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Sviluppo di derivati benzotiopiranoindolici e piridotiopiranoindolici, quali potenziali inibitori delle topoisomerasi I e II

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INTRODUZIONE

Il tumore è una neoformazione presente in un organo o in tessuto, con caratteristiche di crescita incontrollata e di struttura aberrante, non spiegabile secondo i meccanismi conosciuti che stanno alla base delle malattie.

Comunque si può affermare che la caratteristica comune a tutti i tumori è che le loro cellule si comportano in modo da eludere alcuni, se non tutti, i meccanismi di controllo della crescita e dell’organizzazione anatomica delle cellule normali. La capacità di eludere tali meccanismi risulta nella formazione di una massa tumorale; tuttavia talvolta la migrazione di cellule tumorali al di fuori dei confini di formazione è tale da bilanciare la proliferazione e, conseguentemente, non si forma una massa tumorale propriamente detta[1].

Pertanto il tumore è sostanzialmente definibile come una malattia a carico delle cellule caratterizzata da una deviazione patologica nei meccanismi che presiedono all’accrescimento e alla proliferazione cellulare; quando tali meccanismi sono divenuti insufficienti si verifica una proliferazione cellulare clonogenica eccessiva e quindi una crescita autonoma che ha perso la capacità di regolazione e di inibizione da contatto[2,3].

Questo si verifica in seguito all’accumulo di alterazioni genetiche dovute al fallimento dei sistemi di riparazione.

Le mutazioni del genoma che trasformano le cellule normali in cellule neoplastiche sono solitamente mutazioni strutturali, oppure, meno frequentemente, funzionali, come errori di sbilanciamento nei processi regolatori e l’eccesso o il difetto di trascrizione genica.

Questi si verificano con una serie di effetti fenotipici che consistono nella comparsa di attività anomale, assenti nelle cellule normali, e nella perdita o riduzione di altre funzioni, invece normalmente presenti. [4]

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Il termine ”tumore”, che significa letteralmente “rigonfiamento”, fu coniato osservando la struttura macroscopica della maggior parte dei tumori, i quali si presentano, anche se non sempre, con la forma di una massa in rilievo nella regione anatomica in cui si trovano. Il termine “neoplasia” deriva dal greco νεοσ = neo e πλασία = formazione, e significa letteralmente “nuova formazione”. Questo è un sinonimo del termine precedente, ma non riguarda l’aspetto esteriore della massa, bensì la composizione cellulare della suddetta, in quanto le neoplasie sono costituite da cellule, appunto, di nuova formazione.

Il termine “cancro”, o “carcinoma”, deriva dal greco “karkinos” e significa “granchio” e fu coniato dall’osservazione del fatto che le cellule neoplastiche dei tumori maligni formano propaggini che avvolgono le cellule normali distruggendole, proprio come un granchio afferra la sua preda con le chele. Il termine “cancro” fu inizialmente utilizzato per indicare i tumori maligni epiteliali, ma successivamente fu ampiamente usato per indicare tutti i tipi di tumore.

Nel 2008 sono stati diagnosticati circa 12,7 milioni di tumori maligni e 7,6 milioni di persone sono morte di cancro in tutto il mondo.[5]

Tutte le neoplasie sono la causa del 13% di tutte le morti annuali, con i più comuni che sono: cancro del polmone (1,4 milioni di morti), cancro allo stomaco (740.000 morti), cancro al fegato (700.000 morti), del colon-retto (610.000 morti) e il cancro alla mammella (460.000 decessi).[6]

Questi dati fanno sì che le neoplasie invasive siano la principale causa di morte nel mondo sviluppato e la seconda causa di morte nei paesi in via di sviluppo.[5] Oltre la metà dei casi si verificano in queste ultime regioni.[5]

In Italia, nel 2007[7] sono morte 572.881 persone: 224.311 per cause riconducibili al sistema cardiovascolare, e 171.625 a causa di tumori (in massima parte maligni); in quest'ultimo gruppo, le patologie più diffuse sono stati i tumori maligni del sistema respiratorio (soprattutto carcinoma del polmone; 34.610 morti), il carcinoma del colon-retto (18.349), della mammella (12.050), dello

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stomaco (10.522), oltre ai tumori maligni (generalmente non epiteliali) del sistema immunitario (13.880 morti).

A seconda delle caratteristiche morfologiche, della tipologia di crescita e del comportamento nei confronti dei tessuti vicini e dell’intero organismo, i tumori vengono suddivisi in due principali categorie: benigni e maligni.

I tumori benigni sono costituiti da cellule che hanno caratteristiche strutturali e funzionali che rimangono pressoché inalterate, sebbene siano autonomamente in replicazione.

L’autonomia dei tumori benigni si manifesta non solo per la loro incapacità di sottostare ai meccanismi di controllo della proliferazione cellulare, ma anche per la capacità di evadere i meccanismi omeostatici che regolano alcune delle loro funzioni. [4]

I tumori benigni si trovano come masse anomale localizzate nel sito di origine e, per definizione, essi non invadono i tessuti adiacenti, né si spostano in siti a distanza.

Il tessuto profondo di questi tumori è circondato da una capsula fibrosa di tessuto connettivo, mentre in superficie è presente tessuto tegumentario che cresce verso l’esterno con la stessa velocità delle cellule dello strato epiteliale della pelle e delle membrane mucose.

I tumori benigni crescono più lentamente dei tumori maligni e non sono invasivi, possono comunque causare danno, anche grave, ai tessuti vicini per compressione.

Lo sviluppo dei tumori benigni è detto espansivo e, in genere, essi non si ripresentano dopo la rimozione chirurgica.

I tumori maligni sono caratterizzati, invece, da una atipicità morfologica che è più marcata quanto più il tumore è indifferenziato.

La atipicità si manifesta con la variabilità della forma e della dimensione delle cellule (polimorfismo) e/o degli organuli cellulari, in particolare il nucleo, il quale è frequentemente ipercromico ed in fase mitotica.

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A differenza dei tumori benigni, che sono caratterizzati da uno sviluppo espansivo, i tumori maligni sono caratterizzati da un accrescimento infiltrativo, ovvero una crescita molto rapida con tendenza a invadere i tessuti circostanti. I tessuti vicini subiscono infiltrazione e vengono danneggiati e distrutti, così che, nel corso del processo proliferativo, essi verranno sostituiti dalle cellule del tumore.

L’invasività non si arresta a livello delle pareti dei capillari sanguigni e linfatici; anch’essi possono essere invasi e distrutti, con il risultato che le cellule tumorali entrano nel flusso sanguigno e/o linfatico, dando origine a un processo denominato metastasi, che consiste nella formazione di tumori secondari a distanza dal sito di origine.

Le cellule cancerose possono staccarsi dalla massa tumorale, trasferirsi in un’altra area dell’organismo e dare origine ad altri tumori.

Quando il tumore ha raggiunto un volume critico, può riversare alcune delle sue cellule nel sistema circolatorio.

La via linfatica è un’altra possibile via di disseminazione di cellule cancerose, come si può arguire dalla frequenza di crescita di tumori linfatici in prossimità della neoplasia primaria.

Anche gli interventi chirurgici su tumori possono causare la diffusione di metastasi tanto per via sanguigna che linfatica.

La fase di metastasi è una condizione estremamente grave per l’organismo, in quanto indica il passaggio da una patologia localizzata ad una patologia più profonda e radicata.

Un altro aspetto dei tumori maligni è la possibilità di formazione di recidive dopo che essi sono stati rimossi chirurgicamente, ovvero la ricomparsa dello stesso tumore nello stesso sito anatomico di origine con le medesime caratteristiche. Le recidive sono probabilmente dovute alla persistenza di alcune cellule neoplastiche infiltrate nei tessuti in prossimità della zona operata.

Le cellule cancerose o similari si comportano in maniera differente da quelle normali.

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In coltura le cellule normali crescono finché si sia formato un monostrato che occupa la superficie a disposizione; a questo punto la crescita si blocca.

Le cellule cancerose al contrario continuano a riprodursi impilandosi le une sulle altre; sono inoltre libere, cioè non si uniscono fra di loro, ma seguitano a dividersi in maniera incontrollata.

TERAPIA DEL CANCRO

Per il trattamento dei tumori esistono tre diversi possibili tipi di trattamento: l’asportazione chirurgica, la radioterapia e la chemioterapia.

Il trattamento chirurgico consiste nell’asportazione del tumore e può essere efficace e duratura se viene fatta in tempo per evitare metastasi.

