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ATTIVATORI DEL SIGNALING SIRT 1/AMPK IN MODELLI IN VITRO E IN VIVO E LORO POTENZIALE APPLICAZIONE PREVENTIVA O CURATIVA NEL DIABETE MELLITO DI TIPO 2

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(1)

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

Corso di Laurea Magistrale in

Biologia Applicata alla Biomedicina

Curriculum Fisiopatologico

Tesi di Laurea

“ATTIVATORI DEL SIGNALING SIRT 1/AMPK IN MODELLI IN

VITRO E IN VIVO E LORO POTENZIALE APPLICAZIONE

PREVENTIVA O CURATIVA NEL DIABETE MELLITO DI TIPO 2”

Relatore: Candidata:

Prof. Luca Giovannini Mariella Vivona

Anno Accademico

2017/2018

(2)

- 2 -

(3)

- 3 -

INDICE

RIASSUNTO ………

………..8

1 INTRODUZIONE

11

1.1 Obesità: definizione ed epidemiologia 11

1.1.1 Eziologia dell’obesità 13

1.2 Regolazione della massa adiposa 15

2. REGOLAZIONE DELL’ASSUNZIONE DI CIBO

18

2.1 Regolazione a breve termine dell’assunzione di cibo 21

2.1.1 Segnali oressizzanti provenienti dal tratto gastrointestinae: Grelina e Orexina 21

2.2 Segnali anoressizzanti a breve termine 25

2.2.1 Colecistochinina (CCK) 25

2.2.2 PYY 26

2.2.3 Prodotti del proglucagone: GLP-1, GLP-2 e ossintomodulina 27

2.3 Regolazione a lungo termine dell’assunzione del cibo 27

2.3.1 Segnali anoressizzanti rilasciati dal tessuto adiposo e del pancreas 27

2.3.1.1 Leptina 27

2.3.2 Adiponectina 29

2.3.3 Insulina 30

3. DIABETE

33

3.1 Diabete mellito tipo 1

34

3.2 Diabete mellito tipo 2

36

3.3 Complicanze del diabete

39

(4)

- 4 -

5. SIRTUINE

43 5.1 Storia 43 5.2 Proprietà biochimiche 46 5.3 Funzioni 48 5.4 Sirtuina 1 (SIRT 1) 51

5.4.1 SIRT 1 e Restrizione Calorica 54

5.4.2 SIRT 1 e FOXO 57

5.4.3 SIRT 1 e PPARγ 62

5.4.4 SIRT 1 e PGCI-α 67

5.4.5 SIRT 1 e le Variazioni Circadiane 72

5.4.6 Regolazione di SIRT 1

76

6. AMPK

82

6.1 Struttura ed attivazione di AMPK 83

6.2 Regolazione di AMPK

87

6.2.1 SIRT 1 e AMPK

91

6.3 Proteine regolate da AMPK

92

7. SIRT 1 E IL METABOLISMO

97

7.1 SIRT 1 e il Metabolismo glucidico 100

7.2 SIRT 1 e il Metabolismo lipidico 102

7.3 SIRT 1 e il Fegato…

104

7.4 SIRT 1 e il Tessuto adiposo 111

7.5 SIRT 1 e Muscolo scheletrico 114

7.6 SIRT 1: Pancreas e Secrezione di insulina 116

7.7 SIRT 1 e Rene 122

8. POLIFENOLI

124

(5)

- 5 -

8.1.1 Cinetica 128

8.1.2 Acido ferulico: diabete e obesità 130

8.2 Tirosolo 131

8.2.1 Effetti del tirosolo 133

8.2.2 Tirosolo e metabolismo 134

9. SCOPO DELLO STUDIO

136

10. MATERIALI E METODI

138

10.1 Studio in vitro 138

10.1.1 Colture cellulari 138

10.1.2 Condizioni di coltura 139

10.2 Western blot 141

10.3 Test di citotossicità – Test di vitalità cellulare CellTiter-Blue (Promega)

144

10.4 Studio in vivo

145

10.4.1 Fase I: Studio pilota 145

10.4.1.1 Animali 145 10.4.1.2 Gruppi di trattamento 145 10.4.2 Metodologia 146 10.4.3 Test ELISA 147 10.4.4 Analisi statistica 150

11. RISTULATI

151

11.1 STUDIO IN VITRO: I FASE 151

11.1.1 Test di vitalità cellulare- CellTiter Blue (Promega) 151

11.1.2 Valutazione della vitalità cellulare in condizioni basali (5.5mM Glu) e di elevati livelli di glucosio (30 mM) in seguito a somministrazione singola di Acido Ferulico e Tirosolo 151

(6)

- 6 -

11.1.3 Valutazione della vitalità cellulare in condizioni basali (5.5mM Glu) e di elevati livelli di glucosio (30 mM) in seguito a somministrazione associata di Acido Ferulico

e Tirosolo 155

11.2 STUDIO IN VITRO II FASE 158

11.2.1 Valutazione della modulazione dell’espressione di SIRT 1 e dell’attivazione di AMPK da parte di Acido ferulico e Tirosolo……….158

11.2.2 Valutazione dell’espressione di SIRT1 in condizioni basali (5.5mM Glu) e di elevati livelli di glucosio (30 mM) in seguito a somministrazione singola di Acido Ferulico e Tirosolo……...158

11.2.3 Valutazione dell’espressione di AMPK in condizioni basali (5.5mM Glu) e di elevati livelli di glucosio (30 mM) in seguito a somministrazione singola di Acido Ferulico e Tirosolo………160

11.2.4 Valutazione dell’espressione di SIRT1 e di AMPK in condizioni basali (5.5mM Glu) e di elevati livelli di glucosio (30 mM), in seguito a somministrazione singola e associata delle sostanze, Acido Ferulico e Tirosolo, e della presenza di un eventuale effetto sinergico………...162

11.2.4.1 Valutazione dei livelli di espressione di SIRT 1: sostanze associate vs sostanze singole..163

11.2.4.2 Valutazione dei livelli di AMPK: sostanze associate vs sostanze singole………..165

11.2.4.3 Valutazione dei livelli di espressione di SIRT 1: sostanze associate vs somma………167

11.2.4.4 Valutazione dei livelli di espressione di AMPK: sostanze associate vs somma…………..169

11.3 STUDIO IN VITRO III FASE: TEST ELISA………172

11.3.1 Valutazione dei livelli di insulina in cellule INS-1E………....172

11.3.2 Valutazione dei livelli di insulina in cellule INS-1E in condizioni di glucosio basali (5.5mM) e di elevati livelli di glucosio (30mM) in seguito a somministrazione singola………....172

11.3.3 Valutazione dei livelli di insulina in cellule INS-1E in condizioni di glucosio basali (5.5mM) e di elevati livelli di glucosio (30mM) in seguito a somministrazione associata………..174

11.3.3.1 Somministrazione associata vs singola………...……....174

11.3.3.2 Somministrazione associata vs somma………....176

(7)

- 7 -

12.1 FASE I: STUDIO PILOTA………179

12.1.1 Quantificazione SIRT1 negli organi mediante WESTERN BLOT ………..179

12.1.2 Livelli di espressione di SIRT 1 nel cuore………180

12.1.3 Livelli di espressione di SIRT 1 nel fegato……….. 182

12.1.4 Livelli di espressione di SIRT 1 nel tessuto adiposo………. 184

12.1.5 Livelli di espressione di SIRT 1 nel rene………. 186

12.2 TEST ELISA: Valutazione dei livelli di SIRT 1 nel plasma murino………188

13. DISCUSSIONE ...190

14.CONCLUSIONI……….193

(8)

- 8 -

RIASSUNTO

INTRODUZIONE: L’obesità è una condizione caratterizzata da un accumulo eccessivo o anormale di grasso nel tessuto adiposo che può influire negativamente sullo stato di salute.

Ad oggi, l’obesità rappresenta uno dei principali problemi di salute pubblica a livello mondiale, di carattere epidemico, sia perché la sua prevalenza è in costante e preoccupante aumento, non solo nei Paesi occidentali ma anche in quelli a basso-medio reddito, sia perché è un importante fattore di rischio per varie malattie croniche, quali diabete mellito di tipo 2, malattie cardiovascolari e tumori, causando un incremento della morbilità e della mortalità nei pazienti che ne sono affetti. Molti studi evidenziano infatti come la principale complicanza endocrino-patologica dell'obesità sia proprio il diabete di tipo 2. L'associazione obesità-diabete di tipo 2 è molto stretta, tanto che l'80% dei casi di diabete di tipo 2 possono essere ricondotti ad obesità.

In aggiunta, il rischio di diabete aumenta linearmente con l'aumento dell'indice della massa corporea (BMI) e con il crescere della massa grassa addominale, mentre all'opposto perdita di peso ed esercizio fisico diminuiscono la resistenza insulinica e riducono il rischio di insorgenza di diabete di tipo 2. Proprio per le dimensioni che stanno raggiungendo, il mondo della ricerca si sta sempre più concentrando sullo studio di questi disordini (obesità e diabete) e soprattutto su eventuali nuovi target farmacologici a scopo non solo curativo ma anche preventivo.

