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Diagnosi prenatale di disrafismi spinali rari

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Academic year: 2021

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INDICE

1. SOMMARIO ……… 2

2. INTRODUZIONE ……… 5

2.1 Embriogenesi dei disrafismi spinali ……… 7

2.2 Fattori di rischio per disrafismi spinali ..……… 9

2.3 Diagnosi differenziale dei disrafismi spinali aperti e chiusi 10 2.4 Segni ecografici di disrafismi spinali chiusi ……… 14

2.4.1 Segni ecografici di disrafismi spinali chiusi con massa sottocutanea ………. 15

2.4.2 Segni ecografici di disrafismi spinali chiusi senza massa sottocutanea ………. 22

2.5 Ruolo dell’ecografia tridimensionale nello studio dei disrafismi spinali ………... 27

3. MATERIALI E METODI ……… 30

4. CASI CLINICI ……….. 32

4.1

Caso n.1:

Mielocistocele ……….. 32

4.2

Caso n.2:

Sindrome da Regressione Caudale ………. 33

4.3

Caso n.3:

Sindrome da Regressione Caudale con lipomielomeningocele ………. 35

4.4

Caso n.4:

Iniencefalia con disrafia cervicale chiusa………… 37

4.5

Caso n.5:

Malformazione di Chiari III ………. 39

5. DISCUSSIONE ……… 41

6. BIBLIOGRAFIA ……….. 45

(2)

1.

SOMMARIO

Nell’ultimo decennio, presso il Centro di Ecografie di II livello della Divisione di Ginecologia ed Ostetricia dell’Università di Pisa, sono stati diagnosticati 38 casi di disrafismi spinali, di cui 24 spine bifide aperte con segni intracranici di malformazione di Arnold Chiari, 8 anencefalie e cinque forme rare.

La spina bifida aperta e l’anencefalia sono le forme più comuni di disrafismi spinali per le quali la detection rate dell’ecografia di II livello è circa il 98% (100% nella presente casistica).

In questo lavoro sono stati esaminati e descritti i cinque casi di disrafismi spinali rari: il mielocistocele “aperto”, due casi di Sindrome da Regressione Caudale di cui una associata a lipomielomeningocele, l’iniencefalia e la Malformazione di Chiari III. Ognuno di questi disrafismi ha un aspetto ecografico eterogeneo e differente dalle forme classiche di “spina bifida aperta”.

Di ciascuno di essi sono state riportate e commentate le immagini ecografiche che hanno consentito di formulare la diagnosi o il sospetto di disrafia spinale. Le immagini ecografiche sono state confrontate con quelle ottenute mediante la RMN fetale, quando questa è stata eseguita a completamento o conferma della diagnosi ecografica.

In quattro dei cinque casi descritti le pazienti hanno scelto di interrompere la gravidanza ed è stata effettuata l’autopsia del feto. L’accuratezza della diagnosi prenatale è stata, quindi, verificata mediante il confronto con la diagnosi autoptica o con i risultati di esami di imaging eseguiti in epoca postnatale.

Nella nostra casistica l’ecografia ostetrica di II livello è stata in grado di effettuare correttamente la diagnosi di mielocistocele. La RMN è stata utile

(3)

come conferma diagnostica ed ha consentito di visualizzare il difetto di chiusura della cute sovrastante.

La Sindrome da Regressione Caudale è stata diagnosticata correttamente dall’ecografia mediante l’osservazione dell’assenza del tratto distale del rachide lombare e del sacro. La RMN è stata utile come conferma diagnostica mediante la dimostrazione dell’interruzione del midollo spinale a livello del tratto dorsale inferiore.

Nel caso di Sindrome da Regressione Caudale con lipomielomeningocele mediante l’ecografia era stato possibile diagnosticare l’agenesia del sacro e sospettare la disrafia spinale chiusa lombare. La RMN fetale ha fornito una conferma diagnostica di agenesia del sacro, ha aggiunto accuratezza alla diagnosi di disrafia spinale chiusa dimostrando la presenza del lipoma intradurale che ancorava il filum terminale ed ha consentito di sospettare la presenza di atresia anale, la cui diagnosi non può essere effettuata eco graficamente.

L’iniencefalia con disrafia cervicale chiusa è stata una diagnosi esclusivamente ecografica accurata e precoce (16° settimana), resa possibile dall’impiego della metodica tridimensionale. La RMN non è riuscita, a causa della bassa epoca gestazionale, a rilevare la schisi vertebrale.

Nel caso della Malformazione di Chiari III l’ecografia è stata in grado di diagnosticare correttamente il difetto di chiusura dell’osso occipitale, la schisi dell’arco posteriore delle prime vertebre cervicali, il meningoencefalocele occipitale e sospettare la dislocazione del cervelletto. La RMN ha completato la diagnosi dimostrando l’inginocchiamento del bulbo dell’encefalo, struttura che non può essere studiata ecograficamente.

Conoscere l’esistenza di forme rare di disrafismi spinali consente di sospettare la presenza della malformazione anche in assenza dei segni ecografici della forma classica di spina bifida aperta. La collaborazione con il

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neurochirurgo consente l’interpretazione delle immagini ecografiche ed è fondamentale per il raggiungimento di una diagnosi precisa anche di forme rare. Più la valutazione ecografica è dettagliata ed accurata, più è precisa la diagnosi. Quanto più è precisa la diagnosi, tanto maggiore sarà la precisione e la ricchezza delle informazioni che possono essere fornite ai genitori del feto affetto, in merito alla prognosi postnatale.

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2.

INTRODUZIONE

Per “disrafia spinale” si intende una malformazione congenita della colonna vertebrale e del midollo spinale che deriva da un’incompleta chiusura e/o da un’anomala differenziazione delle strutture dorsali della linea mediana: tessuto nervoso, meningi, vertebre, muscoli e cute (1).

Il termine “spina bifida” si riferisce esclusivamente alla mancata fusione delle lamine posteriori delle vertebre, anche se, impropriamente, viene utilizzato come sinonimo di disrafie spinali (1).

Tradizionalmente le disrafie spinali sono classificate come “aperte” (OSD) e “chiuse” (CSD) a seconda che la cute sovrastante il difetto spinale sia integra o presenti una soluzione di continuo (1).

A queste due categorie corrispondono differenti meccanismi patogenetici, peculiari segni ecografici, in epoca prenatale, e differente prognosi, in epoca postnatale (2).

Le disrafie spinali aperte, se considerate nell’insieme, risultano gravate da una prognosi postnatale peggiore e sono associate ad una malformazione intracranica, i cui segni appaiono precocemente durante lo sviluppo fetale. Per queste motivazioni, la maggior parte degli studi di diagnosi prenatale hanno come obiettivo indagare le possibilità di diagnosi precoce di difetti del tubo neurale aperto (3).

Le disrafie spinali chiuse rispetto alle forme aperte costituiscono un gruppo molto più eterogeneo, che include malformazioni paucisintomatiche, come alcune forme di spina bifida occulta diagnosticate in età adulta, e stati disrafici complessi che esitano in gravi disabilità neurologiche, come la Sindrome da Regressione Caudale. Tutte le diverse forme di disrafie spinali chiuse sono accomunate dall’assenza di segni intracranici: tranne rare

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eccezioni, i feti affetti da una disrafia spinale coperta da cute hanno un cranio normale (4;5).

L’assenza di segni intracranici può comportare un ritardo nella diagnosi delle forme chiuse rispetto alle forme aperte. Stabilire la sensibilità e l’accuratezza dell’ecografia nei confronti delle disrafie spinali chiuse, è, tuttavia molto difficile, dato che la maggior parte degli studi, ad oggi disponibili, non considera separatamente le due forme e la reale incidenza di disrafie spinali chiuse non è conosciuta con esattezza (5).

Un criterio classificativo delle disrafie spinali chiuse che risulta importante nella diagnosi ecografica è la presenza di una massa sottocutanea sul dorso del feto a livello della schisi vertebrale. La massa sottocutanea ecograficamente appare come una massa cistica o solido-cistica non vascolarizzata che corrisponde al meningocele, mielomeningocele, lipomielomeningocele o mielomeningocistocele (1;5).

