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Benessere psicologico e qualita' della vita in pazienti con stomia digestiva: stato dell'arte e risultati di uno studio osservazionale

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Indice generale

Riassunto...3

Introduzione...4

PARTE I Benessere psicologico e qualità della vita in pazienti con stomia digestiva: lo stato dell'arte 1.1La stomia digestiva: cenni introduttivi...8

1.2 Benessere psicologico e qualità della vita nel paziente con stomia digestiva...9

1.3 Benessere psicologico...12

1.4 Qualità della vita...16

1.5 Strategie di coping...22

1.6 Adattamento familiare e di coppia ...27

1.7 Alessitimia...33

PARTE II Ricerca descrittiva del benessere psicologico e della qualità della vita in pazienti con stomia digestiva provvisoria o definitiva, in patologie croniche intestinali ed in patologie addominali neoplastiche. 2.1 La prima esperienza da psicologa: l’ambulatorio pazienti stomizzati………..40

2.2 Motivazione dello studio...42

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2.4Disegno dello studio...45

2.5 Dimensione e caratteristiche del campione...46

2.6 Metodologia...47

2.7 Materiali e Metodi...49

2.8 Analisi dei risultati...52

2.8.1Descrizione dei dati: scheda anagrafica...53

2.8.2 Descrizione dei dati: assessment psicologico...61

2.8.3Descrizione dei dati:correlazioni tra variabili...68

2.9 Limiti della ricerca……….84

2.10 Conclusioni...84

Bibliografia...87

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L’influenza della stomia sul benessere e sulla qualità della vita sembra raffigurarsi come esempio emblematico della necessità di valutare l’esito degli atti chirurgici non solo in termini di recupero dello stato fisico di salute, ma considerandone l’impatto sulla vita dell’individuo in tutti i suoi aspetti. L’analisi bibliografica delle ricerche su pazienti con stoma intestinale, ha evidenziato che gli studi sul funzionamento psicosociale in tale particolare condizione, lasciano spazio ad ulteriori approfondimenti. Sono, infatti, emersi aspetti dell’adattamento allo stoma ancora meritevoli di essere indagati; in particolare, fattori psicosociali quali le strategie di coping utilizzate per affrontare l’evento, le reazioni emozionali alla modificazione fisica e l’impatto della stomia sulla vita di relazione. Appare anche meritevole di indagine la possibile correlazione i diversi tipi di stomia e il vissuto del paziente. Al fine di indagare gli aspetti ancora aperti della questione, si è proceduto all’elaborazione di un protocollo di ricerca, sottoposto all’approvazione del Comitato Etico dell’Azienda Ospedaliera-Universitaria Pisana, e alla successiva indagine del benessere psicologico e della qualità di vita nei pazienti, nelle quattro settimane successive all’intervento, osservando se il diverso tipo di stomia possa influenzarne lo stato psicologico. I risultati descritti fanno riferimento allo studio pilota, pertanto l’analisi statistica risente della ridotta numerosità campionaria, soprattutto per quanto riguarda la suddivisione in sottogruppi. Dai dati a nostra disposizione, sembra possibile concludere che la presenza di stomia influenzi lo stato psicologico, determinando livelli variabili di distress e alterazioni nella qualità di vita; la presenza di alessitimia risulta essere un fattore aggravante.

5 Parole Chiave: colostomia, ileostomia, neoplasia intestinale, assessment psicologico, relazione di coppia.

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Introduzione

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ricondotta a variabili cliniche (mortalità post-operatoria, morbilità precoce o tardiva e sopravvivenza libera da malattia), in una prospettiva specificatamente biologica legata al concetto di “ritorno dei parametri entro la norma”. Tale approccio sembra messo in discussione dalla crescente importanza accreditata alla qualità della vita del paziente, soprattutto nel post-operatorio, dove si richiede un intervento integrato.

Introdurre la misurazione del benessere e della qualità della vita del paziente, a completamento e supporto degli studi clinici, potrebbe permettere di considerare la prospettiva del paziente come strumento aggiuntivo nei processi decisionali.

Scopo della tesi è, dopo una disamina della letteratura inerente lo stato psicologico e la qualità della vita nei soggetti portatori di stomia, compiere una valutazione sperimentale delle stesse variabili in pazienti con stomia digestiva. Lo scopo del presente lavoro è quindi quello di studiare più accuratamente lo stato psicologico e la qualità della vita in pazienti con stomia digestiva (colonstomia e ileostomia) in fase post-operatoria (entro quattro settimane dall'intervento), valutando la possibile relazione esistente fra variabili psicologiche analizzate (benessere psicologico, qualità della vita, alessitimia, modalità di coping, adattamento di coppia, le eventuali differenze legate al tipo di stoma (colostomia o ileostomia) e al tempo di permanenza della stomia (provvisoria o definitiva).

Verificare l’entità e la direzione della correlazione tra le variabili potrebbe permettere di ipotizzare un intervento psicologico nel periodo pre e post-operatorio, che miri alla riduzione e al controllo di quei fattori che risultano incidere negativamente sull'adattamento allo stoma e conseguentemente sulla qualità della vita.

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costituire uno tra gli esempi più diretti di come gli atti chirurgici non possano essere valutati soltanto nel momento operatorio o immediatamente postoperatorio, ma debbano essere visti in rapporto alla vita del paziente successivamente all’evento chirurgico. La stomia, nelle sue diverse forme, potrebbe creare problematiche psicosociali, e quindi limitazioni nella vita sociale e relazionale, ma anche in quella lavorativa. La letteratura in merito, tuttavia, si occupa prevalentemente del benessere in termini di presenza/assenza di sintomi che inficino le attività quotidiane, o studia le diverse variabili psicologiche senza valutarne le possibili correlazioni. Inoltre, gli studi che si occupano specificatamente della qualità della vita nei pazienti con stomia, sembrano rivolgersi prevalentemente alla chirurgia oncologica, sebbene la stomia si presenti frequentemente anche come conseguenza di patologie non neoplastiche e non tengono quindi conto che essa possa essere influenzata dalla patologia che ne determina il confezionamento.

In tale prospettiva, la valutazione del benessere psicologico e della qualità della vita del paziente potrebbero configurarsi come sostanziale integrazione ai tradizionali protocolli della clinica post-operatoria.

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PARTE I

Benessere psicologico e qualità della vita in pazienti con stomia

digestiva: lo stato dell'arte.

1.1 La stomia digestiva: cenni introduttivi

L'Associazione Italiana Operatori Sanitari di Stomatoterapia (A.I.O.S.S), nell'edizione del 2013 della brochure destinata all'informazione/educazione dei pazienti e dei loro familiari, definisce la stomia digestiva come il risultato

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di un intervento chirurgico con il quale si crea un'apertura sulla parete addominale, attraverso la quale è portato all'esterno un tratto di intestino che viene suturato alla cute. Le stomie sono identificate in base al tratto d’ intestino che viene utilizzato per realizzarle (colon/ileostomia) e in rapporto alla sede della parete addominale su cui sono ancorate (destra o sinistra). I diversi tipi di stoma riflettono quindi gli approcci chirurgici opportunamente adottati in base alla situazione clinica del paziente e possono presentarsi come soluzioni temporanee o permanenti.

L' ileostomia è il confezionamento chirurgico di una stomia a livello dell'intestino tenue (ileo), la colonstomia invece è realizzata con un tratto d’intestino crasso (colon).

L'intervento si rende necessario in caso di neoplasia, poliposi, malattie croniche come rettocolite ulcerosa e Morbo di Crohn, malformazioni congenite, perforazioni ed occlusioni di varia natura. Il risultato prevede che il materiale fecale venga emesso attraverso la stomia, che essendo priva di sfintere, non è in grado di controllarne volontariamente l'emissione. Per questo motivo viene applicata sullo stoma una sacca di raccolta, posizionata all'esterno dell'addome, la cui gestione sarà poi a carico del paziente. Il dispositivo di raccolta costituisce la soluzione che permette di raccogliere le feci che fuoriescono dallo stomaIn rapporto al D.M. del 30.05.84 e successivamente dal D.M. n.332 del 27.08.99, il Ministero della Sanità salvaguardia le quantità delle protesi ottenibili gratuitamente e la libera scelta dell'ausilio protesico. E' sufficiente la prescrizione del medico competente a garantire la fornitura gratuita su tutto il territorio nazionale. In seguito alla modifica apportata dal D.L. n 183 del 08.08.01, infatti, non è più necessaria la richiesta di invalidità. Tale riconoscimento tuttavia consente, se la situazione lo rende necessario, di fruire di agevolazioni lavorative, dell'indennità di accompagnamento, di detrazioni fiscali, di esenzioni

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inerenti il codice della strada ed eventuale pensione di invalidità nei casi più severi.