A questo proposito la letteratura evidenzia come SIRT 1 potrebbe essere una proteina chiave in questo contesto. Infatti, i livelli di SIRT 1 diminuiscono durante il processo di aging, nell’obesità e nei fenomeni di insulino-resistenza, per cui il mantenimento di adeguati livelli di questa proteina nelle sedi di interesse (ipotalamo, fegato e tessuto adiposo) potrebbe essere fondamentale proprio per prevenire un aumento del peso corporeo legato all’invecchiamento o allo sviluppo di resistenza alla leptina o all’insulina, associata a sua volta all’obesità e al diabete.

SCOPO: Sulla base di queste premesse numerosi studi hanno posto al centro dell’attenzione SIRT 1

come target terapeutico nella gestione delle malattie metaboliche attraverso un'intensa ricerca di meccanismi o sostanze in grado di potenziarne l’attivazione. A tal proposito, lo scopo di questa tesi sperimentale è proprio quello di valutare l’effetto di sostanze naturali e non tossiche, potenzialmente attivanti SIRT 1, sia in modelli in vitro che in modelli murini di diabete di tipo 2. In particolare, verrà verificato se le sostanze sono in grado di modulare l’espressione e/o l’attivazione di proteine target come SIRT 1 e AMPK cruciali nei processi metabolici e, soprattutto, nell’obesità e nel diabete mellito di tipo 2.

MATERIALI E METODI: Lo studio in vitro, ha previsto l’utilizzo di cellule INS-1E, ottenute

(9)

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da irraggiamento con raggi X (Skelin et al. 2010). Le cellule INS-1E risultano possedere capacità fondamentali per l’utilizzo in vitro quali il mantenimento di un fenotipo stabilmente differenziato e la capacità di secernere insulina in risposta ad elevate concentrazioni di glucosio (Asfari et al. 1992). Le sostanze utilizzate per i trattamenti sono state l’Acido Ferulico (25-50 μM) e il Tirosolo (10-20 μM). Prima dei trattamenti, sia nella prima fase che nella seconda fase dell’esperimento, le cellule sono state pre-incubate con glucosio a due diverse concentrazioni (5.5mM e 30mM) per 48 ore e successivamente trattate con le sostanze in esame, sia singolarmente che in associazione per un tempo di incubazione di 24 ore. Nella prima fase dell’esperimento, per ciascuna di queste sostanze è stata testata la loro eventuale citotossicità a diverse concentrazioni utilizzando il metodo fluorimetrico CellTiter-Blue cell viability assay (Promega). Nella seconda fase dell’esperimento, invece, è stato valutato l’effetto di Acido ferulico e Tirosolo sull’espressione di SIRT 1 e sull’attivazione di AMPK mediante tecnica del Western Blot, mentre i livelli di insulina sono stati quantificati mediante Test Elisa.

Per quanto riguarda invece lo studio pilota in vivo, questo è stato condotto su 36 ratti Wistar maschi sani. Dopo la settimana di acclimatazione gli animali sono stati poi casualmente suddivisi in 6 gruppi e opportunamente trattati con l’Acido Ferulico (25-50 mg/kg) e il Tirosolo (20 mg/kg), in seguito a somministrazione singola o associata, per 8 settimane. Al termine dei trattamenti gli animali sono stati anestetizzati con iniezione intraperitoneale di Fenobarbital sodico (60mg/kg) e sottoposti a prelievo di sangue dall’aorta addominale, con apposita siringa con eparina. Gli animali sono stati poi successivamente sacrificati per overdose da anestetico.

Dopo la puntura cardiaca sono stati rimossi i tessuti di interesse (fegato, tessuto adiposo, cuore e rene), opportunamente processati per le successive valutazioni sperimentali. I campioni di plasma sono stati utilizzati per la quantificazione di SIRT 1 mediante apposito kit ELISA (Rat Sirtuin 1 (SIRT1) ELISA Kit- MyBioSource, San Diego, California, USA), mentre i campioni di tessuto sono stati utilizzati per la valutazione dell’espressione/attivazione di SIRT 1 e AMPK mediante Western Blot.

RISULTATI: STUDIO IN VITRO - L’analisi dei dati ottenuti dai test di citotossicità ha messo in

evidenza come non vi sia nessuna variazione significativa del numero di cellule vitali dei campioni trattati con Acido Ferulico e Tirosolo, rispetto al controllo, sia in condizioni basali di glucosio (5.5 mM) sia in condizioni di elevati livelli di glucosio (30 mM), dimostrando in questo modo la non tossicità delle sostanze in esame. Inoltre, i risultati ottenuti mediante Western Blot evidenziano come l’espressione/attivazione di SIRT 1 e di AMPK sia significativamente aumentata in tutti i gruppi sperimentali rispetto al gruppo di controllo, quando le cellule sono state trattate con le singole sostanze e in associazione (***p<0.001) sia in condizioni basali di glucosio sia in condizioni di elevati livelli di glucosio.

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In dettaglio, l’analisi dei risultati delle associazioni tra le sostanze (Acido Ferulico+Tirosolo) ha messo in evidenza come la loro somministrazione associata comporti un aumento dell’espressione/attivazione di SIRT1 e di AMPK maggiore e statisticamente significativo rispetto a quello ottenuto sommando gli effetti delle singole somministrazioni, evidenziando quindi la presenza di un effetto sinergico tra le sostanze sull’espressione/attivazione di SIRT1 e di AMPK, sia in condizioni basali di glucosio (5.5mM Glu) per SIRT 1 e AMPK (#p<0.05), sia in condizioni di elevati livelli di glucosio (30 mM) solo per SIRT 1 (#p<0.05); mentre non si osservava un’azione sinergica delle sostanze sull’attivazione di AMPK in condizioni di 30 mM di glucosio (p=N.S).

Infine, la valutazione dei livelli di insulina mediante Test Elisa ha messo in evidenza come il Tirosolo e l’Acido Ferulico, somministrati sia singolarmente che in associazione, sono stati in grado di stimolare un aumento del rilascio di insulina da parte delle cellule INS1-E in maniera SIRT-1 dipendente.

STUDIO IN VIVO - L’analisi dei dati ottenuti mediante Western Blot conferma quanto osservato in vitro, evidenziando l’azione positiva di Tirosolo e Acido Ferulico sull’espressione di SIRT 1, dati avvalorati ancora di più dall’aumento statisticamente significativo di SIRT 1 rispetto al controllo nel plasma analizzato (***p<0.001).

CONCLUSIONI: I risultati dei nostri studi in vitro e in vivo confermano l’importante relazione

esistente tra Acido Ferulico, Tirosolo e SIRT 1, evidenziando come queste due sostanze potrebbero trovare un’applicazione farmacologica preventiva o curativa nella patogenesi e nello sviluppo dell’obesità e del diabete.

(11)

- 11 -

1.

INTRODUZIONE

1.1 Obesità: definizione ed epidemiologia

L’obesità, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), è una condizione caratterizzata da un accumulo eccessivo o anormale di grasso nel tessuto adiposo che può influire negativamente sullo stato di salute. Nella maggior parte dei casi, oltre a fattori genetici, è imputabile a uno stile di vita scorretto: un’alimentazione squilibrata, ipercalorica associata a un ridotto dispendio energetico a causa di inattività fisica.

Secondo i dati forniti dall’OMS, il numero di persone obese nel mondo è raddoppiato a partire dal 1980: nel 2014 oltre 1,9 miliardi di adulti erano in sovrappeso (BMI > 24.9 body mass index espresso in kg/m2) tra cui oltre 600 milioni obesi (BMI> 30).

In particolare, i dati relativi alla popolazione italiana rilevati dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) con l’Indagine Multiscopo condotta nel 2016, hanno messo in evidenza che più di un terzo della popolazione adulta (35,5%) è in sovrappeso, mentre più di una persona su dieci è obesa (10,4%); complessivamente, il 45,9% dei soggetti di età 18 anni risulta in eccesso ponderale. Questi valori presentano piccole variazioni, statisticamente significative, a livello territoriale designando un gradiente di distribuzione Nord-Sud, con una maggiore prevalenza di persone obese e in sovrappeso nelle Regioni Meridionali rispetto a quelle Settentrionali (www.epicentro.iss.it).

Ciò ha suscitato l’interesse di diversi gruppi di ricerca, facendo crescere il ruolo “delle sorveglianze di popolazione”, che attraverso indagini campionarie sugli stili di vita delle persone in età adulta, anziana e infantile consentono di raccogliere dati sullo stato di salute della popolazione e i suoi comportamenti e di valutare eventuali programmi di intervento utili nella prevenzione di condizioni come il sovrappeso e l’obesità, riconosciuti come fattori di rischio per le principali malattie croniche come il diabete mellito di tipo 2 e malattie cardiovascolari.