Alle “disrafie spinali chiuse senza massa sottocutanea” corrisponde la maggiore eterogeneità di presentazione ecografica in quanto comprendono sia alcune forme di spina bifida occulta limitata a poche vertebre nella regione lombo-sacrale sia stati disrafici complessi come la Sindrome da Regressione Caudale. Quest’ultima va fortemente sospettata in presenza di diabete mellito pregravidico con scadente controllo glicometabolico nel periodo preconcezionale. La presenza concomitante di obesità materna, riducendo la trasmissibilità degli ultrasuoni, può ostacolare l’esame ecografico (1;5)

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2.1 Embriogenesi dei disrafismi spinali

Le disrafie spinali sono il risultato di un’anomalia nella cascata di eventi embriogenetici che attraverso la fase di gastrulazione, neurulazione primaria e neurulazione secondaria portano alla formazione del midollo spinale e dei tessuti che lo rivestono (1).

La gastrulazione è il processo con cui l’embrione che nella fase di blastocisti è costituito da due foglietti cellulari, si trasforma in un disco trilaminare per la differenziazione di tre strati cellulari: endoderma, mesoderma ed ectoderma (1).

Il sistema nervoso centrale si sviluppa precocemente nell’embrione a partire dall’ectoderma dorsale. Dalla terza settimana di gravidanza l’ectoderma si differenzia in un tessuto specializzato: il neuroectoderma. La moltiplicazione delle cellule neuroectodermiche produce un ispessimento sul dorso dell’embrione che prende il nome di placca neurale. La placca successivamente si approfonda ventralmente, invaginandosi in modo da formare la doccia neurale. I bordi della doccia sollevandosi e avvicinandosi dorsalmente sulla linea mediana entrano tra loro in contatto e si saldano formando il tubo neurale. La parte craniale del tubo neurale si chiude intorno alla 24°-25° giornata di gravidanza e costituisce il neuroporo anteriore. La parte caudale del tubo neurale si chiude più tardivamente intorno alla 27°-28° giornata di gravidanza e va a costituire il neuroporo posteriore. Secondo le più moderne teorie il processo di chiusura della doccia neurale inizia almeno in cinque siti differenti e da questi si estende sia cranialmente che caudalmente. È, infatti, possibile osservare dei difetti di chiusura del tubo neurale che interessano un solo segmento del midollo spinale. Il processo di trasformazione della placca neurale in tubo neurale prende il nome di neurulazione primaria. Appena si è completata la chiusura del tubo neurale,

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lo strato più superficiale dell’ectoderma si separa dal neuroectoderma e si fonde sulla linea mediana in modo da costituire un rivestimento cutaneo continuo sul tubo neurale. Contemporaneamente le cellule mesenchimali migrano dorsalmente e vanno ad interporsi tra il tubo neurale e la cute andando a costituire a questo livello le meningi, gli archi vertebrali e i muscoli paraspinali (1).

Lo sviluppo dei metameri sacro-coccigei del midollo spinale e del filum terminale avviene secondo una modalità differente rispetto alla restante parte del midollo spinale. È noto, infatti, che la parte più caudale del midollo origina da una corda compatta di cellule che si trasforma in un tubo cavo mediante il processo di cavitazione. La formazione di questa struttura neurale cava, senza il diretto coinvolgimento dell’ectoderma e senza la fase intermedia della placca e della doccia neurale, prende il nome di neurulazione secondaria. In corrispondenza del cono midollare il canale centrale del midollo spinale può presentare una dilatazione fusiforme che prende il nome di ventricolo terminale. Dal 48° giorno di gravidanza, la parte del tubo neurale distale al ventricolo terminale va incontro ad atrofia il cui esito è la formazione del filum terminale (1).

Tutta la cascata di eventi che coinvolge la gastrulazione, la neurulazione primaria e secondaria avviene in un periodo di tempo molto limitato che va dalla seconda alla sesta settimana di gravidanza, per cui la somministrazione di acido folico a scopo profilattico per la prevenzione dei difetti di chiusura del tubo neurale risulta del tutto inefficace se non è stata iniziata precocemente nel periodo periconcezionale (1).

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2.2 Fattori di rischio per disrafismi spinali

Le cause per cui possano verificarsi anomalie nella cascata di eventi che porta alla formazione del midollo spinale e dei tessuti che lo rivestono non sono note, tuttavia sono stati identificati alcuni importanti fattori di rischio. Se in una precedente gravidanza il feto era affetto da un difetto di chiusura del tubo neurale, il rischio in ciascuna delle gravidanze successive è del 2-3%. Se in due gravidanze precedenti i feti erano affetti, il rischio alla successiva gravidanza sale al 10%. Altri fattori di rischio indipendenti sono l’assunzione nel periodo periconcezionale di acido valproico, vit A, antagonisti dell’acido folico (metotrexate), il diabete materno, l’obesità e la carenza di folati (4).

Va, tuttavia, tenuto presente che quasi il 90% dei casi si verifica in gravidanze ritenute a basso rischio (1).

Anche per quanto riguarda i fattori di rischio, le disrafie spinali chiuse presentano alcune peculiarità. Il mielocistocele terminale isolato, che è una forma di spina bifida chiusa a prognosi piuttosto favorevole, non sembra presentare una ricorrenza per familiarità e sembra, quindi, un evento sporadico nella vita riproduttiva della coppia. Alcuni studi hanno suggerito una possibile correlazione con l’esposizione a teratogeni come l’idantoina, la loperamide e l’acido retinoico (6).

La Sindrome da Regressione caudale, che è una complessa malformazione molto rara nella popolazione generale, riconosce come maggior fattore di rischio il diabete mellito pregravidico, con scarso controllo glicometabolico nel periodo periconcezionale. In questa categoria di pazienti il rischio è aumentato di 200 volte rispetto alla popolazione generale e l’incidenza della malformazione è di 1 caso su 350 gravidanze. L’associazione tra l’alterazione glicometabolica non compensata e la Sindrome da Regressione Caudale è

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così stretta che questa possa essere considerata parte dell’embriopatia diabetica, il cui fattore causale è l’effetto teratogeno dell’iperglicemia e dei prodotti del metabolismo di grassi e proteine che in queste pazienti risulta alterato (7).

2.3 Diagnosi differenziale dei disrafismi spinali aperti e

chiusi

Esistono quattro varietà di disrafismi spinali aperti: mielomeningocele, mielocele, emimielomeningocele ed emimielocele, di cui la forma di gran lunga più comune è il mielomeningocele che da solo costituisce il 99% circa dei casi di disrafismi spinali aperti, seguito dal mielocele. L’emimielomeningocele e l’emimielocele sono, invece, forme che si osservano molto di rado (1).

Il mielomeningocele e il mielocele derivano da un difetto della neurulazione primaria: i bordi della doccia neurale, in un segmento, non si fondono tra loro sulla superficie dorsale dell’embrione, per cui una parte del tessuto nervoso da cui origina il midollo spinale rimane bloccato allo stadio di placca neurale e prende il nome di placode. La superficie esterna del placode coincide con quella che avrebbe dovuto essere la superficie interna del canale centrale del midollo spinale, per cui comunica con il canale centrale della porzione midollare craniale al difetto e tramite questa con gli spazi liquorali. Per l’assenza del rivestimento cutaneo nella zona della schisi vertebrale si assiste al passaggio di liquor cefalo-rachidiano nel liquido amniotico. Nel mielomeningocele il placode che sulla sua superficie ventrale è rivestito dalla pia e dall’aracnoide viene sollevato e sospinto verso l’esterno da una espansione dello spazio sub-aracnoideo, in modo tale che sulla linea mediana del dorso dell’embrione compare una massa cistica,

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ecograficamente transonica, poiché è ripiena di liquor, sormontata dal placode e attraversata dalla radici nervose che originano dal placode e si portano lateralmente per raggiungere i forami vertebrali, per cui all’interno della cisti appaiono talora visibili all’ecografia sottili trabecolature. Nel mielocele, invece, il placode rimane aderente ai piani sottostanti, poiché manca l’espansione dello spazio sub-aracnoideo e quindi non è presente la cisti sul dorso del feto (1;4).