La radioterapia può essere usata come trattamento neoadiuvante per ridurre le dimensioni del tumore primario prima della chirurgia e renderlo quindi più facilmente operabile, ad esempio nel carcinoma del retto, o può essere usata per ridurre le dimensioni del tumore a scopo palliativo, come nel caso di metastasi ossee, perché da sollievo ai sintomi dolorosi. La chemioterapia costituisce il principale metodo di trattamento solamente per alcuni tumori, viene invece sempre più utilizzata in associazione alla chirurgia o alla radioterapia.

Per esempio, nei casi di tumori alla laringe la chirurgia rimuove completamente l’organo, mentre la terapia con le radiazioni consente di conservarlo intatto: le percentuali di sopravvivenza con le due tecniche sono comparabili.[10]

Le scarse differenze biochimiche tra le cellule neoplastiche e quelle sane rappresentano un limite importante nell’impiego farmacologico di molte molecole citotossiche.

Poiché numerose sostanze attualmente usate in clinica per la terapia antitumorale sono molecole che interagiscono con il DNA, risulta sempre molto interessante approfondire il loro meccanismo di azione per renderle più selettive nei confronti delle cellule tumorali.

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DNA E FARMACI GENOTOSSICI

Il DNA o acido desossiribonucleico, conserva l’informazione genetica ed è il portatore dei caratteri ereditari da una generazione all’altra. Nelle cellule esso è combinato con le proteine ed è situato nella cromatina, o cromosomi, nel nucleo cellulare. Quando una cellula si divide, le cellule figlie che ne risultano contengono le stesse informazioni genetiche e tutte le caratteristiche della cellula genitrice vengono mantenute, a meno che non intervengano i fattori di mutazione o di evoluzione a modificarle.[10]

Dal punto di vista chimico, il DNA è un polimero organico costituito da monomeri chiamati nucleotidi (deossiribonucleotidi).

Tutti i nucleotidi sono costituiti da tre componenti fondamentali: un gruppo fosfato, il deossiribosio (zucchero pentoso) e una base azotata che si lega al deossiribosio con legame N-glicosidico.

Le basi azotate che possono essere utilizzate nella formazione dei nucleotidi da incorporare nella molecola di DNA sono quattro: adenina, guanina, citosina e timina, mentre nell'RNA, al posto della timina, è presente l'uracile.

Il DNA può essere più correttamente definito come una doppia catena polinucleotidica (A, T, C, G), antiparallela, orientata, complementare, spiralizzata, informazionale.

Il 25 aprile 1953 James Watson e Francis Crick pubblicarono sulla rivista Nature l’articolo scientifico in cui si presentava il modello di struttura a doppia elica della molecola di DNA da loro scoperto al Cavendish Laboratory di Cambridge.

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Figura 1: Immagine di una catena di DNA che mostra la doppia elica che si replica[11]

Dato che le cellule tumorali proliferano senza alcun controllo, il primo obiettivo dei ricercatori fu quello di trovare composti capaci di fermare la crescita incontrollata della massa tumorale. I farmaci usati nelle terapie oncologiche convenzionali sono citotossici o agenti contrastanti la proliferazione e possono essere raggruppati in varie classi in base al loro meccanismo d’azione. Essi sono soprattutto agenti genotossici che, in modi differenti, interferiscono con le normali funzioni del DNA. I target convenzionali della terapia citotossica sono i principali processi coinvolti nella proliferazione cellulare, come la funzionalità del DNA e la divisione cellulare:

A. I farmaci che interferiscono con le funzionalità del DNA sono agenti che causano un danno diretto (agenti genotossici) attraverso la formazione di legami chimici irreversibili o complessi con differente stabilità. Questi processi alterano la conformazione della doppia elica e, conseguentemente, la sua funzionalità.

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Altri composti, i cosiddetti antimetaboliti, provocano invece un danno indiretto al DNA tramite l’inibizione della biosintesi degli acidi nucleici: essi agiscono sostituendosi ai normali costituenti, così che avviene il blocco dei processi vitali cellulari per la presenza di elementi aberranti.

B. I farmaci che interferiscono con la divisione cellulare sono solitamente inibitori della mitosi, i quali colpiscono la dinamica dei microtubuli tramite la stabilizzazione o inibizione della polimerizzazione della tubulina, e inibitori delle topoisomerasi.

Anche se gli agenti citotossici di uso clinico non possono essere considerati tumore-specifici, c’è comunque una base di specificità che giustifica la variabilità della loro azione in diverse tipologie di tumori. A parte la specificità parziale, ci sono due principali limitazioni degli agenti citotossici: a) la mancanza di sufficiente selettività per le cellule tumorali che è la principale causa dell’elevata tossicità, specialmente nei tessuti a rapida crescita come le gonadi, il tessuto emopoietico e le membrane mucose, come quella intestinale; b) il fenomeno di resistenza che il tumore sviluppa nei confronti di questi farmaci, specialmente nel caso di tumori solidi. Inoltre, possedendo anche un’elevata attività immunosoppressiva, questi farmaci abbassano le difese endogene dell’organismo ed espongono il paziente a un rischio più alto di contrarre patologie di natura infettiva.

Molti studi preclinici sui modelli cellulari hanno mostrato la via principale tramite la quale i farmaci antitumorali uccidono le cellule del tumore sensibili al trattamento, al di là della loro struttura chimica e del meccanismo d’azione: è l’attivazione del processo di morte cellulare programmata, detta anche apoptosi. Questo processo, infatti, è finemente regolato da un punto di vista genetico e coinvolge l’azione di diversi prodotti genici con funzione pro- o anti-apoptotica. Le alterazioni riguardanti la regolazione di questo processo possono causare vari gradi di resistenza intrinseca, tipica della maggioranza dei tumori solidi.

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Le recenti acquisizioni in termini di caratterizzazione molecolare delle alterazioni espresse nelle cellule tumorali hanno portato allo sviluppo di nuove molecole e approcci terapeutici basati su targets specifici cellulari. La maggior parte dei farmaci correntemente usati in terapia clinica agisce su target associati alla proliferazione cellulare e promoventi l’apoptosi.[12]

Le principali classi di farmaci che mostrano effetti pro-apoptotici sono:

 Agenti alchilanti, un gruppo chimicamente e farmacologicamente eterogeneo usato nel trattamento di diversi tipi di cancro, i quali alchilano siti nucleofili delle macromolecole cellulari, in particolare il DNA;

 Gli inibitori delle topoisomerasi, che inducono la rottura dei doppi filamenti di DNA a livello del sito di legame di questi enzimi;

 Gli antimetaboliti, che sono composti con struttura simile a quella dei metaboliti essenziali per la sintesi di DNA e RNA;

 I farmaci anti-mitotici, che interferiscono con la mitosi cellulare e, in particolare, con la formazione/distruzione del fuso mitotico;

 Gli agenti intercalanti, che inseriscono la loro porzione planare fra due basi complementari della doppia elica del DNA, deformandola e causandone lo svolgimento;

 I groove binders (leganti dei solchi), cioè i composti chimici che contengono una catena laterale, generalmente oligopeptidi, che possono essere inseriti a livello del solco minore o maggiore del DNA;

 Gli strand breakers (interruttori del filamento), che generano specie radicaliche che reagiscono con la porzione zuccherina del DNA, causando la rottura dei filamenti polinucleotidici.[12,13]

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DERIVATI ETEROCICLICI CON ATTIVITA’ INTERCALANTE

Il DNA rappresenta un importante target biologico e, in quanto tale, può interagire con molecole, anche di piccole dimensioni, tramite tre tipologie di interazioni:

a) Intercalazione

b) Interazioni con il solco minore del DNA

c) Intercalazioni con il solco maggiore del DNA

a) intercalazione:

L’intercalazione è una modalità di interazione non covalente attraverso la quale una molecola che presenta una struttura planare si inserisce fra un paio di basi del DNA perpendicolarmente all’asse della doppia elica, causando così una separazione verticale della coppia di basi con conseguente deformazione e elongazione dello scheletro zucchero-fosfato[13]. Dal punto di vista chimico, gli agenti intercalanti sono fondamentalmente caratterizzati dalla presenza di:

• una struttura policiclica aromatica o eteroaromatica planare, che forma un complesso molecolare con le basi del DNA, stabilizzato da legami a idrogeno, forze di Van der Waals e interazioni idrofobiche;

• gruppi o catene laterali, legate in opportune posizioni del sistema planare, in grado di collocarsi in uno od entrambi i solchi della doppia elica del DNA, realizzando interazioni esterne che possono favorire la formazione del complesso d’intercalazione.