1.2 Benessere psicologico e qualità della vita nei pazienti con stomia digestiva

Il paziente portatore di stomia digestiva si trova suo malgrado a dover accettare di continuare a vivere senza un tratto di intestino, che comporta l’assenza del controllo di una funzione fisiologica fondamentale nello sviluppo psicofisiologico di ogni individuo, fin da bambino. Si rende necessario inoltre, imparare a controllare funzioni normalmente autonome con l’ausilio di protesi posizionate all'esterno dell'addome, ove confluiscono le feci non più trattenibili. Anche se l'evoluzione tecnologica e l'impiego di materiali sempre più innovativi hanno permesso notevoli migliorie sia all'applicazione chirurgica sia alla gestione igienico-sanitaria, l'apparato protesico è spesso vissuto dal paziente come un handicap. Come evidenziano De Salvo e Tissot (2001), la possibilità di rottura o di distacco della sacca, la probabilità di provare fastidio o dolore, la difficoltà di nasconderne la presenza sotto i vestiti o gli eventuali rumori che essa può produrre, generano condizioni di ansia che si riscontrano spesso nel periodo successivo al confezionamento dello stoma.

Nel 2011, Batista e colleghi analizzano nuovamente il tema della sacca di raccolta, ed evidenziano come il rapporto dei pazienti con la protesi sia intriso di sentimenti negativi, in quanto la presenza del dispositivo apporta numerosi cambiamenti nella sfera fisica, psicologica e sociale dell'individuo. Studi precedenti hanno indicato il primo periodo post-operatorio come momento molto delicato per il paziente, durante il quale deve affrontare l’accettazione di sé in tali nuove condizioni di vita. La menomazione, perché

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come tale il soggetto la vive, richiede un ingente adattamento psico-fisico, che sollecita risorse individuali e del contesto di riferimento (Giovannini et al.,1982).

Odgen (2004) critica l'approccio più diffuso con il quale si valuta la qualità della vita, poiché si concentra prevalentemente sull'analisi del funzionamento quotidiano (prospettiva dei bisogni), ponendo minor attenzione alla soddisfazione ed al benessere (prospettiva dei desideri), che egli ritiene al contrario elemento fondamentale. In letteratura inoltre, l'indagine sulla qualità della vita del paziente stomizzato sembra rivolgere il suo interesse al confezionamento di stomia a seguito di cancro al colon retto, con l'utilizzo di strumenti opportunamente adattati al paziente con patologia neoplastica. Scarsi sono gli strumenti per la valutazione della qualità della vita nel paziente stomizzato, indipendenti dalla patologia, sebbene la stomia si presenti frequentemente anche come conseguenza di patologie non neoplastiche; l'accettazione dello stoma potrebbe essere influenzato dalla patologia che ne determina il confezionamento.

Una definizione essenziale sulla quale concordano la maggior parte dei ricercatori è che la qualità della vita (Quality of Life, QoL) rappresenti il soggettivo benessere del paziente nella sua sfera fisica, psicologica e sociale (Koller et al. 2000). Partendo da tale definizione, il passo successivo sembra essere l'identificazione delle variabili che la possono influenzare. Koller (1996, 1999, 2000), ha ampiamente indagato la qualità della vita nei pazienti neoplastici, rilevando come variabili comunemente analizzate in campo medico, quali età, sesso, parametri ematochimici, stadio del tumore, tipo d'intervento o il giudizio del medico, abbiano una bassa correlazione con la QoL riportata dal paziente. Diversamente, variabili che descrivono più specificatamente la sfera somatica, psicologica e sociale, come il dolore, gli affetti personali, il contesto familiare, la vita lavorativa e le aspettative per il

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futuro, sembrano maggiormente coinvolte con la qualità della vita (Koller et al.,1996; Koller et al. 1999; Koller et al., 2000).

In tale prospettiva, gli studi sul funzionamento psicosociale dei pazienti con stomia sembrano lasciare spazio ad ulteriori approfondimenti.

In letteratura, i pochi studi che si occupano della relazione tra coping e qualità della vita nei pazienti stomizzati, sembrano indicare come variabili predittive positive, l'utilizzo di strategie di coping adattive, senza però fornire ulteriori specificazioni (Krouse et al., 2009).

L'adattamento psicologico allo stoma potrebbe inoltre essere influenzato dalla percezione di auto-efficacia e dalla qualità delle relazioni interpersonali, in particolar modo quelle con il partner (Simmons et al., 2007). Gli studi che indagano le reazioni dei coniugi di pazienti stomizzati, riportano infatti la necessità di includere il partner nel processo di cura e riabilitazione (Northouse et al., 1999; Persson et al.,2004).

Diversi studi associano la presenza di stomia a difficoltà sessuali. Anche laddove la funzionalità fisiologica è intatta, le modificazioni corporee e la paura di essere rifiutati dal partner, comportano una minore attività sessuale (Zenico et al., 1989). Le disfunzioni sessuali riguardano maggiormente la popolazione non anziana, mentre con l'aumentare dell'età risultano incrementati i disturbi psicologici (Sisto et al., 1992).

Studi recenti evidenziano come le relazioni tra rapporti sociali ed esiti emozionali dipendano anche da caratteristiche individuali quali l'alessitimia (Boinon et al.,2012), ossia la difficoltà nell'identificare, descrivere le emozioni e distinguere gli stati emotivi dalle percezioni fisiologiche. L' alessitimia sembrerebbe essere associata a coping disadattivo e disregolazione affettiva (Taylor et al., 1997), risultando una variabile predittiva negativa nella

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promozione della salute e nel controllo della malattia (Koiima, 2012; De Vries et al., 2012).

Fornita una sintetica analisi bibliografica in merito all'interesse rivolto al paziente portatore di stomia, è opportuno approfondire la revisione della letteratura pertinente allo studio delle variabili sopra citate, che sembrano essere coinvolte nello stato psicologico del paziente portatore di stomia: qualità della vita, benessere psicologico, strategie di coping, adattamento di coppia e alessitimia.

1.3 Benessere psicologico

Il benessere psicologico è ormai riconosciuto come parte integrante della salute. La stessa OMS, sin dal 1948, si fa assertrice di un concetto di salute che implica “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non solo assenza di disagio o malattia” (WHO, 1948). Secondo la definizione dell’OMS, il benessere psicologico è quello stato nel quale l'individuo è in grado di sfruttare le sue capacità cognitive o emozionali per rispondere alle esigenze della vita di ogni giorno, stabilire relazioni soddisfacenti e mature con gli altri, adattandosi costruttivamente alle condizioni esterne e ai conflitti interni. Si afferma quindi il definitivo passaggio da un modello “biomedico” ad un modello “biopsicosociale” di malattia (Engel, 1977). Il primo, riduzionistico, ritiene che la malattia sia una deviazione dalla norma di variabili biologiche misurabili, indipendente da variabili sociali. Il modello “biopsicosociale” invece si presta non solo all’idea di prevenzione, ma anche di promozione della salute: ha, infatti, un ' impostazione sistemica, che integra in un'ottica multidisciplinare aspetti biologici, psicologici e sociali (Zani e Cicognani, 2000).

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portata innovativa del passaggio avvenuto negli anni Ottanta dall’ Health Protection all’Health Promotion. La prima consiste nel salvaguardare il maggior numero possibile di persone dalle minacce che potrebbero attentare alla loro salute; la seconda, nel condurre le persone a compiere scelte ragionate che migliorino la loro salute fisica e mentale. Tuttavia, secondo Ryff e Singer (1998), gli indici di salute nella nostra società continuano ad essere focalizzati in larga parte sul disagio, sulla malattia e sul funzionamento negativo. Anche le ricerche epidemiologiche sono spesso indirizzate alla misurazione della mortalità e della morbilità nella popolazione, piuttosto che alla quantificazione del benessere e del funzionamento positivo.