In dettaglio, il sistema di sorveglianza “Passi” è un progetto del ministero della Salute e delle Regioni/P.A. che ha l’obiettivo di mettere a disposizione di tutte le Regioni e Aziende sanitarie locali (Asl) del Paese una sorveglianza dell’evoluzione di alcuni fenomeni (sovrappeso e obesità, diabete, consumo di alcol, abitudine al fumo, ecc.) nella popolazione adulta. In particolare, i dati raccolti dal sistema di sorveglianza “Passi” in Italia nel periodo 2014-2017, hanno evidenziato che il 31,7% degli adulti è in sovrappeso, mentre il 10,7% è obeso (www.epicentro.iss.it). In totale, oltre quattro adulti su dieci (47,8%) risulta in eccesso ponderale. Inoltre, il sistema sperimentale di sorveglianza della salute della popolazione anziana, “Passi d’argento”, che completa il quadro offerto dalla sorveglianza Passi, ha evidenziato che l’eccesso ponderale è più frequente negli uomini rispetto alle

(12)

- 12 -

donne e decresce all’aumentare dell’età, raggiungendo un valore percentuale massimo (62%) nella fascia di età 65-74 anni (www.epicentro.iss.it).

Infine, un’indagine condotta nel 2016 da “OKkio alla Salute”, il sistema di sorveglianza nazionale, dell’Istituto Superiore di Sanità, dedicato a raccogliere informazioni sugli stili di vita dei bambini della scuola primaria (classe terza, 8-9 anni), ha riportato che il 21,3% dei bambini è in sovrappeso mentre il 9,3% risulta obeso. Oltretutto ad aumentare la preoccupazione sulla diffusione dell’obesità infantile è anche la predisposizione dei bambini obesi di avere un rischio quattro volte maggiore di sviluppare l’obesità in età adolescenziale e adulta (www.epicentro.iss.it). Questo sistema di sorveglianza fa anche parte della “WHO European Childhood Obesity Surveillance Initiative” (COSI) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Come si evince dalle ricorrenti statistiche l’obesità rappresenta uno dei principali problemi di salute pubblica a livello mondiale, di carattere epidemico, sia perché la sua prevalenza è in costante e preoccupante aumento, non solo nei Paesi occidentali ma anche nei Paesi a basso-medio reddito, sia perché è un importante fattore di rischio per diverse malattie croniche, quali diabete mellito di tipo 2, malattie cardiovascolari e tumori.

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1.1.1 Eziologia dell’obesità

In condizioni fisiologiche, l'energia introdotta in eccesso rispetto a quella spesa viene immagazzinata in parte come glicogeno ed in parte come depositi lipidici, i quali costituiscono le fonti energetiche utilizzate dall'organismo durante il digiuno. Quando le calorie introdotte sono superiori alle calorie bruciate, con conseguente accumulo di lipidi sia a livello del tessuto adiposo che in altri tessuti, si verifica uno squilibrio a favore del primo per cui si esce dalla condizione fisiologica e si entra nel patologico determinando il sovrappeso e/o l'obesità. Sicuramente la cattiva alimentazione e lo stile di vita sedentario sono i fattori predisponenti per lo sviluppo dell’obesità e allo stesso tempo i più modificabili, ma non sono esclusivi, infatti anche i fattori genetici in combinazione con altri fattori, biologici (ormoni), ambientali, invecchiamento e gravidanza contribuiscono all’insorgenza della patologia.

L’obesità comprende un gruppo eterogeneo di patologie a diversa eziologia e può essere classificata in:

- Obesità monogenica non sindromica: associata a singole mutazioni geniche, rappresenta una

forma rara nell'uomo, meno del 5% di tutti i casi di obesità; alcune delle forme più gravi sono causate da difetti in molecole anoressizzanti coinvolti nella via ipotalamica “leptina-melanocortina” o nei segnali ipotalamici posti a valle di questa via; segnali che sono alla base della regolazione dell’appetito e della sazietà. Queste forme presentano una notevole eterogeneità genetica e fenotipica, caratterizzata da differenti tipi d'ereditarietà.

- Obesità sindromica: si annoverano sia le ciliopatie, come la sindrome di Bardet-Biedl e di Alström,

sia l’obesità da difetto di imprinting come la sindrome di Prader-Willi e altre sindromi come la sindrome di Down, sindrome di Klinefelter, sindrome di Turner.

- Obesità poligenica: comprende la maggior parte dei casi di obesità umana, risulta dall’attività

integrata di numerosi geni e dalla loro interazione con i fattori ambientali (principalmente legati alla dieta, allo stile di vita sedentario, ecc.,).

Poi vi sono altre forme di obesità tra cui le endocrinopatie che possono causare la patologia con differenti meccanismi. Un esempio sono: la sindrome di Cushing, l’ipotiroidismo e l’insulinoma. In particolare, nell'insulinoma, una forma di tumore che colpisce le cellule β del pancreas, l'ipersecrezione d'insulina sia dopo pasto che a digiuno, oltre a stimolare il trasporto del glucosio e dei lipidi circolanti negli adipociti e ad inibire la lipolisi può provocare paradossalmente un'iperfagia. Infatti, pur avendo l'insulina un'azione anoressizzante a livello ipotalamico, il paziente affetto da insulinoma è spesso costretto ad alimentarsi frequentemente per evitare le ipoglicemie causate dall'iperinsulinemia a digiuno [1].

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Negli ultimi anni sono stati fatti notevoli progressi nella comprensione dei meccanismi che regolano il bilancio energetico ed i geni coinvolti in questi processi. Nel 1997 è stata identificata per la prima volta, in modelli murini, una mutazione riguardante un singolo gene, il gene ob (da obese) che codifica per l’ormone leptina, prodotto principalmente dal tessuto adiposo, ed è ritenuto uno dei più importanti regolatori del bilancio energetico [2]. Successivamente questo difetto è stato poi confermato dai rari casi clinici di obesità monogenica riscontrati nell’uomo [2;3;4;5;6].

Inoltre, studi genetici condotti mediante analisi di “linkage” e gli studi di “genome wide association” hanno permesso di individuare diversi polimorfismi (SNPs) associati al fenotipo obeso [4;7; 8]. I geni coinvolti nello sviluppo dell’obesità possono essere classificati in due principali categorie: geni altamente espressi a livello del sistema nervoso centrale, in particolare a livello dell’ipotalamo e geni espressi in periferia (sistema gastointestinale, tessuto adiposo); questi nel complesso sembrano essere coinvolti nella regolazione dell’appetito e della sazietà, nel controllo della spesa energetica e nel comportamento alimentare. Tra questi, il recettore 4 per la melanocortina (MC4R) sembra essere il responsabile di circa il 6% dei casi di obesità, sia ad esordio precoce che in età adulta [9;10;11]. Anche mutazioni a carico del recettore 3 per la melanocortina (MC3R) e di POMC (pro-opiomelanocortina) sembrano essere responsabili dell’insorgenza dell’obesità principalmente in giovane età [12;13]. Recentemente, sempre attraverso studi di “genome wide association” è stato identificato un gene di suscettibilità all’obesità chiamato FTO (Fat mass and Obesity-associated gene) altamente espresso a livello delle regioni ipotalamiche che sono implicate nel mantenimento del bilancio energetico; per cui la sua regolazione dipende dalle variazioni dell’assunzione di cibo. Inoltre, è emerso che i portatori della mutazione a carico del gene FTO mostravano costantemente un aumento dell'appetito aumentando così la predisposizione a diventare obesi [14].

