nell’antico Egitto si cominciò a delineare il gusto per i colori vivaci e le linee stilizzate: gonnellini per gli uomini e tuniche senza maniche per le donne sono i modelli più ricorrenti nelle numerose raffigurazioni giunte fino a noi della vita degli antichi faraoni. Stili e fogge nel vestire si sono susseguiti, poi, anche nell’antica Grecia e ai tempi dei romani anche se, per entrambe le civiltà, non si può ancora parlare di nascita del fenomeno moda; le vesti sono abbastanza semplici e non presentano particolari cambiamenti di stile nel corso degli anni. La nascita vera e propria del fenomeno può essere fatta risalire al primo Rinascimento quando l’attenzione all’abito e alla distinzione sociale sulla base di esso diventa sistematica. Sarà con l’affermarsi della nuova classe dei commercianti che sorgeranno nuovi sistemi vestimentali caratterizzati dalla ricerca di una propria legittimazione sociale e non più distinti solo sulla base della loro funzione d’uso. La moda ha così cominciato a significare distinzione e differenziazione tra classi più o meno benestanti; l’abito non è più solo un elemento di prima necessità per coprirsi dal caldo, dal freddo e dalle avversità delle stagioni, ma diventa strumento di ostentazione del proprio benessere, nonché della propria posizione sociale. Diverse sono le teorie elaborate nel corso del tempo sulle motivazioni del continuo susseguirsi di mode diverse nel corso degli anni e delle stagioni. Un’ipotesi interessante è quella così detta del trickle - down, vale a dire

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13 del “gocciolamento verso il basso” secondo la quale le mode vengono create perché le classi più abbienti possano così distinguersi dalle altre. Tale teoria ritiene che le stesse mode, che nascono e si sviluppano presso le classi più elevate e abbienti della società, passino, poi, ai livelli inferiori della società, in modo graduale, diventando così patrimonio di tutti. L’oggetto di moda costituisce, quindi, un elemento di differenziazione solo nei primi stadi del suo ciclo di vita; quando raggiunge il suo picco di successo, comincia già a covare dentro di sé i primi sintomi del suo declino. Tanto più il capo di abbigliamento o l’accessorio è diventato di moda, tanto più si diffonde tra i consumatori e tanto meno costituisce elemento di differenziazione. Nel momento in cui tutti possono disporne cessa necessariamente di essere alla moda perché ha ormai perso le caratteristiche di originalità, creatività e unicità che un tale prodotto deve avere. Ecco allora che, secondo la teoria del trickle - down, prima che ciò avvenga le classi più benestanti avranno nuovamente trovato un diverso gusto con il quale identificarsi e distinguersi che col tempo troverà anch’esso diffusione presso il resto della società. Se è a partire dal Rinascimento che il fenomeno inizia ad assumere una certa consistenza, ulteriori sviluppi si sono avuti poi nel corso dei secoli. La moda si è, infatti, adeguata nel tempo ai filoni culturali e religiosi che di volta in volta hanno caratterizzato la vita sociale: una moda più estetica e fastosa ai tempi del Rinascimento, più austera e severa ai tempi della Riforma e della Controriforma. Dall’epoca di Luigi XIV e, poi, soprattutto nel diciannovesimo secolo, fulcro dell’alta moda è Parigi che accoglie alla metà dell’800 Charles Frederick Worth che può essere considerato il primo couturier indipendente. Si tratta di uno stilista che non realizza più solo abiti su commissione per le signore dell’aristocrazia, ma apre una vera e propria boutique . La Francia e, quindi, Parigi restano leader indiscussi del settore per più di un secolo almeno fino a quando, negli anni settanta del secolo scorso, nascono nuovi filoni nel settore; i profondi cambiamenti avvenuti nel secondo dopoguerra con l’emersione di nuove classi sociali, nonché la contestuale emancipazione della donna nella società e nel mondo del lavoro hanno prodotto una democratizzazione della moda. E’ di quegli anni la nascita e la rapida affermazione del prêt-à-porter. In quel periodo il nostro paese cominciò ad assumere un peso importante a livello mondiale attraverso le sfilate fiorentine di Palazzo Pitti e l’indissolubile legame moda-industria che si viene a creare a Milano. L’Italia, infatti, decise di concentrare l’attenzione su di un filone diverso rispetto a quello dei grandi couturier francesi, volto alla realizzazione di prodotti ricercati, dotati di elevato contenuto stilistico e creativo, ma più accessibili sia economicamente che dal

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14 punto di vista della portabilità del capo di abbigliamento, dedicato, quindi, non solo alle occasioni mondane, ma anche alle giornate di lavoro

1.3.2 Il ciclo di vita del prodotto nella moda

Conoscendo l’evoluzione storica della moda, è possibile affermarne la caratteristica di variabilità nel tempo, che dà vita ad un processo di cambiamento continuo, rilevante sul piano economico, dovuto in parte all’intrinseco ciclo delle stagioni, dall’altro al ciclo della moda in senso stretto. Il cambiamento legato alle stagioni ha motivazioni sostanzialmente funzionali che dipendono sostanzialmente dal clima e dalle occasioni d’uso, con implicazioni su modelli, materiali e colori; quello legato alla moda in senso stretto, invece, trova spiegazione da una parte come fenomeno indotto dal sistema industriale che si avvale di modalità come “l’obsolescenza forzata” per alimentare sempre nuova domanda di prodotti, dall’altra come evoluzione naturale da parte delle aziende che rispondono attraverso un’ampia offerta ai sempre maggiori bisogni del consumatore. Il ciclo della moda viene definito come il lasso di tempo che intercorre dall’introduzione di una moda (un nuovo prodotto, un nuovo look) alla sua sostituzione da parte di una moda successiva. La sostituzione, a seconda del suo livello di novità, può riguardare le caratteristiche di base del prodotto (concetto e struttura, elementi di stile, materiali, accessori, disegni) oppure le sue varianti (colore). Ogni moda possiede un proprio ciclo di vita, costituito da alcuni stadi: introduzione, crescita e picco di massima popolarità e diffusione, maturità, declino, rigetto.