Le definizioni proposte per chiarire il concetto di benessere psicologico sono molteplici. Conti (2001), ne distingue diverse categorie: 1) il benessere si fonda sulla valutazione globale della qualità della vita dell'individuo secondo i propri criteri soggettivi; 2) il benessere psicologico è un giudizio globale che le persone formulano comparando i loro affetti negativi con quelli positivi; 3) il concetto di benessere psicologico si associa a diverse componenti psicologiche: ad esempio Rosemberg cita l’autostima, Scheier e Carver l’ottimismo, Lawton gli stati d’umore positivi, Levenson il locus of control e Antonovsky il senso di coerenza (Conti, 2001). In campo clinico il benessere psicologico è stato interpretato come assenza di sintomatologia legata a depressione, ansia ecc.

Un ampio interesse si è sviluppato inoltre intorno al ruolo della percezione di autoefficacia nella promozione della salute e del benessere della persona. Le convinzioni di autoefficacia personale sembrano infatti giocare un ruolo cruciale nell'adattamento psicologico, nella salute fisica e psichica (Maddox, 2005). Bandura (1997) definisce l'autoefficacia come l'insieme delle credenze circa le proprie capacità di eseguire determinate azioni e di raggiungere

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determinati livelli di prestazione, in specifici compiti o ambiti di vita. Soprattutto dalla ricerca sperimentale provengono conferme dell'importante ruolo della percezione di autoefficacia in relazione alla gestione dello stress: innalzare o abbassare la competenza percepita ed il senso di controllo, determinare una variazione nell'attivazione del sistema nervoso autonomo e di alcuni parametri immunitari. Favorisce inoltre l'adozione ed il mantenimento di comportamenti che favoriscono il benessere, specialmente in caso di patologie croniche o in alcune neoplasie (Steca, 2006). In questa prospettiva, il gruppo di ricerca diretto da Bekker (1996), ha utilizzato uno studio prospettico per valutare il ruolo dell'autoefficacia nell'adattamento psicosociale dopo chirurgia intestinale esitata in stoma: è stata valutata la percezione di autoefficacia a distanza di una settimana dall'intervento ed è stato misurato l'adattamento psicosociale allo stoma a distanza di quattro e dodici mesi. Gli autori rilevano che l'autoefficacia subito dopo l'intervento, correla con un minor numero di problemi di adattamento psicosociale nel primo anno post-operatorio. Se i pazienti si aspettano di essere in grado di prendersi cura autonomamente della propria stomia, l'adattamento post-operatorio ne trae beneficio. Ne emerge quindi l'indicazione a favorire lo sviluppo dell'autoefficacia nei pazienti, sia in fase pre-operatoria che nell'immediato post-intervento, per migliorare la qualità della vita e ridurre l'onere sociale e sanitario che si crea come effetto del trattamento della malattia.

Appare ormai evidente che a seguito del confezionamento di uno stoma i soggetti riferiscono difficoltà fisiche e psicologiche. Poco è noto sull'influenza della diagnosi che conduce al confezionamento della stomia, in relazione al grado di accettazione dello stoma. Secondo Krouse (2007), la colonstomia ha un impatto negativo sulla qualità della vita dei pazienti, con preoccupazioni che riguardano l'incontinenza, la difficoltà a tornare a lavoro, le difficoltà

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sessuo-relazionali,le difficoltà nell'affrontare viaggi o nel vivere liberamente il tempo libero. Ciò che secondo l'autore non è stato indagato, è il confronto tra popolazione neoplastica e non neoplastica. In uno studio del 2007, ha quindi valutato 599 soggetti con colonstomia, di cui parte con diagnosi neoplastica (prevalentemente cancro al colon-retto) e parte con patologia cronica intestinale. Dai risultati emersi si conclude che i malati di cancro presentano minori difficoltà nell'adattamento allo stoma, benché le difficoltà riportate siano le stesse in entrambi i gruppi Krouse et al., 2007).

L'adattamento psicosociale allo stoma, potrebbe influenzare anche la sopravvivenza o l’aggravamento di malattia dopo intervento chirurgico per carcinoma del retto o per malattia infiammatoria intestinale. In uno studio prospettico, si sono valutati l'adattamento psicosociale e la sopravvivenza a 4 anni dall'intervento, in 59 soggetti stomizzati e 64 non stomizzati. L'adattamento è stato valutato a quattro mesi, un anno e quattro anni dall'intervento. Dai risultati emerge che coloro che presentavano livelli di adattamento più bassi nella valutazione a quattro mesi dall'intervento, avevano un rischio significativamente più alto di drop-out per l'aggravarsi della patologia o per decesso (Bekker et al. 1997).

Il concetto di benessere psicologico inoltre, sembra essere strettamente interconnesso con quello di qualità della vita, soprattutto in riferimento alla qualità di vita nella malattia (Healh-related QoL,HRQOL), ossia al “giudizio personale nel quale si condensano le caratteristiche positive e negative del proprio benessere psicologico, fisico, sociale e spirituale in un momento della vita in cui hanno rilievo le condizioni di salute, di malattia ed i trattamenti” (Padilla et al. 1996 ).

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1.4 Qualità della vita

La medicina moderna, grazie ai suoi progressi, pur consentendo il trattamento di un numero crescente di pazienti e di malattie, hanno creato, altresì, l'aumento di pazienti cronici non suscettibili di trarre vantaggio anche dalle più sofisticate metodiche. In molte patologie, l’aumento della sopravvivenza è raggiunto con elevati costi in termini di effetti indesiderati o di invalidità funzionale. Dal punto di vista economico, inoltre, lo sviluppo tecnologico verificatosi negli ultimi decenni ha comportato un incremento della spesa pubblica relativa all’assistenza sanitaria, e la necessità di contenere tali costi ha spinto le autorità a richiedere misure oggettive degli standard di cura e documentazione della reale efficacia dei trattamenti. Da un punto di vista socio-culturale, invece, si è fatta strada la richiesta di una maggiore attenzione per gli aspetti qualitativi della vita, la richiesta di poter vivere la gravità e/o la cronicità delle proprie malattie ad un livello di vita qualitativamente più soddisfacente. Se, infatti, è importante salvare, o prolungare, la vita delle persone, è altrettanto importante che queste siano messe nelle condizioni di vivere una vita dignitosa.

L'interesse crescente rivolto alla qualità della vita (QoL), ha reso necessario ricercare modelli esplicativi del costrutto.

L’OMS (1995) prende in considerazione numerose variabili tra loro correlate, dalla salute fisica allo stato psicologico del soggetto, dal livello di autonomia ai rapporti sociali, dalle credenze personali al rapporto con l’ambiente nel quale l'individuo vive. Ne risulta che la QoL può essere considerata come “ la percezione che ciascuna persona ha della propria posizione nella vita, nel contesto dei sistemi culturali e di valori nei quali è inserito e in relazione alle proprie finalità, aspettative, standard ed interessi”(WHO, 1995).

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il numero e la natura delle dimensioni che contribuiscono a definirlo. Un primo tentativo di individuare un quadro tassonomico di queste dimensioni è quello di Flanagan (1978) che ha individuato 5 aree (benessere fisico e materiale, relazioni con gli altri, attività sociali, comunitarie e civiche, realizzazione della propria crescita e svaghi). La WHO, invece, ha costruito la scala di valutazione della Quality of Life (WHOQOL) (WHOQOL Group, 1995), basandosi sull’individuazione di 6 aree (fisica, psicologica, livello di

indipendenza, relazioni sociali, ambiente e

spiritualità/religione/convinzioni personali).

Le differenze aumentano ancora quando il concetto generale di QoL si cala nello specifico delle diverse condizioni morbose; per questo, nella valutazione della QoL si sono distinti due livelli di indagine: il primo prende in considerazione la QoL in generale (overall quality of life - OQOL o global quality of life – GQOL), il secondo fa riferimento alle condizioni di salute (health-related quality of life – HRQOL). Quest'ultima è primariamente in rapporto con i fattori che fanno parte del sistema salute/malattia e che sono oggetto dell’interesse medico-assistenziale. In termini generali, la valutazione della HRQOL rappresenta il tentativo di determinare come le variabili che fanno parte della dimensione “salute” correlino con quelle dimensioni della vita che sono state riconosciute come importanti nella popolazione generale (HRQOL generica) o per i soggetti affetti da una particolare malattia (HRQOL specifica). Gli strumenti che valutano la HRQOL pongono l’accento sull’effetto della malattia in generale o di una particolare patologia (solitamente malattie croniche, somatiche e psichiche) sul funzionamento fisico, sociale, emotivo e cognitivo (Conti, 2000).

