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Il dissesto finanziario degli Enti Locali e le ripercussioni sulla loro autonomia

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I INDICE

pag. Premessa ... IV

CAPITOLO 1

LA NON FALLIBILITA’ DEGLI ENTI LOCALI

COSTITUZIONALMENTE NECESSARI

1.1 Enti Pubblici, interesse pubblico e territorialità ... 1

1.2 Le ragioni del procedimento ad hoc ... 6

1.3 Evoluzione normativa della procedura di dissesto finanziario ... 10

1.3.1 Da fine anni 80’ agli inizi degli anni 90’ ... 11

1.3.2 Dal d.l. 8/93 al d.lgs. 267/00 ... 13

1.3.3 Evoluzione successiva alla codificazione ... 15

1.3.4 Sintesi del quadro normativo vigente ... 16

CAPITOLO 2

RAPPORTI FINANZIARI TRA STATO ED ENTI

LOCALI IN COSTITUZIONE

2.1 Premessa: autonomia e responsabilità ... 18

2.2 Autonomia ... 20

2.2.1 Comune “organo” dello Stato ... 22

2.2.2 Erario tra i creditori dell’Ente dissestato ... 24

2.3 Autonomia finanziaria tra gli art. 119 e 23 cost. ... 25

2.4 Art. 117 costituzione ... 31

2.4.1 Armonizzazione dei bilanci pubblici ... 31

2.4.2 Principi di coordinamento della finanza pubblica ... 37

(2)

II 2.4.3 Destino del d.lgs. 267/00 a seguito della riforma

costituzionale del 2001……….40

2.5 Pareggio di bilancio derivante dal fiscal compact………..42

CAPITOLO 3

IL COMPLESSO SISTEMA DI PREVENZIONE

3.1 Contabilità degli Enti Locali ... 50

3.1.1 Documento unico di programmazione ... 53

3.1.2 Relazione di fine mandato... 55

3.1.3 Bilancio di previsione ... 57

3.1.4 Piano esecutivo di gestione ... 59

3.1.5 Rendiconto ... 60

3.2 Procedure di riequilibrio ... 61

3.2.1 Riequilibrio del bilancio... 61

3.2.2 Riconoscimento debiti fuori bilancio ... 63

3.2.3 Enti strutturalmente deficitari ... 66

3.2.4 Procedura di riequilibrio pluriennale ... 67

3.2.5 Dissesto guidato ... 75

CAPITOLO 4

DISSESTO FINANZIARIO

4.1 Presupposti di avvio della procedura di dissesto ... 77

4.2 La delibera di dissesto finanziario ... 88

4.3 Attività dell’organo straordinario di liquidazione ... 84

4.3.1 Rilevazione della passa passiva ... 85

4.3.2 Acquisizione e gestione dei mezzi finanziari per il Risanamento ... 86

(3)

III

4.3.3 Liquidazione e pagamento della massa passiva ... 89

4.3.4 Procedura semplificata di accertamento e liquidazione della massa passiva ... 90

4.4 Attività degli organi dell’Ente Locale ... 92

4.4.1 Attivazione delle entrate proprie ... 93

4.4.2 Ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato ... 95

4.5 Il fallimento politico ... 98

Conclusioni ... 102

Riferimenti bibliografici ... 106

(4)

IV

Premessa

Il presente lavoro ha per oggetto l’analisi della procedura di dissesto finanziario a cui sono sottoposti gli Enti Locali, quando non sono più in grado di erogare i servizi e funzioni indispensabili ovvero versano in uno stato di insolvenza relativa.

Accertato il venir meno dell’equilibrio di bilancio il Consiglio dell’Ente è obbligato a deliberare la dichiarazione dello stato di dissesto, a cui seguono misure limitative dell’autonomia degli organi locali. Le imposizioni vincolano l’azione dell’amministrazione verso un obiettivo di risanamento, imponendogli scelte indipendenti dalla direzione politica determinata dall’organi democraticamente eletti. Questa ingerenza è disciplinata nel d.lgs. 267/00 resta tuttavia da verificare, se a seguito della riforma costituzionale del titolo V, la materia sia ancora di competenza esclusiva statale.

Il governo può essere considerato in grado di sindacare le scelte gestionali di un Ente Locale attribuendogli la responsabilità di aver generato il dissesto? Il procedimento prevede un ruolo ricoperto dal Ministero dell’Interno, si trattano d’indebite intromissioni lesive del principio autonomistico o sono giuridicamente legittime?

Gli effetti del dissesto ricadono non solo sugli organi dell’Ente Locale, ma anche sui rapporti di lavoro con i propri dipendenti e sulle casse dell’Erario. Infine il prezzo più alto viene pagato dai cittadini che si vedono aumentare le imposte e tasse accompagnate da una riduzione delle funzioni e servizi erogati, fino ad arrivare a limitare il diritto all’elettorato passivo, impedendo al corpo elettorale di esprimere il proprio sostegno al sindaco o presidente di provincia dichiarato dalla Corte dei Conti responsabile di aver contribuito alle cause di dissesto. Per evitare conseguenze così incisive si sono introdotte nel tempo delle procedure alternative da incoraggiare, anche se non sempre raggiungono il risultato sperato di evitare l’avvio della procedura di dissesto. Le relative conseguenze restano proporzionali alla situazione di deficit, quindi meno rigide nei confronti dell’autonomia degli Enti Locali.

Nei primi tre capitoli si è cercato di contestualizzare la procedura all’interno dei rapporti tra Stato e Autonomie al fine di poter apprezzare quali sono le conseguenze che assumono un maggior rilievo. Nel quarto capitolo, oltre alla descrizione della procedura, si sono sottolineate le previsioni che comprimono l’autonomia dell’Ente Locale e quelle, al contrario, che rappresentano delle garanzie per la stessa

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1 CAPITOLO 1

LA NON FALLIBILITA’ DEGLI ENTI LOCALI

COSTITUZIONALMENTE NECESSARI

1.1 Enti pubblici, interesse pubblico e territorialità 1.2 Le ragioni del procedimento ad hoc 1.3. Evoluzione normativa della procedura di dissesto finanziario1.3.1 Da fine anni 80’ agli inizi degli anni 90’ 1.3.2 Dal d.l. 8/93 al d.lgs. 267/00 1.3.3 Evoluzione successiva alla codificazione 1.3.4 Sintesi del quadro normativo vigente

1.1 ENTI PUBBLICI, INTERESSE PUBBLICO E

TERRITORIALITA’

Gli enti pubblici rappresentano un tema su cui il diritto ha posto da sempre una particolare attenzione, tuttavia alcuni aspetti restano controversi e si aprono nuovi interrogativi a seguito dei recenti interventi legislativi. Esistono principalmente tre aspetti in cui si può specificare il tema e sono quelli inerenti alla definizione di ente pubblico, ai criteri per la sua qualificazione e all’ambito di applicazione della relativa disciplina1.

Soffermandoci sul primo punto, gli enti pubblici sono “uno degli strumenti principali attraverso i quali il potere amministrativo gestisce la cosa pubblica e gli interessi pubblici”2, questa definizione è solo una fra le tante che possono essere citate, la quale però sottolinea un elemento comune a molte, che consiste nell’affidare all’ente pubblico

1 Si accennerà solamente, per i profili che interessano, al primo e al terzo aspetto. 2 P. PAJARDI e A. PALUCHOWSKI, Manuale di diritto fallimentare, Giuffrè editore,

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2

la cura dell’interesse pubblico. Altri autori3 pongono come

caratteristica centrale la scelta legislativa di prevedere una disciplina, almeno parzialmente, differenziata rispetto al diritto comune giustificandola in merito all’obbiettivo di tali enti, che resta il perseguire quell’interesse specifico. Seguendo le diverse ricostruzioni si arriva sempre al punto di dover chiarire in cosa esso consista, al fine di comprendere la definizione di ente pubblico.