Tra gli agenti chemioterapici antitumorali che hanno come principale meccanismo d’azione l’intercalazione, si è dimostrata particolarmente

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interessante una classe di alcaloidi indolici isolati da numerose piante appartenenti alla famiglia delle Apocinacee.

Il rappresentante più importante di tale classe è: l'ellipticina.

ELLIPTICINA

L’ellipticina è in grado di legarsi al DNA attraverso l’intercalazione e di inibire l’attività della topoisomerasi II legandosi al complesso DNA-enzima.

b) interazione solco minore:

Le caratteristiche strutturali critiche del solco critiche per il riconoscimento di molecole di piccole dimensioni sono:

• ampiezza

• profondità

• funzionalità del fondo

• potenziale elettrostatico

e sono tutte dipendenti dalla sequenza nucleotidica. L’ampiezza del solco varia da 3-4 Å per i tratti ricchi in AT e fino a oltre 8 Å per quelli ricchi in GC. La profondità del solco è minore per le sequenze GC rispetto ai tratti AT per la presenza dell’amina esociclica nella guanina.

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In realtà, il gruppo aminico ha carattere nucleofilo e funziona come sito di riconoscimento e di alchilazione attraverso la formazione di legami a idrogeno.

A differenza dell’intercalazione in cui il legame delle molecole induce ampi cambiamenti nella conformazione del DNA, il legame al solco minore è caratterizzato da piccole o non apparenti distorsioni del DNA, spesso accompagnate da cambiamenti nella conformazione della molecola. [15]

c) intercalazione solco maggiore:

Attualmente ci sono solo pochi esempi di composti che si legano selettivamente al solco maggiore: gran parte di essi si lega per intercalazione e stabilisce ulteriori legami a idrogeno con il solco maggiore. In generale, le interazioni con il solco maggiore forniscono qualche grado di specificità per la sequenza, ma l’affinità di legame è dovuta, principalmente, all’intercalazione. [15]

TOPOISOMERASI

Le Topoisomerasi sono enzimi ubiquitari, in grado di controllare lo stato topologico del DNA mediante un meccanismo di taglio e richiusura della doppia elica[16]. Tale loro azione li rende indispensabili nei processi di duplicazione, trascrizione, ricombinazione e riparo, oltre che nella formazione e nella segregazione dei cromosomi durante la divisione cellulare. Il DNA, infatti, non è una struttura statica, ma è libero di muoversi nello spazio fluido della cellula, assumendo varie conformazioni topologiche. Inoltre, tutti i processi cellulari che comportano uno scorrimento di complessi proteici sul DNA alterano la sua struttura nello spazio torcendolo, srotolandolo o creando delle regioni di superavvolgimento del tutto simili a quelle che può assumere una corda od un

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elastico. Tutte le transizioni conformazionali che il DNA compie in questi processi sono controllati dalle Topoisomerasi[17].

Questi enzimi sono divisi in due classi, a seconda del loro meccanismo d’azione:  Topoisomerasi I: sono enzimi monomerici che tagliano un solo filamento

di DNA, senza utilizzo di ATP, rilassando il DNA di un giro alla volta [18];  Topoisomerasi II: sono enzimi costituiti da due o più subunità e sono in

grado di tagliare entrambi i filamenti di DNA, mediante l’utilizzo di ATP[19].

Questa suddivisione iniziale si è poi evoluta, poiché, ad oggi, negli eucarioti maggiori sono state identificate almeno cinque differenti isoforme: le topoisomerasi I, IIIα e IIIβ che appartengono al tipo I e le topoisomerasi IIα e IIβ che appartengono al tipo II.

Una delle principali funzioni delle DNA topoisomerasi è quella di prevenire un eccessivo superavvolgimento positivo o negativo del DNA che potrebbe causare alterazioni strutturali e/o funzionali nelle cellule. Quei superavvolgimenti che richiedono l’intervento delle topoisomerasi sono generati principalmente a causa di numerosi processi che comportano il movimento di grosse macromolecole lungo il DNA, come la replicazione semiconservativa, durante la quale si formano superavvolgimenti positivi a monte della forcella della replicazione, mentre i filamenti parentali si separano a valle.

Anche la trascrizione può generare superavvolgimenti positivi nel DNA avanti e dietro durante lo scorrimento della polimerasi; in questi casi, le topoisomerasi rilassano i superavvolgimenti negativi, portando all’accumulo di quelli positivi. Le differenti isoforme si comportano in maniera differente nel controllo del grado di superavvolgimento del DNA:

a) Le topoisomerasi I e II eucariotiche e la topoisomerasi IV batterica possono rimuovere efficientemente sia i superavvolgimenti negativi che quelli positivi.

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b) Le topoisomerasi batteriche I e III e la topoisomerasi III eucariotica riescono a rimuovere efficientemente i superavvolgimenti negativi ma non positivi, a meno che non sia presente una regione di DNA a singolo filamento.

Inoltre, l’attività delle topoisomerasi è richiesta al momento di altri importanti eventi cellulari, come la segregazione cromosomica, la condensazione/decondensazione cromosomica (specialmente per la topoisomerasi II) e per il mantenimento della stabilità genomica.[20]

Recenti studi hanno dimostrato che l‘alterazione delle topoismerasi nei modelli animali ha provocato uno sviluppo neurologico compromesso e un’alterazione proprio nell’architettura della struttura del cervello. Si è arrivati alla scoperta che questo enzima potrebbe indurre l’espressione degli stessi geni legati all’autismo. Sembra che l'inibizione della trascrizione di geni neuronali durante le fasi critiche di sviluppo del cervello possa essere responsabile di una patologia di disturbi dello sviluppo neurologico, come l'autismo. ASD o disturbo dello spettro autistico è un disordine dello sviluppo neurologico caratterizzato da deficit di comunicazione sociale, accompagnato da interessi minimi e comportamenti ripetitivi. La compromissione comportamentale può essere di diversi livelli di gravità creando una vasta gamma di eterogeneità fenotipica tra lo spettro autistico. ASD è noto come un disordine geneticamente determinato associato a centinaia di geni con conseguente architettura genetica molto complessa. [21] È interessante notare che i geni coinvolti nell’ autismo sono di lunghezza eccezionale [22]. La lunghezza del gene potrebbe essere proprio il legame con l’autismo. In questo contesto, è stato dimostrato che l’enzima topoisomerasi regola l'espressione di un gran numero di geni lunghi, che svolgono un ruolo nella funzione sinaptica, nella differenziazione neuronale, migrazione e guida degli assoni [23]. La letteratura fornisce alcune evidenze che sostengono la possibile connessione dell’enzima topoisomerasi e i geni collegati all’autismo. L'inibizione farmacologica delle topoisomerasi provoca una funzione alterata dell’enzima e una downregulation di geni associati con l'autismo [22]. I difetti nella

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trascrizione dei lunghi geni espressi nei neuroni, soprattutto nelle fasi critiche di sviluppo del cervello, possono essere la causa di una patologia in molti individui autistici.

DNA TOPOISOMERASI I

Figura 2. struttura toposomerasi I [11]

Dall'analisi della struttura tridimensionale di molte topoisomerasi I è stato determinato il meccanismo della loro reazione. La topoisomerasi I è una proteina monomerica (765 a.a.), costituita da 4 domini, disposti intorno a una cavità centrale con diametro di 20 Å, dove è presente un residuo di tirosina (Tyr 723). La molecola di DNA si lega all'interno di questa cavità, dove il gruppo ossidrilico della tirosina forma un legame fosfodiestereo con un gruppo fosforico di uno dei due filamenti di DNA. In seguito a questo taglio, il DNA è libero di ruotare attorno all'altra catena con un movimento favorito dall'energia contenuta nello stesso superavvolgimento; l'enzima controlla la rotazione perché non avvenga troppo velocemente. Al termine, il gruppo -OH libero sul DNA attacca il legame Tyr-fosfato e richiude il filamento di DNA, lasciando la doppia catena libera di dissociarsi dall'enzima.

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Figura 3. Meccanismo di azione della topoisomerasi I [24]

Figura 4. Struttura cristallografica della Topoisomerasi I associata ad un frammento di DNA[24]

La topoisomerasi I forma due diversi complessi con il DNA che sono in rapido equilibrio: il complesso non scindibile ed il complesso scindibile. La rotazione relativa delle due estremità rotte nel complesso scindibile porta al rilassamento del DNA.

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La Topoisomerasi I rappresenta un valido bersaglio per lo sviluppo di farmaci antineoplastici, infatti un notevole interesse ha suscitato la camptotecina [25], un alcaloide naturale in grado di bloccare il complesso scindibile tra topoisomerasi I e DNA ed utilizzata in studi clinici.