Negli ultimi decenni, alcuni gruppi di ricerca internazionali hanno concentrato i propri studi sullo sviluppo di questionari standardizzati, elaborando indipendentemente strumenti di misurazione della HRQOL

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I questionari maggiormente utilizzati nella ricerca clinica in chirurgia sono: l’EORTC QLQ-C30 (European Organization for Research and Treatment of Cancer, Bruxelles, EU) (Aaronson et al., 1993; Fayers et al. 2002) e il FACT ( Functional Assessment of Cancer Treatment, Chicago, USA) (Cella et al., 1993) specifici per i pazienti neoplastici. L'EORTC-QOL ha una versione base, composta da trenta items, che può essere integrata con moduli specifici per il tipo di tumore. Il FACT è un questionario autovalutativo, composto da 29 items, che valuta il benessere fisico, sociale, psicologico, funzionale e le relazioni con il medico. Sono a disposizione, oltre alla forma generica (FACT-G), versioni specifiche per diverse forme tumorali.

Storicamente la scala più nota è la SF-36 (Short Form Health Survey 36), (RAND Corporation, Santa Monica, USA) (Apolone et al.,1998), impiegata anche per pazienti con patologie benigne. L’SF-36, valutando lo stato di salute in generale, è uno strumento che si presta tanto per studi nella popolazione generale che ad indagini trasversali o longitudinali su patologie specifiche e sui trattamenti

Koller (2000) tuttavia mette in guardia dall'utilizzare i dati che emergono dalla valutazione della qualità della vita nella popolazione clinica. Nell’interpretazione dei risultati, è necessario, secondo l'autore, porre attenzione a particolari atteggiamenti psicologici del paziente, quali il rifiuto della malattia o l’aspettativa di guarigione, che possono influenzare sensibilmente la QoL percepita ( Koller et al.2000). Secondo altri autori, sono variabili quali il contesto socio-culturale, familiare, o più in generale gli affetti personali, che possono avere un effetto estremamente positivo sulla QoL, a dispetto della progressione della malattia neoplastica (Fayers et al., 2000). È necessario però citare anche fenomeni “paradossali”: è esperienza dei clinici il fatto di esaminare pazienti in stadi avanzati di malattia che

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riportano, in modo del tutto inatteso, una buona QoL. Tale fenomeno è noto in letteratura come “well-being paradox” (Staudinger 2000).

Poste tali premesse, i risultati emersi dalla ricerca sulla QoL possono tuttavia fornire utili indicazioni per i processi decisionali, comprendendo anche la prospettiva del paziente.

La letteratura si concentra sulla qualità della vita in chirurgia oncologica: i pazienti affetti da cancro colon-rettale, rappresentano uno tra gli esempi più comuni di come la QoL possa essere influenzata da determinati atti chirurgici.

Gli aspetti della QoL maggiormente coinvolti in seguito a chirurgia colon-rettale, riguardano i sintomi gastrointestinali. Secondo Spanger (1995), nei soggetti con tumore del colon-retto, sia con stoma che senza lo stoma, la persistenza di modificazioni della funzionalità intestinale, non infrequenti dopo interventi al colon-retto, anche se a lungo sottostimate, possono creare gravi limitazioni al paziente. Sempre Spanger (1999), qualche anno dopo, utilizza il QLQ-CR38, e mette in evidenza come non solo la disfunzionalità intestinale, ma anche la fatica e le restrizioni dietetiche che il soggetto deve seguire, possono vincolare la vita dell'individuo.

Nel 2009 Siassi e Weiss, nel 2010 Pucciarelli e Del Bianco, studiando un campione di soggetti con cancro colonrettale, hanno rilevato che la qualità della vita in generale e la funzionalità fisica dei pazienti con tale tipo di tumore è comparabile a quella della popolazione generale. Tuttavia, compaiono importanti deficit nella funzionalità socio-relazionale, nonché nella regolazione emozionale,e limitazioni fisiche specifiche quali fatica, insonnia, alternanza di costipazione e diarrea. Tali nel loro insieme, sembrano indice di grave alterazione della qualità di vita nei soggetti con tale tipo di tumore.

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In linea con quelli precedentemente descritti, altri studi (Symms et al.,2008; Tsunoda et al., 2008) hanno evidenziato come in molti soggetti con tumore del colon-retto sia riportata buona salute generale, ma anche sofferenza fisica e alterazione della funzionalità sociale per periodi medio-lunghi. In particolare, sintomi fisici quali la riduzione di energia e la perdita di peso, insieme a difficoltà psicosociali e sintomi depressivi, possono persistere per molti anni e rimanere un problema, in quanto portano spesso all’isolamento ed alla diminuzione significativa e stabile della qualità di vita, anche per coloro che a lunga distanza, sono considerati clinicamente guariti (Krouse et al., 2009).

In uno studio nel 2013, Kosovan, valuta la qualità della vita in 155 pazienti con colonstomia, indagando la relazione tra complicanze post-operatorie, isolamento sociale e QoL. Nei 65 pazienti in cui si sono presentate complicanze post-operatorie si rilevano difficoltà nei rapporti sociali con pesanti ripercussioni sulla qualità della loro vita.

In uno studio iraniano del 2010, (Mahjoubi et al., 2010), la qualità della vita viene messa in relazione al posizionamento dello stoma. Nello specifico gli autori valutano 348 soggetti, di cui 174 con posizionamento dello stoma ritenuto corretto, e 174 che presentano complicanze relative alla sede della stomia. Il campione con sito stomale inappropriato mostra più frequentemente disfunzioni gastrointestinali, sessuali, dolore, fatica e insonnia. Alla valutazione con il EORT QLQ C30 ed il EORT QLO-CR38, questi soggetti mostrano punteggi significativamente inferiori all'altro gruppo.

Per quanto riguarda le possibili variazioni della Qol relative all'età, Orsini (2013), valutando la qualità della vita con il QLQ-C38 e l'SF-36 in pazienti anziani con colonstomia permanente, asserisce che in questa particolare

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fascia d'età lo stoma non inficia la qualità della vita dei soggetti. Anche le limitazioni sociali sembrano correlare negativamente con l'età dell'individuo (O’Leary et al.,2001; Fucini e Gattaie, 2008)

Altri aspetti che sembrano poter incidere sulla Qol dei pazienti, riguardano la mancanza di prospettive future (Koller etal.,1998) e le problematiche relative alla percezione modificata della propria immagine corporea, presenti sia in stomia provvisoria che definitiva (White et al., 1997).

1.5 Strategie di coping

Alcuni autori (Holahan e Moos, 1994; Klapow et. al., 1995), individuano nelle strategie di coping le dimensioni psicologiche principalmente coinvolte nel processo di adattamento a situazioni stressanti. Selye (1936) fu il primo ad aver riconosciuto che lo stress non è una condizione necessariamente patologica e negativa, ma una reazione in primo luogo adattativa, finalizzata a ristabilire o a mantenere l’equilibrio omeostatico. Lazarus e Folkman (1984) definiscono lo stress come la condizione derivante dall’interazione di variabili ambientali e individuali, mediate da variabili di tipo cognitivo. Quindi lo stress viene concettualizzato come qualcosa di dinamico, a carattere relazionale e compare per la prima volta il concetto di stress psicologico. Le Strategie di Coping sono, dunque, le modalità che definiscono il processo di adattamento ad una situazione stressante.

Quando si parla di coping ci si riferisce all’insieme degli sforzi cognitivi e comportamentali attuati per controllare specifiche richieste interne e/o esterne, valutate come eccedenti rispetto alle risorse della persona (Lazarus, 1991). Sulla base delle modalità di fronteggiamento attivate, Lazarus e Folkman distinguono due tipi di coping :1) emotion-focused coping (coping orientato alle emozioni), che consiste nella regolazione delle reazioni emotive

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negative conseguenti alla situazione stressante; 2) problem-focused coping (coping orientato al problema), rappresentato dal tentativo di modificare o risolvere la situazione che minaccia o danneggia l’individuo (Lazarus e Folkman, 1984; Lazarus, 1991.Endler e Parker (1990), partendo dal lavoro di Lazarus e Folkman, hanno individuato tre tipologie di coping predominanti: 1) task coping: una modalità di coping centrata sul compito, che si esprime nella tendenza ad affrontare il problema in maniera diretta, ricercando soluzioni per fronteggiare la crisi; 2) emotional coping: una strategia di coping centrata sulle emozioni; 3) avoidance coping: centrato sull’ evitamento, caratterizzato dal tentativo dell’individuo di ignorare la minaccia dell’evento stressante attraverso la ricerca del supporto sociale o impegnandosi in attività che distolgono la sua attenzione dal problema.

