• Non ci sono risultati.

Studio funzionale del polimorfismo Pro64His del gene LGALS3 e suo ruolo nell'insorgenza del carcinoma papillare tiroideo.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Studio funzionale del polimorfismo Pro64His del gene LGALS3 e suo ruolo nell'insorgenza del carcinoma papillare tiroideo."

Copied!
118
0
0

Testo completo

(1)

Università di Pisa

DIPARTIMENTO DI BIOLOGIA

Corso di Laurea Magistrale in Biologia Molecolare e Cellulare

Tesi di Laurea Magistrale

“Studio funzionale del polimorfismo Pro64His del gene

LGALS3 e suo ruolo nell’insorgenza del carcinoma papillare

tiroideo”

Relatrice Candidata

Prof.ssa Federica Gemignani Maria Rita Nigro

(2)

INDICE

RIASSUNTO………1

ABSTRACT………..3

CAPITOLO 1-TUMORE ALLA TIROIDE……….5

1.1-Generalità………..………..5

1.2-Epidemiologia……..………...6

1.3-Istotipi del tumore tiroideo……….………7

1.4-Fattori di rischio………..………8

CAPITOLO 2: CARCINOMA PAPILLARE TIROIDEO (PTC)………..13

2.1-Caratteristiche generali……….13

2.2-Aspetti molecolari e genetici del carcinoma papillare tiroideo………...….15

2.2.1-Mutazioni somatiche………..15

2.2.2-Mutazioni germinali………..22

2.3-Suscettibilità genetica al carcinoma papillare tiroideo………24

CAPITOLO 3: LA GALECTINA-3………...27

3.1-Introduzione………..27

3.2-Il gene LGALS3, localizzazioni e funzioni della proteina…………..…………..28

3.2.1-Il gene………28

3.2.2-La proteina……….28

Dominio N-terminale……….29

CRD: carbohydrate-recognition domain………...31

3.2.3-Localizzazione e funzioni della Galectina-3……….32

Generalità………...32

Galectina-3: trasformazione neoplastica e metastasi……….36

Angiogenesi e galectina-3………..38

Regolazione dell’apoptosi………..40

SCOPO DELLA TESI………42

CAPITOLO 4-MATERIALI E METODI………..43

4.1-Disegno dello studio……….43

4.2-Linea cellulare: TPC1………...44

4.2.1-Estrazione DNA e tipizzazione della linea cellulare TPC1…………..……….45

Protocollo di estrazione del DNA………..45

Tipizzazione………...45

4.3-Trasfezione………...46

4.3.1-I vettori plasmidici……….47

4.3.1.1-Protocollo trasformazione………...48

4.3.1.2-MAXI PREP………...49

(3)

4.3.1.3-Quantizzazione del DNA plasmidico estratto.………...50

Protocollo di quantizzazione………..51

4.3.1.4-Mutagenesi sito-specifica………...51

Disegno dei primers mutagenici………52

Trasformazione delle cellule competenti………..……….54

MINI PREP………....55

Verifica della mutagenesi………...56

4.3.2-Trasfezione transiente con PolyFect®………...56

Protocollo di trasfezione delle cellule TPC1………..57

4.4-Estrazione dell’RNA e sintesi del cDNA……….58

Estrazione dell’RNA………..58

Trattamento con DNAsi……….59

Sintesi del cDNA………..………..60

4.5-Real-Time………..61

4.5.1-I primers impiegati nello studio……….61

Geni target……….62

Geni Housekeeping………65

4.5.2-Tecnica della Real-Time qPCR ……….65

Protocollo per la Real-Time PCR………...68

Fasi di allestimento della reazione di Real Time PCR per le cellule TPC1 trasfettate………70

4.6-Saggio della luciferasi………..71

4.6.1-Preparazione dei campioni da analizzare………...73

4.6.2-Preparazione dei substrati delle luciferasi……….75

4.6.3-Lettura delle luminescenze………76

4.7-SDS-PAGE e Western Blot………...76

4.7.1-Semina delle cellule e trasfezione……….76

4.7.2-Quantificazione delle proteine………...78

4.7.3-Sodio Dodecil Solfato Poliacrilamide Gel Elettroforesi (SDS-PAGE)……….80

4.7.3.1-Fase di preparazione di gel di poliacrilammide………..80

4.7.3.2-Preparazione dei campioni di proteine……….………..82

4.7.4-Elettroblotting………..………..……...84

4.7.5-Rivelazione della proteina di interesse con un sistema immunoenzimatico….85 Acquisizione dell’immagine………..86

CAPITOLO 5-RISULTATI………88

5.1-Risultati della tipizzazione………...88

5.2-Verifica della mutagenesi……….88

5.3-Risultati dello studio d'espressione dei geni selezionati………...90

5.4-Risultato dell’analisi di espressione mediante il saggio della doppia luciferasi...93

5.5-Risultati Western Blot………...97

CAPITOLO 6-DISCUSSIONE………100

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI………...105

(4)

1

RIASSUNTO

I tumori della tiroide si suddividono in due gruppi: tumore alla tiroide differenziato (DTC) e tumore anaplastico o indifferenziato. Come per la maggior parte delle neoplasie solide, anche per i tumori della tiroide l’eziologia sembra essere multifattoriale, risultato di una complessa interazione di fattori genetici ed ambientali. I fattori genetici che determinano la predisposizione a sviluppare il tumore sembrano risiedere in polimorfismi a singolo nucleotide (SNPs). In uno studio caso-controllo (1155 casi e 1222 controlli), precedentemente effettuato nel nostro laboratorio, è stata dimostrata l’associazione tra l’allele C del polimorfismo rs4644 (c.191C>A, p.P64H) e il rischio di sviluppare il DTC. Il polimorfismo si trova nel gene LGALS3 che codifica per la galectina-3, coinvolta nella regolazione dell’espressione genica, nelle interazioni tra cellule e matrice cellulare, giocando un ruolo decisivo nella fibrosi, infiammazione e proliferazione cellulare. La sua espressione risulta limitata ai tireociti che hanno subito una trasformazione maligna. La presente tesi si propone di analizzare un possibile ruolo funzionale del polimorfismo rs4644 andando ad analizzare le differenze di espressione di specifici geni target. A questo scopo, sono stati effettuati dei saggi in vitro utilizzando come modello cellule TPC1 di carcinoma papillare tiroideo trasfettate con un plasmide esprimente l'intera sequenza codificante del gene LGALS3 con la variante “C” o, alternativamente, la variante “A” del polimorfismo rs4644. Mediante real-time qPCR è stata indagata l'azione del polimorfismo in questione sull’espressione di geni opportunamente selezionati (TTF1, MDM2, TP53, LGALS3, BRAF, MSH2, CCNA2, CDKN1A, TPO, CCND1, BAX, PAX8, AKT1, CDKN1B). Per comprendere l’attività delle due varianti alleliche del gene LGALS3 sui geni target, è stata valutata l’espressione del gene reporter luciferasi sotto il controllo dei promotori dei geni MDM2 e CDKN1A (P21). I risultati del saggio della doppia luciferasi e della real-time qPCR hanno evidenziato che l’espressione dei geni MDM2 e CDKN1A è statisticamente più elevata nelle cellule trasfettate con il plasmide esprimente il gene

(5)

2

LGALS3 con la variante “C” dello SNP rs4644. La variazione di espressione è stata verificata anche a livello proteico con la tecnica del western blot, che ha confermato i risultati precedenti. Mdm2 agisce inibendo e degradando la proteina soppressore-tumorale p53, favorendo in tal modo la progressione soppressore-tumorale mentre p21, come si evince da studi riportati in letteratura, subisce una stabilizzazione post-traduzionale da parte di Gal-3 e questo processo sembra essere correlato ad un’istologia maligna. L’aumento di queste due proteine nelle cellule trasfettate con il plasmide esprimente il gene LGALS3 con la variante “C” dello SNP rs4644 è compatibile con il risultato dello studio caso-controllo nel quale era stato mostrato che questo allele fosse

(6)

3

ABSTRACT

Thyroid tumors are classified into two different classes: differentiated thyroid carcinoma (DTC) and anaplastic or indifferentiated thyroid carcinoma. As in the majority of solid neoplasia, also for thyroid tumors the etiology seems to be multifactorial due to a complicated interaction between genetic and environmental factors. Single nucleotide polymorphisms (SNPs) seems to be the main genetic factors that influence the predisposition to develop thyroid tumors.

In a case-control study (1155 cases and 1222 controls) previously performed in our laboratory, the association between the C allele of the polymorphism rs4644 (c.191C>A, p.P64H) and the risk of developing DTC has been demonstrated. The polymorphism is located in LGALS3 gene. The galectina-3 protein is involved in gene expression regulation, interaction between cell and extracellular matrix as well as in fibrosis, inflammation and cell proliferation. Its expression is limited to thyrocytes that underwent to a malignant transformation.

