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Proprietà nutraceutiche di frutti di pomodoro rivestiti con un biofilm attivato

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1. INTRODUZIONE

1.1.

Il pomodoro

1.1.1.

La diffusione del pomodoro in Europa

Il pomodoro ha raggiunto le cucine europee in tempi relativamente recenti e, sebbene importato già nel Cinquecento, soltanto due secoli dopo è stato impiegato nell’alimentazione.

La coltivazione della pianta del pomodoro era già diffusa in epoca precolombiana in Messico e Perù, fu poi introdotta in Europa dagli Spagnoli nel XVI secolo, ma non come ortaggio commestibile, bensì come pianta ornamentale, ritenuta addirittura velenosa per il suo alto contenuto di solanina, sostanza considerata a quell’epoca dannosa per l’uomo; infatti nel 1544 l’erborista italiano Pietro Mattioli classificò la pianta del pomodoro fra le specie velenose ma riportò anche delle fonti secondo le quali in alcune regioni il suo frutto veniva mangiato fritto nell'olio.

La pianta che fu importata in Europa era chiamata dagli Aztechi xitomatl, che significa grande tomatl. La tomatl era un’altra pianta, simile al pomodoro ma più piccola e con i frutti di colore verde-giallo chiamata oggi Tomatillo ed impiegata nella cucina centro-americana, gli spagnoli chiamarono entrambe tomate e ciò creò confusione sull’identificazione dei due ortaggi.

Non è ancora ben chiaro perché, nell’Europa barocca, il frutto esotico di una pianta ornamentale, accompagnata da un alone di mistero e da una serie di credenze popolari, comparve sulla tavola di qualche coraggioso (oppure affamato) contadino. Infatti gli stessi indigeni del Perù, primi coltivatori del pomodoro, non mangiavano i frutti della pianta ma la usavano a solo scopo ornamentale e come tale fu conosciuta dagli Europei. Nel 1640 la nobiltà di Tolone (Francia) regalò al Cardinale Richelieu, come atto di ossequio, quattro piante di pomodoro, e sempre in Francia era usanza per gli uomini offrire piantine di pomodoro alle dame, come atto d’amor gentile.

Così la coltivazione del pomodoro, come pianta ornamentale, dalla Spagna, forse attraverso il Marocco, si diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo, trovando il clima adatto per il suo sviluppo,

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soprattutto in Italia, nella regione dell’agro nocerino-sarnese, tra Napoli e Salerno.

Molto scarsa è la documentazione relativa all’uso alimentare, le prime segnalazioni di impiego del suo frutto come alimento commestibile, fresco o spremuto e bollito per farne un sugo, si registrano in varie regioni dell’Europa meridionale del XVII secolo. Soltanto alla fine del Settecento la coltivazione a scopo alimentare del pomodoro conobbe un forte impulso in Europa, in Francia veniva consumato presso la corte del Re come alimento prelibato mentre nell’Italia meridionale, soprattutto nella città di Napoli, si diffuse tra la popolazione più povera.

Nel 1762 ne furono definite le tecniche di conservazione in seguito agli studi di Lazzaro Spallanzani che, per primo, notò come gli estratti alimentari fatti bollire e posti in contenitori chiusi non si alterassero. In seguito, nel 1809, un cuoco parigino, Nicolas Appert, pubblicò l'opera “L'art de conserver les substances

alimentaires d'origine animale et végétale pour pleusieurs années”,

dove fra gli altri alimenti era citato anche il pomodoro.

Negli Stati Uniti ed in genere nelle Americhe da cui proveniva, l’affermazione del pomodoro come ortaggio commestibile trovò invece molte più difficoltà per la diffusa convinzione popolare dei suoi effetti tossici, questo fino al 1820, quando il colonnello statunitense Robert Gibbon Johnson decise di mangiare, provocatoriamente, davanti ad una folla prevenuta e sorpresa, un pomodoro senza subire alcun danno. Addirittura, si narra, che alcuni avversari politici del Presidente americano Abrahm Lincoln obbligarono il cuoco della Casa bianca a preparare una pietanza a base di pomodoro per avvelenarlo, ovviamente dopo la cena la congiura fu scoperta ed anzi l’episodio contribuì a rendere popolare questo frutto, poiché Lincoln ne divenne un appassionato consumatore.

Agli inizi dell’Ottocento, il pomodoro fu inserito nei primi trattati gastronomici europei, come nell’edizione del 1819 del “Cuoco Galante” a firma del grande cuoco napoletano di corte Vincenzo Corrado, dove sono descritte molte ricette con pomodori farciti e poi fritti; mentre un altro grande nome della cucina partenopea, Ippolito Cavalcanti, nella sua opera “Cucina Teorico-Pratica” del 1839, descrisse la preparazione della salsa di pomodoro, affermando che essa sarebbe diventata il condimento ideale per la pasta di grano duro.

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Con l’avvento della Rivoluzione Industriale il pomodoro trovò una vasta applicazione, fu proprio nello stabilimento piemontese di Francesco Ciro, nell’ultimo quarto del XIX secolo, che si realizzò la prima produzione su scala del pomodoro in scatola. Mentre nel 1888, Brandino Vignali avviò a Basilicanova (Parma) uno stabilimento per la produzione di un estratto di pomodoro secondo l’antica ricetta della “conserva nera” dalle famiglie contadine del parmense, ottenuta facendo essiccare al sole il succo di pomodoro, preventivamente concentrato in grandi pentoloni di rame. Quasi contemporaneamente nella provincia di Salerno venne studiata e sviluppata la tecnica per la produzione dei pomodori pelati, utilizzando i frutti dalla forma allungata coltivati alle pendici del Vesuvio (Giovanni Buommino, 2013).

1.1.2.

Morfologia della pianta

Il pomodoro considerato in coltura pianta annuale nelle condizioni di origine, in relazione alle condizioni climatiche favorevoli ha tendenza perennante (in condizioni ideali come le serre può restare in coltivazione da 5 a 7 anni) e può avere durata e vigore vario a seconda della varietà.

La radice

L’apparato radicale fibroso e ramificato può spingersi ad elevate profondità ma la maggior parte delle radici rimane nel primo strato di 30 cm, esso assume conformazioni differenti in relazione all’origine della pianta; se questa proviene da semina diretta, in campo la radice presenta un robusto fittone centrale, con numerose ramificazioni laterali; questo tipo di apparato andando in profondità consente alla pianta di essere meno soggetta a squilibri idrici, danni da eccessi termici e di essere quindi più vigorosa. Nel caso in cui si effettua il trapianto, l’apparato radicale si sviluppa soprattutto lateralmente, interessando uno strato di terreno molto più superficiale (circa 30 cm), pertanto il rifornimento idrico dello stesso dovrà essere costante con irrigazioni più frequenti e con quantità d’acqua inferiori (La Malfa, 2001).