Brown e Nicassio (1987), indagano le modalità di coping dei pazienti con dolore cronico e propongono una formulazione alternativa rispetto a quella tradizionale, proposta da Lazarus e Folkman. I due autori descrivono strategie di coping attive e passive. Le prime sono caratterizzate dal tentativo del paziente di controllare il proprio dolore, o di mantenere un buon livello funzionale nonostante il permanere del dolore stesso; nelle seconde il paziente lascia il controllo del proprio dolore ad altri o permette che altre aree significative di vita vengano influenzate negativamente dal dolore. Da studi trasversali e longitudinali (Jensen et al.,1991) è emerso che l’impiego di strategie di coping attive è associato a livelli più bassi di severità del dolore, di depressione e di disabilità funzionale, rispetto all’impiego di strategie passive. In particolare gli studi sugli stili di coping nel corso di malattie croniche (Scharloo et al. 1998) hanno evidenziato che l’essere attivi, il pensare positivamente e l’esprimere le proprie emozioni correla positivamente con livelli di funzionamento significativamente più alti, con punteggi più positivi nelle misure cliniche della malattia e con migliori livelli di adattamento

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psicologico.

Wallston e collaboratori (1994), hanno costruito un questionario che prevede una gamma più ampia di strategie di coping, il Vanderbilt Multidimensional Pain Coping Inventory, che prende in considerazione: soluzione attiva del problema, distrazione dal problema, uso della religione, minimizzazione del problema, sfogo di emozioni negative, autocolpevolizzazione, isolamento e catastrofismo. Dall’applicazione di tale questionario gli autori hanno rilevato che le diverse strategie di coping, siano esse attive o passive, interagiscono tra loro nel determinare risultati positivi. L’adattamento alla malattia dipenderà quindi dall'interazione tra i diversi stili di coping e dalla situazione a cui essi viene applicata.

Aspinwall e Taylor (1997) hanno evidenziato come la letteratura abbia lasciato praticamente inesplorato il tema del coping proattivo (attuato cioè prima di incontrare potenziali eventi stressanti). Le due autrici sostengono che l’utilizzo di questo tipo di coping abbia importanti benefici in quanto minimizza l’ammontare complessivo di stress che il soggetto potrebbe incontrare; aumenta il numero di opzioni possibile per affrontare una situazione; consente di preservare risorse personali, quali tempo ed energia, agendo preventivamente. Un’attenzione particolare viene posta dalle autrici nell’analizzare sia il ruolo delle differenze individuali (come l’ottimismo, le credenze di controllo sugli eventi) sia quegli aspetti dell’ambiente che rendono più o meno probabile la realizzazione dei compiti proattivi. Quanto più le persone riescono a compensare, eliminare, ridurre o modificare gli eventi stressanti incombenti, tanto più il comportamento “proattivo” (o preventivo) può eliminare una notevole quantità di stress prima ancora che si verifichi. Questo tipo di comportamento richiede pianificazione, definizione di un obiettivo, organizzazione e capacità di elaborazione mentale.

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Il coping proattivo, fa riferimento all'utilizzo di risorse sociali, di strategie emotive positive ed include la scelta di obiettivi ed il loro perseguimento. Nel 2003 Greenglass e Schwaerzer, per la valutazione delle strategie di questo tipo di coping elaborano il Proactive Coping Inventory (PCI), che si articola in sette scale: coping proattivo, coping riflessivo, pianificazione stretegica, coping preventivo, ricerca del supporto emotivo, ricerca del supporto strumentale, coping evitante. Il PCI riconosce che l'efficienza del coping è tanto maggiore quanto più gli atteggiamenti, le emozioni gli aspetti cognitivi e quelli comportamentali sono coerenti con lo specifico contesto (Greenglass, 1998).

Poste queste premesse, appare evidente come la letteratura riconosca un ruolo fondamentale alle strategie di coping nell'adattamento alla malattia ed al suo trattamento. Strategie di coping basate sull' evitamento e/o sulla negazione , secondo Odgen (2004) si associano a effetti negativi per la salute, sia fisica che psichica. Confrontando le strategie di coping centrate sul problema con quelle centrate sull'emozione, le ultime si associano a maggiori livelli di distress (Odgen, 2004). Altri autori ritengono invece positivo l'utilizzo del coping evitante, soprattutto in specifiche condizioni patologiche, quali il dolore acuto .

Poche sono tuttavia le ricerche riguardo le strategie di coping utilizzate dal paziente con stoma.

In uno studio del 2009, Krouse, in un'intervista a 239 soggetti con stomia intestinale da lungo tempo, definiti perciò “veterani”, chiese loro di descrivere quale fosse stata “la sfida” più difficile da affrontare. L'accettazione dello stoma sembra evidenziarsi come la difficoltà più diffusa. I risultati sembrano indicare come variabile predittiva positiva l'utilizzo di

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strategie di coping che includano il pensiero positivo, l'umorismo, il riconoscimento dei cambiamenti positivi derivanti dallo stoma e la normalizzazione della vita a seguito di stomia. Krouse ed i suoi collaboratori, inoltre, suggeriscono di potenziare gli interventi educativi ed assistenziali, incrementando le capacità di autogestione (Krouse et al. ,2009). Già Simmons e collaboratori, nella conclusioni di un loro studio del 2007, davano indicazione di porre maggiore rilievo ai problemi psicosociali dei pazienti con stomia, inserendo un' intervento rivolto alla riduzione dei pensieri negativi ed alla promozione delle interazioni sociali, tra gli obiettivi della cura di routine fornita al paziente. Risultati del loro studio, infatti, evidenziavano una relazione tra accettazione dello stoma, auto-efficacia e interazioni sociali. Come già discusso precedentemente, se i pazienti si aspettano di essere in grado di prendersi cura autonomamente della propria stomia, l'adattamento post-operatorio ne trae beneficio (Bekker et al., 1996). Le conclusioni degli studi sopra descritti (Krouse et al., 2009; Simmons et al., 2007; Bekker et al., 1996), mettono altresì in evidenza il ruolo delle interazioni sociali nel processo di adattamento ad un evento stressante, quale la malattia. Nel 1978 Barbara Dohrenwend propone un modello basato sullo stress psicosociale che enfatizza il ruolo dei mediatori psicologici e situazionali nella risoluzione dell’evento stressante. Secondo l’autrice i mediatori psicologici, come ad esempio i valori individuali, possono rafforzare la capacità psicologica di una persona a sviluppare un alto livello di abilità per risolvere problemi sociali ed emozionali complessi. I mediatori familiari, come la cerchia dei familiari o gli amici, possono contribuire ad affrontare un evento stressogeno quando le risorse a disposizione dell’individuo sono insufficienti. Il modello della Dohrenwend si colloca entro l’ambito della psicologia di comunità e pone l’accento su un visione olistica dei problemi e degli eventi stressanti che tiene anche conto del

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mondo relazionale e sociale del paziente.

L’indicazione di studiare non un individuo isolato ma un soggetto inserito nel contesto in cui vive è alla base anche del modello socio-contestuale di Berg (1998). L’autore è interessato a valutare il processo attraverso cui gli individui affrontano gli eventi della vita in connessione con gli altri. Le altre persone intervengono in modi e momenti diversi nel processo di coping, possono fungere da fonte di informazione, consiglio, sostegno, modelli di funzionamento o malfunzionamento. Secondo questa prospettiva il processo di coping non è più esclusivamente individuale ma interattivo e contestualizzato, è un processo che coinvolge gruppi di persone in un problem solving collaborativo, che riguarda la rete di relazioni, la famiglia e la coppia.

