• Non ci sono risultati.

Effetti della somministrazione di fiori di Bach sul comportamento del cane in canile

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Effetti della somministrazione di fiori di Bach sul comportamento del cane in canile"

Copied!
101
0
0

Testo completo

(1)

Questa ricerca ha ottenuto il premio per la realizzazione di Tesi di Laurea

in Fisiologia Veterinaria a ricordo del Prof. Dino Spisni, Professore

Emerito della Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Pisa “per

intensa e feconda carriera accademica e per autorevoli contributi offerti

al progresso della ricerca medica”, istituito dal Lions Club di Pisa.

(2)

“vi sono più cose in cielo e terra, Orazio, di quante

se ne sognano nella vostra filosofia”

Amleto, atto I, scena V.

(3)

INDICE

1

RIASSUNTO...pag. 1.

2

CAPITOLO 1: INTRODUZIONE...pag . 2.

2.1 Il cane domestico, origine della specie...pag. 3.

2.2 Gli effetti della domesticazione sul Canis familiaris...pag. 4.

2.3 Dal cucciolo all’adulto: sviluppo cognitivo, comportamentale

e sociale del cane domestico...pag. 7.

2.4 Comunicazione canina...pag. 13.

2.5 Welfare, stress, suffering...pag. 17.

2.6 Randagismo e abbandoni: la situazione dei canili in Italia...pag. 21.

2.7 Motivi del conferimento del cane in canile...pag. 22.

2.8 L’arrivo del cane in canile...pag. 23.

2.9 La permanenza del cane in canile: risvolti fisiologici

e comportamentali...pag. 24.

2.10 L’arricchimento ambientale...pag. 26.

2.11 La floriterapia di Bach...pag. 28.

2.12

I rimedi floreali di Bach...pag. 30.

2.13

L’uso di BFR nel trattamento degli animali...pag. 32.

2.14 La floriterapia in canile...pag. 34.

2.15 Scopo della tesi...pag. 35.

CAPITOLO 2: MATERIALI, METODI E SOGGETTI...pag. 37.

2.1 Luogo...pag. 38.

2.2 Animali...pag. 38.

2.3 Somministrazione della miscela di fiori di Bach...pag. 41.

2.4 Ripresa filmata...pag. 42.

2.5 Parametri fisiologici...pag. 43.

2.6 Valutazione dei filmati...pag. 44.

2.7 Analisi dati...pag. 49.

CAPITOLO 3: RISULTATI...pag. 55.

3.1 Parametri fisiologici...pag. 56

3.2 Analisi multivariate...pag. 57.

3.3 Analisi univariate...pag. 59.

CAPITOLO 4: DISCUSSIONE...pag. 67.

4.1 Analisi multivariate...pag. 68.

4.2 Analisi univariate...pag. 72.

CAPITOLO 5: CONCLUSIONI...pag. 77.

BIBLIOGRAFIA...pag. 81.

APPENDICE...pag. I-V.

(4)

RIASSUNTO

PAROLE CHIAVE: benessere, cane, canile, comportamento, fiori di Bach.

La permanenza del cane in canile è caratterizzata dal progressivo instaurarsi di comportamenti anomali, soprattutto ripetitivi (quali le stereotipie e le attività di sostituzione), indicanti un crescente stato di frustrazione e di insicurezza indotti dal contesto di restrizione sociale e spaziale. Queste circostanze possono causare un impoverimento del benessere dei cani, che riflette stati emozionali negativi.

Lo scopo del presente lavoro è stato quello di valutare quantitativamente l’effetto del trattamento con una miscela di fiori di Bach sul comportamento spontaneo di cani la cui permanenza nel canile era superiore a 50 giorni.

Il campione oggetto dello studio era costituito da 27 cani (21 trattati e 6 cani di controllo). Sono state effettuate tre riprese filmate della durata di 10 minuti e tre prelievi ematici con cadenza settimanale. Immediatamente dopo la prima osservazione è stato intrapreso il trattamento. L’analisi dei filmati è stata realizzata in cieco e si è svolta sulla base di un etogramma realizzato grazie alla letteratura scientifica disponibile.

Le analisi statistiche dei dati multivariati, effettuata con test npMANOVA a due vie a misure ripetute (p<0,05) e SIMPER, e successivamente dei dati univariati, hanno rivelato un effetto complessivo della miscela di fiori di Bach nel ridurre la frequenza di comportamenti rigidi e stereotipati nei cani trattati, in contrasto con quanto si verifica nell’andamento comportamentale che caratterizza il gruppo di controllo.

Il presente studio rappresenta il primo tentativo di valutazione quantitativa dell’effetto dei fiori di Bach sul comportamento della specie canina. I risultati suggeriscono una collocazione di questo approccio terapeutico nel contesto di interventi di arricchimento ambientale, sociale e cognitivo che stanno progressivamente affermandosi nel campo del benessere animale.

SUMMARY

KEYWORDS: Bach flower, behaviour, dog, shelter, welfare

The stay of a dog in a shelter is characterized by the progressive establishment of abnormal behaviours, especially repetitive ones (such as stereotypies and displacement activities), indicating a growing state of frustration and insecurity caused by the social and spatial restriction. These circumstances can cause an impoverishment of the dogs welfare, that reflects negative emotional states.

The aim of the current research was to quantitatively assess the effect of the treatment with a Bach Flower Mixture on the spontaneous behaviour of dogs whose stay in the shelter was superior than 50 days.

The sample was formed by 27 dogs (21 for the experimental group and 6 for the control group). The evaluation was carried out by using three videos of 10 minutes each and three blood samples executed weekly. Immediately after the first observation, the treatment was started. The analysis of videos was in blind and based on an ethogram realized thanks to the available scientific literature.The statistical analyses of the multivariate data, carried out by using the npMANOVA two-ways for repeated measures test and SIMPER, and the following analyses of the univariate data, revealed an overall effect of the Bach Flower Mixture in reducing the frequency of rigid and stereotypic behaviours of treated dogs, in contrast with the behavioural trend of the control group.

The current study represents the first attempt of quantitatively assessing the effect of Bach Flower on the behaviour of the canine species. Results suggest the placement of this therapeutic

(5)

CAPITOLO 1

(6)

1.1 IL CANE DOMESTICO, ORIGINE DELLA SPECIE.

Il cane (Canis familiaris) è un mammifero appartenente ai Carnivori, famiglia dei Canidi, genere Canis; quest’ultimo comprende altre 8 specie (il lupo grigio, il lupo rosso, lo sciacallo dorato, lo sciacallo dalla gualdrappa, lo sciacallo grigio, lo sciacallo striato, il coyote ed il caberù).

Le sue origini sono state per lungo tempo controverse, a causa della difficoltà incontrata nella classificazione dei reperti fossili rinvenuti nelle varie parti del mondo e per il fatto che questa specie presenta il medesimo numero di cromosomi (2n=78) degli altri appartenenti al genere Canis; tra alcune di queste specie inoltre è stata dimostrata interfecondità (gli accoppiamenti tra specie sono impediti, in condizioni normali, da barriere sessuali di origine psichica). Due sono state le principali ipotesi sull’origine del cane domestico: un’origine singola a partire dal lupo grigio ed un’origine multipla (basata su rilievi comportamentali) a partire dal lupo o dallo sciacallo a seconda delle razze oggi presenti.

Attualmente c’è concordanza fra gli autori nell’individuare come unico antenato del cane il lupo grigio e come area di origine l’est asiatico (Vilà C. et al, 1999; Aclan G.M. et al, 2003; Savolainen P. et al, 2002; Leonard J.A. et al, 2002). Questa ipotesi è supportata da studi di genetica molecolare condotti principalmente sulle sequenze del DNA mitocondriale comuni alle due specie, dai quali è emerso che le differenze nelle sequenze di DNA mitocondriale tra lupo e cane domestico ammontano solamente a circa il 2%.

L’evoluzione del cane domestico non è comunque stata lineare, in quanto si ipotizzano numerosi reincroci con il lupo in tempi ed aree geografiche diverse (Vilà C. et al, 1999). Durante la divergenza evolutiva del cane domestico dal lupo si sono realizzati notevoli cambiamenti morfologici, a carattere ubiquitario, che hanno interessato in particolar modo la regione facciale del cranio, la disposizione e la forma dei denti ed anche la riduzione della taglia degli animali. In particolare i cambiamenti riguardanti il cranio indicano chiaramente una pedomorfosi (mantenimento nell’adulto di caratteri giovanili), riscontrabile anche in altre specie domestiche (Morey D.F., 1992).

(7)

1.2 GLI EFFETTI DELLA DOMESTICAZIONE SUL CANIS

FAMILIARIS

“Tutti gli animali sociali hanno moduli comportamentali che si fondano su normative strutturate. Le regole e i moduli comportamentali sociali facilitano lo sfruttamento completo degli sforzi e delle energie impiegati, diminuiscono il pericolo, favoriscono la coesione e forniscono un sistema di comunicazione” (Overall k., 2001, pp.15).

