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Valutazione in vitro dell'azione antimicrobica e anti-biofilm di AMPs nei confronti di Staphylococcus aureus meticillino-resistenti (MRSA).

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

Scuola di Specializzazione in Microbiologia e Virologia

Tesi di Specializzazione

Valutazione in vitro dell'azione antimicrobica e anti-biofilm di AMPs nei

confronti di Staphylococcus aureus meticillino-resistenti (MRSA)

Candidata

Relatori

Dr.ssa Ciandrini Eleonora

Prof.ssa Lupetti Antonella

Prof.re Giacometti Andrea

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Sommario

Capitolo 1: S. aureus ... 4

Caratteristiche generali S. aureus ... 5

Patogenesi e virulenza ... 6

Evoluzione della resistenza antibiotica ... 8

Capitolo 2: Biofilm ... 10

Organizzazione e struttura dei biofilm ... 11

Composizione di un biofilm ... 12

Resistenza delle cellule in biofilm ... 12

Capacità di S. aureus di originare biofilm ... 13

Capitolo 3: Biofilm su cateteri venosi ... 14

Le infezioni dei cateteri venosi ... 15

Capitolo 4: Peptidi ad azione antimicrobica (AMPs) ... 17

Peptidi ad azione antimicrobica (AMPs) ... 18

Classificazione ... 21

Meccanismo d’azione degli AMPs ... 21

Capitolo 5: Scopo del lavoro ... 23

Capitolo 6: Materiali e metodi ... 25

Isolamento identificazione e valutazione del profilo di antibiotico-resistenza dei ceppi di S. aureus ... 26

Produzione di “slime” e selezione dei ceppi ... 26

Peptidi antimicrobici (AMPs) ... 27

Determinazione delle MIC/MBC degli AMPs... 27

Determinazione degli indici FICI ... 28

Valutazione dell’attività antimicrobica di selezionati AMPs mediante killing studies ... 28

Preparazione dei segmenti di cateteri venosi ... 28

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Biofilm su polistirene ... 29

Biofilm su catetere venoso ... 30

Trattamento dei biofilm preformati su polistirene e cateteri venosi con combinazioni di AMPs ... 30

Analisi statistica ... 30

Capitolo7: Risultati e discussione ... 31

Valutazione del profilo di antibiotico-resistenza dei ceppi di S. aureus ... 32

Produzione di “slime” e selezione dei ceppi ... 32

Determinazione delle MIC/MBC degli AMPs... 34

Determinazione degli indici FICI ... 34

Valutazione dell’attività antimicrobica di selezionati AMPs mediante killing studies ... 35

Efficacia di selezionati AMPs nell’inibire la formazione di biofilm su polistirene e cateteri venosi ... 38

Trattamento dei biofilm preformati su polistirene e cateteri venosi con selezionati AMPs ... 42

Trattamento dei biofilm formati su polistirene e cateteri venosi con combinazioni di AMPs ... 45

Capitolo 8: Conclusioni ... 49

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Staphylococcus aureus è un microrganismo Gram-positivo, di forma sferica o ovoidale, del diametro di 0,8-1μm (Figura 1 ), con una capsula poco sviluppata, immobile perché privo di flagelli, asporigeno, anaerobio facoltativo, coagulasi e catalasi positivo ed è alofilo; il microrganismo è in grado di crescere in un range di temperature tra 6-48°C, con un optimum di crescita tra 35-40°C.

Fig.: 1 Crescita di S. aureus in agar sangue e osservazione microscopica delle colonie. (www.microbiologyinpictures.com)

S. aureus appartiene alla famiglia delle Micrococcaceae, genere Staphylococcus, in cui sono incluse 54 specie strettamente correlate per la composizione del DNA, ma di queste, solo 20 rappresentano un potenziale pericolo per la salute dell’uomo e comprendono: S. aureus, S. aureus anaerobius, S. xylosis, S. saprophyticus, S. saprophyticus bovis, S. cohnii, S. caprae, S. epidermidis, S.warneri, S. haemolyticus, S. chromogenes, S. hycus, S. delphini, S. intermedius, S. pseudintermedius, S. schleiferi, S. schleiferi coagulans, S. simulans, S. lentus, S. sciuri, S. sciuri carniticus (Jay et al., 2005).

S. aureus è un microrganismo coagulasi-positivo in quanto produce l’enzima coagulasi, capace di combinarsi con il fattore plasmatico Coagulase Reacting Factor (CRF) per formare la stafilo-trombina, necessaria a convertire il fibrinogeno, solubile nel plasma, in fibrina insolubile. La conseguente formazione dei coaguli, facilita la deposizione di uno strato protettivo di fibrina attorno alle cellule di S. aureus, che consente di evitare la fagocitosi da parte delle cellule immunitarie dell’organismo ospite. Gli stafilococchi in base alla loro potenzialità di produrre coagulasi possono essere distinti in ceppi coagulasi positivi (CPS) e in ceppi coagulasi negativi (CNS), nei quali sono raggruppati circa 40 specie non patogene tra cui S. epidermidis, S. haemolitycus, S. hominis, S. saprophyticus e S. warneri.

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Oltre che tra i più comuni commensali, soprattutto a livello cutaneo, gli stafilococchi sono fra i più frequenti, importanti e ubiquitari patogeni dell’uomo, e si sono dimostrati fra i batteri che hanno saputo sviluppare farmaco resistenze nel corso dell’era antibiotica (Antonelli et al., 2012).

S. aureus è la causa principale delle infezioni batteriche, che coinvolgono il tessuto gastrointestinale, respiratorio, cutaneo, del tessuto molle, e delle infezioni del flusso sanguigno. È una delle principali cause di malattia sia in soggetti ricoverati che in persone che vivono in comunità causando un ampio spettro di malattie che variano da infezioni suppurative della pelle e dei tessuti molli alle tossinfezioni alimentari, a malattie molto gravi come l’osteomielite, l’endocardite e la sindrome dello shock tossico (TSS) (Reddy et al., 2017). La gravità dell’infezione dipende da molti fattori, quali la virulenza del singolo ceppo, la dimensione dell’inoculo e dallo stato del sistema immunitario dell’individuo.

Il massiccio consumo di antibiotici negli ultimi 50 anni ha portato all'aumento della resistenza agli antibiotici e, soprattutto, alla comparsa della resistenza verso la meticillina, che si è dimostrata di massima importanza a causa della sua rapida diffusione e del conseguente aumento dei casi di mortalità dovuti ai ceppi meticillino-resistenti.

Anche se S. aureus è un patogeno opportunista, che idealmente diventa pericoloso quando le difese del corpo sono indebolite, ci sono alcuni fattori di rischio che aumentano la probabilità di infezione. Infatti i principali fattori di rischio per le infezioni da S. aureus sono la perdita dell’integrità della barriera cutanea e/o l'immunosoppressione; inoltre essere un portatore naso-faringeo di S. aureus è un altro fattore di rischio. In una popolazione il tasso medio di portatori naso-faringei è del 37%, con alcune sottopopolazioni che presentano percentuali più elevate come quelle formate dai pazienti affetti da diabete mellito, pazienti in dialisi, soggetti affetti dal virus dell’immunodeficienza umana (Kluytmans et al., 1997).

Un altro problema legato alla diffusione delle infezioni è che i ceppi di S. aureus meticillino-resistenti (MRSA), che precedentemente erano limitati agli ospedali, oggi sono sempre più spesso isolabili anche da comunità.

In tutto il mondo, le infezioni sostenute da S. aureus MRSA associate alla comunità (CA-MRSA) sono una delle principali cause di infezioni dei tessuti cutanei superficiali e dei tessuti molli (Superficial Skin and soft Tissue Infections, SSTI) e di sepsi. Sono due i cloni (CA-MRSA USA300 e USA400) principalmente coinvolti che, da soli, rappresentano dal 60% al 75% di tutte le infezioni sostenute da S. aureus nella comunità (Moellering et al., 2006; Reddy et al., 2017).

Patogenesi e virulenza

S. aureus può manifestare la sua patogenicità tramite diversi fattori di virulenza, tra i quali i componenti strutturali, le esotossine e gli esoenzimi (Sandel e Mc Killip, 2004; Bukowski et al., 2010). Tra i

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microscopio perché poco sviluppata, dotata di attività anti-fagocitaria ed anti-chemiotattica, quindi in grado di favorire l’adesione batterica ai tessuti dell’ospite; il peptidoglicano, a cui si legano covalentemente gli acidi teicoici; gli acidi lipoteicoici. Gli acidi lipoteicoici mediano l’adesione batterica alla fibronectina connettivale dei tessuti dell’ospite, grazie anche all’aiuto di una famiglia di adesine, indicate con l’acronimo MSCRAMMs (Microbial Surface Components Recognizing Adhesive Matrix Molecule), tra cui si annoverano le proteine formanti la fibronectina, le proteine formanti il fibrinogeno e le proteine formanti il collagene (Garzoni e Kelley, 2009; Bien et al., 2011).

