• Non ci sono risultati.

EFFETTI DELLLA 3-IODOTIRONAMINA (T1AM) SULLE CASCATE DI SEGNALAZIONE COINVOLTE NELLA PLASTICITA' SINAPTICA E POSSIBILI EFFETTI NEUROPROTETTIVI

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "EFFETTI DELLLA 3-IODOTIRONAMINA (T1AM) SULLE CASCATE DI SEGNALAZIONE COINVOLTE NELLA PLASTICITA' SINAPTICA E POSSIBILI EFFETTI NEUROPROTETTIVI"

Copied!
74
0
0

Testo completo

(1)

1

DIPARTIMENTO DI BIOLOGIA

Corso di Laurea magistrale in Biologia Molecolare e Cellulare

TESI DI LAUREA

“Effetti della 3-iodotironamina (T

1

AM) sulle

cascate di segnalazione coinvolte nella plasticità

sinaptica e possibili effetti neuroprotettivi”

CANDIDATO RELATORE

Maria Pia Fogliaro

Prof.ssa Sandra Ghelardoni

(2)

2

RIASSUNTO

Gli ormoni tiroidei propriamente detti, prodotti a livello dei tireociti della tiroide sono presenti in due forme: la tetra-iodotironina o tiroxina (T4), che costituisce circa il 90% del totale degli ormoni prodotti e la tri-iodotironina (T3), derivata dalla T4 mediante deionizzazione e che costituisce circa il 10%. Nel 2004 (1), è stata dimostrata la presenza di composti endogeni derivati dagli ormoni tiroidei dette tironamine e tra queste, la 3-iodotironamina o T1AM presenta i maggiori effetti fisiologici. La T1AM risulta essere

coinvolta in molteplici pathways e la sua somministrazione esogena porta a variazioni della temperatura corporea, della secrezione di insulina, del quoziente respiratorio e ad effetti a livello cardiaco e neurale. In studi recenti è stato infatti osservato che la T1AM

potrebbe svolgere un possibile ruolo neuro-protettivo. Nel 2013, è stato riscontrato che la somministrazione intracerebroventricolare di T1AM nei topi aumenta la capacità di

apprendimento, diminuisce la soglia del dolore agli stimoli di calore, e aumenta la capacità esplorativa (2). Uno dei meccanismi maggiormente correlati all’apprendimento e all’acquisizione di memoria, definito come long-term-potentiation o LTP, è una forma di plasticità sinaptica che consiste in un aumento a lungo termine della trasmissione del segnale tra due neuroni, ottenuto stimolandoli ad alta frequenza in maniera sincrona. L’LTP è stato studiato soprattutto a livello dell’ippocampo e, da un punto di vista molecolare, la principale via di segnalazione coinvolge due recettori glutamminergici, AMPA e NMDA, diverse chinasi tra cui CaMKII e PKC, e fattori quali CREB e SIRT1 (3). Dati recenti suggeriscono che T1AM possa svolgere un ruolo neuroprotettivo antagonizzando

gli effetti neurotossici legati all’accumulo di proteine β-amiloidi, i cui aggregati sono caratteristici della patologia dell’Alzheimer. Si è visto nel ratto che l’iniezione in vivo di proteine β-amiloidi, inibisce il meccanismo dell’LTP mentre un effetto opposto è stato associato al resveratrolo o 3,5,4'-triidrossi-trans-stilbene, una delle fitoalessine prodotte naturalmente da molte piante. Un'altra ipotesi è che il resveratrolo possa avere un ruolo nella clearence di aggregati β-amiloidi. Alcune ricerche infatti, rilevano come questo composto a basse dosi possa agire mediante induzione del processo autofagico, principalmente tramite SIRT1 (4).

In questo progetto di tesi, si è quindi investigato il possibile ruolo neuroprotettivo di T1AM e il suo coinvolgimento nel meccanismo dell’LTP, sia singolarmente che in

concomitanza con il resveratrolo e con il peptide β amiloide , attraverso saggi di vitalità cellulare e analisi di espressione proteica mediante Western blot. Le linee cellulari utilizzate sono:

 NG108-15 : una linea cellulare ibrida nata da neuroblastoma murino e glioma di ratto

(3)

3

Indice

Indice ... 3 1 Introduzione ... 5 2 Tironamine ... 7 2.1 Tironamine in vivo ... 7 2.2 Biosintesi ... 8 2.3 Catabolismo ... 9 2.4 Recettori ... 11 2.5 Trasporto Intracellulare ... 12 2.6 Trasporto Ematico ... 13 3 Effetti di T1AM ... 14 3.1 Effetti cardiaci ... 14

3.2 Effetti sulla temperatura corporea ... 15

3.3 Effetti endocrini ... 15

3.4 Effetti metabolici ... 16

3.5 Effetti sul sistema nervoso ... 16

4 LTP Long Term Potentiation ... 18

4.1 Fase precoce di induzione ... 19

4.1.1 Recettori AMPA ... 20 4.1.2 Recettori NMDA ... 22 4.1.3 EFRINA-B2 ... 23 4.1.4 CaMKII ... 24 4.1.5 PKC ... 25 4.1.6 NO sintasi ... 25

4.2 Fase tardiva di mantenimento ... 25

4.2.1 PKA ... 26 4.2.2 ERK ... 26 4.2.3 CREB ... 27 4.2.4 SIRT1 ... 28 5 Morbo di Alzheimer e LTP ... 31 6 Resveratrolo, LTP e Alzheimer ... 33

(4)

4

7 SCOPO DELLA TESI ... 35

8 MATERIALI E METODI ... 36

8.1 Colture cellulari ... 36

8.2 Saggio di vitalità mediante MTT assay ... 36

8.3 Trattamenti ed estrazione proteica ... 37

8.4 Trattamento con fosfatasi lambda ... 38

8.5 Bradford ... 38 8.6 Western Blot ... 39 8.7 Immunorivelazione su membrana PVDF... 40 8.8 Differenziamento delle NG108-15 ... 41 8.9 Analisi statistica... 42 9 RISULTATI ... 43 9.1 MTT ... 43 9.2 Western Blot ... 49 9.2.1 NG 108-15 ... 49 9.2.2 U87MG ... 54

9.3 Saggio fosfatasi su lisati cellulari ... 57

9.4 Differenziamento NG108-15 ... 58

10 DISCUSSIONE ... 59

(5)

5

1 Introduzione

Le prime pubblicazioni incentrate sullo studio delle tironamine (TAMs) risalgono agli anni ’50. Nonostante fosse stato chiaramente dimostrato che la tiroxina (T4) fosse la

principale forma circolante dell'ormone tiroideo, vi erano evidenze che sembravano suggerire che questa dovesse essere convertita in altre forme molecolari prima di poter essere pienamente efficace nei tessuti periferici.

A sostegno di tale ipotesi era stato infatti osservato un periodo di latenza tra la somministrazione di tiroxina e una risposta rilevabile nel metabolismo basale. Inoltre composti antagonisti della tiroxina non inibivano l'attività biologica di alcuni suoi analoghi, ed infine si osservava nell’uomo una più rapida risposta alla triiodotironina, un composto in cui la tiroxina viene convertita nei tessuti non tiroidei.

Sono stati quindi sintetizzati nuovi analoghi della tiroxina, allo scopo di identificare quale fosse la forma attiva dell'ormone a livello cellulare e per mettere in evidenza i requisiti strutturali minimi alla base della sua attività. In particolare l’attenzione è stata rivolta agli analoghi triiodinati (I3) degli ormoni tiroidei, confrontandone l’attività biologica

rispetto ai di- (I2) o tetraiodinati (I4). Da questi studi preliminari fu messo in evidenza

che tra i composti testati, la triiodotironamina risultava essere quello con maggiore attività (5).

Nonostante l’iniziale attenzione verso questa classe di molecole, sono seguiti circa 20 anni in cui non si riscontrano in letteratura altre ricerche in merito, almeno fino al 2004. La tiroxina T4, forma predominante dell’ormone tiroideo, nei tessuti target viene

deiodinata a 3,5,3’-triiodotironina o T3 il quale, mediante il legame ad elevata affinità

con recettori nucleari TH, è in grado di modulare la trascrizione di specifici geni target. Tuttavia, è un processo che può richiedere ore o giorni. Sono state poi documentate vie di segnalazione molto più rapide legate agli ormoni tiroidei, ma che sarebbero chiaramente incompatibili con un modello di risposta genomico. Si tratterebbe quindi di vie attivate da specifici recettori di membrana piuttosto che nucleari (6).

Nel 2004, grazie al gruppo di ricerca del Prof. Scanlan (OHSU, Oregon), in collaborazione con il Prof.Zucchi (Università di Pisa) e collaboratori, fu fatta nuova luce su tali vie non genomiche associate agli ormoni tiroidei. Furono infatti sintetizzate, nove differenti tironamine che in vitro si dimostrarono essere potenziali ligandi di una classe di recettori di membrana accoppiati a proteine G, chiamati TAARs ( Trace Amine-Associated Receptors ). In particolare, mediante cromatografia liquida associata a spettrometria di massa in tandem (LC-MS/MS), fu dimostrato che tra le tironamine analizzate, la 3-iodotironamina o T1AM risultava presente come composto endogeno in campioni di

cervello, fegato e cuore di ratto. A concentrazioni nanomolari, la T1AM risultava essere

(6)

6 era in grado di indurre una profonda ipotermia e bradicardia nel ratto entro pochi minuti (1).