The aim of this thesis is to evaluate a possible functional role of the polymorphism rs4644.

For this purpose, papillary thyroid carcinoma cell line (TPC1) was transfected with a plasmid vector containing the coding sequence of LGALS3 gene with the variant C or, alternatively, the variant A of the polymorphism rs4644. Then, Real-Time qPCR, was carried out to evaluate the endogenous expression levels of selected genes (TTF1, MDM2, TP53, LGALS3, BRAF, MSH2, CCNA2, CDKN1A, TPO, CCND1, BAX, PAX8, AKT1, CDKN1B).

To further clarify the functional role of rs4644 on the on target genes we evaluated the expression of the reporter gene luciferase under the control of MDM2 and CDKN1A (P21) gene promoters. Dual luciferase assays and Real Time qPCR results highlighted that MDM2 and CDKN1A expression is statistically higher when cells were transfected with the plasmid harboring the LGALS3 gene with the “C” variant

(7)

4

of the SNP rs4644. The amount of the mdm2 and p21 was measured by the western blot, which confirmed previous results.

Mdm2 inhibits and degrades the tumor suppressor protein p53, promoting the tumor progression, while p21 is subjected to a post-translation stabilisation by gal-3; leading a malignant histology.

The increased level of these two proteins in the cells transfected with the plasmid vector expressing the LGALS3 gene carrying the “C” variant of the SNP rs4644 is compatible with the results of the case-control study which showed the association between this variant and the susceptibility to develop DTC.

(8)

5

CAPITOLO 1

TUMORE ALLA TIROIDE

1.1. Generalità

La tiroide è una piccola ghiandola a forma di farfalla posta immediatamente sotto il pomo di Adamo, che gioca un ruolo chiave nel controllo del metabolismo mediante la produzione degli ormoni tiroidei (T4 e T3), sostanze che, tramite il sangue, raggiungono ogni distretto del nostro organismo. La funzione di questa ghiandola è regolata dall’ipofisi, una piccola ghiandola localizzata alla base del cranio, che agisce sulla tiroide mediante il TSH (thyroid - stimulating hormone). La corretta funzione della tiroide richiede un adeguato apporto di iodio, la cui carenza è responsabile della comparsa di gozzo semplice o nodulare.

Il tumore alla tiroide è una neoplasia maligna relativamente rara; tuttavia rappresenta la neoplasia più comune del sistema endocrino (Kilfoy et al., 2009).

Si manifesta sotto forma di noduli, tumefazioni delimitate all’interno della tiroide, che alterano il normale aspetto uniforme della ghiandola, in numero e dimensioni variabili, e che talvolta si accompagnano a un'ipertrofia della ghiandola stessa comunemente chiamata gozzo. Quest'ultimo è dovuto principalmente a carenza di iodio nella dieta e quindi ad una diminuzione degli ormoni tiroxina (T4) e triiodotironina (T3).

Definire l’epidemiologia del carcinoma della tiroide non è compito semplice data l’elevata frequenza della patologia nodulare tiroidea e la bassa percentuale di malignità (3-5%). A ciò si aggiungono, talora, vere e proprie difficoltà diagnostiche. Nel carcinoma differenziato tiroideo la prognosi a 5 anni è favorevole in più dell'85% dei casi.

La chirurgia per la rimozione dell'intera ghiandola rimane il metodo d'elezione per la cura del tumore tiroideo. Un piccolo carcinoma papillare o follicolare della tiroide

(9)

6

può essere curato con l'asportazione del solo lato coinvolto o del tratto di tiroide che unisce i due lobi. In seguito all'intervento di tiroidectomia totale si somministrano in genere ormoni tiroidei in sostituzione di quelli che la ghiandola non è più in grado di produrre. Inoltre negli istotipi follicolare e papillare, più a rischio di metastasi, a completamento delle procedure terapeutiche, viene applicato il trattamento radiometabolico a sostituzione della classica radioterapia, specifico per le cellule tiroidee. Lo iodio radioattivo, una volta entrato nel nucleo della cellula tiroidea, ne causa la morte.

La chemioterapia è limitata alle neoplasie avanzate ed aggressive (in particolare il carcinoma anaplastico) ed a quelle che hanno già dato metastasi a distanza.

1.2. Epidemiologia

L'incidenza del tumore alla tiroide è aumentata più del doppio negli ultimi 30 anni. E’ stato dimostrato un aumento di tumore alla tiroide da 3,6/100.000 nel 1973 a 8,7/100.000 nel 2002. Virtualmente l'intero aumento è attribuibile all'aumento di incidenza del tumore papillare tiroideo che è aumentato da 2,7/100.000 a 7,7/100.000 mentre nessuna variazione significativa è stata riportata per i tipi istologici meno comuni. In particolar modo tra il 1988 e il 2002 è aumentata la percentuale di tumori della dimensione di 1 cm o anche meno mentre la mortalità per tumore alla tiroide è rimasta stabile e piuttosto bassa (figura 1.1) nell'arco di periodo considerato da tale studio (circa 0,5 morti/100.000). Il carcinoma tiroideo è 2-4 volte più frequente nelle donne che generalmente presentano una prognosi migliore rispetto agli uomini nei quali è stata riportata una più elevata progressione maligna dei noduli. E' raro nei pazienti aventi meno di 16 anni (incidenza annuale di 0,02-0,03/100.000) ed estremamente non comune al di sotto dei 10 anni di età (Franceschi et al., 1993; Belfiore et al., 1992).

Si ritiene che l'aumento dell'incidenza associato ad una maggiore percentuale di tumori di piccoli dimensioni possa essere spiegato dal perfezionamento delle tecniche diagnostiche che oggi consentono di individuare sempre più spesso anche i cosiddetti microcarcinomi, nella maggior parte dei casi di tipo papillare (Zhu Davies & Welch, 2006).

(10)

7

Figura 1.1: Incidenza del tumore alla tiroide e mortalità nel periodo 1973-2002.

In ogni caso, se l'aumento della capacità diagnostica dei piccoli carcinomi papillari costituisce l'unica spiegazione dell'osservato aumento del carcinoma papillare tiroideo si potrebbe preannunciare un decremento della mortalità per tumore papillare tiroideo e una diminuzione di tumori papillari tiroidei di maggiori dimensioni ma è stato osservato che non esiste nessuna diminuzione di tumori di più grandi dimensioni, né decremento della mortalità a causa di tale tumore negli Stati Uniti (Zhu et al., 2009).Da ciò si può dedurre che le metodiche di diagnosi avanzate non sono l'unica spiegazione dell'aumento di incidenza del tumore papillare tiroideo. Numerosi sono i parametri che possono influenzare sia l'incidenza che la mortalità, e tra questi l'area geografica, le differenze etniche e l'istotipo del tumore. L'elevata frequenza riscontrata in paesi come l'Islanda, le isole Hawaii, le Filippine e il Giappone rispetto all'Europa del Nord, agli Stati Uniti o al Canada, così come la maggiore frequenza riscontrata nelle persone caucasiche rispetto alle persone africane, hanno permesso di ipotizzare il possibile ruolo di fattori ambientali e genetici nella cancerogenesi tiroidea sostenendo quindi l'eziologia multifattoriale del carcinoma tiroideo.

1.3. Istotipi del tumore tiroideo

Le neoplasie tiroidee si distinguono, sulla base istopatologica in quattro tipi principali: papillare (PTC), follicolare (FTC) e midollare (MTC) che fanno parte della categoria dei carcinomi tiroidei differenziati (DTC) e anaplastico (ATC) che

(11)

8

appartiene alla categoria dei carcinomi indifferenziati. Esistono anche varianti benigne o adenomi (Giusti et al., 2010).

I carcinomi papillari tiroidei rappresentano l'80% della totalità dei tumori tiroidei; gli altri istotipi sono presenti in proporzione minore (figura 1.2).

Figura 1.2: Frequenza dei diversi istotipi di tumore alla tiroide.

1.4. Fattori di rischio

Nonostante l'incidenza del cancro tiroideo sia andata aumentando negli ultimi anni, gli studi epidemiologici hanno evidenziato un numero relativamente piccolo di fattori di rischio e tra questi ritroviamo:

1- Esposizione a radiazioni ionizzanti.

Il ruolo di una precedente esposizione a radiazioni ionizzanti nella carcinogenesi tumorale è stata stabilita fin dal 1950 in seguito all'esplosione della bomba atomica in Giappone.