- Fase di introduzione: stilisti e imprese, dopo essersi rapportati al mercato attraverso una costante e mirata azione di ricerca e monitoraggio, danno un’interpretazione creativa delle loro esigenze in una moda (esempio: pantalone a zampa d’elefante) che si riflette in capi d’abbigliamento, in collezioni, in stili che vengono offerti come moda emergente. Durante il primo stadio, il nuovo stile viene adottato dagli opinion leaders, cioè da un ristretto gruppo di consumatori e di distributori che vogliono distinguersi dagli altri per volontà di differenziazione di classe, oppure di identificazione con un sistema di valori o di gusto.

- Fase di crescita in popolarità: l’accettazione della moda viene confermata dall’acquisto dei prodotti che la rappresentano; la crescita avviene anche grazie

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15 alla divulgazione fatta attraverso media e trade. In tale stadio, in cui non tutte le mode hanno la fortuna di entrare, si verifica un processo di diffusione ed adozione da parte di segmenti di mercato molto più ampi. Alla base di tale diffusione vi è spesso una a dimensione aspirazionale, cioè la volontà di seguire la tendenza promossa dagli opinion leaders, da parte di chi persegue un modello di comportamento imitativo. In questa accezione del termine, gli opinion leaders sono rappresentati da coloro che percepiscono per primi i fenomeni di tendenza e li adottano.

- Picco di popolarità, maturità: se la moda raggiunge il massimo della popolarità significa che sta avendo una diffusione di massa.

- Declino: in questa fase della moda comincia a diminuire il numero dei propri adepti, anche se non pochi consumatori continuano a portare i capi che la caratterizzano; non c’è più, però, alcuna intenzione di acquistarli a meno che non siano offerti a prezzi molto vantaggiosi. Tale stadio caratterizza tutti gli stili destinati a vita breve (le mode) o, in prospettiva di medio- lungo termine, i cambiamenti di carattere strutturale (l’uso del cappello, il cappotto, il foulard, ossia prodotti che declinano senza che subentrino dei sostituti).

- Rigetto: in tale fase la moda diventa obsoleta per cui il consumatore non solo non dimostra per essa più alcun interesse, ma la rigetta e non vuole più saperne di apparire sotto le sue sembianze.

Gradimento in volume di vendite

Figura 2: Ciclo di vita della moda (Fonte: A. Foglio, Il marketing della moda, Milano, Franco Angeli, 2001) Introduzione Crescita in popolarità Picco Declino Rigetto

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16 Nonostante la moda segua un modello ciclico standardizzato, bisogna comunque precisare che ogni moda ne detiene una diversa durata: infatti ci sono cicli che in breve tempo raggiungono il massimo di popolarità e per un periodo più o meno lungo la mantengono, mentre altri impiegano molto a raggiungere il picco di popolarità e poi in poco tempo la perdono; ci sono mode che scompaiono velocemente, mentre altre rimangono sul mercato per lungo tempo. Si parla infatti, per le diverse mode, di ciclo classico o rapido, di ciclo nel ciclo, di ciclo interrotto oppure ricorrente. Da tale descrizione dei diversi cicli di vita delle mode si può notare che la moda stessa, col suo evolversi, a sua volta condiziona gli stessi cicli di vita dei vari prodotti che la rappresentano, che vengono lanciati sul mercato da stilisti e imprese e che possono avere, a loro volta, diversi cicli di vita:

- Ciclo normale: è quello di un prodotto moda standard ed ha una durata di due stagioni; nella prima è in regola con il trend, mentre nella seconda diviene popolare e si presta ad essere superato.

- Ciclo breve : riguarda capi a rapidissima diffusione, ma con altrettanto rapida obsolescenza; sono quelli che piacciono ad un numero ristretto di consumatori (giovani, innovatori) ma che a fine stagione, non essendo più attuali, trovano difficile collocazione sul mercato: la moda che li supportava si è esaurita in una sola stagione. In questo ciclo le fasi richiedono particolare attenzione, in quanto la fase cruciale è l’introduzione, che deve avvenire in modo molto rapido, con una distribuzione il più estesa possibile, ad un prezzo alto al fine di ammortizzare gli alti costi e realizzare nel breve termine profitti; la crescita, invece, non fa altro che integrarsi con l’introduzione, mentre il picco di popolarità è inesistente, dal momento che il prodotto, raggiunto il picco, non fa altro che iniziare la sua rapida discesa.

- Ciclo lungo: caratterizza un prodotto che non ha stagioni (un classico) e che non ha bisogno di rigenerazione o rilanci (come il pullover o la camicia per l’uomo). Le fasi del ciclo di vita di tali prodotti sono quelle canoniche, con la sola differenza che la fase di maturità risulta molto prolungata.