(7)

7

2 Tironamine

Le tironamine (TAM) sono una classe di composti endogeni con una struttura quasi identica a quella della tiroxina (T4) e dei derivati deiodinati della tironina (TH) tranne che

per l’assenza del gruppo carbossilico sulla catena laterale di un residuo di alanina.

2.1

Tironamine in vivo

Mediante cromatografia liquida associata a spettrometria di massa (LC-MS/MS) è stato possibile, finora, riscontrare la presenza in vivo soltanto delle due forme T0AM e 3-T1AM.

I primi dati risalgono al 2004, dagli studi di Scanlan e collaboratori in cui si dimostra la presenza di T1AM nel cervello di ratto in quantità dell’ordine delle sub-picomoli per

grammo. Sia T0AM che 3-T1AM sono state poi rilevate in campioni di sangue, umano e di

topo, e nel fegato, cuore, tiroide e tessuto cerebrale anche di altre specie come il suino o il criceto suggerendo che possano essere presenti sia in circolo che nei tessuti periferici (1).

A livello tissutale, nel ratto, si sono riscontrate concentrazioni comprese tra un minimo di 5.6 ± 1.5 pmol/g nei polmoni e un massimo di 92.9 ± 28.5 pmol/g nel fegato. Le misurazioni sono state eseguite nei seguenti tessuti: cuore, reni, fegato, cervello, muscolo scheletrico, stomaco e polmoni.

(8)

8 Nel siero sono state misurate concentrazioni di T1AM dell’ordine di 0,2-0,3 nM sia nel

ratto che nell’uomo, significativamente più basse rispetto ai tessuti (7). In un altro lavoro del 2011, utilizzando tecniche immunologiche e di chemiluminescenza, è stata confermata la presenza di T1AM in campioni di sangue umano ma a concentrazioni

nettamente superiori, di circa 66 nM (8).

È stato ipotizzato che tale discrepanza potrebbe essere legata al fatto che la tecnica utilizzata sia stata in grado di rilevare una frazione di T1AM che non viene invece estratta

mediante la tecnica cromatografica. Essendo noto che la T1AM in circolo si trova legata

alla proteina ApoB-100, un'altra possibile spiegazione potrebbe essere che la tecnica immunologica sia in grado di rilevarla anche in questa forma (9).

2.2

Biosintesi

Ad oggi la via biosintetica non è ancora del tutto nota. Il primo pathway possibile sarebbe rappresentato da una sintesi de novo, che richiederebbe la formazione di un legame etere tra i due anelli tirosinici in maniera analoga alla sintesi delle iodotironine. Tali reazioni sono state tuttavia descritte solo all’interno della ghiandola tiroidea e non è stata al momento documentata una diretta secrezione di tironamine dalla suddetta ghiandola.

Sulla base delle somiglianze strutturali esistenti tra TAM e TH è stato inoltre ipotizzato, come secondo pathway, che le TAM possano essere sintetizzate a partire dagli TH ( T3 o

T4) e da alcuni studi sembra che possano mediare effetti fisiologici opposti rispetto agli

ormoni tiroidei (10).

Se così fosse sarebbe richiesto un’iniziale passaggio di decarbossilazione. Recenti ricerche svolte nel topo a livello del tessuto intestinale, dimostrano che un possibile candidato potrebbe essere l’enzima ornitina decarbossilasi (ODC) (11). Il passaggio finale richiederebbe la rimozione di uno o più atomi di iodio ad opera di enzimi deiodinasi. Ne sono state identificate 3, denominate Dio1, Dio2, Dio3. Mentre Dio1 esibisce attività di deiodinazione sia su anelli fenolici che tirosilici, Dio2 e Dio3 agiscono rimuovendo lo iodio solo su specifiche posizioni.

Nel 2008, Piehl e collaboratori, hanno dimostrato che Dio1 in vitro, catalizza la deiodinazione di rT3AM, 3’,5’-T2AM, 3,3’-T2AM così come di T3AM e 3,5-T2AM. In

presenza di inibitori specifici di Dio1 infatti, tali reazioni non avvengono. Dio2 agisce sia su rT3AM che su 3’,5’-T2AM a livello dell’anello fenolico mentre Dio3 è in grado di agire

specificamente a livello dell’anello tirosilico di molte TAM. In Fig.3 è riportato un grafico riassuntivo delle possibili vie biosintetiche in particolare di T0AM e 3-T1AM (12).

(9)

9

Figura 3. Ipotetico pathway biosintetico di T

1

AM. Le frecce orizzontali indicano le

probabili reazioni di decarbossilazione mentre le frecce diagonali le reazioni di

deiodinazione catalizzate dagli enzimi Dio1,Dio2 e Dio3. 3’,5’-T

2

Am e 3’-T

1

AM

sono stati esclusi come possibili precursori di 3-T

1

AM (12).

2.3

Catabolismo

Sono state identificate differenti vie coinvolte nel catabolismo delle tironamine (13):

 deaminazione ossidativa ad acido 3-iodotiroacetico o TA1

 solfatazione a O-sulfonate-T1AM

 deiodinazione a T0AM (12)

 acetilazione a N-acetyl-T1AM e glucuronidazione

Per quanto riguarda la prima, si è ipotizzato che le tironamine possano essere substrato di monoammino ossidasi (MAO) o di un ammino ossidasi semicarbazide-sensibile (SSAO) ed essere convertite in aldeidi per poi essere ulteriormente ossidate ad acido carbossilico dall’aldeide deidrogenasi ALDH.

(10)

10 A livello cerebrale, l’acido iodotiroacetico o TA1, è stato individuato come prodotto endogeno per la prima volta nel 2014. Gli studi eseguiti su topi CD1, hanno dimostrato come TA1 sia presente in quantità pari all’ 1.6% del suo ipotetico precursore T1AM.

L’iniezione di TA1 esogeno in questi animali induce (entro 15 minuti) un effetto positivo sulla capacità di apprendimento, iperalgesia agli stimoli termici e un aumento dei livelli di glucosio plasmatico. Tali effetti, non si riscontrano se i topi vengono precedentemente trattati con antagonisti dei recettori H1 e H2 istaminici. Inoltre in topi HDC -/-, cioè mancanti dell’enzima istidina decarbossilasi, enzima chiave nella biosintesi di istamina, non si osserva invece né iperalgesia né aumento di glicemia indicando come gli effetti di TA1 siano dipendenti dal sistema istaminergico (14).

Per quanto riguarda la solfatazione, si è testata l’attività enzimatica di differenti sulfotransferasi (SULTs) espresse a livello epatico nell’uomo. Tra le tironamine testate, la maggiore attività enzimatica è stata riscontrata con T1AM, in particolare per le due

isoforme enzimatiche SULT1A3 e SULT1E1. In più, SULT1A3 sembra in grado di agire anche su T0AM e T3AM mentre SULT1A1 soltanto su T3AM. Si è ipotizzato che questa via, individuata a livello epatico, potrebbe costituire un meccanismo di regolazione dell’attività delle tironamine, modulando durata ed intensità dei loro effetti fisiologici (15).

Figura 5. Via di solfatazione di T

1

AM

In uno studio del 2012, mettendo a punto un nuovo metodo di LC-MS/MS, è stata inoltre riscontrata la presenza nel siero di topo di due ulteriori metaboliti di T1AM :

N-acetyl-T1AM e T1AM-glucuronide, prodotti rispettivamente mediante acetilazione o

glucuronidazione (16).

Figura 6. Possibili metaboliti di T

1

AM prodotti mediante acetilazione e

(11)

11

2.4

Recettori

Per quanto riguarda i recettori specifici per le iodotironamine, e le relative vie di trasduzione associate, rimane ancora molto da chiarire.

Data la similarità strutturale tra le iodotironamine e altre ammino biogene fu ipotizzato, fin dagli anni ’80, che fossero in grado di legare gli stessi recettori.

Le classiche ammine biogene, prodotte mediante decarbossilazione di acidi aromatici, agiscono come ormoni e neurotrasmettitori. Ne sono alcuni esempi la dopamina, la norepinefrina o la serotonina. Tra queste sono state poi identificate altre ammine biogene, anch’esse presenti nel sistema nervoso centrale, ma in concentrazioni molto più limitate e per questo identificate come “trace” amines o TAs. Nonostante ad oggi non sia ben chiaro il ruolo di tali molecole nei mammiferi, è noto che i loro livelli risultano alterati in varie patologie umane come la schizofrenia, la fenilchetonuria o il Parkinson (17) (18).

Mentre, inizialmente, era stato ipotizzato che le TAs legassero gli stessi recettori delle classiche ammine, fu poi scoperta l’esistenza di recettori accoppiati a proteine G o GPCR in grado di legare specificatamente le TAs, in particolare TA1 e TA2. Successivamente, in un'ampio studio genetico del 2005, si sono caratterizzati tutti I membri della famiglia di GPCR in diverse specie : uomo, scimpanzé, ratto e topo. Non essendo alcune di queste, in grado di legare tutte le TAs è stata proposta una nuova nomenclatura per questi recettori, detti ora Trace ammine-associated receptors o TAAR.