Anche il disastro di Chernobyl nel 1986, secondo quanto riportato da diversi studi, ha causato un aumento di incidenza di neoplasie tiroidee nei soggetti che al momento dell'esplosione avevano un'età compresa tra i 5 mesi e i 10 anni (Nikiforov & Gnepp, 1994; Leenhardt & Aurengo, 2000). Questo può essere spiegato dalla maggiore assunzione quotidiana dello iodio-131 attraverso il consumo di latte dei soggetti appartenenti a questa fascia di età (Cardis et al., 2006). In soggetti sottoposti a radioterapia in età pediatrica per la cura di neoplasie oncologiche ed ematologiche,

(12)

9

come il linfoma o le leucemie, è nota l'aumentata incidenza di patologie tiroidee, in particolare del carcinoma della tiroide, rispetto a soggetti di pari età non sottoposti a tali interventi terapeutici (Pui et al., 2003; Hancock & Cox, 1991). La spiegazione a tale fenomeno risiede nel danno causato ai tireociti dalle radiazioni determinando come in una reazione a catena il malfunzionamento della ghiandola, la riduzione della secrezione degli ormoni tiroidei e quindi l’ aumento compensatorio della secrezione ipofisaria di TSH il quale stimola le cellule follicolari danneggiate determinando la trasformazione neoplastica delle stesse (LiVolsi, 2011).

2- Pregresse patologie benigne della tiroide

E' stata dimostrata una più elevata frequenza di cancro alla tiroide in soggetti affetti da noduli alla tiroide benigni e in soggetti aventi il gozzo, anche se in percentuale minore.

Una serie di studi hanno riportato un aumento di incidenza di noduli maligni (da 0.4% a 9.8%) con comportamento clinico più aggressivo in pazienti con la malattia di Basedow (Giusti et al., 2010).

Nonostante l'ipertiroidismo o la tiroidite di Hashimoto non rappresentino un fattore di rischio addizionale per il cancro alla tiroide, i soggetti che ne sono affetti hanno un rischio più elevato di sviluppare una patologia linfoproliferativa alla tiroide quale il linfoma alla tiroide (Segal et al., 1985; Holm et al., 1985).

3- Contenuto dello iodio nel cibo

Nelle zone a carenza iodica si osserva una maggiore incidenza di noduli tiroidei e quindi di carcinomi tiroidei in termini assoluti. Tuttavia, se si corregge per il maggior numero di noduli, la percentuale di carcinomi nell'ambito dei noduli tiroidei è simile a quella che si riscontra nelle aree a normale apporto alimentare di iodio (Giusti et al., 2010).

La mancanza di iodio nella dieta causa un aumento di TSH, considerato il principale fattore di crescita per le cellule follicolari della tiroide. Esperimenti condotti in vivo hanno dimostrato un rilevante aumento di casi di tumori tiroidei in seguito a periodi prolungati di deficienza di iodio e quindi di aumento di TSH. Tuttavia tale effetto non è stato dimostrato in popolazioni umane residenti in zone povere di iodio. Più

(13)

10

correttamente si può affermare che il consumo di iodio influenza la distribuzione istotipica del tumore alla tiroide piuttosto che l'incidenza complessiva con un aumento di carcinomi follicolari e una diminuzione dell'istotipo papillare in zone povere di iodio (Pellegriti et al., 2013) (figura 1.3). Uno studio di associazione di tipo caso-controllo realizzato da Galanti e collaboratori (1997) in due regioni della Svezia e della Norvegia ha suggerito che il rischio di sviluppare il carcinoma tiroideo era ridotto in quelle regioni nelle quali si utilizzava sale iodato. Questo risultato evidenzia un ruolo importante della dieta e in generale dell’ambiente nello sviluppo del carcinoma tiroideo.

Tuttavia un aumento di incidenza e di tasso di mortalità per tumore alla tiroide sono stati riscontrati anche in aree in cui il consumo di iodio è elevato (Hawaii, Islanda) (Franceschi, 1998) e ciò suggerisce che vi siano anche altri fattori alimentari o ambientali che esercitano un ruolo genotossico contribuendo alla trasformazione maligna.

Figura 1.3: Contributo dello iodio presente nel cibo nello sviluppo del tumore alla tiroide.

4- Indice di massa corporea

Diversi studi caso-controllo hanno mostrato un aumentato rischio di cancro alla tiroide in pazienti con un elevato indice di massa corporea. Tale rischio sembra aumentare di 5 volte in uomini obesi e 2 volte nelle donne obese (Giusti et al., 2010); nelle donne, soprattutto nel periodo post-menopausa, un aumento di peso del 14%

(14)

11

sembra essere associato al rischio di sviluppare il cancro alla tiroide (Dal Maso et al., 2000; Suzuki et al., 2000). In uno studio effettuato su una grande coorte norvegese costituita da più di due milioni di individui è stata investigata la relazione tra l'indice di massa corporea (BMI), la statura e il tumore alla tiroide (3046 casi). I risultati di tale studio concordano nel ritenere che il rischio di tumore alla tiroide, soprattutto per gli istotipi papillare e follicolare aumenta moderatamente con l'aumento di BMI e l'altezza in entrambi i sessi (Engeland et al., 2006). Non sono state trovate, tuttavia, associazioni positive per l'ipertensione, diabete o attività fisica (Meinhold et al., 2010).

5- Fattori ormonali

Diverso è il rapporto di incidenza del tumore alla tiroide tra femmine e maschi a seconda del periodo di vita in cui insorge il tumore: nelle donne in età fertile, tale rapporto è circa 2-4:1 e si riduce a 1,5:1 in età pre-pubere e in menopausa (Negri et al., 1999; Franceschi et al., 1999).

In gravidanza, è frequente la diagnosi di gozzo o noduli tiroidei e può verificarsi un aumento di volume della tiroide e dei noduli. Per tale motivo, è stato ipotizzato il ruolo dei fattori ormonali o dei fattori legati alla gravidanza nella patogenesi del carcinoma tiroideo (Goodman et al., 1992). Le donne in gravidanza hanno elevati livelli di ormone tiroide stimolante (TSH) che sembra giocare un ruolo nello sviluppo del tumore tiroideo come già citato sopra e come evidenziato in esperimenti sugli animali (McTiernan et al., 1987). Gli estrogeni, come dimostrato da alcuni studi, sono in grado di stimolare la crescita del tumore alla tiroide grazie alla loro azione sui recettori per gli estrogeni presenti sul tessuto tiroideo avvalorando l'ipotesi che gli ormoni sessuali e quindi gli eventi riproduttivi e mestruali possano modificare il rischio di tumore alla tiroide nelle donne (Truong et al., 2005).

Anche le HCG (human chorionic gonadotropin), ormoni prodotti dall'embrione subito dopo l'impianto nell'utero e aventi una struttura simile all'ormone tireostimolante TSH, possono interagire con i recettori del TSH (Kennedy & Darne, 1991) provocando così, durante la gravidanza, una crescita di tumori sia maligni che benigni.

(15)

12

6- Storia familiare e patologie associate

Un'anamnesi familiare positiva per neoplasie della tiroide è stata riscontrata nei parenti di primo grado del 3-5% dei pazienti affetti da carcinoma tiroideo. Il carcinoma tiroideo familiare non midollare (CTFNM) riguarda casi di carcinoma tiroideo, quasi sempre di istotipo papillare, che si manifestano in componenti dello stesso nucleo familiare con una trasmissione di tipo autosomico dominante a penetranza incompleta. In questi soggetti (Malchoff CD & Malchoff DM, 2004) l'aggressività del tumore è maggiore rispetto a quella osservata nella popolazione generale in quanto è stata evidenziata una elevata frequenza di multifocalità ed un più elevato tasso di recidiva rispetto ai soggetti con carcinoma tiroideo papillare sporadico. I fattori genetici sono certamente responsabili della familiarità in alcune sindromi familiari associate ad un'elevata prevalenza di patologia nodulare tiroidea e carcinoma tiroideo.

L'esempio più eclatante di rischio legato alla familiarità è rappresentato dai carcinomi midollari, i quali possono essere ereditati o sotto forma di tumore familiare isolato, oppure sotto forma di sindrome da neoplasia endocrina multipla (MEN). È stato, inoltre, osservato che i soggetti affetti da poliposi familiare del colon (FAP) hanno un rischio di sviluppare il carcinoma papillare della tiroide all'incirca 100 volte più elevato rispetto alla popolazione generale (Rohaizak et al., 2003).

(16)

13

CAPITOLO 2

CARCINOMA PAPILLARE TIROIDEO (PTC)

2.1. Caratteristiche generali

Il carcinoma papillare della tiroide (PTC) è la tipologia più comune tra i tumori alla tiroide maligni (Lloyd et al., 2011) e rappresenta il più frequente tumore endocrino. E’ la forma di tumore alla tiroide più diffusa tra i bambini e nei minori di 50 anni (Hay, 1990).