È possibile affermare che l’interesse pubblico viene individuato dalla legge senza dipendere da parametri oggettivi ma dalle scelte legislative, scelte che possono essere influenzate da tutti i cittadini attraverso gli istituti democratici. In questo senso possiamo anche qualificarlo come interesse generale, visto che tutti hanno avuto la

possibilità di influire sulla sua determinazione.4

Premesso ciò si ha come immediata conseguenza un rafforzamento del principio della certezza del diritto, perché se non fosse il legislatore a definirlo, si potrebbe prospettare un potere in capo

all’autorità giudiziaria o alla stessa pubblica amministrazione5, la

quale invece deve operare con discrezionalità perseguendo un fine prestabilito, che è appunto l’interesse pubblico.

Il legislatore non si limita però a circoscriverne la nozione, ma spesso interviene per tutelarlo adeguatamente in due direzioni:

- In negativo, escludendo dall’applicazione di una certa disciplina chi persegue tale interesse, come disposto nel r.d. 267/42 sul fallimento e concordato preventivo dove l’art.1

3 F. BASSI, Tipologia degli enti pubblici nell’ordinamento vigente, in V. CERULLI IRELLI

e G. MORBIDELLI (a cura di), Ente pubblico ed enti pubblici, G. Giappichelli Editore, Torino, 1994.

4 Non nel senso comune del termine, come interesse condiviso da un numero di

persone, che possono essere tutti, la maggioranza o solo una parte.

5 F. BASSI, Tipologia degli enti pubblici nell’ordinamento vigente, in V. CERULLI IRELLI

e G. MORBIDELLI (a cura di), Ente pubblico ed enti pubblici, G. Giappichelli Editore, Torino, 1994.

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3 stabilisce che le relative disposizioni non si applichino agli enti pubblici (oltre che ai piccoli imprenditori).

- In positivo, disciplinando un procedimento ad hoc, nel nostro caso rappresentato dalla procedura di dissesto finanziario

dell’Ente Locale6 contenuta nel d.lgs. 267/00.

Questa tecnica legislativa crea dei regimi giuridici diversi, generando la difficoltà nel determinare quale sia la disciplina da applicare.

Per far emergere la complessità del problema si deve considerare come gli scenari sono molto più articolati di quanto appena ricostruito. Come è noto non esiste solo un regime di diritto comune e uno riferibile agli enti pubblici, ma al loro interno essi si specificano in altre sotto-categorie, ognuna della quali ha a sua volta una disciplina differenziata.

Per dare atto della complessità del sistema si possono riprendere gli esempi precedentemente fatti. L’esenzione infatti riguarda gli enti pubblici in genere, mentre la disciplina ad hoc ha un ambito d’applicazione maggiormente articolato: ai comuni, province e comunità montane si applicano le norme del titolo VIII capo I come disposto dall’art. 242, 3° comma, d.lgs. 267/00; l’art. 244, 2° comma invece restringe il campo di applicazione delle norme di dissesto finanziario ai soli “comuni e province”.

Per soffermarci un istante sul T.U.E.L. possiamo sottolineare come esista una procedura comune per gli Enti Locali a cui se ne affianca una riservata agli Enti Locali previsti dalla costituzione, su questo elemento infatti poggia il discrimine tra comuni e provincie da una

parte e comunità montane dall’altra7.

6 Riconducibile alla categoria degli enti pubblici.

7 I vari requisiti soggettivi e oggettivi di applicazione della disciplina del dissesto

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4 Le riforme in tema di Enti Locali negli ultimi anni hanno visto orientarsi verso una riduzione del ruolo affidato alle province, fino ad una loro trasformazione in organi di democrazia di secondo grado, tuttavia a seguito dell’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, il termine “province” resta presente nella nostra costituzione e continuano a qualificarsi come enti costituzionalmente necessari.

È impossibile con certezza prevedere quali saranno i prossimi interventi legislativi in materia, ma considerando che questa è una

tendenza comune in Europa8 e che all’esito referendario non si può

attribuire un significato univoco, vista la pluralità dei temi coinvolti, verosimilmente si continuerà sul sentiero già tracciato piuttosto che assistere a un’inversione di marcia. Possiamo così prefigurare un sistema di Enti locali dove le province, saranno ridotte a meri Enti Locali e questo potrebbe comportare la non applicazione per esse della disciplina sul dissesto finanziario.

Si potrebbe anche dare un’altra interpretazione del criterio posto alla base del discrimine dell’art. 244, 2° comma T.U.E.L. affermando che la scelta di accumunare comuni e provincie non sia vincolata dall’indicazione costituzionale, ma da una scelta discrezionale assunta dal legislatore, il quale è in grado di includere nella procedura di dissesto gli enti che lui stesso ritiene di dover tutelare in modo particolare. In questa seconda ipotesi la scelta si giustificherebbe in base al contesto del sistema delle autonomie, dove negli anni di approvazione del d.gls. 267, i comuni e le provincie avevano un ruolo di rilievo rispetto agli altri soggetti. Seguendo questa seconda ricostruzione si potrebbe affermare che non sia necessario una

8 S. BOLGHERINI, Navigando a vista (governi locali in Europa tra crisi e

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5 modifica costituzionale per escludere le provincie dalla procedura di dissesto e magari inserirvi altri soggetti, che vedono oggi assumere un’importanza considerevole, come Unioni di comuni e Città metropolitane (che attualmente non compaiono nel titolo VIII “Enti Locali deficitari o dissestati”).

Dopo aver esposto i concetti di ente pubblico e interesse pubblico, aver dato atto della complessità nel determinare la disciplina applicabile è necessario riprendere questi argomenti e porli in rapporto con una caratteristica propria di comuni e provincie, la loro territorialità.

I comuni non sono solamente riconducibili alla macrocategoria degli enti pubblici, ma sono precisamente enti pubblici territoriali, questa affermazione non comporta solamente un limitazione geografica dell’ambito della loro azione, ma soprattutto riconosce l’ente come portatore di un interesse che appartiene alla comunità circoscritta in quel territorio. L’art. 3 del d.lgs. 267/00 al suo 2° comma afferma che “Il comune è l'ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo” che significa riconoscere l’esistenza di un interesse diverso rispetto a quello individuato dalla legge e in definitiva comporta un’erosione del monopolio statale sulla funzione di indirizzo politico.9 È evidente che essendo presenti due

soggetti, ognuno dei quali titolare di un’autonomia nella sfera di interessi che lo riguardano, potranno sorgere alcuni conflitti di competenza. È bene chiarire che essi non possono essere risolti in base a un criterio dimensionale, facendo sempre prevalere quelli riferibili a un maggior numero di persone. Nel determinare quale

9 Solo a seguito della riforma del 2001 si è potuto affermare che gli Enti Locali

fossero dotati di autonomia politica sostanziale seppur essa era da sempre stata ritenuta presente. D. GRANARA,Il principio autonomistico nella costituzione, G.

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6 interesse sia meritevole di tutela si dovrà guardare, in primo luogo, a quanto dispone la nostra costituzione.

E’ la carta fondamentale infatti che garantisce degli spazi di autonomia per gli Enti Locali, ed in quei limiti si dovrà ritenere prevalente l’interesse della comunità. E’ chiaro che non si tratta di un’operazione immediata, perché le indicazioni costituzionali devono

essere interpretate bilanciando principi diversi.10

1.2 LE RAGIONI DEL PROCEDIMENTO AD HOC

Nel primo paragrafo è emersa la peculiarità del comune come Ente Locale costituzionalmente necessario, in virtù di quest’ultimo carattere il nostro ordinamento non può farne a meno, il Comune non può cessare di esistere nemmeno a seguito di una situazione finanziaria o economica insostenibile.

Risulta evidente però la necessità di un bilanciamento tra la continuità istituzionale ed esigenze di equilibrio di bilancio, soddisfacimento dei debiti, erogazione di funzioni e servizi

indispensabili, garanzia della par condicio creditorum e

raggiungimento degli obiettivi di buon andamento della pubblica

amministrazione. Se resta vero che in una situazione finanziaria

insostenibile l’Ente deve continuare ad esistere, è altrettanto vero che si impongono degli interventi del legislatore ordinario, fino ad arrivare alla previsione della procedura di dissesto finanziario visto che alla “luce del nuovo quadro costituzionale (come vedremo nel secondo capitolo) l’agire della PA è conforme ai dettami della Costituzione quando è finanziariamente

10 Del sorgere di queste difficoltà se ne darà un esempio nel capitolo 2° in merito ai

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7 sostenibile”.11 Il legislatore ha ritenuto la procedura di fallimento non

idonea a garantire un corretto equilibrio tra questi principi, visto che essa ha come obiettivo primario il soddisfacimento delle ragioni creditorie, mentre nel nostro caso è la tutela dell’interesse pubblico che deve uscire indenne.