In entrambi i casi, però, fin dalla fase di sviluppo del tubo neurale si assiste ad una continua perdita di liquor verso la cavità amniotica con conseguente ipotensione all’interno del tubo neurale e negli spazi liquorali che costituiscono l’apparato di sostegno dell’encefalo. A causa della bassa pressione del liquor la vescicola rombencefalica, da cui si forma il quarto ventricolo, non si espande sufficientemente e, quindi, non riesce ad indurre un’adeguata espansione dei tessuti mesenchimali circostanti. Come conseguenza il cervelletto e il tronco dell’encefalo sono costretti a svilupparsi all’interno di una fossa cranica posteriore ipoplasica. L’ipotensione negli spazi liquorali di sostegno delle strutture encefaliche comporta lo scivolamento del cervelletto posteriormente e verso il basso, per cui la cisterna magna risulta obliterata e i peduncoli cerebellari tendono ad erniare attraverso il forame magno. I forami di Luschka e Magendie possono risultarne obliterati con conseguente ventricolomegalia triventricolare e idrocefalia (1).

I segni intracranici dei “difetti del tubo neurale aperti”, nell’insieme, costituiscono la malformazione di Arnold Chiari, la quale, più che una malformazione associata, va considerata parte della sequenza mal formativa (4).

Da un punto di vista ecografico i segni intracranici sono facilmente riconoscibili con una detection rate che si approssima al 100% (4).

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Il “lemon sign” descrive la forma del cranio che presenta una concavità delle suture fronto-parietale e una prominenza delle bozze frontali. Questo segno è stato descritto a partire dalla tredicesima settimana di gravidanza. Nel secondo trimestre, fino alla 24° settimana, è presente nel 98% dei feti con disrafia spinale aperta, pur non essendo specifico per essa, in quanto anche una piccola parte di feti normali può avere una forma del cranio che ricorda un lemon sign. Nel terzo trimestre il lemon sign tende ad essere meno evidente (3;4).

Il “banana sign” si riferisce alla forma del cervelletto che risulta ipoplasico con diametro trasverso ridotto e con concavità anteriore. Il banana sign è presente nel 98% dei feti con disrafia spinale aperta e non si risolve con il progredire della gravidanza. Nel 93% dei casi la cisterna magna risulta di ampiezza ridotta o obliterata (3;4).

La ventricolomegalia, definita come spessore del trigono del ventricolo laterale >10 mm, è presente in una percentuale di feti affetti variabile dal 65 al 75%, a seconda delle varie casistiche esaminate e tende a peggiorare nel terzo trimestre (3;4).

La malformazione di Arnold Chiari manca nei disrafismi spinali chiusi, con l’unica possibile eccezione di voluminosi mielocistoceli, e costituisce pertanto il più importante strumento per la diagnosi differenziale tra disrafie spinali aperte e chiuse (4).

Il passaggio di liquor cefalo-rachidiano nel liquido amniotico comporta l’innalzamento dei livelli di Alfa Feto Proteina (AFP) nel liquido amniotico e nel sangue materno. I risultati del dosaggio dell’AFP sierica vengono espressi come multipli della mediana (MoM). Utilizzando come cut off per considerare lo screening positivo i 2.5 MoM, la sensibilità nei confronti dell’anencefalia è >95% e dei difetti del tubo neurale aperti varia a seconda delle casistiche dal 65 all’80%. La percentuale di falsi positivi è, tuttavia, elevata, inoltre un

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innalzamento dell’AFP non è specifico per difetti di chiusura del tubo neurale in quanto può risultare aumentato anche in caso di gastroschisi e onfalocele. Per oltre 30 anni il dosaggio dell’AFP nel sangue materno è stato utilizzato come metodica di screening per i difetti del tubo neurale aperto, mentre attualmente viene messo in discussione dall’elevata sensibilità diagnostica dell’ecografia nei confronti dei segni intracranici dei difetti del tubo neurale aperti (3).

Se facciamo riferimento alla teoria secondo la quale i difetti di chiusura del tubo neurale possono essere considerati un’unica famiglia di “disordini della neurulazione”, che si differenziano tra loro per la sede e l’estensione del difetto, allora possiamo includere in questo gruppo anche i difetti di chiusura del neuroporo anteriore di cui fanno parte l’encefalocele e la Malformazione di Chiari III (1).

In realtà, la Malformazione di Chiari III è rara e la sua origine embriologica è poco conosciuta. Venne descritta per la prima volta da Chiari nel 1891 e da allora la casistica più numerosa è stata quella riportata da Castillo nel 1992 che includeva 9 pazienti (8).

Attualmente la Malformazione di Chiari III è definita come encefalocele occipitale e/o cervicale alto con fossa cranica posteriore piccola e dislocazione del cervelletto e del tronco dell’encefalo con eventuale idrocefalia (8-10).

La maggior parte degli autori ritengono che la patogenesi della Malformazione di Chiari III sia strettamente correlata a quella della Malformazione di Chiari II. Il difetto di chiusura occipitale e/o delle prime vertebre cervicali associato ad una fossa cranica posteriore ipoplasica comporta l’erniazione del cervelletto e di parte degli emisferi occipitali attraverso il difetto osseo (encefalocele) all’interno di una struttura cistica ripiena di liquor cefalo rachidiano (meningocele). Il tronco dell’encefalo può

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risultare inginocchiato posteriormente verso la porta erniaria. Spesso è presente una ventricolomegalia: i due ventricoli cerebrali laterali presentano un aspetto appuntito dei corni anteriori e dilatazione di quelli posteriori (colpocefalia) (8;9).

La prognosi postnatale della Malformazione di Chiari III è gravissima per i deficit neurologici e l’alto tasso di mortalità precoce (8-10).

L’ecografia ostetrica è in grado di diagnosticare l’encefalocele, rilevando la presenza del difetto osseo da cui fuoriesce una massa cistica, sub-occipitale, prevalentemente transonica, settata con una componente solida all’interno (8;9).

La RMN fetale consente di effettuare una diagnosi certa di Malformazione di Chiari III, in quanto è in grado di caratterizzare meglio il tessuto nervoso erniante e rilevare al suo interno aree di encefalomalacia, valutare la distorsione del parenchima dei lobi occipitali e la dilatazione dei ventricoli cerebrali laterali colpocefalici, studiare la fossa cranica posteriore e dimostrare l’inginocchiamento del tronco dell’encefalo (8;9).

2.4 Segni ecografici di disrafismi spinali chiusi

Nei disrafismi spinali chiusi, mancando i segni intracranici del difetto spinale, la diagnosi ecografica viene raggiunta attraverso la diretta visualizzazione del difetto spinale. L’esame della colonna vertebrale viene effettuato inizialmente con metodica 2D (ecografia bidimensionale) ottenendo immagini della colonna in sezione longitudinale, trasversale e coronale. Nella sezione longitudinale della colonna deve essere incluso anche il tratto terminale che a causa della lordosi lombare fisiologica presenta un aspetto a “coda d’anatra” e dimostra che il sacro è presente. La sezione longitudinale consente di

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valutare anche l’integrità della cute sovrastante. Con la sezione trasversale è possibile visualizzare i nuclei di ossificazione di ciascuna vertebra, che nel secondo trimestre sono 3, di cui quello più anteriore corrisponde al corpo vertebrale e i due nuclei posteriori corrispondono alle lamine posteriori. In presenza di una vertebra normale i due nuclei di ossificazione posteriori sono disposti in modo da convergere verso la linea mediana creando un aspetto a tetto. In presenza di una schisi vertebrale i due nuclei posteriori risultano diastasati e tendono a disporsi quasi parallelamente delimitando uno spazio aperto posteriormente, attraverso cui possono erniare il tessuto nervoso e le meningi. In sezione coronale è possibile osservare i nuclei di ossificazione delle lamine posteriori che in caso di schisi vertebrale tendono a divergere lateralmente dando alla colonna l’aspetto a “fuso” (4;5).