Il PTC deriva dalle cellule follicolari che tendono a concentrare iodio e a secernere tireoglobulina ed ha una prognosi solitamente molto favorevole (Hay, 1990) con una sopravvivenza a 10 anni stimata superiore al 90% (range 80-100%). Tuttavia in una quota di pazienti, in genere di età avanzata e affetti da varianti meno differenziate di PTC, il decorso della malattia è più aggressivo e può portare ad un esito fatale (Shah et al., 1992; Cady et al., 1979).

Le varianti più comuni includono:

 la variante follicolare, con caratteristiche nucleari tipiche del carcinoma papillare, ma con architettura follicolare e presenza di colloide avente un colore più scuro;

 una variante a cellule alte o colonnari, tumori grandi e aggressivi in cui le cellule che rivestono le papille hanno un'altezza doppia rispetto alla larghezza;

 una forma sclerosante, più comune nei giovani e caratterizzata dalla presenza di tessuto duro e sclerotico e da metastasi linfonodali a distanza;

 microcarcinomi dalle dimensioni inferiori ad un centimetro di diametro, la cui prognosi è generalmente molto favorevole.

(17)

14

Dal punto di vista macroscopico, il carcinoma papillare presenta un colorito bianco o grigio e può variare in grandezza da forme microscopiche e circoscritte a forme più grandi e invasive che possono espandersi a livello della capsula tiroidea ed infiltrarsi negli organi circostanti e nei linfonodi, dando origine a metastasi. È stato stimato che circa il 50% degli affetti da PTC possonomanifestare metastasi linfonodali e solo nel 5-7% dei casi ai polmoni e alle ossa (Hoie et al., 1988). Dal punto di vista microscopico, invece, questo tipo di tumore è caratterizzato dalla mancanza di colloide e dalla presenza di papille, strutture costituite da un asse centrale di tessuto fibroso o fibro-vascolare ricoperto da uno o più strati di cellule epiteliali cuboidali o colonnari (figura 2.1). Ciò che contraddistingue questo istotipo tumorale dagli altri carcinomi tiroidei differenziati sono alcune frequenti caratteristiche citologiche: il nucleo mostra una forma ovoidale, un aspetto chiaro e più voluminoso, una membrana nucleare più spessa e alcune invaginazioni intranucleari del citoplasma.

Figura 2.1: Immagine istologica di carcinoma papillare tiroideo.

L'eziologia del PTC è correlata a fattori ambientali, genetici e ormonali. La radiazione come fattore genotossico è stata ben documentata, infatti l'utilizzo diffuso dei raggi X a partire dagli anni ‘50 ha contribuito in maniera determinante all'aumento dell'incidenza di PTC. Come già accennato in §1.3l'incidente nucleare di Chernobyl nel 1986 ha portato ad un marcato aumento di incidenza di PTC nelle aree dell'Unione Sovietica interessate dall'incidente e ad essere colpiti maggiormente sono stati i bambini, la cui tiroide è caratterizzata da ritmi di crescita maggiori rispetto agli adulti.

(18)

15

I pazienti con PTC solitamente presentano un nodulo freddo (caratterizzato da tessuto ipo o non funzionante) all'esame scintigrafico e alcuni pazienti possono presentare una linfoadenopatia cervicale (Lloyd et al., 2011).

Il carcinoma papillare tiroideo è caratterizzato solitamente da un nodulo palpabile nella tiroide mentre piccoli noduli di PTC o microcarcinomi (minori di 1 cm) solitamente non hanno significato clinico nei giovani pazienti (età inferiore ai 40 anni) (Lloyd et al., 2011).

2.2. Aspetti molecolari e genetici del carcinoma papillare tiroideo 2.2.1. Mutazioni somatiche

Negli ultimi anni le basi molecolari della carcinogenesi tiroidea sono state ampiamente investigate. Tra le principali cause che conducono alla trasformazione maligna dei tireociti vi sono mutazioni che esercitano la loro azione oncogenica attivando la cascata delle MAP (mitogen-activated protein) kinasi, serina/treonina kinasi che rispondono a stimoli extracellulari indotti da fattori di crescita, citochine e ormoni (figura 2.2)

Figura 2.2: Rappresentazione schematica della cascata delle MAP kinasi.

Esse modulano diverse attività cellulari quali proliferazione, apoptosi e differenziamento mediante fosforilazione di componenti citoplasmatiche o fattori di trascrizione nucleari. Le più frequenti alterazioni genetiche, evidenziate da studi di biologia molecolare negli ultimi 20 anni, sono rappresentate principalmente

(19)

16

dall'attivazione di oncogeni quali BRAF, RAS, RET e NTRK1 e nel silenziamento di geni soppressori tumorali come PTEN e TP53 (Giusti et al., 2010) (tabella 2.1).

Tabella 2.1: Alterazioni genetiche principali riscontrate in PTC, FTC e ATC.

Nello sviluppo del PTC sono implicate numerose alterazioni geniche, sia riarrangiamenti che mutazioni puntiformi.

I tumori papillari tiroidei sono associati a mutazioni attivanti geni codificanti per i recettori tirosina kinasi RET o TRK e i geni RAS. Complessivamente possiamo affermare che la trasformazione di cellule tiroidee in tumori papillari è dovuta all’attivazione costitutiva di effettori che partecipano al pathway di signaling RET/PTC-RAS-BRAF (Kimura et al., 2003).

E’ interessante notare come nei PTC non si assista a sovrapposizione tra le mutazioni di RET, BRAF e RAS, che considerate complessivamente interessano il 70% di tutti i casi di PTC (Soares et al., 2003). Dunque le mutazioni in RET, BRAF e RAS sembrano essere mutuamente esclusive nella tumorigenesi, e probabilmente ciò riflette la funzione ridondante di tali oncogeni collocati nella stessa cascata kinasica.

(20)

17

Figura 2.3: Attivazione del pathway delle MAPK nei casi di PTC. I casi sporadici sono caratterizzati

da mutazioni puntiformi mentre i casi di tumori associate a radiazioni sono caratterizzati da riarrangiamenti cromosomici.

BRAF

Il gene BRAF, localizzato sul braccio lungo del cromosoma 7 (7q23), è composto da 119 paia di basi e codifica per una proteina che appartiene alla famiglia delle proteine RAF (A-RAF, B-RAF, C-RAF), effettori intracellulari della cascata di segnalazione MAPK. Tra i 3 tipi di RAF citati, BRAF è il più espresso a livello tiroideo ed è dotato dell’attività kinasica basale più elevata ed è anche il più potente attivatore di MEK.

Il pathway RAS/RAF/MEK/ERK agisce come trasduttore del segnale tra l'ambiente extracellulare e il nucleo. I segnali extracellulari come gli ormoni, le citochine e diversi fattori di crescita interagiscono con i loro recettori per attivare le piccole proteine G della famiglia RAS. RAF, previa attivazione da parte di RAS, attiva MEK, enzimi che hanno come bersaglio le MAP kinasi ERK. Queste agiscono da effettori pleiotropici sulla fisiologia cellulare e giocano un ruolo importante nel controllo dell’espressione genica durante il ciclo di divisione cellulare, apoptosi, differenziamento e migrazione cellulare (Pearson et al., 2001).

Le mutazioni in BRAF sono le più comuni alterazioni genetiche trovate nei casi di PTC, essendo presenti nel 45% circa di questi tumori e in particolare nelle varianti più aggressive quali le forme dedifferenziate a “cellule alte”. Le mutazioni in BRAF sono state associate ad una minore capacità dei tireociti di captare lo iodio e di

(21)

18

rispondere alle terapie a causa di una ridotta espressione del cotrasportatore sodio-ioduro (NIS) e di altri geni che metabolizzano lo iodio nelle cellule follicolari tiroidee (Nikiforov, 2008).

In particolare l’alterazione genetica con la più alta prevalenza nei casi di PTC classico riguarda il nucleotide 1799 determinando la sostituzione valina-glutammato a livello del residuo amminoacidico 600 (V600E) (Giusti et al., 2010). La sostituzione di un amminoacido apolare con uno carico negativamente sembra mimare la fosforilazione della kinasi BRAF con conseguente attivazione della cascata delle MAPK (Wan et al., 2004). Altre mutazioni riscontrate in BRAF che portano all’attivazione di BRAF in PTC includono la mutazione puntiforme K601E che determina una sostituzione amminoacidica lisina-acido glutammico, presente principalmente nella variante follicolare di PTC (Chiosea et al., 2009) e il riarrangiamento AKAP9-BRAF che risulta maggiormente associato ai casi di carcinoma papillare tiroideo sviluppatisi successivamente all’esposizione a radiazioni ionizzanti. La proteina che ne deriva in seguito al riarrangiamento manca dei domini regolatori di BRAF determinando un’attivazione costitutiva della kinasi, paragonabile a quella indotta dalla più comune mutazione V600E (Ciampi et al., 2005).