Al comune fanno capo funzioni pubbliche che sono finanziate integralmente nei modi previsti dal 1° e 2° comma dell’art. 119 cost. se lo Stato si impegna a garantire tali risorse risulta evidente la valutazione della necessità della loro permanenza. Non possiamo però limitarci ad affermare che in quanto pubbliche non possono cessare di essere erogate, ma dobbiamo anche sottolineare come sia necessario che siano svolte da quel determinato ente, altrimenti sarebbe obiettabile, come avviene affermando la non fallibilità di una società partecipata in quanto affidataria di servizio pubblico essenziale, che sia necessario lo svolgimento solo del servizio e non lo

svolgimento da parte di quell’Ente12.

E’ difficile orientarsi tra le varie funzioni che possono essere declinate in proprie, fondamentali, indispensabili, ma è certo che la carta costituzionale ha riservato alle autonomie locali dei compiti considerando il loro ruolo all’interno dell’ordinamento, che solo loro sono in grado di perseguire correttamente. Questa impostazione si è poi rafforzata con l’introduzione del principio, di derivazione comunitaria, di sussidiarietà verticale introdotto nell’art. 118 cost. nel 2001. Già nel suo 2° comma però si trova un criterio che impedisce di assumere una posizione eccessivamente sbilanciata a favore dell’organo più vicino al cittadino. Se è vero che certe funzioni devono essere svolte dall’Ente Locale si può ammettere, nel caso in cui le

11 DE RENTIIS L., La violazione di norme di finanza pubblica e invalidità negoziali, In

Azienditalia, 2016, n. 1.

12 C. IBBA, Il falso problema della fallibilità delle società a partecipazione pubblica, in

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8 dimensioni dello stesso risultino inadeguate per una gestione efficiente e rappresentino una probabile concausa del dissesto, che

vengano esercitate da un organo di livello superiore13, come lo sono

per esempio le Unioni di comuni. In effetti al 30 novembre 2016 i comuni con dissesto in corso con una popolazione inferiore a 5.000 abitanti rappresentano il 38% mentre il 59% non supera i 10.000 abitanti14 da questi dati risulta evidente come il dissesto colpisca

maggiormente i comuni di piccole dimensioni, anche se resta difficile poter interpretare i dati per individuarne le cause, se non attraverso un’indagine empirica specifica.

In tempi più recenti, la dottrina, non solo affronta il tema dell’erogazioni di servizi e funzioni, ma si sottolinea l’importanza del livello locale per la tutela dei diritti, che proprio in quell’ambito devono essere primariamente esercitati, è su questo fronte che si sottolinea “l’insostituibile ruolo che le stesse autonomie, secondo il modello costituzionale, sono chiamate a svolgere nella dimensione dell’ordinamento repubblicano”.15

La corte costituzionale con sentenza n. 155 del 1994 ha avuto modo di esprimere in termini sintetici quanto chiari, il principio secondo cui l’ente “ancorché “dissestato”, non può cessare di esistere in quanto espressione di autonomia locale, che costituisce un valore costituzionalmente tutelato”.

Possiamo completare il quadro, grazie all’indicazione della corte, ricordando che i comuni non solo sono previsti nell’art. 114 cost. ma

sono espressione dell’autonomia locale ai sensi dell’art. 5 cost.16

13 M. DONOVAN e P. ONOFRI (a cura di), Politica in Italia. Edizione 2008. I fatti

dell’anno e le interpretazioni, Il Mulino, Bologna, 2008, pag. 226-227.

14 Corte dei conti, sez. autonomie, Relazione sulla gestione finanziaria degli Enti

Locali, 15 febbraio 2017.

15 A. MORELLI e L. TRUCCO, Diritti e territorio, G. Giapicchelli editore, Torino, 2015. 16 Si rinvia al capitolo 2° paragrafo 2.2.

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9 Nella procedura di dissesto finanziario per incrementare la massa attiva, con cui soddisfare i creditori, è prevista anche17 l’alienazione

dei beni del patrimonio disponibile dell’ente locale, tale provvedimento potrà essere evitato solo presentando l’impegno ad utilizzare risorse proprie pari al valore stimato dei beni. Per finanziare questa misura alternativa all’alienazione, il Comune potrà anche ricorrere all’accensione di un mutuo presso la cassa depositi e prestiti

a suo totale carico.18 In questo senso è utile ricordare il d.lgs. 85/10,

decreto di attuazione del federalismo fiscale, con l’obbiettivo primario di dare agli Enti Locali la possibilità di finanziare il loro debito mediante l’alienazione dei beni trasferiti gratuitamente da parte dello Stato. Tuttavia l’Ente Locale dovrebbe giungere a tale previsione come extrema ratio motivandola con l’impossibilità di adibire il bene a vantaggio della collettività, così come deriva dalla lettura costituzionalmente orientata derivante dalle decisioni delle Sezioni

Unite della Cassazione del 16 e 18 febbraio 200119.

Il limitare l’alienazione dei beni al solo patrimonio disponibile, ci conferma la peculiarità di questo procedimento che viene a coinvolgere categorie giuridiche con proprie caratteristiche, come il

caso dell’inalienabilità del demanio pubblico.20 Ancora una volta

emerge come l’obbiettivo primario da raggiungere non è dato dal soddisfacimento dell’intera massa passiva, ma il fornire le condizioni

17 Tutti gli elementi che sono compresi nella massa attiva saranno trattati nel 4°

capitolo.

18 A differenza di quello contratto dall’organo straordinario di liquidazione per il

risanamento dell’ente locale, dove lo stato finanzia i soli oneri del mutuo, art. 255 II comma T.U.E.L.

19 In cause “gemelle”: sentenze n. 3811, 3812, 3813 del 16 febbraio e 3936, 3937,

3938, 3939 del 18 febbraio. P. M. ZERMAN, Il federalismo demaniale, tra interesse

della comunità e risanamento del debito, in contabilitàpubblica.it, 07 settembre

2011.

20 M. DONOVAN e P. ONOFRI (a cura di), Politica in Italia. Edizione 2008. I fatti

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10 affinché l’ente possa ricominciare la propria gestione in condizioni economiche riequilibrate.

1.3 EVOLUZIONE NORMATIVA DELLA PROCEDURA DI

DISSESTO FINANZIARIO

La disciplina sul dissesto finanziario degli Enti Locali è stata oggetto di molti interventi legislativi che hanno spesso dovuto introdurre norme transitorie per definire le regole da applicare ai procedimenti avviati e non ancora conclusi. Dalla sua introduzione si è cercato di migliorare l’operatività dell’istituto riducendo gli interventi economici statali, scandendo i termini della procedura, responsabilizzando gli organi dell’Ente Locale ed affiancandogli molte altre procedure volte ad intervenire nelle situazioni precarie, che senza un intervento tempestivo, potrebbero aggravarsi, generando i presupposti su cui si basa la delibera di dissesto.

Nel presente paragrafo non si vuole ricostruire dettagliatamente l’intera evoluzione normativa, ma solo richiamare gli interventi di maggior rilievo21.

Attualmente le disposizioni sono contenute nel d.lgs. 267/00 che ha raccolto ed organizzato quanto era presente nell’ordinamento in fonti separate, questa operazione si rese necessaria visto il quadro generato da un fenomeno di riforma degli Enti Locali avvenuto mediante un intensa sovrapposizione legislativa. L’origine dell’istituto risale però alla previsione del d.l. 66/89 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 144 del 24 aprile 1989.