- Doppio ciclo o ciclo ricorrente: caratterizza quei prodotti che ritornano di nuovo attuali, dopo un certo periodo di obsolescenza (come per esempio i pantaloni “a zampa di elefante”); sono, comunque, gli stilisti stessi a riproporli, magari con qualche adattamento in termini di colore, tessuto o fibra. Il ciclo di vita del prodotto

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17 può, quindi, giustamente essere considerato come uno dei più validi punti di riferimento per la definizione e la messa in atto di politiche e di strategie di mercato. Al giorno d’oggi, il ciclo della moda è scandito dalla logica strutturale e mediatica delle collezioni stagionali collegate a fiere e sfilate che, un tempo, erano patrimonio esclusivo dell’Alta moda e del prêt-à-porter femminile, mentre attualmente riguardano l’intero sistema dell’abbigliamento, del tessile, degli accessori e delle calzature. La tendenza si muove verso un continuo aumento del numero di collezioni annue da presentare e consegnare in un punto vendita, fino ad arrivare al superamento del concetto di stagione, a favore di un continuo rinnovamento per soddisfare le esigenze dei consumatori sempre più esigenti ed attenti alle tendenze del momento e non solo della stagione intesa in senso tradizionale. A conferma di ciò si può evidenziare che alcuni retail brands come Zara e Promod, ma anche un’azienda storica dell’abbigliamento italiano come Benetton, si sono strutturate per progettare, produrre e consegnare nuove collezioni nel corso dell’anno (le cosiddette collezioni Flash o integrazioni per Benetton, destinate a dar vita ad un’offerta diversificata ogni quindici giorni, al fine di spingere i clienti a tornare in negozio) destinate ad avere un tempo di vendita, di acquisto e di consumo sempre più ristretto. Il sistema moda ha da tempo fatto proprio ed esasperato il ciclo tradizionale, cogliendo tutte le sinergie possibili, come il ricorso ai mass-media e allo star-system per alimentarlo. Oggi, a maggior ragione, in tempi di democratizzazione e globalizzazione della moda, la diffusione della marca e del prodotto è favorita dall’uso di tutti gli strumenti mediatici disponibili.

I soggetti coinvolti in questo articolato processo, o portatori d’interessi, sono:

- Creatori di moda;

- Produttori (di semilavorati e prodotti finiti); - Distributori;

- Retailer; - Mass-media;

- Istituti di ricerca e di tendenze, fiere; - Consumatori (opinion leaders e mercato); - Associazioni di categoria;

- Banche;

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18 1.4 Il marketing mix: le quattro “P” per il sistema moda

La Moda finora ha affrontato il mercato con carenza di strategie; l’Italia è riuscita ad andare avanti data la forza “stile/qualità” del MADE IN ITALY. Tanti marchi anonimi sono riusciti ad ottenere buoni risultati sul mercato. Ma i profondi cambiamenti strutturali e le grandi turbolenze che attraversano il Sistema – nei trend e nell’identikit del Target-Moda – ne stanno scotendo l’impalcatura dall’interno; principale conseguenza: il rafforzamento delle strutture di marketing. Fatto il prodotto bisogna trovare i consumatori: scoprirli, stanarli, tentarli, spingerli, innovarli, all’occorrenza crearli. Il Marketing-Moda è una strategia raffinata e complessa: Prodotto, Prezzo, Posto (location, o distribuzione) e Promozione, le quattro “P”, sono più articolate che in qualsiasi altro settore.

- “Prodotto-Moda”

Deve avere una posizione precisa; una collocazione nella mappa quali- quantitativa del Sistema-Moda orientata su: qualità intrinseche – materiali, resistenza, fattura, bellezza – , presentazione/immagine, linee; tutti elementi che contribuiscono a caratterizzare il particolare Prodotto-Moda come un articolo adatto ad un target piuttosto che ad un altro, ad attribuirgli un preciso “segmento di mercato”. La classificazione che vedeva rientrare il “Prodotto-Moda” nella sfera dei “bisogni sociali”, oggi non è più valida; un abito o un mocassino non sono acquistati per soddisfare una necessità primaria: “la moda è il risultato di un bisogno postmoderno di consumare, prima che oggetti, significati”; il prodotto deve essere in grado di comunicare un “mondo d’appartenenza”, mantenendo funzionalità ed efficienza.

Gli attori del Sistema devono individuare “desideri”, non più “bisogni”; proprio la possibilità di “non massificare”, di rispondere alle esigenze/desideri dei consumatori con strategie di “differenziazione”, piuttosto che di “leadership di costo”, ha consentito la manovra di rivitalizzazione di un settore- il sistema moda maturo. Quanto all’aspetto tecnologico, il Prodotto-Moda negli ultimi anni è stato profondamente innovato; dal packaging al materiale, dalla linea alla qualità, tutto è stato oggetto di profonda riscoperta e tensione verso l’innovazione.

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19 - “Prezzo”

Altrettanto importante per identificare un particolare Target-Moda, dipende dai “costi” sostenuti per la produzione; ma per determinarlo bisogna confrontarsi con il “mercato” e decidere dove stare, dove “posizionarsi”.

Riprendendo una discussione affrontata precedentemente, gli attori del Sistema-Moda possono scegliere di disporsi/posizionarsi, relativamente alla variabile “Prezzo”, in quattro fasce: “Alta”, “Medio - Alta”, “Media” e “Bassa” che ne interpreta l’intero ambito di variabilità: dal “puro costo” fino al prodotto da “sogno”. La scelta pone l’interpretazione del particolare attore del Sistema rispetto: l’identità” del marchio e le particolari “esigenze” (qualità, status, stile, ecc.) del Target-Moda cui ci si rivolge. - “Locazione”

Dove presentare e dove vendere? Le soluzioni al problema della “Location o Placement” non sono mai semplici. Si deve scegliere “dove” e “come” presentare la collezione perché è il primo messaggio che si lancia la mercato: dalla presentazione in “sfilate” alla esposizione in “fiere.