1.6 Adattamento familiare e di coppia.

La malattia non è solo un’esperienza di sofferenza fisica e psicologica individuale, ma anche uno status psicosociale che modula le relazioni interpersonali del paziente in modo significativo. In particolare, si rappresenta come un evento che colpisce un membro della famiglia, attivando risorse personali e relazionali dell'individuo, ma richiede anche l'attivazione di risorse congiunte da parte della famiglia. L'insorgere della patologia, infatti, richiede al sistema-famiglia, che trova alterata la propria omeostasi, ingenti sforzi in termini di modificazione di ruoli, regole o abitudini, coinvolgendo molti aspetti del funzionamento familiare. Sembra essere definito dalla letteratura che la presenza di relazioni supportive si associ a effetti benefici sul funzionamento fisico (apparato cardiovascolare, sistema endocrino, sistema immunitario), e si delineano evidenze che riconoscono nelle relazioni familiari una fonte particolarmente significativa

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di supporto sociale (Tramonti e Tongiorgi, 2013). Un supporto sociale adeguato si manifesta sia sul piano emotivo che su quello informativo e strumentale, fornendo sia vicinanza empatica che un aiuto concreto nella risoluzione degli eventi critici; il supporto sociale percepito nel contesto della famiglia, e primariamente nel rapporto di coppia, sembrano essere più importanti per l'individuo rispetto al consenso sociale generale. In particolare, la percezione di assenza di supporto del partner, non è sostituibile da altre fonti di sostegno (Tramonti e Tongiorgi, 2013). Secondo Gritti (2011), la patologia oncologica può essere considerata prototipica dei processi relazionali conseguenti all'insorgenza, al decorso e all'esito di malattie gravi, invalidanti, croniche o a prognosi infausta. Tra i contesti elettivi di tale osservazioni l'autore cita la famiglia. La ricerca psiconcologica ha rivolto molto interesse alle reazioni familiari alla diagnosi (Power, 1991) e all’ elaborazione del lutto (Kissane,1994; Cassanica, 2002). In un'ottica non esclusivamente oncologica, particolarmente interessante sembra rivestire il Family Systemms-Ilnes Model, che Rolland elabora nel 1994 per indagare la reazione della famiglia alla malattia (Tramonti e Tongiorgi, 2013). Rolland analizza quegli aspetti specifici della patologia che possono agire sul funzionamento familiare ed individua tre dimensioni principali: 1)tipologia della malattia, 2)fase di decorso e del ciclo di vita in cui insorge, 3) il funzionamento familiare. L'autore mette in evidenza come la necessità di creare i presupposti per una buona qualità di vita, rappresenti un obiettivo primario non solo nelle malattie a prognosi infausta, ma anche nelle malattie che comportano limitazioni fisiche. Il livello di tali limitazioni rappresenta infatti una variabile significativa del modello da lui proposto: più la malattia risulta potenzialmente invalidante, più è difficile per la famiglia riuscire ad integrare la necessità di supporto del membro ammalato con la possibilità di preservare spazi di autonomia e indipendenza. Le conseguenze sull'aspetto fisico sono un altro fattore da valutare, sia nel caso di modificazioni più

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evidenti (patologie dermatologiche), che negli aspetti meno appariscenti ma fortemente legati alla femminilità/mascolinità, o che determinino alterazioni funzionali legate al genere e alla sessualità (Tramonti e Tongiorgi, 2013). Anche Gritti (2011) evidenzia come la malattia imponga un significativo mutamento dei processi relazionali di coppia, con specifico riguardo alle esperienze dell'intimità. In particolare, la qualità del legame di coppia e le dinamiche familiari sono predittive dei livelli di distress conseguenti alla malattia. In analogia a quanto osservato da Kissane (1994) nella famiglia, anche nelle coppie in cui prevalgono aspetti del legame affettivo fortemente coesivi e cooperativi, manifestano migliori risorse nei processi adattivi alla malattia (Gritti et al., 2011). L'adattamento di coppia si delinea quindi come una variabile che può interagire nel processo di reazione alla malattia, e come tale, deve essere appropriatamente valutata e misurata. Edmonds (1972), evidenzia la necessità di porre attenzione agli strumenti utilizzati a tal fine, poiché con i questionari di autovalutazione, la tendenza più diffusa è quella di fornire risposte distorte nel senso dell’accettabilità sociale. L’impiego dei questionari è comunque utile, poiché oltre ad essere di facile e rapida somministrazione, essi forniscono un modello standardizzato e producono punteggi che consentono confronti tra gruppi, tra soggetti e, per lo stesso soggetto, tra tempi diversi (Conti, 2000). Il prototipo di questi strumenti può essere considerato il Marital Adjustment Test (MAT ) ( Locke e Wallace, 1959). Nel 1976 Spanier elabora la Dyadic Adjustment Scale(DAS), una versione rieleborata ed estesa del MAT, con più solide caratteristiche psicometriche. Questa scala è composta da 32 item da cui si ricavano 4 dimensioni correlate tra loro: consenso diadico (consenso su temi importanti), coesione diadica (fare insieme), soddisfazione diadica (soddisfazione per lo stato del rapporto) e l'espressione affettiva (soddisfazione per la vita affettiva e sessuale). Secondo Spanier (1979), infatti,

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l'adattamento di coppia è legato ad una comunicazione adeguata, ad un alto livello di felicità coniugale e ad un grado elevato di soddisfazione nel rapporto affettivo-sessuale.

Questi elementi potrebbero incidere nel processo adattivo del paziente. La ricerca inerente la chirurgia colon-rettale, tuttavia, poco si occupa dell'adattamento della coppia alla nuova situazione di vita, o al ruolo che questa potrebbe svolgere nel processo di cura .

In uno studio del 2007, Simmons e collaboratori, rilevano che le relazioni interpersonali, in particolar modo quelle con il partner, possono influenzare l'adattamento psicosociale allo stoma. Il gruppo di ricerca di Nouthouse (1999), evidenzia la necessità di includere i coniugi nelle fasi di diagnosi e trattamento. Nel loro studio gli autori si propongono di descrivere le preoccupazioni dei pazienti e dei loro coniugi, a seguito della diagnosi di tumore al colon, e di identificare i modi in cui gli operatori sanitari possano aiutare pazienti e familiari a far fronte in modo più efficace alla malattia ed al trattamento. Sono stati reclutati 30 soggetti (di cui 12 con colonstomia) e relativi coniugi, a cui sono state sottoposte interviste semistrutturate atte ad indagare la reazione alla diagnosi di cancro, la reazione al confezionamento dello stoma (dove presente), i cambiamenti di vita conseguenti alla malattia e la soddisfazione per le informazioni ricevute. Dai risultati emerge che i coniugi tendono a considerare la diagnosi di cancro più negativamente rispetto ai pazienti. Entrambi, pazienti e partner, riferivano come principale preoccupazione una possibile recidiva. L'80% degli intervistati hanno riferito cambiamenti nello stile di vita, come conseguenza della malattia: per i pazienti le modificazioni principali erano inerenti le capacità funzionali, per i coniugi riguardavano variazioni nel ruolo e nelle relazioni. La metà dei pazienti e la maggior parte dei coniugi (75%), ha riportato una reazione positiva alla colonstomia; circa la metà delle coppie ha espresso

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soddisfazione per le informazioni ricevute, segnalando però la necessità di maggiore attenzione alla comunicazione sui trattamenti e sugli effetti collaterali, nonché sul tempo atteso di recupero. Dai risultati, concludono gli autori (Northouse et al., 1999), la coppia quindi, non solo il singolo, necessita di informazioni per poter pianificare i cambiamenti nello stile di vita e gestire in modo più positivo gli effetti collaterali.

Person (2004) si occupa invece specificatamente dei coniugi e delle loro reazioni nel vivere con un partner a cui è stato diagnosticato un cancro del retto, con conseguente confezionamento di stoma. Dalle interviste effettuate sono emersi cinque temi principali: 1) la difficoltà nell'essere coinvolti, 2) l'incertezza rispetto alla vita, 3) la necessità di imparare a vivere in un modo nuovo, 4) l'alterazione corporea del partner, 5) la necessità di informazioni. Si è evidenziata inoltre una forte ansia per le condizioni di salute del coniuge e la possibilità di diffusione del tumore. La stomia influenza la vita dei coniugi in modo ingente, ma l'affrontare il problema insieme, sembra aver contribuito ad un miglior adattamento alle nuove circostanze per entrambi. I coniugi, mostrando empatia, hanno un effetto positivo sul benessere psicologico del paziente; tuttavia la stomia determina e limita la vita familiare e sociale della coppia.