Ne sono stati identificati in totale 53, di cui: 9 nell’uomo (inclusi 3 pseudogeni), 9 nello scimpanzé (inclusi 6 pseudogeni), 19 nel ratto (inclusi 2 pseudogeni), e 16 nel topo (incluso 1 pseudogene) (19) . Risultano tutte accomunate dalla presenza dalla seguente sequenza amminoacidica unica

(

NSXXNPXX[YH]XXX[YF]XWF), identificata quindi come tratto distintivo di tali proteine.

Tra i vari membri di questa famiglia, TAAR1 risulta essere quello meglio caratterizzato, anche se, non si hanno ancora sufficienti informazioni sulla sua funzione e regolazione. È espresso specificatamente in aree serotoninergiche e dopaminergiche come l'ipotalamo o la regione paraippocampale. Tra i ligandi di TAAR1 sono state identificate anche le iodotironamine (17).

L’ipotesi circa la possibilità che le iodotironamine fossero in grado di legare TAAR1, fu testata su cellule HEK293 sia di ratto che di topo esprimenti TAAR1, trasfettate con 9 differenti tironamine, sintetizzate chimicamente. Molte di queste inducevano un aumento intracellulare di AMPc , e il risultato migliore si ebbe con T1AM, con una EC50

di 10 e 100 nM, rispettivamente nel ratto e nel topo. In più, T1AM in queste stesse

cellule non mostra alcuna affinità per i tradizionali recettori nucleari degli ormoni tiroidei, il che porta ad escludere questa ulteriore ipotesi (1).

(12)

12 Tuttavia, molti degli effetti osservati a seguito di trattamento con T1AM, come la

diminuzione della temperatura corporea e della funzionalità cardiaca, non possono essere correlati ad un aumento intracellulare di AMPc e questo potrebbe suggerire che probabilmente, in alcuni tessuti, TAAR1 non sia accoppiato ad una proteina G o che T1AM potrebbe legare anche altri sottotipi di recettori di membrana.

Nel ratto, ad esempio, si è osservato che gli effetti cardiaci promossi da T1AM possono

essere accentuati mediante l'utilizzo di un inibitore della tirosina chinasi, o diminuiti da un inibitore della tirosina fosfatasi. Questo, supporterebbe l'ipotesi che un punto cruciale di questa via di trasduzione, potrebbe essere rappresentato da un cambiamento nello stato di fosforilazione di residui di tirosine di proteine citosoliche o microsomiali (20).

2.5

Trasporto Intracellulare

Essendo noto che ammine biogene come dopamina o serotonina vengono traslocate attraverso la membrana plasmatica da differenti trasportatori, si è ipotizzato un meccanismo simile anche per le tironamine, in particolare per T1AM. Questo

permetterebbe di porre fine al legame di T1AM ai suoi recettori extracellulari, fungere da

sistema di riciclo o avere accesso a molecole intracellulari per svolgere funzioni non ancora note.

Gli ormoni tiroidei stessi utilizzano una varietà di trasportatori di membrana. Sono state quindi utilizzate varie linee cellulari di topo, di ratto e di uomo di differenti tessuti, e incubate sia con solo T1AM marcato con 125I, che insieme ad un eccesso di T1AM non

marcato. In tutti i casi, si è osservato un ridotto uptake di 125I-T1AM in presenza di

concentrazioni di T1AM non marcato di 50 µM, suggerendo l’esistenza in vitro di un

meccanismo di trasporto specifico. In generale si aveva una riduzione dose-dipendente a differenti concentrazioni di T1AM non marcato. Il fatto che si osservi in differenti tipi di

cellule è in accordo con la constatata presenza endogena di T1AM, nei vertebrati, in

diversi tessuti.

Per quanto riguarda altre tironamine, in tutti i casi si è osservato, sebbene a differenti livelli, un meccanismo di competizione in vitro con T1AM, ad eccezione di T4AM.

Alcuna competizione si è osservata invece, nel caso sia degli ormoni tiroidei che di altre ammine biogene, a dimostrazione della specificità di tale sistema di trasporto.

Ripetendo il saggio mediante l’utilizzo di differenti tamponi, contenenti o meno, sodio o cloro, i risultati suggeriscono che non sia coinvolto un meccanismo di co-trasporto di tali ioni. Il pH sembra invece rivestire un ruolo rilevante, in quanto all’aumento dei valori di pH si osserva un aumento dell’uptake, probabilmente dovuto ad un incremento del meccanismo di diffusione passiva.

(13)

13 Tuttavia, per avere maggiori chiarimenti circa la funzionalità e i meccanismi di regolazione di tale via, rimane ancora da chiarire l’identità di tali specifici trasportatori (21).

2.6

Trasporto Ematico

Circa il 99% del T4, presente nel sangue, risulta legato a proteine sieriche, mentre T3 lega

le stesse proteine ma con minor affinità. Considerata la potenziale origine biosintetica delle tironamine dagli ormoni tiroidei e la loro confermata presenza sia nei tessuti che nel circolo ematico, si è ipotizzato che anche queste possano trovarsi in circolo legate a proteine sieriche.

Mediante saggi di cromatografia di affinità è stato possibile isolare la sola forma di T1AM

legata a proteine sieriche sia nel topo che nell’uomo. La proteina in questione risultò essere ApoB-100, la principale componente proteica delle particelle lipoproteiche a bassa densità LDL, VLDL, IDL. In particolare più del 90% della T1AM è risultata legata ad

ApoB-100 in egual misura sia nelle LDL che nelle VLDL.

Il sito di legame risulta altamente selettivo per T1AM, con una KD di 17 nM, e né

iodotironine né altre iodotironamine sono in grado di competere per lo stesso sito di legame. Sebbene anche piccole percentuali degli ormoni tiroidei in circolo (3% di T4 e 6% di T3) si trovino legate a particelle LDL, VLDL, HDL, non risultano in grado di competere contro T1AM per il legame ad ApoB-100 dimostrando che si tratta di siti di

legame distinti.

Si è inoltre osservato che in presenza di LDL esogeno, in colture cellulari incubate con T1AM marcato, si ha un incremento dell’uptake intracellulare di T1AM, suggerendo che

l’associazione a tali particelle possa permettere un trasporto intracellulare mediante endocitosi dipendente da recettori per LDL.

La scoperta di questo legame, potrebbe fornire una spiegazione alla discrepanza osservata tra le misure dei livelli ematici di T1AM ottenuti mediante i due diversi

approcci: immologici e di LC/MS/MS. Infatti, quest’ultimo fornisce misure molto più basse rispetto alla prima metodica ( 66 nM la prima e 0,3 nM la seconda). Prevede infatti una preliminare fase di estrazione chimica che potrebbe non essere in grado di rompere il legame tra T1AM e le particelle lipoproteiche. Di conseguenza la

quantificazione si limiterebbe alla sola forma libera di T1AM, al contrario del saggio

immunologico che è invece diretto e quindi in grado di rilevare la presenza sia della forma legata che di quella libera (22).

(14)

14

3 Effetti di T

1

AM

Sono stati documentati numerosi effetti di T1AM su differenti tessuti:

- Effetti cardiaci

- Effetti sulla temperatura corporea - Effetti endocrini

- Effetti metabolici

- Effetti sul sistema nervoso

3.1

Effetti cardiaci

La somministrazione in vivo di T1AM (50mg/kg), in topi C57BL/6J adulti, porta ad una

immediata bradicardia, che persiste per 6-8 ore a seguito delle quali viene ripristinata la normale frequenza cardiaca. Per cui si tratta di un effetto reversibile, e in più la comparsa di tali effetti in soli 30 secondi è in accordo con un meccanismo d’azione non di natura trascrizionale, ma mediato da una via di trasduzione del segnale a valle di appositi recettori.

Sono stati inoltre eseguiti esperimenti ex vivo, mediante perfusione atriale su cuore lavorante, mantenuto a 37°C. In queste condizioni il cuore è stato perfuso con dosi crescenti di T1Am e T0AM e contemporaneamente ne sono stati monitorati i parametri

emodinamici. Dosi di T1AM comprese tra 20 e 38 μM portano ad una immediata

riduzione della gittata cardiaca con una diminuzione del 63% rispetto ai controlli in corrispondenza della massima dose di 38 μM. Alla stessa dose si osserva inoltre una rapida riduzione di frequenza cardiaca del 50%, che non si osserva a dosi di 19 μM o più basse (1).

Risultati analoghi sono stati osservati in un lavoro del 2007, in cui si è anche osservata una diminuzione della gittata cardiaca e del flusso coronarico, in accordo con la tesi che T1AM svolge sul cuore effetti inotropi e cronotropi negativi (riduzione della contrattilità

e della frequenza cardiaca), opposti a quelli prodotti dagli ormoni tiroidei (23).