Il fusto

Il fusto, nella pianta originaria, è eretto nei primi stadi di sviluppo, poi diviene decombente e bisognoso di un tutore. E’ costituito da nodi ingrossati dai quali si dipartono le foglie e i getti ascellari, e da

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internodi più o meno lunghi sui quali si inseriscono le infiorescenze. L’accrescimento è teoricamente indefinito in quanto dopo ogni infiorescenza si ha la differenziazione di una nuova gemma apicale. Il fusto può raggiungere e superare altezze di 2 m, con vigorose ramificazioni dicotomiche rigonfie nel punto d’inserimento sul fusto principale (La Malfa, 2001).

Le foglie

La disposizione delle foglie sugli steli è alterna. Le foglie sono imparipennate, picciolate, lunghe 20-30 cm e sono composte da 7-11 foglioline diseguali; spesso i lobi presentano bollosità più o meno pronunciate.

Esse sono ricoperte di peli ghiandolari che secernono, al contatto, una sostanza di odore acre: la solanina. I caratteri fogliari possono presentare grandi differenze in seguito alle variazioni del clima, del terreno e dei sistemi colturali. Tuttavia si possono distinguere due forme di foglie, ossia quella normale e quella a “ patata”; nel primo caso, il numero delle foglie semplici è più elevato delle altre, il lembo è sottile, mentre il bordo è solitamente sinuato, inciso o dentato. La foglia “a patata” è invece caratterizzata da un lembo fogliare più grande delle prime e più spesso con margine generalmente intero (La Malfa, 2001).

Fioritura

La fioritura è scalare con progressiva formazione delle infiorescenze in tempi diversi e internodi successivi lungo il fusto principale e quelli secondari. I fiori sono ermafroditi con peduncoli articolati e non, riuniti in infiorescenze a racemo, portate lungo il fusto o sulle ramificazioni più grosse. Le infiorescenze possono essere in racemi semplici, biforcuti o ramificati. Il tipo semplice si trova più frequentemente nella parte bassa della pianta, mentre i tipi ramificati di solito si trovano nella parte superiore. Il numero di fiori per infiorescenza è vario e nello stesso racemo la fioritura spesso non è contemporanea. Il singolo fiore è dotato di un calice gamosepalo, costituito generalmente da 5 sepali verdi e persistenti. La corolla, anch’essa gamopetala, è rotata, con un numero di petali normalmente pari a 5 di colore giallo. Gli stami, in numero solitamente uguale a quello degli elementi che formano la corolla, sono corti e uniti fra di loro a livello delle antere biloculari a formare una sorta di cono attorno al pistillo. L’ovario è supero e bicarpellare, ma si presenta plurisettato e porta molti ovuli a placentazione parietale. Lo stilo ha lunghezza variabile e si

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presenta slargato nella parte terminale a formare lo stigma, il quale, nei tipi lungi-stilo, può spingere dal cono delle antere favorendo l’impollinazione incrociata. All’apertura della corolla corrisponde l’inizio del periodo di recettività degli stigmi, mentre la deiscenza degli stami ha inizio solo 24-48 ore dopo. Le antere del cono staminale che circondano il pistillo si aprono verso l’interno assicurando in tal modo l’impollinazione (La Malfa, 2001).

1.1.2.1. Impollinazione e fecondazione

Le moderne cultivar di pomodoro sono auto-impollinatrici. Sebbene il polline maturo sia già pronto per essere trasferito durante l’apertura fiorale (antesi), lo stigma diventa pronto per riceverlo circa due giorni prima dell’antesi e rimane tale per quattro giorni o poco più.

Una volta che il polline raggiunge lo stigma, i tubetti pollinici cominciano a crescere e possono raggiungere l’ovulo in 12 ore ad una temperatura di 25 °C.

La fecondazione è stata osservata dopo 18 ore, ed il numero di ovuli fecondati per ovario dipende dal numero di grani pollinici capaci di raggiungere lo stigma e da quei fattori ambientali e fisiologici che seguiranno l’impollinazione e la fecondazione (La Malfa, 2001).

Produzione di polline

La microsporogenesi inizia già dopo la fioritura. I primi fiori cominciano a crescere quando la pianta è ancora molto piccola, con la terza foglia di un cm di lunghezza ed i cotiledoni ancora in espansione. La prima meiosi del polline delle cellule madri si verifica 9 giorni prima dell’antesi a 20 °C, quando l’antera è ancora ad un terzo della sua lunghezza finale.

Il polline è formato da quattro tetradi e raggiunge la maturità in quattro giorni. Il numero potenziale di granuli pollinici è determinato geneticamente (La Malfa, 2001).

Trasferimento del polline

Da un singolo loculo di un’antera possono maturare centinaia di granuli pollinici da uno a due giorni dopo l’antesi. Le caratteristiche igroscopiche dell’endotecio possono provvedere alla forza meccanica richiesta per rompere la regione meno resistente

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dell’epidermide e l’assenza di spessore dell’endotecio ad alte temperature può essere la causa del fallimento della deiscenza in alcune cultivar sensibili al calore.

Le antere adiacenti sono collegate lateralmente da due filamenti per formare un cono, ed i granuli pollinici, di tali antere, prima della dispersione vengono convogliati in un canale comune nella zona di confine. E’ dimostrato che le possibilità di auto-impollinazione si riducono se c’è fallimento nella formazione del cono dell’antera.

Il successivo trasferimento dei grani pollinici allo stigma dipende dalla lunghezza dello stilo, e per avere un’auto-impollinazione, lo stigma deve raggiungere la punta del cono dell’antera. La lunghezza dello stilo è determinato sia da condizioni genetiche che dalle condizioni di crescita. La posizione ottimale per lo stigma è all’interno del cono dell’antera. La percentuale del numero di fiori è in relazione alla distanza dello stigma dalla punta del cono dell’antera. Infine, i grani pollinici possono aderire allo stigma e dar luogo alla germinazione (La Malfa, 2001).

Germinazione del polline

Il numero di ovuli fecondati è determinato dal numero di grani che germinano e dalla successiva crescita del tubetto pollinico, il quale raggiungerà gli ovuli.

La germinazione del polline dipende dalla temperatura: servono almeno un’ora a 25 °C, 5 ore a 10 °C e 20 ore a 5 °C per far germinare il polline. Il grado di germinazione si riduce al di fuori di un intervallo di temperatura di 5-37 °C. Il tasso di crescita del tubetto pollinico aumenta con una temperatura tra i 10 ed i 35 °C, ma si riduce fuori di questo range (La Malfa, 2001).

Fecondazione

La fecondazione inizia una volta che i nuclei, dai tubetti pollinici, penetrano negli ovuli vitali. A 20 °C l’endosperma subisce da 2 ad 8 stadi di enucleazione dopo la fecondazione, mentre un pre-embrione di 10 cellule si forma dopo 120 ore (La Malfa, 2001).

