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Herakles en Athenais. Santuari di Eracle ad Atene

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere Corso di Laurea in Archeologia

ANNO ACCADEMICO 2012 – 2013

CANDIDATA Elena Orsini RELATORE

Prof.ssa Morella Massa CONTRORELATORE Prof. Maurizio Paoletti

Ἡρακλῆϛ ἐν Ἀθήναιϛ

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Sommario

1. IL MITO DI ERACLE ... 2

1.1 Eroe o dio? Eracle nell’epica antica ... 2

1.2 Quanti Eracli? ... 7

1.3 L’apoteosi ...11

1.3.1 Influenze esterne? ...11

1.3.2 Quando? ...15

2. IL CULTO DI ERACLE ...21

2.1 Culto eroico e culto divino ...21

2.2 Il caso di Eracle ...24

2.3 Il culto di Eracle in Attica ed Atene ...26

3. SANTUARI D’ATENE ...29

3.1 Il santuario di Pankrates ...29

3.1.1 Scavi, storia e struttura...29

3.1.2 Culto ...34

3.1.3 Conclusioni ...43

3.2 Il santuario di Herakles Alexikakos ...49

3.2.1 Il demo di Melite ...49

3.2.2 Posizione del santuario ...53

3.2.3 Conclusioni ...71

3.3 Il santuario di Herakles nel Cinosarge ...76

3.3.1 Il Cinosarge ...76 3.3.2 Topografia ...80 3.3.3 Conclusioni ...96 4. ALTARI DI ERACLE ...111 5. FESTE DI ERACLE ...114 6. CONCLUSIONI ...118 BIBLIOGRAFIA ...122

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1. IL MITO DI ERACLE

1.1 Eroe o dio? Eracle nell’epica antica

“[…] οὐκέτι πρόσω

ἀβάταν ἅλα κιόνων ὑπὲρ Ἡρακλέος περᾶν εὐμαρές, ἥρως θεὸς ἃς ἔθηκε ναυτιλίας ἐσχάτας

μάρτυρας κλυτάς […]”

Pind. N. 3, 20-23

Fra i tanti personaggi del variegato repertorio mitico greco, il figlio di Zeus e Alcmena è forse da considerarsi come l’eroe per antonomasia, colui che ha saputo spingere più in là di ogni altro i limiti umani, trascendendoli infine e conquistandosi un posto fra gli dei1.

I racconti mitici relativi ad Eracle lasciano tuttavia aperta una questione di non trascurabile importanza ai fini del presente studio: quella delle origini. Prima di giungere alla sua forma definitiva il mito è evidentemente nato, è passato attraverso una fase d’iniziale instabilità, ha subito un processo evolutivo più o meno lungo. Dobbiamo allora immaginare un Eracle concepito già in principio come mortale che raggiunge lo status divino, oppure un Eracle inizialmente uomo fra gli altri uomini, per quanto straordinario? E in questo secondo caso in quale momento e perché l’apoteosi è venuta ad arricchire il ciclo? Nel tentativo di dare una risposta a queste domande, il punto di partenza non può che essere costituito dalle fonti più antiche in materia.

Le prime menzioni di Eracle si trovano già nei poemi omerici2: nell’Iliade ci si trova di fronte ad un eroe contraddistinto da una straordinaria forza fisica3; eroe sì, ma pur sempre

1

Oltre a lui in questa impresa riuscì soltanto Dioniso.

2 Per quanto riguarda la presunta origine dorica del mito, già il fatto che esso compaia in Omero è indice rivelatore di

una diffusione di molto precedente alla cosiddetta invasione dorica, senza contare le numerose attestazioni legate a Tebe, ad Argo, all’Attica: cfr. Farnell 1921, pp. 103ss.

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3

mortale. In quanto uomo Eracle non può fuggire la κῆρα, e la fine arriva anche per lui4. Nell’Odissea i riferimenti sono meno frequenti, ma rimane indubbia l’associazione con le idee di forza bruta e violenza5; cosa più importante, qui si trova il primo riferimento alla divinizzazione del personaggio6, presente poi in Esiodo7, nonché nell’inno omerico Ad Eracle (di incerta datazione: è comunque probabile che sia anteriore al VI secolo a.C.8).

A partire da queste premesse, gli studiosi si sono sostanzialmente divisi in due schieramenti: coloro che sono a favore dell’idea di una divinizzazione precoce dell’eroe, assorbita già dall’epica antica, e coloro che ritengono più ragionevole una divinizzazione tarda, fiorita nel mito di età arcaica e soprattutto classica. A onor del vero, devo qui precisare che il terreno di scontro non riguarda tanto l’apoteosi in sé, quanto il fatto di poterla sfruttare o meno per la datazione delle opere esiodee. Dunque la distinzione effettiva è fra chi ritiene la parte finale della Teogonia e il Catalogo composti alla fine del VI secolo a.C., basandosi – fra gli altri argomenti – sul fatto che la divinizzazione di Eracle (in essi presente) è un tema risalente a quell’epoca9, e chi giudica invece pericoloso costruire una simile ipotesi su basi tanto vacillanti, appunto perché l’apoteosi eraclea è da considerarsi nota già in precedenza10. Poco cambia per noi, in quanto, qualsiasi sia il punto di vista, si rende necessario un esame attento del mito. Molto si gioca sulle presunte interpolazioni del testo omerico e dei frammenti esiodei: secondo West sarebbero da considerare tali sia i vv. 602-607 del libro XI dell’Odissea che i vv. 947-955 della Teogonia, in aggiunta ai vv. 26-33 del fr. 25 del Catalogo11; tutti i passi insomma in cui compaiono riferimenti espliciti al carattere divino di Eracle. A favore dell’interpolazione nei versi della νέκυια omerica si è espresso anche Solmsen: “Once people knew of Herakles’ admission to Olympus, they would not tolerate his presence in the underworld”12. Di avviso contrario è Debiasi: lo studioso non interviene in merito ai versi omerici, ma fa osservare come non manchino rimandi all’apoteosi disseminati altrove nell’epica antica: oltre che nel già menzionato inno Ad Eracle, anche nella Titanomachia13 attribuita ad Eumelo di Corinto14; evidentemente non si trattava di un tema sconosciuto.

4

In Hom. Il. XVIII 117-119 è contenuto un esplicito riferimento alla morte di Eracle: non c’è traccia di quel processo di divinizzazione caro alla tradizione più tarda.

5

Cfr. Hom. Od. VIII 223-225; XXI 25-30.

6

Hom. Od. XI 601-604.

7 Hes. Theog. 950-955; Cat. frr. 25, 26-33 e 229, 7-13 M.-W. 8

Cfr. Cassola 1975, pp. 336-337.

9

Cfr. West 1966 e West 1985.

10 A questo proposito vd. il recente l’intervento di Debiasi: Debiasi 2008, pp. 42-43. 11 Cfr. West 1966, pp. 416-417 e West 1985, p. 169.

12

Solmsen 1981, p. 355; più neutre erano state le osservazioni di Burkert: cfr. Burkert 2003, p. 397.

13 Cfr. Debiasi 2008, p. 43. 14

Di Eumelo di Corinto non si sa molto: appartenente alla potente famiglia dei Bacchiadi, visse a cavallo fra VIII e VII secolo a.C., partecipando fra l’altro alla fondazione di Siracusa nel 734 o 733 a.C.. Per un quadro più completo della cronologia e delle opere di questo poeta vd. Debiasi 2004.

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4

Ma quali sono le nostre certezze? Noi disponiamo di determinati testi epici e di una serie di scoli e segni diacritici ad essi relativi tramandatici dalla tradizione antica: questo è un fatto. Il significato di questi segni e di questi scoli è pure indubbio. Ciò che invece è suscettibile d’interpretazione è la loro motivazione. Sarà utile riepilogare brevemente gli elementi in nostro possesso:

a) lo scolio a Od. XI 601 espunge i vv. 602-607, attribuendoli al più tardo poeta Onomacrito (figura di spicco ad Atene negli ultimi decenni del VI secolo a.C.); b) lo scolio a Theog. 943 condanna i vv. 947-955;

c) il PBerol 9777, che riporta il fr. 25 M.-W. del Catalogo, presenta l’ὀβελός in corrispondenza dei vv. 26-33 (indicati quindi come spuri).