Nonostante fosse noto che T1AM risulti in grado di legare il recettore TAAR1, non sono

stati in questo caso osservate variazioni del livello di AMPc, suggerendo l’ipotesi secondo cui è probabile che nel tessuto cardiaco T1AM leghi altri tipi di recettori TAAR o

che l’attivazione di TAAR1 sia legata alla produzione di differenti secondi messaggeri. Andando quindi ad investigare l’ipotetico pathway a monte degli effetti cardiaci osservati, si sono testati inibitori delle maggiori chinasi coinvolte in vie di trasduzione del segnale: la proteina chinasi A(PKA), la chinasi PKC, la chinasi calcio-calmodulina dipendente CamKII, la MAP chinasi-2 e la fosfatilinositolo chinasi 3. Nessuno di tali

(15)

15 inibitori era in grado di alterare la risposta a T1AM, che risultava invece

significativamente ridotta dal vanadato, inibitore della tirosina fosfatasi, e potenziata dalla genisteina, inibitore della tirosina chinasi. Questo, come già detto precedentemente, dimostrerebbe che un ruolo critico in questa cascata di segnale sarebbe rappresentato dalla defosforilazione di specifici residui di tirosina di proteine target delle frazioni microsomiali e citosoliche (23).

3.2

Effetti sulla temperatura corporea

In topi C57BL/6J adulti, a seguito di iniezione intraperitoneale sia di T1Am che di T0AM a

varie dosi, si è osservato un rapido calo della temperatura rettale dose-dipendente. A seguito dell’iniezione il topo diventa inattivo, l’epidermide risulta fredda al tatto ma i riflessi vengono mantenuti.

Entro 30 minuti dall’iniezione di T1AM, alla dose di 50 mg per kg di peso corporeo, si

osserva un calo della temperatura da 37°C a 31°C, fino ad arrivare a 29,5°C entro 90 minuti. Tale effetto non risulta permanente in quanto dopo 6-8 ore vengono ripristinati comportamento e temperatura iniziali.

Le dosi di T1AM e T0AM richieste per ottenere un effetto pari al 50% della stimolazione

massima sono rispettivamente 59 μmol/kg e 178 μmol/kg (1).

3.3

Effetti endocrini

Dal lavoro di Regard e collaboratori nel 2007, si è osservato che T1AM è in grado di

regolare, sia negativamente che positivamente, la secrezione di insulina mediante il legame a recettori α2A-adrenergici o Adra2a accoppiati a proteine G e a recettori TAAR1, rispettivamente.

La somministrazione di T1AM (50 mg/kg) in vivo nel topo, porta ad un incremento di

glucosio ematico che raggiunge, entro 2 ore, livelli di circa il 250% rispetto ai livelli basali, per poi tornare entro 8 ore ai livelli iniziali. I livelli di insulina ematici diminuiscono invece di circa il 40% rispetto al normale sebbene la sua somministrazione esogena riporta i livelli glicemici alla normalità, il che dimostra che i tessuti rimangono comunque in grado di rispondere allo stimolo.

Si è inoltre osservato che T1AM in vitro, è in grado di inibire la secrezione di insulina

indotta da glucosio, a livello delle isole pancreatiche e lo stesso effetto non si osserva pretrattando le colture con la tossina della pertosse derivata da Bordetella pertossi.

Essendo questa un noto inibitore del signaling di recettori accoppiati a proteine G si è quindi ipotizzato il coinvolgimento di quest’ultime. Tra i possibili candidati, il recettore adrenergico α2a o Adra2a è risultato essere altamente espresso nelle cellule β pancreatiche ed in grado di legare ad alta affinità T1AM. In più, il trattamento con il

composto yohimbina, antagonista di Adra2a, inibisce l’effetto iperglicemico. Stesso risultato si è osservato in topi knock-out per Adra2a.

(16)

16 Un aspetto interessante è che in cellule di insulinoma, che sovraesprimono il recettore TAAR1 rispetto ai livelli riscontrati in cellule β, l’effetto promosso da T1AM è

esattamente opposto, quindi si ha un incremento della secrezione di insulina. Non essendo l’effetto inibito dallo yohimbina, si pensa che sia dovuto al legame di T1AM a

TAAR1. In questa linea cellulare l’espressione di TAAR1 è infatti relativamente più elevata rispetto ai recettori Adra2a, il che ha permesso di ipotizzare che in questo modello l’effetto mediato da TAAR1 sia dominante. In cellule β in vivo invece, dove prevale l’espressione di Adra2a, è l’effetto di quest’ultimo a risultare dominante (24). Risale poi al 1984 la prima evidenza di un ulteriore effetto endocrino, associato alle tironamine. Si è infatti osservato che T3AM è in grado di inibire la secrezione di

prolattina in colture di cellule pituitarie (25).

3.4

Effetti metabolici

Uno studio del 2007 mostra come l’iniezione di T1AM in vivo , sia nel topo che nel criceto

Phodopus sungorus, sia in grado di indurre in entrambi uno stato ipometabolico e ipotermico. Si assiste infatti ad una diminuzione del quoziente respiratorio, il che implica un rapido cambiamento della fonte metabolica utilizzata, inizialmente costituita per lo più da carboidrati (RQ di 0.9) e successivamente da lipidi (RQ di 0.7).

A conferma di ciò si osserva : sviluppo di chetonuria dopo circa 8 ore dall’iniezione e una consistente perdita di massa grassa, dovuta alla mobilizzazione e all’utilizzo di lipidi in risposta a T1AM (26).

3.5

Effetti sul sistema nervoso

L’estensione delle lesioni cerebrali, associate ad un evento ischemico, dipendono molto dalla rapidità con cui viene restaurato un normale flusso sanguigno. Sperimentalmente si è dimostrato che un importante ruolo neuroprotettivo è svolto dall’induzione di uno stato ipotermico. Sembra infatti che l’ipotermia possa diminuire l’area interessata dal danno e migliorare la funzionalità neurale, andando a ridurre l’attività enzimatica e metabolica, l’infiammazione e produzione di specie reattive dell’ossigeno e infine influenzando l’espressione di geni presumibilmente coinvolti nella regolazione di vie apoptotiche o di sopravvivenza cellulare (27).

Riproducendo un evento ischemico nel topo, si è visto che sia T1AM sia T0AM (50

mg/kg), iniettati per via intraperitoneale un’ora dopo l’occlusione, sono in grado di svolgere un effetto neuroprotettivo legato proprio all’induzione di uno stato ipotermico, osservabile dopo solo 30 minuti dall’iniezione. Si osserva infatti, una riduzione dell’area

(17)

17 infartuata del 35% e 32%, rispettivamente per T1AM sia T0AM, non osservabile nel

controllo. Tale effetto scompare se la temperatura viene mantenuta costante.

Essendo poi noto che lo stimolo ipotermico può svolgere un ruolo anche preventivo contro il danno ischemico, si sono iniettati T1AM e T0AM (50 mg/kg) due giorni prima

dell’occlusione e soltanto T1AM si è dimostrata ancora in grado di portare ad una

riduzione significativa dell’area infartuata (34 %). I pathways molecolari coinvolti sono tuttavia ancora da chiarire (28).

È inoltre emerso che T1AM possa agire da neuromodulatore sulla trasmissione

monoaminergica, in particolare sui circuiti istaminergici, dopaminergici e noradrenergici. È infatti in grado di inibire il trasporto di dopamina e norepinefrina nella frazione sinaptosomale. Essendo questi trasportatori responsabili del riassorbimento di tali neutrasmettitori nel terminale presinaptico gli effetti a valle sono un accumulo extracellulare di monoamine e di conseguenza una ridotta trasmissione neurale (29). Sono stati poi individuati altri effetti neurologici correlati a T1AM (9):

- Effetti anoressici

- Effetti comportamentali quali un incremento dell’attività esplorativa - Riduzione della fase REM

- Diminuzione della soglia del dolore in risposta a stimoli termici - Effetti positivi sulla memoria e sull’apprendimento

Per quanto riguarda l’ultimo punto, si è osservato che, a seguito di iniezione intracerebroventricolare di T1AM (1,32 µg/kg) nel topo, si riscontrano migliorate

capacità di apprendimento e di memoria ed effetti iperalgesici agli stimoli termici. L’esposizione a basse dosi di T1AM (0,04-0,13 µg/kg), nel topo, porta invece ad un

aumento dei livelli di pERK, in regioni cerebrali come l’amigdala e l’ippocampo.

Essendo il signaling di ERK, in queste regioni, strettamente associato ai fenomeni di acquisizione e stabilizzazione di nuovi ricordi, questi risultati suggeriscono che T1AM

potrebbe essere un buon candidato per il trattamento di patologie neurodegenerative o disordini endocrini associati a deficit di memoria. Disfunzioni tiroidee sono spesso state associate nell’adulto a compromissioni della memoria e in più, condizioni di ipotiroidismo si sono riscontrate anche in pazienti affetti da AD (2).