21 Tutti gli aspetti che qui sono solamente menzionati senza alcuna precisazione

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11 1.3.1 Dalla fine degli anni 80’ agli inizi degli anni 90’

L’esigenza di porre un rimedio alle situazioni di deficit nelle casse locali era già stata avvertita prima dell’introduzione del dissesto finanziario, consentendo agli enti locali di riconoscere debiti fuori

bilancio22 e finanziarli attraverso un piano di riparto in tre anni, con le

risorse proprie del bilancio, questo fu in breve il contenuto del d.l. 318/86 poi convertito dalla legge n. 488 del 9 agosto 1986. Si era individuato come tale fenomeno costituisse una costante nella gestione di bilancio degli Enti Locali e soprattutto contribuisse in misura rilevante a generare lo stato di dissesto, considerazione valida

ancora oggi.23 La previsione mostrò presto i suoi limiti, principalmente

dati dal non influire sulle cause che potevano aver generato la situazione di squilibrio, per questo si arrivò a prevedere un procedimento che non si limitasse a prendere atto della situazione di deficit, ma che predisponesse l’utilizzo di strumenti straordinari in grado di incidere sull’origine del dissesto.

La dichiarazione di dissesto finanziario si è presenta da sempre come un atto dovuto al ricorrere di determinati presupposti, che sono stati aggiornati nel tempo. Nel testo originario del decreto legge si parlava di “condizioni tali da non poter garantire l'assolvimento dei servizi essenziali” art. 25 1° comma, poi riformulate dall’art. 21 del d.l. 8 del 1993 in “funzioni e servizi indispensabili” aggiungendo la seconda ipotesi, in cui “esistono nei confronti dell'ente locale crediti

22 Debiti non previsti nel bilancio che possono essere causati da situazioni

patologiche o fisiologiche ed assumono una notevole influenza nel determinare l’insolvenza da parte dell’ente locale.

23 Corte dei conti, sez. autonomie, Relazione sulla gestione finanziaria degli enti

(16)

12

liquidi ed esigibili di terzi ai quali non sia stato fatto validamente fronte" con i mezzi di gestione ordinaria.

In un primo momento i comuni fecero largo ricorso al nuovo istituto, nei primi sei anni di vita vide un’applicazione in 385 comuni24. Il

grande successo fu dovuto principalmente a due fattori, da un parte la previsione di aiuti economici statali rilevanti e dall’altra la sottovalutazione della sconvenienza politica di adottare i relativi provvedimenti.

L’Ente Locale doveva alienare la parte di patrimonio disponibile non strettamente necessaria all’esercizio di funzioni istituzionali, elevare al livello massimo consentito dalla legge le entrate proprie e porre il personale, eccedente determinate soglie, in mobilità. Era consentito il contrarre un mutuo presso la Cassa depositi e prestiti per far fronte al debito pregresso, il cui onere era a totale carico dello Stato, il quale si impegnava anche a rimborsare gli oneri del personale posto in mobilità e disponeva l’adeguamento dei contributi correnti alla media pro-capite della fascia demografica di appartenenza, nel caso degli enti sotto-dotati.

Il grande limite della procedura fu quello di non prevedere una scansione temporale degli adempimenti da parte dell’ente, il quale non era orientato a riportare la gestione in equilibrio, ma perseguiva un obiettivo di breve termine, che consisteva nel bloccare le azioni

creditorie25 che andavano a ridurre sensibilmente la liquidità di cassa.

24 Per avere un termine di paragone, secondo i dati pubblicati dalla Corte dei Conti

dalla sua introduzione fino all’esercizio 2013 in totale sono stati 495 comuni ad aver approvato tale delibera.

25 E. SPICAGLIA, Il dissesto finanziario degli enti locali, Ministero dell’Interno -

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13 1.3.2 Dal d.l. 8/93 al d.lgs. 267/00

Il d.l. 8 del 18 gennaio 1993 ha segnato un passaggio di indiscussa importanza perché con esso è stato inserito un elemento centrale su cui si basa anche l’attuale disciplina: la separazione della gestione passata da quella presente. L’art. 21, 2° comma, non modificato dalla legge di conversione, prevedeva infatti un organo che si affiancasse all’Ente Locale con un competenza limitata “l'amministrazione della gestione e dell'indebitamento pregressi e l'adozione di tutti i provvedimenti per l'estinzione dei debiti competono ad un commissario straordinario liquidatore, per i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, e ad una commissione straordinaria di liquidazione composta di tre membri, per i comuni con più di 5.000 abitanti e per le province, nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno” in termini analoghi è quanto ritroviamo oggi nell’art. 252 T.U.E.L. L’obiettivo perseguito è quello di raggiungere rapidamente il risanamento sottraendo la gestione delle passività pregresse agli amministratori, attività sicuramente tra le più onerose, affidandola ad un soggetto terzo con l’ulteriore vantaggio di ridurre notevolmente la potenziale

conflittualità.26 Altra importante innovazione fu il prevedere la

temporizzazione degli adempimenti, per evitare comportamenti opportunistici da parte della pubblica amministrazione. Al decreto legge seguì poi l’emanazione di un regolamento sul risanamento degli enti locali dissestati, il d.p.r. 378/93.

Nella metà degli anni 90’ ci fu un importante attività normativa, dopo aver emanato un primo decreto legislativo, nei tre anni successivi si intervenne con altrettanti decreti correttivi dello stesso.

26 G. VERDE, Lo squilibrio finanziario degli enti locali, Ministero dell’Interno -

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14 Il primo a cui si fa riferimento è il d.lgs. 77/95 che ha ridotto la durata del dissesto portandola a 5 anni, rispetto ai 10 originariamente previsti, e inciso due aspetti: su versante del pagamento dei debiti, introducendo delle cause di prelazione; nell’ambito delle attivazione delle entrate proprie, consentendo di deliberare le riduzioni ed agevolazioni solitamente consentite dalla legge.

Il successivo d.lgs. 336/96 intitolato “Disposizioni correttive del decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77, in materia di ordinamento finanziario e contabile degli enti locali” ha previsto ristrettissimi tempi entro cui compiere tutti gli adempimenti, sia in capo agli organi dell’ente che alla commissione di liquidazione, dotando quest’ultima di un maggiore grado di autonomia, consentendole l’inserimento nella massa passiva la liquidazione di debiti non riconosciuti dall’ente dissestato, purché sostenuti da idonea documentazione. Qualora il mutuo a carico dello Stato si fosse rilevato sufficiente ad estinguere la massa passiva non sarebbe stato più necessario procedere all’alienazione dei beni disponibili dell’ente.

Il d.lgs. 342 del 1997 anche se intitolato “Disposizioni in materia di contabilità, di equilibrio e di dissesto finanziario degli enti locali" nella sostanza si risolve in un’ulteriore decreto correttivo del primo, che interviene su profili di minore importanza.

Da ultimo il d.lgs. 410 del 1998 decreto correttivo del d.lgs. 77/95 e del d.lgs. 342/97, ha sostituito la Commissione nazionale per la verifica dei principi contabili degli enti locali con l’Osservatorio sulla finanza e la contabilità degli enti locali ed inserendo l’art. 90-bis nel primo decreto legislativo, ha introdotto quella che viene definita la procedura semplificata per l’accertamento e la liquidazione dei debiti.27

27 Procedura analizzata nel capitolo 5° visto che è interna a quella di dissesto

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15 A fine degli anni ‘90 si volle coordinare in un unico corpo normativo il percorso compiuto nei precedenti dieci anni in merito all’ordinamento locale italiano, ed anche il sistema finanziario e contabile non fece eccezione. Accanto al nucleo centrale formato dalla l. 142/90 confluirono nel d.lgs. 267/00 altri provvedimenti legislativi28 tra cui il d.lgs. 77/95 e le sue successive modificazioni.

L’art. 269 stabilì che in attesa del regolamento emanato ai sensi dell’art. 17 della l. 400/88 sulle modalità applicative della procedura di risanamento degli enti locali in dissesto, continuavano ad essere applicabili, in quanto compatibili, le disposizioni recate dal decreto d.p.r. 378/93.

1.3.3 Evoluzione successiva alla codificazione

Le implicazioni derivanti la riforma costituzionale del 2001 hanno inciso sul dissesto finanziario solamente in via indiretta, per questo saranno trattate nel secondo capitolo.