Secondo Karen L. Overall (2001, p. 18) uno dei motivi che avvicinarono gli esseri umani al lupo fu quello di riconoscere un sistema sociale simile al proprio: l’uomo infatti condivide con i Canidi l’appartenenza a grandi gruppi a carattere familiare, il notevole impegno e la durata delle cure parentali, la possibilità di delegarle ad altri membri del gruppo indipendentemente dal grado di parentela, la notevole capacità comunicativa vocale e non, il ritardo della maturità sociale rispetto alla maturità sessuale; infine il sistema sociale umano assomiglia a quello canino perché basato su una gerarchia dinamica, che si fonda sul concetto di deferenza. Tutti questi aspetti sembrano essere il presupposto per la cooperazione, per il mutualismo altamente interattivo che contraddistingue il rapporto uomo-cane.

La domesticazione del cane ha influenzato lo stile di vita, l’equilibrio fisiologico e la morfologia di questa specie, sottraendo il genoma mitocondriale e probabilmente altre parti del genoma alle naturali forze selettive, creando così una grande diversità di funzioni genetiche, le quali hanno messo a disposizione un materiale “grezzo” a partire dal quale l’uomo ha potuto formare le diverse razze canine (Björnerfeldt S. et al, 2006); allo stato attuale la Federazione Canina Internazionale ne riconosce 350, di cui la maggior parte si è sviluppata negli ultimi 150 anni.

L’uomo quindi, in qualità di selezionatore, ha teso a enfatizzare le caratteristiche neoteniche degli animali domestici, ad esaltarne determinate qualità morfo-funzionali con finalità economiche, culturali ed infine estetiche (Zeuner F.E, 1963). Sono caratteri morfologici neotenici la deposizione di grasso sotto la pelle, l’accorciamento della mascella e l’arricciamento della coda. A seguito di esperimenti recenti di domesticazione effettuati su volpi rosse (Trut L.N., 2001) si sono potute osservare, nell’arco di poche generazioni, modificazioni riguardanti i caratteri comportamentali (minor timore dell’uomo, tendenza a seguirlo), fisiologici (accelerata apertura degli

(8)

occhi e delle risposte agli stimoli uditivi, ritardata risposta alla paura, precocità della sfera ormonale sessuale) e morfologici (ritardata erezione del padiglione auricolare, coda arricciata e modificazioni del cranio e del mantello). Da questi studi emerge un dato significativo: i sistemi genetici neurotrasmettitoriali sono il vero bersaglio della pressione selettiva; la serotonina in particolare ha un ruolo importante nell’inibizione del comportamento aggressivo, nella regolazione della divisione cellulare e dell’attività migratoria del materiale cellulare embrionale.

Questi esperimenti permettono in effetti di ipotizzare quale sia stato il percorso evolutivo del cane e come la base genetica che sottende al suo comportamento abbia subito un’alterazione adattativa in rapporto alle sfide prodotte da un ambiente alterato dall’uomo (Wayne R. e Ostrander E.A., 2007).

La selezione del cane domestico, volta a prolungarne il comportamento giovanile, trova giustificazione nella desiderabilità di questa caratteristica: l’uomo in un certo senso ha “creato il cucciolo domestico ad immagine di un infante ideale” scevro da attributi indesiderabili; si leggano in merito le attuali descrizioni delle singole razze canine in cui compaiono aggettivi quali “fidato”, “leale”, “amichevole”, “coraggioso”, “pulito”, “riverente” (Frank H., Gialdini Frank M., 1982).

L’uomo si è inserito tra l’animale e l’ambiente provvedendo al suo rifornimento alimentare; se da un lato il processo di neotenizzazione ha comportato una più lenta e più tardiva manifestazione delle caratteristiche tipiche dell’animale adulto, dall’altro, a causa del rilasciamento dei sistemi sociali di regolazione all’interno della popolazione canina, ha portato alla comparsa più precoce ed intensa del comportamento aggressivo, quindi alla disintegrazione del comportamento di aggressione ritualizzata tipico del lupo (necessario in un contesto nel quale le risorse scarseggiano e dove è importante che non si verifichino attacchi indiscriminati all’interno del gruppo).

Anche il notevole abbaiare del cane potrebbe essere una conseguenza del processo di domesticazione: mentre negli altri canidi l’uso di questo tipo di vocalizzazione è contestuale e la selezione naturale si è espressa favorendo il silenzio nei predatori selvatici, nella specie domestica il suo uso è ipertrofico e non contestuale. Questa caratteristica, unita anche alla persistenza del guaito nell’adulto (la cui frequente emissione si svolge in contesti quali la richiesta di attenzione e situazioni stressanti), ai

(9)

all’indiscutibile vantaggio, per l’uomo, che il cane abbaiasse virtualmente fuori contesto, indicano quanto profondamente la domesticazione e la socializzazione precoce abbiano influenzato il repertorio vocale del cane (Cohen J.A., Fox H.W., 1976).

Un altro interessante effetto di questo processo si può evincere da studi condotti su volpi mantenute in cattività e addomesticate sperimentalmente, in cui si dimostra che l’abilità, tipica del cane domestico, di leggere la comunicazione gestuale umana si è evoluta durante questo processo, ma non è il bersaglio principale: l’evoluzione socio-cognitiva derivante dalla domesticazione sperimentale suggerisce che questa abilità sia un co-prodotto della selezione mirata principalmente ai sistemi mediatori della paura e dell’aggressività (Hare B. et al 2005). L’ambiente sociale pone dei confronti molto più complessi rispetto all’ambiente fisico: gli animali sociali hanno sviluppato abilità mentali che permettono loro di prevedere e sfruttare le azioni degli altri (siano essi conspecifici o eterospecifici). Il cane, dopo i primati, è capace di cogliere e far propria l’altrui prospettiva, gli altrui stati mentali, nonché di intraprendere tattiche di inganno (Cooper J.J., 2003). Queste abilità sono presenti anche nel lupo, le cui perfomance sono però inferiori a quelle del cane domestico. In un recente studio (Miklòsi A., et al, 2003) lupi e cani ugualmente socializzati con l’uomo sono stati messi a confronto ed è emerso un dato significativo: il cane è in grado di “leggere il volto delle persone” e di utilizzare le informazioni derivanti da questo scambio per raggiungere lo scopo richiesto, mentre il lupo non è in grado di farlo. Questo risultato si riscontra anche in uno studio recente condotto su giovanissimi cuccioli di cane, osservati all’età di 6, 8, 16 e 24 settimane allo scopo di valutarne la capacità di utilizzare le indicazioni comunicate dall’uomo e di trovare del cibo nascosto: i cuccioli indipendentemente dall’età hanno dimostrato di poter usare le indicazioni che ricevevano; con l’età aumenta unicamente il grado di successo nell’usarle; gli autori ipotizzano che questa capacità preceda nel cane l’esposizione agli esseri umani e che sia stata fondamentale per la nascita della loro cooperazione (Riedel J., et al, 2007). Il cane, finora guardato dagli etologi come “specie artificiale” e quindi negletta, è al contrario una specie che si è naturalmente adattata ad una nuova nicchia, sviluppando flessibilità nell’acquisire informazioni attraverso una relazione sociale di tipo eterospecifico (Miklòsi Á. et al, 2004; Pongràcz P. et al, 2003).

(10)

1.3 DAL CUCCIOLO ALL’ADULTO: SVILUPPO

COGNITIVO, COMPORTAMENTALE E SOCIALE DEL

CANE DOMESTICO.

Alla base dello sviluppo del sistema nervoso esiste un programma complesso: 1. un programma genetico di accrescimento

2. un programma di maturazione dei contatti o sinapsi 3. un programma suicida di autodistruzione.

Il primo stadio è caratterizzato da una sorta di ridondanza sinaptica, seguito da uno stadio di stabilizzazione selettiva in cui le interazioni precoci lasciano un’impronta definitiva sul sistema nervoso: se la sinapsi viene attivata può maturare, viceversa rimane immatura ed in seguito sarà distrutta (Murakami F. et al, 1992).

Durante le prime fasi dello sviluppo molte aree del sistema nervoso centrale manifestano “periodi critici” nei quali la plasticità sinaptica è dipendente dall’esperienza ed è sotto il controllo di fattori neurotrofici (Fox K., Zahs K., 1994). Si definisce periodo sensibile una parte di tempo durante il quale si realizza un apprendimento facilitato e memorizzato a lunga scadenza: ad ogni periodo corrisponde l’acquisizione di comportamenti specifici di base. Esiste infatti per ogni struttura neuropsichica un periodo preciso, la cui comparsa e durata sono geneticamente determinate, durante il quale si stabilisce la sua funzionalità.