DNA TOPOSOMERASI II

Figura 5. struttura toposomerasi II [11]

Le topoisomerasi di tipo II consistono in due o più subunità e catalizzano processi simili a quelli relativi alle topoisomerasi I. Il meccanismo d’azione è diverso da quello degli enzimi del tipo I: le topoisomerasi II causano la rottura di entrambi i filamenti che formano la doppia elica in particolari regioni del DNA e favoriscono il passaggio di un’altra doppia elica attraverso questa rottura. Inoltre, la topoisomerasi II riesce a rilassare i superavvolgimenti sia negativi che positivi. Gli inibitori delle Topoisomerasi II sono in grado di interferire con il ciclo cellulare in diversi punti [26] e per comprendere le basi su cui poggia il meccanismo di inibizione operato da questi farmaci è opportuno conoscere il ciclo catalitico di rottura e rinsaldamento operato dagli enzimi.

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L’azione delle Topoisomerasi II si esplica in più passaggi (Figura 6): 1. riconoscimento da parte dell’enzima di specifiche zone del DNA;

2. formazione di un legame covalente tra un residuo tirosinico dell’enzima e un 5’-fosfato del DNA, in presenza di ioni Mg2+, che consente la rottura del filamento;

3. passaggio attraverso l’apertura di un secondo filamento del DNA; 4. rinsaldamento del filamento interrotto;

5. ripristino della forma attiva dell’enzima.

Figura 6 .Ciclo catalitico della Topoisomerasi II. [24]

L’energia necessaria a ricostruire la catena polinucleotidica è conservata nel legame tra l’enzima ed il filamento interrotto. L’ATP, inoltre, viene utilizzata dall’enzima per indurre grossi cambi conformazionali.

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Negli ultimi anni la ricerca sulle Topoisomerasi ha avuto grande sviluppo, grazie a studi di cristallografia che hanno contribuito in maniera essenziale alla verifica dei modelli proposti per il loro meccanismo di azione. Tuttavia, a causa delle elevate dimensioni e della flessibilità degli enzimi di tipo II, è attualmente disponibile la struttura cristallografica solo di un loro frammento, rappresentante il sito attivo della proteina.

Sulla base di considerazioni strutturali, le topoisomerasi di tipo II possono essere divise in due sottofamiglie [27]:

a) Topoisomerasi IIA a cui appartengono i seguenti enzimi: - Topoisomerasi II eucariotica: è un omodimero presente in tutte le cellule eucariotiche. Rilassa positivamente e negativamente il DNA superavvolto ed è per questo essenziale durante la separazione dei cromosomi. Inoltre, coopera con la topoisomerasi I per il rilassamento dei superavvolgimenti positivi durante i processi di replicazione.

- Topoisomerasi IV o girasi batterica: è un enzima eterotetramerico batterico che sembra essere coinvolto nel processo di separazione cromosomica alla fine del processo di replicazione del DNA. Inoltre sembra essere in grado di introdurre superavvolgimenti negativi tramite una progressiva attività catalitica attraverso il meccanismo di inversione del segno.

b) Topoisomerasi IIB che furono scoperte negli archeobatteri, in cui sono ubiquitarie, e recentemente sono state identificate in alcuni batteri e alghe. Questa famiglia include la topoisomerasi IV (Archaea) e topoisomerasi IIB.

Solo recentemente sono state isolate nelle cellule eucariotiche in cui, anche se è stato chiarito il loro ruolo strutturale, non è stata ancora ipotizzata la loro funzione fisiologica.

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INIBITORI TOPOSOMERASI

Gli enzimi DNA-topoisomerasi sono stati largamente caratterizzati nei loro aspetti meccanicistici e funzionali. L’attenzione su di essi negli anni recenti non solo deriva dal fatto che queste proteine giocano un importante ruolo fisiologico in molti processi nucleari, come la duplicazione, la trascrizione e la riparazione del DNA, per il mantenimento dello stato topologico degli acidi nucleici, ma anche perché essi sono farmacologicamente significativi, in quanto possono essere trasformati in tossine cellulari grazie all’azione di uno specifico gruppo di farmaci antitumorali che riesce ad inibire la loro funzione [25].

Nelle cellule dell’uomo, i due enzimi non sono espressi nella stessa maniera: la topoisomerasi I è molto abbondante in tumori solidi (per esempio, in quelli del colon), mentre la topoisomerasi II è predominante nei tumori di seno, ovaio e ematologici. In entrambi i casi, i tessuti del tumore, le cui cellule proliferano attivamente e rapidamente, hanno un’alta concentrazione di questi due enzimi rispetto alle cellule sane; la possibilità di sfruttare questi enzimi a scopi terapeutici ha spinto i ricercatori a sviluppare molti farmaci con questo preciso meccanismo d’azione [29,30]. Possiamo inoltre dire che, al momento, le topoisomerasi hanno assunto primaria importanza nelle ricerche sul cancro e molti farmaci che le inibiscono sono fra i più largamente usati nella chemioterapia sull’uomo [28]. Uno dei principali successi della ricerca biotecnologica sul cancro è lo sviluppo di più efficienti farmaci capaci di superare la resistenza tumorale.

I farmaci antitumorali attualmente conosciuti per la loro attività anti-topoisomerasi possono essere suddivisi in due classi, a seconda del loro meccanismo d’azione [31]:

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1) Farmaci di classe I (detti anche “veleni”): essi stabilizzano i complessi covalenti DNA-topoisomerasi I formando un complesso ternario reversibile DNA-enzima-inibitore che risulta essere cataliticamente inattivo, dal momento che viene inibito lo stadio di ricongiunzione dei filamenti di DNA[32]. La stabilizzazione del complesso covalente topoisomerasi-DNA rappresenta un ostacolo per lo scorrimento delle proteine lungo il DNA, quali le DNA polimerasi, elicasi, RNA polimerasi. Così il vero danno si verifica per collisione fra complesso e forcella di replicazione; la rottura reversibile del singolo o doppio filamento del DNA diventa così una rottura irreversibile e viene attivato il processo di apoptosi. Spesso, questi farmaci sono chiamati anche veleni delle topoisomerasi poiché essi trasformano l’enzima in una potente tossina cellulare. Il farmaco rappresentativo per questa classe è l’alcaloide naturale camptotecina (figura 6) e gli analoghi semisintetici topotecan e irinotecan. Appartenenti ancora a questa categoria di veleni ci sono anche farmaci intercalanti come la bleomicina, la quale non agisce direttamente sul DNA, ma interferisce con esso intercalandosi fra le basi azotate, conducendo la cellula alla morte.

Figura 7. Struttura campotectina

2) Farmaci di classe II o soppressori della topoisomerasi: essi, senza agire direttamente sul complesso covalente, agiscono sul sito catalitico dell’enzima, prevenendo il suo legame con il DNA.

La loro tossicità è dovuta al fatto che essi inibiscono il rilassamento della doppia elica e quei processi che coinvolgono il DNA, come la replicazione, sono

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prevenuti. Esempi di sostanze appartenenti a questa classe sono la shikonina e il β-lapacone (FIGURA 8).

Figura 8. Esempi di inibitori delle topoisomerasi.

La classificazione degli inibitori delle topoisomerasi più comunemente usata è basata sul target enzimatico ed sull’abilità di interferire con l’azione della topoisomerasi I o II. I composti che inibiscono la topoisomerasi I agiscono principalmente durante la fase replicativa del ciclo cellulare (fase S), mentre le lesioni causate dalla topoisomerasi II sono associate alla fase di trascrizione dell’RNA e, quindi, avvengono durante le fasi G2 ed M.[31]

INIBITORI TOPOISOMERASI I

La camptotecina è il più noto inibitore selettivo di tale enzima, attualmente in uso clinico con i suoi derivati semisintetici topotecan e irinotecan, sintetizzati a seguito di modifiche per aumentare la solubilità, caratteristica di cui la camptotecina è carente.

La ricerca farmaceutica di inibitori selettivi per la topoisomerasi I (Top I) è incentrata principalmente su due filoni: da un lato si cerca di ottenere derivati

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CPT-simili con una0 migliore solubilità e con una maggiore attività (intesa come una minore reversibilità del legame della CPT nel complesso ternario); dall’altro si cercano nuove molecole non CPT-simili, che siano attive e selettive per Top I e che, possibilmente, presentino minori effetti collaterali della CPT.