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1.1.3.

Anatomia del frutto

Fig. 1 Rappresentazione dell’anatomia di un frutto di pomodoro in sezione trasversale

Il frutto di pomodoro (Figura 1) è composto da una parte carnosa (pericarpo e buccia) e da una parte polposa (placenta e tessuto loculare che include i semi).

Il pericarpo deriva dalla parete dell’ovario, e consiste di un esocarpo o buccia, un mesocarpo e un endocarpo. La parete del pericarpo può essere divisa in una parete esterna, in pareti radiali che separano i loculi adiacenti (septi) ed in una parete interna (columella).

Il mesocarpo della parete esterna è composto in larga parte da cellule parenchimatiche che sono più larghe nella regione centrale e decrescono vicino all’epidermide e ai loculi. In modo simile anche i septi e la columella sono parenchimati. Talvolta la columella è meno pigmentata del pericarpo e può includere larghi spazi che possono far apparire bianco il tessuto.

Durante la prima settimana di sviluppo del frutto avvengono dei cambiamenti nelle cellule del pericarpo, infatti dopo uno o due

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giorni dalla fecondazione, i piccoli vacuoli all’interno di ogni cellula si combinano per formare un vacuolo centrale. In seguito il citoplasma si riduce ad un fine strato periferico durante le seguenti due settimane. Nel frattempo inizia lo stadio di separazione della parete cellulare, la separazione inizia nelle congiunzioni delle pareti delle cellule adiacenti e continua lungo la lamella mediana, questi spazi continuano ad espandersi durante lo sviluppo del frutto. I plastidi contengono amido ed hanno un sistema tilacoidale di grani. Nei frutti verdi, le cellule dell’epidermide tendono ad avere meno amido delle cellule parenchimatiche interne. La maggior parte della divisione cellulare nel pericarpo prende luogo durante la prima settimana successiva all’antesi, sebbene ci sia un’ulteriore divisione cellulare durante la seconda settimana, durante questo periodo il numero di strati cellulari nel pericarpo incrementa da 8 a 30.

L’esocarpo, o buccia, consiste di uno strato epidermico esterno più due o quattro strati di cellule ipodermiche con ispessimenti simili a collenchima. L’epidermide è ricoperta da una fine cuticola, con uno spessore di 4-10 µm e consiste di due regioni, uno strato di cutina che copre le cellule epidermiche ed una cuticola che ricopre lo strato di cutina, la cutinizzazione si estende sotto fino alle pareti radiali dell’epidermide e può avvenire inoltre nell’ipoderma.

Durante lo sviluppo del frutto, la placenta inizia ad espandersi all’interno dei loculi fino a ricoprire i semi. Nei frutti immaturi la placenta è stabile ma appena il frutto comincia a maturare le cellule della parete iniziano a rompersi ed il tessuto loculare dei frutti verdi (mature green) diviene simile a gel. Negli stadi più avanzati, il fluido intracellulare può accumularsi nei loculi, nonostante tale degenerazione, i protoplasmi di solito rimangono inalterati.

Il sistema vascolare dei frutti è composto da una parte che si estende dal pedicello attraverso le pareti esterne del pericarpo e da un altro che passa attraverso le pareti interne e radiali fino ai semi (La Malfa, 2001).

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1.1.4.

Accrescimento del frutto: cambiamenti

chimico-fisici

Lo sviluppo del frutto avviene dapprima lentamente poi sempre più velocemente fino al raggiungimento del volume massimo (La Malfa, 2001).

Il tasso di crescita può essere descritto da una curva ad andamento sigmoidale suddivisibile in tre fasi. La prima è una fase di lenta crescita che si protrae per 2-3 settimane con un peso del frutto che è minore del 10% del peso finale (Archbold et al., 1982). La seconda fase, che ha una durata di 3-5 settimane, è di rapida crescita. Infine si ha un periodo di lenta crescita di due settimane durante il quale si nota un piccolo aumento di peso del frutto ed in cui hanno luogo intensi cambiamenti metabolici.

La lenta crescita iniziale risulta dalla divisione e dalla successiva distensione cellulare, mentre la seguente rapida crescita è interamente dovuta alla distensione (Monselise et al., 1978) e comporta, quindi un notevole incremento nel peso fresco. Si ha, infine, una nuova fase di lento accrescimento in cui il frutto va incontro ad una serie di profondi cambiamenti anatomici, fisiologici e metabolici, che lo portano alla maturazione (Ho e Hewit, 1988). Tra le modificazioni metaboliche evidente anche ad occhio nudo, è la variazione di colore. Durante la maturazione prevalgono le clorofilla a e b, successivamente queste vengono demolite e cominciano ad accumularsi due carotenoidi: il licopene di colore rosso e il β-carotene di colore giallo arancio, nel momento in cui i cloroplasti si trasformano in cromoplasti. Il prevalere dell’uno o dell’altro alla completa maturazione determina l’intensità del colore rosso del frutto. Questo è un carattere varietale, ma è anche sotto l’influenza delle condizioni climatiche: un moderato ombreggiamento favorisce la formazione del licopene, mentre se il frutto è esposto alla luce più intensa e a temperature intorno a 30°C il β-carotene continua a formarsi, mentre si arresta la produzione di licopene. Dal momento che il colore della buccia è un eccellente indicatore del grado di maturazione del frutto, sono state sviluppate alcune scale di valutazione (Tabella 1) per classificare gli stadi maturativi dei pomodori sulla base della colorazione mostrata dal frutto (Grierson e Kader, 1986).

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Classificazione Descrizione

Verde Colorato internamente di verde chiaro o scuro, ma maturo

Invaiatura Prima apparizione di un colore roseo esterno che rappresenta non più del 10% della superficie della

buccia

Viraggio La colorazione rosea, rossa o giallo-tannino interessa una superficie che rientra tra il 10% ed il 30% della

buccia

Rosa Più del 30% ma meno del 60% della buccia ha una colorazione rosa o rossa

Rosso chiaro Più del 60% ma meno del 90% della buccia ha una colorazione rossa

Rosso Più del 90% della buccia risulta rossa. Questo è il più desiderabile grado di maturazione per un pomodoro da

mensa

Tab. 1 Classificazione degli stadi maturativi del frutto di pomodoro sulla base della colorazione mostrata dalla bacca (Grierson e Kader, 1986)

Per quanto riguarda i cambiamenti fisici, durante la prima settimana di sviluppo del frutto sono osservabili cambiamenti anatomici a carico delle cellule del pericarpo. Uno-due giorni dopo l’impollinazione i piccoli vacuoli presenti all’interno di ogni cellula si uniscono a formare un grosso vacuolo centrale (Mohr e Stein, 1969) e, nel giro di un paio di settimane, il citoplasma si riduce divenendo un sottile strato confinato alla periferia cellulare.