Il concetto di periodo sensibile implica inoltre, dal punto di vista dello sviluppo cognitivo, quello di valutazione del rischio: la risposta di un soggetto varierà secondo la sua costituzione genetica, l’interazione fra bagaglio genetico ed ambiente e l’esposizione agli stimoli. Alcuni elementi moderatamente stressanti introdotti durante i primissimi giorni di vita possono avere effetti benefici sull’apprendimento, sull’attaccamento all’uomo e sulla stabilità emozionale del cucciolo (Gazzano A. et al, 2007). Stimolazioni ed esperienze precoci quindi possono influenzare i comportamenti a lungo termine, nella misura in cui possono determinare una stabilizzazione sinaptica, caratterizzare il sistema nervoso dell’individuo, creare associazioni fra alcuni stimoli e situazioni di calma e distensione.

(11)

Periodi sensibili:

• periodo prenatale

• dalla nascita all’apertura degli occhi (periodo neonatale)

• dall’apertura degli occhi alla comparsa del riflesso di trasalimento (periodo di transizione)

• dalla quarta alla dodicesima - sedicesima settimana (periodo di socializzazione)

Periodo prenatale: In gestazione il feto è sordo e cieco, ma riceve informazioni

attraverso l’organismo materno. Da studi condotti sul ratto emerge che uno stress artificialmente indotto sulla madre è causa di alterazioni di lunga durata a livello neurobiologico, comportamentale ed emotivo della prole: i glucocorticoidi infatti sono ritenuti fattori di programmazione cerebrale, in grado di intervenire sull’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA axis) del feto e sulla plasticità dei sistemi monoaminici cerebrali (Maccari S., Morley-Fletcher S., 2007).

Periodo neonatale: il cucciolo nasce cieco, sordo e anosmico. Il suo sistema nervoso è

largamente immaturo, la corteccia cerebrale non è ancora completamente formata mentre sono attive le zone sottocorticali. È in grado di orientarsi nello spazio, si muove con difficoltà, risponde con lentezza alle stimolazioni esterne e le funzioni eliminatorie non sono autonome. Il sonno paradossale occupa la maggior parte della sua giornata. Sono ovviamente presenti i riflessi primari, dovuti a circuiti transitori che permettono comportamenti innati, caratterizzati da rapidità, automaticità, forza ed intensità costanti. I riflessi primari sono quelli di intrusione, cioè il labiale o di suzione ed il perineale. Il primo, associato al termotattismo positivo, permette di giungere al capezzolo materno; l’ultimo consente l’atto eliminatorio. Eppure lo sviluppo neonatale è un processo dinamico, durante il quale si sviluppano le capacità sensoriali del cucciolo, largamente dipendente dall’interazione che si realizza con l’ambiente: circostanze quali la riduzione delle cure materne, disordini alimentari, stress fisici e malattie possono influenzare negativamente lo sviluppo neurale, modificando l’attività dei sistemi fisiologici coinvolti nella risposta allo stress e nelle funzioni cognitive (Gazzano A., et al., 2007) e nello sviluppo comportamentale (Latham N.R. e Mason G.J, 2008).

(12)

Periodo di transizione: inizia in corrispondenza dell’apertura degli occhi (14° giorno

circa) e termina con la comparsa dell’udito, caratterizzato dal comportamento di “sobbalzo”(21° giorno circa). In pratica inizia la vita di relazione vera e propria del cucciolo, grazie ad un’attività sensoriale più specializzata e ad una graduale sostituzione dell’attività dei riflessi primari. Ha inizio la fase di perfezionamento del sistema di locomozione; il tempo dedicato al sonno si riduce del 50%; infine la madre viene percepita quale elemento sociale. Durante il periodo neonatale-transizionale si assiste infatti alla massima alterazione morfologica a livello del sistema nervoso centrale (in termini di densità cellulare, assonale e di sviluppo dendritico), necessaria in quanto solo dopo il raggiungimento di un determinato livello di sviluppo sensoriale e motorio possono stabilirsi le relazioni sociali primarie; questo fenomeno presenta le medesime caratteristiche dell’imprinting, ma si verifica durante un arco di tempo più lungo (periodo sensibile), che vede, dopo la fase di attaccamento alla madre e di evitamento degli stimoli nuovi, l’affermarsi di legami affettivi, di risposte apprese, di una più completa interazione con l’ambiente (Fox M.W., 1966).

L’attaccamento alla madre è un processo bidirezionale, che la madre subisce per prima nei confronti della cucciolata; questo legame da parte della madre si instaura nelle prime 24 dalla nascita dei cuccioli, favorito dal loro aspetto neotenico e dalla produzione di feromoni emessa dai cuccioli e dai loro annessi placentari. Il meccanismo che sottende a questo processo è automatico, si tratterebbe quindi di un comportamento istintivo, caratterizzato da:

• uno schema analogo e prevedibile in tutti gli individui della stessa specie • una sequenza comportamentale e non una semplice risposta

• utilità per la preservazione dell’individuo e la continuità della specie • totale assenza di meccanismi di apprendimento.

Solo durante il periodo di transizione il cucciolo riuscirà ad acquisire questo comportamento, indotto dalla produzione di feromoni da parte della madre, sostanze verso le quali il cucciolo è sensibile a partire dallo sviluppo completo dell’organo vomeronasale (Pageat P., Gaultier E., 2003).

(13)

cui l’esplorazione da parte dei cuccioli del territorio diventa completa ed autonoma. Il limite superiore di questo periodo sensibile non è stabilito con certezza: è evidente la mancanza di studi, condotti in condizioni di esposizione a stimoli sociali ed ambientali crescenti, che esplorano la socializzazione nel cane e la possibilità di recuperare la relazione con l’uomo (Gazzano A. et al. 2008) . Il processo di socializzazione è favorito dal corretto attaccamento alla madre, ai compagni, al luogo: se il cucciolo venisse allontanato da questo contesto intorno alle 6-7 settimane di età si potrebbero verificare effetti deleteri a livello fisiologico e comportamentale (Elliot O. e Scott J.P., 1961). Questo periodo estremamente complesso vede infatti lo sviluppo dei sistemi di comunicazione intra- e interspecifici, l’acquisizione di autocontrolli, lo sviluppo del comportamento esplorativo il distacco e la gerarchizzazione. Dalla terza all’ottava settimana infatti i cani imparano ad interagire con i conspecifici, in particolare con i fratelli. Il gioco è importante per lo sviluppo fisico, sociale e cognitivo del cucciolo, è un allenamento per affrontare l’imprevedibilità delle circostanze. I contatti giocosi a carattere sociale incominciano intorno alle 3 settimane e continuano fino al termine di questo periodo, quando i cuccioli sono già in grado di comunicare fra loro attraverso vocalizzazioni, gesti e posture. Il gioco agonistico invece comincia più tardi, intorno alla quinta settimana, per decrescere verso la nona. Entro le 11 settimane di età i cuccioli hanno sviluppato tra loro un saldo rapporto gerarchico, che si stabilizza intorno alle 15 settimane (Scott J.P., Fuller J.L., 1965). Montare ed agganciare i fratelli sono comportamenti emessi per tutta la durata della fase di socializzazione, ma le interazioni a carattere più marcatamente sessuale aumentano fra la sesta e la nona settimana; questi comportamenti, incluse anche le spinte pelviche, sono più frequentemente attuati dai maschi (Kumar Pal S., 2007). La tendenza del cucciolo a preferire un partner di gioco aumenta con l’età (dalla terza alla settima settimana) e con essa anche l’importanza di vincere e dominare durante questa attività. I maschi si dimostrano in generale più intraprendenti delle femmine, ma a differenza di queste, che giocano fra loro con frequenza costante per tutta la durata di questo periodo, i maschi incominciano tardivamente a preferire altri maschi come partner: il gioco assume quindi la valenza di allenamento per la competizione intersessuale (Ward C., et al, 2008).

Nel momento della maggiore apertura sociale i cuccioli manifestano comportamenti di gruppo quali dormire e compiere attività insieme, abbaiare o ululare in gruppo,

(14)

rivolgersi reciprocamente operazioni di pulizia, annusare e fiutare altri membri del branco.

Il gioco permette al cucciolo l’apprendimento delle basi della vita di gruppo. La stretta e dinamica relazione con la madre in particolare e con i fratelli è fondamentale per l’acquisizione degli autocontrolli; in primo luogo il cucciolo intorno alle 5-6 settimane acquisisce l’inibizione del morso, grazie alla funzione regolatrice della figura materna che interviene anche durante le interazioni ludiche tra i cuccioli. L’assenza o la deficienza di questo modello educativo comporta la mancata attivazione delle strutture nervose implicate nei sistemi di controllo e di arresto di tutte le sequenze comportamentali: si possono alterare anche il comportamento alimentare (assenza della sazietà), il comportamento dipsico (polidipsia psicogena), il comportamento eliminatorio, il somestesico, l’esplorativo ed infine il comportamento sessuale e materno (Colangeli R., Giussani S., 2004, pp.133-137).