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1.2 Regolazione della massa adiposa

In passato il tessuto adiposo è stato per lungo tempo considerato come organo di deposito energetico e isolamento termico dell’organismo. Esso è formato da cellule dette adipociti e nell’uomo si distinguono due tipi di tessuto adiposo, il tessuto adiposo bianco (WAT, White Adipose Tissue) e il tessuto adiposo bruno (BA, Brune Adipose Tissue). La principale funzione del tessuto adiposo bruno è quella di produrre calore, processo noto come termogenesi, grazie al disaccoppiamento mitocondriale che, in queste cellule, dissocia la fosforilazione ossidativa dalla produzione di ATP. Il tessuto adiposo bianco è il più diffuso nell’organismo ed è costituito da pre-adipociti ed adipociti maturi, ma anche da macrofagi, fibroblasti, cellule staminali e vasi, e il differenziamento da pre-adipociti ad pre-adipociti maturi deriva dall’aumento del grasso corporeo. Il tessuto adiposo non ha solo la funzione di riserva energetica (depositi lipidici), ma ha anche una funzione plastica e meccanica, in quanto modella il tessuto sottocutaneo, riempie gli interstizi tra gli organi rivestendo vasi, nervi e muscoli, ha anche una funzione termoisolante, in quanto il grasso, non conducendo calore, fa sì che il calore prodotto dall’organismo non venga disperso e infine ha anche una funzione secretoria [1]. Già alla fine degli anni ‘80, esso era stato identificato quale sito maggiore di metabolismo degli ormoni steroidi e di produzione di adipsina, un fattore endocrino marcatamente down-regolato nella obesità dei roditori. Con la scoperta della leptina nel 1994 [6], si è iniziato a delineare la potenzialità endocrina del tessuto adiposo, con funzioni regolatorie importanti nell’omeostasi energetica dell’organismo e in altri processi fisiologici [15]. Numerosi studi hanno successivamente evidenziato che il tessuto adiposo è fisiologicamente in grado di secernere una grande varietà di peptidi, globalmente identificati col termine di adipocitochine, (Figura 1) con azione locale (autocrina/paracrina) sul tessuto adiposo stesso, ma anche sistemica (endocrina) su diversi organi e tessuti bersaglio, quali ipotalamo, pancreas, fegato, muscolo scheletrico, rene, endotelio e sistema immunitario [16;17]. Queste molecole, oltre ad esser coinvolte nella regolazione dell’omeostasi energetica dell’organismo e nella regolazione del metabolismo glucidico e lipidico, sono implicate anche nel controllo dello stress ossidativo e nel mantenimento dell’integrità della struttura e funzione della parete vascolare, e possiedono importanti effetti pro- o antinfiammatori, meccanismi che globalmente sono responsabili delle diverse manifestazioni cliniche della sindrome metabolica [18;19]. Tra le principali adipocitochine ricordiamo l’adiponectina e la leptina.

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Figura 1: Principali adipocitochine secrete dal tessuto adiposo

Quindi il tessuto adiposo bianco può essere considerato un organo neuroendocrino o, quanto meno, mostrare attività funzionali tipiche del sistema neuroendocrino [20].

Nei mammiferi, un insieme complesso di ormoni e segnali nervosi agiscono insieme nel mantenere bilanciato il consumo di energia e nutrienti in modo da mantenere a livelli accettabili la quantità di tessuto adiposo che si forma. A tal proposito, la teoria lipostatica, formulata per spiegare il mantenimento del peso corporeo costante, prevede che un segnale prodotto dal tessuto adiposo, la leptina, possa influenzare nel cervello i centri che controllano il senso della fame/sazietà e le attività metabolica e motoria. La teoria postula che esiste un meccanismo a feedback che inibisce l’assunzione di cibo e aumenta il consumo di energia quando la massa adiposa tende ad incrementare, viceversa, l’inibizione viene rimossa quando la massa adiposa tende a diminuire, aumentando l'appetito e riducendo il dispendio energetico (Figura 2). Questa regolazione è in parte alterata in condizioni di sovrappeso ed obesità. Inoltre, è stato ipotizzato che l'espansione del tessuto adiposo che si verifica con l'obesità conduca a ipertrofia e iperplasia degli adipociti e che le richieste metaboliche di questi, una volta ingranditisi, superino l'apporto locale di ossigeno portando ad ipossia cellulare con attivazione di meccanismi cellulari di stress. Tutto ciò condurrebbe ad infiammazione

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cellulare e al rilascio di citochine e di altri segnali pro-infiammatori. In modo del tutto analogo ad un processo infiammatorio cronico, le chemochine secrete localmente richiamerebbero macrofagi nel tessuto adiposo che a loro volta rilascerebbero le citochine con conseguente estensione e amplificazione del processo infiammatorio [21;22;23].

Figura 2: Modello per il mantenimento della massa corporea costante. Quando aumenta la massa di tessuto adiposo, la leptina che

viene rilasciata, inibisce la fame e la sintesi lipidica e stimola l’ossidazione degli acidi grassi. Quando diminuisce la massa del tessuto adiposo, la produzione di leptina si abbassa, aumenta il bisogno di cibo e diminuisce l’ossidazione degli acidi grassi.

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2. REGOLAZIONE DELL’ASSUNZIONE DI CIBO

La regolazione dell’assunzione di cibo e del peso corporeo, come già accennato, è un complesso meccanismo fisiologico che coinvolge circuiti nervosi centrali e periferici. Il sistema nervoso centrale (SNC) riceve segnali dalla periferia che lo informano circa la disponibilità dei substrati e dei nutrienti, sullo stato dei depositi di energia e sulle necessità della loro utilizzazione in rapporto alle diverse condizioni. I circuiti neuronali centrali sono modulati da ormoni sintetizzati dal tessuto adiposo, che riflettono lo stato nutrizionale a lungo termine, e da ormoni gastrointestinali circolanti che causano stimolazione dell’appetito o della sazietà. L’ipotalamo rappresenta la principale regione anatomica coinvolta nella regolazione dell’assunzione di cibo. Il nucleo arcuato (ARC) ipotalamico svolge un ruolo cruciale nell’integrazione dei segnali regolatori del comportamento alimentare e dell’omeostasi energetica ed è localizzato in prossimità dell’eminenza mediana [24] (Figura 3).

Figura 3: Ipotalamo Tratto mammillotalamico Nucleo periventricolare Nucleo ipotalamico dorsomediale Tratto ottico Nucleo tuberale laterale Eminenza mediana Nucleo arcuato Nucleo ipotalamico ventromediale Amigdala Area ipotalamica laterale Fornice Terzo ventricolo Nucleo sopraottico

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Nel nucleo arcuato sono presenti due gruppi di neuroni: un circuito neuronale che sovraintende all’azione anoressigenica, ovvero inibizione dell’assunzione di cibo tramite l’espressione dei neuropeptidi pro-opiomelanocortinici, precursori della melanocortina (POMC) e del trascritto regolato da cocaina ed amfetamina (CART) [25;26]; mentre l’altro circuito con azione opposta, oressigenica, stimola l’assunzione di cibo tramite l’espressione del neuropeptide Y (NPY), del peptide correlato alla proteina agouti (AgRP) e del GABA (acido gamma-amminobutirrico) [27].

Questi assoni neuronali definiti “di prim’ordine” proiettano sui “neuroni di secondo ordine”, localizzati a livello del nucleo ipotalamico paraventricolare (PVN), dorso-mediale (DMN), ventromediale (VMN) e laterale (LH), che elaborano le informazioni relative all’omeostasi energetica [28]. Inoltre, esiste una relazione di inibizione reciproca tra i nuclei ipotalamici: i neuroni anoressigeni POMC/alfa-MSH/CART inibiscono quelli oressigeni localizzati nelle aree ipotalamica laterale (LHA) e perifornicale (PFA), mentre i neuroni oressigeni AGRP/NPY/GABA inibiscono quelli anoressigeni localizzati nel nucleo paraventricolare (PVN) (Figura 4).

Figura 4: Dal nucleo arcuato, le proiezioni

implicate nel controllo dell’assunzione di cibo raggiungono un gruppo di neuroni ad azione anoressizzante, localizzato nel nucleo paraventricolare (PVN), e un gruppo di neuroni ad azione oressizzante localizzato nell’area ipotalamica laterale (LHA).

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La propiomelanocortina, POMC, è una proteina di grandi dimensioni, precursore degli ormoni

melanocortinici, quali i melanocyte stimulating hormone (MSH) alfa, beta e gamma, dell'ormone adrenocorticotropo (ACTH) e della beta-endorfina, un peptide oppioide, che agisce a livello centrale incrementando nel roditore l’assunzione di cibo [29].

Queste molecole vengono prodotte grazie all'azione proteolitica delle pro-ormone convertasi 1 e 2 (PC1e PC2) sulla propiomelanocortina. In particolare, l'alfa-MSH è una delle principali molecole anoressizzanti e agisce mediante il recettore melanocortinico MC4R sui neuroni anoressigeni del nucleo paraventricolare. Come detto precedentemente, mutazioni genetiche che causano deficit di POMC, della sua convertasi PC1, del recettore melanocortinico MC4R, della leptina e del suo recettore LEPR, sono in grado di generare gravi forme d'obesità (Obesità monogenica). Gli stessi neuroni del nucleo arcuato dell'ipotalamo che producono POMC sintetizzano anche il CART, i cui livelli aumentano in seguito ad assunzione di cocaina e amfetamine. Diversi studi hanno evidenziato che, nei ratti, la somministrazione di frammenti peptidici CART, nella regione intracerebro-ventricolare (ICV) riduceva l'assunzione di cibo (effetto anoressigenico), mentre la somministrazione di anticorpi diretti contro il peptide CART nella regione ICV aumentava l’assunzione di cibo (effetto oressigenico), suggerendo che i peptidi endogeni CART esercitano un tono inibitorio sull'assunzione di cibo [30;31;32].