Con la l. 75/02, in sede di conversione del d.l. 13/02, si è inserito l’art. 168-bis nel T.U.E.L. il quale prevede la possibilità di prorogare lo stato di dissesto fino a un massimo di due anni dopo il termine ordinario di cinque, se si manifesta una delle quattro ipotesi descritte

dalla norma al I e II comma29, questo procedura viene comunemente

definita come “straordinaria”.

28 L. VANDELLI, Il sistema delle autonomie locali, Il Mulino, Bologna, 2015, pag.38. 29 Art. 168-bis d.lgs. 267/00, 1° comma “Nel caso in cui l'organo straordinario di

liquidazione non possa concludere entro i termini di legge la procedura del dissesto per l'onerosità degli adempimenti connessi alla compiuta determinazione della massa attiva e passiva dei debiti pregressi” e 2° comma “fattispecie prevista dall'articolo 268 ed in quelli in cui la massa attiva sia insufficiente a coprire la massa passiva o venga accertata l'esistenza di ulteriori passività pregresse”.

(20)

16 Il processo di decentramento avviato agli inizi degli anni ’90 non si concluse con la realizzazione del testo unico, ma venne portato avanti anche successivamente. La l. 49/09, meglio nota come riforma sul federalismo fiscale, ha avuto 8 decreti attuativi, uno di questi il d.lgs. 149/11 ha introdotto dei meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, prevedendo una causa di non candidabilità nei confronti degli amministratori ritenuti responsabili di aver generato il dissesto. Ha disciplinato inoltre il c.d. dissesto guidato art. 6 II comma, che prende avvio nel momento in cui la Corte dei conti nella sua attività di controllo ordinaria rileva degli elementi economici o finanziari che possono portare l’ente locale al dissesto. Il d.l. 174/12 convertito, con modificazioni dalla l. 213/12 ha aggiunto all’art. 243 del d.lgs. 267/00 ben quattro disposizioni, in particolare con l’art. 243-bis ha inserito la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, che prende avvio sulla base di presupposti confondibili con quelli del dissesto finanziario imponendo una serie di provvedimenti ed alcune facoltà, che diventano obbligatorie nel caso di accesso al fondo di rotazione, regolato dall’art. 243-ter. Fondo che gode della non pignorabilità stabilita dall’art. 243-sexies con il d.l. 16/14.

Il d.l. 54/14 convertito dalla l. 68/14 ha modificato l’art. 265 consentendo all’ente di chiudere il dissesto in base ad una propria programmazione di interventi orientati a risanare la situazione economica e finanziaria, da concludersi entro tre anni, in deroga al limite generale che vede la durata del dissesto fissata in cinque anni.

1.3.4 Sintesi del quadro normativo vigente

Il testo unico per sua stessa natura non si propone di rinnovare l’ordinamento, ma solo di organizzare in modo coerente la disciplina

(21)

17 operando, in caso di necessità piccoli interventi di modifica per rendere coerente l’intero quadro normativo. Per molti profili regolati dal d.lgs. 267/00 questa organicità sembra essere venuta meno e ciò vale anche per il titolo VIII “Enti locali deficitari o dissestati”, della II parte. Questo quadro eterogeneo deriva anche del rapporto che unisce la procedura con altri temi giuridici, disciplinati altrove, non solo esistono delle implicazioni con il federalismo fiscale, ma più in generale con l’intero sistema di contabilità pubblica.

Per fare il punto, a seguito della deliberazione di dissesto finanziario si può seguire una procedura ordinaria artt. 244 e ss del d.lgs. 267/00, una semplificata per l’accertamento e la liquidazione della massa passiva ex art. 258 infine una straordinaria ex art. 268-bis e 268-ter. È poi disciplinato fuori dal testo unico il dissesto guidato ex art. 6 del d.l. 149/11. Di recente introduzione, la procedura detta di pre-dissesto, che secondo l’art. 243-bis prende il nome di procedura di riequilibrio finanziario pluriennale. Infine l’art. 243 si occupa degli enti strutturalmente deficitari.

Questo quadro normativo viene descritto dalla Corte dei Conti come “un sistema in cui sono prefigurate, in una graduale articolazione, le situazioni di precarietà delle gestioni amministrative ed in parallelo i rimedi per farvi fronte”.30

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18 CAPITOLO 2

RAPPORTI FINANZIARI TRA STATO

E ENTI LOCALI IN COSTITUZIONE

2.1 Premessa: autonomia e responsabilità 2.2 Autonomia 2.2.1 Comune “organo” dello Stato 2.2.2 Erario tra i soggetti creditori dell’ente dissestato 2.3. Autonomia finanziaria tra gli articoli 119 e 23 della costituzione 2.4 Art. 117 costituzione 2.4.1 Armonizzazione dei bilanci pubblici 2.4.2 Principio di coordinamento della finanza pubblica 2.5 Pareggio di bilancio derivante dal fiscal compact

2.1 PREMESSA : AUTONOMIA E RESPONSABILITA’

Gli effetti del dissesto finanziario coinvolgono l’ente locale che non è stato in grado di gestire la propria autonomia nel rispetto dei limiti costituzionali, anche recentemente introdotti come il pareggio di bilancio.

Quando si sanziona un soggetto non è possibile prescindere dall’accertamento della sua responsabilità, per questo bisogna riflettere su quale siano le reali colpe imputabili a tali enti, che dipendono direttamente dalla loro capacità di influire sul determinate scelte. Ancora oggi si segnala che la finanza locale si regge soprattutto sui trasferimenti statali e non su risorse proprie. Secondo la teoria economica questo modello, dove gli enti locali hanno autonomia di spesa con risorse finanziate prevalentemente mediante trasferimenti dal governo nazionale, conduce a livelli di disavanzo eccessivi, perché in presenza di una pluralità di centri decisionali non si internalizza

(23)

19 l’intero costo e sorgono problemi di accountability. La risposta al problema sarebbe quella di rendere i governi subnazionali responsabili anche per le decisioni di entrata, con l’obiettivo finale di

isolare la finanza dei governi locali da quello centrale.31 Questa

soluzione tuttavia non è praticabile perché il bilancio statale non può risultare insensibile rispetto a quello dei livelli territoriali. Per questo, nella letteratura internazionale, si prefigura un modello basato su un approccio cooperativo che riservi comunque una certa preminenza al governo centrale, in quanto custode degli equilibri finanziari.

In questo capitolo si proveranno a delimitare gli spazi di autonomia in cui si muovono gli enti locali e i possibili interventi a livello centrale che sono in grado di modificarli legittimamente. Ricordando che una lesione all’essenza del principio autonomistico si tradurrebbe in una lesione del principio della sovranità popolare e quindi anche del

principio democratico32 visto che il riconoscimento delle autonomie

locali rileva soprattutto come modo di esercizio della sovranità popolare. Il principio autonomistico assume così un valore subordinato e strumentale rispetto a quello democratico.

Un’altra esigenza che impone questa analisi, è data dal dimostrare come una modifica legislativa sul sistema di contabilità pubblica può far emergere un diverso risultato di amministrazione, segnalando così un disavanzo precedentemente ignoto. Questa avvertenza ci impone di procedere con accortezza nel ritenere responsabile l’Ente Locale del dissesto e di conseguenza dovrebbe portare a sostenere un

atteggiamento prudente nel limitare la loro autonomia.33

31 G. PISAURO, I problemi di disciplina fiscale e la rappresentanza delle autonomie, in

A. ZANARDI, Per lo sviluppo. Un federalismo fiscale responsabile e solidale, Il mulino, Bologna, 2006.

32 R. BIFULCO, Art. 5, in AA.VV., Commentario alla costituzione, Utet giuridica,

Torino, 2006, vol. 1.

33 A conferma di una certa proporzionalità violazioni e sanzioni, possiamo rinviare al

(24)

20 2.2 AUTONOMIA

Nel precedente capitolo si è solo accennato al principio autonomistico che merita essere oggetto di un analisi più approfondita, in particolare modo nel rapporto con le altre disposizioni costituzionali.