Per quanto riguarda il passo omerico lo scolio rivelerebbe, stando a West, l’imbarazzo della critica antica di fronte a quello che percepiva come un chiaro anacronismo, provocato dall’interpolazione attuata da Onomacrito (o da fonti comunque non anteriori al VI secolo a.C.). Quanto all’interpolazione in sé, andrebbe spiegata con il tentativo di giustificare la pur tarda divinizzazione di Eracle ricorrendo all’autorità omerica. Premettendo che ci troviamo qui nel campo delle ipotesi, non mi sembra comunque che ci siano validi motivi per ritenere che West sia fuori strada, se non nell’individuare le ragioni dell’operazione onomacritea, quantomeno nel sostenere che vi sia effettivamente stato un intervento successivo. L’Iliade non fa il minimo cenno all’ingresso di Eracle fra gli dei, pur accennando alla sua morte15; quanto all’Odissea, è interessante notare come essa, al di fuori del passo incriminato, mantenga l’idea sostanziale di un Eracle uomo, inserito fra gli ἀνδράσι δὲ προτέροισιν e contrapposto per natura agli dei16. In relazione alla sola Odissea, si potrebbe osservare che l’antitesi è solo apparente: dopotutto si tratta di episodi che precedono la morte di Eracle, e di conseguenza la sua apoteosi. Sarebbe dunque perfettamente legittimo presentare un Eracle ancora del tutto umano. Rimane però un’impressione generale di stonatura, nonché il totale silenzio dell’Iliade in merito. Del resto gli stessi versi oggetto dell’interpolazione sembrano inseriti a forza nella composizione: interrompono la sequenza tipica della νέκυια, che potremmo individuare

nella struttura indicazione del personaggio – descrizione – conversazione con Odisseo (quest’ultimo elemento non sempre presente), finendo per appesantirla e rallentarla proprio in una fase in cui essa scorre con particolare vividezza e rapidità (così si susseguono le immagini di Tizio, Tantalo, Sisifo). Certo, anche in questo caso è legittimo

15

Cfr. supra p. 3 nota 4.

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avanzare delle obiezioni: potrebbe trattarsi di un espediente voluto per sottolineare l’importanza del personaggio, ad esempio. Ma a questo proposito mi sentirei di far valere ancora l’osservazione di poco fa: permane una sensazione di incongruenza. Nel complesso abbiamo a che fare con un insieme di impressioni e di indizi: gli unici punti fermi sono la morte di Eracle nell’Iliade e lo scolio da cui siamo partiti. Pure, valeva la pena soffermarvisi.

Più delicata risulta la questione dei versi esiodei. West ha equiparato lo scolio a Theog. 943 e l’espunzione segnalata nel fr. 25 del Catalogo allo scolio omerico già visto, considerandoli dunque indizi del disagio della critica antica di fronte a un tema adombrato nei cicli epici, eppure ad essi posteriore. In realtà lo scolio a Theog. 943 sembrerebbe espungere i vv. 947-955 per un’altra ragione: a partire dal v. 945 inizia un elenco di unioni e discendenze divine sia per parte di padre che per parte di madre, ed è pertanto avvertita come incongrua in questo contesto la menzione del connubio fra Dioniso e Ariadne, nonché di quello fra Eracle ed Ebe17. Ciò non necessariamente implica che l’espunzione non possa aver avuto un secondo fine, ma qui si entra nel campo della pura speculazione. Quanto al fr. 25, secondo Debiasi i vv. 26-33 verrebbero eliminati perché perfettamente coincidenti con i vv. 7-13 del fr. 229: l’impressione sembrerebbe rafforzata dal fatto che il medesimo fr. 229, conservato nel POxy XXVIII 2493, non presenta espunzioni di sorta18. Sono affermazioni non del tutto legittime, se si considera che:

1) la coincidenza riguarda solo alcuni dei versi: più precisamente la corrispondenza è fra i vv. 28-33 del fr. 25 e i vv. 8-13 del fr. 229 (con la sola alternanza καλλ[ίσ]φυρον Ἥβην /με α [ Ἥβην rispettivamente dei vv. 28/8). Rimangono isolati il v. 7 del fr. 229 e soprattutto i due vv. 26-27 del fr. 25: questi ultimi vengono però espunti al pari dei successivi, e dal momento che proprio con essi viene introdotto il tema dell’apoteosi non mi sembra irragionevole supporre che la loro atetesi – nonché quella dei versi seguenti – sia dovuta al contenuto più che all’identità con altri passi;

2) parlare di assenza dei segni d’espunzione in corrispondenza del fr. 229 nel POxy XXVIII 2493 è una scelta arbitraria, viste le frammentarie condizioni del papiro (fig.1): tutta la sezione verticale d’inizio colonna – la zona in cui l’ὀβελός avrebbe potuto fare la sua comparsa – è andata perduta19, come del resto quella finale, e ci è conservato solo un limitato spicchio centrale. Nel caso del fr. 25, al contrario, il margine interessato dalla presenza dell’ὀβελός ci è pervenuto intatto. 17 Schol. ad Theog. 943: ἀϑετοῦνται ἐφεξῆς στίχοι ἐννέα. τοὺς ὰρ ἐξ ἀμϕοτέρων ϑεῶν ενεαλο εῖν αὐτῷ πρόκειται. 18 Debiasi 2008, pp. 42-43. 19

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6

Figura 1: POxyXXVIII 2493

In definitiva possiamo forse considerare la divinizzazione eraclea un tema assente nei poemi omerici, forse anche contestarne la comparsa nel Catalogo esiodeo e avere qualche sospetto, seppur labile, sul relativo passo della Teogonia; ciononostante, mi sembra ci siano comunque elementi sufficienti per mettere in dubbio l’ipotesi di una sua totale assenza nell’epica originaria tout court, e per ‘originaria’ si vuole qui intendere senza le interpolazioni successive teorizzate da West: l’inno Ad Eracle e le altre testimonianze epiche20 risultano difficili da ignorare. Fino ad ora – si potrà osservare – ho accettato come postulato l’ipotesi che gli interventi della critica antica abbiano avuto l’obiettivo di restituire un testo epico genuino, senza interrogarmi su un’eventuale differente motivazione; c’è tuttavia la possibilità che i suddetti interventi abbiano avuto lo scopo di ‘ritoccare’ il testo, cancellando parti originariamente presenti col pretesto delle interpolazioni: il tutto per eliminare ogni traccia di un tema – quello dell’apoteosi – che nell’immaginario collettivo si riteneva nato con la ceramica attica di età arcaica, o comunque ad essa strettamente associato21. In questo caso è evidente che la divinizzazione di Eracle sarebbe da considerare presente non solo in varie opere esiodee, ma anche nell’Odissea. Tuttavia la sua assenza nell’Iliade continuerebbe a suscitare perplessità: dovremmo pensare o che almeno lo scolio alla νέκυια sia genuino – come già proposto22 –, oppure che l’apoteosi sia stata elaborata nel tempo intercorso fra Iliade e Odissea: in ogni caso sarebbe un tema presente nell’epica, solo non concepito fin dal principio.

20 Cfr. Marcotte 1988, pp. 252-253. 21 Cfr. infra pp. 15-18. 22 Cfr. supra. pp. 4-5.

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1.2 Quanti Eracli?

“Quamquam quem potissimum Herculem colamusscire sane velim; pluris enim tradunt nobis ii qui interiores scrutantur et reconditas litteras […]”

Cic. N.D. 42

La tarda tradizione mitica greca sembra aver lasciato cadere nell’oblio le tracce di più dei dal nome Eracle, in origine coesistenti. Non solo: Eracli di provenienza altra rispetto al mondo ellenico fanno non di rado la loro comparsa, nelle fonti greche come in quelle latine. Tali fonti non possono che costituire il nostro punto di partenza nel tentativo di stabilire quanti personaggi siano coinvolti. Particolarmente interessanti risultano le testimonianze di Erodoto e Diodoro Siculo: Erodoto fa riferimento ad un unico Eracle divino greco, tracciandone i rapporti con un dio del pantheon egiziano23; Diodoro Siculo riprende la questione del dio egizio, ma quanto al mondo greco distingue fra un Eracle figlio di Zeus e Alcmena, vissuto poco prima della guerra di Troia, e un più antico Eracle di origine cretese, fondatore dei Giochi Olimpici24. Cicerone elenca – sparsi per il bacino del Mediterraneo e anche oltre – sei Eracli differenti, di cui il più giovane sarebbe da identificarsi con l’Eracle figlio di Zeus e Alcmena venerato anche a Roma (val la pena accennare che lo Zeus/Giove padre dell’eroe sarebbe il terzo: anch’egli a quanto pare annoverava parecchie versioni)25. A distanza di secoli Servio nel suo commentario all’Eneide osserva che il nome ‘Eracle’ era stato attribuito a molti uomini che avevano compiuto imprese di gran forza: Varrone stesso l’aveva già notato, contando non meno di quarantatrè Eracli26. Tuttavia la testimonianza di Varrone – così come riportata in Servio – rimane limitata all’utilizzo del nome ‘Eracle’ in qualità di epiteto attribuito a semplici uomini; non si tratta qui di eroi divinizzati, motivo per cui l’attestazione risulta di scarso rilievo ai fini della presente ricerca.