S. aureus è in grado di produrre anche diverse tossine che comprendono una serie di proteine quali l’alfa-emolisina è citotossica perché lisa emazie, leucociti, piastrine ed epatociti; la beta-emolisina che è citotossica per emazie e piastrine ed ha probabilmente un’attività di sfingomielasi; la delta-emolisina che svolge un’azione litica sulle emazie di numerose specie animali ed agisce con un meccanismo simile ai detergenti; la gamma-emolisina, che è costituita da due proteine con analoghe caratteristiche fisico-chimiche e risulta attiva sulle emazie di coniglio e di pecora, ma il cui ruolo patogenetico è ancora sconosciuto. Altre tossine elaborate da S. aureus sono la leucocidina di Panton-Valentine, costituita da due proteine (F ed S) che hanno un’azione sinergica nel distruggere i leucociti e nel formare dei fori sulla membrana, causando la lisi osmotica della cellula; la tossina esfoliativa o epidermolitica (SSS), che può esistere sia nella forma termostabile (ET-A) codificata da un gene cromosomico, sia nella forma termolabile (ET-B) codificata da un gene plasmidico. Quest’ultima tossina è la causa della cosiddetta Sindrome della cute ustionata, conosciuta anche come Malattia di Ritter o di Lyell, una patologia tipica dei bambini di 1-3 anni, scatenata dalla diffusione per via ematica della tossina. Tale sindrome comporta ampie ustioni sulla pelle, per interazione della tossina con le proteine della matrice intercellulare e la rottura dei desmosomi a livello dello strato granuloso dell’epidermide. Invece la tossina da shock tossico (TSS-1), è termoresistente e determina la cosiddetta Sindrome da shock tossico, che vede la comparsa di gravi sintomi generalizzati, il malfunzionamento di molti organi, manifestazioni eritematose e sintomi da shock emodinamico, per produzione di citochine pro-infiammatorie.

Tra gli esoenzimi come fattori di virulenza di S. aureus ci sono, oltre alla coagulasi, la ialuronidasi in grado di degradare l’acido ialuronico presente nel tessuto connettivo quindi importante per la diffusione del batterio o delle tossine da esso prodotte nel tessuto dell’ospite; la stafilochinasi che è in grado di trasformare il plasminogeno in plasmina, causando il disfacimento dei coaguli e rendendo il batterio più invasivo. Infine vi sono varie proteasi, lipasi, DNAasi ed ureasi, che sono in grado di degradare diverse molecole target.

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L’espressione dei fattori di virulenza è controllata da complessi sistemi di regolazione, tra cui l’Accessory Gene Regulation (AGR), che consente l’espressione delle adesine proteiche quando la densità batterica è bassa, oppure la sintesi di enzimi litici e di tossine quando la densità batterica è alta.

Evoluzione della resistenza antibiotica

L’insorgenza della resistenza agli antibiotici è un fenomeno naturale che si verifica in seguito all’elevato tasso di replicazione e dallo scambio di materiale genetico tra i vari ceppi. Un uso improprio degli antibiotici ha portato alla selezione di ceppi resistenti; infatti nel 1940, anno di introduzione della penicillina, tutti i ceppi di S. aureus isolati erano sensibili a questo farmaco, ma in soli 5 anni il 50% dei ceppi isolati avevano acquisito la capacità di crescere in presenza di tale antibiotico grazie alla produzione di β-lattamasi, enzimi codificati a livello plasmidico.

I primi tentativi compiuti dalla ricerca farmaceutica per ovviare al problema delle resistenze ai farmaci β-lattamici è stato quello di creare piccole alterazioni della struttura dei farmaci stessi, ma la straordinaria capacità dei batteri a riadattare le proprie β-lattamasi alla nuova struttura e conformazione molecolare ha reso necessario un notevole sforzo delle ditte farmaceutiche che sono state costrette a mettere in commercio numerose molecole antibiotiche. Questo ha portato alla progettazione delle cefalosporine di terza generazione, in quanto le β-lattamasi batteriche riescono ad essere espresse con una straordinaria flessibilità in relazione al bersaglio essendo sufficiente una singola mutazione del gene che codifica per le β-lattamasi per variare la specificità di substrato dell'enzima rendendolo atto a colpire il nuovo bersaglio, ovvero l'antibiotico di nuova generazione.

Nel 1959 la disponibilità di un nuovo farmaco, la meticillina aprì un nuovo capitolo nella terapia antibiotica infatti tutti i ceppi di S. aureus circolanti all’epoca, inclusi i produttori di β-lattamasi, erano sensibili a questa molecola. Ma dopo solo 2 anni circa viene segnalata la prima resistenza alla meticillina; questa è associata alla produzione di una Penicillin Binding Protein (PBP) aggiuntiva (PBP2a) che può sostituire le altre PBP quando sono saturate dall'antibiotico ed è in grado di continuare da sola l'assemblaggio della parete batterica.

La meticillino-resistenza, considerata originariamente come curiosità di laboratorio, ben presto assunse connotati drammatici a causa della diffusione e dei limiti che impone sulle opzioni terapeutiche per il trattamento delle infezioni da S. aureus meticillino-resistenti (MRSA), non suscettibili ai farmaci β-lattamici.

Annualmente il tasso di mortalità dovuto alla resistenza agli antibiotici è stimato a 22.000 decessi negli Stati Uniti e 25.000 in Europa. Le infezioni causate da ceppi di S. aureus meticillino-resistenti rappresentano il 50% di tutte le infezioni stafilococciche (Bassetti et al., 2013), inoltre i ceppi MRSA sono isolati approssimativamente dal 5% di tutte le infezioni nosocomiali.

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mortalità causata dalle infezioni sostenute da ceppi MRSA è una delle principali cause dei decessi in seguito ad infezioni batteriche (Reddy 2017).

I ceppi MRSA sono difficili da eradicare in quanto, oltre ad esprimere resistenza a tutti i β-lattamici, contemporaneamente possono essere insensibili ad altri agenti come i macrolidi, rifampicine, tetracicline, chinoloni e aminoglicosidi. E’ da sottolineare che di recente questo problema non è più riscontrabile esclusivamente a livello nosocomiale poiché è in crescita la percentuale di meticillino-resistenti di origine comunitaria (Wise, 2004).

I glicopeptidi e in particolar modo la vancomicina e la teicoplanina, a partire dagli anni ’80, sono stati considerati i farmaci di ultima risorsa nei confronti degli stafilococchi meticillino-resistenti e per il trattamento di infezioni gravi sostenute da batteri Gram-positivi (Remington, 2000; Schito et al., 2000). La vancomicina ha una lenta azione battericida dovuta a inibizione della sintesi della parete cellulare e svolge la sua massima azione sui batteri in fase di crescita esponenziale. È prodotta da actinomiceti e agisce bloccando il trasferimento dell'unità basale del peptidoglicano dal vettore lipidico alla zona di accrescimento. Tutt’oggi vancomicina e teicoplanina sono i farmaci di scelta per infezioni gravi provocate da germi Gram-positivi resistenti alle penicilline e alle cefalosporine e da S. aureus resistenti alla meticillina.

Nel 1996 in Giappone è stato isolato un ceppo di S. aureus meticillino-resistente con ridotta sensibilità alla vancomicina (Hiramatsu et al., 1997), che presentava in vitro una MIC di 8 µg/ml alla vancomicina (ceppo intermedio), ma non sono stati identificati geni in grado di conferire questo fenotipo denominato VISA (Vancomycin-Intermediate S. aureus). Il meccanismo della ridotta sensibilità alla vancomicina in S. aureus (VISA), sembra essere causato principalmente da alterazioni a carico della parete con un inspessimento osservabile tramite la microscopia elettronica.

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11 Organizzazione e struttura dei biofilm

Un biofilm è un’ aggregazione complessa di microrganismi contraddistinta dalla secrezione di una matrice adesiva e protettiva, e spesso anche da:

 adesione ad una superficie, sia di tipo biologico che inerte (ad esempio rocce e protesi),  eterogeneità strutturale,

 interazioni biologiche complesse,

 una matrice extracellulare di sostanze polimeriche, spesso di carattere polisaccaridico.

La formazione di un biofilm inizia con l'ancoraggio di microrganismi liberamente fluttuanti ad una superficie; i primi "coloni" aderiscono alla superficie inizialmente attraverso deboli e reversibili forze di Van Der Waals (Lemon et al., 2008); se i batteri colonizzatori non sono immediatamente separati dalla superficie possono poi ancorarsi più stabilmente utilizzando specifiche molecole di adesione cellulare, come i pili. A questo punto, i primi colonizzatori facilitano l'arrivo di altre cellule, mettendo a disposizione diversi siti di adesione cellulare, e iniziano a costruire la matrice che permette l'integrità del biofilm. I consorzi microbici costituiscono un ambiente protettivo per i microorganismi, poiché permettono l’evasione agli agenti antimicrobici. Infatti, la matrice extracellulare previene la penetrazione di sostanze antimicrobiche all’interno del biofilm; inoltre la lenta crescita dei patogeni all’interno dei biofilm, li rende meno suscettibili agli antibiotici, i quali agiscono nella maggior parte dei casi inibendo le fasi di moltiplicazione cellulare. In fine, il signaling chimico che si attua durante la crescita microbica all’interno della struttura, sembra regoli l’espressione di geni che alterano i target biologici dei farmaci (Niveditha et al., 2012). I biofilm sono solitamente ritrovati su substrati solidi sommersi o esposti ad alcune soluzioni acquose, sebbene possano anche formarsi come tappeti o masse galleggianti su superfici liquide. I batteri possono anche instaurare interazioni sinergiche all’interno del consorzio microbico, comunicando gli uni con gli altri attraverso il Quorum Sensing (QS), il signaling microbico che è mediato da molecole secrete dai batteri stessi (Fuqua et al., 1994). Attraverso il controllo della comunicazione microbica, il QS modula la crescita batterica e la formazione del biofilm (Irie et al., 2008). Dopo qualche tempo i batteri adesi al biofilm sono in grado di staccarsi, costituendo

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una massa indipendente che periodicamente si sfoglia, con la finalità di sopravvivere e di colonizzare altre nicchie dando origine ad un nuovo biofilm in un altro sito. Questo fenomeno può essere favorito dalle forze di scorrimento del fluido, dalla presenza di determinati composti o dalle caratteristiche delle singole specie batteriche.