Tra i maggiori rilievi relativi al “posto” troviamo:

1. “SFILATE”: decidere di sfilare non basta; un marchio prèt-à-porter deve decidere anche dove farlo: sulle passerelle di Milano, Parigi, Londra o New York? Questione di tempi, di pubblico, di tipo di proposta e di altre opportunità. Il modo di presentare la collezione è deciso innanzitutto dallo stilista anche se il marketing ha un ruolo fondamentale nelle scelte dei messaggi da lanciare e dei veicoli da utilizzare. Tutto dipende dalla ricaduta che si vuole idealmente ottenere sui media e sul pubblico.

2. “FIERE”: se si scelgono le fiere, i problemi da risolvere sono analoghi. Anzitutto, la scelta della manifestazione, poi il modo di allestire lo stand, gli eventi da organizzare per la presentazione e via dicendo;

3. “CANALI DI VENDITA”: Ma il “dove?” è un interrogativo che riguarda prevalentemente i “Canali Distributivi”. Scelta dei canali; distribuzione capillare oppure molto selettiva; raggiungere il consumatore o fare in modo che sia esso a cercare il prodotto; puntare sulla propria rete di vendita o privilegiare dei buoni negozi multimarca. Sono tutte scelte legate al “POSTO”, perché il

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20 prodotto non può essere venduto ovunque, ma nei punti vendita ideali per quel marchio, sulla base del prezzo di vendita, del tipo di clientela del negozio, della posizione e così via.

- La “Promozione”

È l’ultima “P”, l’insieme delle attività essenziali a che un Prodotto-Moda viva, si sviluppi, abbia successo: il congiunto di “Promozione” e “Pubblicità”; importanti sono le cifre – dei bilanci aziendali – stanziate dagli attori del Sistema Moda per la promozione del “marchio” e dei “prodotti”. Ci si affida a “Canali Tradizionali”, come la Pubblicità “a stampa” su quotidiani e riviste, oppure “raccontata/rappresentata” in tv e radio; ma molti “altri mezzi” esistono: a partire dai Personaggi Pubblici – hanno una forza promozionale altissima e sono un punto di forza di molte campagne di immagine – fino ad arrivare alla partecipazione, in qualità di Sponsor, ad Eventi “culturali” e “sportivi”, o come Testimonial a Serate di Beneficenza – forme, queste, di pubblicità “di immagine”, che fanno parlare dello stilista, e in termini meno marcati, del prodotto. Ma, in luogo dei “Grandi Stilisti” (1° linee) e dei “Marchi Di Prestigio”, gli attori del Sistema-Moda di “posizione intermedia” – lungo il continuum del “Prezzo” – preferiscono “comunicare”, evidenziare e illustrare, prodotto e caratteristiche intrinseche. Motivo di fondo che domina e accomuna le forme di advertaising, da chiunque condotte, è l’intenzione di “creare atmosfera” – ciò che si vuole è trasmettere il fascino evocato dal richiamo di un nome –; caratteristica che accomuna qualsiasi campagna di comunicazione che si ponga l’“efficacia” del messaggio come punto di arrivo – ponendosi come alta “barriera all’ingresso” nel Sistema-Moda – è l’”elevatezza dei costi”. Negli ultimi tempi, ruolo di primo piano nella gestione della comunicazione – in qualsiasi settore – è affidato ad “Internet”; ma questa affermazione è vera per il Sistema-Moda? A dire il vero, il mondo della Moda e quello di Internet, per ora, si studiano a distanza, riflettendo sulla possibilità di relazioni solide o di incontri parziali. Importanti personaggi del Sistema-Moda – tra cui Bernard Arnault e Alessandro Benetton – iniziano ad investire seriamente nella rete; eppure il dubbio o, meglio, una certezza resta: “Internet ingloberà tutto ma non sarà in grado di rendere l’aroma di un profumo, la sensualità di un velo o il fruscio della seta”. La possibilità di “provare i capi” resta l’obiettivo più importante da raggiungere per immaginare, e poi sfruttare, la rete come canale distributivo. Internet, quindi, a tutt’oggi, almeno per quei segmenti di

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21 mercato in cui il “touch” ha un’importanza fondamentale, è utilizzato solo come strumento di comunicazione. Attualmente, infatti, solo il 2% dei siti web operanti nei beni di “Lusso” vende in Rete, mentre la maggior parte, ossia il 98%, si occupa della comunicazione del brand.