Le prime indicazioni le troviamo agli artt. 2 e 5 cost. che trattano entrambi il rapporto esistente nel nostro ordinamento tra sovranità e popolo, bisogna tenere subito presente però un’importante differenza: il primo si riferisce al pluralismo della società civile; l’altro ha per oggetto il pluralismo territoriale e istituzionale. Questa differenza implica che solo alle autonomie possono essere attribuite le garanzie previste dal titolo V cost.34

Il pluralismo in entrambe le sue declinazioni, si pone in opposizione concettuale con il periodo storico precedente alla costituzione, segnato da un “totalitarismo imperfetto”, sempre su ragioni storiche si giustifica la presenza nel nostro ordinamento di due principi che

non devono essere posti in contrapposizione,35 ma che possono

convivere in un unico ordinamento, quello federalista e quello unitario, entrambi condensati nell’art. 5 cost. stabilendo che la Repubblica “riconosce e promuove le autonomie locali” attua nei propri servizi il “più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”, ma si precisa anche che la stessa Repubblica è “una e indivisibile”. Nonostante questa forte spinta verso un elevato

della democrazia locale (incandidabilità degli amministratori) è subordinata a un accertamento della responsabilità da parte della Corte dei Conti e non meramente a indicatori di carattere economico risultanti dalle scritture contabili.

34 R. BIFULCO, Art. 5, in AA.VV., Commentario alla costituzione, Utet giuridica,

Torino, 2006, vol. 1.

35 D. GRANARA, Il principio autonomistico nella costituzione, G. Giappichelli editore,

(25)

21 grado di autonomia resta il limite ben definito dell’indivisiblità il quale impedisce di frazionare la Repubblica con la creazione di stati indipendenti. Mentre l’altro elemento che evita un’incostituzionale ricostruzione dell’autonomia è l’unità, che costituisce a differenza del

primo, un principio e come tale ha un carattere elastico36, che è stato

definito da interventi legislativi e giurisprudenziali, in particolare attraverso il coinvolgimento del concetto di interesse nazionale, funzione di indirizzo e coordinamento ovvero p. di leale collaborazione.

Il principio di unità si collega anche all’esigenza dettata dall’art. 3 cost. in tema di uguaglianza, per evitare che l’autonomia comporti differenze tali da non garantire la parità tra i cittadini nel godimento dei diritti fondamentali. In termini più ampi deve essere visto come un vincolo con lo scopo di scongiurare che “il pluralismo degeneri in separatismo, determinando la perdita di ogni capacità di coesione”,37

anche se resta altrettanto vero, che la medesima coesione sociale può essere favorita dall’autonomia quando le società sono eterogenee e pluralistiche, come quelle attuali.

Abbiamo già detto, nel precedente capitolo che i comuni sono enti locali costituzionalmente necessari ai sensi dell’art. 114 cost. frutto dalla riforma costituzionale operata con l. cost. 3/01, la quale ha dotato tali enti, considerati da sempre minori rispetto agli altri elementi costitutivi la Repubblica, di pari dignità politico-costituzionale.

È utile segnalare in merito al rapporto tra Enti Locali e Stato un intervento giurisprudenziale della Corte Europea dei diritti dell’uomo

36 R. BIFULCO, Art. 5, in AA.VV., Commentario alla costituzione, Utet giuridica,

Torino, 2006, vol. 1.

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22 ed una modifica legislativa all’art. 258 T.U.E.L. che pongono due interrogativi ancora aperti.

2.2.1 Comune “organo” dello Stato?

La Corte Europea dei diritti dell’uomo, II Sezione, ha deciso il 24 settembre 2013 sul ricorso n. 43892/04. Il ricorrente, cittadino italiano, vantava un credito nei confronti del comune di Benevento, derivante da una sentenza passata in giudicato, la relativa azione esecutiva non fu intrapresa perché il comune dichiarò lo stato di

dissesto finanziario.38 Dopo aver esperito i rimedi interni è stato

presentato ricorso al giudice di Strasburgo per ottenere il soddisfacimento del proprio credito. La corte dopo aver qualificato il credito liquido, certo ed esigibile come un ”bene” ai sensi dell’art. 1, I comma, Prot. I, Cedu ha condannato l’Italia al risarcimento del danno materiale e morale ed alle spese. La Corte non esclude che si possano prevedere sospensioni per le azioni esecutive nei confronti degli Enti Locali, ma queste devono essere definite o definibili nella loro durata rispettando i principi di ragionevolezza e proporzionalità.

La motivazione non è immediatamente comprensibile, visto che abbiamo già segnalato come la procedura di dissesto finanziario viene regolata da scadenze temporali ben definite già con d.l. 8/93, tuttavia non possiamo ignorare che sul piano applicativo sono presenti gravi

patologie, su questa considerazione si basa la vera ragione39 del

ricorso e della relativa decisione. È sufficiente considerare tra i casi

38 Uno degli effetti a seguito dell’approvazione della delibera di dissesto è la

sospensione delle azioni esecutive, al fine di garantire la par condicio creditorum.

39 L. MERCATI, Il dissesto degli enti locali dinnanzi alla Corte europea dei diritti

(27)

23 più eclatanti i dissesti ancora in corso dichiarati nel 1993 per il

Comune di Ischia in Campania e del 1992 per Bernalda in Basilicata.40

La sentenza però merita di essere ricordata perché riporta due passaggi che possono porsi in contrasto con il diritto interno e che fanno passare quanto detto fin’ora in secondo piano.

Il primo riguarda l’interesse tutelato dalla procedura dell’art. 244 T.U.E.L. mentre il secondo si pone a livello costituzionale sulla qualificazione dell’ente locale. Riportando le parole della corte si legge al punto cinquantaquattro che “la mancanza di risorse di un comune non possa giustificare che questo ometta di onorare gli obblighi derivanti da una sentenza definitiva pronunciata a suo sfavore”, mentre al punto cinquantacinque la considerazione che “si ha a che fare con il debito di un ente locale, quindi di un organo dello stato”. Questo approccio sembra essere inconciliabile con la forma di Stato italiana e inoltre l’art. 119 cost. ultimo comma esclude “ogni garanzia dello Stato sui prestiti contratti dagli enti locali” al fine di evitare per evitare che questo venga chiamato a rispondere dei debiti locali. È altrettanto vero che nel caso di specie non si tratta di un credito qualsiasi ma coinvolge l’esecuzione di una sentenza. La ratio della procedura di dissesto finanziaria descritta nel precedente capitolo resta però diametralmente opposta con quella affermata dalla corte secondo cui in caso di dissesto finanziario, l’Ente Locale

non è esonerato dal pagamento dei propri debiti.41

40 In ordine cronologico si passa poi al 2008 per il comune di Soriano Calabro in

Calabria. Corte dei conti, sez. autonomie, Relazione sulla gestione finanziaria degli

Enti Locali, 15 febbraio 2017.

41 In realtà la normativa italiana non esonera l’Ente al pagamento dei debiti a

seguito della delibera di dissesto finanziario, ma affida il loro accertamento e liquidazione a un organo straordinario di gestione che terminata la propria attività redige un piano di estinzione. Al piano di estinzione l’Ente locale è tenuto ad allegare un piano di impegno per il soddisfacimento dei debiti residui nell’arco dei tre anni successivi ovvero attraverso l’adesione alla procedura di pre-dissesto con un piano trentennale. Si rinvia alle indicazioni contenute nel capitolo 4°.