Eracle, o meglio l’entità cui i Greci attribuirono questo nome, godette di una popolarità veramente straordinaria: abbiamo notizie non solo di un parallelo egiziano27, ma anche di

23 Hdt. II 43 1. 24 Diod. V 74 4. 25 Cic. N.D. III 42. 26

Serv. ad Aen. VIII 564: tunc enim, sicut et Varro dicit, omnes qui fecerant fortiter, Hercules vocabantur: licet eos

primo XLIII enumeraverit. hinc est quod legimus Herculem Tirynthium, Argivum, Thebanum, Libym.

27

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8

uno indiano28 e di uno fenicio29; la sua versione greca inoltre seppe penetrare in Italia, in Magna Grecia, in Sicilia, in Asia, di volta in volta assorbito e rielaborato dalle singole civiltà. Un essere unico identificato con nomi talvolta differenti, ma con caratteristiche sempre simili: coraggio indomito, forza guerriera, capacità di elevarsi al di sopra dell’umana condizione. In breve, un uomo superiore. La sua presenza in molteplici culture non può stupirci se ci soffermiamo a considerare che il superuomo non è concetto esclusivo di un popolo, né tantomeno di un’epoca; è invece una qualità intrinseca del pensiero umano: nel momento in cui l’uomo prende atto dei suoi limiti, avverte anche l’esigenza di oltrepassarli. Così l’eroe e/o dio viene a costituire una sorta di speculum civitatis, se così possiamo definirlo: rappresenta al tempo stesso la realtà e le aspirazioni della coscienza di un popolo.

L’intento in questo frangente è di limitare il campo d’indagine agli antecedenti dell’Eracle greco e naturalmente ai rapporti che si vennero ad instaurare fra l’uno e gli altri. Non è ben chiaro quale modello debba essere considerato come il più antico: il dio egizio assimilato a Eracle30 – stando alla testimonianza erodotea – sarebbe stato introdotto al momento di passaggio del pantheon da otto a dodici dei, come una delle nuove divinità31. Questa evoluzione si sarebbe verificata circa 17000 anni prima del regno di Amasi32. Un’indicazione in proposito ci viene data anche da Diodoro, secondo il quale gli Egizi avrebbero fatto risalire il loro ‘Eracle’ al momento in cui l’uomo comparve sulla terra, ossia oltre 10000 anni prima della guerra di Troia33. Si può osservare come non vi sia accordo fra le cronologie proposte dai due autori: considerando che la guerra di Troia veniva collocata nel XIV sec. a.C.34 e il regno di Amasi nel VI sec. a.C., la datazione tramandata da Erodoto risulta molto più alta. In ogni caso pare innegabile che l’Eracle egiziano avesse origini molto lontane nel tempo: interessante il fatto che il più tardo Macrobio parli del culto di questo dio come di una tradizione con radici antichissime, al punto da poter essere considerata priva di un inizio35. Quanto all’Eracle fenicio, era venerato soprattutto a Tiro: Cicerone lo considera il quarto Eracle, più recente non solo di

28

Cic. N.D. III 42; Arr. Ind. 8, 9.

29

Hdt. II 44 1-5; Paus. V 25 12; Cic. N.D. III 42; Macr. Sat. I 20 7.

30 Variamente riconosciuto in divinità del pantheon egiziano quali Khonsu, Horus , Shu (ma in un papiro greco al dio

Anhur, apparentemente non distinguibile da Shu, viene fatto corrispondere Ares: cfr. Leiden Papyrus U, in Wilcken 1905). Nel complesso risulta difficile risalire a un’identificazione univoca: è comunque possibile che i Greci

ricollegassero a Eracle più figure divine egiziane.

31

Hdt. II 43 4.

32

“Amasi” era il nome con cui i Greci conoscevano Ahmose II, faraone della ventiseiesima dinastia: regnò molto probabilmente fra il 570 e il 526 a.C. e fu l’ultimo grande sovrano d’Egitto prima della conquista persiana.

33 Diod. I 24 1-2. 34

Non v’è dubbio che questa sia anche l’opinione dei due diretti interessati: Erodoto colloca la guerra di Troia poco meno di 900 anni prima del suo tempo (Hdt. II 145 4); Diodoro conta meno di 1200 anni fra la guerra e la

contemporaneità (Diod. I 24 2).

35

Macr. Sat. I 20 7: “(…) verum sacratissima et augustissima Aegyptii cum religione venerantur, ultraque memoriam,

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9

quello egizio, ma anche di quello cretese36. Pare che fosse decisamente più antico di quello greco: Erodoto ebbe modo di visitarne due templi, l’uno a Tiro e l’altro a Taso37, entrambi fondati ben prima della nascita del figlio di Alcmena38. Difficile nel complesso individuarne l’epoca; mi sembra tuttavia interessante a questo proposito l’identificazione col dio Melqart, esplicitamente attestata da fonti antiche (per quanto la ragione dietro questo processo d’assimilazione non sia del tutto chiara)39: Melqart è infatti sconosciuto al pantheon fenicio del II millennio a.C., e viene menzionato per la prima volta in un’iscrizione del IX sec. a.C..40; il suo culto era molto diffuso in Siria e nelle colonie fenicie dell’Occidente, in particolare a Cadice e a Cartagine, e finì per penetrare anche in ambiente ebraico. Quanto agli Eracli genuinamente greci, abbiamo notizia di due figure distinte41: il già citato Eracle cretese e naturalmente il figlio di Zeus ed Alcmena. Diodoro ci informa del fatto che il primo precedette nel tempo il secondo, ma non disponiamo di indicazioni più precise; la vita dell’Eracle più giovane si sarebbe invece dipanata poco prima della guerra di Troia42.

L’Eracle egiziano avrebbe avuto per padre Amon/Zeus, oppure il Nilo stesso (sconosciuta in entrambi i casi la madre)43; caratterizzato da un eccezionale vigore fisico, avrebbe viaggiato in lungo e in largo per le terre abitate, uccidendo bestie feroci e punendo ingiustizie, e innalzando peraltro le colonne libiche. Le sue azioni portarono grande beneficio agli uomini, che non tardarono a riconoscergli il rango di immortale e a tributargli onori divini44. L’Eracle di Tiro era considerato figlio di Zeus e Asteria45 (forse da identificare con la divinità semitica ‘Ashtart), ma quanto a imprese compiute non sembra si differenziasse da quello egiziano: non è inverosimile che si trattasse della medesima divinità46. E giungiamo infine ai due supposti Eracli greci. Si riteneva che il più antico fosse uno dei Dattili Idei, ovvero demoni collegati col culto delle forze telluriche, inventori della metallurgia e della musica e appartenenti al seguito di Rea, gran madre degli dei47; questo Eracle era noto per essere un mago48, fondatore dell’altare di Zeus ad Olimpia49

36

Cic. N.D. III 42.

37

In seguito a Taso l’Eracle di Tiro venne rimpiazzato dall’Eracle greco: cfr. Paus. V 25 12.

38 Per l’esattezza il tempio di Tiro – a detta dei sacerdoti del culto - era stato fondato insieme con la città, ossia circa

2300 anni prima; il tempio di Taso invece era stato costruito al tempo della ricerca di Europa, cinque generazioni prima dell’Eracle greco (Hdt. II 44 3-4).

39 Cfr. Farnell 1921, pp. 142-145. 40

Cfr. infra p. 12.

41

Cfr. supra p. 7 con note 23 e 24.

42 Diod. I 24 2: una generazione prima della guerra di Troia; cfr. Hdt. II 145 4. 43

Per Diodoro (I 24 3) Eracle era figlio di Zeus, per Cicerone (N.D. III 42) del Nilo.

44

Diod. V 74 4, 76 1-2.

45 Athen. 392d (riassume una storia di Eudosso di Cnido); Cic. N.D. III 42. 46 Cfr. Movers 1840-56, pp. 415ss.

47

Secondo il mito Rea, incinta di Zeus, avrebbe toccato il suolo del Monte Ida a Creta, e da esso sarebbero emersi i demoni (il loro numero è incerto: 3, 5, 10, 20, 32 o 100) per aiutarla nel parto. Da qui Il loro nome, “Dita dell’Ida”; in realtà esso potrebbe derivare anche dalla loro straordinaria abilità manuale.

48

Diod. V 74 4.