2.4.1 Segni ecografici di disrafismi spinali chiusi con massa sottocutanea

In caso di “disrafia spinale chiusa con massa sottocutanea” l’elemento caratterizzante è la presenza di una massa cistica sul dorso del feto, che nella gran parte dei casi si localizza a livello del tratto lombo-sacrale della colonna vertebrale. Esistono vari tipi di disrafismi spinali chiusi e ciascun tipo mostra la tendenza a collocarsi in un preciso segmento della colonna. Per questo motivo, la presenza di una cisti sul tratto lombo-sacrale della colonna in un feto con cranio normale, evoca la possibilità che si tratti di un lipoma associato a difetto della dura: lipomieloschisi e lipomielomeningocele oppure un mielocistocele terminale o un meningocele (1).

La forma più comune di disrafia spinale chiusa è il “lipoma con difetto della dura madre”. Da un punto di vista embriologico, deriva da un’anomalia della neurulazione primaria. A causa della precoce ed intempestiva dissociazione dello strato più superficiale dell’ectoderma dal neuroectoderma, prima della

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completa chiusura del tubo neurale, il tessuto mesenchimale, che si espande dai lati della doccia neurale verso la superficie dorsale dell’embrione, guadagna una via d’accesso verso l’interno della doccia neurale impedendone la chiusura. L’esito è un lipoma che ancora il placode e si estende dal canale midollare fino al sottocute attraverso una soluzione di continuo delle meningi e degli archi vertebrali. A seconda del grado di espansione dello spazio sub aracnoideo su cui giace la superficie ventrale del placode, l’interfaccia placode-lipoma può collocarsi all’interno del canale spinale (lipomieloschisi sinonimo di lipomielocele) o al di fuori del canale spinale, per la concomitante presenza di un meningocele (lipomielomeningocele). In entrambi i casi sarà presente una massa che origina dal dorso del feto e si sviluppa in maniera asimmetrica prevalentemente su un lato (1).

Dato che si tratta di una massa costituita prevalentemente da tessuto adiposo eventualmente associato ad un meningocele, da un punto di vista ecografico sarebbe logico attendersi che la massa si presenti prevalentemente ecogena, eventualmente solido-cistica con parete spessa per l’estensione del lipoma nel tessuto sottocutaneo sovrastante. In realtà, sebbene questo aspetto in letteratura si trovi descritto, non è la modalità di presentazione più frequente del lipomielomeningocele e del lipomielocele. Per ragioni non perfettamente chiarite molto spesso il “lipoma con difetto della dura madre” ha un aspetto ecografico completamente sovrapponibile a quello del mielomeningocele e del meningocele: massa cistica prevalentemente transonica a pareti sottili. La diagnosi differenziale tra il lipomielomeningocele (CSD) e il mielomeningocele (OSD) è tuttavia doverosa, per la radicale differenza nella prognosi, e, di solito, agevole per la presenza dei segni intracranici della malformazione di Arnold Chiari nel secondo caso. Le possibili spiegazioni del perché il lipomielomeningocele in epoca prenatale si possa presentare come una massa cistica completamente transonica sono diverse, ma ad oggi, rimangono solo delle ipotesi. Dato che in epoca postnatale il lipoma è ecogeno, si potrebbe supporre che la

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componente adiposa del lipomielomeningocele cresca prevalentemente nel periodo perinatale, mentre nelle fasi precoci della vita fetale sia scarsamente rappresentato oppure, più probabilmente, è possibile che le caratteristiche del tessuto adiposo cambino in relazione all’età, in base al suo contenuto di acqua e alla componente di tessuto fibroso presente. È, quindi, possibile che una cisti transonica sul dorso del feto in assenza di malformazione intracranica venga diagnosticata come meningocele, che è una forma di spina bifida chiusa a prognosi favorevole, mentre dopo la nascita viene dimostrata la presenza di un voluminoso lipoma con difetto della dura madre. Le due forme di disrafia spinale coperta da cute hanno prognosi differente in quanto il lipoma ancora il placode e stira verso il basso il midollo spinale, dando luogo alla Sindrome del Midollo Ancorato, che condiziona la prognosi postnatale di questi feti (11-14).

Alcuni autori hanno descritto la possibilità di visualizzare ecograficamente il cono midollare e di valutare il livello che raggiunge nel canale spinale. In sezione sagittale il cono midollare appare come una struttura ipo-anecogena delimitata da due linee a maggiore ecogenicità che terminano fondendosi tra loro, in modo da formare una struttura di forma triangolare che è l’apice del cono midollare. Per poter sospettare una sindrome del midollo ancorato, però, è necessario conoscere in maniera esatta la posizione del cono midollare durante le varie fasi dello sviluppo fetale normale. Man mano che la colonna vertebrale cresce in lunghezza, è come se il cono midollare risalisse all’interno del canale spinale poiché l’allungamento della colonna vertebrale non è associato ad un consensuale aumento di lunghezza del midollo spinale. Purtroppo gli studi che hanno esaminato il livello del cono midollare durante la vita fetale sono esigui e la determinazione del livello del cono midollare contando le vertebre in ecografia 2D è altamente imprecisa. Nel 2011 Hoopmann e colleghi hanno proposto di misurare la distanza tra l’apice del cono midollare e l’ultimo corpo vertebrale in una sezione sagittale della colonna. Nello studio condotto da questi autori la distanza del cono

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midollare dall’ultimo nucleo di ossificazione distale della colonna è stata messa in relazione con l’età gestazionale e la lunghezza del femore: la distanza del cono midollare cresce in maniera lineare al crescere della lunghezza del femore e la distanza del cono midollare attesa può essere calcolata sottraendo 8.2 alla lunghezza del femore espressa in mm. Su 254 casi esaminati da questi autori, 5 erano delle disrafie spinali chiuse con midollo ancorato, come è stato dimostrato dopo la nascita. In questi cinque casi la distanza del cono midollare in base alla lunghezza del femore fetale risultava ben al di sotto del 5° percentile (15).

La Sindrome del Midollo Ancorato è la principale causa di disabilità nei pazienti affetti da disrafia spinale chiusa. Il midollo spinale, le radici nervose e i vasi che irrorano il midollo risultano stirati in basso e distorti dalla massa a cui sono ancorati. I danni neurologici di questa sindrome sono ingravescenti e diventano irreversibili se non si interviene tempestivamente con un intervento chirurgico. I bambini affetti possono presentare deficit sensitivi e motori agli arti inferiori, deformità degli arti inferiori, scoliosi, incontinenza urinaria e alterata funzione intestinale. In genere questi sintomi si sviluppano nel primo anno di vita, ma occasionalmente possono già essere presenti alla nascita. La dimostrazione in epoca prenatale di deformità degli arti inferiori è un ulteriore elemento di sospetto per la sindrome del midollo ancorato. Il riconoscimento in epoca prenatale della sindrome del midollo ancorato consente di identificare quei bambini affetti da disrafia spinale chiusa che avranno necessità di correzione chirurgica (1-15).

Quando si esamina un feto con sospetto di lipomielomeningocele o lipomielocele è fondamentale dimostrare la presenza del sacro poiché il “lipoma con difetto della dura madre” può anche essere contestuale a una Sindrome da Regressione Caudale che ne cambierebbe radicalmente la prognosi (16).

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Il mielocistocele terminale costituisce approssimativamente dal 3.5 al 7% delle disrafie spinali coperte da cute con massa localizzata nella regione lombosacrale della colonna. È più raro del lipoma con difetto della dura madre e del meningocele da cui si differenzia anche per l’origine embriologica. Il cono midollare e il filum terminale si formano mediante il processo di neurulazione secondaria a partire da una corda compatta di cellule che si trasforma in un tubo cavo. In corrispondenza del cono midollare il canale centrale del midollo spinale può presentare una dilatazione fusiforme che prende il nome di ventricolo terminale. Dal 48° giorno di gravidanza, la parte del tubo neurale distale al ventricolo terminale va incontro ad atrofia il cui esito è la formazione del filum terminale. Sebbene l’esatto meccanismo con cui si forma il mielocistocele terminale non sia noto, è molto probabile che esso derivi da un’anomalia che interviene durante il processo di neurulazione secondaria e successiva atrofia dell’estremo caudale del tubo neurale. È stato ipotizzato che un ostacolo al deflusso di liquor cefalo-rachidiano possa determinare un’eccessiva espansione del ventricolo terminale con formazione di una cisti che distrugge il tessuto mesenchimale circostante, da cui si svilupperanno gli archi vertebrali, ma non del sovrastante ectoderma da cui si svilupperà la cute. L’esito è una cisti ependimale, che ernia attraverso una spina bifida, circondata da un meningocele che comunica con lo spazio sub aracnoideo (1).