Composizione di un biofilm

I biofilm sono costituiti principalmente da cellule microbiche e matrice extracellulare (EPS) (Costerton et al., 1995; Stoodley et al., 2002); la percentuale di EPS varia tra il 50% e il 90% ed è considerata la materia prima del biofilm. Le proprietà chimico-fisiche di questa matrice possono variare molto, ma è principalmente formata da polisaccaridi. La composizione e la struttura dei polisaccaridi determina la conformazione primaria della matrice. La composizione dell’EPS non è generalmente uniforme ma può variare spazialmente e temporalmente, infatti la quantità di EPS cresce con l’età del biofilm; inoltre può associare ioni metallici, cationi bivalenti ad altre macromolecole, come proteine, DNA e lipidi. L’EPS può essere altamente idratato poiché può incorporare grandi quantità di acqua nella sua struttura tramite legami idrogeno, ma in alcuni casi l’EPS può anche essere idrofobico. La sua elevata idratazione previene l’essiccamento di alcuni biofilm naturali. Inoltre può contribuire alla resistenza agli antibiotici impedendo il trasporto di massa e la diffusione di queste sostanze attraverso il biofilm, probabilmente legando queste molecole direttamente (Davey e O’Toole, 2000).

Resistenza delle cellule in biofilm

La formazione di un biofilm e la sua resistenza agli agenti antimicrobici rappresentano una delle principali cause della persistenza e della cronicizzazione delle infezioni batteriche; in alcuni casi la resistenza agli antibiotici può aumentare di 1000 volte (Costerton et al., 1995; Stoodley et al., 2002). E’ stato infatti dimostrato che i biofilm permettono la sopravvivenza delle cellule batteriche in ambiente ostile; e la complessità strutturale, l’eterogeneità metabolica e fisiologica delle comunità cellulari che lo compongono, suggeriscono un’analogia tra i biofilm ed i tessuti degli organismi superiori (Donlan, 2002). Sono diversi i meccanismi che favoriscono la riduzione della suscettibilità agli antimicrobici quali: la matrice esopolisaccaridica, il ridotto tasso di crescita, una variazione dell’espressione genica, una maggiore impermeabilità del biofilm stesso agli agenti antimicrobici causata anche dalla complessa struttura tridimensionale del consorzio microbico stesso e l’espressione di geni di resistenza. (Costerton et al., 1999; Donlan 2002). Inoltre le cellule del biofilm mostrano un tasso di crescita più lento se paragonato a quello delle cellule planctoniche e, quindi, sono più resistenti a tutti quei farmaci che hanno maggiore efficacia sulle cellule in rapida crescita (DuGuid et al., 1990; Evans et al.,1990). La ridotta efficacia di un antibiotico in presenza di biofilm batterici potrebbe anche essere spiegata considerando la possibilità che si instaurino azioni antagoniste tra le molecole antibiotiche e i cataboliti

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ioniche) del consorzio microbico (Donlan and Costerton, 2002). Tuttavia deve essere considerato anche il fatto che la formazione delle comunità microbiche crea una nicchia ideale per lo scambio di materiale genetico dove la coniugazione avviene ad una velocità maggiore nei batteri bentonici rispetti a quelli in forma libera. Poiché i plasmidi codificano spesso per resistenze multiple è stato ipotizzato che il biofilm possa costituire un meccanismo di amplificazione dell’antibiotico resistenza (Donlan and Costerton, 2002).

Capacità di S. aureus di originare biofilm

Gli stafilococchi sono in grado di originare biofilm sia grazie alla capacità di aderire alle superfici che grazie alla capacità di accumulare strati multipli di una sostanza detta “slime”, costituita da un esopolisaccaride chiamato PIA (Polisaccaride Intracellulare di Adesione), composto da N-acetilglucosamina legata con legami (β -1,6) parzialmente deacetilata e carica positivamente; all’interno dello slime le cellule vengono racchiuse e protette dall’attacco del sistema immunitario e dagli antibiotici. La produzione di PIA è regolata da geni biosintetici localizzati in un operon detto icaADBC, presente in entrambe le specie maggiori, S. aureus e S. epidermidis, ed è correlata alla patogenicità di questi microrganismi, sebbene non sia dimostrato che la sua presenza sia sufficiente a formare biofilm (DuGuid et al., 1992; Illingworth et al., 1998; Amorena et al., 1999; Rupp et al., 1999).

Sono diverse le specie di batteri Gram-positivi che possono causare infezioni legate a dispositivi medici (o medical devices), come Staphylococcus spp e Enterococcus spp.; ma S. aureus è diventato uno dei più importanti patogeni umani essendo responsabile di innumerevoli infezioni (Tatarkiewicz et al., 2015). Le infezioni derivanti da dispositivi medici causano un aumento significativo della morbilità e mortalità dei pazienti ospedalizzati con un conseguente aumento dei costi per le aziende ospedaliere stesse (Donlan 2008), rappresentando così un problema sanitario ed economico molto importante da risolvere (NAO 2000).

Per quanto riguarda i medical devices, la terapia antibiotica può eliminare facilmente le cellule platoniche, ma non quelle organizzate in biofilm (Anderson 2008) e, quando il trattamento antibiotico termina, i batteri che sono sopravvissuti al trattamento, perché protetti dal biofilm, possono dare origine nuovamente ad un’infezione. Questo ciclo di infezioni è difficile da arrestare e spesso la rimozione del dispositivo è l’unica soluzione. Inoltre, la formazione di biofilm sui biomateriali può dare origine al distacco di alcune cellule batteriche che possono raggiungere il flusso sanguigno o i tessuti vicini e aggravare, di conseguenza, le condizioni generali del paziente (Costerton 2003).

Inoltre la minore suscettibilità agli antibiotici rende difficile il trattamento delle infezioni biofilm-correlate e questo potrebbe portare alla cronicizzazione (Costerton 2005), caratterizzata da infiammazione persistente e danno tissutale (Bjarnsholt 2009).

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15 Le infezioni dei cateteri venosi

Sebbene S. aureus sia principalmente riconosciuto per la sua capacità di originare infezioni acute, esso, grazie alla sulla sua capacità di aderire a diversi tipi di superfici e di formare biofilm, può causare infezioni croniche sia su tessuti che su medical devices (Parsek e Singh, 2003; Kiedrowski e Horswill, 2011) diventando una delle principali cause di infezioni protesiche (Wisplinghoff et al., 2004; Fowler et al., 2005). Le infezioni di dispositivi medici, quali cateteri venosi centrali (CVC), cateteri per emodialisi, valvole cardiache, protesi articolari, e shunt di liquidi cerebrospinali, sono difficili da eliminare grazie anche alla presenza della matrice esoplisaccaridica (EPS) che conferisce protezione al biofilm (O’Gara e Humphreys 2001).

Ogni anno vengono registrate negli Stati Uniti circa 250.000 infezioni correlate a medical devices, alle quali è attribuibile un range di mortalità che varia dal 12% al 25% in pazienti critici (Khanna et al., 2013). I CVC, tra i dispositivi ad impianto temporaneo, costituiscono una problematica maggiore in tema di infezioni correlate a biofilm batterico, visto il loro ampio impiego in ambito diagnostico e terapeutico; inoltre mostrano un alto rischio di colonizzazione da parte di S. aureus dal momento che il microrganismo risiede sulla pelle e il CVC è a contatto diretto con il flusso ematico del paziente. Ne consegue che S. aureus è una delle principali cause di infezioni ematiche negli Stati Uniti d’America (Wisplinghoff et al., 2004), e il costo delle cure mediche associato alle infezioni da catetere sostenute da MRSA è stimato in un range che varia da 6.916 dollari a 60.000 dollari a paziente (Nakamura et al., 2015).

I CVC sono realizzati in diversi materiali polimerici dotati di elevata biocompatibilità e caratterizzati da proprietà meccaniche, morfologiche e chimico-fisiche che ne consentono un’inserzione transcutanea agevole e poco traumatica. I materiali polimerici attualmente più utilizzati sono copolimeri quali i poliuretani, e omopolimeri quali polietilene, polimetilmetacrilato, polipropilene, polietilentereftalato e silicone (Donelli et al., 2002).

I cateteri vascolari si dividono in centrali e periferici, a seconda che permettano l’accesso al sistema circolatorio centrale o periferico. L’accesso al lume vasale è ottenuto chirurgicamente: l’estremità distale del catetere raggiunge la sua sede dopo essere penetrata nella cute (punto di emergenza), averla

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percorsa per alcuni centimetri (tratto sottocutaneo) ed, infine, aver attraversato la parete vasale. Il catetere viene quindi ancorato alla cute tramite suture ed integrato nel tessuto adiacente tramite un supporto in Dacron opportunamente posizionato lungo il catetere stesso (Donlan 2002).