RET/PTC

Il proto-oncogene RET, che mappa sul braccio lungo del cromosoma 10 (10q11.2), codifica per un recettore di membrana con attività tirosina-kinasi, costituito da un dominio extracellulare contenente il peptide segnale, una regione ricca in cisteina che rappresenta l’unico dominio transmembrana e una regione intracellulare contenente il dominio tirosina-kinasi (Giusti et al., 2010).

L'attivazione del recettore, in seguito a legame con fattori di crescita neurotrofici, prevede la dimerizzazione e l'autofosforilazione a livello dei residui tirosinici localizzati nel dominio citoplasmatico.

(22)

19

Nella ghiandola tiroidea, la proteina RET è altamente espressa nelle cellule C parafollicolari ma non nelle cellule follicolari, nelle quali può essere attivato da un riarrangiamento cromosomico detto riarrangiamento RET/PTC in cui la porzione 3’ del gene RET si fonde con la porzione 5’ di vari geni non correlati (Nikiforov, 2008). RET/PTC1, RET/PTC3, e RET/PTC2 sono le tipologie di riarrangiamenti più frequentemente riscontrati nei casi di PTC. RET/PTC1 e RET/PTC3 sono inversioni paracentriche in quanto sia RET, sia i geni H4 e NCOA4 (ELE1), che sono i rispettivi partner di fusione risiedono sul cromosoma 10q dove è localizzato il gene RET (Grieco et al., 1990; Santoro et al., 1994). RET/PTC2 deriva dalla fusione del gene RET con una porzione della subunità regolatoria Riα della PKA cAMP-dipendente mediante una traslocazione inter-cromosomica tra il cromosoma 10 e 17 (Bongarzone et al., 1993).

I carcinomi papillari con i riarrangiamenti RET/PTC, in particolare quelli relativi a RET/PTC1, sono tipicamente presenti in età più giovane con un elevato tasso di metastasi linfonodali, classica istologia papillare e con una prognosi possibilmente più favorevole (Adeniran et al., 2006).

Nei tumori che insorgono a seguito all’esposizione a radiazioni ionizzanti il riarrangiamento RET/PTC1 è stato ritrovato in associazione con l’istologia papillare classica, mentre RET/PTC3 è molto più comune nelle varianti solide (Nikiforov et al., 1997).

La prevalenza del riarrangiamento RET/PTC nei microcarcinomi papilliferi (carcinomi occulti < 1cm) (Viglietto et al., 1995) suggerisce l’ipotesi che questo sia un evento precoce nella tumorigenesi tiroidea (Fusco et al., 2002).

NTRK1

NTRK1 è un gene posizionato sul braccio lungo del cromosoma 1 e codifica per il recettore per il fattore di crescita neuronale NGF (nerve growth factor) con attività tirosin-kinasica. La sua attivazione oncogenica si verifica in seguito a riarrangiamento cromosomico (Greco et al., 2010) che si verifica quando la porzione 3' terminale del gene NTRK1 si fonde con la porzione 5' di altri geni eterologhi, quali ad esempio TPM3, TPR e TFG, dando origine ad oncoproteine chimeriche che

(23)

20

possiedono l'attività tirosin-kinasica costitutivamente attiva e ciò rende conto della trasformazione neoplastica delle cellule tiroidee (Greco et al., 2010).

I riarrangiamenti relativi a NTRK1 sono meno frequenti rispetto a quelli riportati per RET (Bongarzone et al., 1998).

Recententemente è stato riportato che nelle neoplasie papillari alla tiroide, la frequenza dell'attivazione di RET e NTRK è significativamente più elevato nei pazienti al di sotto dei 30 anni, e i bambini risultano di gran lunga più suscettibili alle radiazioni esterne (Nikiforov & Gnepp, 1994). Infatti le ghiandole tiroidee nei giovani sono caratterizzate da un elevato grado di propagazione e quindi di un'aumentata capacità di fissare e propagare il danno mutazionale (Bongarzone et al., 1998).

RAS

I geni della famiglia RAS (H-RAS, K-RAS e N-RAS) codificano per GTPasi altamente omologhe che, nella loro forma attiva, sono localizzate nella parte interna della membrana plasmatica, mentre sono localizzate nel citosol quando in forma inattiva. Lo stato di attivazione delle proteine Ras dipende dal fatto che siano legate a GTP (in questo caso esse sono attive e capaci di interagire con bersagli enzimatici) o GDP (in questo caso esse sono inattive e non sono in grado di interagire con i loro effettori). Nelle cellule normali l’attività delle proteine Ras è controllata dal tasso di GTP e GDP legato. Molti tipi di recettori, tra cui i recettori tirosin-kinasi ed i recettori accoppiati a proteine G, sono in grado di attivare Ras, grazie alla presenza di specifiche proteine GEFs (guaninenucleotide exchange factors) che favoriscono lo scambio nucleotidico GDP/GTP.

In seguito ad attivazione il complesso RAS-GTP propaga il segnale a diverse proteine effettrici, promuovendo così l'attivazione di fattori di trascrizione e secondi messaggeri implicati nel controllo della crescita, del differenziamento e della sopravvivenza cellulare. Normalmente il complesso diventa velocemente inattivo grazie alla sua intrinseca attività GTPasica e all’azione di proteine citoplasmatiche stimolanti le GTPasi.

(24)

21

Quindi un aumento dell’affinità per il GTP e l’inattivazione della funzione GTPasica sono spiegate dalla presenza di mutazioni puntiformi che determinano la formazione di una proteina mutante costitutivamente attiva (Liu et al., 2004). Le mutazioni puntiformi nel gene RAS sono state trovate nel 10-20% dei casi di carcinoma papillare tiroideo (Namba et al., 1990) (tabella 2.1) e sono più frequentemente associate alla variante follicolare del PTC. Alcuni studi hanno dimostrato la correlazione tra mutazioni nel gene RAS e un comportamento più aggressivo del tumore, come la presenza di metastasi distali (Hara et al., 1994).

TP53

Il gene TP53 codifica per una proteina che è essenziale per il mantenimento dell’integrità del patrimonio genetico in quanto protegge l’organismo dai danni genetici che inducono la formazione di tumori. La proteina p53, infatti, inibisce la proliferazione e promuove il differenziamento cellulare, la riparazione del DNA o l’apoptosi. Le mutazioni puntiformi nel gene TP53 rendono la proteina incapace di entrare nel nucleo, promuovendo così una diminuzione nella produzione di proteine implicati negli eventi di regolazione sopra citati.

Le mutazioni in TP53 rappresentano la più frequente alterazione genetica in tutti i tipi di tumori umani; tuttavia sono raramente presenti nell’istologia papillare del tumore tiroideo (Giusti et al., 2010).

CTNNB

Il gene CTNNB codifica per la β-catenina, una proteina citoplasmatica con ruolo centrale nel pathway di segnalazione di wingless (WNT) (Kraus et al., 1994), caratterizzato da un complesso network di proteine che giocano un ruolo importante nell’embriogenesi e nel cancro oltre ad essere implicati in normali processi fisiologici negli animali adulti (Lie et al., 2005).

(25)

22

2.2.2. Mutazioni germinali

Come accade per la maggior parte dei tumori anche i carcinomi alla tiroide possono essere sporadici o familiari. E’ ragionevole pensare, infatti, che le mutazioni che caratterizzano il percorso di trasformazione cancerosa delle cellule possano essere oltre che di tipo somatico, come usualmente accade, anche ereditate nella linea germinale. Ne consegue che coloro che ereditano tali mutazioni hanno un rischio significativamente più alto rispetto alla popolazione generale di sviluppare il cancro.

Studi epidemiologici e patologici oltre che analisi accurate del pedigree hanno contribuito ad affermare la presenza di una certa suscettibilità genetica alla base dell’insorgenza del carcinoma papillare tiroideo. Suscitando non poco interesse per l’argomento, studi di linkage hanno suggerito che il PTC familiare (fPTC) è un disordine eterogeneo causato da diversi geni di suscettibilità. (Malchoff CD & Malchoff DM, 2004). Come accade per la generalità dei tumori , il cancro di tipo ereditario differisce da quello sporadico per alcune caratteristiche evidenti quali l’insorgenza ad un’età più precoce oltre che alla presenza di multifocalità, caratteristica, questa, che sottolinea ulteriormente la presenza di un certo fattore predisponente. I tumori familiari alla tiroide possono insorgere a partire dalle cellule follicolari (FNMTC, Familial non-medullary thyroid carcinoma) o dalle cellule C che producono calcitonina (FMTC, Familial medullary thyroid carcinoma). Quest’ultimo è solitamente un componente delle neoplasie endocrine multiple (MEN) IIA o IIB o può presentarsi come unica neoplasia. MEN2A è associata al feocromocitoma e iperplasia delle paratiroidi, mentre MEN2B è associato a feocromocitoma e ganglioneuromatosi diffusa.