Per quanto riguarda i derivati CPT-simili [33], si sono inizialmente operate modifiche agli anelli A e B per risolvere il problema della solubilità e modifiche all’anello E per quanto riguarda la potenza e la reversibilità del legame. Le modifiche agli anelli A e B della CPT hanno condotto a derivati molto promettenti: attualmente, due molecole sono già disponibili per la pratica clinica, il topotecan (TPT, Hycamtin®) e irinotecan (CPT-11, Camptosar®).

Tali derivati sono solubili in acqua e hanno due diverse indicazioni terapeutiche. Lo sviluppo di inibitori non CPT-simili [34,35] è praticamente contemporaneo alla scoperta del bersaglio d’azione della CPT.

Questa ricerca è partita da screening di grandi librerie di molecole naturali e di composti chimici e ha condotto alla scoperta di tre categorie di molecole:

- indolocarbazoli, che sono ad oggi le molecole a stadio di sviluppo clinico più avanzato;

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- fenantroline

INIBITORI TOPOISOMERASI II

Antibiotici con attività antitumorale: Tutti gli antibiotici utili clinicamente vengono prodotti da vari ceppi di muffe di genere Streptomyces ed includono le antracicline, actinomicine e bleomicine. Gli antibiotici della classe delle antracicline furono isolate da Streptomyces peucetius (var. Caesius) e sono fra i più utilizzati farmaci antineoplastici. La categoria include doxorubicina, daunorubicina, epirubicina e idarubicina .

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L’antraciclina daunorubicina fu scoperta negli anni Cinquanta come farmaco antitumorale estremamente potente. Anche oggi viene utilizzata, principalmente per il trattamento della leucemia acuta.

La doxorubicina (chiamata anche adriamicina), altra tossina batterica, fu scoperta poco tempo dopo la daunorubicina ed è anch’essa largamente utilizzata, in particolare nel trattamento di prima linea contro il cancro del seno, ossa e sarcomi dei tessuti molli, cancro della vescica, cancro anaplastico della tiroide, linfoma Hodgkin e non Hodgkin e mieloma multiplo.

La epirubicina (4’-epi-doxorubicina), isomero attivo della doxorubicina, fu sviluppata più tardi (approvata dall’FDA nel 1999). L’epirubicina viene utilizzata nel trattamento di cancro esofageo, gastrico e del seno [36].

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La struttura molecolare di questi composti consiste in un anello tetraciclico legato ad un amminozucchero. La farmacologia molecolare e il meccanismo d’azione delle antracicline sono complessi. In addizione alla loro attività anti-Top2, le antracicline sono potenti intercalanti del DNA, dato che l’anello tetraciclico si inserisce fra coppie di nucleotidi adiacenti, mentre la carica positiva del gruppo amminico dello zucchero stabilizza il legame interagendo con la carica negativa dei gruppi fosfato del DNA (FIGURA 9).

L’intercalazione nel DNA causa il blocco di varie funzioni DNA-dipendenti. Comunque il meccanismo rilevante relativo all’attività citotossica e antitumorale degli agenti intercalanti è la loro capacità di interferire con le funzioni della DNA topoisomerasi II. Questo risulta in una stabilizzazione dell’intermedio nella reazione catalizzata dalla topoisomerasi, durante la quale l’enzima è covalentemente legato alle estremità del filamento rotto. Lo stress genotossico causato dalla persistenza del complesso ternario enzima-DNA-farmaco, che si manifesta in particolare con rotture a doppio filamento, è riconosciuto come un danno fatale con conseguente attivazione della morte cellulare.

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Farmaci di origine sintetica che agiscono sulla topoisomerasi II: Il successo clinico delle antracicline ha dato il via ad una intensa ricerca nello sviluppo di analoghi più efficaci e meno tossici. Fra questi, il composto più studiato è il mitoxantrone appartenente alla classe chimica chiamata antracenedioni, caratterizzati da struttura planare intercalante priva di amminozucchero. Il mitoxantrone ha uno spettro di attività più limitato rispetto alla doxorubicina e viene utilizzato nel trattamento di cancro del seno e linfoma. Questo composto, comunque, ha un migliore profilo di tollerabilità e tossicità cardiaca minore e ciò permette il suo utilizzo anche a dosi più alte. Altri farmaci semi-sintetici che agiscono sulla topoisomerasi II sono le epipodofillotossine.

I rappresentanti principali di questo gruppo sono l’etoposide e il teniposide. Anche se legano la tubulina, essi non hanno effetto sulla struttura e funzione dei microtubuli e non hanno azione intercalante poiché alle concentrazioni terapeutiche l’effetto antiproliferativo è il risultato dell’inibizione della topoisomerasi II.

L’etoposide viene usato principalmente per il trattamento del carcinoma polmonare non a piccole cellule, cancro testicolare refrattario e linfomi, tramite somministrazione orale o endovenosa. Il teniposide è ampiamente usato nel trattamento di leucemie linfoblastiche infantili acute refrattarie per via endovenosa [10,38]. Fra i farmaci con azione non intercalante troviamo la genisteina. Esistono anche farmaci anti-topoisomerasi attivi sulla girasi e sulla topoisomerasi IIA batteriche: fra questi, usati nelle terapie antimicrobiche, i meglio conosciuti sono i chinoloni, di cui il precursore è l’acido nalidixico.

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Una peculiarità di tutti gli inibitori delle DNA topoisomerasi è la loro azione sequenza-specifica: gli esperimenti in vitro con topoisomerasi purificate mostrano in modo particolarmente chiaro come farmaci appartenenti a differenti classi chimiche stimolino specificamente scissioni all’interno del DNA in siti ben precisi, fornendo dei modelli per le rotture del DNA farmaco-specifiche.

Nella cromatina nucleare la situazione è più complessa, dato che l’accessibilità delle topoisomerasi al DNA è fortemente limitata dalla presenza di altre proteine, specialmente i nucleosomi e l’istone H1 [39,40].

Quindi, nella cromatina delle cellule in coltura, la localizzazione delle rotture del DNA, prodotta dagli enzimi e stimolata dai farmaci, è determinata da vari fattori, compreso il farmaco stesso e la struttura locale della cromatina. Per tutti i suddetti motivi, gli inibitori delle topoisomerasi, e specialmente la CPT e CTP-simili, sono spesso usati anche per studi di fattori genetici coinvolti nella regolazione del ciclo cellulare e nella riparazione del DNA, in risposta al danno mediato dalla Top1.

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INIBITORI DUALI TOPOISOMERASI I E II

Come trattato precedentemente, l’utilizzo dei farmaci inibitori delle toposimerasi I e II ha anche degli aspetti negativi. Innanzitutto, l’uso dei farmaci inibitori delle topoisomerasi II può causare delle neoplasie secondarie in quanto, a causa della rottura dei filamenti del DNA, si possono formare delle traslocazioni cromosomiche che possono causare leucemia. In aggiunta a ciò, l’uso di farmaci aventi come target ciascuna delle due topoisomerasi, può instaurare un meccanismo di farmaco resistenza: questa è una delle maggiori problematiche, in quanto è la causa del fallimento delle terapie croniche. Per superare questa limitazione, si è ipotizzato l’uso di farmaci duali che abbiano come bersaglio entrambe le topoisomerasi,poiché questi enzimi hanno funzioni complementari e/o sovrapponibili nel metabolismo cellulare. Anche composti con livelli di attività non elevati nei confronti di ciascun enzima potrebbero mostrare un buon spettro di attività antitumorale; inoltre, il doppio target può superare l’instaurarsi dei meccanismi di farmacoresistenza.

Per questa ragione, la messa a punto di farmaci con attività duale, o meglio, “multitarget” sembra costituire una nuova e promettente strategia terapeutica. Negli ultimi anni sono stati identificati e descritti numerosi composti atti a inibire entrambi gli enzimi.

La categoria più ampiamente descritta è quella a cui appartengonocomposti che si legano al DNA mediante intercalazione e comprende alcune acridine (DACA), piridocarbazoli (intoplicina), e derivati delle antracicline (aclarubicina). A questa segue la classe di composti ibridi, preparati da un’unione tra composti aventi target sia topoisomerasi I che II,come gli ibridi camptotecina-epipodofillotossina ed ellipticina-distamicina. Infine, l’ultima classe è costituita da composti come Tafluposide (F11782)(18), una epipodofillotossina, ottenuti da modificazioni

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strutturali di composti con attività selettiva nei confronti di una o l’altra classe di enzimi. [41]

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Introduzione parte

sperimentale

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L’incidenza del cancro, una delle maggiori cause di mortalità dopo le patologie cardiovascolari, è significativamente aumentata nel corso degli ultimi anni; per questo motivo sono state incrementate le ricerche per la sintesi di nuovi farmaci che abbiano attività antiproliferativa specialmente verso i tumori più aggressivi.