Diversi studi associano la presenza di stomia a difficoltà sessuali e disagio di coppia. Anche laddove la funzionalità fisiologica è intatta, le modificazioni corporee e la paura di essere rifiutati dal partner, comportano una minore attività sessuale (Zenico et al., 1989). Le disfunzioni sessuali riguardano maggiormente la popolazione non anziana, mentre con l'aumentare dell'età risultano incrementati i disturbi psicologici(Sisto et al.,1992).

Zugor e collaboratori (2010), hanno effettuato uno studio retrospettivo indagando la funzionalità erettile, la libido e la capacità di avere

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eiaculazione, prima e dopo chirurgia colon-rettale, rilevando che nei 145 soggetti maschi intervistati, 112 riferivano disfunzionalità erettile successiva all'intervento. Anche la libido e la capacità eiaculatoria sembrano marcatamente inficiate nel post-intervento.

Symms (2008), ha analizzato la relazione tra funzionalità sessuale, relazioni intime e HRQOL, confrontando due campioni di soggetti sottoposti a chirurgia intestinale, con stoma e senza stoma. La prevalenza di disfunzionalità erettile è risultata significativamente più alta nel gruppo degli stomizzati rispetto al gruppo di controllo. Rispetto ai pazienti con stomia che non hanno ripreso una normale attività sessuale dopo l'intervento chirurgico, quelli che erano sessualmente attivi hanno riportato un più alto punteggio alla valutazione della HRQOL, meno interferenze con la vita sociale, con le relazioni interpersonali, minor isolamento, e minor difficoltà nella vita intima. Questi uomini hanno riferito inoltre minor difficoltà ad adattarsi allo stoma. Secondo gli autori, interventi psicoeducativi rivolti ad indagare/sanare le preoccupazioni sessuali del paziente con stomia e della partner, possono impedire decrementi della HRQOL.

Poco è noto sugli esiti sessuali nelle pazienti portatrici di stoma. Nel 2007 un gruppo di ricercatori (Mseddi et al., 2007), nel valutare la disfunzione sessuale associata alla colonstomia, rilevano la dispareumia come disturbo più frequente nelle donne ed evidenziano la mancanza di dati in merito alle possibili alterazioni sessuali nella popolazione omosessuale.

Boinon e collaboratori (2012) propongono l'ipotesi che la soddisfazione del paziente circa la reazione del partner, la possibilità di condivisione emotiva ed il supporto sociale percepito dopo l'intervento chirurgico, possano incidere sull'adattamento alla malattia nel paziente oncologico, ma che queste valutazioni possano essere altresì regolate da caratteristiche di

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personalità proprie del paziente, quali ad esempio, l'alessitimia.

1.7 Alessitimia

Il termine alessitimia (letteralmente, assenza di parole per le emozioni), è stato coniato da Sifneos (1973), per indicare un disturbo affettivo-cognitivo relativo ad una particolare difficoltà di vivere, identificare e comunicare le emozioni. Il costrutto venne elaborato a partire dall'osservazione di pazienti con malattie psicosomatiche e per molti anni si è pensato fosse specificatamente connesso con tali patologie.

Nemiah e Sifneos, (1970) effettuarono uno studio su soggetti affetti dalle cosiddette “malattie psicosomatiche classiche” e attraverso l’analisi delle trascrizioni letterali di colloqui con tali pazienti, riscontrarono difficoltà ad esprimere verbalmente le emozioni, scarsità di fantasie, e uno stile comunicativo caratterizzato da un’estrema attenzione per i dettagli degli eventi esterni. Negli anni 90, Taylor ha verificato la validità del costrutto, evidenziando alcune caratteristiche centrali (Taylor et al., 1990). In primo luogo, si riconosce la difficoltà a discriminare un’emozione dall’altra, e gli stati somatici dalle emozioni. Queste sono espresse attraverso la componente fisiologica, poiché l'individuo è incapace di elaborarne l’aspetto affettivo-cognitivo. I soggetti alessitimici infatti sembrano mostrare un’attenzione selettiva e un’amplificazione delle componenti somatiche delle emozioni. L'alessitimia si caratterizza inoltre per un vocabolario emotivo limitato, che comporta una notevole difficoltà a comunicare verbalmente le emozioni. I soggetti mostrano uno stile comunicativo incolore, privo di intensità emotiva, che manca di riferimenti a vissuti interiori, desideri, sentimenti e paure (Apfel e Sifneos, 1979). L'attività immaginativa è deficitaria o assente, con limitazioni nella capacità di modulare l’ansia e le altre emozioni

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attraverso la fantasia, l’interesse o il gioco (Krystal, 1988; Mayes e Cohen, 1992). I soggetti alessitimici sono selettivamente concentrati su tutto ciò che è esterno alla vita psichica. Marty e M’Uzan parlano di pensiero operatorio, identificando un tipo di pensiero rivolto ad azioni ed esperienze completamente private della componente affettiva, come se la persona fosse semplicemente uno “spettatore della propria vita” (Todarello, Porcelli, 2004); Un altro aspetto importante è il conformismo sociale. Non avendo la possibilità di sapere ciò che provano, gli alessitimici sfruttano le informazioni ambientali per assumere un determinato comportamento, al punto che la loro identità sembra definita solo dall’esterno (Todarello, Porcelli, 2004). La convinzione iniziale che le caratteristiche alessitimiche fossero una peculiarità esclusiva delle malattie psicosomatiche, è stata gradualmente superata.

Dal punto di vista neurobiologico, l'interesse si è rivolto alla valutazione degli stimoli emozionali, dove si evidenzia una disregolazione della corteccia prefrontale e delle regioni delle aree anteriori (in particolare la corteccia del cingolo e del nucleo accumbens) (Aftanas et al., 2003).

L'incremento delle ricerche e dell'interesse per questo costrutto può essere attribuito in gran parte allo sviluppo della scala Toronto Alexithymia Scale (TAS) (Taylor et al., 1984), attorno alla metà degli anni ’80, e alla sua versione di 20 item (TAS-20), presentata nel 1994 (Taylor et al., 1994). Secondo Caretta e La Barbera (2005), prima di queste scale, la ricerca empirica sull'alessitimia era limitata dalla mancanza di metodi affidabili e validi per la valutazione del costrutto. La TAS-20, in particolare, ha fornito un metro comune, affidabile e valido per misurare l'alessitimia, il che ha contribuito significativamente alla raccolta uniforme e sistematica di dati confrontabili fra i vari studi. Lo strumento si prefigge di misurare le tre dimensioni che

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definiscono il costrutto dell’alessitimia: a)la difficoltà nell’ identificare i sentimenti, b)la difficoltà nel comunicare i sentimenti e c)il pensiero orientato all’esterno (pensiero operatorio) (Bressi C.,1996).

Particolare interesse è stato posto alla relazione tra alessitimia e variabili socio demografiche. Nel 1992, in uno studio italiano, Pasini e collaboratori indagano la possibile relazione tra l'età, il sesso, il livello d'istruzione ed i tratti alessitimici. Dopo aver somministrato a 417 soggetti la TAS, gli autori evidenziano che gli individui con punteggi più elevati al test, presentano un minor livello d'istruzione e che la presenza di alessitimia sembra aumentare con l'aumentare dell'età del soggetto. Successivamente Lane e collaboratori (1998), riprendono l'argomento, ritenendo non sufficientemente solide le verifiche precedentemente effettuate, ed indagano la relazione tra variabili socio-demografiche (età, sesso, livello d'istruzione e stato socio economico) ed alessitimia in 380 soggetti, valutati con la TAS-20. Per quanto riguarda età e livello d'istruzione i risultati si mantengono coerenti ai precedenti. Anche lo stato socio-economico, non contemplato nello studio precedente, sembra poter influire negativamente sulla regolazione affettiva quando si presenta di livello basso. Per quanto riguarda la variabile sesso, lo studio di Pasini riconosce una differenza tra i sessi, con punteggi più elevati nelle donne, limitati alla scala che indaga il fattore I (difficoltà nell'identificare i sentimenti); nello studio successivo si evidenzia una correlazione tra alessitimia e sesso maschile. Nel 2012, un gruppo di ricercatori iraniani (Mazaheri et al., 2012) ha esaminato i sintomi alessitimici, variabili demografiche e sintomi somatici, comparando un campione di pazienti con disturbi funzionali gastrointestinali (FGID) con un gruppo di controllo. I risultati di questo studio indicano che, rispetto al gruppo di controllo sano, i soggetti con FGID mostravano punteggi più elevati per alessitimia e sintomi somatici. Inoltre i livelli d'istruzione più elevati erano associati ad un minor

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rischio di alessitimia. Secondo gli autori, tale constatazione potrebbe essere dovuta alla maggiore capacità di descrivere ed identificare le emozioni, in pazienti con più alti livelli d'istruzione.