Gli eventi genetici che caratterizzano i tumori familiari derivati da cellule C sono ben conosciuti e le relazioni genotipo-fenotipo sono stabiliti.

Al contrario, gli studi relativi alla predisposizione familiare relativa al carcinoma alla tiroide non midollare sono ancora in uno stadio iniziale. Nonostante la maggior parte dei carcinomi papillari e follicolari tiroidei siano sporadici, i tumori familiari riguardano il 5% dei casi. Tuttavia, la presenza di un carcinoma papillare multifocale è una caratteristica tipica del Familial non-medullary thyroid carcinoma (FNMTC). I carcinomi alla tiroide non midollari comprendono un gruppo eterogeneo di patologie

(26)

23

che comprende tumori associati o meno a sindromi. Sulla base di scoperte clinico-patologiche , l’FNMTC viene diviso in due gruppi: il primo include le sindromi familiari caratterizzate da una predominanza di tumori non tiroidei quali il Familial adenomatous polyposis (FAP), il PTEN hamartoma tumor syndrome (PHTS), il Carney complex type 1, e il Werner syndrome; il secondo, invece, include le sindromi familiari caratterizzate da una predominanza di NMTC, quali il Familial (f) PTC con o senza ossifilia, l’ fPTC con carcinoma delle cellule papillari renali e l’ fPTC con gozzo multinodulare (Nosé, 2008) (tabella 2.2).

Tabella 2.2: Sindromi tumorali ereditarie associate al tumore alla tiroide.

L’ FNMTC rappresenta il 3-7% di tutti i tumori alla tiroide ed è caratterizzato da un fenotipo decisamente più aggressivo rispetto a quello della controparte sporadica; è spesso multifocale con molte più ricadute e si presenta più precocemente rispetto alle forme sporadiche (Grossman et al., 1995).

La maggior parte degli studi suggeriscono un’eredità autosomica dominante con penetranza variabile ma sono possibili anche altri modelli di eredità, inclusa la predisposizione poligenica (Lesueur et al., 1999).

(27)

24

I geni responsabili del PTC/FNMTC attualmente non sono molto conosciuti ma ci si aspetta che la predisposizione genetica sia multigenica con geni aventi penetranza moderata o bassa, i quali interagendo tra loro e con l’ambiente determinano la suscettibilità propria di ciascun individuo. Ricorrendo ad analisi di linkage, mediante l’utilizzo di marker microsatellitari, sono stati descritti diversi loci putativi: TCO (19p13.2), NMTC1 (2q21), MNG1 (14q32), PRN1(1q21) (Kula et al., 2010), FTEN (8p23.1–p22), e il complesso della telomerasi (Park et al., 2012).

2.3. Suscettibilità genetica al carcinoma papillare tiroideo

La suscettibilità genetica individuale è correlata ai polimorfismi dei geni implicati in processi cellulari determinanti, che influenzano la risposta cellulare alla dose di cancerogeni a cui un individuo è sottoposto. L’ipotesi é che alcuni polimorfismi possano alterare la struttura secondaria, e quindi l’attività, di alcune proteine e possano contribuire a modulare il rischio di cancro.

Diverse sono le associazioni trovate e dimostrate nei numerosi lavori sperimentali finora condotti, valorizzando il concetto di eterogeneità genetica relativa all’insorgenza del carcinoma papillare tiroideo e di cui, nel presente paragrafo, ne sono riportati alcuni esempi.

Una serie di evidenze sperimentali, maturate fino a questo momento, hanno mostrato che alterazioni nella funzione immunitaria potrebbero svolgere un ruolo importante nell’eziologia del tumore papillare alla tiroide. In uno studio caso-controllo del 2013 (Brenner et al., 2013) in cui sono stati presi in considerazione 344 casi di PTC e 452 controlli, sono stati analizzati 3.985 tag SNP(s) in 230 regioni geniche candidate. Il risultato raggiunto da tale studio ha visto due SNPs (rs6115, rs6112) nel gene SERPINA5 significativamente associati al rischio di sviluppare il carcinoma papillare tiroideo. Nonostante tali risultati debbano ancora essere validati da ulteriori prove sperimentali, essi suggeriscono che il gene SERPINA5, che codifica per l’inibitore della proteina C, implicato in diversi processi cellulari inclusa l’infiammazione, potrebbe essere un nuovo locus di suscettibilità per il PTC.

(28)

25

Anche variazioni polimorfiche nei geni FOXE1 e NKX2-1, entrambi implicati nella funzione della tiroide e nello sviluppo della ghiandola stessa, sono state considerate associate al rischio di sviluppare cancro alla tiroide (Pastor et al., 2012).

Infatti in un precedente studio caso-controllo, effettuato sulla popolazione islandese, (Gudmundsson et al., 2009) è stato dimostrato che due varianti comuni localizzate in 9q22.33 e 14q13.3 sono associate alla patologia. I segnali di associazione maggiore sono stati osservati per rs965513 in 9q22.33 e per rs944289 in 14q13.3. Il gene più vicino al locus 9q22.33 è FOXE1 (TTF2) mentre NKX2-1 (TTF1) è tra i geni localizzati nel locus 14q13.3. E’ stato osservato che entrambe le varianti contribuiscono ad un aumentato rischio sia dell’istotipo papillare che follicolare di tumore alla tiroide.

Recentemente, un progetto basato su hypothesis-driven study (Cancemi et al., 2011) ha portato alla selezione e allo studio di diversi SNPs associati all'insorgenza di carcinomi tiroidei differenziati e presenti nel gene oncosoppressore WWOX. Tra tutti gli SNPs indagati, solo l'rs3764340, responsabile della sostituzione amminoacidica prolina-alanina al codone 282 del gene (Pro282Ala), è risultato associato al rischio di sviluppare DTC.

Granja e coll. nel 2004 hanno indagato la sostituzione amminoacidica 1105V nel gene GSTP1 appartenente alla famiglia degli enzimi detossificanti glutatione-S-trasferasi (GST); la sostituzione in questione determina la sintesi di enzimi aventi attività inferiore e quindi minore capacità di detossificazione rispetto alla forma wild-type. La presenza di queste forme varianti è risultata essere associata ad un maggior rischio di insorgenza del tumore tiroideo.

Tuttavia recentemente, in concomitanza al crescente interesse a riguardo, è stato notato che anche i geni codificanti per micro RNA sono implicati nell’insorgenza di PTC (Kula et al., 2010). I MicroRNA sono piccole molecole di RNA non codificante che regolano negativamente l’espressione di altri geni e sono perciò implicati in diversi processi cellulari quali sviluppo, apoptosi, proliferazione cellulare ed ematopoiesi. MiR-221, miR-222, and miR-146 sono risultati up-regolati nel PTC rispetto a tessuti tiroidei normali (He et al., 2005). Recentemente è stato visto che il

(29)

26

polimorfismo G/C (rs2910164) presente nella sequenza del pre-miR-146a è associata al PTC (Jazdzewski et al., 2008). Analizzando il materiale proveniente da 608 pazienti con PTC sporadico e 901 controlli (da Finlandia, Polonia e Stati Uniti) si è osservato che l’eterozigosità G/C risulta associata ad un più alto rischio di PTC rispetto all’omozigosità, mentre entrambi gli omozigoti sono protettivi.

(30)

27

CAPITOLO 3

LA GALECTINA-3

3.1. Introduzione

La galectina-3 (gal-3), che recentemente ha acquistato notevole importanza per la sua utilità come marker diagnostico per il tumore tiroideo, rappresenta il candidato molecolare maggiormente studiato per la diagnosi del tumore alla tiroide (Chiu et al., 2010). Le cellule tumorali sono caratterizzate da difetti nei circuiti regolatori che normalmente governano proliferazione e omeostasi cellulare. I cambiamenti che portano alla trasformazione maligna delle cellule e verso la progressione neoplastica prevedono diverse fasi fondamentali quali la capacità di proliferare indipendentemente dalla presenza di fattori di crescita, insensibilità ai segnali anti-proliferativi, divisioni cellulari illimitate, capacità di fuggire ai segnali apoptotici, angiogenesi, invasione dei tessuti e metastasi. La galectina-3 risulta implicata nella regolazione della normale proliferazione cellulare e nell’apoptosi, nonché nella trasformazione maligna e nelle metastasi delle cellule cancerose.