In contemporanea si ha lo stadio iniziale di separazione delle cellule, che inizia nei punti di contatto delle pareti comuni a cellule contigue e continua lungo la lamella mediana. I plasmodesmi, che costituiscono punti di continuità tra i citoplasmi di cellule adiacenti, sono molto piccoli. Mentre ciò avviene, tutti gli organelli oltre al tonoplasto ed al plasmalemma, rimangono fisicamente intatti (Mohr e Stein, 1969) e fisiologicamente attivi.

Il frutto maturo conserva, infatti, un alto grado di organizzazione ultrastrutturale osservata, in particolare, a carico dei mitocondri, cromoplasti e reticolo endoplasmatico rugoso (Crookes e Grierson, 1983). I plastidi contengono amido e sono dotati di un sistema tilacoidale con grana ed intergrana. Nel frutto verde le cellule epidermiche contengono meno amido di quelle parenchimatiche più interne. A livello di pericarpo le mitosi avvengono soprattutto nella prima settimana dopo la fecondazione e continuano ad un

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ritmo elevato anche nella seconda, in questo periodo il numero delle cellule può incrementarsi da 8 a 30 volte.

Durante la crescita del frutto, il contenuto di materia secca diminuisce, con l’aumento del peso fresco dovuto ad un più alto accumulo di acqua. Prima della fecondazione la materia secca è circa il 17% del peso dell’ovario, ed una volta che il frutto comincia a crescere, questa diventa il 10% dopo 10 giorni, e il 5-7 % dopo 20 giorni, rimanendo a tali livelli fino alla maturità. Gli elementi minerali più presenti, che contano per il 90% del contenuto totale di minerali, sono potassio, azoto e fosforo. Durante lo sviluppo, l’azoto e il fosforo si riducono, mentre il contenuto di potassio rimane costante.

Gli zuccheri, soprattutto glucosio e fruttosio,contano per la metà della materia secca, e per il 65% dei solidi solubili totali di un pomodoro maturo. Appena il frutto comincia a crescere, il contenuto di zuccheri ridotti aumenta da 0,1% del peso fresco dell’ovario al 2 % del peso fresco del frutto in circa 2 settimane, e diventa il 3,5% alla maturazione. Il saccarosio conta solo per l’1% della materia secca; dopo l’impollinazione, il contenuto di zuccheri ridotti e di amido aumenta notevolmente, ma il contenuto di saccarosio si riduce dall’1% del peso fresco dell’ovario allo 0,2% del peso fresco del frutto in 8 giorni.

Sebbene il saccarosio sia il principale prodotto di assimilazione, la sua concentrazione rimane sempre piuttosto bassa. Il tasso di accumulo di amido raggiunge un picco in cui conta per il 30% della materia secca accumulata, dopo circa 20 giorni. Il massimo accumulo di amido conta per il 20% della materia secca a 25-30 giorni dopo l’antesi. La quantità più alta di amido si accumula nel tessuto loculare e placentare più che nel pericarpo, durante il periodo di crescita rapida. L’amido comincia a scindersi quando il frutto raggiunge la sua dimensione massima ed il suo contenuto diventa l’1% della materia secca allo stadio mature green (0,03 % del peso fresco del frutto al ripening). La rottura dell’amido è correlata con un accumulo di zuccheri ridotti.

Il contenuto di acidi organici incrementa durante tutto lo sviluppo ed il pH di un frutto mature green è circa 4.0.Il contenuto di acidi è più alto nei loculi che nel pericarpo e nei tessuti placentari. Gli acidi organici nel frutto di pomodoro consistono principalmente di acido citrico e malico, e contano per circa il 13% della materia secca totale. Durante il primo periodo di crescita, l’acido malico è

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l’acido predominante, mentre il citrico conta solo per il 2,5% dell’acidità totale.

1.1.5.

Esigenze nutrizionali

Il pomodoro è una pianta che richiede temperature calde, essendo originario delle zone tropicali, la sua stagione di crescita nei climi temperato-caldi corrisponde al periodo estivo. Negli altri periodi dell’anno deve essere coltivato in serra riscaldata.

I limiti termici per la germinazione del polline vanno da un massimo di 30°C ad un minimo di 10°C con un ottimo intorno ai 20-25°C. La temperatura ottimale per la fioritura è di 21°C mentre per la crescita della pianta passiamo da un minimo letale di 0°C ad un ottimo sui 22-26°C di giorno e 14-16°C di notte, con un massimo stimato a 30°C; temperature superiori a tale valore possono provocare difetti di allegagione e difetti nella consistenza e colorazione dei frutti dal momento che a tali temperature il carotene continua a formarsi mentre si arresta la produzione di licopene facendo assumere alla bacca una colorazione giallo-arancio ed una consistenza molle.

Molto importanti per una ottimale crescita della pianta sono anche la disponibilità di luce e di CO2; infatti l’intensità e la qualità della luce possono influenzare l’epoca della fioritura, l’allegagione e la colorazione delle bacche; inoltre sia la dimensione del frutto che il contenuto di solidi solubili sono fortemente influenzati dalla radiazione solare ricevuta. Quando la radiazione solare è più intensa, sia la materia secca che il contenuto di zuccheri raggiungono i loro massimi livelli. Gli effetti della luce sul metabolismo sono molteplici e spaziano dalla fissazione della CO2, alla sintesi proteica e dei pigmenti; un arricchimento di CO2 determina un aumento nella resa dei frutti, incrementandone il numero ed il peso. Estremamente importanti risultano essere le condizioni di pH del terreno e la disponibilità di minerali; il pomodoro si adatta a diversi tipi di terreno, ma predilige quelli ben drenati e ricchi di sostanza organica con un pH compreso tra 5.5 e 8.0. Per quello che riguarda la biodisponibilità dei minerali il pomodoro risulta essere una specie potassiofila cui seguono in ordine decrescente azoto, fosforo e calcio. Il potassio infatti influisce sulla qualità dei frutti migliorandoli per quel che concerne il contenuto di zuccheri, il residuo secco ed il colore, l’azoto stimola l’attività vegetativa, tuttavia un eccesso di questo elemento

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potrebbe indurre un eccessivo rigoglio della vegetazione a danno dei frutti sia da un punto di vista quantitativo, poiché ci può essere un ritardo e una riduzione della fruttificazione, sia da un punto di vista qualitativo, con un peggioramento delle caratteristiche qualitative delle bacche. Infine il fosforo agisce sull’equilibrio tra fase vegetativa e riproduttiva, favorendo la formazione di tessuti più resistenti e la produzione di frutti e migliorando la consistenza delle bacche stesse. Anche il calcio ha un ruolo importante nella consistenza delle bacche in quanto una sua carenza porta al marciume apicale (La Malfa, 2001).

1.1.6.