(18)

18

4 LTP Long Term Potentiation

Nel 1973 Bliss e colleghi mediante esperimenti in vivo sul coniglio, hanno osservato che un’elevata stimolazione tetanica delle fibre presinaptiche, a livello del giro dentato dell’ippocampo, è in grado di indurre un elevata risposta delle cellule granulari in termini di potenziale eccitatorio postsinaptico (EPSP) nel lungo periodo, molti giorni o anche settimane. Tale effetto è stato quindi denominato Long-Term Potentiation o LTP (30). È stato inoltre documentato un meccanismo opposto denominato Long Term Depression o LTD anch’esso coinvolto nel fenomeno della plasticità sinaptica (31). Questo, a differenza dell’LTP, verrebbe attivato a seguito di stimolazioni prolungate a bassa frequenza. L’ipotesi è che agiscano entrambi sullo stesso pathway andando ad attivare a valle vie di trasduzione del segnale alternative (32).

L’LTP in particolare, è stato per molto tempo oggetto di studio ed è ad oggi considerato uno dei principali meccanismi coinvolti nei processi dell’apprendimento e della memoria, i quali si pensa siano proprio dipendenti da cambiamenti nella robustezza sinaptica dei circuiti neurali (33). In più, mutazioni che inibiscono la via dell’LTP influiscono negativamente sulla formazione di nuove tracce mnemoniche (34).

L’apprendimento è inteso come un meccanismo associato alla creazione di nuovi ricordi mentre la memoria è il risultato del mantenimento nel tempo delle informazioni acquisite. Si possono distinguere differenti tipi di memoria, a breve e a lungo termine, ed è da tempo noto che, mentre la prima dipende dalla regolazione di proteine già presenti nella cellula, la seconda richiede la sintesi di nuove proteine addizionali e infatti viene a mancare se la sintesi proteica viene inibita (35).

Nell’ippocampo si possono distinguere: il giro dentato e differenti regioni CA1-4 tra cui le principali sono CA1 e CA2, dove CA sta per Cornu Ammon in riferimento alla particolare forma dell’ippocampo. La regione CA1, in particolare, è stata studiata a lungo come sistema modello per comprendere i meccanismi molecolari alla base dell’LTP. I dendriti delle cellule piramidali di questa regione formano sinapsi con gli assoni delle cellule piramidali della regione CA3, che formano la via dei collaterali di Schaffer (36)(Fig.7).

È noto che, a seguito di una breve stimolazione presinaptica ad alta frequenza dei collaterali di Schaffer, si inneschi un EPSP mediato dal rilascio del glutammato dai neuroni presinaptici che va a legare i recettori AMPA e NMDA sulla membrana postsinaptica. Si attiva quindi una via di trasduzione del segnale, innescata dall’ingresso di calcio all’interno della cellula e in cui risultano coinvolte diverse proteine: PKC, CaMKII, CREB e SIRT1 (37).

(19)

19

Figura 7. Rete neurale ippocampale (38).

A dimostrazione di ciò microiniezioni, nelle cellule piramidali dell’area CA1, di : inibitori della PKC, antagonisti della calmodulina o inibitori della CaM chinasi inibiscono l’induzione dell’LTP a seguito di stimolazione tetanica (3).

Nell’intero processo dell’LTP si possono identificare: un’ iniziale fase precoce di induzione e una fase più tardiva di mantenimento (39).

4.1

Fase precoce di induzione

Il glutammato è il principale neurotrasmettitore eccitatorio del sistema nervoso centrale. Viene accumulato in vescicole a livello presinaptico per poter essere infine rilasciato per esocitosi. Diffonde poi nello spazio intersinaptico e si va a legare a differenti tipi di recettori.

Tra questi rivestono un ruolo rilevante nell’LTP i recettori AMPA e NMDA. Si tratta di recettori ionotropici per il glutammato che formano dei canali ionici dipendenti dal ligando. Il nome deriva dal nome dei due rispettivi agonisti : AMPA (α-amino-3-hydroxy-5-methyl-4-isoxazole propionic acid) NMDA (N-methyl-d-aspartate).

Come tutti i recettori ionotropici per il glutammato, si comportano come canali cationici non selettivi, permettendo quindi l’ingresso di ioni Na+, K+ e in alcuni casi di piccole

quantità di Ca2+. Di conseguenza producono sempre una corrente postsinaptica eccitatoria. Si formano dall’associazione di diverse subunità proteiche producendo un gran numero di isoforme (40).

(20)

20

Figura 8. Recettori ionotropici per il glutammato (41).

4.1.1 Recettori AMPA

Per quanto riguarda i recettori AMPA, si tratta di complessi tetramerici, formati da dimeri di dimeri e costituiti dalle quattro subunità GluR1-4. In particolare, nell’ippocampo adulto si trovano complessi GluR1-GluR2 o GluR3-GluR4 (42). È noto che, cambiamenti del numero o dell’attività di tali recettori, rappresentano un meccanismo chiave per l’LTP.

Esperimenti in vivo o in vitro, hanno chiaramente evidenziato come il trafficking di tali recettori sia strettamente correlato ai complessi processi della memoria e dell’apprendimento. In più, mutazioni a carico di tali proteine o di proteine che ne regolano la funzione, risultano implicate in diverse neuropatologie come la schizofrenia o l’Alzheimer (43).

(21)

21 Un importante ruolo di regolazione è svolto da GluR1. Sono noti quattro siti di fosforilazione a carico di questa subunità : serina 818 (S818), S831, S845 e treonina 840, di cui quest’ultimo sembra rivesti un ruolo importante nell’LTD (44).

La fosforilazione sul residuo S818, altamente conservato, avviene ad opera della chinasi PKC e promuove l’incorporazione di AMPA a livello delle sinapsi. Infatti risulta aumentare durante l’LTP (45).

Il residuo S831 viene invece fosforilato dalla CamKII, portando ad un aumento della conduttanza del canale (46), mentre la serina 845 risulta essere un bersaglio della chinasi PKA (47).

Vi sono due siti di legame disponibili su ogni recettore e l’apertura del canale avviene soltanto quando entrambi i siti legano il glutammato. L’affinità verso quest’ultimo risulta comunque più bassa rispetto ai recettori NMDA. Nel momento in cui il glutammato si lega, la proteina subisce un cambio conformazionale e il canale si apre permettendo l’ingresso di cationi monovalenti come Na+ o K+, ma non del Ca2+, il cui passaggio è permesso soltanto in assenza della subunità GluR2 (48). Questa infatti, a causa di un residuo di ariginina carico positivamente, rende il canale impermeabile al Ca2+, una caratteristica che distingue questi recettori dagli NMDA.

Si è osservato inoltre, che in presenza del glutammato ancora legato ai suoi siti di legame, i recettori AMPA si aprono e si chiudono molto rapidamente, in circa 4.2-7.9 ms (49).

È stata poi dimostrata, in cellule piramidali della regione CA1, la presenza di sinapsi elettrofisiologicamente “silenti” al potenziale di membrana di riposo. Le suddette cellule sembrano infatti esprimere i recettori NMDA ma non i recettori AMPA. Tali sinapsi tuttavia, sottoposte all’induzione dell’LTP, producono un EPSC mediato da AMPA. Questo potrebbe suggerire un inserimento dei recettori AMPA in membrana solo a seguito dell’induzione dell’LTP (50) (51).

Più recentemente si è visto che l’incremento di risposta a carico di tali recettori può essere dato da una combinazione di due differenti meccanismi: un incremento del loro numero sulla membrana postsinaptica e un incremento della conduttanza dei canali già presenti in membrana (52).

Nel 2006 inoltre, si è osservato che l’LTP è anche in grado di indurre una rapida inserzione in membrana di AMPA permeabili al calcio, detti GluR2-lacking calcium-permeable o (CP)-AMPARs. La loro presenza, appare però temporanea in quanto, dopo circa 25 minuti, vengono sostituiti da AMPA contenenti GluR2, quindi impermeabili al calcio. Si presume che questo meccanismo sia coinvolto nella fase di consolidamento dell’LTP (53).

(22)

22

4.1.2 Recettori NMDA

I primi dati circa il coinvolgimento dei recettori NMDA nel processo dell’LTP risalgono al 1986, quando Morris e i suoi collaboratori hanno dimostrato come la somministrazione di AP5 (aminophosphonovaleric acid), inibitore degli NMDA, era in grado sia di sopprimere l’LTP in vivo, sia di alterare negativamente la memoria spaziale (54).

Analoghi risultati furono ottenuti da Tsien e i suoi, nel 1996. Questi produssero topi con una delezione del gene NMDAR1, nella sole cellule piramidali CA1, e osservarono che tali topi mutanti, in età adulta, mostravano una chiara deficienza di memoria spaziale, mentre la memoria non spaziale rimaneva intatta (55).

È quindi ad oggi chiaro che i recettori NMDA svolgono ruoli critici sia per il corretto sviluppo del sistema nervoso centrale che per i processi correlati alla plasticità sinaptica. Possiedono infatti una combinazione di proprietà uniche.

Il glutammato, rilasciato dal terminale presinaptico, attiva i recettori AMPA molto velocemente ma in maniera transiente, portando ad una breve depolarizzazione che dura soltanto pochi millisecondi.

Anche i recettori NMDA mostrano un’elevata affinità per il glutammato ma si attivano molto più lentamente, e la loro lenta cinetica di attivazione è proprio una delle loro caratteristiche uniche.

Una loro seconda proprietà unica è che sono canali voltaggio dipendenti. Infatti, al potenziale di membrana a riposo, tali recettori portano legato uno ione Mg2+ che blocca il poro centrale del canale.