49

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10

nonché dei Giochi Olimpici stessi50. In realtà questo personaggio lascia alquanto perplessi: laddove gli altri sono accomunati dall’immagine di un eroe/dio robusto, senza legami particolari con altre divinità e certo senza interesse per la metallurgia o per la musica, l’Eracle cretese si presenta come un Dattilo Ideo, uno dei nani inventori delle arti. Il contrasto non potrebbe essere più stridente. Possibile che a Creta fosse diffusa questa versione sui generis dell’eroe? Va precisato che Creta non ha restituito alcuna prova archeologica di un simile culto, né in età ellenica che pre-ellenica: non un altare, non un’iscrizione, niente51. Non possiamo tuttavia liquidare la questione considerando il tutto una mera invenzione della letteratura più tarda. La più antica attestazione sembrerebbe infatti risalire ad Onomacrito52; ne troviamo altre in Diodoro, Pausania e Cicerone. Se Diodoro, Pausania o Cicerone sono effettivamente fonti più tarde, con Onomacrito siamo nell’età pisistratide. L’ipotesi più ragionevole è che a Creta in qualche modo il mito greco originario si sia saldato a quella grande divinità femminile locale identificata sul continente con Rea, e che abbia acquisito poi caratteri peculiari sotto l’influenza di elementi esterni53; non è infatti possibile riconoscere nell’Eracle Dattilo un’invenzione puramente greca: troppo grande è il divario fra l’immagine tradizionale e questa sua rivisitazione54. Nel complesso pare legittimo ritenere l’Eracle cretese la manifestazione di un ramo secondario della tradizione greca; una sorta di appendice – se vogliamo – formatasi a partire dal mito originario, ma affermatasi piuttosto tardi e comunque sempre marginale.

50

Diod. V 64 6; Paus. V 7 6, V 8 1.

51 Peraltro sembra che avesse trovato poco spazio qui lo stesso Eracle tradizionale: non compare mai nel gran numero

di iscrizioni cretesi, sia pubbliche che private, ed è probabile che fosse semplicemente incluso nel novero degli eroi oggetto di un culto generico.

52 La testimonianza è indiretta in quanto riportata da Pausania (VIII 31 3), ma possiamo ragionevolmente supporre che

il Periegeta avesse avuto modo di leggere i versi di Onomacrito, o quanto meno dei versi pubblicati a suo nome.

53

In particolare andrebbe qui riconosciuta un’influenza eleatica: così Lobeck 1829, pp. 1168-1178. Per una trattazione più approfondita vd. Farnell 1921, pp. 125-131.

54

Non è neppure ipotizzabile che ci sia stata sul continente l’assimilazione di una figura originariamente cretese: ciò innanzitutto perché non si hanno tracce di un simile personaggio nel repertorio cultuale dell’isola, e poi perché tali processi di assimilazione partivano inevitabilmente dal riconoscimento di certe somiglianze fra le entità coinvolte.

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1.3 L’apoteosi

1.3.1 Influenze esterne?

L’Eracle greco originario era dunque uno solo, il figlio di Zeus e d Alcmena: la domanda che a questo punto sorge spontanea è se abbia o meno subito l’influenza dei suoi predecessori, e se sì in che misura. Già il nome, Ἡρακλῆς55, si rivela un prezioso indizio: è

innegabile che abbia un’origine genuinamente greca, dal momento che risulta costruito – come del resto attestato da più fonti56 – a partire dall’unione di Ἥρα e κλέος (‘la gloria di

Era’): rientra nel meccanismo di fusione primo termine + κλέος che conosce particolare fortuna in età classica (basti pensare a nomi come Agatocle, Diocle, Sofocle, Pericle). È un nome del tutto legittimo: i genitori certo avrebbero potuto omaggiare in tal modo la dea dell’amore e del matrimonio che aveva loro assicurato una discendenza. Quanto alle imprese compiute, Diodoro afferma che il figlio di Alcmena ereditò non solo il nome, ma anche i successi dell’Eracle egiziano in virtù della sua condotta di vita, tanto simile a quella del predecessore. Anche ammettendo che le cose si siano effettivamente svolte in questo modo, bisogna riconoscere che l’eredità in questione dovette essere alquanto ridotta: le azioni che videro protagonista il dio egizio si presentano in forma nebulosa, visto il tono molto generico della loro descrizione; l’unica impresa chiaramente definita è il già citato innalzamento delle colonne libiche. In ogni caso mi sembra evidente che si tratta di episodi marginali: il cuore del mito ellenico era costituito dalle dodici fatiche, della cui grecità certo non si può dubitare. Ciononostante, non c’è ragione di respingere in toto l’idea di influenze di un qualche tipo: nell’iconografia, per esempio. Diodoro osserva che la clava e la pelle di leone sono attributi appropriati per l’antico dio egizio, in quanto all’epoca delle sue gesta gli uomini usavano bastoni e pelli animali come armi ed armature57; più interessante risulta però il caso del dio fenicio Melqart.

55 Sul nome dell’eroe/dio non possono esservi dubbi, nonostante non manchino nelle fonti allusioni a nomi differenti.

A questo proposito vd. Farnell 1921, p. 99.

56

Diod. I 24 4; Macr. Sat. I 20 10.

57

(13)

12 Figura 2, sinistra: Melqart dotato di arco cavalca un ippocampo alato in una moneta da Tiro (fine IV-inizio III

sec.a.C.)

Figura 3, sinistra: Testa di Melqart con pelle di leone e simbolo della clava in una moneta da Gades (II-I sec.a.C.)

Figura 4: Stele di Melqart da Breg (IX sec.a.C.)

Premetto che l’iconografia relativa a questa particolare divinità è incerta, poiché gli unici casi che permettono un’identificazione sicura sono una serie di monete coniate per lo più fra il III ed il I sec. a.C. (figg.2 e 3) e una stele rinvenuta nel 1939 nel sito di Breg , qualche km a nord di Aleppo58 (fig.4): sulle monete Melqart appare caratterizzato da clava e pelle di leone, ma – data l’età piuttosto tarda – si tratta del prodotto dell’influenza greca59, dunque non rilevante in questo contesto; la stele tuttavia risale al IX sec a.C. – fase in cui il mito greco non era ancora sviluppato – e in essa Melqart appare barbato, con un berretto conico, vestito di un corto gonnellino di tipo egiziano e tenente con la sinistra un’ascia, con la destra invece un oggetto non ben identificabile (forse un ankh). L’immagine del dio barbato che regge un’ascia potrebbe forse aver suggerito gli attributi più classici dell’Eracle greco. Non vuole questa essere un’ipotesi, data anche la mancanza di elementi concreti su cui basarsi, ma un semplice pensiero sulle possibili future ricerche in questo ambito. Detto questo, un tratto che l’Eracle greco potrebbe aver derivato da fonti esterne è proprio la divinizzazione: non che si tratti di un processo sconosciuto al mito greco, tutt’altro60. Vorrei tuttavia fare un paio di osservazioni.

58 Sconosciuta a Farnell 1921, pp. 142-145. 59 Cfr. anche Head 1911, nn° 3 e 886. 60

(14)

13

1) In primo luogo mi pare che diversi indizi segnalino l’esistenza di un Eracle ellenico inizialmente solo uomo:

a) le già citate attestazioni epiche del personaggio (apoteosi verosimilmente assente quantomeno nei poemi omerici);

b) il significato stesso del nome Ἡρακλῆς, ‘la gloria di Era’: sarebbe stato perfettamente adatto ad indicare un uomo, ma non certo a connotare un dio immortale61 (sarebbe parso alquanto strano se un dio avesse avuto un nome che rendeva omaggio ad un'altra divinità!);

c) la mancanza di attestazioni relative ad un Eracle dio fin dal principio e in compenso la diffusione dell’idea del passaggio da uomo a eroe, e da eroe a dio. Erodoto per la verità tenta di dimostrare che l’Eracle dio olimpico del mondo greco coincide con l’Eracle egiziano: non un rapporto di derivazione più o meno stretto, ma una vero e proprio trasferimento su suolo greco del modello di partenza, nome compreso. L’eroe greco sarebbe stato invece un semplice uomo, figlio di Anfitrione e Alcmena: i genitori – entrambi di origine egizia62 – gli avrebbero dato nome ‘Eracle’ per ricordare la terra d’origine e insieme auspicare per il figlio un futuro di grandezza. Quindi per Erodoto va distinto l’Eracle dio di origine egizia dall’Eracle uomo – per lui personaggio reale – figlio di due mortali: un dio che fu tale fin dal principio e un uomo che rimase tale fino alla fine. A questo proposito sottolinea anzi come si trovino nel giusto quei Greci che praticano un culto duplice, compiendo sacrifici per l’Eracle divino ma portando offerte per l’Eracle umano63. Ora, non v’è alcun dubbio sul fatto che un simile sdoppiamento di pratiche cultuali debba essere ricondotto alla dualità del personaggio Eracle; ma con ogni probabilità tale dualismo non era espresso dal rapporto dio egizio – uomo greco, bensì da quello eroe greco dei primordi – eroe greco divinizzato. Erodoto resta solo nella sua ardita ricostruzione: sarebbe senza dubbio molto interessante sapere cosa gli fu raccontato con esattezza dai sacerdoti e dai saggi egiziani, ma è probabile che egli abbia interpretato il tutto a suo modo, convinto com’era che la tradizione greca dovesse essere almeno in parte tributaria della religione egiziana, tanto antica e affascinante.