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22 CAPITOLO II

Revenue Management e le sue applicazioni 2.1 Le origini del RM

La nascita del RM risale al 1978, quando la U.S. Civil Aviation Board (CAB), appoggiata dall’allora presidente Carter, approvò the Airline Deregulation Act; fu necessario emanare questa normativa al fine di evitare la formazione di oligopoli ed introdurre pertanto più concorrenti nel mercato del trasporto aereo. Come conseguenza di questa nuova disciplina, l’Aviazione Civile Americana perse la possibilità di regolare le tariffe aeree che fino a quel momento venivano rigorosamente regolate e standardizzate. Le compagnie aeree erano libere di cambiare i propri prezzi, orari e servizi senza l’autorizzazione da parte della CAB e quelle principali furono incentivate a sviluppare maggiormente i loro sistemi di prenotazione. Si assistette così ad una diffusione dei CRS (Central Reservation System) grazie al sistema di distribuzione globale (GDS: Global Distribution System). Contemporaneamente nuove compagnie low - cost e charter entrarono nel mercato; la maggior parte di queste, a causa dei minori costi sostenuti e dell’offerta di servizi no - frills, furono in grado di competere con le principali compagnie grazie all’applicazione di tariffe più contenute. Il mercato dei viaggi leisure – famiglie in vacanza, coppie che si spostano per il weekend, studenti fuori sede che tornano a casa – si ampliò sempre più, a tal punto che la clientela preferì utilizzare l’aereo piuttosto che spostarsi in automobile, anche per brevi tragitti. Le possibili offerte provenienti da questo nuovo mercato furono subito percepite dalla People Express Airlines, la quale fu fondata nel 1981 ed offriva tariffe dal 50% al 70% più basse rispetto alle tradizionali compagnie aeree. Grazie a questi mutamenti si crearono nuove dinamiche nel mercato delle prenotazioni aeree all’interno del quale le persone più sensibili al prezzo erano molto più favorevoli a comprare biglietti delle compagnie low-cost; queste ultime furono così incentivate ad offrire nuovi servizi per distinguersi, come ad esempio voli più frequenti e nuove rotte. Le perdite che subirono le principali compagnie aeree furono considerevoli; pertanto fu ritenuto fondamentale elaborare una nuova strategia per poter tornare competitive all’interno del comparto leisure che non significava semplicemente abbassare le tariffe. Robert Crandall, l’allora vice presidente del settore marketing dell’American Airlines, viene considerato il principale personaggio della svolta (Talluri e Van Ryzin, 2005). Egli riconobbe che la

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23 sua compagnia vendeva posti ad un costo marginale quasi pari a zero poiché la maggior parte dei costi di un volo (come personale e carburante) erano fissi; si scoprì che era possibile competere sui prezzi dei posti rimasti invenduti. Per poter applicare una simile strategia per la compagnia era dapprima necessario identificare i posti invenduti per ciascun volo, poiché non sarebbe stato conveniente vendere un biglietto ad una tariffa bassa, quando il medesimo posto sarebbe stato possibile venderlo ad un prezzo maggiore che un cliente business sarebbe stato disposto a pagare. American Airlines iniziò ad applicare sconti soggetti a restrizioni temporali per l’acquisto. Contemporaneamente la compagnia limitò il numero di posti venduti a tariffe promozionali su ciascun volo con lo scopo di mantenersi competitivi sul prezzo senza ridimensionare i ricavi provenienti dalla clientela target business. Il nuovo sistema tariffario, denominato American Super – Saver Fares entrò in vigore nel 1978. Malgrado il successo iniziale, l’esperimento iniziò a risentire di notevoli problemi: in primo luogo si scoprì, grazie alla redazione di uno storico, che non tutti i voli sono uguali e pertanto risultava sbagliato assegnare lo stesso numero di posti low in ciascun volo. Alcuni voli avevano troppi posti invenduti che potevano quindi essere venduti a tariffe basse a differenza di altri voli per i quali non era necessario abbassare le tariffe perché la domanda era normalmente alta. La compagnia realizzò che era opportuno elaborare un nuovo metodo per assicurarsi un miglior controllo delle tariffe: il sistema fu chiamato DINAMO (Dynamic Inventory Allocation and Maintenance Optimizer system), e rappresentò il primo tentativo di sviluppo del RM. Nel gennaio del 1985 divenne operativo a tutti gli effetti con un nuovo programma di tariffe chiamato Ultimated Super-Saver: questo permetteva di definire tariffe promozionali a seconda del volo considerato con la sicurezza di conoscere con esattezza la disponibilità dei posti in ciascun aereo in partenza e competere così con le compagnie che operavano nel medesimo mercato dell’American Airlines. Questo sistema aggressivo e competitivo di determinazione dei prezzi di vendita combinato alla capacità di controllo dei posti rimasti vacanti rappresenta ancora oggi il tratto caratteristico del RM nel settore del trasporto aereo. Gli effetti di questo nuovo potenziale furono drammatici, in particolar modo per People Express, a tal punto di dover dichiarare bancarotta per gravi perdite nel 1986. Da allora il RM all’interno delle compagnie aeree è sempre stato considerato come uno strumento che crea profitto: solo per dare una piccola idea American Airlines stimò che il suo RM generò 1.4 miliardi di dollari di ricavo supplementare in circa 3 anni (1988- 1991) (Smith, Leimkuhler e Darrow, 1992).

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24 2.2 Definizione di Revenue Management

La massimizzazione del volume d’affari è un obiettivo che le aziende di moda inseguono mediante un insieme di tecniche che vanno sotto il nome di Revenue Management (RM). Il Revenue Management è un sistema di gestione delle capacità disponibili che tende a suggerire come variare le tariffe a seconda dell’andamento della domanda . In Italia il Revenue Management è una disciplina ancora relativamente nuova e non tanto sviluppata. Tuttavia molte aziende di moda dispongono di un Revenue Manager e di strutture che lo supportano. Il revenue management è composto da due aree: il pricing e lo yield management. Il primo si occupa di creare dei livelli tariffari che stimolino la domanda, il secondo ha il compito di modellare l’offerta in base alle necessità della domanda e alle caratteristiche del prodotto (Locane, 2009). Il revenue management può essere quindi visto come un ombrello che comprende più di quello che solitamente si fa rientrare dentro le strategie tariffarie di un’azienda. Nello specifico si tratta di essere in grado di manipolare i diversi livelli tariffari e riuscire a trasmettere alla clientela un valore differente per ciascun livello con l’obiettivo finale di riuscire a gestire la quantità domandata. Il dynamic pricing (trattato ampiamente nei paragrafi successivi) si occupa di aggiustare queste variabile nel tempo, attribuendo prezzi diversi per lo stesso prodotto nei diversi momenti del ciclo delle vendite. Questo vuol dire che in base al momento in cui i consumatori effettuano l’acquisto pagano importi diversi per lo stesso prodotto: la scelta del booking time dipende quindi dalla loro sensibilità al prezzo e dalla loro propensione alla spesa (Fazzini, 2008).