Le proprietà nutrizionali del pomodoro

I pomodori vengono consumati freschi o trasformati (salse, ketchup, zuppe, pomodoro in scatola, etc.), ed il loro consumo è stato dimostrato essere inversamente correlato allo sviluppo di alcuni tipi di cancro e all’ossidazione lipidica nel plasma.

I pomodori contengono diverse classi di sostanze con proprietà antiossidanti (Lenucci et al., 2006); tali sostanze, che recentemente sono state definite col termine più generico di nutraceutiche, sono principalmente ascrivibili alle classi dei carotenoidi e dei flavonoidi, anche se è appurato che anche altri componenti minoritari del frutto di pomodoro come la vitamina E, la vitamina C ed altri composti fenolici non-flavonoidici contribuiscono positivamente alla salute. E’ stato dimostrato che un singolo composto o una singola classe di composti non può determinare completamente l’effetto positivo sulla salute in mancanza del sinergico effetto di altri composti (Stevens et al. 1977).

Come tutte le specie vegetali, anche la pianta di pomodoro è caratterizzata da un metabolismo secondario, necessario alla pianta per far fronte a condizioni di stress di natura biotica o abiotica. Al contrario condizioni ottimali di crescita e nutrizione portano la pianta ad un elevata produzione di biomassa ed un minor contenuto di metaboliti secondari. Trovare un giusto compromesso tra richieste nutritive della specie in questione e l'introduzione nelle condizioni colturali di una blanda fonte di stress controllato comporterebbe una minima riduzione nella biomassa ma allo stesso tempo si avrebbe un prodotto molto ricco in metaboliti secondari e, quindi, di elevata qualità nutrizionale.

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L’interesse dei ricercatori in campo alimentare si volge verso lo studio di possibili fonti di stress foto ossidativo, come la radiazione UV-B, per approfondire gli aspetti dell'interazione tra gli effetti di queste sorgenti di stress e la fisiologia vegetale ed anche allo scopo di valutare il suo effetto sulla modulazione di alcune caratteristiche desiderate per l'ottenimento di prodotti agricoli di qualità.

1.2.

Gli antiossidanti

1.2.1.

Specie ossigeno reattive (ROS)

Gli stress ambientali (siccità o eccesso di acqua, salinità, variazioni di temperatura, carenze o eccessi nutrizionali) hanno sempre influenzato negativamente le produzioni agricole e la ricerca scientifica si è sempre concentrata su come rimediare a questi problemi. Gli stress ambientali hanno un effetto diretto sulle reazioni in cui è coinvolto l’ossigeno, ed una caratteristica comune a tutti i tipi di stress, è la capacità di aumentare in tali condizioni la produzione di specie reattive dell’ossigeno (Reactive Oxygen Species, ROS), quali l’anione radicale superossido (O2-.), il radicale idrossilico (OH.), il perossido di idrogeno (H2O2) e l’ossigeno singoletto (1O2), capaci di indurre la produzione a cascata di radicali liberi.

L’ossigeno è essenziale per la vita di molte specie viventi ma allo stesso tempo è altamente tossico e potenzialmente letale nelle sue forme ridotte (ROS).

La produzione delle ROS nelle cellule vegetali è un meccanismo che avviene in conseguenza del metabolismo aerobio, ad esempio nel trasporto elettronico mitocondriale e cloroplastico, nei perossisomi, nei citocromi P-450, ma anche per cause esogene, quali stress di natura biotica o in presenza di stress ambientali, come la siccità, le variazioni di temperatura, l’incremento della pressione atmosferica, la presenza di ossidanti, l’esposizione a radiazioni ionizzanti.

Le reazioni di formazione dei principali radicali sono:

1. Riduzione monovalente dell’ossigeno con produzione del radicale superossido:

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2. Dismutazione del superossido con formazione di acqua ossigenata:

2 O2•- + 2 H+ → H2O2 + O2

3. Riduzione dell’acqua ossigenata con formazione di radicali idrossilici:

HOOH + D → • OH + OH- + D+

4. Degradazione di idroperossidi organici con generazione di radicali alcossilici:

ROOH + Me2+RO + OH- + Me3+

5. Produzione di radicali alchilici per estrazione di idrogeno da parte di radicali OH o per formazione di complessi fra metalli di transizione e l’ossigeno:

RH + •OH → R + OH

-6. Addizione di ossigeno molecolare a questi radicali alchilici con formazione di radicali perossilici:

R • + O2 → ROO

7. Formazione di nuovi radicali alchilici per reazioni a catena: R1H + ROO • → R1• + ROOH

8. In aggiunta a queste specie radicaliche e perossidiche l’ossigeno singoletto è un agente tossico di grande importanza. Può essere prodotto attraverso tre meccanismi di notevole rilevanza biologica: a) attività fotosintetica:

P* + O2 → 1O2 + P

b) reazione dell’acqua ossigenata con l’ipoclorito nel fagosoma di leucociti attivati:

H2O2 + OCl- → Cl- + 1O2 + H2O

c) per interazione bimolecolare fra radicali perossidici: ROO• + OOR → ROOOOR → 1O2 + 2RO

I radicali liberi essendo implicati in numerose reazioni ossidative a carico di proteine, lipidi e DNA vengono identificati come

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responsabili di fenomeni di invecchiamento e degenerazione cellulare (Evangellia et al., 2008).

In alcuni studi è stato osservato come i radicali idrossilici (OH.) possano reagire con le basi puriniche portando alla modificazione della struttura genomica e quindi alterazioni dell’espressione genica, innescando in questo modo il processo di carcinogenesi delle cellule umane (Rice-Evans et al., 1995).

E’ stato dimostrato che l’accumulo di ROS sia accelerato nelle cellule tumorali. Questo aumento porta ad un danno diretto del DNA, con un incremento del ritmo di mutagenesi ed un mantenimento quindi del fenotipo oncogeno di tali cellule. I bersagli delle ROS comprendono anche i legami crociati DNA-proteine, la metilazione del DNA e la modificazione degli istoni, molecole che sono alla base della soppressione dei geni inibitori dei tumori e all’attivazione dei geni oncogeni (Ziech et al., 2011).

Per quanto riguarda i danni causati dalle ROS al DNA è stato osservato come il DNA mitocondriale venga danneggiato in maniera più considerevole rispetto al DNA nucleare; questo perché il mDNA manca di organizzazione nucleosomale, non possiede un sistema di autoriparazione e soprattutto è molto vicino alla catena di ossidazione mitocondriale, luogo dove vengono primariamente prodotte le ROS. Il danno prodotto al mDNA gioca un ruolo importante nella patogenesi della degenerazione maculare legata all’avanzamento dell’età (Blasiak and Szaflik, 2011).

Alcuni aspetti positivi dei radicali liberi, in quantità molto basse, è rappresentato da importanti processi metabolici, quali per esempio il metabolismo dei lipidi (biosintesi delle prostaglandine e del leucotriene negli animali) e la biosintesi della lignina nelle pareti cellulari dei vegetali.