61

Cfr. Farnell 1921, p. 101.

62

In quanto nipoti di Perseo, sulla cui origine egizia vd. Hdt. II 91.

63

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14

2) In secondo luogo, credo vadano incluse in questa analisi eventuali tracce di influssi reciproci concernenti la sfera religiosa: dopotutto i canali di comunicazione sono sempre a doppia uscita. A questo proposito sembra che ‘Eracle’ sia stato adottato come epiteto dagli Egizi per indicare un loro sovrano: “according to the epitomes (contenute negli Aegyptiaca di Manetone) the Egyptians called this king (Osorcho oppure Osorthon, faraone della ventitreesima dinastia) Heracles”64. Essendo l’Eracle egizio una pura divinità, verrebbe da pensare ad un effetto antropomorfizzante partito proprio dal mondo greco: il dio egizio avrebbe ispirato la divinizzazione dell’omonimo eroe greco e la natura primariamente mortale dell’eroe greco avrebbe ispirato l’umanizzazione del dio egizio, con un processo secolare di smussamento delle differenze e di avvicinamento delle due culture.

64

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15 1.3.2 Quando?

L’analisi delle fonti letterarie – pur in mancanza di certezze – ci induce a ipotizzare un mito in cui originariamente l’eroe era appunto questo: un eroe, dunque un uomo. Ma se le cose stanno così, inevitabilmente si apre il già previsto secondo quesito: in quale momento l’apoteosi è entrata a far parte della tradizione eraclea? La testimonianza della letteratura non basta più; è tempo di prendere in esame anche l’arte.

È innegabile che l’apoteosi di Eracle faccia la sua comparsa nella ceramica attica del VI sec. a.C., cui il tema risulta peraltro assai caro65. È possibile che proprio l’Attica di età arcaica abbia introdotto e sviluppato questo leit-motiv? Ciò giustificherebbe la grande vivacità delle rappresentazioni attiche relative a questo particolare episodio, caratterizzate come sono da frequenza del soggetto e varietà delle composizioni. Più nello specifico, proprio Atene avrebbe potuto costituire l’epicentro di propagazione del tema: l’importanza e la capacità d’imposizione delle officine ceramiche ateniesi sono fuori discussione. Un piccolo indizio in questo senso può forse essere costituito dal fatto che proprio ad Atene ritroviamo la divinizzazione dell’eroe in un ambito altro rispetto alla ceramica: si tratta del piccolo frontone arcaico detto ‘dell’Apoteosi’ (fig.5), datato intorno alla metà del secolo ed oggi conservato al Museo dell’Acropoli66.

Figura 5: Frontone dell'Apoteosi (dall'Acropoli di Atene)

65

Il mito di Eracle nel suo complesso gode di grande popolarità ad Atene specialmente fra il 560 ed il 510 a.C. ca. È largamente presente nella ceramica a figure nere: basti pensare che conosciamo più di 700 rappresentazioni della lotta col leone nemeo e più di 400 dell’amazzonomachia. Oltre alle numerose testimonianze vascolari, Eracle compariva anche nelle composizioni frontonali degli edifici di età pisistratide (metà circa del secolo) sull’Acropoli: Eracle vi figurava impegnato nella lotta con Tritone, contro l’Idra di Lerna e nell’atto di presentarsi a Zeus. Per quest’ultima attestazione cfr. infra nota 66.

66

Il gruppo è realizzato in calcare policromo: Eracle, vestito di una corta tunica e riconoscibile dalla leonte sul capo,

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16 Non mancano poi indizi più consistenti67.

1) Da varie fonti apprendiamo che gli Ateniesi furono i primi a tributare un culto divino ad Eracle: ad attestarlo – forse è questo l’elemento più significativo – sono personaggi di varie epoche, sia ateniesi che non. Così ne abbiamo notizia da Isocrate68, ma anche da Diodoro Siculo69, Pausania70, Elio Aristide71; è tuttavia legittimo osservare come Isocrate, la fonte più antica e quindi più vicina agli eventi, sia una fonte ateniese, dunque di parte; gli altri scrittori sono di epoca decisamente più tarda, e non si può escludere che si siano limitati a riportare una tradizione che circolava già da tempo, vera o falsa che fosse. Non ci sono comunque dubbi sul fatto che Eracle fosse percepito come l’incarnazione della forza e della giovinezza, del concetto di passaggio e della convivialità, ossia di quegli ideali che costituivano i punti d’appoggio per la nascita di uno stato nuovo, unito e compatto anche in ambito religioso. È il VI sec. a.C. l’epoca di costruzione della democrazia ateniese, attraverso le varie vicende dell’arcontato soloniano, dell’età pisistratide, delle riforme di Clistene. Pisistrato in particolare si ispirò al modello dell’eroe, ricercando forse nel mito la giustificazione della propria presa del potere72; ma la fortuna di Eracle non si esaurì con la fine del secolo73.

2) Di grande interesse è lo studio dei rapporti – a livello iconografico – fra l’Eracle divinizzato e la dea Atena: rapporti che sembrerebbero di natura privilegiata, peraltro sotto più d’un aspetto.

67 Cfr. Verbanck-Piérard 1995, pp. 119-120 e 123. 68 Isoc. V 33. 69 Diod. IV 39. 70

Paus. I 15 3, I 32 4: Pausania si riferisce in particolare agli Ateniesi di Maratona.

71 Ael. Ar. I 35, 50-52, 360; XL 11. 72

Si ricordi il celebre episodio del ritorno di Pisistrato dal secondo esilio narrato da Erodoto (Hdt. I 60). Per l’inquadramento della figura di Eracle nella politica del VI sec. a.C. vd. Rosati 2002 con bibliografia precedente.

73

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17

Figura 6: coppa di Phrynos, Londra, British Museum, inv. n°B 424

Figura 7: coppa di Phrynos, la nascita di Atena (lato A).

Figura 8: coppa di Phrynos, l'apoteosi di Eracle (lato B).

a) Assai rilevante è la testimonianza fornita dagli esemplari ceramici che associano la nascita di Atena e l’apoteosi di Eracle, come la kylix di Phrynos (figg.6-8)74.

74

Cfr. anche l’apoteosi di Eracle del Pittore C (Atene, Coll. Acropoli 2112: Beazley 1956, pp. 58 e 120) e dell’anfora di Basilea (BS 496: LIMC II s.v. Athena, n° 353).

(19)

18

b) Prima di raggiungere l’apoteosi, Eracle ha al suo fianco Atena in qualità di divinità protettrice: certo non è l’unico a godere della sua benevolenza, ma val la pena sottolineare che nessuno degli altri eroi può vantare una presenza tanto massiccia nella cultura e nell’iconografia locale.

c) Nelle scene di incontro fra le due divinità75 Eracle non è in posizione di subordinazione rispetto alla dea, tutt’altro. Nell’olpe del Pittore di Amasis (fig.9) Eracle occupa il centro della scena, quasi oscurando la dea; è un suo pari, esattamente come Poseidone nell’anfora dello stesso pittore (fig.10). La presenza di Atena sembra più che altro costituire il segno tangibile della divinizzazione attica del personaggio.

Tra l’altro questa piena autonomia del dio sembrerebbe avvalorata dall’assenza di oggetti cultuali legati alla dea nei suoi santuari.

75

LIMC V s.v. Herakles, n° 3080-86, 3108-14, 3179-90.

Figura 9: Eracle accolto sull'Olimpo da Atena e Poseidone (Parigi, Louvre, inv. n°F 30; 550-530 a.C. ca.)

Figura 10: Atena accoglie Poseidone (Parigi, Cab. Méd. 222; 540-530 a.C. ca.)

(20)

19

3) È recente la scoperta di un’iscrizione datata al VI sec. a.C. e contenente un’invocazione a Eracle da parte di un ateniese di nome Dexios76: l’iscrizione (fig.11), di carattere votivo, era stata dedicata sull’acropoli di un piccolo villaggio della Focide77: Panopea, per l’esattezza. La presenza di un ateniese non sorprende: Pausania si dimostra riluttante a riconoscerle il titolo di ‘città’78, ma Panopea, per quanto modesta, costituiva una tappa essenziale lungo la Via Sacra che andava da Atene a Delfi. Potrebbe trattarsi di un caso isolato, ma neppure si può escludere la possibilità che Eracle fosse percepito già in età arcaica come il compagno di viaggio ideale per un abitante di Atene.

Figura 11: iscrizione da Panopea recante una dedica ad Eracle (“[῾Η]ρακλεῖ ξιος ᾽Αθεναῖος α νήθηκε”; da Camp et Alii 1997).