La maggior complicanza associata all’uso di CVC è l’insorgenza di infezioni anche a tempi brevissimi dall’inserzione, con il conseguente fallimento dell’impianto e la necessità della sua rimozione. Questo rischio è presente non solo nei pazienti immunocompromessi, ma anche negli immunocompetenti, poiché la sola presenza del dispositivo artificiale è sufficiente a ridurre le difese naturali dell’ospite e, di conseguenza, aumenta il rischio di infezione locale e sistemica. La patogenesi delle infezioni correlate ai CVC riconosce alcuni fasi ben definite:

 la colonizzazione della cute da parte di un microrganismo opportunista residente o transiente,

 la sua migrazione nel tratto sottocutaneo in corrispondenza del sito d’inserzione,  la colonizzazione della punta del catetere.

Più raramente, la contaminazione del lume è possibile anche per l’impiego di fluidi non sterili. Tra gli agenti patogeni responsabili troviamo batteri Gram-positivi, Gram-negativi e miceti. Il 60% delle infezioni associate a CVC è prodotto da S. aureus, S. epidermidis e da altri stafilococchi coagulasi-negativi. Il 25% è causato da altri Gram-positivi quali enterococchi, e da Gram-coagulasi-negativi. Il restante 15% riconosce come causa i lieviti, in particolare Candida spp. (Donelli et al., 2001).

Tra i fattori che promuovono la colonizzazione microbica, elenchiamo:

 la composizione chimica e le caratteristiche di superficie dei CVC come idrofobicità e rugosità;

 lo sviluppo di una pellicola proteica costituita da albumina, fibrinogeno e fibronectina sulla superficie del dispositivo, quale risposta biologica dell’ospite alla presenza del corpo estraneo;

 l’abilità del microrganismo di produrre una matrice esopolisaccaridica capace di mediare le fasi finali della colonizzazione microbica.

Vari studi hanno permesso lo sviluppo di cateteri vascolari dotati di coperture antiadesive o trattati con sostanze antibatteriche. Si sono pertanto sviluppati cateteri con rivestimenti idrofilici per ridurre i fenomeni di adesione batterica, e cateteri trattati con disinfettanti quali argento, cloruro di benzalconio, clorexdina ed argento-sulfadiazina, e antibiotici (Schierholz et al., 1999).

Tuttavia, non sempre sono stati ottenuti risultati ottimali, e la prevenzione e l’eradicazione dell’infezione non sono state sempre adeguate (Ciresi et al., 1996).

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18 Peptidi ad azione antimicrobica (AMPs)

Il continuo aumento e la diffusione di batteri multi-resistenti ha reso necessari la ricerca e lo studio di nuove molecole ad attività antimicrobica. Su questa scia i peptidi antimicrobici sono stati proposti come una nuova classe di antimicrobici che potrebbero essere utili nel combattere i batteri multi-resistenti. Gli AMPs sono piccoli peptidi policationici (7-100 aminoacidi) che prediligono il legame alle membrane citoplasmatiche cariche negativamente. Inoltre durante la scorsa decade si è sviluppato un interesse sempre maggiore sul possibile uso di AMPs come agenti anti-biofilm (Batoni et al., 2016).

Negli ultimi anni centinaia di piccole proteine e peptidi sono stati isolati e caratterizzati da specie appartenenti a quasi tutti i regni e classi di batteri, funghi, animali e piante. Tali molecole difensive dell’immunità innata, antiche ma evolutivamente conservate, dovrebbero avere avuto un ruolo fondamentale nel successo evolutivo dei complessi organismi pluricellulari. Infatti, la co-evoluzione di ospiti e patogeni ha portato alla selezione di una varietà di meccanismi di sopravvivenza dell’ospite, atti a proteggerlo dalla costante interazione con microrganismi (Boman, 2000).

Gli AMPs hanno la capacità di uccidere una vasta gamma di microorganismi (Tabella 1), come batteri Gram-positivi e Gram-negativi, funghi e virus (Boman, 2000). Questi peptidi rappresentano un sistema di difesa presente fin dalla nascita, infatti la sintesi delle defensine enteriche nel tessuto fetale ha inizio dalle 13 alle 17 settimane successive alla gestazione (Mallow, 2005).

L’enorme variabilità di sequenza dei peptidi che si osserva in natura, anche in specie tra loro strettamente correlate, rappresenta molto probabilmente l’adattamento a specifiche popolazioni microbiche presenti nella particolare nicchia ecologica occupata. Anche singole sostituzioni amminoacidiche infatti possono influenzare in maniera significativa l’attività biologica di ciascun peptide. Nonostante l’elevata variabilità strutturale e di sequenza, la caratteristica che accomuna la maggior parte di queste molecole è la loro natura anfipatica. Infatti, la presenza di regioni altamente polari, caratterizzate spesso da una carica netta positiva, e di altre fortemente idrofobiche conferisce al peptide le caratteristiche chimico-fisiche necessarie per l’interazione con la membrana cellulare dei microrganismi.

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Origine Specie AMPs antimicrobica Attività

Insetti

Drosophila melanogaster Drosomicina

F

Drosocina G

-Diptericina G

-Sarcophaga pergrina Sapecina α,β,c G+, G

-Phormia terranovae Defensina α G+, G

-Apis mellifera

Mellitina G+, G-, H Defensina G+, G -Roialisina G+, G

-Androctonus australis Defensina G+, G

-Altri invertebrati

Penaeus vannamei Penaeidina F

Mytilus edulis Defensina G+, G -Mitilina G+ Mitimicina F Tachypleus tridentatus Tachiplesina G+, G -Difensiva G+, G -Tachicitina F Mammiferi

Cavia domestica Defensina G+, G

-Maiale Catelicidina Varia

Coniglio Defensina G+, G

-Pecora SMAP-29* Varia

Gatto BMAP-28* Varia

Bovino Bac-5*, Bac-7* Varia

Uomo

Defensina

α,β Varia

Catelicidina Varia

Istatina F

G+: gram-positivi; G-: gram-negativi; H: emolitici; F: anti-fungini

* peptidi derivati dalla catelicidina Modificata da Reddy, 2004

Tab.: 1 Origine e spettro d’azione di alcuni peptidi antimicrobici

Gli AMPs sono espressi principalmente sulle barriere primarie degli organismi, quali cute e mucose, prevenendo la colonizzazione dei tessuti dell’ospite da parte di patogeni (Bulet et al., 2004). Inoltre, questi peptidi sono conservati in granuli all’interno dei fagociti e sono coinvolti nell’uccisione dei microrganismi fagocitati (Ganz, 1999; Zasloff, 2002). Recentemente sono stati individuati nuovi effetti biologici degli AMPs, quali neutralizzazione di endotossine, attività chemotattica, proprietà

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immunomodulanti, induzione dell’angiogenesi e della guarigione di ferite (Yang et al., 2002; Zaiou, 2007). Così queste molecole ancestrali risultano essere componenti cruciali dell’immunità innata e possibili candidati per nuovi approcci terapeutici. Questo interesse è giustificato anche dal fatto che gli AMPs possono interferire con i primi eventi della formazione del biofilm, prevenendo sia l’adesione delle cellule batteriche al substrato che la loro co-aggregazione. Inoltre, gli AMPs possono uccidere le cellule batteriche prima che queste vengano inglobate stabilmente nell'architettura del biofilm (Yeaman et al., 2003; Pimentel-Filho 2014; Segev-Zarko 2015). Tra i peptidi antimicrobici molto studiate sono le Temporine, un gruppo di corti peptidi (10-13 amminoacidi) con una carica positiva. Isolate per la prima volta nel 1996 dalla cute della rana rossa europea denominata Rana temporaria (Simmaco et al., 1996; Simmaco et al., 1998), questi peptidi sono α-elicoidali, anfipatici ed idrofobici. La famiglia delle Temporine comprende più di 40 componenti con diverse proprietà. Alcuni di essi sono attivi contro un’ampia gamma di microrganismi.

Un altro peptide antimicrobico prodotto dalle ghiandole dorsali della rana Litoria citropa è il Citropin 1.1. che è strutturalmente dissimile dai peptidi antimicrobici di altre rane del genere Litoria ed è uno dei più semplici peptidi antimicrobici ad ampio spettro prodotti dagli anfibi (Doyle et al., 2002). Anche il Magainins, dal quale deriva il Pexiganan in seguito ad una serie di sostituzioni e delezioni di aminoacidi, è stato isolato dalla pelle della rana Afgana Xenopus laevis (Jacob et al., 1994). Da studi preliminari, questa nuova molecola di sintesi presentava una maggior efficacia sia verso i batteri Gram-positivi che verso i batteri Gram-negativi (Jacob et al., 1994). Tra i peptidi ad azione antimicrobica vanno ricordate le Catelicidine, di cui un esempio è LL-37; la struttura di queste molecole include una regione N-terminale altamente conservata chiamata dominio cathelin-like e un peptide C-terminale, con proprietà antimicrobiche, la cui sequenza è altamente variabile sia intra- che inter-specie (Zanetti et al., 1995). Le catelicidine sono considerate una famiglia di proteine inibitrici di proteasi e dotate di attività antimicrobica (Zaiou et al., 2003).