Il periodo sensibile per l’abituazione al mondo esterno ha inizio già nella fase di transizione: la presenza della madre e idonee stimolazioni sensoriali sono infatti fattori fondamentali per una corretta omeostasi sensoriale. Il cucciolo esplora il mondo circostante in modo caratteristico, attraverso l’esplorazione a stella (Scott J.P., Fuller J.L., 1965), al centro della quale si trova la figura della madre, appagante e rassicurante. Prendendo contatto con gli stimoli presenti, attraverso tutti i canali sensoriali ormai sviluppati, è in grado di “configurare un database” che gli permette di categorizzarli e in seguito di riconoscerli per analogia.

Di fronte ad uno stimolo sconosciuto manifesta un atteggiamento ambivalente di avvicinamento/evitamento (“approach/avoidance”) con frequenti ritorni verso la madre: il ripetersi degli approcci investigativi da parte del cucciolo può esitare nella abituazione allo stimolo. Ciononostante il rinforzo di uno o l’altro degli atteggiamenti dipende primariamente dal momento di esposizione allo stimolo. Si è identificato un periodo critico molto preciso, dalle 7 alle 8 settimane di età, in cui i soggetti non socializzati/non esposti all’uomo o ad altri elementi manifestano un intenso evitamento, che eclissa il comportamento di avvicinamento: questo periodo è stato definito “anxiety

(15)

completamente rinviato oltre le 12 settimane di età essi manifesteranno una decisa reazione di evitamento nei loro confronti, risultando letteralmente “non addomesticati”. Animali che hanno interagito e che sono stati manipolati da determinate persone nell’arco di tempo compreso fra le 4 e le 10 settimane sviluppano risposte sociali nei confronti di altri esseri umani (Fox M.W., Stelzner D., 1967). Da uno studio più recente emerge comunque la scarsa correlazione fra l’età in cui il cucciolo viene esposto a stimoli inconsueti e lo sviluppo di risposte fobiche, a sottolineare ancora una volta che questo periodo sensibile termina in modo graduale (Jagoe A., 1994).

Il processo di attaccamento verso gli eterospecifici, in particolare verso l’uomo, vede dunque un ruolo importante nella socializzazione precoce, corretta, continuativa, realizzata durante il periodo sensibile, con un essere umano specifico.

Dopo lo svezzamento ha inizio il processo di gerarchizzazione: la madre conduce i cuccioli alla risorsa alimentare del branco, a diretto confronto con gli adulti e con i limiti da loro imposti. Essi imparano a rispettare l’ordine delle priorità al pasto (il cane dominante mangia per primo, lentamente e lascia la risorsa agli altri solo dopo aver raggiunto la sazietà) ed incominciano ad emettere posture di appagamento per potervisi avvicinare. Una tappa importantissima di questo processo è la rottura del legame di attaccamento. Sono i maschi ad essere scacciati per primi dalle zone occupate dai dominanti, che detengono il controllo dello spazio occupato dal branco durante il riposo e gli spostamenti, e dalle zone occupate dalle femmine; il comportamento sessuale dei giovani maschi viene inibito attivamente dai dominanti, allo scopo di evitare gli accoppiamenti madre-figlio e tra fratelli. Anche le femmine subiscono la stessa sorte, ma più gradualmente e più tardivamente, in genere intorno al secondo calore (Pageat P., 2000).

Nel cane domestico le ghiandole endocrine associate alla riproduzione maturano prima (6-15 mesi) della definitiva maturità sociale; la spermatogenesi nel maschio è continua (nei cani selvatici è stagionale), mentre nelle femmine sono possibili due stagioni riproduttive all’anno; il primo ciclo estrale è più breve dei successivi e presenta livelli di LH e di estradiolo inferiori.

(16)

Giunti a questo livello di sviluppo i giovani soggetti sono a conoscenza delle normative che strutturano il gruppo ed hanno sviluppato strumenti utili per la convivenza, la cooperazione, la sopravvivenza; infine hanno appreso un sistema di comunicazione.

1.4 COMUNICAZIONE CANINA

L’acquisizione di strumenti di comunicazione avviene, come precedentemente accennato, durante il periodo di socializzazione; il cucciolo è in grado fin dalla nascita di ricevere informazioni tattili ed i contatti con la madre sono fondamentali per la nascita del legame di attaccamento; gradualmente il cucciolo diventa attivo nel contattare altri individui durante le prime fasi di interazione sociale ed il contatto può assumere valenza gerarchica o di rassicurazione.

L’olfatto è il senso volto alla percezione di sostanza chimiche volatili disperse nell’ambiente: in particolare i feromoni e gli odori sociali percepiti dal ricevente possono informarlo sullo stato emozionale e fisiologico dell’emettitore nonché sulla sua identità: tutti i segnali che possono essere percepiti attraverso il gusto o l’olfatto sono definiti infatti, usando la terminologia anglosassone, “semiochemical signals” (Sommerville S.A., Broom D.M., 1998)

La vocalizzazione del cane fa uso di diversi tipi di suoni, definiti vocali, non vocali e misti. Si diversificano secondo la durata, la frequenza, l’intensità, la ritmicità ed il contesto. Si definisce contesto un insieme di eventi, condizioni e caratteristiche variabili del ricevente che modificano l’effetto del segnale sul suo comportamento, includendo quindi fattori immediati e remoti: le reali fonti di informazione contestuale comprendono le caratteristiche del ricevente, dell’emittente e dello scenario di fondo. Se un segnale non dovesse fornire un’informazione sufficiente e chiara, sarebbe il contesto ad assumere valore critico sul comportamento del ricevente (Overall K.L., 2001, p. 37)

(17)

Cohen J.A. e Fox M.W. (1975) hanno inventariato dodici tipi base di vocalizzazioni presenti nei Canidi, cui si aggiungono i suoni meccanici (quali lo “snapping” ed il “panting”) e suoni misti, che possono essere costituiti dalla sovrapposizione di due suoni vocali o dall’emissione in sequenza di più suoni (vocali e/o meccanici). Il mescolare più suoni e più segnali si riscontra nei Canidi gregari.

Nella comunicazione vocale canina sono stati individuati cinque gruppi di suoni base: 1. suoni infantili: guaito, mugolio, pianto

2. suoni di avvertimento: abbaio, ringhio 3. suoni di elicitazione, tra cui l’ululato

4. suoni di separazione, comprendenti i lamenti 5. suoni di appagamento.

Il gemito nel cucciolo indica distress; si tratta di un suono utilizzato per richiamare l’attenzione materna e sollecitarne il comportamento di “recupero”; i primi suoni presenti nei canidi sono quelli etepimeletici (Overall K.L., 2001, p. 27) o di elicitazione di cura da parte della madre, di avvicinamento da parte dei conspecifici. Questi suoni servono quindi per diminuire la distanza con il ricevente (“eliciting approach vocalizations”). La massima intensità di questo tipo di vocalizzazione si esprime attraverso una correlazione funzionale tra gemito, guaiti ed il loro ripetersi.

I suoni che sollecitano l’aumento della distanza da parte dei conspecifici sono il ringhio e l’abbaio (“eliciting withdrawal vocalizations”); non sono presenti alla nascita, ma si manifestano tra la prima e la settima settimana di età, durante la fase di esplorazione sociale dell’ambiente; a questa età i segnali che diminuiscono le distanze sono necessari quanto quelli che le aumentano. Il ringhio e lo sbuffo sono i più deboli segnali utilizzati per ottenere l’ allontanamento; il medesimo messaggio viene inviato con maggiore intensità attraverso la forma del ringhio-abbaio o dell’abbaio ripetuto. I suoni di allarme sono vocalizzazioni che sollecitano l’allontanamento di tutto il gruppo da un pericolo esterno.

(18)

L’abbaio del cane è una vocalizzazione decisamente peculiare: viene utilizzato in una grande varietà di contesti, quali il saluto, il gioco, la minaccia, la difesa, la ricerca di un contatto durante le vocalizzazioni di gruppo, variando nelle sue caratteristiche: potrà essere semplice o complesso, ripetuto o seguito da ululati, associato a guaiti; in ogni caso attrae l’attenzione del ricevente (Yin S., 2002; Pongracz P. et al., 2005).

L’ululato, infine, è interpretato come segnale di ansia o di richiesta d’attenzione (segnale etepimeletico), mentre nei lupi è uno strumento di coordinazione sociale. Cohen e Fox (1975) sottolineano una forte relazione tra livello di motivazione e intensità dei suoni di approccio/evitamento: la comunicazione vocale può essere definita come linguaggio emozionale oppure repertorio di reazioni emotive e di intenzioni, assolutamente comparabile con quanto viene espresso attraverso posture e espressioni facciali

Il fenomeno della sovrapposizione dei suoni trova correlazione con quanto avviene per le altre forme di comunicazione: di fronte ad un contesto che sollecita, per esempio, paura ed aggressione il soggetto mostrerà attraverso caratteristiche espressioni mimiche e posture entrambe le motivazioni interne (Cohen J.A., Fox M.W., 1975).