La teoria del revenue management si fonda sulla legge economica dell’elasticità della curva di domanda rispetto al prezzo: un aumento o un abbassamento del prezzo di un prodotto modifica i volumi richiesti dello stesso. Il revenue management cerca di conquistare la clientela con una bassa propensione alla spesa con particolari promozioni e, allo stesso tempo, mantenere alte le tariffe per quei segmenti che presentano una domanda inelastica rispetto al prezzo del prodotto offerto (Modica, Landis e Pavan, 2011). L’obiettivo del revenue management è, quindi, conoscere in anticipo quale tipologia di cliente, in un determinato momento, si sta presentando all’acquisto; in altri termini la segmentazione della clientela è uno dei fondamenti dell’attività di revenue management (Locane, 2009).

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25 Il RM disciplina le decisioni riguardanti la gestione della domanda, ovvero il rapporto impresa-mercato di riferimento, con l’obiettivo di incrementare i ricavi. Ci si riferisce in particolare a tre determinate categorie (Talluri e Van Ryzin, 2005):

- Determinazione del prezzo: come fissare il prezzo esposto, i prezzi per le offerte individuali ed i prezzi di riserva; quali modifiche apportare nel tempo; come ribassare la tariffa alla fine del ciclo di vita del prodotto, ecc…

- Gestione delle quantità: in quali casi accettare o rifiutare un’offerta di acquisto; come collocare gli output in base ai diversi segmenti di mercato, ai prodotti ed ai canali di vendita prescelti; quando ritirare un bene dal mercato per rivenderlo in un secondo momento, ecc…

- Decisioni riguardanti la vendita: come contrattare (asta, prezzo esposto), quali termini di vendita offrire (sconti/ opzioni rimborsi/ cancellazioni).

In base al contesto in cui ci si trova, si decide quale tra queste sopracitate strategie è più importante, così come cambia il periodo di tempo in cui tali decisioni vengono valutate. Come affermano Talluri e Van Ryzin (2005), il RM può essere considerato sia “quantity - based” che “price - based”, se l’impresa considera la propria capacità distributiva oppure il prezzo come strumento principale per la gestione della domanda. Per quanto detto fino ad ora, si può ben capire che ciascun venditore, nella sua attività, prima o poi ha affrontato decisioni riguardanti il RM e che, di conseguenza, tali problemi ci sono fin da quando esiste il commercio. La forza della domanda e dell’offerta ed il conseguente processo di determinazione del prezzo – la mano invisibile di Adam Smith – costituiscono infatti il cuore per la comprensione delle economie di mercato; le imprese, che hanno come obiettivo la massimizzazione dei profitti, definiscono il meccanismo attraverso cui il mercato raggiunge il proprio equilibrio. La teoria moderna dell’economia suggerisce diverse strategie di gestione della domanda molto più avanzate e complesse, come la segmentazione, il bundling, ed, infine, l’ottimizzazione in presenza di informazioni asimmetriche tra venditore ed acquirente. Il RM non offre strategie diverse da quelle già note, bensì indica le modalità con cui le decisioni dovrebbero essere prese, influenzate da un approccio molto più sofisticato tecnologicamente ed estremamente dettagliato.

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26 Tav.2.1 – le dimensioni del sistema di RM

Nella letteratura si evidenza come l’essenza del RM sia la vendita di un’unità aggiuntiva di output al “giusto cliente”, nel “giusto momento” e ricevendo come corrispettivo il “giusto prezzo”: ciò che appare complesso è l’ identificazione di uno strumento che consenta di stabilire una correlazione giusta o equa tra le seguente variabili:

Unità aggiuntiva di output; Cliente;

Tempo; Prezzo.

L’unità aggiuntiva di output è data dalla possibilità di utilizzare la capacità produttiva residua e, quindi, dall’esistenza di uno scostamento tra capacità produttiva impiegata e massima capacità produttiva. Il cliente è il potenziale acquirente dell’unità aggiuntiva, la cui intercettazione da parte dell’azienda dipende dal fattore tempo e dal fattore prezzo. Il fattore tempo è legato alle modalità di vendita dell’output, mentre il fattore prezzo è legato alle politiche di pricing dell’azienda ed alla possibilità di differenziare il prezzo a parità di output offerto. Tutto il modello poggia sul sistema di previsione della domanda e, quindi, sul sistema di pianificazione e controllo della gestione.

Le direttrici sulle quali è possibile sviluppare ed implementare un sistema di RM sono: Mercato Tempo Prezzo VENDITE PRESUNTE DOMANDA STIMATA PRODUZIONE PIANIFICATA

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27 Dalle tre direttrici sopra riportate, scaturiscono le cinque leve del sistema di RM:

Calendar Clock Capacity Cost Costomer

Calendar rappresenta il punto di partenza per qualsiasi sistema di RM e consiste nella capacità dell’azienda di effettuare previsioni della domanda. Le previsioni non possono essere fatte in modo sintetico, ma devono essere distribuite sul calendario in base ai giorni effettivi di attività da parte dell’azienda. La previsione della domanda deve essere associata alla segmentazione del mercato da parte dell’azienda e, quindi, seguire le eventuali politiche di focalizzazione che l’azienda intende porre in essere. Ciò richiede un grande sforzo per collezionare e manipolare i dati necessari per la previsione delle grandezze di interesse. Grandi moli di dati devono essere infatti collezionati da diverse fonti ed aggiornate in brevissimo tempo.