I lipopeptidi come Pal-KK-NH2, Pal-KGK-NH2, Pal-KKKK-NH2, sono corti monomeri quando sono in soluzione, mentre quelli più lunghi formano degli oligomeri (Avrahami et al., 2004; Malina et al., 2005). Il meccanismo d’azione più probabile di questi peptidi è la dissipazione del potenziale elettrico di membrana, anche se altri ricercatori ipotizzano che la loro azione possa essere svolta interferendo con la sintesi della parete cellulare (Kamysz 2006). Altri peptidi ad azione antimicrobica sono l’Omiganan, analogo dell’indolicidina che è stato purificato originariamente dai granuli citoplasmatici di neutrofili bovini (Isaacson, 2003). Questa molecola agisce sia con le membrane dei Gram-positivi che con quelle dei Gram-negativi (Friedrich et al., 2000). Inoltre, i ricercatori, al fine di migliorare le proprietà antimicrobiche e di ridurre eventuali effetti indesiderati di alcuni AMPs, hanno sintetizzato anche peptidi ibridi; un esempio è il CA(1–7)M(2–9)NH2, contenente porzioni della sequenza aminoacidica di

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e costituito da 26 aminoacidi, ed è il componente principale del veleno delle api; è attiva verso un ampio spettro di agenti infettivi che purtroppo ad alte concentrazioni è litico per i globuli rossi. Il Cecropins è stato isolato dall’emolinfa di Hyalophora cecropia e, successivamente, dal piccolo intestino del maiale; come gli altri peptidi possiede un’attività antimicrobiaca ad ampio spettro, ma mentre il peptide prodotto dall’insetto ha attività sia contro i batteri Gram-positivi che contro i Gram-negativi l’omologo derivato dal maiale agisce bene contro i batteri Gram-negativi. L’ibrido tra i due peptidi mostra un’attività microbica elevata senza però mostrare l’attività emolitica nei confronti degli eritrociti (Merrifield et al., 1992; Oh et al., 2000; Saugar et al., 2002).

Classificazione

Una precisa classificazione degli AMPs è difficile a causa della loro considerevole variabilità, anche se molti peptidi antimicrobici possiedono alcune caratteristiche comuni, come piccole dimensioni, la presenza di cariche positive (generalmente da +2 a +9) ed una struttura anfipatica (Hancock et al., 1998; Zasloff, 2002).

I peptidi antimicrobici possono essere classificati in base alla composizione e alla struttura secondaria in tre gruppi principali (Boman, 2003):

1. Peptidi contenenti cisteine, che formano principalmente ponti disolfuro e vengono distinti in due sottoclassi:

a. peptidi contenenti più ponti disolfuro che adottano una struttura a foglietto β-antiparallelo (defensine, tachiplesine);

b. peptidi con struttura a loop contenenti un solo ponte disolfuro (bactenecine, brevinine, esculentine);

2. Peptidi con un’alta percentuale di specifici aminoacidi (PR-39, i peptidi bovini ricchi in prolina e arginina Bac5 e Bac7);

3. Peptidi lineari che assumono una struttura ad α-elica in ambiente idrofobico e che adottano una struttura random in soluzione; questo è il gruppo più numeroso e più studiato, al quale appartengono la maggior parte dei peptidi antimicrobici maggiormente studiati come cecropine, melittina, magainine, dermaseptine, temporine.

Meccanismo d’azione degli AMPs

Non si conosce ancora con esattezza il meccanismo d’azione degli AMPs, ma è comunemente accettato che i peptidi antimicrobici cationici interagiscano mediante forze elettrostatiche con la regione carica negativamente dei fosfolipidi delle membrane batteriche causandone la rottura (Jenssen et al., 2006).

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Grazie alle differenze di membrana presenti tra cellule eucariote superiori e cellule di procarioti e funghi gli AMPs mostrando un’affinità maggiore per le membrane batteriche rispetto a quelle dell’ospite. Le membrane microbiche sono ricche infatti di fosfolipidi anionici, quali fosfatidilserina e fosfatidilglicerolo, e mostrano un potenziale di membrana più negativo all’interno che facilita l’interazione del peptide con lo strato lipidico. Inoltre le cellule eucariotiche presentano sulla membrana molecole di colesterolo che sono invece assenti nelle membrane batteriche.

L’azione antimicrobica viene espletata attraverso la rottura della membrana cellulare secondo diversi meccanismi di permeabilizzazione (Reddy, 2004).

Si può avere la formazione di canali ionici selettivi (Kagan, 1990); questa loro abilità è strettamente correlata alle componenti peptidiche idrofobiche e idrofiliche. Un altro meccanismo d’azione ipotizzato è quello “barrel-stave” che descrive la formazione di canali trans membrana; infatti gli AMPs hanno la capacità di formare veri e propri canali nella membrana dovuti all’aggregazione dei monomeri di peptidi nel doppio strato fosfolipidico. Nell’interazione con la membrana cellulare il monomero di peptide assume una conformazione ad α-elica e si inserisce nel core idrofobico della membrana. Il progressivo reclutamento di addizionali monomeri aumenta le dimensioni del poro con conseguente abbassamento del gradiente protonico, la fuoriuscita di metaboliti e di materiale citoplasmatico e, quindi, la morte cellulare. L’ultimo meccanismo d’azione ipotizzato è quello definito “carpet like” nel quale i peptidi si legano elettrostaticamente alle teste anioniche dei fosfolipidi batterici ricoprendo la superficie della membrana come un “tappeto”. L’allineamento dei monomeri di peptide sulla superficie della membrana è tale per cui la superficie idrofilica determina il riorientamento dei residui idrofilici della membrana. La membrana si disintegra per lo sconvolgimento della curvatura del bilayer che si viene a creare agendo in maniera simile all’azione dei detergenti e determinando a volte la formazione di micelle (Shai et al., 1999; Ladokhin e White, 2001). È stato proposto anche un meccanismo toroidal-pore, nel quale i peptidi si aggregano e si inseriscono perpendicolarmente alla membrana inducendo un ripiegamento continuo dello strato lipidico con formazione di un poro la cui parte interna è formata dalle regioni idrofiliche dei peptidi associate ai gruppi polari fosfolipidici. I lipidi in queste aperture si piegano rispetto alla normale struttura lamellare e connettono i due strati della membrana (Cudic et al., 2002; Yamaguchi et al., 2002; Hallock et al., 2003).

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Il progressivo e preoccupante fenomeno delle resistenze agli antibiotici rappresenta un serio problema per la salute collettiva rendendo sempre più urgente il bisogno di far fronte a tale emergenza. La soluzione più plausibile, oltre ad un utilizzo più prudente e razionale delle molecole attualmente in uso, sembra quella di individuare nuove molecole con attività antimicrobica da poter utilizzare un giorno in pratica clinica. Dall’attuale stato dell’arte sui peptidi ad azione antimicrobica si evince che queste molecole ad oggi sono tra le più promettenti. Inoltre negli ultimi dieci anni è cresciuto l’interesse sul possibile impiego di AMPs come possibili agenti anti-biofilm (Batoni et al., 2016). Questo interesse è stato probabilmente giustificato dal fatto che i peptidi ad azione antimicrobica possono interferire con i primi stadi della formazione del biofilm, impedendo l’adesione delle cellule alle superfici (Pimentel-Filho 2014, Segev-Zarko 2015), mentre altri peptidi possono agire uccidendo le cellule batteriche nel biofilm e causandone il distacco (Chen et al. 2011, de la Fuente-Núñez 2014). Altre molecole peptidiche possono interferire con il Quorum Sensing o altri segnali regolatori anche interferendo con la sintesi/accumulo della matrice esopolisaccaridica (Brancatisano et al., 2014, Segev-Zarko 2015).

Alla luce di quanto detto lo scopo di questa tesi è quello di valutare l’efficacia antimicrobica di alcuni AMPs su isolati clinici di S. aureus meticillino-resistenti (MRSA). Il progetto è stato suddiviso in tre fasi per valutare i) l’attività antimicrobica degli AMPs mediate determinazione delle MIC/MBC e killing studies; ii) le loro capacità anti-biofilm e iii) delinearne l’eventuale efficacia nella rimozione di biofilm preformati sia su polistirene che su medical devices da soli e/o in combinazione.

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Isolamento identificazione e valutazione del profilo di antibiotico-resistenza dei ceppi di S. aureus Per lo studio sono stati selezionati 6 ceppi di S. aureus MRSA, isolati da ferite, tamponi auricolari e lesioni cutanee presso il laboratorio di Microbiologia degli Ospedali Riuniti di Ancona, e un ceppo di riferimento S. aureus ATCC43300 (Tabella 2). I ceppi sono stati identificati con la spettrometria di massa MALDI TOF Vitek MS e stoccati a -20°C in Tryptic Soy Broth (TSB) supplementato al 20% di glicerolo fino al loro utilizzo. Il profilo di resistenza è stato determinato utilizzando il metodo delle microdiluizioni in brodo in accordo con Clinical Laboratory Standards Institute (CLSI).

Ceppi Origine

S. aureus 357426 Lesione cutanea S. aureus 355872 T. auricolare S. aureus 348839 Ferita profonda S. aureus 354432 Ferita chirurgica S. aureus 350355 Ferita chirurgica S. aureus 360212 Ferita

S. aureus ATCC 43300 Ceppo di riferimento Tab.: 2 Elenco ceppi selezionati e loro origine

Produzione di “slime” e selezione dei ceppi

La produzione di “slime”, caratteristica dei microrganismi che più facilmente sviluppano biofilm, è stata valutata mediante il test del Congo Red. Dalle colture overnight un’ansata dei ceppi di S. aureus, è stata seminata su Brain Heart Infusion Agar (BHIA) supplementato con 0,08% (w/v) di Congo Rosso e con 5% (w/v) di saccarosio. Le piastre erano incubate a 37°C per 24h. I ceppi erano classificati in produttori o non produttori di “slime” in base alla pigmentazione delle colonie, nera per i positivi e rossa per i negativi (Cotter et al., 2009).