(28)

24 2.2.2 Erario tra i creditori dell’Ente dissestato

Un’ulteriore elemento che conferma l’impostazione tenuta dal nuovo art. 114 cost. è dato dalla modifica dell’art. 258, 3° comma T.U.E.L. operata dal d.l. 113 del 24 giugno 2016, convertito con modificazioni grazie alla l. 7 agosto 2016, n.170. La disposizione riguarda, come abbiamo già visto la procedura semplificata di accertamento e liquidazione della massa passiva. La novità introdotta è rappresentata dall’aver inserito tra i soggetti creditori destinatari di tale procedimento anche l’Erario. In questo modo si assiste al tentativo lodevole di distinguere le casse statali da quelle locali e si permette all’organo straordinario di liquidazione di definire transattivamente il credito dello Stato attraverso una proposta compresa tra il quaranta e il sessanta per cento dell’importo totale. Se ipotizzassimo un’applicazione della previsione sopra descritta considerando anche l’indirizzo giurisprudenziale europeo possiamo configurare delle situazioni paradossali. La massa attiva del comune potrebbe subire una diminuzione a favore dell’Erario tale da comportare il mancato soddisfacimento del credito di un terzo, il quale ricorrendo alla Corte di Strasburgo otterrebbe il pagamento da

parte dell’organo sovraordinato42 che ha visto estinta la propria

posizione creditoria. Si rischia, in altri termini, di trasferire delle risorse dall’ente locale a quello statale, in virtù del soddisfacimento del credito che intercorre tra questi sue soggetti, per poi a seguito della giurisprudenza di Strasburgo assistere allo spostamento delle solite risorse dallo Stato al ricorrente. Questo meccanismo

(29)

25

farraginoso potrebbe essere evitato43 imponendo all’organo

straordinario di liquidazione di presentare la proposta transattiva allo Stato solo dopo aver soddisfatto tutti gli altri debitori, ma in questo modo si perderebbe l’utilità della procedura semplificata che mira ad una celere definizione delle posizioni obbligatorie.

2.3 AUTONOMIA FINANZIARIA TRA GLI ARTICOLI 119 E 23 DELLA COSTITUZIONE.

Nella costituzione sono assenti disposizioni definitorie al fine di garantire l’elasticità dell’ordinamento ed evitare la cristallizzazione di concetti che dipendono dalla relazione tra le istituzioni e tra il diritto e la società. Per comprendere in cosa si sostanzia l’autonomia finanziaria guardiamo ad una classificazione dottrinale che permette di considerare tutti gli aspetti coinvolti:44

a) Non dipendenza finanziaria, indica il grado di libertà nel determinare l’entità dei trasferimenti, in particolare se risulta essere predeterminata in maniera stabile dall’ordinamento sulla base di grandezze oggettive o dipendente da scelte discrezionali.

b) Disponibilità di entrate proprie, formata dalle risorse che derivano da soggetti terzi e non da trasferimenti finanziari disposti dell’ente sovraordinato.

c) Autosufficienza di entrate, realizzata nel caso in cui le risorse provengono dalla collettività di cui è esponenziale l’Ente

43Tralasciando le variabili che non lo rendono automatico , come la mancata

accettazione da parte dello Stato della proposta transattiva o dall’esito del ricorso.

(30)

26 Locale, caratteristica comprensiva sia delle entrate proprie che dei trasferimenti.

d) Autonomia di entrata, rappresenta la possibilità per l’Ente di determinare autonomamente l’entità delle proprie risorse. Prima di considerare queste quattro prospettive che si intersecano inevitabilmente tra loro dobbiamo analizzare il principale riferimento costituzionale rappresentano dall’art. 119 cost.

L’autonomia finanziaria estesa agli Enti Locali a seguito della riforma costituzionale del titolo V operata nel 2001, tanto ai profili di entrata quando a quelli di spesa, è stata limitata espressamente solamente

nel 201245 all’equilibrio dei relativi bilanci,46aggiungendo nella

seconda parte del 1° comma, che tali soggetti “concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea” questo riferimento normativo rappresenta il fondamento giustificativo di una procedura di dissesto

finanziario orientata al risanamento47.

Un ulteriore limite, già noto nella versione originaria, è rappresentato dai fini del coordinamento della finanza pubblica anche se l’oggetto “non è l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa ma solo (?) l’istituzione di tributi propri […] l’ampiezza complessiva dei criteri di coordinamento (quali risulteranno per effetto della loro disciplina a seguito dell’esercizio delle competenze concorrenti di Stato e Regioni) potrebbero ridurre l’affermazione dell’autonomia impositiva di Provincie, Comuni e Città metropolitane“.48 Nonostante

l’equiordinazione già rilevata tra tali Enti e le Regioni nell’art. 114

45 L. cost. n. 1 del 20 aprile 2012. 46 Paragrafo 2.5.

47 Pur non essendo l’unico riferimento costituzionale (principio di buon andamento

ex art. 97. e gli altri limiti all’autonomia imposti dallo stesso art. 119 cost.) rappresenta attualmente quello maggiormente esplicito.

48 Di tale ampiezza di tratterà nel paragrafo 2.4.2 Art. 119, in Commentario alla

(31)

27 cost. e il tenore dell’art. 119 cost. che sembrerebbe riferire la medesima autonomia in modo indistinto, nella realtà permane la riserva di legge prevista dall’art. 23 cost. su cui dobbiamo necessariamente soffermarsi, per evidenziare come un carattere proprio dell’autonomia impositiva venga inibito dalla procedura di dissesto finanziario.

L’art. 23 cost. sancisce che “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge” recependo così una prescrizione storicamente stabilita per esercitare un controllo da parte del parlamento nei confronti del potere esecutivo, di governo o del re, espressione di un principio classico delle

democrazie liberali.49 La riserva non si esaurisce nella previsione della

legge ordinaria statale, ma è integrata anche dalla presenza degli atti aventi forza di legge e di legge regionale. È inoltre una riserva relativa che non richiede cioè la fonte primaria per la regolazione dell’intera prestazione, ma si limita ad un contenuto minimo. Oggetto di riserva di legge sono le norme impositrici, mentre sono escluse quelle di

accertamento e la riscossione,50 in particolare lo strumento legislativo

deve definire i soggetti passivi, il presupposto e la misura del tributo. Nonostante la riserva sia riferita espressamente alle sole norme impositrici e non alla complessiva materia tributaria, la dottrina prevalente ritiene che essa operi anche in ordine alla concessione dei benefici fiscali, anche per questo profilo però deve essere garantito un margine di intervento agli Enti Locali visto che le fattispecie di esenzioni ed agevolazioni tributarie manifesta l’autonomia normativa

in materia di finanza locale.51 A conferma di ciò, possiamo anticipare

49 No taxtation without representation

50 Che rappresentano quindi uno spazio per l’autonomia finanziaria dell’Ente Locale.

F. TESAURO, istituzioni di diritto tributario, UTET giuridica, Milano, 2011.

51 V. FICARI (a cura di), L’autonomia tributaria delle regioni e degli enti locali tra

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28 che, anche a seguito della procedura di dissesto finanziario nonostante l’imposizione di deliberare le tariffe e imposte nella misura massima consentita dalla legge, si garantisce all’Ente di

prevedere “riduzioni, graduazioni ed agevolazioni”52 ex. art. 251

T.U.E.L. “consentendo l’adeguamento della legislazione tributaria alle esigenze socioeconomiche ed alle condizioni ambientali locali”53 anche

in una situazione di squilibrio finanziario.

È utile precisare nuovamente che il contenuto per integrare la riserva non rappresenta solo il livello inferiore da dover garantire, in alcuni casi è al tempo stesso il limite massimo. Se la legge disciplinasse ulteriori profili, oltre ai tre sopra menzionati, si lederebbe l’autonomia finanziaria degli Enti Locali ex. art. 119 cost. Sappiamo che il potere legislativo non è attribuito a questi Enti e che quindi non sono in grado di soddisfare la riserva di legge in alcun modo, ma allo stesso tempo hanno un potere regolamentare e possono integrare o attuare norme contenute in leggi statali o regionali. Tale podestà regolamentare è garantita costituzionalmente come detto dall’art. 119 cost. a seguito della l. cost. 1/12 che ha esteso l’autonomia finanziaria sia di entrata che di spesa anche a Comuni, Provincie e città metropolitane.

L’attuazione della disposizione ha trovato innumerevoli difficoltà, ad un primo periodo di inerzia ne è seguito uno denominato a due velocità54, ancora oggi resta valido affermare che siamo “in ritardo

legge delega : un conributo giuridico al dibattito sul federalismo fiscale, Giuffrè

Editore, Milano, 2009.

52 “secondo le competenze, le modalità, i termini ed i limiti stabiliti dalle disposizioni

vigenti” art. 251, 4° d.lgs. 267/00.