Il neuropeptide Y (NPY) stimola l’assunzione di cibo, agendo principalmente sui recettori NPY1R

e NPY5R, che sono concentrati soprattutto nelle aree ipotalamiche che includono il PVN, il VMN e LH [33;34]. La proteina AGRP, una dei più potenti stimolatori dell'appetito, è prodotta dagli stessi neuroni del nucleo arcuato dell'ipotalamo che esprimono NPY (neuroni NPY/AGRP) ed è dotata di un'emivita più lunga di quella dell'NPY. Questa molecola ha un'azione antagonista sul sistema melanocortinico (POMC) in particolare agisce sul recettore MC4R, contrastando la sua stimolazione da parte dell'alfa-MSH, sostanza anoressizzante centrale. Inoltre, l’inibizione sul sistema POMC avviene anche mediante il GABA che ha un effetto inibitorio diretto sui corpi cellulari dei neuroni anoressizzanti (Figura 4).

Le vie anoressizzanti e quelle oressizzanti convergono anche sul nucleo del tratto solitario (NTS), localizzato nel tronco dell’encefalo, e in stretta connessione con l’ipotalamo, talamo e amigdala. Pertanto, il NTS risulta di estrema importanza nella regolazione del bilancio energetico in quanto riceve sia afferenze dai recettori del gusto (tramite tre nervi craniali: 7°, 9°,10°) sia segnali di sazietà a breve termine attraverso le fibre afferenti vagali (Figura 5).

Il consumo di cibo stimola i nervi afferenti vagali sia attraverso la distensione gastrica per attivazione dei meccanorecettori gastrici sia mediante il rilascio da parte dell’intestino tenue e crasso, rispettivamente, di ormoni anoressigenici a breve termine come: la colecistochinina (CCK) che interagisce con il rispettivo recettore CCKR1 espresso a livello delle fibre vagali, e il peptide Y (PPY)

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che per via ematica esplica la sua azione anoressizzante a livello del nucleo arcuato dell’ipotalamo (ARC).Nel complesso si ha un effetto inibitorio a breve termine dell’assunzione di cibo [35;36;37;38;39].

Figura 5: Nucleo del tratto solitario nella regolazione

dell’assunzione di cibo

2.1 REGOLAZIONE A BREVE TERMINE DELL’ASSUNZIONE DI CIBO

2.1.1 Segnali oressizzanti provenienti dal tratto gastrointestinale: Grelina e Orexina

Il tratto gastrointestinale, che costituisce una parte del sistema nervoso enterico (SNE), comunica con il SNC e con il SNP mandando e ricevendo input in maniera bidirezionale. Pertanto, la coordinazione delle funzioni motorie, secretorie e di assorbimento del sistema digerente sono il risultato di attività locali e autonome integrate che coinvolgono la muscolatura, le ghiandole secretorie e il sistema vascolare. La grelina (da “ghre” che significa "crescere") è un ormone peptidico oressigenico, scoperto nel 1999 come il ligando endogeno per i recettori ipotalamo-ipofisari GHS-R (growth hormone secretagogue receptor), la cui interazione è in grado di stimolare il rilascio dell’ormone della crescita (GH) dalla ghiandola pituitaria anteriore. È un ormone della “fame” per cui la sua funzione principale è quella di segnalare lo stato di riempimento gastrointestinale ai centri superiori,

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SNC, mediante l'attivazione di circuiti neurali oressigeni al fine di regolare l’assunzione di cibo; pertanto è responsabile degli effetti a breve termine in relazione ai pasti. Successivamente, sono state descritte numerose azioni centrali e periferiche della grelina, tra cui la stimolazione della motilità intestinale e la secrezione acida gastrica, modulazione del ritmo circadiano, regolazione del metabolismo del glucosio, soppressione della termogenesi a livello del tessuto adiposo bruno, modulazione dello stress e ansia, protezione contro l'atrofia muscolare, e miglioramento delle funzioni cardiovascolari, come la vasodilatazione e contrattilità cardiaca; rivelando così un’azione pleiotropica dell’ormone stesso. La grelina è prodotta principalmente dalle cellule parietali (ossintiche) dello stomaco e i livelli ematici aumentano con l'aumentare del senso di fame per cui si osserva un picco di grelina in corrispondenza dei principali pasti del giorno: colazione, pranzo e cena (Figura 6).

Figura 6: Grelina, ormone prodotto dalle cellule parietali (ossintiche) dello stomaco

La grelina è codificata dal gene pre-proghrelina, (GHRL) ed esiste in due forme: nella forma inattiva sotto forma di precursore pre-progrelina di 117 amminoacidi che subisce un taglio proteolitico del peptide N-terminale di 23 aa rilasciando il peptide pro-ghrelina di 94 aa, che subisce un ulteriore taglio proteolitico con il rilascio del peptide maturo grelina di 28 aa e di obestatina. L’obestatina è un peptide ormonale originariamente isolato dallo stomaco di ratto. All’inizio si pensava che l’obestatina fosse il ligando endogeno per il recettore della grelina e che agisse come un ormone

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anoressigenico diminuendo l'assunzione di cibo e la motilità gastrica, contrasto così l’azione della grelina. In realtà questi due ormoni peptidici, che derivano dallo stesso gene e che hanno un’azione opposta nella regolazione dell’assunzione del cibo, si legano e attivano recettori distinti in seguito a modifica post-traduzionale. Infatti, il gruppo ossidrilico sul residuo Ser 3 della grelina viene acilato, generalmente con acido ottanoico, attraverso un unico evento post-traduzionale catalizzato dalla ghrelina O-aciltransferasi (GOAT) ottenendo così la forma attiva della grelina, l’Acyl-grelina, mentre la Desacyl-grelina (DAG) si ottiene in seguito all'idrolisi enzimatica della frazione acile [40;41;42]. L’acil-grelina interagisce con il recettore grelinico a 7 domini transmembrana (GHS-R1a) che rappresenta una delle due varianti prodotte mediante splicing genetico di GHSR, dove l’altra variante è costituita da GHS-R1b, recettore a 5 domini transmembrana, verso cui la grelina non sembrerebbe mostrare affinità. La forma Desacyl-ghrelin, invece non si lega al recettore grelinico, nonostante sia presente in concentrazioni plasmatiche più elevate rispetto alla grelina.

Diversi dati emergenti suggeriscono che DAG potrebbe avere diverse funzioni biologiche significative, tra cui effetti benefici sulla secrezione insulinica e sulla lipolisi, anche se non è stato ancora identificato un recettore per la Desacyl-grelina [43;44;45;46;47;48;49;50].

Pertanto, la grelina è l'unico ormone intestinale noto con attività di aumento dell'assunzione di cibo e stimolazione dell'appetito. Esso, una volta liberato dallo stomaco, tramite la circolazione sanguigna raggiunge il nucleo arcuato delll’ipotalamo (ARC), dove interagendo con il proprio recettore, stimola i neuroni oressigenici di prim’ordine (NPY/AgRP) i quali a loro volta stimolano i neuroni di secondo ordine traducendo l’input con l’informazione “è ora di mangiare”; allo stesso tempo inibisce i neuroni anoressigenici (POMC). Ci sono diverse ipotesi, ancora non del tutto chiare, sul passaggio della grelina attraverso la barriera ematoencefalica (BBB, blood–brain barrier); una delle ipotesi è che a livello dell’eminenza mediana la BBB è incompleta, meno selettiva, tale da consentire un passaggio sufficiente di grelina, un’altra ipotesi è che il nervo vago stimola dei neuroni che rilasciano grelina nell’ipotalamo stesso. La grelina oltre ad agire sul nucleo arcuato dell’ipotalamo, può agire direttamente o indirettamente sull’area ipotalamica laterale (LHA) dove si trovano i neuroni che liberano Orexina A e B, e in particolare l’orexina A, è un ormone peptidico coinvolto nella coordinazione del ciclo sonno veglia e promuove l’assunzione di cibo. Inoltre, la grelina insieme all’orexina stimolano la via dopaminergica-mesolimbica. In particolare, il legame della grelina con il suo recettore a livello dell’area tegmentale ventrale (VTA), stimola il rilascio di dopamina, per cui l’assunzione di cibo viene percepito dall’individuo come soddisfacente e pertanto tende a ripeterlo (addiction). Questo comportamento è potenziato anche dall’orexina A che si lega al suo recettore Orexin 1 receptor posto sui neuroni dopaminergici dell’area tegmentale ventrale con conseguente attivazione della proteina chinasi C (PKC) che porta a un aumento dell’espressione dei recettori NMDA (N-metil-D-aspartato) a cui si lega il glutammato. Quindi l’orexina porta a un potenziamento

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a lungo termine (LTP) della sinapsi glutammatergica: una maggiore attivazione della sinapsi glutammatergica si traduce in una maggiore attivazione dei neuroni dopaminergici con conseguente attivazione del sistema di ricompensa e addiction [51] (Figura 7).