Un altro valore critico per il sistema di ottimizzazione e di cui è richiesta una previsione il più accurata possibile è il prezzo del prodotto. Spesso, infatti, i prezzi cambiano in funzione del tempo oppure sono incerti cosicchè il prezzo a cui un dato prodotto dovrà essere venduto in futuro deve essere stimato. Nell’ambito di un sistema di RM in relazione ai problemi di definizione del prezzo di un determinato prodotto con l’obiettivo di massimizzare i ricavi potrebbe essere necessario stimare altre grandezze quali ad esempio l’elasticità della domanda rispetto al prezzo corrente oppure l’elasticità incrociata se sul mercato sono presenti beni sostituti del bene in esame.

Ancora previsioni circa la dimensione dei potenziali acquirenti o circa la domanda al prezzo corrente possono essere richieste.

Clock rappresenta la capacità dell’azienda di gestire la durata del servizio, l’incertezza connessa al momento di fruizione del servizio medesimo e la conseguente valutazione per l’applicazione dei vincoli tariffari. Rientrano nel clock le difficoltà che talune aziende possono incontrare nella gestione delle prenotazioni da parte della clientela e nella gestione degli arrivi. Si pensi alle promozioni che in molti settori vengono fatte dalle aziende per garantirsi una equa distribuzione dei volumi nel tempi in modo da poter gestire periodi di picchi e di stasi dell’attività produttiva.

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28 Capacity rappresenta la capacità dell’azienda di gestire la propria offerta attraverso le prime due leve ed attraverso la sfruttamento della propria capacità produttiva. Capacity esprime la maggiore o minore rigidità da parte dell’azienda nella gestione della propria capacità produttiva ossia il tempo di risposta da parte dell’azienda ai cambiamenti nella domanda. Obiettivo del controllo di capacità è quello di determinare come allocare la capacità di una data risorsa o di un insieme di risorse a differenti classi di domanda in maniera tale da massimizzare il rendimento atteso. Si ipotizza che l’ azienda venda il singolo prodotto o servizio secondo n-classi di prezzo distinte corrispondenti ad altrettante classi di domanda. Ad esempio, se si pensa alle compagnie aeree o agli hotels, queste classi di prezzo non sono altro che condizioni di vendita differenziate e vincolate da specifiche restrizioni. Lo stesso posto su di un aereo puo’, infatti, essere venduto ad un prezzo differente (ad una classe di domanda differente) a seconda, ad esempio, del momento in cui avviene la prenotazione oppure a seconda della tratta cui appartiene il volo. In generale, dunque, si ipotizza che i prodotti vengano venduti in distinti e mutuamente esclusivi segmenti di mercato, che le unità di capacità siano omogenee e che i clienti richiedano una singola unità di capacità per ciascuna risorsa. L’obiettivo, come già accennato è quello di allocare in maniera ottimale la capacità delle risorsa aziendali per ogni classe di prezzo, tenendo in conto che l’allocazione deve avvenire dinamicamente così come dinamico è il processo di arrivo della domanda. La decisione finale deve essere presa bilanciando il rischio di mancata vendita con quello di contrazione dei ricavi derivante dall’ accettare la prenotazione troppo presto rispetto al momento di erogazione del servizio (o di vendita del prodotto). Se il primo supera il secondo ovviamente si tenderà ad aumentare le unità assegnate alle classi di domanda a cui `e associata la tariffa bassa. Viceversa se si ipotizza un aumento delle prenotazioni, e conseguenti acquisti, da parte dei segmenti di domanda a cui è associato il prezzo più alto. Come già accennato, il controllo della capacità può essere relativo al caso di una singola risorsa o di più risorse.

Nella pratica, i modelli basati sulla quantità sono spesso utilizzati per affrontare problemi di controllo della capacità in presenza di più risorse (network revenue management).

Costo rappresenta il prezzo di vendita ed il corrispondente costo per il potenziale cliente. Il principio su cui poggia l’utilizzo della leva del prezzo è che il potenziale cliente debba pagare il prezzo massimo che è disposto a sostenere come costo per

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29 acquistare il bene/servizio in funzione della propria willingness to pay. L’azienda deve pertanto conoscere e misurare la willingness to pay della propria clientela.

La conoscenza dei potenziali clienti si esprime nella determinazione delle variabili critiche degli stessi e, quindi, delle caratteristiche sulla base delle quali il cliente poggia il proprio giudizio di gradimento/soddisfazione per il bene/servizio da acquistare. La determinazione delle variabili critiche è la base per qualunque politica di differenziazione e focalizzazione. Il potenziale cliente costituisce, attraverso la propria propensione al consumo, un elemento importante nella valutazione dei picchi e delle stasi di produzione e, quindi, per la gestione dell’offerta e della capacità produttiva. Le politiche di vendita e di promozione sono volte ad intercettare la propensione all’acquisto del potenziale cliente.

Al centro del sistema di RM si trova l’azienda come combinazione produttiva con la propria massima capacità produttiva e con il proprio sistema di pianificazione e controllo della gestione. Il sistema RM non coinvolge solo l’azienda ma tutta la filiera produttiva in cui l’azienda si inserisce: le politiche di RM, infatti, coinvolgono il potenziale cliente ma possono altresì coinvolgere i fornitori, canali di vendita e di distribuzione del prodotto/servizio. Il potenziale cliente è colui verso il quale la creazione di valore da parte dell’azienda si rivolge. Creazione di valore misurata attraverso il grado di soddisfazione del cliente stesso ed attraverso la leva del prezzo. 2.3 Le condizioni economiche

Per poter applicare il RM è opportuno che il settore economico a cui ci si riferisce rispetti alcune condizioni che verranno sotto esplicate, altrimenti non genera alcun beneficio reale (Talluri e Van Ryzin, 2005).