L’aspetto ecografico più suggestivo per mielocistocele terminale è quello di “cisti nella cisti”. Una cisti a pareti sottili transonica all’interno di una cisti più grande anch’essa transonica a pareti sottili. In associazione con il mielocistocele si può trovare anche un lipoma. È descritta in letteratura la possibilità che il mielocistocele con lipoma associato si presenti come una formazione cistica ad ecogenicità intermedia. Sono anche riportati casi in cui il mielocistocele appare indistinguibile dal meningocele e dal mielomeningocele. In assenza della malformazione di Arnold Chiari la diagnosi differenziale va fatta con il meningocele e il lipomielomeningocele. Il

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mielocistocele terminale pur essendo una forma di disrafia chiusa, in quanto è ricoperto da uno strato sottilissimo di cute, può associarsi ai segni intracranici della malformazione di Arnold Chiari come conseguenza di un’alterata circolazione del liquor cefalo-rachidiano (6;17).

Il caso pubblicato da Kolble e colleghi può essere considerato emblematico. Già a 11 settimane era stata notata la presenza sul dorso del feto di una cisti transonica. A 15 settimane era possibile dimostrare la presenza di una schisi vertebrale a livello lombare attraverso cui erniava una cisti completamente transonica a pareti sottili, il cranio fetale appariva normale e l’AFP era nella norma, per cui venne fatta diagnosi di meningocele e in virtù della prognosi relativamente favorevole i genitori decisero di portare avanti la gravidanza. Tre settimane dopo il feto era cresciuto regolarmente, le dimensioni della cisti erano invariate, ma risultavano evidenti il “lemon sign” e “banana sign”. La misura dell’atrio dei ventricoli laterali era normale. Venne avanzata una diagnosi di sospetto di mielomeningocele e venne richiesta una “second opinion”. A 22 settimane era presente una ventricolomegalia borderline, la cisti era aumentata di volume ed era riconoscibile il sottile collo della cisti che fuoriusciva attraverso la schisi vertebrale. Venne richiesta una RMN fetale che confermò la ventricolomegalia borderline, ma non gli altri segni di malformazione di Arnold Chiari che erano stati descritti a 18 settimane in altro centro. Con la RMN fu possibile vedere il sottile collo della cisti che si continuava all’interno del canale midollare e venne effettuata una diagnosi di sospetto mielocistocele. A questo punto i genitori decisero di interrompere la gravidanza, soprattutto perché persistevano le preoccupazioni relative ai segni intracranici descritti. L’autopsia confermò la diagnosi di mielocistocele terminale (17).

Quando si esamina un feto con sospetto di mielocistocele terminale bisogna cercare attentamente eventuali malformazioni associate poiché esso può essere parte del complesso OEIS (onfalocele, estrofia della vescica, ano

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imperforato e difetto spinale). In presenza di un concomitante onfalocele l’AFP su sangue materno e su liquido amniotico può risultare elevata. Non è eccezionale che il mielocistocele si trovi associato anche ad altre malformazioni che possono interessare i genitali esterni, l’apparato urinario, l’intestino (malrotazione intestinale) e le estremità (piede torto). Il mielocistocele isolato ha in genere una prognosi migliore rispetto ai difetti del tubo neurale aperti e i sintomi dipendono essenzialmente dalla comparsa della Sindrome del Midollo Ancorato. Nelle forme associate ad altre malformazioni la prognosi è pesantemente condizionata dalla malformazione associata. È anche descritta la presenza di mielocistocele contestuale a una Sindrome da Regressione Caudale (1;6;16).

In presenza di una massa nella regione lombo-sacrale in un feto con cranio normale, la principale diagnosi differenziale è tra le varie forme enunciate di disrafismi spinali chiusi e il teratoma sacro-coccigeo (1).

Il teratoma sacro-coccigeo è il tumore congenito più frequente; ha un’incidenza di circa 1 caso su 40000 nati vivi. Durante la gravidanza comporta un rischio di scompenso cardiaco fetale ad alta gittata per la neovascolarizzazione che spesso presenta numerosi shunt artero-venosi. Dopo la nascita l’intervento chirurgico di asportazione della massa risulta in genere risolutivo, per cui l’aspettativa di vita dei bambini che ne sono affetti, dopo l’intervento è sovrapponibile a quella della popolazione generale. Il teratoma sacro-coccigeo si sviluppa nella parte anteriore dell’area sacro coccigea e cresce sia verso l’esterno sia verso l’interno della cavità pelvica. Il teratoma sacro-coccigeo tipo 1 (secondo la classificazione dell’American Academy of Pediatrics) ha una minima componente presacrale e ha uno sviluppo quasi completamente esofitico nella regione podalica del feto. La maggior parte dei teratomi sacro-coccigei si presenta come massa solida o solido-cistica, mentre circa il 10-15% è una massa completamente cistica. Può quindi accadere che un teratoma sacro-coccigeo tipo 1 si presenti

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ecograficamente come una massa cistica in rapporto con il sacro e questo può far sorgere il sospetto che possa trattarsi di una disrafia spinale. In questi casi, però, l’esame della colonna vertebrale in sezione trasversale consente di visualizzare ciascuna vertebra e l’integrità degli archi vertebrali posteriori. Con il Color Doppler è possibile dimostrare la presenza di vascolarizzazione nella parete della cisti e la tecnica del Color Doppler tridimensionale può consentire, come riportato in alcuni casi in letteratura, di visualizzare l’arteria che nutre la massa a partire dalla sua origine come ramo dell’arteria sacrale mediana. In presenza di questi segni la diagnosi di disrafia spinale può essere esclusa e può essere posta correttamente la diagnosi di teratoma sacro-coccigeo (18).

I casi di disrafia spinale chiusa con massa sottocutanea localizzata a livello cervicale sono molto rari. In letteratura sono descritti alcuni casi di mielocistocele e mielomeningocele cervicale, ma nel nostro centro non ne abbiamo incontrato nessuno (1).

2.4.2 Segni ecografici di disrafismi spinali chiusi senza massa sottocutanea

Le disrafie spinali chiuse senza massa sottocutanea costituiscono un gruppo di malformazioni molto eterogeneo, perciò appare opportuno suddividerle in due grandi gruppi: forme disrafiche semplici e forme complesse (1).

Le forme disrafiche semplici includono la spina bifida chiusa con schisi vertebrale isolata, il lipoma intradurale, il lipoma del filum terminale, il filum terminale ipertrofico e la persistenza del ventricolo terminale detto anche “quinto ventricolo”. In questi casi il cranio fetale è normale e non è presente la “cisti sul dorso del feto”, per cui l’unica possibilità per porre una diagnosi

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ecografica corretta è la dimostrazione diretta del difetto vertebrale ed eventualmente, come suggerito da Hoopmann, valutare la distanza tra l’apice del cono midollare e l’ultimo nucleo di ossificazione della colonna vertebrale in sezione sagittale per dimostrare la presenza di “midollo ancorato” (1;15). La prognosi di queste forme disrafiche semplici è in genere ottima. La presenza di sintomi, che di solito compaiono tardivamente, è da attribuire alla sindrome del midollo ancorato che può essere presente. Molte di queste forme sfuggono alla diagnosi prenatale e spesso vengono diagnosticate nei bambini più grandi o addirittura nell’età adulta (1).

Nell’ambito delle forme complesse di disrafie spinali chiuse è stato scelto di dare rilevanza alla Sindrome da Regressione Caudale sia per la gravità della prognosi postnatale sia per la frequenza con la quale la sindrome viene riscontrata nelle categorie a rischio (19).