4) Le celebrazioni in onore di Eracle costituivano una delle maggiori feste poliadi, come attesta un passo della Costituzione degli Ateniesi79: non è fuori luogo immaginare che esse avessero contribuito almeno in parte alla costruzione di un’identità culturale comunitaria e allo sviluppo del senso d’appartenenza cittadino.

Tutto questo potrebbe indurre a parlare dell’ingresso di Eracle nell’Olimpo come di un’invenzione ateniese. Ma tale possibilità si accorda con le fonti letterarie? Non del tutto. Per riprendere l’ipotesi formulata in precedenza80, l’apoteosi di Eracle sarebbe da considerare assente in Omero, ma il tema sembrerebbe avere un suo inizio già nel corso del VII sec. a.C., per di più in un ambiente che attico non è; a onor del vero va ricordata la provenienza ateniese di Onomacrito, segnalatoci come autore dell’interpolazione omerica:

76

La datazione non è però sicura. Al momento della pubblicazione del materiale si proponeva la metà circa del IV sec. a.C.: vd. Camp et Alii 1997, p. 264 con note 8 e 9; per una datazione al VI sec. a.C. propende invece la Verbanck-Piérard: vd. Verbanck-Piérard 1995, p. 123.

77 Nella Focide è peraltro assai scarsamente attestato il culto di Eracle. C’è un unico santuario sicuro, lo ἱερόν di Eracle

‘Misogynos’ menzionato da Plutarco, il cui sito è sconosciuto (Plut. Mor. 403 F); per il resto abbiamo notizia solo di qualche rappresentazione dell’eroe dedicata a Delfi (Paus. X 13 6, X 18 6).

78

Paus. X 4 1.

79

Aristot. Ath. Pol. LIV 7.

80

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20

egli potrebbe in effetti aver contribuito alla revisione locale del mito di Eracle costruendone una giustificazione nei versi dell’Odissea; in tal caso l’intento avrebbe potuto essere quello di riconciliare due diverse – e potenzialmente conflittuali – rappresentazioni di Eracle, ossia l’Eracle-eroe epico e l’Eracle-dio che si andava delineando nella sua epoca. Tuttavia – a voler mantenere la prospettiva ateno-centrica (o anche solo quella attico-centrica) – resterebbero da spiegare i riferimenti all’apoteosi sparsi in Esiodo, nella Titanomachia, nell’inno Ad Eracle. E in verità, come ho già cercato di dimostrare, qualunque posizione si voglia assumere nei confronti del delicato problema delle interpolazioni omeriche ed esiodee, risulta “anti-economico” (per non dire pericoloso) bollare l’apoteosi come del tutto assente nell’epica antica e stimarne inautentiche le singole comparse per motivi di volta in volta differenti. Non mi sentirei quindi di considerare la divinizzazione un’invenzione ateniese, quanto piuttosto il frutto di un’evoluzione panellenica del mito eracleo avviata già in precedenza: per quanto riguarda nello specifico l’Attica ed Atene, mi sembra ragionevole ipotizzare che abbiano giocato un ruolo di primo piano più che altro nel valorizzare questo tema, percepito come particolarmente adatto a simboleggiare le giovani forze della nascente democrazia.

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21

2. IL CULTO DI ERACLE

2.1 Culto eroico e culto divino

Prevedibilmente la duplice natura di Eracle ha finito per rispecchiarsi nelle pratiche religiose legate al suo culto. Come si è osservato, già Erodoto si era posto il problema del rapporto uomo/dio e dei suoi riflessi sulle cerimonie di rito81, e in termini tanto chiari da non lasciare adito a dubbi. La cosa è tanto più significativa in quanto lo storico greco non è solito tracciare nette linee di distinzione fra eroi e dei: sfogliando le sue Storie non è difficile imbattersi in eroi definiti θεοί, specialmente nel momento in cui l’autore è

impegnato a trattare questioni di culto82. D’altra parte Erodoto non costituisce un caso isolato: dell’argomento tornano ad occuparsi diverse altre fonti, di età classica come di età ellenistica e romana. Così Plutarco esprime disapprovazione per la posizione di Erodoto, il quale aveva ritenuto appropriata la scelta di tributare ad Eracle un culto eroico, scevro di tratti divini, mentre nei più tardi Tolomeo Chenno83 e Pausania84 ritroviamo accenni dal tono neutro al doppio culto di Eracle85.

È in virtù di questo dualismo che Eracle occupa una posizione del tutto particolare nel pur vasto repertorio eroico greco. Una posizione che tuttavia, almeno per quanto concerne l’aspetto strettamente cultuale, non è da considerarsi unica: un parallelo si potrebbe istituire in effetti con Achille, per il quale siamo a conoscenza di riti celebrati sia come ad un eroe che come ad un dio86. Possiamo supporre che l’ἐνα ίζειν ὡς ἥρῳ avesse la funzione di mantenere vivo il ricordo dell’originaria mortalità dell’eroe, nel caso di Eracle come in quello di Achille87.

Ma cosa implicava esattamente il venerare un’entità come un dio piuttosto che un eroe, o come un eroe piuttosto che un dio? Ogni forma di culto si traduceva in una cerimonia

81

Cfr. supra p. 13.

82

Per la mancanza di nette distinzioni fra eroe e dio in Erodoto vd. Vandiver 1991, pp. 93-97 e 136; per la corrispondenza eroi-θεοί ibid., p. 110.

83

Tol. Ch. III 12 (Chatzis 1914).

84

Paus. II 10 1.

85 Interessante è anche osservare la ricorrenza dei medesimi termini: le pratiche sacrificali rivolte all’eroe sono

indicate dal verbo ἐνα ίζειν, quelle rivolte alla divinità dal verbo θύειν. L’opposizione ἐνα ίζειν/θύειν è presente in Erodoto e si mantiene sia in Tolomeo Chenno che in Pausania.

86 Strabone ricorda che Achille aveva uno μνῆμα e uno ἱερόν vicino a Sigeo: gli abitanti praticavano rituali di ἐνα ίζειν

(probabilmente presso lo μνῆμα), ma lo onoravano anche in qualità di dio (Strab. XIII 1 32).

87

Sebbene entrambi fossero percepiti più come dei che come uomini: per quanto riguarda Eracle cfr. supra pp. 19-20; per quanto riguarda Achille cfr. Hommel 1980 e Hedreen 1991, pp. 313-330.

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22

sacrificale più o meno articolata88: proprio le differenze fra le varie tipologie di sacrificio permettono di tracciare delle linee di demarcazione fra la sfera eroica e quella divina.

Stando agli studi condotti da fine Ottocento in poi, due erano le tipologie sacrificali tipiche del culto eroico.

1) Nel primo caso veniva immolata una vittima animale. Il sacrificio avveniva in due tempi: dapprima l’animale veniva sgozzato ed il sangue lasciato scorrere verso la tomba dell’eroe (l’ἡρῷον) o all’interno di un buco più o meno ampio del terreno (il βόθρος in termini greci), dopodiché la carne veniva interamente arsa su un’ἐσχάρα, ossia una specie di basso altare o di focolare cavo. Era la già menzionata pratica dell’ἐνα ίζειν89.

2) Nel secondo caso il rituale prevedeva una particolare forma di banchetto definita θεοξένια, cui l’eroe veniva chiamato a partecipare90. Il cibo consisteva

soprattutto in pane, frutta e verdura; talvolta includeva anche carni arrostite (di animali sacrificati). Tale rituale non prevedeva offerte di sangue.

Ma è pur vero che le due pratiche sopra descritte, sebbene rappresentino il modello ‘standard’ del sacrificio offerto ad entità eroiche, non ne esauriscono tuttavia la casistica. Dobbiamo infatti registrare una terza possibilità:

3) dopo aver immolato l’animale si procedeva a tagliarne le carni; una parte di esse veniva arsa su un altare come offerta per l’eroe, il resto veniva consumato durante un banchetto comune. In tal caso il termine utilizzato per indicare la pratica sacrificale era θυσία, lo stesso impiegato per le cerimonie legate a figure

divine.

Si è a lungo ritenuto che l’olocausto e la consumazione delle carni caratterizzassero in maniera esclusiva rispettivamente il culto eroico (tipologia dell’ἐνα ίζειν) e quello divino (pratica della θυσία), ma questa distinzione è andata sempre più assottigliandosi,

specialmente negli studi più recenti, fino ad acquisire contorni estremamente sfumati. Le ragioni sono diverse:

88

Avevano luogo molti altri eventi: processioni, danze, preghiere, canti, competizioni sportive… Ma in certa misura erano tutte pratiche connesse con il sacrificio. Per una definizione di sacrificio relativamente al mondo greco vd. Hubert – Mauss 1964, pp. 10-13 e Vernant 1991, pp. 290-291.