La comunicazione posturale e visiva agisce a breve distanza ed in modo immediato; questo linguaggio include la posizione delle orecchie, le espressioni facciali, la posizione del pelo su spalle e dorso, la posizione generale del corpo.

Overall (2001) riporta che in uno stato di allerta si manifesta attraverso coda e orecchie erette, corpo eretto e generalmente una zampa viene spostata verso l’esterno: questa associazione di segnali indica un’intenzione, un tentativo o la capacità di avvicinare altri. Quando il cane è in allarme o reattivo (in senso agonistico) il movimento intenzionale della zampa diventa più marcato ed angolare, mentre diminuiscono decisamente le intenzioni amichevoli; gli arti posteriori si dispongono in modo da aumentare la base di appoggio, la coda si fa rigida e meno arcuata. Passando ad uno stato di maggior antagonismo gli arti posteriori si distanziano ulteriormente per preparare il soggetto alle mosse successive, la coda si solleva decisamente, si gonfia e

(19)

coinvolge l’intero dorso segnalando reattività, collo e spalle sono ben posizionate e la testa è alta e protesa. Se la funzione primaria della comunicazione è la modulazione del comportamento del ricevente ad opera dell’emittente, non si deve dimenticare che anche nella segnaletica di tipo agonistico sono compresi segnali che servono ad evitare il conflitto vero e proprio.

Nella versione non antagonista, di sottomissione, testa e collo sono ripiegate in linea con il dorso, il ventre sfiora il terreno, la coda è portata sotto di sé, il mantello si appiattisce; il cane può giungere anche al definitivo rotolamento sulla schiena ed all’esposizione di inguine e parte ventrale del collo.

L’atteggiamento deferenziale nei confronti dei dominanti o delle persone si manifesta attraverso idonee posture che ne diminuiscono la dimensione corporea, lo sguardo viene distolto, il collo abbassato come le orecchie, infine si giunge al rotolamento (massima espressione di deferenza), la presentazione dell’inguine con o senza urinazione, accompagnati eventualmente dal leccarsi i baffi, da starnuti (comportamenti spiccatamente neotenici). Nell’osservare la mimica facciale di un individuo si devono includere la posizione e l’orientamento delle orecchie, la posizione di testa, collo e mascella, la presentazione della dentatura, la posizione dell’angolo della bocca, gli occhi, le sopracciglia, il diametro pupillare e la forma delle narici (Overall K.L., pp. 41).

Tutti questi elementi convergono nel creare un linguaggio dinamico, complesso, ricco di sfumature, che scaturisce dalla dialettica tra il contesto esterno ed il contesto interno attuali del ricevente/emettitore.

(20)

1.5 WELFARE, STRESS, SUFFERING

Una sequenza comportamentale si può interpretare come la risultante di forze esterne (intensità evocativa dello stimolo) e di forze interne (motivazione, emozione e cognizione dell’individuo), che possono condurre il soggetto a consumare la risposta comportamentale fino alla sua fase di arresto, oppure, ed è questo il caso delle situazioni conflittuali, ad annullare una qualsiasi risposta o a preferire attività di sostituzione, generalmente autocentrate, che appagano l’animale e ne diminuiscono la tensione emozionale legata al conflitto stesso. Sono tipici esempi di attività sostitutiva l’autogrooming, la polidipsia psicogena, il grattarsi o il leccarsi un arto, quando queste risposte non hanno alcuna relazione con il contesto e con lo stimolo scatenante (Colangeli R., Giussani S., 2004, p. 5).

Prima di proseguire nei prossimi paragrafi con una descrizione accurata dei comportamenti riscontrati nel cane in canile, che si ritiene sottintendano precisi stati emotivi o reattivi, si rende necessaria una digressione riguardante l’approccio scientifico al mondo delle emozioni negli animali, alla ricerca condotta al fine di definire il loro benessere, gli assunti proposti da vari autori circa questo argomento, i limiti intrinseci all’investigazione di questo campo.

Per definire e misurare il benessere negli animali è necessario rinunciare alle categorie antropomorfiche di “benessere”, “salute”, “uguali opportunità”: l’approccio scientifico rischierebbe di incontrare risultati equivocabili e contraddittori. Il benessere può essere interpretato secondo Barnard e Hurst (1996) in termini evoluzionistici: la selezione naturale forma l’organismo per affrontare determinati “costi” e per “spendere se stesso” in quanto veicolo che perpetua strategie di risposta all’ambiente al fine di raggiungere il successo riproduttivo. Le esperienze negative soggettive sono associate ai costi sostenuti dall’individuo per ottimizzare le sue strategie adattative. Per un organismo risultano effettivamente deleterie solo le circostanze per le quali non è stato equipaggiato dalla selezione naturale, circostanze che espongono l’individuo ad un ambiente inappropriato, un “limbo”, in cui le capacità decisionali dell’individuo risultano paralizzate dalla mancanza di opportunità di esprimere le proprie priorità, o un “purgatorio”, in cui le condizioni imposte dal contesto esterno surclassano le normali

(21)

Definire il benessere in termini di salute fisica e capacità riproduttiva può apparire riduttivo ma estremamente semplice: la presenza di ulcere gastriche, l’ipofunzione del sistema immunitario, la riduzione della fertilità, i problemi comportamentali, i livelli di corticosteroidi, sono tutti indicatori comunemente usati per stabilire il grado di impoverimento del benessere di un organismo. Questi stessi indicatori però non sempre mostrano covarianza, la loro misurazione spesso è di difficile interpretazione biologica; inoltre risentono della qualità e della durata dello stimolo stressante e delle differenze intra ed interspecifiche di risposta (Mason G. e Mendl M., 1993).

Dawkins (1990) compie un passo originale nel definire il benessere animale includendo nell’approccio biologico i sentimenti soggettivi. Pur riconoscendo che questi rientrano nell’ambito dell’esperienza privata, e non sono quindi direttamente indagabili, si può comunque procedere ad analizzare i loro risvolti fenomenici attraverso un ragionamento analogico: se le risposte fisiologiche e comportamentali degli animali non umani deprivati della possibilità di svolgere azioni per le quali sono altamente motivati risultano simili alle risposte umane nelle medesime condizioni, è possibile portare avanti un’argomentazione in termini analogici. In base a questo approccio, ad esempio, sono individuati come indicatori di “motivazione interna” la tendenza a compiere un comportamento anche in assenza di stimoli appropriati, l’effetto rebound, l’esecuzione di azioni anormali (sostitutive o stereotipate) in ambienti che impediscono l’espressione naturale delle motivazioni interne. L’autrice individua come misura della sofferenza l’intensità dell’avversione di un animale verso determinate circostanze ed i costi che è pronto ad affrontare per uscirne.

Boissy (Boissy A. et al, 2007) amplia ulteriormente il concetto di benessere, includendo nella sua definizione non solo l’assenza di esperienze negative, ma anche, primariamente, la presenza di esperienze positive. Secondo l’autore le recenti acquisizioni nel campo della psicologia e delle scienze neurologiche hanno fornito strumenti pratici per investigare questo tipo di esperienza. Molti scienziati sono riluttanti nell’attribuire emozioni ad altri vertebrati superiori, ma paradossalmente una vasta gamma di studi sono volti a rilevare stati di ansia e di dolore in individui non umani; gli animali sono inoltre usati come modello per lo studio di disordini psichiatrici in medicina umana (Pawlack C.R. et al 2008; Overall K.L., 2000) e per la sperimentazione di protocolli nella psicofarmacologia.

(22)

Sottolineando ancora una volta che l’esperienza emotiva soggettiva non è direttamente conoscibile, la ricerca si avvale della similarità riscontrata a livello comportamentale, fisiologico e neurologico fra la specie umana e le specie domestiche in esame; attualmente si assume la presenza del “cervello emotivo” in tutti i vertebrati (Wiepkema P.R. e Koolhaas J.M., 1992). Un approccio alle emozioni animali dovrebbe comprendere rilievi comportamentali (posture, attività) e fisiologici (attivazione del sistema nervoso autonomo, risposte viscerali ed endocrine) e componenti soggettive (esperienze, apprendimento).

È possibile individuare quali parti del sistema limbico e quali neurotrasmettitori sono coinvolti nel riconoscimento sociale, nell’attaccamento, nell’anticipazione di un premio, nelle sensazioni di piacere. Per fare alcuni esempi l’attività dell’amigdala è generalmente associata ad emozioni negative (paura, ansia), ma, secondo studi recenti, anche all’anticipazione positiva; inoltre svolge funzioni legate al riconoscimento sociale e l’attaccamento, mediati da ossitocina e vasopressina, che giocano a livello cerebrale un ruolo importante nei legami sociali affettivi (legami di coppia, legame madre-figlio) (Ferguson J.M. et al 2002; Bielsky I.F. Young L.J., 2004); ippocampo e paraippocampo sono coinvolti nella valutazione di un nuovo evento (Martin A., 1999).