La Sindrome da Regressione Caudale è un complesso quadro malformativo che interessa in varia misura la parte inferiore del corpo ed è caratterizzata da agenesia del sacro e deformità degli arti inferiori. Nella forma più grave la colonna può interrompersi a livello medio-toracico per agenesia del tratto distale della colonna toracica, di tutta la colonna lombare e del sacro. I metameri spinali corrispondenti sono anch’essi assenti. Nel 20% dei casi è presente anche un difetto di chiusura del tubo neurale: lipomielomeningocele e mielocistocele terminale. La colonna può essere scoliotica. Gli arti inferiori sono ipoplasici e il podice risulta iposviluppato rispetto alla parte craniale del feto e agli arti superiori. Spesso gli arti inferiori sono fissi in una posizione con le cosce e le gambe flesse e divaricate che ricorda l’atteggiamento degli arti posteriori della rana (“frog like position”). Altre volte è possibile che gli arti inferiori siano fissi in una posizione con le cosce flesse e le gambe estese. In ogni caso, prolungando l’osservazione ecografica si può notare l’ipomobilità degli arti inferiori. Molto frequente è l’associazione con malformazioni viscerali che più spesso interessano i genitali esterni, le vie

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urinarie, l’apparato gastrointestinale e il cuore. Molto frequente è la presenza di ano imperforato (19;20).

L’agenesia del sacro può essere parte di sindromi polimalformative: sindrome OEIS (onfalocele, estrofia della vescica, ano imperforato e malformazione della colonna vertebrale), sindrome VACTREL (anomalie vertebrali, ano imperforato, fistola tracheo-esofagea, malformazione renale e deformità degli arti inferiori) e triade di Currarino (parziale agenesia del sacro, malformazione anorettale e teratoma sacrococcigeo) (21).

L’origine embriologica della Sindrome da Regressione Caudale non è nota con certezza, ma molto probabilmente deriva da un difetto nella fase di gastrulazione associato ad un difetto della neurulazione primaria e secondaria. L’incidenza della sindrome nella popolazione generale è bassa, ma nelle pazienti affette da diabete mellito pregravidico il rischio che il feto ne sia affetto è aumento di circa 200 volte e l’incidenza varia a seconda delle casisitiche esaminate dallo 0.3 all’1%. Il principale fattore di rischio è un livello elevato di emoglobina glicata ad inizio gravidanza, che è espressione di insoddisfacente controllo glicometabolico nel periodo periconcezionale. Valori normali di emoglobina glicata sono compresi tra 4 e 6%. Nelle pazienti diabetiche a cui si riscontra una Sindrome da Regressione Caudale fetale spesso si trovano valori di emoglobina glicata superiori al 10%. È tuttavia doveroso ricordare che solo il 16% dei bambini affetti da Sindrome da Regressione Caudale è partorito da madre diabetica, per cui la maggior parte

dei casi si verifica in gravidanze non considerate a rischio (1;19).

La prognosi della Sindrome da Regressione Caudale è grave. I bambini che ne sono affetti presentano in genere un normale sviluppo intellettivo, ma variabili e gravi deficit motori e problematiche legate alle malformazioni viscerali presenti che possono richiedere interventi chirurgici reiterati e possono causare il decesso del paziente (1;19).

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La diagnosi ecografica consiste nella dimostrazione dell’assenza del sacro. In sezione sagittale della colonna vertebrale è possibile notare l’assenza della “coda d’anatra”, la colonna si interrompe bruscamente a livello toracico o lombare. In sezione trasversale non è riconoscibile il sacro tra le ali iliache che possono risultare in parte fuse tra loro. L’ecografia tridimensionale può agevolare lo studio del tratto distale della colonna e risulta utile per confermare il sospetto di Sindrome da Regressione Caudale quando è presente un’agenesia isolata del sacro. La lunghezza del femore è spesso inferiore alla misura attesa per epoca gestazionale e gli arti inferiori appaiono ipomobili. Può essere presente piede torto. Il cranio fetale è normale. Il liquido amniotico generalmente è normale. All’ecografia del I trimestre spesso il CRL è inferiore al valore atteso per l’amenorrea, per cui la maggior parte di queste gravidanze viene ridatata su base ecografica (19-21). È possibile una diagnosi precoce a partire dalla 16-17° settimana di gravidanza quando i nuclei di ossificazione della prima e della seconda vertebra sacrale sono presenti nella quasi totalità dei feti normali. La mineralizzazione della colonna vertebrale fetale procede gradualmente nel corso della gravidanza. L’ossificazione dei corpi vertebrali inizia a livello medio toracico e procede più velocemente in direzione craniale e più lentamente in direzione caudale, mentre l’ossificazione degli archi vertebrali procede in direzione cranio caudale a partire dalle prime vertebre cervicali. I tempi in cui si realizza l’ossificazione della colonna vertebrale descritti in embriologia sono differenti rispetto a quelli osservati con l’ecografia ostetrica. Sembra che da un punto di vista istologico la mineralizzazione della colonna vertebrale fetale avvenga ad epoche gestazionali più precoci rispetto a quanto è possibile osservare con l’ecografia. Da uno studio effettuato da De Biaso e colleghi emerge che a 15 settimane la prima vertebra sacrale (S1) è visibile ecograficamente nella totalità dei feti, mentre S2 è visualizzabile nel 71% dei casi. A 17 settimane, S2 si visualizza nella totalità dei feti. Il nucleo di ossificazione di S3 è visibile nel 45% dei feti a partire dalla 16° settimana di gravidanza e a 20 settimana

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S3 dovrebbe essere riconoscibile in tutti i feti. Queste osservazioni possono risultare interessanti soprattutto per le donne diabetiche nelle quali la diagnosi di Sindrome da Regressione Caudale può essere anticipata alla 16-17° settimana di gravidanza, quando i nuclei di ossificazione della I e II vertebra sacrale dovrebbero già essere presenti (23).

In letteratura è riportato un unico caso di diagnosi di Sindrome da Regressione Caudale effettuata a 14 sett di amenorrea. Si trattava di un caso grave e raro di agenesia lombo-sacrale in una donna affetta da diabete mellito tipo I, con un valore di emoglobina glicata a 6 settimane di amenorrea di 13.5%. A 14 settimane, dalla lunghezza vertice-sacro (crown-rump length CRL) del feto, misurata con ecografia bidimensionale in sezione sagittale, risultava una discrepanza di circa due settimane tra l’epoca mestruale e l’età gestazionale. Durante l’esame gli autori avevano notato una scarsa motilità degli arti inferiori che erano fissi in una posizione detta “frog-like”. L’atteggiamento degli arti inferiori e la ridotta lunghezza del CRL in una gravidanza considerata ad alto rischio per Sindrome da Regressione Caudale hanno indotto gli autori ad approfondire l’esame con una valutazione tridimensionale della colonna fetale. La ricostruzione tridimensionale ha consentito di ottenere una visione antero-posteriore della colonna grazie alla quale gli autori hanno potuto notare l’assenza di vertebre al di sotto di quella su cui si inseriva l’ultimo paio di coste. Il sospetto diagnostico è stato confermato da due ulteriori esami ecografici eseguiti a 15 e 21 settimane di gravidanza. La diagnosi ecografica è stata confermata dall’esame del feto dopo l’interruzione di gravidanza (22).

(27)

2.5

Ruolo dell’ecografia tridimensionale nello studio

dei disrafismi spinali

La tecnica dell’ecografia tridimensionale consente una visione eccellente della colonna vertebrale, tanto che l’American Institute of Ultrasound in Medicine annovera lo studio delle malformazioni vertebrali tra le indicazioni all’ecografia 3D in ostetricia. In particolare rispetto alla valutazione in ecografia bidimensionale la tecnica 3D consente una più accurata determinazione del livello della lesione vertebrale e della sua estensione. Secondo i dati riportati da Bruner e colleghi, anche in mani esperte, l’ecografia bidimensionale riesce a prevedere il livello della lesione, con perfetta corrispondenza con il livello accertato in epoca postnatale mediante radiografia, solo nel 38% dei casi. Nel 78% dei casi il livello della lesione vertebrale determinata ecograficamente corrisponde al livello determinato dopo la nascita ± 1 vertebra e nel 96% dei casi ± 2 vertebre. Questi risultati sono sovrapponibili a quelli precedentemente ottenuti da Kollias e colleghi. La RMN fetale che appare molto utile nel completare la valutazione della malformazione intracranica eventualmente associata alla lesione spinale, non sembra possa essere di aiuto per la definizione del livello e dell’estensione della lesione vertebrale (24-26).