89 È significativo il fatto che il termine sia usato esclusivamente in riferimento a culti eroici, e mai in associazione a

divinità. A questo proposito cfr. Deneken 1886-90, pp. 2505-2506; Pfister 1909-12, pp. 466-474; Foucart 1918, p. 98; Stengel 1920, p. 143; Farnell 1921, p. 95; Rohde 1925, p. 116; Méautis 1940, p. 16; Rudhardt 1958, p. 238; Brelich 1958, p. 9; Nilsson 1967, p. 186; Burkert 1983, p. 9 nota 41 e Burkert 1985, pp. 194 e 205; Ekroth 2002, p. 14.

90

Venivano preparati un tavolo (τράπεζα) ed una panca (κλίνη) appositamente per l’eroe: cfr. Rohde 1925, p. 116 e Nilsson 1967, p. 187.

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23

1) una definizione sicura dell’olocausto come parte specifica del rituale dell’ἐνα ίζειν si ha solo nelle fonti di età più tarda, a partire dal II sec. d.C.91;

2) non sembra che la combustione totale della vittima sacrificale fosse la pratica più diffusa nei culti eroici, almeno stando alla testimonianza fornita dall’epigrafia attica92;

3) la terza e ultima tipologia sacrificale precedentemente descritta solleva serie difficoltà in sede interpretativa: in questo caso infatti le modalità del sacrificio rivolto all’eroe e di quello rivolto alla divinità vengono a coincidere, e, come già osservato, la sovrapposizione dei due ambiti si allarga anche al piano lessicale. Non sono certo mancati tentativi di spiegare tale peculiarità: c’è chi ha ipotizzato un’evoluzione tarda dei riti sacrificali tradizionali sotto l’influenza dei riti divini93, chi ha pensato a semplici errori terminologici commessi dalle fonti antiche94, chi ha posto l’accento sulle particolari circostanze di morte e sulla natura più divina che umana degli eroi oggetto di tali pratiche95. Forse si tratta di una mescolanza di questi elementi; non sembra esservi una risposta definitiva.

Ci sono comunque pochi dubbi sul fatto che esistesse un’area grigia sospesa a metà fra la sfera dei riti divini e quella dei riti eroici, un’area in cui le specificità finivano per perdersi. I casi documentati di sacrificio andranno perciò esaminati uno per uno, e con un’attenzione tanto maggiore se in relazione a personaggi la cui appartenenza al mondo eroico o/e divino risulta ambigua.

91 Cfr. Verbanck-Piérard 1998; Pirenne-Delforge 2001; Ekroth 2002; Hägg – Alroth 2005; soprattutto Bergquist 2005,

pp. 63-70 e Parker 2005, p. 40.

92 Cfr. Nock 1972, pp. 575-602. 93

Foucart 1918, pp. 101-106; Meuli 1946, p. 197; Nilsson 1967, pp. 186-187.

94

Pfister 1909-12, pp. 478-479; Rohde 1925, p. 140 nota 15.

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24

2.2 Il caso di Eracle

Veniamo ora al caso specifico di Eracle. Esaminando le fonti antiche si ha la netta impressione che il figlio di Alcmena fosse percepito più come un dio che come un eroe96: non a caso gli studi più recenti sulla natura del personaggio ne hanno messo in luce soprattutto il lato divino97.

Tutto questo nel mito: che dire del culto?

Una prima osservazione da fare riguarda la pratica dell’ἐνα ίζειν: cerimonie sacrificali di questo genere sono assai scarsamente attestate in connessione ad Eracle98. Peraltro a questo proposito Eracle si dimostra un eroe decisamente atipico: non è dotato di un suo ἡρῷον, fatto invece normale per i personaggi oggetto di simili culti.

Al di fuori delle testimonianze offerte dalle fonti letterarie, rare sono anche le occorrenze di un culto duplice. Pare in ogni caso che i rituali di questo tipo seguissero uno schema piuttosto ben definito: prima si svolgeva un breve rito durante il quale la vittima animale veniva immolata e offerta in olocausto, dopodiché aveva luogo una seconda, più impegnativa cerimonia sacrificale, che prevedeva fra l’altro il consumo di una parte della carne in un apposito banchetto. Una sorta di rito doppio, se vogliamo, in cui prima si rendeva omaggio all’eroe mortale e poi al dio immortale. Il caso più significativo è quello di Cos, attestatoci da un calendario sacrificale99 risalente con ogni probabilità alla metà del IV sec. a.C.: a Eracle viene offerto innanzitutto un agnello tramite olocausto; in seguito il sacerdote provvede ad immolare un bue, e in accompagnamento a questo secondo sacrificio si menzionano determinate quantità di grano, miele, orzo e formaggio100. Più delicata la questione dell’Eracle di Taso, al quale peraltro si riferisce in maniera specifica Erodoto nel già citato passo II 44. Da Taso provengono alcune interessanti iscrizioni relative a sacrifici rivolti ad Eracle. La prima di esse è una legge sacra di regolamentazione del culto di Eracle101, incisa su una lastra e databile alla prima metà del V sec. a.C.: prescrive in cinque clausole una serie di divieti, fra cui quello di ἐνατεύειν102. Il termine viene generalmente interpretato come riferimento ad una pratica ben precisa, che

96

Xen. An. VI 2 15; Isoc. V XXXIII.

97

Cfr. Woodford 1971, pp. 212-213; Verbanck-Piérard 1989, pp. 43-64; Verbanck-Piérard 1992, pp. 85-106.

98 Eracle è connesso con sacrifici di questo tipo a Taso e in alcune località del Peloponneso (nello specifico Cleonai e

Sicione).

99

Sokolowski 1969, n° 151.

100 È bene tuttavia ricordare che la lettura del calendario di Cos non è del tutto sicura: cfr. Ekroth 2002, p. 139. 101 IG XII Suppl. 414.

102

L’ἐνατεύειν viene invece prescritto ufficialmente nella legge sacra di Selinunte (due colonne incise su una laminetta di piombo; V sec. a.C.) e nell’iscrizione di Mykonos (SIG3 1024; 200 a.C. ca.): per il caso di Selinunte in particolare vd. Jameson – Jordan – Kotansky 1993, pp. 31-32 e la bibliografia contenuta in Baldassarra – De Vido – Lucchelli 2010, pp. 602-603.

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consisteva nel dividere la carne in nove parti e nell’offrirne una in olocausto: la sua proibizione potrebbe aver implicato un olocausto totale (sacrificio eroico), ma potrebbe anche essere letta più semplicemente come divieto di separare le parti migliori in vista della consumazione (sacrificio divino). La seconda iscrizione103 è più tarda, degli inizi del III sec. a.C., e riporta le norme per la concessione in affitto dei cosiddetti ‘giardini di Eracle’, sorta di parco annesso al santuario locale. Si colgono in essa riferimenti ad un sacrificio e all’offerta della nona parte delle carni104, ma anche accenni a sette letti105: sembrerebbe insomma di trovarsi di fronte ad un’esplicita prescrizione della pratica della ‘nona’, ma con rimandi alla possibilità di un banchetto, elemento questo tipico del sacrificio divino. In realtà il documento è in condizioni estremamente frammentarie, per cui la lettura risulta difficoltosa e incerta: non di rado ne sono state proposte ricostruzioni antitetiche106. La ricostruzione del resto non è che il primo passo: il secondo – altrettanto delicato – è quello dell’interpretazione. Non siamo in grado di dire con certezza se le due regolamentazioni descrivessero rituali di tipo diverso, uno eroico e l’altro divino, né siamo in grado di stabilire fino a che punto l’una e/o l’altra tipologia fossero praticate e se si possa parlare di un culto duplice; a questo proposito, anche ammettendo l’attestazione di due tipologie distinte di sacrificio, non necessariamente si dovrebbe ricorrere all’idea di un doppio culto107: dopotutto fra l’una e l’altra iscrizione corre almeno mezzo secolo, un arco cronologico abbastanza ampio perché le cerimonie religiose locali potessero subire delle modificazioni più o meno significative. L’unica conclusione che si possa ragionevolmente trarre dalla documentazione è che a Taso quella dell’ἐνατεύειν fosse una pratica nota.

Nel complesso la tipologia sacrificale più consistente risulta essere quella del θύειν tout court, sebbene non manchino casi dubbi anche in questa categoria108. L’impressione generale è che nel culto più ancora che nel mito Eracle fosse considerato un dio a tutti gli effetti. La Verbanck-Piérard ha addirittura messo in dubbio l’esistenza di un vero e proprio culto eroico di Eracle109. Pratiche come quella dell’ἐνα ίζειν o della θεοξένια potevano certo servire arievocarne l’origine mortale, ma in fondo tale ruolo era svolto già dal mito. Eracle aveva cominciato come semplice uomo, ma la cosa era risaputa e non aveva bisogno di essere chiarita ogni volta: il culto aspirava alla celebrazione dei suoi successi più che della strada percorsa per arrivare a coglierli.