Per la loro attivazione quindi, non è solo richiesto il legame del glutammato ma anche la rimozione dello ione Mg2+, che richiede una depolarizzazione di membrana di sufficiente ampiezza e durata.

I due eventi devono coincidere e soltanto in queste condizioni il canale si apre permettendo l’ingresso di ioni Ca2+, i quali agiscono localmente andando ad attivare complessi di segnalazione associati al recettore (56).

Un’ulteriore meccanismo di regolazione è rappresentato da uno o più eventi di fosforilazione da parte di differenti chinasi tra cui PKA, PKC, CaMKII, o tirosine chinasi della famiglia SRC. Queste sembrano favorire sia la permeabilità di tali canali che il loro trafficking intracellulare (57) (58).

(23)

23

Figura 9. Induzione dell'LTP (59).

4.1.3 EFRINA-B2

Sebbene al sistema efrine-recettori delle efrine sia stato inizialmente associato un ruolo fondamentale nello sviluppo e nel differenziamento cellulare, recentemente si è visto essere implicato anche nella regolazione dell’eccitabilità neurale e della plasticità sinaptica (60).

Si tratta di un sistema ligando-recettore in cui il legame tra i due comporta l’attivazione di vie di trasduzione bidirezionali in entrambe le cellule che esprimono tali molecole sulla propria membrana. Per quanto riguarda i ligandi, sono stati identificati due sottogruppi di efrine, denominate efrine A e efrine B. Le prime sono proteine ancorate alla membrana mediante il legame con glicosilfosfatilinositolo (GPI), prive quindi di un dominio citoplasmatico, mentre le seconde sono proteine transmembrana.

I relativi recettori vengono invece classificati come EphA o EphB in base all’affinità per i rispettivi tipi di ligandi (61).

L’efrinaB2 in particolare, è espressa a livello postsinaptico nella regione CA1 ippocampale e l’assenza di tale molecola nel topo porta ad un inefficiente LTP. Neuroni ippocampali infatti, isolati da topi knock-out per l’EfrinaB2, mostrano un internalizzazione costitutiva dei recettori AMPA, che porta di conseguenza ad una riduzione della trasmissione sinaptica eccitatoria. Di conseguenza, il signaling promosso dal ligando EphB2 risulta critico per la stabilizzazione dei recettori AMPA in membrana. Da un punto di vista molecolare è stato osservato che proteine dette GRIPs (Glutamate

(24)

24 Receptor interacting proteins) potrebbero legare sia gli AMPA che i ligandi EfrinaB2, fungendo da ponte e permettendo un’interazione tra i due sistemi. La fosforilazione della serina 9 sulla coda citoplasmatica dell’ EfrinaB2 risulta cruciale per il legame alle proteine Grips (62).

Il recettore Eph B2 invece, appartiene alla famiglia di recettori con attività di tirosina chinasi. È stato osservato che, mentre topi mancanti del solo dominio citoplasmatico ad attività chinasica mostrano livelli di LTP paragonabili al wild type, topi mancanti dell’intera proteina mostrano una riduzione dell’LTP nella regione CA1. In quest’ultimi inoltre, si osserva una riduzione della corrente specificatamente mediata dai recettori NMDA, ma non dai recettori AMPA. Si ipotizza quindi che l’interazione dei recettori NMDA con il solo dominio extracellulare di EphB2 porti ad una modulazione del signaling di NMDA (63).

4.1.4 CaMKII

Risulta ormai chiaro che l’evento iniziale dell’intera via di trasduzione del segnale associata all’LTP, sia l’aumento di calcio intracellulare che va ad attivare la chinasi calcio-calmodulina dipendente CaMKII. Si tratta di una chinasi costituita da 12 subunità suddivisibili in due tipologie α e β, entrambe coinvolte nella catalisi.

Una volta attivata dalla calcio-calmodulina, sensore dei livelli di calcio intracellulari, l’enzima va incontro ad un autofosforilazione sui residui : T286 delle subunità α e T287 delle subunità β. Assume così uno stato detto “autonomo”. In questo stato infatti, rimane attivo anche dopo il restaurarsi di livelli basali di calcio.

Mutazioni nel topo, su tali residui chiave per l’autofosforilazione, inibiscono l’attivazione persistente della CaMKII e portano a deficit della memoria e dell’apprendimento. Questo indica che l’attivazione di questa chinasi è necessaria e sufficiente per innescare l’LTP.

Una volta attivata, diffonde nel citoplasma fino alla membrana dove interagisce con i recettori NMDA e la formazione di tali complessi ha un ruolo chiave per la fase di induzione dell’LTP, che viene infatti a mancare a seguito di una mutazione che inibisce tale legame.

Risulta inoltre che la CaMKII, fosforilando i recettori AMPA, possa aumentarne la conduttanza e portare ad un incremento del loro numero in membrana.

Infine ci sono evidenze sperimentali che indicano che la CaMKII possa svolgere un ruolo anche nella fase tardiva dell’LTP, che non coinvolgerebbe tuttavia la sua attività catalitica (37).

(25)

25

4.1.5 PKC

Si tratta di una famiglia di serina/treonina chinasi che nell’uomo consiste di 15 diversi isoenzimi suddivisi in tre sottofamiglie in base alle loro proprietà enzimatiche. Alla prima appartengono le isoforme α, βI, βII, e γ, attivate da fosfolipidi come la fosfatilserina in

maniera Ca2+ dipendente, e dal diacilglicerolo (DAG). Della seconda fanno parte le forme δ, ε, η, e θ che richiedono DAG ma non Ca2+ e infine ί e ζ formano la terza sottofamiglia. Vi è inoltre un quarto gruppo denominato PKC-related kinases o PRKs di cui fanno parte almeno altre tre forme ulteriori PRKs 1-3 (64).

La chinasi PKC riveste un ruolo chiave in molteplici pathways cellulari e tra questi risulta coinvolta nella modulazione strutturale della membrana cellulare, nella desensibilizzazione dei recettori di membrana, nella regolazione trascrizionale, nelle risposte immuni, nella regolazione della crescita cellulare e nei processi di memoria e apprendimento (65).

Infatti, è noto avere un ruolo essenziale nell’induzione dell’LTP nelle due aree CA1 e CA3. Inibitori di tale chinasi inibiscono l’LTP in entrambe le regioni ippocampali mentre l’utilizzo di suoi agonisti comporta un potenziamento sinaptico.

Le varie forme isoenzimatiche mostrano una diversa distribuzione tra le diverse aree dell’ippocampo, tuttavia da uno studio del 2005, nel topo, sembra che tale distribuzione possa cambiare nel corso dello sviluppo e dell’età (66).

Tra i molti substrati su cui la chinasi PKC agisce, vi sono i recettori AMPA. La PKC sembra infatti favorire l’inserzione in membrana di nuovi recettori AMPA (67).

4.1.6 NO sintasi

L’ossido nitrico ha un ruolo rilevante in differenti tipi di plasticità sinaptica compreso l’LTP, dove si pensa possa svolgere un ruolo di messaggero ad attività retrograda. Viene infatti sintetizzato a livello postsinaptico dall’NO sintasi, il quale viene attivato dalla Ca2+ -calmodulina a valle dell’attivazione dei recettori NMDA, che favoriscono l’ingresso di Ca2+. Viene poi rilasciato e va ad agire sul terminale presinaptico, dove incrementa il rilascio di vescicole contenenti glutammato (68).

4.2

Fase tardiva di mantenimento

A differenza della fase precoce, la fase tardiva dell’LTP (L-LTP) detta anche di mantenimento, dipende dalla trascrizione genica e dalla sintesi proteica come dimostra il fatto che l’utilizzo di inibitori dell’uno o dell’altro meccanismo cellulare impediscono l’instaurarsi di questa fase (69) (70).

(26)

26

4.2.1 PKA

Da diversi studi sperimentali si evince che l’LTP risulta inoltre dipendente da una cascata di segnalazione stimolata da un incremento intracellulare di cAMP, che porta all’attivazione della chinasi PKA, la quale a sua volta, attiva fattori di trascrizione come CREB. È stato infatti dimostrato che, a seguito dell’induzione dell’LTP, si ha un aumento della concentrazione di cAMP e dell’attivazione della PKA.

In particolare, essendo la fase tardiva dell’LTP bloccata da inibitori sia della PKA che della sintesi proteica, questo suggerisce che il principale effetto promosso dalla PKA sia proprio un aumento della sintesi proteica. Stessi risultati si sono osservati in topi transgenici esprimenti un inibitore di una delle subunità regolatorie della PKA, e in cui quindi l’attività di tale chinasi risulta fortemente ridotta. In questi animali si è osservato, nell’area CA1, una riduzione della sola fase tardiva dell’LTP ma non della fase precoce. Tali topi mostravano inoltre deficit di memoria a lungo termine e di memoria spaziale. Altri autori sostengono inoltre, che la stimolazione cAMP-dipendente dei recettori TrkB, per il fattore neurotrofico BDNF, possa portare ad un potenziamento sinaptico nell’area CA1 (71).