Figura 7: Orexina A incrementa la risposta NMDA nei neuroni

dopaminergici nella VTA (promuove LTP)

Queste evidenze documentano l’importanza diretta della grelina sul sistema ricompensa coinvolto con l’assunzione di cibo palatabile e allo stesso modo di sostanze d’abuso [52;53]. Inoltre, la grelina tramite il nervo vago stimola il nucleo del tratto solitario (NTS), che come detto precedentemente, è coinvolto nella regolazione dell’introito energetico.

Per capire ulteriormente il ruolo della grelina endogena, nella regolazione dell'appetito e del peso corporeo, è stato sviluppato un modello genetico di topo grelina-deficiente (ghrl -/-), in cui il gene della grelina è stato sostituito con un gene reporter lacZ. I topi (ghrl -/-) erano vitali, assumevano cibo spontaneamente, mostravano tassi di crescita normali e livelli basali normali di neuropeptidi ipotalamici oressigenici e anoressigeni e nessun deficit di iperfagia riflessa dopo il digiuno. Questi risultati indicano che la grelina endogena non è un regolatore essenziale dell'assunzione di cibo e che avrebbe, al massimo, un ruolo ridondante nella regolazione dell'appetito. Tuttavia, ulteriori studi condotti sui topi ghrl -/- dimostravano che il ruolo principale della grelina endogena fosse quello di modulare il substrato metabolico (grassi vs carboidrati) da utilizzare preferenzialmente per il

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mantenimento del bilancio energetico, privilegiando l’assunzione dei grassi ai carboidrati. Questo ruolo della grelina endogena è coerente con i precedenti studi, secondo cui la somministrazione quotidiana di grelina esogena (periferica) ha causato un aumento di peso riducendo l'assunzione dei grassi nei topi e nei ratti; infatti, studi precedenti hanno dimostrato che una dieta ricca di grassi diminuisce i livelli di grelina nei roditori e che i livelli plasmatici di grelina sono anche inferiori negli esseri umani obesi [54]. Questa riduzione della secrezione di grelina in situazioni di bilancio energetico positivo può, insieme ad una maggiore secrezione di leptina, riflettere una risposta controregolatoria adattativa, promuovendo il dispendio energetico e quindi l'utilizzazione dei lipidi in condizioni di eccesso di nutrienti.

2.2 SEGNALI ANORESSIZZANTI A BREVE TERMINE

2.2.1 Colecistochinina (CCK)

La colecistochinina è stato il primo ormone intestinale descritto da Gibbs nel 1973, come inibitore dell’assunzione di cibo nei roditori [55]. È ampiamente espressa sia a livello centrale che a livello periferico e in base alla sede anatomica sono stati identificati due sottotipi del recettore per la CCK: il recettore CCK-1, è espresso nel nervo vago, nei neuroni enterici, nel pancreas, cistifellea e a livello del SNC, in particolare nelle regioni coinvolte nella regolazione dell'assunzione di cibo, tra cui il nucleo del tratto solitario, l'area postrema (AP) e l'ipotalamo mediano dorsale, mentre il recettore CCK-2 è presente nel SNC, compresa la corteccia cerebrale e l'ipotalamo, nonché nelle afferenze vagali e nella mucosa gastrica. La colecistochinina è un ormone secreto da cellule specializzate, conosciute come cellule I, presenti nella parte prossimale dell'intestino tenue, il cui rilascio avviene in seguito ad un pasto ricco soprattutto di grassi e proteine (ed in minor quantità dal digiuno), ed in base all'introito di cibo il livello dell'ormone aumenta, raggiungendo un picco che rimane elevato per lungo tempo. Per cui gli effetti principali della CCK comprendono contrazione della colecisti, rilascio di enzimi pancreatici ed effetto anoressigeno il quale è attribuibile all’interazione della CCK con il recettore CCK-1 espresso a livello delle fibre vagali, esplicando così la sua azione anoressizzante a breve termine a livello del NTS. La CCK stimola anche la liberazione del PYY dalla porzione distale del tratto gastrointestinale, oltre che promuovere l’attivazione di neuroni dopaminergici mesolimbici in vitro e in vivo attraverso l’interazione con CCK1 [56;57;58].

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2.2.2 PYY

PYY (peptide tirosina-tirosina) è stato isolato per la prima volta nel 1980 dalla mucosa intestinale porcina ed è così chiamato per la presenza di un residuo tirosinico sia nella porzione C-terminale che nella N-terminale del polipeptide. PYY insieme al neuropeptide Y (NPY) e al polipeptide pancreatico (PP) presentano significative omologie di sequenza e contengono molteplici residui tirosinici, pertanto appartengono alla stessa famiglia chiamata “NPY family” che è anche detta “PP-fold” (Pancreatic Polypeptide-Fold) per la presenza, in tutti e tre i peptidi di una forcina, una piega di legame necessaria per il legame ai vari sottotipi del recettore Y. PYY esiste in due forme principali:

PYY1-36 e PYY3-36. PYY1-36 è costituito da 36 aminoacidi ed è secreto principalmente dalla

porzione distale dell’intestino, in particolare da cellule endocrine specializzate, chiamate cellule L, nell’ileo, colon e retto [59;60]. Le cellule L dell’intestino liberano PYY in proporzione alla quantità di calorie introdotte col pasto. A digiuno i livelli di PYY3-36 circolante sono bassi; dopo assunzione di cibo, aumentano rapidamente rimanendo elevati per lungo tempo. I livelli di PYY sono influenzati anche dalla composizione del pasto: i lipidi sono potenti stimolatori della secrezione a differenza di carboidrati o proteine. Inoltre, diversi studi hanno suggerito che i sistemi di regolazione neurali e umorali possono anche svolgere un ruolo nella regolazione del rilascio di PYY; l'infusione intraduodenale di lipidi nell'uomo ha causato un aumento del PYY prima che i nutrienti raggiungessero il tratto gastrointestinale distale, suggerendo la partecipazione di meccanismi neurali o umorali nella modulazione del rilascio di PYY [61;62;63]

PYY1-36 subisce, dopo la secrezione, clivaggio degli aminoacidi tirosina e prolina dalla porzione N-terminale da parte di un enzima, la di-peptidil peptidasi IV (DPP- IV), producendo PYY3-36, la forma prevalentemente circolante [64]. PYY3-36 è un segnale anoressizzante.

I peptidi PP-fold si legano a recettori a sette domini transmembrana, accoppiati a proteine G, denominati Y1-Y2-Y4-Y5-Y6 [65]. I recettori differiscono nella loro distribuzione e sono classificati in funzione dell’affinità per PYY, PP e NPY. Sebbene NPY e PYY leghino con alta affinità tutti i recettori Y, PYY3-36 ha affinità elevata per Y2. PYY3-36, poiché attraversa liberamente la barriera ematoencefalica, esercita il suo effetto anoressizzante sull’assunzione di cibo agendo sui recettori Y2 a livello del nucleo arcuato dell’ipotalamo sopprimendo l’effetto oressizzante di NPY. L’effetto di PYY3-36 sull’assunzione di cibo non si esercita solo sul ARC; i suoi effetti sull’appetito sono mediati anche da altre regioni cerebrali quali le regioni corticolimbiche, la corteccia orbitale frontale, lo striato ventrale, il cingolo anteriore, l’insula e VTA. In fase postprandiale, a cui corrispondono alte concentrazioni di PYY3-36, sono queste aree, coinvolte nei processi di ricompensa e nel comportamento edonistico, a regolare il comportamento alimentare, mentre in condizione di bassi livelli di PYY3-36 la regolazione è prevalentemente ipotalamica. La somministrazione periferica di

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PYY3-36 riduce i livelli di grelina e questa azione può contribuire ai suoi effetti sull’appetito. In contrasto con l’azione periferica di PYY3-36, l’azione centrale di PYY1-36 e PYY3-36 è oressigenica. La liberazione di PYY è stimolata dalla CCK, dall’esercizio fisico a lungo termine, dai nutrienti assunti durante il pasto e dagli acidi biliari [66;67;68].

2.2.3 Prodotti del proglucagone: GLP-1, GLP-2 e ossintomodulina

Il proglucagone viene scisso enzimaticamente liberando differenti prodotti, a seconda del tessuto. Nel pancreas, il glucagone è il prodotto principale, mentre nel cervello e nell’intestino, i peptidi glucagone-simili 1 e 2 (GLP-1, GLP-2) e l’ossintomodulina (OXM) sono i principali prodotti. GLP1 è un'incretina prodotta dalle cellule L dell'intestino in risposta ai nutrienti (carboidrati-lipidi e proteine). Il GLP1 aumenta la secrezione d'insulina e svolge la sua azione anoressizzante centrale sia mediante il recettore GLP1R, sia in parte attraverso il nervo vago. Anche l'oxintomodulina (OXM) è prodotta dalle cellule L dell'intestino in risposta ai nutrienti e svolge la sua azione anoressizzante centrale, in parte, mediante il recettore GLP1R [69;70;71].