- Clientela eterogenea

Se tutti i consumatori valutassero nello stesso modo un prodotto e mostrassero identici comportamenti di acquisto, non ci sarebbe la possibilità di sfruttare le diverse propensioni di spesa e le differenti preferenze. Certamente i clienti delle compagnie aeree e dell’industria alberghiera non rispecchiano questa caratteristica: è possibile costruire diversi modelli di consumo e comportamento in termini di tempistica di acquisto e flessibilità.

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30 Per cui una segmentazione del proprio mercato di riferimento permette di incrementare i ricavi.

- Domanda variabile ed incerta

La domanda varia nel tempo a causa di diversi fattori, quali ad esempio la stagionalità, l’ora del giorno, il giorno della settimana o eventi prevedibili da calendario quali Pasqua, Natale, oppure fiere e meeting. È semplice intuire che risulta difficile prevedere un possibile andamento nel futuro per cui è necessario munirsi di opportuni strumenti sofisticati che permettano di decidere qual è la strategia ottima di gestione della domanda da applicare.

- Produzione rigida e prodotto deperibile

Le società che erogano servizi, a differenza delle attività di produzione di beni, hanno come caratteristica fondamentale la capacità fissa, ovvero non possono variare la quantità erogata sul mercato. Il RM diventa così uno strumento importante, poiché questa inflessibilità porta ad una maggiore interazione con la domanda, costituita da diversi target di clientela, con più prodotti di una linea di produzione e distribuiti attraverso i diversi canali, aumentando così la complessità della gestione.

- Presenza di alti costi fissi e bassi costi variabili

Più sono le unità vendute sulle quali ripartire i costi fissi, più questi si abbassano per la singola unità.

- Acquisto del servizio in anticipo rispetto alla fruizione

Questa peculiarità permette, dopo un periodo di studi, di rendere la domanda prevedibile e di conseguenza di differenziare i prezzi, soprattutto in relazione al periodo in cui si prenota.

- Possibilità di variare il prezzo

La clientela presenta diverse sensibilità al prezzo, la quale determina un’oscillazione della domanda; di conseguenza le aziende possono permettersi di modificare i prezzi in relazione al manifestarsi della domanda e cercare, quindi, di distribuire i propri prodotti verso quei target che garantiscono un margine di contribuzione più alto.

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31 - Utilizzo di sistemi informatici per la raccolta dei dati

Per mettere in pratica le strategie di RM è necessario possedere dei dati che permettano di creare un modello della domanda: risulta perciò utile avere a disposizione alcuni sistemi informatici che registrano i dati e monitorano le decisioni finali in tempo reale. Al contrario, invece, per chi non ha in dotazione certi software appare rischioso e molto costoso utilizzare tecniche di RM. Anche in questo caso l’esempio delle compagnie aeree è perfetto: grazie all’introduzione dei GDS negli anni ’60 – ’70 la determinazione del prezzo ed il processo di distribuzione è in larga parte automatizzato.

2.4 I principali campi del Revenue Management System

Inizialmente il sistema di RM fu utilizzato solo nel settore della linee aeree ma presto si estese anche in quei settori nei quali si potevano applicare i principi del sistema di revenue. I primi hotel che iniziarono ad applicare le regole di revenue management system videro aumentare i profitti dal 2 al 5% (Ravenna e Pandolfi, 2010). Questo è possibile poiché in tutte le imprese che vendono unità strettamente dipendenti dal fattore tempo ciò che non viene venduto rappresenta un ricavo non recuperabile. Di fatto non esiste una grossa differenza tra i prodotti di un aereo e quelli di un albergo. Essi adottano varie classi tariffarie per gestire la domanda di un servizio la cui durata è abbastanza stimabile. L’hotel, a differenza di un vettore, può scegliere tra una richiesta di una sola notte ed una di un soggiorno più prolungato la quale può essere più remunerativa dato che i costi di prenotazione e gestione della camera sono imputati ad una pratica più redditizia; al contrario essa potrebbe venire considerata non conveniente se ci si aspetta di avere richieste di soggiorno considerate prioritarie. Il revenue management non viene utilizzato solo dalle compagnie aree e alberghiere ma anche dalle compagnie crocieristiche, dalle imprese di noleggio, dal settore ristorativo, dal settore moda, dai tour operator, dai teatri, dai palazzetti sportivi e dai cinema multisala (Locane, 2009). Kimes e Chase (1998) hanno fornito un modello interpretativo per definire la funzione dello RM nei diversi settori basandosi su due parametri: la durata e il prezzo. Se, ad esempio, si tiene conto dell’incertezza circa la domanda di un capo di abbigliamento di lusso nell’arco della stagionalità, il tempo necessario per smaltire lo stock di magazzino è prevedibile. Il prezzo, invece, si può dividere in fisso, in questo caso non vuol dire non variabile sennò mancherebbe uno dei capi saldi del revenue

Figura

Figura 2: Ciclo di vita della moda (Fonte: A. Foglio, Il marketing della moda, Milano,  Franco Angeli, 2001)  Introduzione Crescita in popolarità  Picco  Declino  Rigetto
Tabella 3.2.1: allocazione della capacità tra due periodi 1 e 2 , valore marginale e ricavi  totale

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