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La sintesi di Citropin 1.1, Temporin A, Pal-KK-NH2, Pal-KGK-NH2, Pal-KKKK-NH2, Omiganan, Pexiganan,CA(1–7)M(2–9)NH2 è stata effettuata nei laboratori della Facoltà di Farmacia, Università Medica di Gdansk, Polonia; usando la tecnologia su fase solida FMOC (Giacometti et al., 2003;

Dawgul et al., 2014); mentre la Catelicidina LL-37 è stata acquistata da Sigma-Aldrich. In Tabella 3 sono riportate le sequenze aminoacidiche dei vari AMPs.

AMPs Sequenza amminoacidica

Citropin 1.1 GLFDVIKKVASVIGGL-NH2 Gly-Leu-Phe-Asp-Val-Ile-Lys-Lys-Val-Ala-Ser-Val-Ile-Gly-Gly-Leu-NH2 LL-37 LLGDFFRKSKEKIGKEFKRIVQRIKDFLRNLVPRTES Leu-Leu-Gly-Asp-Phe-Phe-Arg-Lys-Ser-Lys-Glu-Lys-Ile-Gly-Lys-Glu-Phe- Lys-Arg-Ile-Val-Gln-Arg-Ile-Lys-Asp-Phe-Leu-Arg-Asn-Leu-Val-Pro-Arg-Thr-Glu-Ser Omiganan ILRWPWWPWRRK-NH2 Ile-Leu-Arg-Trp-Pro-Trp-Pro-Trp-Arg-Lys-NH2 Temporin A FLPLIGRVLSGIL-NH2 Phe-Leu-Pro-Leu-Ile-Gly-Arg-Val-Leu-Ser-Gly-Ile-Leu-NH2 Pexiganan GIGKFLKKAKKFGKAFVKILKK-NH2 Gly-Ile-Gly-Lys-Phe-Leu-Lys-Lys-Ala-Lys-Lys-Phe-Gly-Lys-Ala-Phe-Val-Lys-Ile-Leu-Lys-Lys-NH2 CA(1–7)M(2–

9)NH2 Cecropin A-melittin hybrid peptide [CA(1-7)M(2-9)NH2] H-Lys-Trp-Lys-Leu-Phe-Lys-Lys-Ile-Gly-Ala-Val-Leu-Lys-Val-Leu-NH2

Pal-KK-NH2 Palmitoyl-Lys-Lys-NH2

Pal-KGK-NH2 Palmitoyl-Lys-Gly-Lys-NH2

Pal-KKKK-NH2 Palmitoyl-Lys-Lys-Lys-Lys-NH2

Tab.: 3 Sequenze amminoacidiche dei peptidi antimicrobici

Determinazione delle MIC/MBC degli AMPs

La Minima Concentrazione Inibente (MIC), definita come la più bassa concentrazione di sostanza necessaria per inibire la crescita batterica, è stata determinata impiegando la tecnica delle microdiluizioni in brodo, seguendo le linee guida del National Committee for Clinical Laboratory Standards. A tale scopo, per i peptidi sono state allestite diluizioni scalari da 128µg/ml a 0.125 µg/ml. Le sospensioni batteriche dei ceppi allo studio sono state ottenute mediante incubazione in Mueller Hinton Broth (MHB). L’inoculo è stato letto allo spettrofotometro e portato ad un valore di densità ottica (OD) a 610nm corrispondente a circa 106 cellule/ml. 50 µl di sospensione batterica sono stati incubati in piastre da 96 pozzetti con un eguale volume di antimicrobico per ciascuna concentrazione. Le piastre sono state, quindi, incubate a 37°C per 24h. Per ogni ceppo batterico, inoltre, sono stati allestiti un controllo positivo (100 µl di sospensione batterica) e un controllo negativo (100 µl di MHB). Al termine del periodo d’incubazione le piastre sono state osservate per la determinazione del valore della MIC corrispondente al pozzetto con la più bassa concentrazione di antimicrobico in cui non è più visibile la

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crescita batterica. Per la determinazione della Minima Concentrazione Battericida (MBC), definita come la minima concentrazione alla quale l’antimicrobico provoca morte del microorganismo, sono state eseguite subculture in Tryptic Soy Agar (TSA) a partire dalle diluizioni in cui non è stata più apprezzata una crescita; le piastre di agar sono state quindi incubate a 37°Cper 24h. La mancata crescita nelle subcolture è stata considerata indice di attività battericida. Tutti i dati ottenuti sono stati espressi come media di tre esperimenti indipendenti; tutti i test sono stati eseguiti in duplicato.

Determinazione degli indici FICI

Per individuare eventuali sinergismi tra i diversi peptidi antimicrobici è stato valutato l’indice della Concentrazione Frazionaria Inibitoria (FICI) seguendo la seguente equazione:

FICI= FIC A+ FIC B= A/MIC A + B/MIC B dove A e B sono le MICs dei peptide A e B in combinazione, mentre MIC A e MIC B sono le MICs dei peptidi A e B da soli. FIC A e FIC B sono le FICs del peptide A e del peptide B.

Gli indici FICI sono stati interpretati come sinergico se <=0.5, additivo se compreso tra 0.5 e < 1, indifferente se compreso tra = 1 e < 4 e antagonista se >= 4(Wu et al., 2017).

Valutazione dell’attività antimicrobica di selezionati AMPs mediante killing studies

Per valutare l’azione antimicrobica di Pal-KGK-NH2, Temporin A, Citropin 1.1 e CA(1–7)M(2–9)NH2 i ceppi di S. aureus allo studio sono stati sottoposti a killing studies.

A questo scopo gli stafilococchi sono stati fatti crescere overnight in MHB a 37°C. Terminata l’incubazione, 500 µl di sospensione batterica, contenente approssimativamente 107 CFU/ml, sono stati incubati a 37°C in presenza o meno di 500 µl di ciascun AMP. Al tempo 0, e dopo 2, 4 e 6 ore di incubazione, un’aliquota di ciascun campione è stata prelevata, diluita serialmente in fisiologica e, per ciascuna diluizione ottenuta, sono stati seminati 10 μl in triplicato su piastre di TSA. Le piastre sono state incubate per 24 h a 37°C e successivamente sottoposte alla conta delle CFU/ml.

Preparazione dei segmenti di cateteri venosi

I dispositivi medici scelti per analizzare l’attività antimicrobica degli AMPs sono stati cateteri venosi in poliuretano Alfamed (Porto San Giorgio, FM), lume 5Frx 55 cm (1Fr=0.33mm).

I cateteri sono stati tagliati in segmenti da 0.2 cm e sterilizzati in etanolo al 70% per 1.30h sotto cappa a flusso laminare. Sono state eseguite prove della avvenuta sterilità incubando alcuni segmenti in Tryptic Soy Broth (TSB) a 37° per 24h.

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L’efficacia di Pal-KGK-NH2, Temporin A, Citropin 1.1 e CA(1–7)M(2–9)NH2, nell’inibire la formazione dei biofilm, su polistirene e sui cateteri venosi, è stata valutata sia attraverso la determinazione della conta vitale che con la valutazione della produzione della biomassa. A tale scopo brodocolture di S. aureus, ottenute in TSB dopo incubazione per 24 h a 37°C, sono state aliquotate in piastre a 24 pozzetti per la formazione dei biofilm su polistirene. Per questo, ogni pozzetto è stato infettato con ciascuna sospensione batterica ad una densità di circa 106 cell/ml, ottenuta tramite lettura spettrofotometrica

(OD610nm); in ciascun pozzetto è stato aggiunto un peptide antimicrobico alla concentrazione di due volte

la MIC (2 MIC). Le piastre sono quindi state incubate a 37°C per 24h. Al termine dell’incubazione il biofilm è stato distaccato meccanicamente dal pozzetto e la sospensione così ottenuta è stata impiegata per la determinazione delle CFU/ml. Per la valutazione della produzione di biomassa, al termine dell’incubazione i batteri in sospensione sono stati aspirati, facendo attenzione a non danneggiare il biofilm formatosi sul fondo del pozzetto, ed è stato effettuato un lavaggio con 2 ml di PBS. Dopo aver allontanato la soluzione tampone, sono stati aggiunti 2 ml di Crystal Violetto (CV) 0.1%, per 15 min, trascorsi i quali i pozzetti sono stati lavati nuovamente con PBS e lasciati asciugare all’aria. Quindi, sono stati aggiunti 2 ml di etanolo 95% per 15 min, per la risolubilizzazione del colorante, ed infine 200µl di ciascun campione sono stati trasferiti pozzetti (almeno 8) di piastre a 96 pozzetti per la lettura in Microplate reader a 570 nm.

Al fine di valutare l’azione anti-biofilm dei peptidi antimicrobici allo studio i segmenti di cateteri, precedentemente sterilizzati, sono stati posizionati in piastre a 96 pozzetti sterili e ricoperti completamente con le sospensioni di ciascun ceppo allo studio (circa 106 cell/ml), ottenute dopo incubazione overnight a 37°C in TSB, e soluzioni dei peptidi antimicrobici alla concentrazione di 2 MIC. Le piastre così allestite sono state messe ad incubare a 37°C per 24h. Al termine dell’incubazione è stata valutata la conta delle cellule vitali e della biomassa come precedentemente descritto.

Trattamento dei biofilm preformati su polistirene e cateteri venosi con selezionati AMPs Biofilm su polistirene

Brodocolture di S. aureus ottenute in TSB dopo incubazione per 24 h a 37°C, sono state aliquotate in piastre a 24 pozzetti per la formazione dei biofilm su polistirene.