La serotonina è implicata in un ampia varietà di processi emotivi, cognitivi e comportamentali, ma il suo preciso contributo non è ancora stato compreso. Si ritiene che essa moduli l’impatto dei segnali correlati alla punizione sull’apprendimento stesso e sull’emozione legata all’avversione; modula le capacità di risposta dell’amigdala e delle regioni medio-frontali agli stimoli correlati alla minaccia sia negli umani sia negli animali (Cools R. et al 2007).

Dal punto di vista evolutivo le emozioni hanno lo scopo di intervenire su altri sistemi fisiologici o di risolvere direttamente problemi adattativi cui una specie va incontro nel tempo. Il successo filogenetico delle emozioni risiede nel loro favorire l’adattamento cognitivo e l’azione sul contesto (Tooby J., 1985).

I fenomeni emotivi fanno riferimento a processi interni che controllano il successo delle attività intraprese, aggiungendo valore alle azioni con esito positivo: attraverso le emozioni e la loro integrazione a livello cerebrale l’individuo è capace di valutare l’attualità e le possibilità future sulla base di precedenti esperienze e delle informazioni

(23)

adattamenti che modulano il comportamento laddove una risposta più flessibile ed appresa risulta più adeguata di una risposta rigida e riflessa; questi stati possono essere negativi e positivi e la loro netta separazione indica un’evoluzione distinta in risposta alle situazioni di necessità per i primi ed alle situazioni di opportunità per i secondi (Fraser D. e Duncan I.J.H., 1998). Quando gli animali si nutrono, esplorano, combattono o interagiscono con il loro ambiente le loro azioni sono accompagnate da indicazioni di precisi stati emotivi misurabili (espressioni facciali, movimenti della coda e vocalizzazioni caratteristiche) (Wiepkema P.R. et al, 1992).

Selye (1936) definisce lo stress come risposta aspecifica dell’organismo agli eventi esterni quali circostanze di natura fisica estrema, quindi questo fenomeno si verifica quando l’omeostasi di un individuo è a rischio, ovvero quando le circostanze reali sono profondamente diverse dalle circostanze ideali. Introducendo il concetto di allostasi, cioè la stabilità attraverso il cambiamento, (McEwen B.S., 1998) ogni confronto che un animale deve affrontare si delinea come un fattore che ne modifica il funzionamento e che lo prepara ai futuri cambiamenti. Mason (1971) ha osservato che la caratteristica risposta fisiologica agli eventi stressanti, quale il picco di increzione del cortisolo, non è il prodotto di una situazione avversa per sé, ma il risultato della percezione che l’animale ha della situazione medesima. Quindi le discrepanze osservate nelle risposte fisiologiche e comportamentali allo stress sono la risultante della differente valutazione cognitiva operata sulle circostanze incontrate, l’intensità delle risposte dipende dalle aspettative individuali riguardanti l’esito di una determinata situazione e l’adeguatezza della risposta stessa (Ursin H. e Eriksen H.R., 2004): il benessere risente quindi dello stato motivazionale o mentale di un animale (Duncan I.J.H., 1993) e di conseguenza della controllabilità e della prevedibilità delle circostanze. L’incertezza, la perdita di controllo sull’ambiente, la mancanza di opportunità di raccogliere attivamente le necessarie informazioni esterne sono di massimo interesse nella valutazione del benessere animale in quanto sono cause fondamentali di stress cronico (Wiepkema P.R., 1992).

(24)

1.6 RANDAGISMO E ABBANDONI: LA SITUAZIONE DEI

CANILI IN ITALIA

Nel nostro Paese si stima la presenza sul territorio di oltre 440.000 cani randagi, a fronte di 120.000 cani ospitati in canili rifugi e canili sanitari Il numero complessivo di queste strutture ammonta a 465 canili sanitari e 679 canili rifugio (Ministero della salute, dati ufficiali aggiornati al Gennaio 2008). Per quanto riguarda la regione Toscana si stimano 2.200 cani randagi e 4.870 cani ospitati in regolari strutture; altre Regioni non godono ancora delle medesime in numero sufficiente ad affrontare la gravissima situazione del randagismo (www.ministerosalute.it). Questa realtà non deve essere sottovalutata: il cane randagio è un potenziale pericolo per l’uomo, per il bestiame, per i selvatici; può essere causa di incidenti anche mortali. Non si deve dimenticare inoltre che il randagismo si può autoalimentare.

Con l’entrata in vigore della Legge n. 281 del 14 agosto 1991 lo Stato “promuove e disciplina la tutela degli animali d’affezione”, condanna gli atti di crudeltà rivolti contro di essi, i maltrattamenti, gli abbandoni; il suo fine è “favorire una corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l’ambiente” (Principi Generali, art. 1). Grazie a questa normativa per la prima volta in Italia i cani vaganti non rischiano la soppressione e, se catturati, la sperimentazione; alle Regioni sono delegati i compiti di istituire l’Anagrafe Canina, di risanare i canili comunali e costruire canili rifugio, di formulare programmi atti a prevenire il randagismo attraverso l’informazione, l’aggiornamento e la formazione di personale tecnico. Infine prevede l’istituzione di un fondo per la sua stessa attuazione.

In Toscana è la Legge regionale n. 43/1995 (modificata con la Legge regionale n. 41 del 22/11/2002) che stabilisce le norme per la gestione dell’anagrafe canina, la tutela degli animali d’affezione, la prevenzione del randagismo; definisce inoltre le caratteristiche strutturali dei canili rifugio e dei canili municipali, indicando la qualità e la dimensione degli spazi destinati ai cani in essi ospitati, le strutture essenziali necessarie per la corretta gestione sanitaria dei soggetti. Nel canile municipale sono previsti mq 4 (di cui mq 2 coperti) per ogni soggetto ospitato; non è previsto lo spazio di sgambatura: infatti,

(25)

osservato dal punto di vista sanitario per un periodo massimo di 60 giorni, quindi inviato al termine di questo periodo nelle strutture rifugio presenti in ambito comunale. La permanenza dei cani nel canile municipale spesso si prolunga a causa della saturazione numerica che affligge i canili rifugio; nonostante l’entrata in vigore della Legge n. 189 del 20 luglio 2004, che prevede la pena di reclusione per coloro che maltrattano o abbandonano gli animali, il fenomeno dell’abbandono non conosce sosta.

1.7 MOTIVI DEL CONFERIMENTO DEL CANE IN CANILE

L’abbandono di un animale domestico è un atto inqualificabile ed ingiustificabile. È un gesto irresponsabile, coperto dall’anonimato.

Diversamente il conferimento di un animale presso strutture finalizzate alla sua accoglienza permette di porre delle domande e di offrire risposte concrete, costruttive, al fine di realizzare un vantaggioso rapporto tra istituzioni, cittadinanza e animali. Le motivazioni riportate dai proprietari all’atto del conferimento descrivono situazioni oggettive di difficoltà personali, quali malattie, cambiamento di alloggio o cambiamento del tenore di vita. Molto spesso però emergono alla base di questa scelta i problemi comportamentali o i comportamenti indesiderati riscontrati nel proprio animale domestico, che tradiscono le aspettative in lui riposte in qualità di compagno o di supporto emotivo; la percezione di queste problematiche è notevole soprattutto in coloro che non hanno precedenti esperienze in qualità di proprietari (Kidd A.H. et al, 1992). L’abbaiare eccessivo ed il comportamento distruttivo in assenza dei padroni sono alcuni fra i problemi comportamentali più comuni nei cani conferiti al canile (Diesel G. et al., 2008a), ma risultano frequenti anche nei cani adottati, e l’esperienza stessa che questi animali vivono nelle strutture rifugio può contribuire a rinforzarli (Mertens P.A. e Unshelm J., 1996; Hennessy M.B. et al, 1997; Hennessy M.B. et al, 2001): si assiste così all’innescarsi di un circolo vizioso la cui unica vittima potrebbe essere proprio il compagno dell’uomo (Welss D.e Hepper P.G., 1992).

(26)

1.8 L’ARRIVO DEL CANE IN CANILE

Al momento dell’entrata in un canile municipale il cane ha già vissuto due possibili esperienze traumatiche: se è randagio ha subito la cattura, la manipolazione e la contenzione da parte di persone estranee; se è conferito, invece, vive l’esperienza della separazione dalle figure di attaccamento, esperienza considerata come uno dei più potenti promotori di stress, capace da sola di indurre profondi cambiamenti fisiologici e comportamentali (Hennessy M.B. et al, 1997; Fallani G. et al, 2007; Stephen J.M. e Ledger R., 2006; Beerda B. et al, 1998), specialmente se si realizza a carico di soggetti giovani in sviluppo: la “Kennel-dog syndrome” infatti è caratterizzata da timidezza permanente, intense risposte associate alla paura incapacità di adattamento in cuccioli deprivati socialmente all’età di 4-6 mesi (Hetts S., 1991).