Anche nell’uomo è stato studiato come una bassa concentrazione di ROS possa avere un ruolo importante nel pathway metabolico, mantenendo il normale stato redox ed avere una funzione di conservazione dell’integrità vascolare; anche se un eccesso nella concentrazione di alcuni ROS, quali l’anione superossido ed un decremento nelle sintesi di ossido nitrico, che è il principale vasodilatatore, può portare alla vasocostrizione che è la causa principale dell’ipertensione nell’uomo (Rodrigo et al., 2011).

Una specifica fonte di stress, ovvero l’esposizione alle radiazioni ionizzanti è stata oggetto di numerosi studi, al fine di individuare

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una possibile correlazione tra la presenza delle radiazioni ionizzanti e l’aumento del potere antiossidante del frutto per contrastare la maggiore produzione delle ROS (Luthria et al., 2006).

Molti studi su diverse specie ortofrutticole hanno evidenziato come il trattamento in post-raccolta con radiazione UV-B incrementi il contenuto di composti fenolici nell’uva (Cantos et al., 2000), di vitamina D nei funghi (Roberts et al., 2008) e di metaboliti ed enzimi antiossidanti in varie piante (Xu et al., 2008).

E’ stato inoltre osservato come quantitativi di radiazione UV-B pari a 20 o 40 KJ/m2 somministrati in post-raccolta a frutti di pomodoro verdi determinano un aumento di composti fenolici totali e di flavonoidi e, quindi, del potere antiossidante totale, nei frutti giunti a maturazione completa (Liu et al., 2001).

1.2.2.

Gli antiossidanti nelle specie vegetali

Tutti gli organismi aerobici hanno sviluppato sistemi di difesa conto i ROS per permettere così la propria sopravvivenza, per questo motivo vengono sintetizzate una serie di molecole antiossidanti nei vari organelli cellulari.

Per antiossidanti si intendono quei composti in grado di prevenire l’insorgere di danni cellulari connessi con lo stress ossidativo e causati dall’aumento dei radicali liberi, queste sono molecole presenti nei tessuti vegetali che, grazie soprattutto alla loro conformazione che li rende efficaci donatori di protoni (potenziale redox negativo), tendono facilmente ad ossidarsi e costituiscono, per la loro instabilità, un bersaglio ottimale per i radicali liberi, che quindi li ossidano preferenzialmente al posto di altre molecole essenziali. Una peculiarità di questi composti risiede nel fatto che, una volta donati i protoni, si trasformano essi stessi in radicali ma sono poco reattivi perché stabilizzati per risonanza; tali molecole antiossidanti agiscono pertanto da spazzini cellulari riuscendo a neutralizzare i radicali liberi prima che essi possano innescare una reazione a cascata di formazione di radicali e indurre danni all’organismo (Kaur and Kapoor, 2001).

Gli antiossidanti si dividono in primari e secondari. Gli antiossidanti primari sono rappresentati da quei composti che donano direttamente un atomo di idrogeno (si ossidano) e che quindi ritardano o interrompono la propagazione delle reazioni di

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autossidazione, prevenendo la formazione dei radicali liberi. Gli antiossidanti secondari, invece, non agiscono direttamente sui radicali, ma sono in grado di ridurre gli antiossidanti primari, che sono stati ossidati, rendendoli nuovamente idonei a continuare la loro attività; questi ultimi possono chelare i metalli, restituire gli atomi di idrogeno agli antiossidanti primari e comportarsi da oxygen scavenger.

La presenza di sostanze ad azione antiossidante nei prodotti di origine vegetale è una caratteristica estremamente positiva poiché consente, una volta che questi composti sono stati assunti con la dieta, di contrastare le ROS prodotte nell’organismo umano. In generale quindi i composti antiossidanti salvaguardano l’organismo dall’insorgenza di patologie ampiamente diffuse (cancro, cataratta, arteriosclerosi, diabete), grazie all’azione detossificante che hanno sui radicali liberi. Tra le sostanze antiossidanti troviamo l’acido ascorbico (ASA), il glutatione ridotto (GSH), i carotenoidi quali luteina, licopene e β-carotene, l’α-tocoferolo, i composti fenolici con le relative sottoclassi che, grazie alla loro struttura molecolare e al loro potenziale redox sono capaci di ridurre le ROS, ossidandosi, e proteggendo così le altre macromolecole che altrimenti verrebbero danneggiate in modo permanente. Esistono inoltre una serie di enzimi antiossidanti come le superossido dismutasi (SOD), che catalizzano la dismutazione del superossido producendo perossido di idrogeno, quest’ultimo successivamente ridotto dalle catalasi, dall’ascorbico perossidasi o dalle perossidasi aspecifiche (Torres et al., 2006).

La presenza di antiossidanti in un alimento svolge un importante ruolo di prevenzione dell’ossidazione dei lipidi, prevenendo la formazione dei radicali liberi e dei composti secondari di ossidazione (Vanzani et al., 2011), e di protezione nei confronti dell’insorgenza di patologie quale l’arteriosclerosi (ossidazione delle LDL) e gli eventi tumorali (danni al DNA) (Pietta, 2000; Duthie and Crozier, 2000).

Studi scientifici hanno dimostrato come l’assunzione di frutta e verdura sia alla base della riduzione di numerose patologie, quali l’osteoporosi ed il miglioramento della struttura ossea nelle donne over 45 (Hamidi et al., 2011); tale funzione sembra essere legata alla specifica azione dei polifenoli, che influirebbero positivamente sul metabolismo delle cellule delle ossa (Trzeciakie et al., 2009).

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Numerosi studi scientifici hanno evidenziato come l’assunzione di frutta e vegetali agisca positivamente sull’abbassamento dello stress ossidativo, portando così una riduzione dell’insorgenza del rischio di cancro (Song et al., 2010).

Gli antiossidanti sono quindi oggi di primario interesse nel campo della ricerca scientifica, in quanto molte di queste molecole sviluppano effetti protettivi nei confronti del danno cellulare determinato dai radicali liberi e quindi un effetto chemio-preventivo nei confronti del rischio associato a numerose patologie dell’uomo. Sulla base di questi dati, si può affermare che gli effetti benefici apportati dal consumo di prodotti ortofrutticoli sono determinati dalla presenza di una miscela di composti antiossidanti, che svolgono un’azione sinergica tra loro, che conferiscono al prodotto un’azione antiossidante maggiore rispetto all’attività svolta da un singolo composto. Infatti numerose ricerche hanno evidenziato come l’assunzione di una grande varietà di frutta e verdura possa portare a ridurre l’insorgenza di numerose patologie (Southon and Faulks, 2002; Wolfe et al., 2008).

1.2.3.