Per questo, ogni pozzetto, è stato infettato con ciascuna sospensione batterica (densità circa 106 cell/ml); la piastra è stata incubata a 37°C per 24h per permettere lo sviluppo dei biofilm. Il biofilm è stato quindi lavato delicatamente in fisiologica e poi messo a contatto con diverse concentrazioni di AMPs (2 MIC e 4 MIC) per 4, 6 h. Il trattamento a lungo termine, per 24h è stato eseguito con le stesse modalità utilizzando gli AMPs alla concentrazione di 2MIC. Per la

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valutazione della biomassa, al termine dell’incubazione i batteri in sospensione sono stati aspirati, facendo attenzione a non danneggiare il biofilm formatosi sul fondo del pozzetto, ed è stato effettuato un lavaggio con 2 ml di PBS. Dopo aver allontanata la soluzione tampone, è stata eseguita la colorazione con Crystal Violetto (CV), come sopra riportato.

Biofilm su catetere venoso

I segmenti di cateteri, precedentemente sterilizzati, sono stati posizionati in piastre a 96 pozzetti sterili e sono stati ricoperti completamente con sospensioni di ciascun ceppo allo studio, ottenute dopo incubazione overnight a 37°C in TSB, con una densità di circa 106 cell/ml. Le piastre sono state incubate in aerobiosi a 37°C per 24h per permettere l’adesione dei patogeni sulle superfici dei cateteri. Trascorso il periodo di incubazione, per ogni campione è stata valutata la produzione della biomassa come descritto precedentemente.

Trattamento dei biofilm preformati su polistirene e cateteri venosi con combinazioni di AMPs

Per verificare l’efficacia dei peptidi su biofilm preformati sia su polistirene che su catetere venoso sono state testate combinazioni tra i vari peptidi antimicrobici. A questo scopo sono stati allestiti i biofilm come precedentemente descritto e trattati con combinazioni di Citropin 1.1 e Temporin A e Citropin 1.1 e CA(1–7)M(2–9)NH2 a diversi indici FICI.

Analisi statistica

L’analisi statistica è stata eseguita utilizzando il programma Prism 5.0 (GraphPad Software, Inc., La Jolla, USA). Le condizioni per poter eseguire tests parametrici (t-Student, ANOVA) sono state controllate prima di condurre l’analisi. Nel caso in cui non fossero rispettate, si è proceduto con test non parametrici (Mann Whitney, Kruskall-Wallis) con test di comparazione multipla di Dunn. Il livello di significatività è stato considerato sempre con α =0.05.

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Valutazione del profilo di antibiotico-resistenza dei ceppi di S. aureus

I ceppi di S. aureus isolati da campioni clinici sono stati testati per valutare la sensibilità contro i comuni antibiotici utilizzati in clinica. Tutti gli isolati erano positivi al Cefoxitina screening e presentavano sensibilità a Linezolid, Daptomicina, Teicoplanina, Vancomicina, Tetraciclina, Tigeciclina e Acido fusidico (Tabella 4) secondo i Breakpoint dell’EUCAST.

S. aureus 357426 S. aureus 355872 S. aureus 348839 S. aureus 354432 S. aureus 350355 S. aureus 360212 ATCC 43300 S. aureus

Penicillina G R >0,5 R 0,25 R >=0,5 R >=0,5 R >=0,5 R >=0,5 R >=0,5 Cefoxitina screening + + + + + + + Oxacillina MIC R >= 4 R R >= 4 R >= 4 R >= 4 R >= 4 R >=4 Gentamicina R >=16 S <=0,5 R >=16 R >=16 R >=16 R >=16 R >=16 Levofloxacina R >=8 S <=0,12 R >=8 R >=8 R >=8 R >=8 S <=0,12 Eritromicina S 0,5 S <=0,25 R >=8 R >=8 R >=8 R >=8 R >=8 Clindamicina S 0,25 S <=0,12 R >=4 R >=4 R >=4 R 0,25 R >=4 Linezolid S 2 S 2 S 1 S 2 S 2 S 2 S 2 Daptomicina S 0,25 S 0,25 S 0,5 S 0,5 S 0,5 S 0,5 S 0,25 Teicoplanina S <=0,5 S <=0,5 S <=0,5 S <=0,5 S <=0,5 S <=0,5 S 0,5 Vancomicina S 1 S 1 S 1 S 1 S 1 S <=0,5 S 1 Tetraciclina S <=1 S <=1 S <=1 S <=1 S <=1 S <=1 S <=1 Tigecyclina S <=0,12 S <=0,12 S <=0,12 S <=0,12 S <=0,12 S <=0,12 S <=0,12 Ac. Fusidico S <=0,5 S <=0,5 S <=0,5 S <=0,5 S <=0,5 S <=0,5 S <=0,5 Rifampicina S <=0,03 S <=0,03 R >=4 R >=4 R >=4 S <=0,03 S <=0,03 Trimetropim/sulfam. S <=10 S <=10 S <=10 S <=10 S 20 S 40 S <=10

inducibilità clindamicina Neg Neg Neg Neg Neg Pos Neg

Tab.: 4 Profilo di antibiotico resistenza degli isolati clinici e del ceppo di riferimento S. aureus ATCC43300

Produzione di “slime” e selezione dei ceppi

I ceppi sono stati screenati al fine di valutare la loro capacità nel produrre “slime”, caratteristica comune ai batteri in grado di sviluppare biofilm. Dei sette ceppi allo studio, solo quattro sono risultati produttori

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ceppi produttori di “slime” sono stati quindi scelti per valutare l’azione antimicrobica dei vari AMPs.

Tab.: 5. Elenco dei ceppi e loro capacità di produrre “slime”

Fig.:2 Esempio di piastra di Congo Red Agar con crescita negativa(A) e crescite positiva (B,C,D) per la produzione di “slime”

Ceppi Slime production S. aureus 357426 + S. aureus 355872 + S. aureus 348839 + S. aureus 354432 - S. aureus 350355 - S. aureus 360212 - S. aureus ATCC 43300 + A B D C

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34 Determinazione delle MIC/MBC degli AMPs

Tra gli AMPs saggiati i valori di MIC più bassi sono stati riscontrati per Pal-kk-NH2 (da 1-8µg/ml), mentre i più alti per LL-37 (>128µg/ml). Valori di MIC intermedi (8 e 4µg/ml) sono stati osservati per Temporin A e CA(1–7)M(2–9)NH2. Nel caso di Citropin 1.1 i valori di MIC erano leggermente più alti (16 e 32µg/ml) così come quelli di Oniganan e Pexiganan (Tabella 6). Per gli esperimenti successivi sono stati quindi scelti i peptidi che presentavano la migliore attività antimicrobica, con valori di MIC inferiori o uguali a 32µg/ml per ogni ceppo saggiato. Un confronto con dati in letteratura è possibile con quanto riportato da Dawgul et al. (2016) che, per Citropin 1.1, hanno ottenuto valori di MIC da 8 a 16µg/ml e per Temporin A valori da 4 a 16µg/ml; nel nostro caso, al contrario, sono stati registrati valori di MIC più alti per Citropin 1.1 da 16 a 32µg/ml e più bassi per di Temporin A da 4 a 8µg/ml. Per quanto riguarda LL-37, i nostri dati sono in accordo con quelli riportati da Mohamed et al. (2016) con valori di MIC > di 128µg/ml.

S. aureus 357426 S. aureus 355872 S. aureus 348839 S. aureus ATCC 43300

MIC MBC MIC MBC MIC MBC MIC MBC

Pal-KK-NH2 4 8 1 8 8 8 8 32 Pal-KKKK-NH2 8 32 4 8 64 64 32 32 Pal-KGK-NH2 8 8 >64 128 8 8 16 16 Pexiganan 8 8 64 64 8 16 128 128 Omiganan 64 64 16 64 16 64 16 64 LL-37 >128 >128 >128 >128 >128 >128 >128 >128 Citropin 1,1 32 32 32 32 16 16 32 32 CA(1–7)M(2–9)NH2 8 8 8 8 8 8 8 8 Temporin A 8 64 4 8 4 16 8 32

Tab.: 6 Attività antimicrobica (MIC) contro cellule planctoniche di S. aureus di diversi AMPs espressa in µg/ml.

Determinazione degli indici FICI

Allo scopo di valutare l’eventuale azione sinergica dei peptidi, sono stati determinati gli indici FICI (Tabella 7). Dall’analisi dei dati si può osservare che CA(1–7)M(2–9)NH2 è risultato sempre sinergico in combinazione con Temporin A e Pal-KK-NH2, mentre nelle combinazioni con Citopin 1.1 sono stati osservati anche indici FICI additivi (0,75 nei confronti di S.aureus 357426 e 0,63 nei confronti di S. aureus 355872). Nelle combinazioni con Pal-KK-NH2 e Temporin A o Citropin 1.1, sono stati ottenuti indici FICI per lo più indifferenti per tutti i ceppi, con un FICI antagonista nei confronti di S. aureus 355872.

Pertanto le combinazioni di AMPs da testare sui biofilm preformati sono state scelte sulla base dell’attività sinergica escludendo tutte le combinazioni che mostravano un’attività indifferente o antagonista.