4.2.2 ERK

La prima evidenza di un coinvolgimento della chinasi ERK (extracellular signal-regulated kinase) e del signaling ad esso associato, nella plasticità sinaptica, risale al 1997. Sono state riscontrate evidenze circa tale associazione, sia in vitro che in vivo, mediante esperimenti di natura comportamentale nel topo.

Si tratta di una proteina appartenente alla superfamiglia delle MAPK (mitogen-activated protein kinase), una famiglia molto conservata di enzimi associati a recettori di membrana. Si possono identificare tre differenti tipi di tali chinasi: MAPK chinasi chinasi (MKKK), MAPK chinasi (MKK)e MAPK. Queste sono parte di uno stesso pathway in cui a cascata, mediante eventi di fosforilazione, si ha l’attivazione di tali chinasi in questo stesso ordine MAPKKK → MAPKK→ MAPK. L’attivazione di tale via è regolata da fattori di crescita, ormoni o segnali di stress cellulare.

In particolare le MAPK, le ultime ad essere attivate, vengono fosforilate in corrispondenza di una sequenza (Thr-X-Tyr) dove X è un qualsiasi amminoacido. In base a questa specifica sequenza target si possono quindi identificare differenti MAPK tra cui ERK, il cui sito di attivazione risulta essere: Thr-Glu-Tyr. Si possono poi distinguere due sottotipi distinti: ERK1 e ERK2 (72).

Uno step cruciale nella via di trasduzione del segnale ad esso associata è la sua traslocazione nel nucleo.

(27)

27 Tra i substrati noti di ERK vi sono: proteine citoscheletriche come MAP-2 o Tau, proteine nucleari come c-Myc, c-fos e c-jun, Elk-1, CREB, C/EBPβ (CREB/Elk binding protein), ATF-2, RSK (ribosomal S6 kinase) e la proteina del segnale fosfolipasi A2 (71).

Figura 10. Attivazione della via di ERK (71).

4.2.3 CREB

Tra gli effettori a valle di ERK vi è la cAMP responce element binding protein o CREB, la cui attivazione, si è dimostrata avvenire a seguito dell’attivazione di ERK.

Questa, non essendo in grado di fosforilare direttamente CREB, una volta attivata si associa alla chinasi RSK2 che insieme ad altre chinasi promuove il reclutamento della CREB binding protein o CBP.

CREB riveste un ruolo importante in numerosi processi fisiologici come il differenziamento, la sopravvivenza, il ciclo e la proliferazione cellulari (73).

Nel contesto dell’LTP, recenti studi hanno evidenziato come topi mutanti mancanti delle isoformi α e δ di CREB, esibivano un LTP attenuato. Inoltre si è osservato che inibitori di ERK, che bloccano l’LTP, inibiscono anche l’attivazione di CREB (71).

(28)

28 In particolare, l’induzione della fase tardiva dell’LTP correla con un aumento dell’espressione genica dipendente da CREB. L’aumento di espressione di una forma costitutivamente attiva di CREB, infatti, si è visto facilitare l’induzione dell’L-LTP probabilmente mediante un aumento di espressione a valle del fattore BDNF (brain derived neurotrophic factor).

È noto che CREB viene fosforilato su un residuo di Ser133 e, a seguito della fosforilazione, va incontro a dei cambiamenti conformazionali e si lega alla proteina CBP. Anche quest’ultima infatti, risulta avere un ruolo critico nell’L-LTP.

È stato poi ipotizzato il coinvolgimento di un ulteriore fattore coinvolto nella regolazione dell’attività trascrizionale di CREB. Da un analisi di natura strutturale di CREB, sono stati identificati due domini molto conservati, denominati kinase inducible domain (KID) e bZIP. Il primo contiene il residuo di Ser133 che viene fosforilato e legato da CBP, mentre il secondo viene riconosciuto e legato dalla famiglia di coattivatori TORCs.

Nei mammiferi, la famiglia TORCs comprende tre membri: TORC1,TORC2,TORC3. Questi sono in grado di legare il dominio bZIP indipendentemente dalla fosforilazione sulla Ser133, promuovendo la trascrizione genica dipendente da CREB (74).

Molti aspetti, tuttavia, devono ancora essere chiariti circa la regolazione della sua attività trascrizione.

Come ERK, CREB appare comunque come un punto di convergenza di più segnali attivati nella fase di induzione dell’LTP. Si pensa possa essere attivato infatti, anche a valle di PKC, di PKA e della CaMK II (71).

4.2.4 SIRT1

Le sirtuine rappresentano una famiglia di deacetilasi NAD+ dipendenti e regolano molti processi cellulari come l’invecchiamento, il metabolismo e la resistenza allo stress. Nei mammiferi sono stati identificati 7 diversi membri di questa famiglia (Sirt1—Sirt7), che differiscono tra loro per quanto riguarda la localizzazione subcellulare e l’attività enzimatica.

La SIRT1, in particolare, è per lo più localizzata a livello nucleare sebbene sia in grado di traslocare anche nel citosol. Molte ricerche confermano che possa svolgere un importante ruolo durante la neurogenesi ma anche a livello ipotalamico, nell’adulto. Le sirtuine sono state inoltre associate ai processi di apprendimento e di memoria che risultano infatti compromessi in topi knockout per la SIRT1. Una perdita di funzione della SIRT1 porta infatti ad up-regolazione del miR-134 che inibisce la traduzione sia di CREB che di BDNF. A conferma di ciò, uno studio mostra come una diminuzione dei livelli di

(29)

29 miR-134 e miR-124 promuove la sintesi di BDNF mediata da CREB, a seguito di trattamenti con il resveratrolo, un noto attivatore della SIRT1, portando ad un miglioramento della memoria e dell’apprendimento (75).

Una delle funzioni della SIRT1 è quindi quella di limitare l’espressione del miR-134, svolgendo un ruolo attivo nella plasticità sinaptica (76).

Come target del RSV, alla SIRT1 è anche associato un ruolo neuroprotettivo probabilmente correlato con l’attivazione del processo autofagico. Tuttavia è stato dimostrato che il RSV non attiva direttamente la SIRT1. Infatti, la tirosil tRNA transferasi o TyrRS è stata identificata come target diretto del RSV. Quest’ultimo vi si lega indirizzandola ad agire a livello nucleare su PARP1 (Poly (ADP-ribose) polymerase), e portando in ultimo all’attivazione di SIRT1.

La SIRT1 agisce anche come regolatore positivo del processo autofagico, modulando l’espressione di diverse proteine associate all’autofagia (77).

La fosforilazione di SIRT1 è stata identificata come uno dei principali meccanismi di regolazione di tale proteina. La sua attività deacetilasica risulta infatti compromessa a seguito di trattamento con una fosfatasi che ne induce la defosforilazione.

Sono stati finora identificati 13 residui di serina o treonina che possono essere fosforilati influenzando di conseguenza l’attività di SIRT1 (78).

(30)

30

(31)

31

5 Morbo di Alzheimer e LTP

Il morbo di Alzheimer (AD) è la più comune forma di demenza in età adulta. Descritta per la prima volta più di 100 anni fa da Alois Alzheimer, colpisce ad oggi, nei paesi industrializzati, circa il 7% di individui con età superiore a 65 anni e circa il 40% di individui con età superiore a 80 anni. Il rischio di sviluppare tale patologia è stato stimato essere del 20% per le donne e del 10% per gli uomini, con età superiore a 65 anni. Sono state identificate sia forme sporadiche di AD, che rappresentano il 95% dei casi, sia forme familiari (80).

È una patologia neurodegenerativa caratterizzata dall’accumulo di peptidi β-amiloidi (Aβ) e placche neurofibrillari a livello cerebrale, che porta ad una progressiva perdita di neuroni corticali e di memoria.

Le due principali caratteristiche riscontrabili a livello di cellula neurale sono la formazione di aggregati molecolari del peptide Aβ, che si accumulano a livello extracellulare, e un aumento della proteina Tau nella sua forma iperfosforilata che tende a formare delle placche a livello citosolico.

Il peptide Aβ è prodotto naturalmente nel cervello ma si accumula ampiamente nel cervello di pazienti affetti dalla patologia di Alzheimer. Viene prodotto mediante idrolisi parziale di una proteina precursore amiloide APP (Amyloid Precursor Protein) da parte di enzimi β- e γ-secretasi, e a differenza del peptide Aβ( 1-40), la forma Aβ( 1-42) è in grado di formare aggregati amiloidi che portano progressivamente a morte le cellule neurali. La proteine APP è una proteina transmembrana che, prendendo contatto con la β-catenina si àncora al citoscheletro e riveste di conseguenza un ruolo importante nell’adesione cellula-cellula (80).

La proteina APP, di circa 110 kDa, subisce un iniziale taglio proteolitico da parte dell’enzima β-secretasi chiamato anche β-site APP-cleaving enzyme 1 o BACE1. Si forma così: un peptide di 99 aminoacidi che rimane ancorato alla membrana chiamato C-terminal fragment β o CTFβ, e un frammento solubile β-APP che viene rilasciato nell’ambiente extracellulare. Il frammento CTFβ subisce poi un ulteriore taglio da parte del complesso multiproteico costituito dalla γ-secretasi e dalle proteine presenelina, nicastrina, Aph-1 e Pen-2. Da questo secondo taglio si originano il peptide Aβ, rilasciato nell’ambiente extracellulare, e il frammento intracellulare chiamato APP intracellular domain o AICD. Nel pathway non amiloidogenico invece, APP viene inizialmente tagliato dalla secretasi α producendo frammenti solubili che non tendono ad aggregare.