Mediante ecografia tridimensionale è possibile ottenere

contemporaneamente la ricostruzione dell’immagine in 3D e le immagini planari che corrispondono ai piani longitudinale, trasversale e coronale. Spostando il cursore in senso cranio caudale lungo l’immagine della colonna in sezione sagittale è possibile esaminare ciascuna vertebra che verrà contemporaneamente rappresentata anche sul piano trasversale e coronale. Un cursore che si sposta consensualmente sulla raffigurazione della colonna in 3D indica il livello vertebrale che stiamo esaminando. Sulla ricostruzione tridimensionale della colonna è possibile contare le vertebre a partire da

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alcuni punti di repere noti e stabilire così quali sono le vertebre che presentano la schisi degli archi posteriori. La maggior parte degli autori conta le vertebre a partire dalla dodicesima vertebra toracica, che è la vertebra su cui si inserisce l’ultimo paio di coste, sebbene vada tenuto presente che il 6% dei feti ha un numero anomalo di coste. In alternativa alcuni autori propongono di contare le vertebre a partire da L5, che nel secondo trimestre di gravidanza è a livello del limite superiore del nucleo di ossificazione della cresta iliaca. Mentre nell’adulto il bordo della cresta iliaca è all’altezza di L4, nel feto esso è vicino a L5 o in alcuni feti a S1. Un’altra possibilità è iniziare a contare le vertebre da quella più distale. Nel secondo trimestre l’ultimo nucleo di ossificazione visualizzabile ecograficamente è S3 e nel terzo trimestre è S4, con possibili variazioni individuali. La determinazione del livello della lesione vertebrale con ecografia tridimensionale rispetto all’ecografia bidimensionale è più agevole ed è possibile nella quasi totalità dei feti, inoltre risulta più attendibile in quanto si approssima maggiormente al livello anatomico della lesione. Il livello della lesione è un elemento prognostico fondamentale nelle disrafie spinali aperte: oltre il 50% dei pazienti con spina bifida aperta a livello di L3 e al di sopra di esso non è in grado di deambulare (Biggio 2001). Per lesioni più distali prevalgono i sintomi correlati al mancato controllo sfinteriale. La maggior parte delle disrafie spinali chiuse è localizzata a livello lombosacrale e si associa a deficit di grado variabile del controllo sfinteriale, mentre le eventuali disabilità motorie correlate sono in genere la conseguenza della Sindrome del Midollo Ancorato e sarebbero, quindi, meglio prognosticate mediante la misurazione della distanza del cono midollare dall’ultimo nucleo di ossificazione vertebrale, come proposto da Hoopmann (24;25;27;28).

L’ecografia tridimensionale, offrendo una visione della colonna vertebrale nell’insieme, consente di valutare la presenza di eventuale anomala curvatura della colonna. Allo stesso modo la rappresentazione in 3D degli arti consente di studiare i rapporti tra ossa lunghe ed estremità. Ruotando l’immagine

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lungo l’asse longitudinale della gamba è possibile ottenere la proiezione più favorevole per dimostrare la presenza di un piede torto (24;25).

Nella diagnosi di disrafie spinali chiuse il maggior contributo dell’ecografia tridimensionale è la possibilità di ottenere immagini adeguate in sezione sagittale, trasversale e coronale anche quando la lesione è localizzata nella porzione più distale della colonna e il feto non è in posizione favorevole. Studiare l’ultimo tratto della colonna di un feto in presentazione podalica in una donna obesa può risultare impossibile se si utilizza la metodica bidimensionale transaddominale. Con l’ecografia transvaginale è possibile ottenere una visualizzazione della colonna distale, ma i limitati movimenti della sonda non consentono di ottenere i piani di scansione utili a porre una diagnosi di difetto vertebrale. Acquisendo un volume della colonna è, invece, possibile rielaborare le immagini: ruotarle intorno ai tre assi del volume e traslarle fino ad ottenere la proiezione desiderata (24;25).

(30)

3.

MATERIALI E METODI

In questo lavoro sono stati esaminati e descritti cinque casi di disrafismi spinali rari diagnosticati, nell’ultimo decennio, presso il Centro di Ecografia di II livello della Clinica Ostetrica dell’Università di Pisa:

• mielocistocele “aperto”

• Sindrome da Regressione Caudale

• lipomielomeningocele nel contesto di Sindrome da Regressione Caudale

• iniencefalia e Malformazione di Chiari III.

Di ciascuno di essi sono state riportate e commentate le immagini ecografiche che hanno consentito di formulare la diagnosi o il sospetto di disrafia spinale. I casi di Mielocistocele, Sindrome da Regressione Caudale e Malformazione di Chiari III sono stati esaminati mediante ecografo Technos Esaote; per i casi di lipomielomeningocele e iniencefalia è stato utilizzato un Voluson E8 Expert dotato della funzione 3D.

Le immagini ecografiche sono state confrontate con quelle ottenute mediante la RMN fetale che è stata eseguita a completamento o conferma della diagnosi ecografica.

In quattro dei cinque casi descritti le pazienti hanno scelto di interrompere la gravidanza ed è stata eseguita l’autopsia del feto. L’accuratezza della diagnosi prenatale è stata, quindi, verificata mediante il confronto con la diagnosi autoptica o con i risultati di esami di imaging eseguiti in epoca postnatale.

Per ciascuna delle malformazioni descritte è stata effettuata una revisione della letteratura, allo scopo di indagare potenzialità e limiti dell’ecografia

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ostetrica nei confronti di disrafismi spinali meno comuni della forma classica di “spina bifida aperta”.

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4.

CASI CLINICI

Caso n.1:

Mielocistocele

La paziente era stata inviata presso il nostro centro per eseguire un’ecografia di II livello a seguito del riscontro di elevati valori di AFP su sangue materno (pari a 3.00 MoM) a 17 settimane di amenorrea. La determinazione dei livelli di AFP su sangue materno veniva offerta gratuitamente a tutte le gravide come screening per la spina bifida aperta. Dall’anamnesi della paziente non emergevano fattori di rischio per disrafismi spinali né altre malformazioni congenite. La paziente, una primigravida di 19 anni, al momento dell’esame era normopeso, in apparente buona salute, non era diabetica e non aveva assunto farmaci nel periodo preconcezionale. L’anamnesi familiare era negativa per disrafismi spinali. Non c’era consanguineità tra lei ed il partner. Durante la gravidanza aveva eseguito l’ecografia del primo trimestre che era risultata nella norma: l’epoca di amenorrea concordava con la datazione effettuata mediante la misura del CRL ed il test combinato per lo screening della Sindrome di Down era risultato negativo.

L’ecografia di secondo livello venne eseguita a 20 settimane di amenorrea. La biometria fetale risultava normale. La forma del cranio e le strutture endocraniche esaminate erano nella norma (ampiezza del trigono del ventricolo cerebrale laterale: 6 mm, diametro cerebellare trasverso: 19 mm) (fig.1). Mancavano, quindi, i segni intracranici di disrafismi spinali aperti. Durante l’esame della colonna vertebrale in sezione sagittale era possibile vedere, sul dorso del feto in regione lombosacrale, una formazione cistica transonica di mm 55x48 contenente al suo interno un’altra formazione cistica transonica con parete sottile di mm 19x18. In sezione trasversale era anche possibile apprezzare il sottile collo della cisti che fuoriusciva attraverso un piccolo difetto vertebrale posteriore (fig.2). Gli arti inferiori del feto durante

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un periodo di osservazione di circa mezz’ora erano rimasti fissi in estensione, ipomobili, con ginocchio valgo e piede torto varo supinato (Fig.3). Il resto dell’esame morfologico non aveva messo in evidenza altri segni di malformazioni associate. I segni ecografici identificati conducevano, quindi, ad una diagnosi di mielocistocele isolato, mentre gli elevati valori di AFP su sangue materno erano fortemente sospetti per un disrafismo spinale aperto.

Il giorno seguente venne eseguita anche un RMN fetale che confermò l’assenza di segni di malformazione intracranica e la presenza di un voluminoso mielocistocele che sembrava fuoriuscire attraverso una soluzione di continuo della cute (Fig.2).