Gli agenti antitumorali che hanno come target il DNA hanno prodotto un notevole aumento della prospettiva di vita dei pazienti, specialmente in una terapia farmaco-combinata. Tra i chemioterapici, gli agenti intercalanti, come antracicline, m-amsacrina o ellipticina, rappresentano un gruppo molto importante per l’attività antitumorale.

Gli agenti intercalanti si legano al DNA formando un complesso legante e creano una distorsione dell’elica con conseguente alterazione dell’attività enzimatica, così da compromettere sia la struttura sia la funzione fisiologica della marcomolecola. Gli agenti DNA-intercalanti capaci di interagire con le

topoisomerasi I e II formano dei complessi ternari stabili, creando distorsioni permanenti nell’acido nucleico. Come già ampiamente discusso, le topoisomerasi alleviano le distorsioni causate durante la replicazione del DNA attraverso un taglio e una successiva risaldatura di un filamento nel caso della topoisomerasi I o di un doppio filamento nel caso della topoisomerasi II.

Per molto tempo questi enzimi sono stati considerati un importante obbiettivo per la ricerca di molecole antitumorali, in quanto creano danni permanenti al DNA, inducono apoptosi conducendo alla morte della cellula. Tali composti

comunque hanno l’inconveniente di avere una bassa solubilità, un’elevata tossicità dose dipendente e possono indurre farmaco resistenza.[42]

È ormai noto che i composti che possiedono tre o quattro anelli coplanari presentano uno dei requisiti conformazionali ottimali per la formazione di un efficace complesso di intercalazione con il DNA. In opportune posizioni del sistema cromoforo si rivela spesso cruciale la presenza di gruppi o catene laterali, in particolare di tipo basico, capaci di creare interazioni più efficaci con la macromolecola, concorrendo a modulare le proprietà biologiche dei composti

[43-44]

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Composti a scaffold benzotiopiranoindolico

In questo settore, il gruppo di ricerca presso il quale ho svolto il mio lavoro di tesi si è occupato della sintesi di diversi tipi di scaffold per nuovi agenti antitumorali, ponendo particolare attenzione alla realizzazione di nuovi sistemi eteropoliciclici planari o pseudoplanari, in alcuni casi caratterizzati dalla presenza di una catena basica di lunghezza variabile.

Recentemente queste ricerche hanno avuto come obbiettivo la sintesi del nuovo sistema tetraciclico benzotiopiranoindolico, (FIGURA 10), caratterizzato dalla presenza di sostituenti quali cloro e/o gruppo metossilico nelle posizioni 3 e 7 del sistema cromoforo; inoltre l’azoto indolico ha permesso la funzionalizzazione con catene alifatiche basiche che, come ampiamente riportato in letteratura e già verificato in altri sistemi policiclici, sono in grado di favorire la formazione del complesso di intercalazione. [42]

Figura 10: Struttura generale benzotiopiranoindolo

L’attività antiproliferativa dei nuovi derivati è stata valutata attraverso il monitoraggio in vitro dell’inibizione della crescita di due linee di cellule tumorali: HeLa (adenocarcinoma della cervice uterina) ed HL-60 (leucemia promielocitica umana).

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I risultati di tali saggi sono espressi in valori di IC50, in concentrazione di µM, cioè

la concentrazione (μM) del composto testato che induce il 50% di riduzione del numero delle cellule rispetto a colture di riferimento e utilizzando come standard la ellipticina. [45]

I risultati ottenuti, riportati in Tabella I, hanno dimostrato che i cromofori di base (1a-d), indipendentemente dal gruppo sostituente R e R1 in posizione 7 o 3, non

presentano attività antiproliferativa. L’inserimento della catena basica dialchilamminoalchilica in posizione 11 è risultato cruciale per ottenere i composti attivi (1e-v), nei quali risulta invece più sfumato il ruolo dei sostituenti in posizione R e R1. In particolare il composto 1e avente un atomo di idrogeno in

posizione 3 e un gruppo metossilico (-OCH3) in 7 ha un IC50 inferiore al composto

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Tabella I

Studi mediante dicroismo lineare in flusso (LD) hanno evidenziato che tutti i composti attivi sulle linee cellulari sono in grado di intercalarsi fortemente nel

Comp. R R1 R2 Linee cellulari IC50 (μM)

HL-60 HeLa 1a OCH3 H H > 20 > 20 1b OCH3 OCH3 H > 20 > 20 1c OCH3 Cl H > 20 > 20 1d Cl H H > 20 > 20 1e OCH3 H (CH2)2N(CH3)2 0.41 ± 0.08 1.30 ± 0.10 ±0 1f OCH3 H (CH2)2N(C2H5)2 1.80 ± 0.06 2.70 ± 0.05 1g OCH3 H (CH2)3N(CH3)2 1.90 ± 0.08 2.90 ± 0.3 1h OCH3 H (CH2)3N(C2H5)2 2.40 ± 0.08 3.90 ±0.6 1i OCH3 OCH3 (CH2)2N(CH3)2 0.66 ± 0.17 2.15 ± 0.50 1l OCH3 OCH3 (CH2)2N(C2H5)2 1.10 ± 0.06 2.30 ± 0.40 1m OCH3 OCH3 (CH2)3N(CH3)2 1.35 ± 0.10 2.60 ± 0.30 1n OCH3 OCH3 (CH2)3N(C2H5)2 1.50 ± 0.12 2.50 ± 0.30 1o OCH3 Cl (CH2)2N(CH3)2 1.17 ± 0.12 1.82 ± 0.87 1p OCH3 Cl (CH2)2N(C2H5)2 0.71 ± 0.09 1.12 ± 0.20 1q OCH3 Cl (CH2)3N(CH3)2 1.07 ± 0.24 1.85 ± 0.21 1r OCH3 Cl (CH2)3N(C2H5)2 1.02 ± 0.18 1.68 ± 0.25 1s Cl H (CH2)2N(CH3)2 1.31 ± 0.17 1.53 ± 0.24 1t Cl H (CH2)2N(C2H5)2 3.21 ± 0.39 4.33 ± 0.80 1u Cl H (CH2)3N(CH3)2 7.19 ± 0.69 14.05 ± 1.76 1v Cl H (CH2)3N(C2H5)2 2.64 ± 0.60 2.91 ± 0.11 Ellipticina 0.66 ± 0.02 0.29 ± 0.01

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DNA, come evidenziato dallo spettro LD (FIGURA 11)[42], dove sono riportati i composti dal 1a e 1e-h.

wavelength (nm) 250 300 350 400 450 LD (deg) -0.025 -0.020 -0.015 -0.010 -0.005 0.000 DNA 1a 1e 1f 1g 1h 1a 1e 1h 1g 1f Figura 11.[42]

Misurazioni nella regione di assorbimento del DNA (260 nm) rivelano infatti un segnale negativo, mentre, in presenza dei nuovi composti benzotiopiranoindolici, si verifica un ulteriore segnale negativo a valori di lunghezza d’onda maggiori.

Il segnale negativo risulta praticamente assente per il sistema cromofoforo 1a, privo della catena laterale protonabile. I risultati estrapolati suggeriscono che il tetraciclo cromoforo si inserisce tra le paia di basi e questa sua capacità viene

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incrementata dalla presenza della catena dialchilamminoalchilica, in particolare quella dimetilamminoetilica. Ciò è giustificato dalla presenza dell’azoto basico, protonabile a pH fisiologico, che facilita l’interazione tra gli acidi nucleici e il composto carico. Titolazioni fluorimetriche effettuate in presenza di DNA ed acidi polideossiribonucleici, caratterizzati da differenti composizioni di basi (poli GC o poli AT), hanno dimostrato che i composti in esame si legano con alta specificità alle sequenze di tipo AT. Studi di docking molecolare hanno permesso un approfondimento delle modalità di legame dei composti al DNA ed hanno confermato il ruolo essenziale delle catene di tipo basico nell’attività citotossica. Il modello generato conferma pienamente i dati sperimentali di binding sopra esposti, evidenziando un sito di interazione ionica tra i gruppi fosfato della doppia elica con la forma protonata della catena dialchilaminoalchilica, che, collocandosi selettivamente nel solco minore, costituisce il “sistema di ancoraggio” al DNA; sono inoltre evidenti estese interazioni di tipo π-π tra il sistema cromoforo e due coppie di basi consecutive, che confermano il legame di intercalazione nella doppia elica (figura 12). [42]

Figura 12.[42]

Come già ampiamente discusso, le DNA topoisomerasi sono state riconosciute come il bersaglio di molti farmaci antitumorali, inclusi gli intercalatori del DNA.