53 V. FICARI (a cura di), L’autonomia tributaria delle regioni e degli enti locali tra

corte costituzionale (sentenza n. 102/2008 e ordinanza n. 103/2008) e disegno di legge delega : un conributo giuridico al dibattito sul federalismo fiscale, Giuffrè

Editore, Milano, 2009.

54 Più lento per le entrate, maggiormente celere per i profili di spesa, si veda A.

(33)

29

nell’attuazione del progetto di ampliamento dei margini di autonomia effettiva”.55 Continuano a prevalere interpretazioni eccessivamente

riduttive dell’autonomia finanziaria facendo leva sui limiti previsti dallo stesso art. 119 cost. mentre sarebbe auspicabile, garantire il rispetto dell’intera norma, tutelando le esigenze di unità e di equilibrio della Repubblica senza svuotare di senso la portata innovativa della riforma del 2001.

La mancanza di serietà nel dare seguito a questa novità è data da un atteggiamento volto a interpretare gli interventi in materia di finanza locale come strumenti per ottenere consenso politico. In passato si è potuto affermare che il governo, per contingenze del tesoro, anziché istituire nuove imposte rovesciò sui comuni gran parte delle spese che

sarebbero spettate a lui.56 Questo atteggiamento ha resistito nel

tempo con forme sempre più raffinate, l’esecutivo, ad esempio, può prendersi il merito di aver ridotto le imposte finanziate in gran parte con tagli agli enti territoriali, scaricando la responsabilità sui governi locali di aver ridotto i servizi o aumentato la pressione fiscale. Tutto questo non ha riflessi esclusivamente politici, ma anche giuridici, in questo modo vengono compromessi il pluralismo istituzionale e l’autonomia territoriale, due principi costituzionali a cui sono connessi

i valori di democrazia.57 Un altro esempio, di utilizzo strumentale alle

esigenze politiche e al contempo poco attento di detti principi, attuato grazie ai poteri legittimamente detenuti dallo stato, può essere fatto agendo sull’imposta comunale sugli immobili. Procedere all’intera ricostruzione tale imposta aprirebbe una digressione

costituzionale. Regioni ed enti locali dopo la riforma del Titolo V, Il Mulino, Bologna,

2007.

55 CORTE DEI CONTI, Relazione sulla gestione finanziaria degli Enti locali, Sezione

delle autonomie, 2016, n. 8.

56 F. VOLPI, le finanze comunali di un grande centro urbano, Feltrinelli Editore,

Milano, 1959.

57 L. ANTONINI, Un requiem per il federalismo fiscale, in federalismi.it, 10 agosto

(34)

30 eccessiva, è sufficiente sottolineare come la sua abolizione sulla prima casa comporta, un aumento di consenso politico, dall’altra parte però allenta quel meccanismo di controllo esercitato dai cittadini sull’Ente Locale, perché dal pagamento vengono esclusi i residenti, coloro che grazie l’esercizio del diritto di voto partecipano al circuito di democrazia locale, per il quale troppo spesso si manifesta una scarsa sensibilità.

L’art. 119 2° comma, afferma che gli enti sub-statali stabiliscono i tributi “secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, in seno alla riforma costituzionale del 2016 si prevedeva la sostituzione del termine “principi” con “fini” del

coordinamento, in molti58 hanno visto questo intervento come un

tentativo di compromissione all’autonomia finanziaria di Regioni e Enti Locali ed hanno manifestato le loro perplessità.

Dalle previsioni costituzionali emerge come gli Enti Locali sono dotati di una disponibilità di entrate proprie garantite dall’art. 119, 2° comma cost. con l’invalicabile limite posto dall’art. 23 cost. Proprio da tale disposizione deriva per essi l’impossibilità di determinare in modo autonomo l’entità delle risorse, mantengono un’autonomia di entrata che non potrà mai definirsi piena, perché esercitabile esclusivamente nel disegno determinato da legge statale o regionale. Queste sono le ragioni che rendono impossibile definire, in senso tecnico, i tributi “propri” nonostante vengano così denominati dal 2° comma.

Per richiamare anche le altre due specificazioni di autonomia finanziaria redatte dalla dottrina, possiamo aggiungere che determinare l’autosufficienza finanziaria risulta essere un’impresa molto complessa, visti gli intrecci che ci sono nel sistema di finanza

58 F. GALLO, il tramonto del federalismo fiscale, in il sole 24 ore, 27 giungo 2016 e L.

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31

pubblica, anche se resta possibile analizzare alcuni casi specifici.59 Per

quanto riguarda invece la dipendenza finanziaria possiamo affermare con maggiore sicurezza che essa sia esercitata in modo oggettivo, come è possibile ricavare dal patto di stabilità interno e dai relativi criteri per l’attribuzione del medesimo fondo di solidarietà.

2.4 ART. 117 COSTITUZIONE

L’art. 117 cost. indica le materie di competenza legislativa esclusiva statale e quelle concorrenti, affidando al 4° comma la competenza residuale alle Regioni, questo è in breve lo schema adottato a seguito della l. cost. 3/01 che ha completamente rinnovato il precedente criterio attributivo.

Ai fini del presente lavoro è sufficiente soffermarsi su due indicazioni della disposizione:

1) Per la competenza esclusiva, analizzeremo il 1° comma lettera f) “armonizzazione dei bilanci pubblici”;

2) Per la competenza concorrente, il 2° comma “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”.

2.4.1 Armonizzazione dei bilanci pubblici

La disciplina del bilancio degli enti locali in passato è stata compresa nei testi unici delle leggi comunali e provinciali e nei relativi regolamenti. Il processo di armonizzazione, ricorrente nel corso del tempo, ha avuto un’accelerazione a fine anni ’70, in particolare dopo

59 Come il caso del Fondo di solidarietà finanziato in modo integralmente orizzontale

(prelievo del gettito IMU) che consente allo Stato di effettuare una redistribuzione attraverso un meccanismo perequativo.

(36)

32 gli interventi per le Regioni nel 1976 e per lo Stato nel 1978, le disposizioni in tema di enti locali furono coordinate dal d.p.r. 421 del

19 giugno 197960. Una nuova disciplina è stata regolata come

abbiamo già avuto modo di segnalare dal d.lgs. 77/95 poi confluito nel d.lgs. 267/00.

La materia di armonizzazione dei bilanci pubblici è stata inserita, con la riforma costituzionale del 2001, nell’elenco delle competenze concorrenti Stato-Regioni, unitamente ai principi di coordinamento della finanza pubblica e sistema tributario. Più recentemente con l. cost. n. 1 del 20 aprile 2012 è stata spostata, correttamente vista l’esigenza di omogeneità, nell’elenco delle materie di competenza esclusiva.

La più recente ed organica riforma contabile è stata perseguita

mediante il d.lgs. 118/1161 così come modificato dal d.lgs. 126/14,

introducendo nuovi schemi e allegati di bilancio, nuovi principi contabili e nuove poste di bilancio (fondo pluriennale vincolato e reintroduzione della contabilità di cassa). In particolare alla luce del nuovo principio della competenza finanziaria potenziata si è dovuto procedere a un riaccertamento straordinario dei residui, che hanno fatto emergere il c.d. disavanzo o avanzo tecnico. Per le amministrazioni pubbliche territoriali dal 2012 è stata avviata una fase di sperimentazione conclusa nel 2014, che ha coinvolto circa quattrocento enti, tra Regioni, Province, Comuni e enti strumentali, che hanno goduto di deroghe in tema di patto di stabilità e di considerazioni specifiche da parte delle relazioni della Corte dei Conti

60 Introducendo anche il bilancio pluriennale e il bilancio di cassa accanto a quello di

competenza. Quest’ultimo è formato dalle entrate da accertare e uscite da impegnare nel relativo esercizio, è ricollegato con la funzione autorizzatoria del bilancio. Quello di cassa riguarda gli importi che si prevede di pagare o incassare, con riferimento anche agli esercizi precedenti, tale bilancio è stato in vigore fino al d.lgs. 77/95 poi reintrodotto dal 1 gennaio 2015.

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