La ricerca sul costrutto di alessitimia ha compiuto notevoli progressi nell'ultimo decennio e ha generato un rinnovato interesse per l'interazione fra emozioni, salute e malattie.

Lumley, nel 2007, sottolinea come la valutazione dell'alessitimia possa essere utile nella pratica clinica, ma mette in guardia sui problemi interpretativi, sottolineando l'importanza del riconoscimento del disturbo come primario o secondario. Freyberger (1977) infatti distingue un disturbo primario, dove i tratti caratteristici sono riscontrabili concomitanti e precedenti la patologia, ed un disturbo secondario, nel quale le caratteristiche alessitimiche sembrano comparire a seguito dell'insorgenza della malattia somatica. Solo uno studio prospettico, quindi, può rilevare il tipo di relazione realmente esistente. In questa stessa ottica, Kojma (2012) ha effettuato una revisione sistematica degli studi prospettici per chiarire il valore predittivo dell'alessitimia nei problemi di salute fisica e psichica. Secondo l'autore, anche se l'alessitimia è considerata una caratteristica sfavorevole per il controllo della malattia e la promozione della salute, potrebbero comunque evidenziarsi degli aspetti positivi.

La presenza di tratti alessitimici viene tuttavia oggi considerata uno dei fattori di rischio per lo sviluppo di alcune malattie: Trombini e Baldoni evidenziano la presenza di queste caratteristiche, oltre che nelle malattie psicosomatiche classiche, anche in un gran numero di altre condizioni patologiche, quali malattie cardiovascolari, gastrointestinali, respiratorie e dermatologiche, disturbi somatoformi, ecc. (Trombini, Baldoni, 1999). In ambito oncologico, De Vries (2012) si è interessato alla presenza di alessitimia

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nei pazienti con cancro. Pur riconoscendo che la ricerca ha ottenuto fin'ora risultati contrastanti sull'argomento, ritiene di poter formulare l’ ipotesi di un possibile legame tra alessitimia e sistema immunitario, tra alessitimia e qualità della vita, tra alessitimia, ansia e depressione. La mancanza di studi metodologicamente validi e le grandi variazioni di risultati nella ricerca, suggeriscono che il ruolo dell'alessitimia nei pazienti con cancro merita ulteriori approfondimenti. L'autore suggerisce la necessità di indagare la natura (di stato o di tratto) dell'alessitimia, il suo ruolo nello sviluppo e progressione della patologia neoplastica, nonché l'influenza esercitata sull'outcome clinico dei pazienti.

Lauriola (2011), si è occupato specificatamente del ruolo dell'alessitimia nel cancro al colon retto. E' stata somministrata la TAS-20 ad un campione di soggetti prima che venisse loro effettuata una colonscopia di screening, ed i dati istologici ottenuti con la biopsia hanno permesso di suddividere il campione sulla base della diagnosi. Nell'analisi sono stati considerati inoltre variabili quali sesso, età, livello di istruzione, abitudine di fumare o bere, la storia personale e precedenti patologie neoplastiche al colon nei familiari. I pazienti con adenoma e adenocarcinoma avevano punteggi più alti alla TAS-20, riscontrabili primariamente nella aree relative alla difficoltà di identificare i sentimenti ed il pensiero orientato all'esterno.

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Ricerca descrittiva del benessere psicologico e della qualità della

vita in pazienti con stomia digestiva provvisoria o definitiva, in

patologie croniche intestinali ed in patologie addominali

neoplastiche.

2.1 La prima esperienza da psicologa: l’ambulatorio pazienti stomizzati La mia esperienza in ambulatorio è iniziata alcuni mesi prima della raccolta dati, sia per conoscere il contesto clinico che sarei andata ad indagare, che per instaurare con le stomatoterapiste un rapporto di conoscenza reciproca necessario alla successiva collaborazione. Il clima emotivo in ambulatorio è infatti particolarmente delicato per il tipo di relazione che i pazienti instaurano con il personale sanitario. E’ un luogo in cui le persone sono sottoposte a pratiche che nella vita di tutti i giorni si associano all’intimità della propria casa, alla protezione di un ambiente in cui si è legittimati ad avere e richiedere privacy. L’ambulatorio, grazie alla professionalità e all’empatia di chi lo gestisce, riesce però nel tempo a diventare un luogo

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sicuro per i pazienti, in cui trovano risposte alle domande sulla gestione quotidiana dello stoma, e supporto per affrontare la vita da stomizzato. Di questo credo infatti si tratti per molti pazienti, affrontare la vita con la stomia: dover rinunciare a quello che per natura appartiene alla vita intima, e trovare un modo per continuare a vivere in tale nuova condizione.

Nelle persone in cui si prevede la ricanalizzazione, sembra spesso presentarsi il tentativo di “congelare” ogni aspetto della propria vita. Le relazioni sociali ed il lavoro, ad esempio, si bloccano in attesa del ripristino di una vita che si spera possa tornare ad essere normale. Altri pazienti, invece, considerano la stomia uno strumento, che fornisce la speranza di continuare a vivere dopo una diagnosi di cancro, o la speranza di poter vivere senza la sofferenza fisica indotta da una patologia cronica. Il contatto con i pazienti è comunque permeato di sofferenza. Talvolta è la sofferenza fisica del post-intervento, altre, la sofferenza psicologica legata alla perdita del senso d’immortalità che la diagnosi neoplastica ha comportato, la preoccupazione di gravare sulla famiglia, di perdere il proprio ruolo nella coppia o la necessità di rivedere la propria vita a seguito di quanto accaduto.

Le prime volte che ho assistito alle visite ai pazienti, ho provato un estremo pudore rispetto a quello che accadeva intorno a me ed imbarazzo per il mio ruolo da osservatrice. L’empatia e l’accoglienza che le infermiere dimostrano ai pazienti mi è stato di grande aiuto nell’entrare nel clima emotivo dell’ambulatorio. I pazienti, nella maggior parte dei casi, sembrano cercare ascolto, hanno qualcosa da dire, e vogliono poter scegliere di cosa parlare. Diventa quindi possibile chiedere, solo dopo aver dimostrato la propria disponibilità ad ascoltare. Nell’incontro con alcuni pazienti è stato difficile mantenere la giusta distanza emotiva: per le loro caratteristiche personali, ad

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esempio i più giovani, o per i loro racconti (come le preoccupazioni di una paziente con una figlia autistica). Altrettanto delicate sono le relazioni con i familiari. Solitamente i pazienti arrivano alla visita ambulatoriale con un accompagnatore, spesso un familiare. Talvolta la loro presenza è di supporto: coniugi, figli, genitori dimostrano la loro vicinanza emotiva, rispettano la privacy del congiunto, ad esempio allontanandosi dall’ambulatorio durante la visita, per poi tornare una volta finita. Altre volte assumono ruolo di caregiver e sembrano abbandonare quello di familiare, alla ricerca di un totale controllo sulla situazione. In quei casi mi è stato difficile mediare tra l’accoglienza e l’autorevolezza necessaria ad ottenere di poter rimanere da sola con l’interessato. In alcune situazioni è il paziente stesso a delegare, al coniuge o ai figli come nel caso delle persone più anziane, la completa gestione dello stoma e della malattia. In quelle circostanze il mio impegno si è concentrato nel mantenere un giusto equilibrio tra coinvolgimento e distanza rispetto alla sofferenza del “delegato”, per non essere coinvolta in una relazione collusiva che escludesse il paziente. L’incontro con ogni persona è quindi diventata un’esperienza unica, andata oltre la raccolta dati. Mi ha permesso una prova “sul campo”, sperimentando le difficoltà emotive e relazionali della professione, ma incrementando la volontà di perseguirla.

2.2 Motivazioni della ricerca

Dallo studio della letteratura sono emersi aspetti dell’adattamento del paziente alla stomia ancora meritevoli di essere approfonditi, in particolare fattori psicosociali quali strategie di coping, reazioni emozionali, caratteristiche psicologiche (alessitimia) e relazione di coppia. Questa ricerca

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