Nonostante la variabilità delle metodologie utilizzate, la gran parte degli studi immunoistochimici ha mostrato che la galectina-3 è differenzialmente espressa nel carcinoma tiroideo rispetto ai campioni provenienti da tiroidi normali o noduli benigni, avvalorando ulteriormente la possibilità di considerare tale proteina come possibile marker diagnostico nonché potenziale target per adeguate terapie anti-cancro (Chiu et al., 2010).

Diversi studi relativi ai casi di carcinoma papillare tiroideo hanno riportato che la variazione nell’espressione della galectina-3 è una caratteristica della quasi totalità dei casi (Chiu et al., 2010).

(31)

28

3.2. Il gene LGALS3, localizzazioni e funzioni della proteina 3.2.1. Il gene

Il gene LGALS3 che mappa sul braccio lungo del cromosoma 14 (14q21-22) è composto da 6 esoni e 5 introni. L'esone 1 codifica per gran parte della porzione non tradotta 5' UTR dell'mRNA, l'esone 2 contiene la rimanente porzione 5' UTR, il sito di inizio della traduzione e i primi sei amminoacidi, inclusa la metionina iniziale (Krześlak & Lipińska, 2004).

L'esone 3 codifica la porzione N-terminale della proteina, mentre gli esoni 4, 5 e 6 per il dominio C-terminale contenente il carbohydrate recognition-binding domain (CRD) (Hughes, 1997) (figura 3.1).

Figura 3.1: Organizzazione dell’mRNA e struttura della galectina-3.

3.2.2. La proteina

Le galectine sono un’ampia famiglia di proteine che riconoscono e legano i β-galattosidi sulle glicoproteine e glicolipidi cellulari.

Attualmente sono stati individuati 10 membri della famiglia delle galectine in base alla similitudine strutturale dei relativi domini leganti i carboidrati. Infatti, esse presentano tutti una sequenza aminoacidica di 130 aminoacidi, caratteristica nel sito di legame per i carboidrati (CRD), e mostrano affinità di legame per le strutture β-galattosidiche.

(32)

29

In base alle loro caratteristiche strutturali, le galectine sono state suddivise in tre principali gruppi: proto-type, chimera-type e tandem-repeat type (Kasai & Hirabayashi, 1996).

La galectina-3 è l’unico membro di 31-kDa della famiglia delle galectine, con struttura chimera-type, costituito da un dominio non-lectinico N-terminale, e un dominio lectinico C-terminale (CRD) (Ahmad et al., 2004; Baptiste et al., 2007).

La galectina-3 contiene tre diversi motivi strutturali: un piccolo dominio N-terminale di 12 amminoacidi (comprendente la prima metionina); una sequenza ripetitiva collagene-like ricca in glicina, tirosina e prolina e infine il dominio C-terminale di 130 amminoacidi che contiene il sito di legame dei carboidrati (figura 3.2).

Figura 3.2: Rappresentazioni schematiche della struttura monomerica della galectina-3, la

dimerizzazione della galectina-3 attraverso il suo dominio C-terminale in assenza di ligandi specifici e la multimerizzazione mediante il suo dominio N-terminale in presenza di ligandi.

Dominio N-terminale

Il dominio N-terminale della galectina-3 è composta da 110-130 amminoacidi, a seconda delle specie. Questa struttura relativamente flessibile contiene ripetizioni omologhe multiple (7-14), ognuna delle quali include una sequenza consenso Pro– Gly–Ala–Tyr–Pro–Gly, seguita da tre amminoacidi addizionali. Il dominio N-terminale è altamente conservato tra le molecole di galectina-3 isolate da diverse

(33)

30

specie (Dumic et al., 2006) di cui i primi 12 amminoacidi sono necessari per la secrezione oltre che per la traslocazione nucleare della galectina-3.

Metà della porzione N-terminale della molecola è responsabile del comportamento multivalente della galectina-3 in quanto regola la self-association della galectina-3 in modo da formare dimeri o oligomeri che spiegano la sua funzione multivalente (Gong et al., 1999). Il dominio N-terminale favorisce, infatti, la formazione di pentameri e quindi microdomini reticolati di galectina sulla membrana plasmatica, implicati nel signaling cellulare e nella stabilizzazione del recettore (Chiu et al., 2010) (figura 3.3).

Figura 3.3: Formazione di microdomini reticolati di galectina sulla membrana plasmatica.

A livello dei residui di serina 6 e 12 è possibile apportare delle fosforilazioni e ciò sembra modificare in qualche modo la capacità di legame della galectina-3 ai ligandi β-galattosidici probabilmente a causa di alterazioni nella struttura proteica. In forma fosforilata, infatti, la galectina-3 mostra una ridotta e alterata capacità di legame, che viene ristabilita poi in seguito a defosforilazione (Mazurek et al., 2000).

La forma fosforilata è stata individuata sia nella frazione nucleare che in quella citoplasmatica mentre la forma non fosforilata è stata trovata esclusivamente nel

(34)

31

nucleo. La gal-3 fosforilata sembra essere associata in maniera evidente con la proliferazione cellulare mentre alterazioni nella sua localizzazione sono state associate alla progressione neoplastica (Gong et al.,1999).

Inoltre il dominio N-terminale mostra suscettibilità alla proteolisi selettiva delle metalloproteasi MMP-2 e MMP-9 (Dumic et al., 2006). Una rottura enzimatica a livello di Ala62-Tyr63 della galectina-3 ricombinante, aumenta l’affinità del CRD verso i carboidrati, e al contempo diminuisce la multimerizzazione della galectina-3. La delezione dei primi 11 aminoacidi blocca la secrezione della proteina mentre una mutazione sulla Ser6, sito di fosforilazione, ha effetti negativi sull’attività antiapoptotica della galectina-3 e sul legame con carboidrati (Dumic et al., 2006).

CRD: carbohydrate-recognition domain

Il dominio C-terminale della galectina-3, di circa 130 amminoacidi organizzati a formare una struttura globulare, contiene l’intero sito di legame dei carboidrati essendo così responsabile dell’attività lectinica della galectina-3 (Dumic et al., 2006).

Particolarmente interessante è la presenza della sequenza amminoacidica NWGR (Asn-Trp-Gly-Arg) che è un motivo altamente conservato nel dominio BH1 della famiglia di proteine Bcl-2 e che è stato dimostrato essere responsabile dell’attività anti-apoptotica sia di Bcl-2 che di gal-3 (Yang et al., 1996).

In più, il motivo NWGR è implicato nell’auto-associazione delle molecole di galectina-3 attraverso il CRD in assenza di ligandi saccaridici (Yang et al., 1998). Il CRD della galectina-3 mostra una topologia identica e una struttura tridimensionale molto simile a quella riportata per i CRD delle galectine 1 e 2 che sono omodimeriche, con i quali condivide il 20/25 % di omologia di sequenza. In modo simile alle galectine 1 e 2, il CRD della galectina-3 è organizzato in due foglietti β antiparalleli di 5 (F1-F5) e 6 filamenti (S1-S6a/b) che si organizzano in una struttura a β-sandwich (Seetharaman et al., 1998) (figura 3.5). L’interazione del CRD della galectina con i carboidrati prevede un cambiamento conformazionale e un riarrangiamento dei loops presenti in vicinanza del sito di legame (figura 3.6) (Umemoto et al., 2003).

(35)

32

Benché si possa pensare che il dominio CRD non sia coinvolto nel legame con gli AGE (advanced glycation endproducts), in quanto tale interazione non viene inibita dal lattosio (Mercer et al., 2004), sembra che il CRD possa contenere il principale sito di legame per gli AGE, che normalmente nella galectina intera viene nascosto dal dominio N-terminale, poiché dati sperimentali hanno mostrato che il solo dominio CRD presenta una maggiore affinità per gli AGE rispetto alla proteina intera (Dumic et al., 2006). Vi sono numerosi ligandi della galectina-3. Con alcune glicoproteine la galectina-3 interagisce attraverso un terminale N-acetillattosaminico, ma è anche in grado di interagire con svariate molecole non glicosilate, tramite interazioni proteina-proteina (Dumic et al., 2006).

3.2.3. Localizzazione e funzioni della Galectina-3 Generalità

La galectina-3 è stata identificata nel nucleo, citoplasma e nello spazio extracellulare; ha ruolo importante nella regolazione dell’apoptosi, motilità cellulare e nella crescita delle cellule T e in più risulta implicato nella progressione tumorale del cancro alla tiroide (Chiu et al., 2010).

Figura 3.5: Struttura cristallina a raggi X

del CRD della gal-3 umana ad una risoluzione di 2,1 ANGSTROM.

Figura 3.6: Struttura in soluzione

della porzione C-terminale della gal-3 in assenza di ligando (in verde) comparata con la struttura cristallina ai raggi X legata a LacNAc (in violetto).