La paziente scelse di interrompere la gravidanza e l’autopsia confermò la diagnosi di difetto di chiusura del tubo neurale a livello lombare con difetto di chiusura della cute sovrastante attraverso cui fuoriusciva un voluminoso mielomeningocistocele (Fig.2;3).

Caso n.2

: Sindrome da Regressione Caudale

Una terzigravida di 38 anni affetta da Diabete Mellito tipo II era stata inviata presso il nostro centro per eseguire ecografia morfologica di secondo livello in quanto l’attuale gravidanza era ritenuta ad alto rischio malformativo fetale per diabete materno scompensato.

La paziente aveva assunto antidiabetici orali fino all’esecuzione del test di gravidanza che era risultato positivo a 4 settimane di amenorrea, da quel momento la terapia orale era stata sostituita con insulina. L’emoglobina glicata a sei settimane di amenorrea era 11.9%. Durante la gravidanza la paziente si era sottoposta ad ecografia del primo trimestre da cui risultava concordanza tra l’epoca di amenorrea e la datazione effettuata mediante la

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misura del CRL, mentre aveva scelto di non effettuare né lo screening con test combinato per trisomia 21 né l’amniocentesi. L’AFP su sangue materno dosata a 17 settimane era risultata nella norma.

L’esame morfologico fetale venne eseguito a 20 settimane di amenorrea. In quel momento la paziente pesava 85 Kg e assumeva una dose giornaliera di 46 UI di insulina. L’esame ecografico risultò estremamente difficoltoso per la scarsa trasmissibilità agli ultrasuoni dei tessuti materni. Fu possibile ottenere la biometria del feto che risultava regolare, l’ecoanatomia del cranio che appariva normale, vennero visualizzate le quattro camere cardiache e gli assi lunghi, ma non fu possibile visualizzare la faccia e la colonna vertebrale fetale, per cui l’esame venne considerato non soddisfacente e venne pertanto ripetuto 3 settimane dopo. Questa volta, grazie ad una posizione fetale più favorevole fu possibile studiare la colonna vertebrale. In sezione sagittale era possibile notare una brusca interruzione della colonna a livello delle prime vertebre lombari (Fig.4).

Due giorni dopo venne eseguita la RMN fetale che confermò il sospetto di agenesia dell’ultimo tratto del rachide lombare e del sacro. Con la RMN fu anche possibile visualizzare l’interruzione del midollo spinale a livello del tratto dorsale inferiore. La paziente scelse di interrompere la gravidanza e l’autopsia confermò la diagnosi di Sindrome da Regressione Caudale con agenesia del tratto distale della colonna lombare e del sacro. Gli arti inferiori del feto apparivano ipoplasici (Fig.4).

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Caso n.3:

Sindrome da Regressione Caudale con

lipomielomeningocele

Una terzigravida di 31 anni, con 2 precedenti figli sani, venne inviata alla nostra attenzione per eseguire un’ecografia di secondo livello a 33 settimane di amenorrea, per una sospetta malformazione della colonna distale rilevata occasionalmente durante l’esecuzione dell’ecografia di accrescimento. L’ecografia del primo trimestre e l’esame morfologico del secondo trimestre erano risultati nella norma. Dall’anamnesi non emergeva nessun fattore di rischio per disrafismi spinali.

All’ecografia di secondo livello risultava una biometria fetale regolare per l’estremo cefalico, ai limiti bassi della norma per addome e femore. Il liquido amniotico era nella norma. L’ecoanatomia dell’estremo cefalico era regolare: il trigono del ventricolo laterale misurava mm 7, il cervelletto era morfologicamente normale con diametro trasverso di mm 43 (Fig.5). All’esame della colonna vertebrale non era possibile visualizzare il sacro e a livello lombare non si osservava il corretto allineamento dei corpi vertebrali. Lateralmente alla colonna all’altezza delle creste iliache, si osservava una formazione cistica transonica bilobata con pareti ecogene e spesse (Fig.5). I segni ecografici facevano propendere per una diagnosi di Sindrome da Regressione Caudale con agenesia del sacro e disrafia spinale chiusa a livello lombare. Le caratteristiche della massa sottocutanea erano suggestive per lipomielomeningocele. Non risultavano evidenti altre malformazioni associate. Si segnalava una prominenza delle sezioni destre del cuore (ventricolo, atrio ed emergenza della polmonare) rispetto alle sinistre. Non erano presenti segni di idrope fetale.

Due giorni dopo venne eseguita RMN fetale che metteva in evidenza i seguenti reperti: estremo dismorfismo della regione lombo-sacrale che non

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risultava in asse. La porzione dorsale inferiore e lombare del canale rachideo appariva slargata. Nel tratto lombare era visibile la schisi posteriore attraverso la quale fuoriusciva una formazione cistica con presenza al suo interno del filum terminale che appariva quindi ancorato al difetto spinale. La massa cistica sottocutanea appariva circondata da abbondante tessuto adiposo e si sviluppava prevalentemente in maniera asimmetrica verso una natica del feto (Fig.6). Con la RMN fu anche possibile segnalare la presenza di immagini suggestive per dilatazione di alcune anse intestinali e in particolare del tratto sigma rettale sospetto per ano imperforato. La diagnosi ottenuta con la RMN confermava la diagnosi ecografica di lipomielomeningocele nel contesto di una probabile Sindrome da Regressione Caudale.

Venne anche eseguita un’ecocardiografia fetale che confermò la lieve prevalenza delle sezioni destre con ampio dotto (non significato specifico) e seno coronarico dilatato come da persistenza della vena cava sinistra, reperto non grave, da ricontrollare dopo la nascita.

Il parto avvenne in Albania, dove la neonata venne sottoposta a colostomia per ano imperforato. All’esame ispettivo della neonata la colonna appariva deviata lateralmente e al di sopra della natica destra era presente un voluminoso lipoma. L’arto inferiore destro era ipotrofico, ma entrambi gli arti avevano una discreta motilità (Fig.7). La RMN eseguita dopo la nascita confermò la diagnosi prenatale di S. da Regressione Caudale con spina bifida occulta e midollo ancorato, per cui la bambina venne sottoposta ad intervento correttivo per lipomielomeningocele.

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Caso n.4:

Iniencefalia con disrafia cervicale chiusa

La paziente, una secondigravida di 42 anni, era stata inviata presso il nostro centro per eseguire un’ecografia di secondo livello a seguito del riscontro, in una precedente ecografia eseguita a 15 settimane di amenorrea, di un’anomala posizione del capo, mancata visualizzazione del collo e probabili piedi torti bilaterali.

Precedentemente l’ecografia standard del primo trimestre era risultata nella norma e l’esame del cariotipo fetale su villi coriali aveva dato come risultato: 46 XY normale. A 15 settimane di amenorrea la paziente si era sottoposta ad un’ecografia office a seguito di un episodio lipotimico e l’ecografista era stato insospettito dall’anomalo atteggiamento della testa fetale e dei piedi per cui aveva indirizzato la donna presso il nostro centro per eseguire un esame morfologico precoce.

Quando la paziente giunse alla nostra attenzione era alla 16° settimana di amenorrea. Dall’anamnesi familiare e personale non emergevano fattori di rischio per disrafismi spinali. L’ecografia di II livello confermò la marcata iperestensione della testa fetale con l’occipite a contatto con le spalle del feto (Fig.8). Per tutta la durata dell’esame la testa appariva fissa in quella posizione che ostacolava la visualizzazione del rachide cervicale. Il resto della colonna sembrava normale, sebbene si avesse l’impressione di una maggiore rigidità di tutto il rachide con scomparsa della fisiologica lordosi lombare (Fig.8). La biometria fetale era regolare, il cranio appariva normale (diametro trasverso del cervelletto: 15 mm, trigono del ventricolo cerebrale laterale: 7 mm) e il liquido amniotico normorappresentato. Il sospetto di piede torto bilaterale venne confermato (Fig.9). Per completare lo studio del rachide fetale venne eseguita un’ecografia tridimensionale con modalità di acquisizione del volume specifica per lo scheletro (skeletal mode). Mediante

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