103 IG XII Suppl. 353. 104 Rigo 10. 105 Rigo 13. 106

Alcune letture propongono la prescrizione in positivo della nona: in particolare vd. Martinelli 2012, p. 88. Altri vi leggono un divieto: vd. per tutti Ekroth 2002, p. 221.

107 La teoria di un culto duplice per l’Eracle di Taso non sembrerebbe del resto trovare conferme materiali nel sito del

santuario locale: cfr. Bergquist 1973; Bonnet 1988, pp. 358-366; Des Courtils – Gardeisen – Pariente 1996, pp. 799-820.

108

In particolare cfr. Ekroth 2002, p. 31 a proposito di un’iscrizione da Cos che riporta la clausola testamentaria di un certo Diomedonte circa la fondazione di un Herakleion.

109

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2.3 Il culto di Eracle in Attica ed Atene

Si è già detto dell’importanza rivestita dal mito di Eracle nelle prime fasi di vita della compagine statale ateniese; la popolarità del personaggio non cala del resto neppure nelle epoche successive, tanto da risultare radicata nell’immaginario collettivo non solo ateniese, attico o greco in generale, ma anche in quello romano110.

Il mito tramandava la storia di un uomo divenuto dio dopo la morte, celebrava l’apoteosi come ricompensa raggiunta dopo una lunga serie di imprese. La bipolarità del personaggio – abbiamo avuto modo di constatarlo – si è talvolta riflessa nel culto111, ma, almeno per quanto riguarda l’Attica, non sembra aver determinato situazioni di ambiguità: le evidenze epigrafiche e archeologiche vanno tutte nella direzione di un Eracle θεόϛ, considerato come divinità a pieno titolo, cui si offrono abbondanti sacrifici della tipologia ‘olimpica’ (θυσίαι)112.

Al di là della percezione del personaggio, è estremamente significativa la frequenza d’attestazione del culto in ambito regionale: in Attica si sono contati non meno di ventiquattro santuari dedicati ad Eracle113, caratterizzati generalmente da un piccolo sacello a pianta quadrata e con quattro colonne agli angoli (attestati anche a livello iconografico: fig.12)114.

110

Anche a livello lessicale: si pensi all’estrema diffusione delle formule asseverative (usate talvolta per giuramenti)

‘hercule’/’hercle’ e ‘mehercule’/’mehercle’ o a espressioni come “licet Hercules” e “Herculi conterere quaestum” (=

‘sperperare anche il guadagno di Ercole’ nel senso di dissipare: Ercole veniva considerato datore di ricchezze, πλουτοδότηϛ, quindi a lui si consacrava il decimo delle ricchezze guadagnate).

111

Cfr. supra pp. 24-25.

112 Cfr. Verbanck-Piérard 1989, pp. 43-65; Lévêque – Verbanck-Piérard 1992; Verbanck-Piérard 1992, pp. 85-106;

Verbanck-Piérard 2000, pp. 281-332.

113

Cfr. Woodford 1971.

114

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Figura 12: Atene, rilievo votivo dedicato ad Eracle (Nat. Mus. 2723; 350 a.C. ca.)

Quello di Eracle era evidentemente un culto largamente diffuso. A questo proposito, se è vero che in termini di strutturazione degli Herakleia le informazioni più consistenti si ricavano dall’ambito archeologico, è altrettanto vero che – in mancanza di santuari veri e propri – sono le fonti letterarie a fornire preziose indicazioni sulla presenza del culto in determinate località: Pausania per esempio accenna alla devozione degli abitanti del piccolo villaggio di Akharnai nei confronti di Apollo e di Eracle115 e poco dopo ricorda nella città di Oropos un altare condiviso fra gli altri da Eracle, Zeus ed Apollo116. Non c’è dubbio comunque che i principali santuari attici dedicati ad Eracle fossero quello di Maratona e quello del Cinosarge: non solo compaiono più volte nelle fonti117, ma Suda riporta che – nonostante si tenessero celebrazioni legate ad Eracle in tutta l’Attica – era proprio presso l’Herakleion di Maratona e quello del Cinosarge che si svolgevano le feste in onore di Eracle tenute maggiormente in considerazione dagli Ateniesi118.

115

Paus. I 31 6.

116 Paus. I 34 3. 117

Per l’Herakleion di Maratona: Hdt. VI 108 1, VI 116 1. Per l’Herakleion del Cinosarge: Hdt. V 63 4, VI 116 1; Paus. I 19 3.

118

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28

Ad Atene del resto il culto di Eracle era particolarmente vivo: da Pausania apprendiamo che nell’Accademia era stato innalzato un altare a lui consacrato, così come era stato già fatto per le Muse, per Ermes e per Atena119; immagini di Eracle, Teseo ed Apollo si trovavano inoltre presso un santuario dedicato ad Ares120. In città si tenevano regolarmente feste in onore di Eracle: le principali – come già accennato – si svolgevano al Cinosarge, ma è verosimile che si tenessero celebrazioni minori in vari demi cittadini. Soprattutto, Atene ospitava almeno due Herakleia, l’uno nell’area del Cinosarge e l’altro nel demo di Melite; in un terzo santuario – quello di Pankrates – Eracle fu presto associato al culto originario. Dei due Herakleia abbiamo notizia dalle fonti, ma le strutture non sono state identificate con certezza: il santuario di Pankrates è l’unico archeologicamente individuato; paradossalmente, è anche l’unico a non comparire mai nelle fonti. Inizieremo la nostra ricerca proprio da quest’ultimo, muovendoci sullo scenario di Atene fra l’età arcaica e l’età romana (fig.13).

Figura 13: Atene antica, pianta.

119

Paus. I 30 2.

120

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3. SANTUARI D’ATENE

3.1 Il santuario di Pankrates

3.1.1 Scavi, storia e struttura

Il cosiddetto santuario di Pankrates sorgeva sulla riva meridionale dell’Ilisso, non lontano dal tempio dedicato a Zeus Olimpio: oggi sia il fiume che il sito sono stati ricoperti121, ma si è potuto rilevare che l’area dell’antico temenos corrisponde al moderno incrocio di Leophòros Vass. Konstantinou e Leophòros Vass. Georgiou II (figg.14-16), nel settore nord del distretto di Pangrati (il nome deriva proprio dalla presenza dell’antico culto di Pankrates).

La scoperta avvenne negli anni Cinquanta, allorché si procedette ad una serie di lavori per la canalizzazione e la tombatura dell’Ilisso al fine di ottenere nuovi terreni edificabili; in particolare, fu nel novembre del 1952 che venne alla luce il sito, rendendo necessari degli scavi di emergenza. Le operazioni furono dirette da Miliadis, che condusse un primo scavo nel 1953122 ed un secondo nel 1954123.

Figura 14: Atene moderna, posizione del santuario di Pankrates (Google Maps).

121

La zona centrale del sito si trova all’incirca al di sotto della statua di Truman, nell’omonimo parco.

122

Vd. Miliadis 1953.

123

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30

Figura 15: Posizione del santuario di Pankrates, sovrapposizione della pianta antica a quella moderna.

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31

Figura 17: Santuario di Pankrates (da Vikela 1994). A) Fondazione d’altare? B) σηκόϛ? C) Fenditura

La struttura del santuario – mai menzionato dalle fonti – si rivela nel complesso piuttosto modesta, senza alcun tentativo di monumentalità: l’elemento principale è costituito da una corte a pianta trapezoidale e priva di copertura, aperta sul lato nord in corrispondenza del fiume e chiusa sugli altri lati da pareti rocciose naturali che salgono gradatamente fino ai 2,90 m del tratto sud. Pressappoco al centro della corte si apre una fenditura nel terreno (fig.17, C), interpretata dai più come un esempio di chasma ghes, ossia un elemento connesso con cerimonie cultuali di tipo ctonio. Lungo l’orlo meridionale della fenditura e ancora per un breve tratto verso ovest si conserva un muro angolare (3,20 m x 1,50 m ca.), traccia di una più tarda struttura di età romana (fig.17, B): qualcuno la considera un recinto sacro, un σηκόϛ124; altri la ritengono piuttosto una riparazione delle fondamenta di un altare antico125. Un altro tratto angolare di muro – sempre di età romana – è venuto alla luce sul lato nord, in corrispondenza del presunto chasma (fig.17, A: la lunghezza complessiva è di circa 2,45 m):

124

Cfr. Vikela 1994; Greco 2010, p. 501 (Marchiandi – Privitera).

125

Figura

Figura 7: coppa di Phrynos, la nascita di Atena  (lato A).
Figura 13: Atene antica, pianta.
Figura 14: Atene moderna, posizione del santuario di Pankrates (Google Maps).
Figura 15: Posizione del santuario di Pankrates, sovrapposizione della pianta antica a quella moderna
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