(36)

33

Come tutte le galectine anche la galectina-3 mostra un pattern di espressione specifico per cellule e tessuti.

La galectina-3 è sintetizzata su ribosomi liberi nel citoplasma ed è priva della sequenza segnale per la traslocazione nel reticolo endoplasmatico. Infatti, le galectine presentano un meccanismo di secrezione completamente nuovo, indipendente dal sistema reticolo endoplasmatico/Golgi, e che dipende invece dalla presenza della porzione N-terminale (Krześlak & Lipińska, 2004).

L’accumulo sul versante citoplasmatico della membrana plasmatica della galectina-3 è lo step limitante affinché avvenga la secrezione della proteina; si osserva, quindi, una sorta di estroflessione della membrana nel punto di accumulo della proteina e il rilascio di vescicole extracellulari che proteggono la gal-3 dalla proteolisi (Baptiste et al., 2007; Krześlak & Lipińska, 2004).

La lisi delle vescicole rilasciate per via esosomiale permette il rilascio delle proteine che legano così i ligandi esposti sulla superficie delle cellule o componenti della matrice extracellulare quali laminina, fibronectina, elastina e collagene IV (Dumic et al., 2006).

Per quanto riguarda la localizzazione nucleare, è stato invece suggerito che la galectina-3 si comporti come una proteina shuttle tra il nucleo e il citoplasma, ossia che si muova attraverso il complesso del poro nucleare sulla base di sequenze segnale riconosciute dalle importine ed esportine (Haudek et al., 2010).

La traslocazione della galectina-3 dal citoplasma al nucleo è attribuito al suo dominio N-terminale (Gong et al., 1999) nonostante alcuni studi suggeriscano anche l’implicazione del CRD (Gaudin et al., 2000). D’altra parte, invece, il trasporto della galectina-3 dal nucleo al citoplasma richiede la presenza di una specifica sequenza contenuta all’interno del CRD (Tsay et al., 1999).

Questa differente localizzazione all'interno della cellula risulta essere importante e significativa anche per lo svolgimento delle funzioni della proteina (figura 3.7).

(37)

34

Figura 3.7: Ruoli e localizzazione della gal-3.

I numerosi ligandi con cui la galectina-3 interagisce all’interno della cellula ne fanno una molecola in grado di regolare diversi processi cellulari quali proliferazione, differenziazione, sopravvivenza e morte cellulare; si tratta perlopiù di interazioni di tipo proteina-proteina piuttosto che di tipo lectina-glicoconiugato (Krześlak & Lipińska, 2004) (figura 3.8).

(38)

35

La galectina-3 citoplasmatica può interagire con Bcl-2 inibendo in questo modo l’apoptosi, ma è in grado di interagire anche con K-RAS legata al GTP (Elad-Sfadiaet al., 2004) ed influenzare il signaling di AKT mediato da RAS (Oka et al., 2005).

E’ stato dimostrato che la galectina-3 è in grado di interagire con Gemin4 (Park et al., 2001), un componente del complesso macromolecolare conosciuto come complesso di sopravvivenza dei motoneuroni SMN (survival motor neuron) (Charroux et al., 2000).

Questo complesso funziona sia nel nucleo che nel citoplasma: nel citoplasma media l’assemblaggio di piccole particelle ribonucleoproteiche nucleari (snRNP) mentre nel nucleo dirige le snRNPs a livello del pre-mRNA durante i primi stadi di formazione dello spliceosoma (Davidson et al., 2002).

Il ruolo extracellulare della galectina-3, come rappresentato schematicamente nella figura 3.8 risulta molteplice e complicato; qui svolge infatti funzioni di ancoraggio, angiogenesi e metastatizzazione.

(39)

36

Galectina-3: trasformazione neoplastica e metastasi

Il processo di trasformazione neoplastica avviene attraverso l’accumulo successivo di mutazioni a carico dei geni che governano la proliferazione cellulare e la morte cellulare programmata (apoptosi). Le alterazioni che portano alla trasformazione maligna possono essere raggruppate secondo alcune caratteristiche essenziali: la capacità di proliferare indipendentemente dalla presenza di fattori di crescita (attivazione oncogeni); l’insensibilità ai segnali antiproliferativi (inattivazione degli oncosoppressori); la capacità di sfuggire ai segnali apoptotici, favorenti la morte cellulare; la capacità di divisioni cellulari illimitate; la capacità di stimolare la produzione di nuovi vasi sanguigni (neoangiogenesi); la potenzialità di colonizzare sedi distanti dall’insorgenza (metastasi).

Evidenze sperimentali hanno dimostrato che la sovraespressione della galectina-3 promuove la trasformazione neoplastica.

Era stato osservato, infatti, che l’inibizione dell’espressione della galectina-3, mediante cDNA antisenso in cellule di carcinoma papillare tiroideo umano, risultava in una soppressione della crescita cellulare indipendentemente dall’ancoraggio (Yoshii et al., 2001).

Tuttavia, la trasfezione di cDNA di galectina-3 in cellule follicolari della tiroide normali portavano ad un’alterazione dell’espressione genica, perdita dell’inibizione da contatto e crescita indipendentemente dalla presenza di siero (Takenaka et al., 2003). È stato possibile concludere che il mantenimento del fenotipo tumorale dei tireociti è strettamente associato all’espressione della galectina-3.

Il meccanismo molecolare che sta alla base di questo processo di trasformazione mediato dalla galectina-3 è stato attribuito, in parte, all’interazione tra la galectina-3 e l’oncogene K-RAS (Elad-Sfadia et al., 2004). Tale interazione promuove l’attivazione costitutiva del fosfoinositolo 3-kinasi dipendente da RAS e l’attivazione di RAF-1 (Newlaczyl & Yu, 2011).

La localizzazione nucleare della galectina-3 fa presupporre un’interazione molto stretta tra galectina-3 e DNA e quindi un ruolo della galectina nella regolazione dell’espressione genica. Lin e collaboratori (2002) hanno cercato di comprendere la

(40)

37

funzione della galectina-3 nelle cellule epiteliali di tumore al seno. A livello del promotore della ciclina D, che è un importante regolatore del ciclo cellulare, gal-3 incrementa e stabilizza l’interazione dei fattori di trascrizione CREB ed SP1 ai rispettivi siti di legame, promuovendo in questo modo l’attivazione della trascrizione della ciclina D. Dal momento che i siti CRE ed SP1 sono stati ritrovati anche nelle regioni promotrici di molti geni, verosimilmente si può ritenere che la galectina-3 possa modulare la trascrizione anche di altri geni quali la ciclina A, p21WAF1/CIP1 e p27KIP1, mentre down-regola l’espressione della ciclina E (Kim et al., 1999).

L’up-regulation della galectina-3 e la sua traslocazione nel nucleo si verifica nelle cellule proliferanti, suggerendo una funzione nella normale crescita cellulare (Yang et al., 1998). La galectina-3 è risultata sovraespressa anche nel compartimento nucleare delle cellule proliferanti di carcinoma papillare alla tiroide. Qui gal-3 stimola l’attività trascrizionale del fattore di trascrizione 1 (TTF-1) specifico della tiroide, contribuendo in questo modo all’elevata capacità proliferativa di queste cellule (Paron et al., 2003) (figura 3.10).

Riferimenti

Documenti correlati

La prima parte di questo progetto è stata focalizzata sul sequenziamento - mediante RNA-Seq – di 22 RNA isolati da biopsie di tiroide (18 tiroidi affette

I primi studi sulla presenza simultanea di entrambi i carcinomi furono pubblicati agli inizi degli anni ‘80 del secolo scorso, da allora sono stati condotti diversi studi per

However, the twentieth century debate criticized the reduction of the metaphor to a simple substitution of a literal term, instead assigning to it a cognitive function: today,

L’impiego della TC per lo studio della ti- roide nel gatto affetto da ipertiroidismo è stato proposto come alternativa alla medicina nucleare nel caso in cui non sia disponibile

ATTORI INDICE DI CENTRALITA’ Comune di Milano Municipio 5 Cittadini / Residenti Operatori economici Associazioni e comitati di quartiere C=3/8 = 0,375 C=4/8 = 0,500 C=2/8 = 0,250

Non è semplice comprendere come la società consideri gli infermieri, tuttavia le diverse prospettive di osservazione dell’immagine infermieristica ritratta o percepita

toes to remove the charm components are not applied, using instead a cut around the J/ψ and K ∗0 masses. The result of the fit to the ppK + K − invariant mass is shown in fig.. A

The conclusion is that computing the roots of a polynomial by first forming the associated compan- ion pencil A − λB and then solving Ax = λBx using the QZ algorithm provides