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Temporin A Citropin 1,1 PAL-KGK-NH2 Temporin A Citropin 1,1 Temporin A

S. aureus 357426 FICI 0,25 FICI 0,75 FICI 0,50 FICI 1,13 FICI 0,38 FICI 0,38

1 +1 (μg/ml) 4+8 (μg/ml) 0.25+2(μg/ml) 1+4 (μg/ml) 4+1(μg/ml) 4+2 (μg/ml)

S AD S I S S

S. aureus 355872 FICI 0,38 FICI 0,63 FICI 2,50 FICI 4,00 4,06 FICI 0,31

1+1(μg/ml) 4+2 (μg/ml) 4+2(μg/ml) 0,03+4 (μg/ml) 2+8 (μg/ml) 1+2 (μg/ml)

S AD I AN AN S

S. aureus 348839 FICI 0,50 FICI 0,50 FICI 0,50 FICI 1,00 FICI 2,00 FICI 0,63

2+1 (μg/ml) 0,12+8 (μg/ml) 0.015+4(μg/ml) 2+4 (μg/ml) 0,03+16 (μg/ml) 2+2 (μg/ml)

S S S I I A

S. aureus ATCC 43300 FICI 0,26 FICI 0,50 FICI 0,50 FICI 0,50 FICI 1,13 FICI 0,56

0,06+2 (μg/ml) 4+2 (μg/ml) 0.015+4(μg/ml) 0,03+4 (μg/ml) 4+8 (μg/ml) 4+2 (μg/ml)

S S S S I A

Tab.: 7 Elenco degli indici FICI ottenuti dalle combinazioni degli AMPs. Per ogni ceppo è riportato in tabella l’indice FICI, la concentrazione del

peptide espressa in μg/ml e l’interpretazione (S=sinergico, AD=additivo, I=indifferente, AN=antagonista)

Valutazione dell’attività antimicrobica di selezionati AMPs mediante killing studies

Nei killing studies, in generale è sempre stata rilevata una diminuzione delle Unità Formanti Colonia (CFU/ml) dose dipendente rispetto al controllo, mostrando una maggiore sensibilità nei confronti di CA(1–7)M(2–9)NH2 e Citropin 1.1, con riduzione delle CFU/ml sempre statisticamente significativa (Figure 3, 4, 5,6).

Nel dettaglio, per S. aureus 357426 l’incubazione per 6h con Pal-KK-NH2 ai valori di MIC e 2MIC, ha provocato una riduzione della vitalità batterica con valori rispettivamente di 1.4x107 e 4.13x106 CFU/ml quando paragonati ai valori del controllo non trattato (3.47x108 CFU/ml) (p<0.01). Nel caso di Temporin A (MIC e 2MIC) è stata osservata una ulteriore riduzione della vitalità, con valori rispettivamente di 2.3x106 e 1.33x106 CFU/ml (p<0.01) (Figura 3A). L’incubazione per 6h con Citropin 1.1 ha ridotto la vitalità di S. aureus 357426 fino ad ottenere valori di 4.67x105 CFU/ml (MIC) e 1.33x105 CFU/ml (2MIC) rispetto alle 2.5x109 CFU/ml del controllo (p<0.01). L’effetto più evidente risulta comunque essere quello esibito da CA(1–7)M(2–9)NH2 alla 2 MIC con valori di 6.67x103 CFU/ml (p<0.001) (Figura 3B). Per S. aureus 355872 l’incubazione per 6h con Pal-KK-NH2 ai valori di MIC e 2MIC, ha provocato una riduzione della vitalità batterica con valori di 4.53X106 e 2.90x106 CFU/ml rispetto a quelli del controllo (3.73x108 CFU/ml) (p<0.01). Nel caso di Temporin A (MIC e 2MIC) è stata osservata una ulteriore riduzione della vitalità, con valori rispettivamente di 1.73x106 e 1.50x106 CFU/ml (p<0.01) (Figura 4A). L’incubazione per 6h con Citropin 1.1 ha ridotto la vitalità di S. aureus 355872 fino a valori di 2x107 CFU/ml (MIC) e 2.33x105 CFU/ml (2MIC) (p<0.01) rispetto al controllo (3.63x109 CFU/ml). L’effetto più

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evidente risulta comunque essere quello indotto da CA(1–7)M(2–9)NH2 alla 2 MIC con valori di 1.03x101 CFU/ml (Figura 4B) (p<0.001).

L’incubazione per 6h di S. aureus 348839 con Pal-KK-NH2 ai valori di MIC e 2MIC, ha provocato una riduzione della vitalità batterica con valori rispettivamente di 2X106 e 1.33x106 CFU/ml rispetto al controllo non trattato (3.10x108 CFU/ml) (p<0.01). Nel caso di Temporin A (MIC e 2MIC) è stata osservata una ulteriore riduzione della vitalità, con valori rispettivamente di 1.57x106 e 3.33x105 CFU/ml (p<0.01) (Figura 5A). L’incubazione per 6h con Citropin 1.1 ha ridotto la vitalità di S. aureus 348839 fino a valori di 4.33x105 CFU/ml (MIC) e 1.67x104 CFU/ml (2MIC) rispetto al controllo di 1.63x108 CFU/ml (p<0.01). L’effetto più evidente risulta comunque essere quello prodotto da CA(1–7)M(2–9)NH2 alla 2 MIC con valori di 1.00x101 CFU/ml (Figura 5B) (p<0.001).

Infine, per il ceppo di riferimento S. aureus ATCC43300 l’incubazione per 6h con Pal-KK-NH2, alle concentrazioni di MIC e 2 MIC, ha indotto le riduzioni di vitalità più evidenti con valori di 7.67x103 e 2.67x103 CFU/ml rispetto a quelli del controllo pari a 2.7x108 (p<0.001). Nel caso di Temporin A (MIC e 2MIC) è stata osservata una diminuzione della vitalità, con valori rispettivamente di 4.0x106 e 1.33x106 CFU/ml (p<0.05) (Figura 6A). L’incubazione per 6h con Citropin 1.1 ha ridotto la vitalità di S. aureus ATCC43300 fino a valori di 1.67x105 CFU/ml (MIC) e 6.67x104 CFU/ml (2MIC) rispetto quelli del controllo di 2.43x109 CFU/ml (p<0.01); mentre CA(1–7)M(2–9)NH2 ha diminuito i valori di CFU/ml che hanno raggiunto 3.67x105 CFU/ml alla concentrazione MIC e 1.67x104 CFU/ml a quella della 2MIC (p<0.01) (Figura 6B). Per quanto riguarda l’attività antimicrobica dei nostri AMPs, saggiata mediante Killing studies, un confronto con i dati in letteratura risulta difficile per la diversità dei tempi considerati e delle concentrazioni saggiate (Ge et al., 1999; Kamysz et al., 2007). Tuttavia, anche se nel presente studio non è stata raggiunta la completa inibizione della crescita degli stafilococchi MRSA nell’arco delle 6h, nella maggior parte dei casi è stata raggiunta una riduzione significativa delle conte vitali confermando l’efficacia di tali molecole nei confronti di questi microrganismi.

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Fig.: 3 Attività antimicrobica di Pal-KGK-NH2 e Temporin A (MIC e 2 MIC) (A) e Citropin 1.1 e CA(1-7)M(2-9)NH2 (B) nei confronti di S. aureus

357426 valutata tramite Killing studies. L’astetrisco rappresenta valori statisticamente significativi (*P < 0.05; **P < 0.01; ***P < 0.001) comparati ai relativi controlli (Test non parametrico Kruskall-Wallis).

Fig.: 4 Attività antimicrobica di Pal-KGK-NH2 e Temporin A (MIC e 2 MIC) (A) e Citropin 1.1 e CA(1-7)M(2-9)NH2 (B) nei confronti di S. aureus

355872 valutata tramite Killing studies. L’astetrisco rappresenta valori statisticamente significativi (*P < 0.05; **P < 0.01; ***P < 0.001) comparati ai relativi controlli (Test non parametrico Kruskall-Wallis).

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Fig.: 5 Attività antimicrobica di Pal-KGK-NH2 e Temporin A (MIC e 2 MIC) (A) e Citropin 1.1 e CA(1-7)M(2-9)NH2 (B) nei confronti di S. aureus

348839 valutata tramite Killing studies. L’astetrisco rappresenta valori statisticamente significativi (*P < 0.05; **P < 0.01; ***P < 0.001) comparati ai relativi controlli (Test non parametrico Kruskall-Wallis).

Fig.: 6 Attività antimicrobica di Pal-KGK-NH2 e Temporin A (MIC e 2 MIC) (A) e Citropin 1.1 e CA(1-7)M(2-9)NH2 (B) nei confronti di S. aureus

ATCC43300 valutata tramite Killing studies. L’astetrisco rappresenta valori statisticamente significativi (*P < 0.05; **P < 0.01; ***P < 0.001) comparati ai relativi controlli (Test non parametrico Kruskall-Wallis).

Efficacia di selezionati AMPs nell’inibire la formazione di biofilm su polistirene e cateteri venosi

L’efficacia dei selezionati AMPs, ai valori della relativa 2MIC, nell’ inibire la formazione di biofilm da parte dei ceppi allo studio su polistirene e cateteri è riportata in Figura 7A e B. In termini di riduzione logaritmica delle CFU/ml, l’attività degli AMPs ai valori della MIC è risultata del tutto trascurabile (dati non riportati), mentre quella alla 2MIC si è rivelata più significativa. Nel caso della formazione di biofilm su polistirene da parte di S. aureus 357426 le molecole più attive sono state Citropin1.1. e Temporin A

A B

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