Tutti i cani accolti in canile affrontano un nuovo territorio sociale, un nuovo ambiente fisico, nuovi stimoli sensoriali, che essi non sono in grado di riconoscere, prevedere o controllare; l’imprevedibilità e la perdita del controllo infatti possono ridurre il loro benessere (Beerda B. et al., 1997) ed essere fonte di ansia, paura e stress acuto (Stephen J.M. e Ledger R., 2006), persino in strutture correttamente ed attentamente gestite; questi stati sono associati a caratteristici segni fisiologici e comportamentali: l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA axis), determinata dalle nuove circostanze, è rilevabile attraverso la misurazione del cortisolo ematico, del cortisolo urinario e salivare, ed esita nell’innalzameno dei livelli di questo ormone, oltre i normali livelli basali, nei primi 3 giorni consecutivi all’evento stressante (Beerda B. et al, 1996; Hennessy M.B. et al 1997; Hennessy M.B., 2001; Hiby E.F. et al, 2006; Stephen J.M. et al, 2006). L’analisi comportamentale di questo primo periodo di cattività risente della grande variabilità interindividuale, delle differenti esperienze da cui provengono gli animali, dell’età, del genere e della razza dei soggetti in esame; alcuni dei comportamenti osservati possono essere buoni indicatori di stress: l’autogrooming, il leccamento del muso, il leccamento di un arto, lo scuotimento del corpo, la presentazione di posture di sottomissione nei confronti di figure sociali, l’emissione di guaiti (Beerda B. et al, 1997).

(27)

1.9 LA PERMANENZA DEL CANE IN CANILE: RISVOLTI

FISIOLOGICI E COMPORTAMENTALI

La forma più estrema di isolamento sociale in cui un cane domestico può incorrere è l’essere recluso in un canile pubblico (Hennessy M.B. et al, 1997). La restrizione sociale e spaziale, e l’esposizione continua a nuovi stimoli, possono essere causa di stress cronico nei cani ma anche di impoverimento del loro stato di benessere indipendentemente dalle manifestazioni fisiologiche e cliniche tipiche dello stress. Da studi condotti su altre specie si evince che l’esposizione ripetuta e giornaliera al medesimo stimolo stressante determina l’abituazione dell’asse HPA, con decremento della risposta corticosteroidea ,ma l’esposizione a stimoli più forti ed intensi può esitare anche in una sensibilizzazione di questo sistema; anche gli agenti stressanti a carattere etologico, quale è la frustrazione sociale ad esempio, possono condurre alla sensibilizzazione (Barnum C.J. et al, 2007). Lo stress cronico, attraverso l’azione fisiologica dei corticosteroidi, può avere un’influenza negativa sul sistema immunitario, e nel cane sottoposto a restrizione spaziale e sociale sperimentale, della durata di 6 settimane, l’incremento del rapporto neutrofili/linfociti è positivamente correlato con l’incremento del cortisolo urinario (Beerda B. et al., 1999b). Il comportamento della cortisolemia nel cane ospitato in canile, e del cortisolo urinario, fecale e salivare, è piuttosto tipico: si verifica un picco di secrezione nei primi 3 giorni per poi declinare gradualmente nelle 8 settimane successive all’arrivo; i livelli di ACTH non decrescono significativamente indicando che gli animali risultano stressati per tempi più lunghi rispetto a quanto risulterebbe dai livelli di cortisolo se presi come unico parametro (Hennessy M.B. et al., 2002; Gazzano A., et al. 2004).

Da una osservazione effettuata su differenti gruppi di cani mantenuti per un periodo superiore ad 1 anno in precise condizioni spaziali e sociali, sono risultate notevoli le differenze fisiologiche e comportamentali fra i cani con opportune disponibilità di spazio e di contatto sociale ed i cani collocati in spazi isolati e ristretti: questi ultimi hanno presentato alti livelli di cortisolo urinario e nelle osservazioni filmate è risultata notevole l’espressione di movimenti ripetitivi e di vocalizzazioni; il leccamento di un arto, l’attività locomotoria e l’annusare sono risultati i comportamenti più frequenti e di maggior durata (Beerda B. et al., 2000). In uno studio precedente la restrizione spaziale

(28)

e sociale aveva dimostrato di provocare l’incremento in frequenza di comportamenti quali l’autogrooming, il leccamento di un arto, la coprofagia, i movimenti ripetitivi e la presentazione di posture più basse. In questo lavoro si mette in evidenza che alcune di queste manifestazioni sono adattative all’ambiente spazialmente insufficiente (la riduzione o la modificazione dell’attività locomotoria, lo scavare in terra, l’intenzione di cambiare da uno stato di locomozione ad un altro, il continuo girare in circolo), mentre l’uso di posture più basse, la coprofagia, i comportamenti ripetitivi, il leccamento compulsivo di un arto e le vocalizzazioni sono più specificatamente associate allo stress cronico (Beerda B. et al., 1999a).

L’anormalità di un comportamento è definita come deviazione dai tipici moduli comportamentali di una specie, ma anche l’eccessiva frequenza e durata di comportamenti normali in contesti inappropriati rientrano in questa categoria. I cambiamenti riscontrabili in situazioni di conflitto cronico di deprivazione e/o iperstimolazione sensoriale o di riduzione spaziale conducono l’animale ad esprimere comportamenti progressivamente stereotipati, rigidi (Hetts S., 1991); le attività di sostituzione in particolare, che risultano irrilevanti rispetto al contesto, riflettono motivazioni interne all’animale che non possono trovare la normale espressione comportamentale a causa delle restrizioni ambientali. La loro persistente manifestazione è associata al rilascio di endorfine, con un effetto analgesico a livello cerebrale (Broom D.M., 1988). Quando lo stressore è cronico, quindi, gli animali utilizzano determinate manifestazioni al fine di ridurre l’effetto deleterio di una prolungata e fisiologica risposta allo stress; i comportamenti anormali possono allora diventare una risposta appresa (allo stressore o agli stimoli che lo anticipano), proprio perché efficaci nel ridurre la risposta emotiva negativa e la risposta fisiologica allo stress (Horwitz D.F. et al., 2004).

I cambiamenti comportamentali osservati durante la restrizione spaziale e sociale nel cane (Beerda B. et al., 1999a) sono il riflesso dell’innalzamento dei loro stati di aggressione, eccitazione ed incertezza: se possono risultare indicatori non specifici di stress, sono invece indicatori potenti degli stati motivazionali-emotivi degli animali e della percezione che essi hanno dell’inadeguatezza dell’ambiente fisico e sociale in cui sono accolti (Hetts S., 1991).

(29)

Se da una parte il comportamento del cane in canile è l’espressione di un generale malessere o del tentativo di adattarsi a circostanze inadeguate, dall’altra si scopre la profonda influenza che esso esercita sui visitatori e potenziali futuri padroni dei cani: dal modo in cui gli animali si mostrano all’interno dei loro box può dipendere la loro adottabilità; ad esempio secondo un questionario somministrato ai visitatori di un canile si è potuto stabilire che la loro preferenza cade decisamente sui cani che non abbaiano nel box e sui soggetti che non restano in fondo ma che si presentano nella parte frontale della gabbia (Wells D., hepper P.G., 1992).

1.10 L’ARRICCHIMENTO AMBIENTALE

Al fine di garantire il benessere dei cani confinati in canile sono stati sviluppati diversi metodi di arricchimento ambientale, che si possono suddividere in due categorie: arricchimento animato (contatto sociale con conspecifici o con umani) ed inanimato (ad esempio presenza di giocattoli, stimoli uditivi e stimoli olfattivi) (Wells D.S., 2004). È stato infatti osservato (Wells D.L. e Hepper P.G., 1998) che i cani mantenuti in box individuali passano la maggior parte del tempo in fondo al loro box; la possibilità di collocarli assieme ad un altro soggetto o in un gruppo di soggetti potrebbe alleviare lo stress del confinamento, garantendo una maggiore complessità all’ambiente in cui gli animali vivono ed una maggiore sicurezza nell’affrontarlo. Purtroppo non è un’opzione facilmente adottabile, per l’incontrollabilità di possibili risvolti socio-sanitari o per la possibilità che gli animali si provochino danni fisici causati da aggressioni se gli abbinamenti o i gruppi dovessero essere composti in modo indiscriminato. Sicuramente il solo contatto visivo con altri cani non ha effetti sul comportamento o sulle vocalizzazioni, ma induce i soggetti a passare molto tempo nella parte anteriore del box che, come precedentemente accennato, aumentano la probabilità che siano adottati (Wells D.L. e Hepper P.G., 1998).