2.3 REGOLAZIONE A LUNGO TERMINE DELL’ASSUNZIONE DI CIBO

2.3.1 Segnali anoressizzanti rilasciati dal tessuto adiposo e dal pancreas 2.3.1.1 Leptina

La leptina è un ormone proteico codificato dal gene ob, consiste di 167-amminoacidi ed è sintetizzato principalmente dal tessuto adiposo bianco e secreto in circolo, in maniera direttamente proporzionale alla quantità di massa grassa dell’organismo. La leptina è una adipochina con un ruolo centrale nell’omeostasi energetica dell’organismo, nella regolazione del senso di sazietà/fame che attraverso un sistema a “feedback” a livello del sistema nervoso centrale, segnala l’entità dei depositi periferici di grasso e regola di conseguenza l’introito di cibo e il dispendio energetico basale. Nel 1995, Louis Tartaglia e colleghi hanno identificato il gene del recettore della leptina nel locus db del cromosoma 4 di topo [72]. I recettori della leptina appartengono alla superfamiglia dei recettori delle citochine di classe I in quanto condividono una forte omologia di legame a livello del dominio extracellulare. Sono state finora identificate diverse isoforme (OBRa, OBRb, OBRc, OBRd, e OBRe) del recettore della leptina, coinvolto non solo nella trasduzione del segnale, ma anche nella captazione e nel

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trasporto della leptina circolante [73;74]. Tutti i recettori della leptina condividono un dominio di legame del ligando identico all’estremità N-terminale ma differiscono nella regione C-terminale. Le isoforme dei recettori OBRa, OBRb, OBRc e OBRd contengono una singola regione transmembrana, mentre il recettore OBRe è tronco, non è ancorato alla membrana pertanto legherà la leptina circolante solubile. La forma più lunga (OBRb) contiene un dominio citoplasmatico di 302 aminoacidi con specifici motivi di sequenza noti per legare le molecole di segnalazione intracellulare. È l'unica isoforma del recettore in grado di trasdurre il segnale completo. La leptina secreta dal tessuto adiposo bianco, trasportata dal circolo ematico, giunge all’ipotalamo attraversando la barriera ematoencefalica mediante un processo di transcitosi mediata da recettore [75]. Infatti, a livello del nucleo arcuato ipotalamico, la leptina si lega alla forma lunga del recettore Ob-Rb e attraverso il pathway di trasduzione intracellulare JAK/STAT, attiva direttamente i neuroni POMC anoressizzanti e inibisce i neuroni AgRP/NPY oressizzanti con conseguente riduzione complessiva dell'assunzione di cibo [76]. Altri patway attivati dalla leptina sono: quello della “phosphatidylinositol 3-kinase” (PI3K), legato alla regolazione dell’introito di cibo e alla omeostasi glucidica, quello delle MAPK (mitogen-activated protein kinases), dell’AMPK (AMP-activated protein kinase) e di mTOR (mammalian target of rapamycin); tuttavia, ulteriori studi sembrano indispensabili per meglio chiarire le vie intracellulari attivate dalla leptina. Inoltre, è stata rilevata l’espressione del recettore OBRb in un gran numero di tessuti periferici tra cui muscolo scheletrico, cuore, ghiandole surrenali, reni, adipociti, cellule immunitarie, fegato e cellule beta pancreatiche così come è stata rilevata l’espressione del gene ob della leptina nel tessuto adiposo bruno, oltre che in diversi tessuti non adipocitari, quali mucosa gastrica, epitelio mammario, tessuto muscolare e placenta; suggerendo l’effetto pleiotropico della leptina.

La delezione del gene della leptina o una mutazione genica nel recettore della leptina si associano nell’animale da esperimento a iperfagia e obesità di grado elevato; nell’uomo, tuttavia, queste mutazioni sono estremamente rare [77;78].

La leptina è presente nel plasma in diverse forme, monomerica libera e legata al suo recettore solubile; tuttavia, solo la forma libera sembra essere biologicamente attiva [79]. Le concentrazioni sieriche di leptina presentano un andamento circadiano con i valori più elevati tra mezzanotte e le prime ore del mattino [80]. Il rapporto leptina libera/leptina legata risulta associato al grado di adiposità, con più elevati valori di leptina libera nei soggetti obesi. Tuttavia, negli obesi elevate concentrazioni di leptina circolante non si associano a perdita di peso, nonostante l’azione anoressizzante di questa adipochina. Nell’obesità è stata dunque ipotizzata l’esistenza di una forma di leptino-resistenza [81]. I meccanismi alla base del fenomeno potrebbero essere riconducibili ad una saturazione del trasporto della leptina attraverso la barriera ematoencefalica o ad anomalie nell’attivazione del recettore della leptina o nella trasduzione del segnale. Studi condotti su topi anziani obesi, a cui era stata somministrata leptina in

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circolo periferico e intracerebralmente, sembrano confermare l’esistenza di entrambi questi meccanismi [82]. Inoltre, studi recenti hanno dimostrato che la leptina non interagisce solo con i neuroni ipotalamici per regolare l’assunzione di cibo, bensì è in grado di modulare anche altre aree corticali come l’area tegmentale ventrale (VTA) che contiene neuroni dopaminergici, importanti nel modulare comportamenti motivazionali che portano alla dipendenza (addiction) e alla ricompensa. Questi neuroni dopaminergici esprimono i recettori per la leptina dalla cui interazione si ha l’attivazione della via intracellulare JAK-STAT e una riduzione dell'assunzione di cibo, dimostrando che la leptina agisce riducendo anche l'attività dei neuroni dopaminergici mesolimbici, con conseguente soppressione degli aspetti motivazionali legati all'alimentazione da parte della dopamina [83]. Inoltre, altri studi in letteratura hanno messo in evidenza che una sottopopolazione dei neuroni VTA leptino-responsivi proiettano a livello del nucleo dell’amigdala, un’area fortemente coinvolta nei processi di dipendenza [84]. Pertanto, è stato sviluppato un modello genetico di ratto con ridotta espressione del recettore per la leptina nella VTA, ottenuto mediante RNA interference (RNA-i); ciò portava ad un aumento dell'assunzione di cibo, dell'attività locomotoria e alla sensibilità ad alimenti altamente appetibili.

2.3.2 Adiponectina

L’adiponectina, è una proteina, identificata a metà degli anni ’90, prodotta dal tessuto adiposo, prevalentemente dai depositi viscerali, ed è secreta nel circolo ematico dove é presente in elevate concentrazioni. Da un punto di vista strutturale, l’adiponectina appartiene alla famiglia delle proteine del collagene e presenta omologie con il collagene di tipo VII, X e alcuni fattori del complemento [85;86]. Una volta sintetizzata, l’adiponectina va incontro a idrossilazione e glicosilazione, modificazioni post-traduzionali necessarie per la sua bioattività. Essa è formata da tre domini: un dominio globulare carbossi-terminale, una sequenza segnale ammino-terminale e un dominio collageno-simile (34, 35). Esistono diverse isoforme di adiponectina: la proteina intera, detta “full-length”, formata dal dominio globulare e da quello collageno-simile, e l’adiponectina globulare, un frammento proteolitico dell’adipochina intera. La forma globulare monomerica è identificabile solo nell’adipocita, mentre nel torrente ematico tale porzione può formare unicamente trimeri in assenza del dominio collagene, ma non strutture a massa molecolare maggiore. L’adiponectina “full-length” circola invece sotto forma di trimeri [(“low molecular weight” (LMW)] o di esameri e complessi ad elevata massa molecolare [(“high molecular weight” (HMW) di 12-18 multimeri)] [86;87;88]. Sono stati identificati due sottotipi di recettori per l’adiponectina: AdipoR1, espresso prevalentemente nel muscolo scheletrico, e AdipoR2, con localizzazione principale nel fegato. AdipoR1 lega

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principalmente la forma globulare, mentre AdipoR2 la forma “full-length” [89;90]. All’attivazione del recettore segue la fosforilazione di AMP-chinasi e una complessa trasduzione del segnale solo in parte nota, che comporta anche una modulazione del fattore di trascrizione NF-kB.

L’azione biologica dell’ormone dipende quindi non solo dalle concentrazioni circolanti delle diverse isoforme, ma anche dalla diversa espressione tissutale di tali recettori, per cui è ipotizzabile che diverse forme proteiche di adiponectina esercitino differenti attività biologiche a livello tissutale tra le quali principalmente ha una funzione insulino-sensibilizzante. Numerosi studi dimostrano che tale adipochina induce a livello del muscolo scheletrico un’aumentata ossidazione degli acidi grassi liberi, con riduzione del contenuto di trigliceridi del muscolo e inoltre, riduce il flusso di acidi grassi liberi al fegato inibendo la gluconeogenesi epatica [91]. I meccanismi che controllano la produzione di adiponectina dal tessuto adiposo sono solo in parte noti. L’unico ormone che finora è implicato nel controllo della sintesi dell’adiponectina è l’insulina. In cultura, l’insulina è in grado di sopprimere l’espressione del gene e di ridurre i livelli di mRNA dell’adiponectina [92]. A differenza della leptina e di altre adipocitochine, le concentrazioni di adiponectina, sono inversamente proporzionali al grado di adiposità, sia in soggetti sani che diabetici. Infatti, le concentrazioni di adiponectina risultano ridotte in condizioni di insulino-resistenza, come ad esempio nell’obesità e nel diabete di tipo 2, e sono correlate negativamente a insulino-resistenza in pazienti con normale o alterata tolleranza glucidica [93;94;95]. Ridotte concentrazioni di adiponectina si associano infatti ad una riduzione dell’utilizzazione periferica del glucosio e dell’ossidazione muscolare degli acidi grassi, oltre ad un incremento della captazione epatica di acidi grassi e della gluconeogenesi.