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La capacità dei benzotiopiranoindoli di formare un complesso con il DNA suggerisce che l’effetto antiproliferativo riscontrato in questi composti potesse derivare anche dalla capacità di interferire con gli enzimi nucleari, appunto le topoisomerasi.

Sulla base di ciò è stato valutato l’effetto di alcuni composti più attivi in un saggio sulla capacità di rilassamento della topoisomerasi II su plasmidi superavvolti di pBR322 DNA.

In primo luogo, è stato saggiato il composto più attivo 1e, che si è dimostrato capace di inibire l’attività catalitica dell’enzima in modo dose-dipendente; inoltre, l’effetto ottenuto a concentrazione 5 µM di 1e è risultato paragonabile a quello esercitato da un ben noto inibitore della Topoisomerasi II, m-AMSA, utilizzato ad una concentrazione di 8 µM (FIGURE 13 e 14).

m-AMSA

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Figura 14. [42]

Successivamente è stato valutato come, le differenti catene amminoalchiliche, contribuiscono alla citotossicità in funzione della loro lunghezza e ingombro sterico. In particolare è stata saggiata la capacità dei composti 1e-h (riportati in tabella I) di interagire con l’attività catalitica dell’enzima Topo II. I risultati hanno indicato che l’effetto inibitorio sull’enzima è variamente modulato dalle caratteristiche della catena, con un andamento pienamente in accordo con l’effetto antiproliferativo. Infine, data l’analogia strutturale di questi composti con l’inibitore Topo I/II duale Intoplicina [25], caratterizzato da un sistema cromoforo di tipo lineare contenente il nucleo indolico, è stata valutata la capacità del derivato più attivo 1e di interferire con l’attività Topo-I-mediata di rilassamento del DNA, ottenendo evidenti risultati positivi già alla dose di 10 µM.

La significativa attività antiproliferativa di questa serie di composti ed il loro interessante profilo nei confronti degli enzimi Topoisomerasi hanno giustificato lo sviluppo di due nuove serie di prodotti analoghi, sono quindi stati sintetizzati i derivati benzotiopiranoindolici, di formula generale II. In questi il gruppo metossilico (che ha mostrato di potenziare l’attività dei composti della serie

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saggiati precedentemente) è stato spostato dalla posizione 7 alla posizione 3 del sistema cromoforo. Inoltre, in alcuni di questi derivati è stato aggiunto un ulteriore gruppo metossilico in posizione 2 (X'' = OCH3). Parallelamente, sono

stati preparati i derivati isosteri piridotiopiranoindolci III; in questo caso l’introduzione, direttamente nel sistema cromoforo, di un eteroatomo protonabile a pH fisiologico, potrebbe fornire un ulteriore o alternativo punto di ancoraggio nella formazione del complesso di intercalazione. [24]

II III

Figura 15.

L’attività citotossica e il meccanismo d’azione dei nuovi composti sintetizzati è stata valutata, in collaborazione con un gruppo di ricerca del dipartimento di Farmacia dell’università Padova. È stata fatta una valutazione dell’attività antiproliferativa, attraverso studi in vitro su linee cellulari tumorali umane rappresentative per diversi tipi di tessuto: HeLa (adenocarcinoma della cervice uterina), A-431 (carcinoma squamoso) e MSTO-211H (mesotelioma bifasico). I dati di tossicità sono espressi come valori IC50, utilizzando l’Ellipticina come

sostanza di riferimento.

Dai risultati biologici, finora disponibili, è stato estrapolato che i composti saggiati sono in grado di esercitare una significativa attività antiproliferativa,

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caratterizzata da valori di IC50 sempre inferiori a 5µM, su tutte le linee cellulari.

(Tabella II).

Tabella II

N Y X X’ X” R HeLa A431 MSTO-211H

2g CH Cl OCH3 OCH3 (CH2)2N(CH3)2 3.5±0.4 3.2±0.6 1.8±0.6 2h CH Cl OCH3 OCH3 (CH2)2N(C2H5)2 4.6±0.4 2.2±0.8 2.4±0.5 2i CH Cl Cl H (CH2)2N(CH3)2 2.66±0.74 1.76±0.68 1.64±0.55 2l CH Cl Cl H (CH2)2N(C2H5)2 4.31±1.15 3.29±1.71 2.99±0.11 3e CH Cl OCH3 H (CH2)2N(CH3)2 2.79±0.95 2.76±0.46 2.96 0.05 3f CH Cl OCH3 H (CH2)2N(C2H5)2 3.21 ±0.26 5.44±0.48 4.19 ±0.14 3g CH H OCH3 H (CH2)2N(CH3)2 5.81±0.59 2.24±1.68 2.37±0.30 3h CH H OCH3 H (CH2)2N(C2H5)2 2.8±0.7 2.1±0.1 1.6±0.3 3i N H OCH3 OCH3 (CH2)2N(CH3)2 1.7±0.01 0.71±0.28 0.35±0.03 3l N H OCH3 OCH3 (CH2)2N(C2H5)2 1.71±0,01 0,71±0,28 0.35±0,03 3m N H H H (CH2)2N(CH3)2 1.55±0.05 0.54±0.04 1.08±0.07 3n N H H H (CH2)2N(C2H5)2 2.57±0.21 0.47±0.02 1.63±0.06 3o N H Cl H (CH2)2N(CH3)2 4.20±0.36 1.79±0.05 1.42±0.09 3p N H OCH3 H (CH2)2N(C2H5)2 2.61±1.04 1.90±0.21 1.42±0.09 ELLIPTICINA 0.82±0.15 0.87±0.15 0.77±0.44

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In particolare il confronto tra i valori ottenuti con le linee cellulari utilizzate ha rivelato che le linee A-431 sono più sensibili delle altre all’effetto esercitato dai composti; inoltre l’effetto maggiore è mostrato dai composti 3i e 3m che presentano, la catena dimetilaminoetilica. Per quanto riguarda gli altri tipi di sostituenti sul sistema tetraciclico, i dati relativi al composto 3o sembrano confermare, come per i derivati precedentemente descritti, l’effetto negativo di un atomo di Cl in posizione 9 del cromoforo. Su questi composti sono stati effettuati anche studi sul dicroismo lineare in flusso (LD) ed i risultati hanno evidenziato che tutti i composti sono in grado di intercalarsi fortemente nel DNA, come è evidente negli spettri LD di soluzioni dei derivati 3i e 3l a due rapporti di concentrazione [DNA]/[composto]. (FIGURA 16a-b)

Figura 16a. Spettri di dicroismo lineare in flusso di una soluzione di DNA da solo e in presenza di 3i con rapporto molare [DNA]/[farmaco]=50 e 25.

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Figura 16b. Spettri di dicroismo lineare in flusso di una soluzione di DNA da solo e in presenza di 3l con rapporto molare [DNA]/[farmaco]=50 e 25.

Inoltre è stata saggiata la capacità di alcuni composti nel rilassamento dei plasmidi superavvolti di pBR322 DNA mediate da entrambe le topoisomerasi I e II. I risultati attualmente disponibili (figure 17a e 17b, relative al composto 3i) indicano che i piridiotiopiranoindoli, diversamente dai corrispondenti derivati benzotiopiranoindolici della serie 1 non inibiscono l’attività catalitica di entrambi gli enzimi. È stata osservata solo una parziale inibizione della Topoisomerasi I, ma ad una concentrazione 50 µM. DNA Topo II m-A MSA solve nt supercoiled DNA relaxed DNA 10 25 50 Figura 17a

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45 DN A Topo I 0.5 5 50 supercoiled DNA relaxed DNA Figura 17b

Ulteriori esperimenti condotti sui derivati piridotiopiranoindolici hanno dimostrato l’incapacità di questi composti ad indurre un incremento dei complessi covalenti topo II-DNA, indicando così che questi derivati non mostrano neppure un comportamento da veleni della topoisomerasi II. Al contrario, i risultati preliminari relativi al derivato 3i indicano un effetto veleno sull’attività della topoisomerasi I come mostrato in figura 18.

DN A Topo I 0.5 5 50 CPT supercoiled DNA relaxed DNA nicked DNA Figura 18

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I risultati finora ottenuti indicano che gli scaffold benzotiopiranoindolico e piridotiopiranoindolico sono degli ottimi sistemi di partenza per l’ottenimento di inibitori degli enzimi topoisomerasi. In particolare, i derivati benzotiopiranoindolici potrebbero essere potenziali inibitori duali delle topoisomerasi I e II, mentre il sistema isostero piridotiopiranoindolico è un ottimo sistema di partenza per l’ottenimento di efficaci veleni della topoisomerasi I.