Gli antiossidanti del pomodoro

Tra gli alimenti ricchi in composti antiossidanti, il pomodoro riveste un ruolo principale dal momento che contiene elevate concentrazioni di carotenoidi, tra i quali il licopene, che, grazie alla sua struttura altamente insatura si è rivelato uno dei più potenti antiossidanti naturali oltre ad essere coinvolto nei processi di comunicazione cellulare e di modulazione ormonale ed immunitaria (Rao et al., 2006). Inoltre il pomodoro è un’ ottima fonte di β-carotene (pro-vitamina A) e di luteina, importanti composti coinvolti nel buon funzionamento della vista e contiene discrete quantità di acido ascorbico.

Il pomodoro è anche un buon accumulatore, soprattutto nella buccia, di flavonoidi, polifenoli che per la loro struttura chimica manifestano ottime proprietà antiossidanti (Pietta, 2000). Diversamente dai carotenoidi, i flavonoidi possono trovarsi in differenti compartimenti cellulari, liberi nel citoplasma, legati alla parete cellulare e glicosilati nei vacuoli. Tra i flavonoidi presenti nel pomodoro rivestono un ruolo importante, sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo, la naringenina calcone, dotata di proprietà antiallergiche ed anti infiammatorie, la rutina,

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antimicrobica e anticarcinogena e la quercitina che somma alle proprietà della rutina anche quella anti infiammatoria (Nijveldt et al., 2001; Yamamoto et al., 2004; Hirai et al., 2007).

Il contenuto di questi composti all’interno del pomodoro varia per cause sia endogene che esogene. Per quanto riguarda le cause endogene numerosi studi hanno concluso come il contenuto di questi antiossidanti dipenda dalla componente varietale (Scalzo et al., 2005) e dallo stadio di maturazione a cui viene raccolto il frutto (Kotikova et al., 2011).

Anche le condizioni ambientali in cui sono allevate le piante possono influenzarne l’accumulo nei frutti (Crozier et al., 1997). Alcuni studi hanno infatti evidenziato come ci fosse una differenza significativa nel contenuto in polifenoli e nella capacità antiossidante tra frutti ottenuti mediante agricoltura biologica o convenzionale (Faller et al., 2010).

Il contenuto di composti antiossidanti può variare anche a seguito di stress artificiali appositamente indotti dall’uomo. Recentemente l’attenzione dei ricercatori si è focalizzata sullo studio della relazione tra la radiazione UV-B presente nella luce solare e l’accumulo di tali composti, in condizioni di assenza o sovradosaggio di tale radiazione (Calvenzani et al., 2010, Giuntini et al., 2005; Liu et al. 2011).

Inoltre nel pomodoro sono presenti sali minerali che rivestono particolare importanza come il calcio, il potassio, il fosforo ed il ferro, spesso non presenti in quantità sufficienti in altri alimenti.. Proprio per un limitato apporto calorico unito all’elevato contenuto in minerali, vitamine ed antiossidanti, risulta un alimento ideale in linea con gli attuali indirizzi nutrizionali e può quindi essere inscritto nella lista dei cosiddetti functional foods.

1.2.3.1. I flavonoidi

Il ruolo fondamentale di questo gruppo di sostanze naturali presenti quasi esclusivamente nelle piante superiori, è quella di impartire una colorazione ai fiori, ai frutti e talora alle foglie. Molti flavonoidi hanno una colorazione gialla o giallastra, che rende ragione del loro nome (dal latino flavus, giallo). Oltre a determinare tali pigmentazioni, i flavonoidi hanno un ruolo chiave anche nel complesso sistema di segnali tra piante e microbi, nella fertilità

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maschile di alcune specie, come deterrenti per la predazione e nella difesa come agenti antimicrobici. Il ruolo svolto dai flavonoidi nella protezione della pianta nei confronti di attacchi microbici vede coinvolta non solo la loro presenza come agenti costitutivi, ma anche il loro accumulo con funzione di fitoalessine (Hartborne e Williams, 2000).

Da un punto di vista chimico, i flavonoidi, sono composti che hanno in comune la struttura base del 2-fenil-α-benzopirone. La configurazione dei flavonoidi si basa su due anelli aromatici (A e B) legati da una catena a 3 atomi di carbonio (C6-C3-C6) che nella maggior parte dei casi è chiusa dall’ossigeno formando così un anello eterociclico (Figura 2); in alcune circostanze l’anello risulta aperto (calconi) e i loro precursori sono il malonil-CoA ed il p-cumaril-CoA.

Fig. 2 Struttura base di un flavonoide

Le caratteristiche dei differenti gruppi di flavonoidi dipendono principalmente dalla configurazione dell’anello centrale che consente la seguente classificazione.

 Flavan-3-olo  Flavan-3,4-diolo  Flavanone  Flavanone-3-olo  Flavone  Isoflavone  Flavone-3-olo

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 Calcone

 Antocianidina

La famiglia dei flavonoidi include in maniera più generale sei sottogruppi principali: i calconi, i flavanoni, i flavonoli, i flavoni, le antocianine e gli isoflavoni.

I flavonoidi, soprattutto gli isoflavonoidi e i flavanoni hanno inoltre lacapacità di inibire la germinazione delle spore dei patogeni fungini dellepiante. Un’altra azione legata alle caratteristiche del loro spettro diassorbimento può anche essere quella di proteggere la foglia dalla radiazione UV, infatti, aumentando l’altitudine aumenta nelle foglie il contenuto inantocianidine. Dal momento che i primi steps della via biosintetica deiflavonoidi sono rintracciabili anche nelle briofite, si suppone che i flavoni, i flavanoni e i flavonoli abbiano avuto inizialmente il ruolo di messaggeri chimici per divenire solo in seguito filtri nei confronti delle radiazioni UV.

La caratteristica di alcuni flavonoidi di assorbire nell’ultravioletto è stata considerata un’evidenza del ruolo dei flavonoidi nella protezione da tali tipi di radiazioni (Sisa et al., 2010; Winkel e Shirley 2010; Agati e Tattini, 2006). Tale ipotesi è stata confermata mediante esperimenti con mutanti di Arabidopsis, che mostravano come alterazioni nella calcone sintasi (CSH) e nella calcone isomerasi (CHI) erano presenti in fenotipi UV-ipersensibili; infatti la radiazione UV induce la sintesi di flavonoli con alti livelli di idrossilazione e, poichè l’idrossilazione non ha effetti sulle proprietà di assorbimento dell’UV, ma ha effetti sulla loro capacità antiossidante, questo ha suggerito che i flavonoli potessero giocare un ruolo nella risposta da stress a tali tipi di radiazioni ( Morales et al., 2010).