Il contatto con le persone risulta molto più importante del contatto con i conspecifici: è stato infatti dimostrato che sessioni quotidiane di stimolazioni tattili gentili possono essere utili a ridurre i livelli di stress (Tuber D.S. et al., 1999; Normando S. et al. 2004), come coinvolgerli nel gioco ed impartire loro i comandi di obbedienza (Coppola C.L, et

(30)

al., 2006; Luescher A.U. et al., 2007). Queste attività sociali hanno risvolti positivi nello stabilire una corretta relazione cane-uomo, che può essere impostata anche attraverso l’applicazione di programmi di terapia comportamentale, utili nel prevenire un ritorno in canile: i problemi associati a paura e iperattività sono infatti fra i più comuni nei soggetti che ritornano in canile dopo l’adozione (Serpell J.A., 1996; Wells D.L., Hepper P.G., 2000; Marston L.C. e Bennett P.C., 2003).

L’introduzione di giocattoli non ha alcun effetto significativo sul comportamento del cane nel box, ma piuttosto ne aumenta la desiderabilità agli occhi dei visitatori del canile (Wells D.L. e Hepper P.G., 1992). Si riporta che l’uso della musica ha un effetto modulatore sul comportamento di diverse specie animali; l’uso di musica classica in canili sanitari determina un aumento dei comportamenti associati al relax (in contrapposizione all’heavy metal, che causa agitazione e vocalizzazioni) (Wells et al. 2002). Anche gli stimoli olfattivi hanno notevoli proprietà: l’odore diffuso di lavanda e camomilla inducono l’incremento di posture di riposo ed il decremento delle vocalizzazioni (Graham L. et al., 2005). Un altro strumento che risulta utile per ottenere la riduzione dei comportamenti associati allo stress, in particolare dell’intensità e della frequenza dell’abbaiare è l’uso del D.A.P. (Dog Appeasing Pheromone) in canile, che potrebbe rappresentare una valida integrazione nei programmi di terapia comportamentale (Tod E. et al., 2005). Intervenendo sui problemi comportamentali identificati attraverso specifici test al momento dell’entrata in canile si può indirizzare positivamente la gestione dei cani all’interno della struttura, anche a vantaggio degli operatori, e prevedere il corso della loro integrazione (Sonderegger S.M. e Turner D.C., 1996); applicando adeguati protocolli di terapia comportamentale si può in definitiva ridurre il numero di animali che escono dalle strutture rifugio affetti da problemi comportamentali e quindi l’incidenza dei rientri dei cani in esse (Wells D.L. e Hepper P.G., 2000).

(31)

1.11 LA FLORITERAPIA DI BACH

“I fiori di Bach sono gli elementi di una cosiddetta pseudoterapia alternativa, che sta espandendosi in Francia... vi mostriamo che l’efficacia dei fiori di Bach non è dimostrata, che i principi alla base della teoria di Bach si fondano su ipotesi profondamente intuitive, appartenenti al pensiero magico...insistiamo sulla necessità di sviluppare effettivi strumenti critici...”. (Monvoisin R., 2005).

Edward Bach (1866 Moseley-1936 Sotwell), medico e omeopata gallese, è colui che ha postulato l’approccio terapeutico che oggi va sotto il nome di “rimedi floreali di Bach”. Dopo aver svolto la professione medica con l’incarico di responsabile del pronto soccorso presso l’ospedale dell’University College of London , è assunto presso il London Homeopathic Hospital, dove approfondisce la conoscenza dell’Organon di Hahnemann (1918-1922); in questo periodo, studia e prepara i cosiddetti nosodi di Bach (Leary B., 1999), nati dalla sue conoscenze di batteriologo e di omeopata. Dal 1928 incomincia a sviluppare un proprio sistema terapeutico, divergendo anche dalla metodologia omeopatica classica.

Il linguaggio utilizzato nei suoi scritti ha una forte impronta filosofica, spirituale:

“Non è la malattia da curare, poiché la stessa malattia può causare differenti risultati in persone differenti...è il paziente, il modo in cui si è ammalato...non dobbiamo meravigliarci se la mente con i suoi stati d’animo sarà la prima a mostrare i sintomi della malattia, ed essendo così sensibile sarà per noi una guida migliore...curate il paziente secondo lo stato d’animo, secondo il carattere, l’individualità” (Bach E., Wollington, 1936); “la ragione principale del fallimento della scienza medica sta nel fatto che essa si occupa degli effetti e non delle cause...ciò che noi consideriamo come malattia è lo stadio terminale di un disordine molto profondo...non potrà mai essere alleviata con i metodi materiali finora adottati perché la sua origine non risiede nel materiale. Ciò che definiamo malattia è il risultato finale organico dell’azione bloccante di forze interne profonde” (Bach E., 1931). Compito del terapeuta quindi è accompagnare il paziente lungo un percorso di autocoscienza, che include l’attitudine all’ascolto delle proprie emozioni ed alla corretta interpretazione delle proprie reazioni.

(32)

Il suo approccio clinico, che riconosce gli stati d’animo negativi e i blocchi emotivi quale principale fattore patogenetico, potrebbe oggi essere valutato alla luce di alcune recenti acquisizioni nel campo della medicina psicosomatica, della neuroendocrinologia e della neurobiologia.

Si riconosce infatti che uno squilibrio, comunque determinato, del sistema nervoso autonomo gioca un ruolo importante in un ampio range di disturbi mentali e fisici; il decremento del tono parasimpatico e la dominanza relativa del tono simpatico possono portare a situazioni psicologiche e somatiche di tipo patologico; il protrarsi di questa condizione è strettamente associato alla notevole mortalità e morbilità che si incontrano negli stati emotivi e negli atteggiamenti negativi (Thayer J.F., Brosschot J.F., 2005); a sua volta il sistema neuroendocrino gioca un ruolo chiave nell’integrare i comportamenti, l’attività del sistema nervoso autonomo ed il metabolismo, coinvolti nei processi di adattamento all’ambiente; gli stimoli che alterano la sfera emotiva possono contribuire allo sviluppo di disordini psicosomatici, attraverso l’alterato rilascio di prolattina, vasopressina, endorfine e neuropeptidi (Bohus B., 1984).

Lane (2006) afferma che i sentimenti negativi non espressi e non portati a livello conscio possono, se prolungati o intensi, avere un impatto negativo sulla salute; la difficoltà di processare consciamente le proprie risposte emotive prolunga la durata stessa di questi stati emotivi. Quindi l’esplicitazione delle emozioni ha un effetto modulatorio sui processi impliciti (inconsci); l’alexitimia e gli atteggiamenti repressivi sono entrambi ritenuti causa di disordini psicosomatici, ed entrambe le sindromi includono un deficit nell’esprimere e nel fare esperienza della propria sfera emotiva (Mueller J., Buehmer M., 2006).

La continua soppressione delle emozioni durante le reazioni di lotta o fuga (fight or flight) genera a livello cerebrale una neurotossicosi che interferisce con la neurotrasmissione, causando depressione; a seguito di crisi di detossificazione, l’eccesso di norepinefrina causa sintomi che variano dall’ansia di modica entità al comportamento violento: questo shift comportamentale si riscontra alla base di disordini

Figura

Tabella 1.1: soggetti appartenenti al 1°gruppo
Tabella 2.1: soggetti appartenenti al 2°gruppo
Tabella 2.1: posture e movimenti
Tabella 2.2: vocalizzazioni
+7

Riferimenti

Outline

Documenti correlati

Objective –To evaluate the efficacy of Recuvyra, a modern transdermal solution of fentanyl for the treatment of intra-operative and post-operative pain in laparoscopic ovariectomy

Secondo i cultori dei fiori di Bach, i rimedi floreali hanno un effetto molto sottile sugli stati mentali ed influiscono solo indirettamente sul corpo ma tuttavia, il

• Iperadrenocorticismo surrene-dipendente (ADH, adrenal-dependent hyperadrenocorticism) – L’ecces- so di cortisolo viene prodotto come conseguenza di un tumore funzionale

Quando si forma l’intussuscezio- ne, le contrazioni longitudinali e circolari della parete in- testinale normale adiacente all’area della disomogeneità inducono la dislocazione

Nei cani con diarrea del grosso intestino, la diagnosi più frequente è di colite (in- fiammazione [IBD] del colon), benché rivestano molta im- portanza e vadano considerate

14 del TUSL prevede che il provvedimento debba essere adottato in caso di impiego di personale “in nero” in misura pari o superiore al 10% del totale dei lavoratori

Centaury è considerato lo “zerbino” dei Fiori. Non riesce a dire di no anche quando gli costa fatica, altrimenti si sente in colpa. Percepisce i bisogni altrui ancora

Con l'introduzione della Biopsia del linfonodo sentinella (SLNB) e la comprensione dell'importanza delle caratteristiche biologiche del tumore primitivo si è