Nel mio lavoro di tesi ho proseguito la sintesi di queste serie di composti, al fine di ottenere una ottimizzazione degli elementi strutturali necessari alla definizione di uno specifico profilo di attività biologica. In particolare ho preparato i composti trimetossibenzotiopiranoindolici 2a e 2b sostituiti sull’azoto rispettivamente con le catene dimetilamminoetilica e dietilamminoetilica e dei composti piridotiopiranoindolici (3 a-d) variamente sostituiti in posizione 9 con un atomo di cloro o un gruppo metossilico e recanti lo stesso tipo di catene sull’azoto indolico.

2a: R = CH2CH2N(CH3)2 3a: X= OCH3; R = CH2CH2N(CH3)2 2b: R = CH2CH2N(C2H5)2 3b: X = OCH3; R = CH2CH2N(CH2CH3)2

3c: X= Cl; R = CH2CH2N(CH3)2 3d: X = Cl; R = CH2CH2N(CH2CH3)2

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La procedura sintetica utilizzata per l’ottenimento dei derivati benzotiopiranoindolici 2a e 2b prevede la preparazione del nuovo sistema tetraciclico 4, sostituito in posizione 2, 3 e 7 con un gruppo metossilico, secondo la procedura riportata nello Schema 1. [48]

(48)

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(i) NaOH 10%,NaHCO3 10%, Δ 60° C (ii) MSA Δ (iii) HCOOEt/ MeONa toluene

anidro (iv) soluz HCl 18%, NaNO2/H2O (v) MeOH/soluz satura AcONa (vi):AcOH Δ

La sintesi viene effettuata utilizzando come prodotto di partenza il metossitiofenolo commerciale che viene fatto reagire con acido 3-bromopropionico, in soluzione di NaOH, ad ottenere l’acido 3-(3-metossifenil)tiopropionico 8.

Il composto 8 in soluzione con MSA a 75° C per 30 minuti ciclizza a dare il chetone 7, con una resa del 45%. Il chetone viene fatto reagire con formiato di etile in presenza di metilato di sodio in rapporto rispettivamente 1:2:2 in toluene anidro, a temperatura ambiente per 18h, per ottenere il prodotto 6 con resa del 52%.

L’ α-idrossimetilenderivato 6 viene ottenuto sufficientemente puro da poter essere utilizzato come tale nelle reazioni successive e rappresenta l’intermedio chiave per la preparazione del derivato desiderato. Si procede con l’ottenimento dell’arilidrazone 5 per mezzo della reazione di Japp-Klingeman [49] e la successiva ciclizzazione indolica di Fisher [50] di quest’ ultimo (schema 1).

Ad una soluzione idrometanolica del derivato 6, in presenza di acetato di sodio, viene aggiunta lentamente, raffreddando in bagno di ghiaccio, la soluzione acquosa del sale di diazonio della 3,4-dimetossianilina. Si può notare l’immediata formazione di un precipitato rosso-arancio, corrispondente all’arilidrazone 5 che risulta essere sufficientemente puro da essere utilizzato come tale nella reazione di ciclizzazione che porta all’ottenimento del prodotto 4.

La reazione di Japp-Klingeman consiste nella copulazione, in adatte condizioni, di un sale di diazonio con un composto contenente un gruppo metinico attivato. Probabilmente, la reazione procede con la formazione dell’intermedio 10 che per

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49

scissione idrolitica e con perdita dello ione formiato, seguita dal riarrangiamento del doppio legame N=N, fornisce il prodotto arilidrazonico desiderato.

10

L’intermedio 10 deriva dalla diretta unione tra l’anione del composto contenente il gruppo metinico ed il catione diazonico.

Non è da escludere comunque la formazione come primo intermedio di reazione, del composto 11 :

11

Dall’arilidrazone 5 si perviene, nelle condizioni di Fisher, al prodotto indolico 4. La ciclizzazione è effettuata in acido acetico a riflusso; dopo raffreddamento, a seguito dell’aggiunta di ghiaccio alla soluzione, si ottiene un precipitato che viene filtrato.

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Il derivato tetraciclico 4 è quindi ulteriormente funzionalizzato con le catene dimetilaminoetilica e dietilaminoetilica che, come già discusso nel precedente studio, avevano fornito i prodotti più attivi.

Lo step finale consiste quindi nell’alchilazione del composto 4 che viene effettuata in DMF anidra, utilizzando NaH come base per catalizzare la reazione con gli opportuni dialchilaminoalchil cloruri cloridrati [50,51] (schema 2).

SCHEMA 2

Per quanto riguarda i composti piridotiopiranoindolici 3a-b, la procedura di sintesi è analoga a quella utilizzata per i compositi benzotiopiranoindolici ed è riportata nel seguente Schema 3 [24]

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SCHEMA 3

(i) NaOH 10%,NaHCO3 10%,Δ; (ii) Ac2O/AcONa Δ; (iii) HCOOEt/MeONa toluene

anidro (iv) soluz HCl 18%, NaNO2/H2O (v) MeOH/soluz satura AcONa (vi) AcOH

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L’acido mercaptonicotinico 12, prodotto commerciale, viene fatto reagire con l’acido 3-bromopropionico, in soluzione acquosa di NaOH, ad ottenere l’intermedio acido 3-(3-carbossi-2-piridiltio)propionico 13. Quest’ultimo è poi ciclizzato a tiopiran[2,3-b]piridindione 14 per riscaldamento in eccesso di Ac2O,

alla temperatura di 150°C ed in presenza di AcONa anidro (schema 3).

Il piridotiopiranone 14 è stato formilato ad α-idrossimetilenderivato 15, utilizzando Na metallico disciolto in MeOH con aggiunta di una soluzione di toluene anidro ed etilformiato, e solubilizzando 14 in toluene anidro. Il derivato α-idrossimetilenico 15 viene fatto reagire con la soluzione acquosa del sale di diazonio opportunamente sostituito in posizione para (X) con un gruppo metossilico o un atomo di cloro, ottenendo i derivati idrazonicici 16a-b. Questi intermedi non necessitano di purificazione e vengono sottoposti come tali a ciclizzazione indolica di Fisher, utilizzando acido acetico a reflusso. Dopo raffreddamento, la miscela di reazione è versata in ghiaccio ottenendo i derivati piridotiopiranoindolici 17a-b.

I tetracicli 17a-b sono stati quindi funzionalizzati in posizione 6 con le catene dialchilaminoalchiliche, nelle condizioni precedentemente descritte (schema 4). Per condensazione degli indoli 17a-b con gli appropriati dialchinoammino cloruri cloridrati, in DMF anidra, a 100°C e in presenza di NaH, è stato possibile ottenere i composti 3a-b e 3d desiderati. [52-53]

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SCHEMA 4

Attualmente si sta procedendo alla messa a punto della sintesi del composto 3c, 9-clorosostituito recante la catena alchilica più corta dimetilamminoetilica che aveva già dato problemi (vedi minori rese) nei corrispondenti derivati benzotiopiranoindolici e nell’analogo derivato 9-metossi sostituito.

I composti 2a-b e 3a-b,d così ottenuti sono stati trasformati nei corrispondenti cloridrati, per renderli più solubili nei solventi utilizzati nei saggi biologici. Saranno quindi inviati al gruppo di ricerca dell’università di Padova dove verrà valutata inizialmente l’attività citotossica e, successivamente, verranno approfonditi i meccanismi cellulari eventualmente coinvolti.

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MATERIALI E METODI

Se non diversamente indicato, tutti i solventi e i reagenti utilizzati per la sintesi sono stati acquistati direttamente dai fornitori e sono stati utilizzati senza ulteriore purificazione. Come agente essiccante è stato usato solfato di magnesio. L'evaporazione è stata eseguita sotto vuoto (evaporatore rotante). I Rendimenti (%) si riferiscono a composti cromatograficamente puri e spettroscopicamente omogenei (1H-NMR). Le reazioni sono state monitorate attraverso cromatografia su strato sottile ( TLC ), effettuata su un foglio di alluminio silicato ( MARCA 60 F - 254, spessore 0,2 mm ) . Gli spettri di risonanza magnetica del protone (1H-NMR) sono stati registrati in dimetilsolfossido deuterato (DMSO - d6) o in cloroformio deuterato ( CDCl3 ) utilizzando uno

Spettrometro Bruker 400 MHz. I punti di fusione sono stati determinati utilizzando un apparecchio Reichert Köfler .

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