Stress ossidativo e disfunzioni mitocondriali sono inoltre considerati fattori determinanti per la neurodegenerazione. Recenti ricerche evidenziano come la microglia e gli astrociti possano giocare un ruolo importante nell’attivazione della risposta infiammatoria, mediante la produzione di citochine pro-infiammatorie e altri mediatori della risposta

(32)

32 immune. Inoltre la progressiva perdita di neuroni comporta un accumulo di dedriti cellulari che mantiene queste cellule costantemente attive amplificando la risposta infiammatoria. Limitare la loro iperattivazione di conseguenza, potrebbe limitare la neurotossicità associata a questa patologia (81).

La perdita di neuroni è tuttavia preceduta da una perdita di attività sinaptica soprattutto nelle regioni corticali e ippocampali, riflettendo il ruolo rilevante che queste regioni svolgono nei processi di formazione e conservazione dei ricordi.

Studi in vitro hanno dimostrato come gli oligomeri Aβ siano in grado di portare ad un inibizione dell’LTP e ad un potenziamento dell’LDP (82).

Inoltre astrociti umani, coltivati in un mezzo contenente forme naturali ed oligomeri del peptide Aβ, mostrano una significativa diminuzione di espressione delle proteine ERK1 e 2, coinvolte nell’LTP, rispetto alle stesse cellule coltivate in assenza del peptide Aβ. Un analogo decremento di espressione è osservabile a livello della corteccia prefrontale di pazienti affetti da Alzheimer, che correla con un alto livello di peptide Aβ (83).

Anche le sirtuine sembrano svolgere un ruolo chiave nell’Alzheimer. Uno studio recente mostra come la concentrazione sierica della SIRT1 in particolare, risulta ridotta in pazienti affetti da Alzheimer, il che rende questa proteina un possibile marker di tale patologia.

La SIRT1 si è dimostrata in grado di influenzare l’aggregazione dei peptidi Aβ e della proteina Tau. SIRT1 infatti, deacetila il recettore β dell’acido retinoico RAB β (retinoic acid receptor β) e attiva la trascrizione dell’α-secretasi portando in ultimo ad aumento del processamento di APP da parte dell’α-secretasi e riducendo quindi la produzione di Aβ. Inoltre, la SIRT1 inibisce la via di segnalazione di NF-κB e in un modello murino di Alzheimer si è dimostrata in grado di promuovere la degradazione ubiquitina-mediata di p-Tau (75).

(33)

33

6 Resveratrolo, LTP e Alzheimer

Il resveratrolo o 3,5,4’-triidrossi-trans-stilbene è una fitoalessina polifenolica, prodotta naturalmente da molte piante tra cui l’uva rossa o i mirtilli. Negli ultimi anni sono state associate a questo composto numerose proprietà farmacologiche tra cui attività antiossidante, antiinfiammatoria e anti-invecchiamento.

Figura 13. Struttura chimica del resveratrolo (85).

Sono state associate a questo composto anche proprietà antitumorali ed è attualmente in corso un trial clinico in fase II per il trattamento nell’uomo del cancro al colon (85). Recenti studi suggeriscono che possa svolgere inoltre un ruolo neuro-protettivo in differenti modelli sperimentali e che potrebbe contrastare la neurotossicità associata all’accumulo di peptidi β-amiloidi (Aβ) (86).

È stato infatti riscontrato, che questo sia in grado di attenuare o prevenire gli effetti neurotossici associati al peptide Aβ, sia in vivo che in vitro.

Essendo l’autofagia un processo cellulare in grado di promuovere la sopravvivenza neurale mediante la degradazione di proteine ed organelli danneggiati è stato ipotizzato che il RSV potesse agire attivando il processo autofagico.

Infatti, è stato dimostrato in vitro, che gli effetti positivi mediati dal RSV non vengono osservati se tale pathway viene inibito. Tra i possibili target attivati dal RSV e probabilmente coinvolti in questa via vi sono la SIRT1 e PARP1 (4).

Simili risultati sono stati ottenuti in uno studio del 2017 sul ratto, dove il RSV si è rivelato in grado di ridurre significativamente la perdita di motoneuroni e l’entità del danno causato da lesioni al midollo spinale, inibendo l’apoptosi e promuovendo l’autofagia attraverso il signaling di SIRT1/AMPK (87).

Un ulteriore ipotesi è che l’effetto mediato dal RSV possa essere dovuto ad un’attività di inibizione dell’enzima fosfodiesterasi 4 o PDE4 con un successivo incremento di cAMP che a sua volta induce l’attivazione del fattore CREB e l’espressione a valle di BDNF, il quale favorisce la sopravvivenza e la crescita cellulare (88).

(34)

34 In uno studio del 2013, su colture cellulari ippocampali, si evince inoltre che il RSV possa svolgere i suoi effetti protettivi contro la degenerazione citoscheletrica e la morte cellulare promuovendo sia l’attivazione della chinasi PKC sia la sua espressione. In particolare l’attenzione è stata rivolta all’isoforma γ della PKC di cui si sono riscontrati bassi livelli in un modello murino di AD.

PKCγ è noto essere in grado di controllare a valle numerosi pathways tra cui ERK o mTOR coinvolti in diverse patologie neurologiche incluso AD.

Si è infatti osservato nel ratto che il RSV favorisce la sopravvivenza cellulare in caso di ischemia cardiaca proprio modulando il pathway di ERK (89) e che sia in grado di proteggere i neuroni CA1 in caso di ischemia cerebrale incrementando la fosforilazione di ERK e di CREB (90).

Al contrario, recenti ricerche mostrano che il RSV possa sopprimere l’invasione e la migrazione di cellule tumorali pancreatiche agendo in questo caso in maniera opposta sul pathway di ERK, che risulta di conseguenza inibito (91).

(35)

35

7 SCOPO DELLA TESI

Avendo T1AM e il RSV una struttura chimica simile, e noto che entrambi svolgono un

azione neuroprotettiva, mediante studi in vitro, si è voluto saggiare il possibile effetto benefico associato ad entrambi i composti, sia singolarmente che in associazione, in due linee cellulari differenti.

Si è voluto quindi testare il loro possibile ruolo protettivo nell’ambito di patologie neurologiche gravi come l’Alzheimer, trattando le cellule con peptidi Aβ(25-35) in modo da simulare, in vitro e a livello cellulare, la condizione caratteristica di tale patologia. Inoltre essendo stato associato ad entrambi un ruolo rilevante nel complesso processo del Long Term Potentiation o LTP, considerato ad oggi alla base dei fenomeni dell’apprendimento e della memoria e fortemente inibito in modelli animali affetti da Alzheimer, si è andata a caratterizzare l’espressione delle proteine coinvolte in tale via di trasduzione.

Inizialmente sono stati eseguiti test di vitalità cellulare, a seguito di trattamenti di 24 ore con T1AM, Aβ (25-35) e RSV, utilizzando differenti concentrazioni di ognuno.

Come modelli cellulari si sono utilizzate due linee differenti : -NG 108-15

-U87MG

I test preliminari sulla vitalità ci hanno permesso di individuare le migliori concentrazioni di ciascuna molecola da utilizzare per i trattamenti successivi, che sono stati eseguiti per 24 ore, trattando le cellule con T1AM, Aβ (25-35) e RSV da soli, o in combinazione tra

loro.

Si è quindi valutata la variazione di espressione o l’eventuale fosforilazione di ciascuna proteina di interesse coinvolta nel processo dell’LTP, mediante saggi di western blot.

Riferimenti

Documenti correlati

Secondo i criteri di classificazione delle forme di osservazione proposte da Postic e De Ketele (1988, citato da Coggi e Ricchiardi, 2005, p. Il grado di coinvolgimento

Nella diagnosi della calcolosi della colecisti, la TC è meno utile e più costosa, ma può farci vedere meglio i calcoli migrati nel coledoco. Ora, il miglior metodo, tra quelli

23 (2000-2001, when the highest proton flux levels were recorded by EPAM/LEMS120) has been fitted with the same function, although with different parameters. The comparison between

Ancora più allarmanti sono alcuni dati disaggregati, che ci aiutano a defi- nire dove e come si è concentrata questa contrazione: a leggere di meno sono gli strati più deboli,

Silvia Assenza invece, che a differenza di tanti altri studiosi dell’opera di Kafka in Italia, attribuisce una parte del suo discorso a Carlo Bo, cita lo stesso passo, fra

Negli animali nefrectomizzati e trattati con Fluoxetina si osserva un miglioramento della funzionalità renale (diminuzione della proteinuria, aumento della clearance della

Sintesi di nuovi ligandi provvisti di affinità per il SERT e per il recettore α 2 -adrenergico. Relatore Relatore Relatore Relatore Correlatore Correlatore

David sintetizza nell’articolo l’intero armamentario di argomentazioni già sviluppate da d’Hericourt: la proprietà di un’opera letteraria ha gli