Recentemente, in aggiunta alle sue azioni periferiche nella regolazione dell’omeostasi glucidica, è stata ipotizzata anche per l’adiponectina una azione a livello centrale [96]. Nel liquido cerebrospinale sono stati identificati trimeri ed esameri, in contrasto con la forma predominante nel siero rappresentata da adiponectina HMW [97]. È stato ipotizzato che l’adiponectina possa incrementare l’introito di cibo attraverso un aumento dell’attività della proteinchinasi AMP-attivata ipotalamica in condizioni di digiuno [98].

2.3.3 Insulina

L’insulina è un ormone peptidico, è formato da 2 catene (catena A di 21 aminoacidi e catena B di 30 aminoacidi) unite da due ponti disolfuro ed è secreta dalle cellule beta delle isole di Langerhans del pancreas [99]. I livelli circolanti di insulina riflettono sia la massa grassa sia il bilancio energetico (livelli di glucosio nel sangue). Infatti, i livelli d’insulina aumentano in risposta ad un aumento del glucosio ematico, che si verifica normalmente dopo un pasto, e diminuiscono durante il digiuno; essa agisce legandosi al recettore insulinico IR (recettore tirosin-chinasico), che a sua volta attiva altri

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substrati, permettendo così la propagazione del segnale a cascata. Uno degli effetti, attraverso la PI3-K, è quello di stimolare la traslocazione e dopo la fusione di un pool di trasportatori GLUT4 a livello della membrana plasmatica con conseguente ingresso di glucosio extracellulare nelle cellule di organi insulino-dipendenti (muscolo e tessuto adiposo).

È un ormone con proprietà anabolizzanti e a livello dell’organismo regola il metabolismo dei substrati in risposta alla disponibilità di cibo. Dopo mangiato, l’insulina indirizza il metabolismo del glucosio verso il deposito di glicogeno nel fegato e di trigliceridi nel tessuto adiposo, oltre a favorire il trasporto di glucosio e la sintesi di glicogeno nel muscolo. Durante il digiuno, quando i livelli di insulina sono molto bassi, si ha mobilizzazione di depositi accumulati a livello cellulare per mezzo di un ormone secreto dalle cellule alfa del pancreas, il glucagone che ha un’azione catabolica, opposta all’azione dell’insulina. L’insulina, come la leptina, è un ormone anoressizzante e una volta secreta dal pancreas, trasportata dal circolo ematico, giunge all’ipotalamo attraversando la barriera ematoencefalica mediante un processo di transcitosi mediata da recettore [75]. A livello dell’ipotalamo l’insulina interagisce con i recettori dell’insulina presenti sia a livello dei neuroni oressigenici, inibendo così il centro della fame, sia a livello dei neuroni anoressigenici con conseguente diminuzione dell’assunzione di cibo. Come detto precedentemente, la leptina rende le cellule del muscolo e del fegato più sensibili all’insulina. Un’ipotesi per spiegare questo effetto è che vi possa essere un meccanismo di interazione tra i recettori dell’insulina e della leptina, ovvero quando i recettori tirosin- chinasici sono attivati in seguito ad interazione con i corrispettivi ligandi possono convergere e fosforilare lo stesso substrato, IRS-2. IRS-2 fosforilato attiva PI-3K (fosfatidil-inositolo-3kinasi) che scatena una serie di eventi, tra cui inibizione della fame; pertanto, esso funziona da integratore dei segnali provenienti da questi due recettori (Figura 8). Benoit SC et al., hanno dimostrato che la somministrazione d’insulina nel terzo ventricolo di ratti a digiuno aumentava l'espressione di mRNA di POMC nel ARC con conseguente riduzione dell'assunzione di cibo. Questo effetto anoressigenico dell’insulina è bloccato dagli antagonisti melanocortinici. Sebbene l'insulina e la leptina agiscono prevalentemente sul nucleo arcuato dell'ipotalamo, tuttavia potrebbero influenzare i circuiti motivazionali centrali del sistema dopaminergico-mesolimbico dove sono presenti i neuroni dopaminergici, i cui corpi cellulari sono concentrati nell'area ventrale tegmentale (VTA), nella substantia nigra (SNc) e proiettano allo striato ventrale [100;101].

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Figura 8: Possibile meccanismo di interazione tra i recettori

dell’insulina e della leptina

L'attivazione di questi neuroni avviene in associazione con stimoli ambientali naturali come l’assunzione di cibo o mediante l’assunzione di droghe d'abuso. Un approccio per testare l'ipotesi che gli effetti dell'insulina e della leptina, sul comportamento alimentare, possono essere mediati in parte dai neuroni dopaminergici è stato quello di valutare la presenza dei recettori per l'insulina o i recettori per la leptina sugli stessi neuroni. Mediante immunocitochimica a fluorescenza è stato osservato un’elevata co-espressione della tirosina idrossilasi (TH) (utilizzata come marker per i neuroni dopaminergici) sia con il recettore dell'insulina che con il recettore della leptina, sia nell’area tegmentale ventrale sia nella substantia nigra. Da ciò si evince che i neuroni dopaminergici sono un bersaglio diretto dell’insulina e della leptina e che in termini di comportamento ingestivo, questo risultato suggerisce che l'aspetto motivazionale di uno stimolo alimentare può essere modificato dalle concentrazioni locali di insulina o leptina. Sfortunatamente è stato dimostrato che nei ratti, l’insulino-resistenza associata all’obesità riduce la capacità dei circuiti ricompensa di rispondere all’insulina [102].

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3. DIABETE

Il diabete mellito è un disordine metabolico ad eziologia multipla, caratterizzato da iperglicemia cronica, con alterazioni del metabolismo dei carboidrati, dei grassi e delle proteine, a causa di difetti della secrezione di insulina e/o dell'azione dell'insulina [103;104]. In passato, il diabete veniva classificato in due tipi principali sulla necessità di utilizzare o meno l’insulina esogena a fini terapeutici: diabete mellito insulino-dipendente di tipo I (IDDM, Insulin-Dependent Diabetes Mellitus) e il diabete mellito insulino-indipendente di tipo II (NIDDM, Non-insulin-dependent Diabetes Mellitus) [104]. Nel 1997, a seguito dei progressi nella comprensione dell’eziologia e della patogenesi del diabete, l'American Diabetes Association (ADA) ha proposto una nuova classificazione in cui vengono riconosciute diverse forme cliniche, di cui le più importanti sono il diabete mellito di tipo 1 (T1DM) causato da una distruzione autoimmune delle cellule β, e il diabete mellito di tipo 2 (T2DM) caratterizzato da un deficit parziale di secrezione d’insulina e che s’instaura spesso su una condizione d’insulino-resistenza [105;106;107;] Vi sono poi: il diabete mellito gestazionale (GDM, Gestational diabetes mellitus), inteso come ridotta tolleranza al glucosio che generalmente ha inizio nel terzo trimestre di gravidanza [108]. La maggior parte delle donne recupera la normale tolleranza glucidica dopo il parto, ma conserva un rischio sostanziale (dal 30 al 60%) di sviluppare il diabete successivamente [109]; forme legate a difetti monogenici delle cellule beta come il MODY (Maturity Onset Diabetes of the Young), una forma genetica di diabete ad ereditarietà autosomica dominante con conseguente ridotta secrezione e/o produzione d'insulina.

Infine, ci sono una varietà di tipi di diabete poco frequenti e diversi, che sono causati da infezioni (rosolia congenita, infezioni da citomegalovirus B ecc.), farmaci e sostanze chimiche (inducono sia un malfunzionamento delle cellule beta, sia l'insulino-resistenza), endocrinopatie, difetti genetici (forme legate a difetti monogenici dell’azione insulinica dovute per esempio a mutazioni del recettore dell'insulina), malattie che causano danni al pancreas (pancreatiti, traumi, operazioni chirurgiche di pancreatectomia, neoplasie, fibrosi cistica, accumulo di ferro conseguente a emocromatosi e talassemia) e altre forme rare di diabete associato a sindromi genetiche (Sindrome di Down, Sindrome di Turner, Sindrome di Klinefelter, corea di Huntington, ecc.) [1].

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