I flavonoli ed i flavanoni sono le principali sottoclassi dei flavonoidi presenti nei frutti; questi flavonoidi sono solitamente presenti come O-glucosidi, avendo uno zucchero coniugato, come il glucosio, il ramnosio, il rutinosio e l’arabinosio. La presenza di questi zuccheri incrementa la polarità dei flavonoidi così che,diventando più solubili, possano essere trasportati e immagazzinati all’interno dei vacuoli. I flavonoidi presenti principalmente nella frutta sono la quercitina ed il canferolo enel frutto di pomodoro allo stadio di completa maturazione i principali flavonoidi sono la rutina (quercitina-3-O-rutinoside), la naringenina-7-O-glucoside, la

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naringenina calcone ed il canferolo-3-rutinoside (Santangelo et al., 2006; Torres et al., 2005; Slimestad e Verheul, 2009).

Tra le varie azioni dei flavonoidi quella anti-infiammatoria riveste un ruolo estremamente importante e sembra essere dovuta principalmente all’inibizione dei radicali liberi dell’ossigeno ed al blocco degli enzimi coinvolti nel metabolismo dell’acido arachidonico; i flavonoidi interferiscono con tale metabolismo inibendo sia gli enzimi responsabili della sua liberazione dalle membrane (fosfolipasi) sia quelli coinvolti nel suo metabolismo (ciclossigenasi e lipossigenasi). In tal modo i flavonoidi sarebbero in grado di bloccare la sintesi di importanti mediatori chimici dell’infiammazione quali prostaglandine, tromboxani e leucotrieni. La capacità dei flavonoidi di inibire gli enzimi a cascata lungo la via di sintesi dell’acido arachidonico è legata alla loro azione di scavenger dei radicali liberi, a seguito della quale si interrompono i fenomeni di perossidazione lipidica che svolgono un ruolo importante nella regolazione dell’attività enzimatica delle ciclossigenasi (Hung et al., 2011).

In particolare è stato osservato come la quercitina inibisca diverse fosfolipasi, come il canferolo e la miricetina siano potenti inibitori delle lipossigenasi e come la rutina inibisca le ciclossigenasi (Pinto et al., 2011).

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1.2.3.1.1. Biosintesi dei flavonoidi

Fig. 3 Rappresentazione schematica delle ramificazioni più importanti nel percorso di biosintesi dei flavonoidi

Nella figura 3 viene rappresentata la via biosintetica dei flavonoidi. Il primo passaggio è rappresentato dalla conversione

dell’acetil-CoA in malonil-dell’acetil-CoA, reazione catalizzata dall’enzima acetil-dell’acetil-CoA carbossilasi. Successivamente tre molecole di malonil-CoA

vengono condensate con una molecola di 4-cumaroil-CoA tramite la calcone sintasi (CHS).

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L’enzima calcone isomerasi (CHI) catalizza la chiusura dell’anello eterociclico centrale, in particolare l’isomerizzazione del composto colorato in giallo 4,2’,4’,6’-tetraidrossicalcone nel composto incolore naringenina. Il flavanone naringenina viene convertito in

diidrossicanferolo (DHK) grazie alla flavanone 3-idrossilasi (F3H). Il DHK funge da substrato per la sintesi dei flavonoli e delle

antocianidine.

La flavonol sintasi (FLS) porta alla sintesi del flavonolo

canferolo; le ossidrilazioni catalizzate dalla flavonoide 3’-idrossilasi (F3’H) e dalla flavonoide 3’-5’- 3’-idrossilasi (F3’5’H)

rispettivamente portano alla diidroquercitina e alla

diidromiricetina. La diidroquercitina viene trasformata in quercitina dalla FLS, e la diidromiricetina viene poi trasformata

in miricetina dallo stesso enzima.

I diidroflavonoli sono incolori, e sono necessari altri tre enzimi per trasformarli in antocianidine ed antocianine colorate. Il primo enzima, la diidroflavonol 4-reduttasi (DFR), catalizza la riduzione dei diidroflavonoli in leucoantocianidine; l’antocianidina sintasi attua ulteriori processi di ossidazione, infine la glicosilazione delle

leucoantocianidine avviene tramite l’enzima UDP

glucosio:flavonoide 3-O-glucosiltrasferasi (3GT), per produrre le

rispettive antocianine colorate.

L’enzima flavonoide metiltrasferasi opera un’esterificazione e successivamente avvengono glucosilazioni e metilazioni delle strutture formate, con l’ottenimento di ognuna delle sei classi di flavonoidi. E’ stato identificato un gene che regola tale via metabolica; tale gene è ANT1, ed è stato visto che la sua sovra-espressione causa la sovra-regolazione di geni che codificano per proteine sia nei primi che negli ultimi stadi della biosintesi di antocianidine, così come per geni coinvolti nella glicosilazione e nel trasporto di antocianine all’interno dei vacuoli. L’espressione di questo gene è normalmente bassa durante gli stadi di sviluppo e ristretta a tessuti specifici. Il gene ANT1 codifica per un fattore proteico MYB. Con l’incremento dell’espressione di ANT1 si ha la sovra-regolazione di un gene che opera a valle e che codifica per la glutatione S-transferasi (GST). La sovra-espressione di ANT1 risulta in una alta regolazione dei geni che codificano per le proteine dei primi ed ultimi stadi della biosintesi delle antocianine, la calcone sintasi (CHS) e la diidroflavonolo riduttasi (DFR). Vengono sovra-regolati anche i geni che sembrano codificare per il 3-O-glucosiltransferasi e per il 5-O-glucosiltransferasi, così come

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per il tipo GST, una proteina che lega i flavonoidi, richiesta per il trasporto vacuolare; oltre a ciò, è stata notata la sovra-regolazione di altri tre geni: un gene simile alla calcone isomerasi (CHI-like), un omeodominio-GLABRA2 (HD-GL2) simile alla proteina HD-GL2 in

Arabidopsis ed una permeasi simile alle proteine richieste per il

trasporto vacuolare delle proantocianidine, come il gene TT12 in

Arabidopsis (Mathews et al., 2003). In Arabidopsis, il gene ICX1 è

un regolatore negativo della biosintesi dei flavonoidi; quindi il mutante icx1 porta ad un’elevata induzione del gene CHS e di altri geni legati a tale pathway (Wade et al., 2003).

1.2.3.2. I carotenoidi

I carotenoidi sono pigmenti gialli, lipo-solubili, situati all’interno delle membrane dei cloroplasti e dei cromoplasti. Appartenenti alla grande famiglia dei terpenoidi (tetraterpeni) i carotenoidi sono importanti agenti antiossidanti e fotorecettori (componenti dei sistemi antenna).

Nei tessuti possono essere protetti dalle ossidazioni dalla presenza dei tocoferoli. Sono presenti praticamente in tutti i tessuti fotosintetici, nei fiori, nei frutti e nei pollini mentre nei semi si trovano solo in tracce. Essi svolgono svariate funzioni: possono agire da ormoni vegetali, funzionare come pigmenti fotosintetici, come trasportatori di elettroni ed essere componenti di membrana. I terpenoidi coinvolti nei meccanismi di difesa delle piante sono quelli con un peso molecolare più basso, ovvero molecole che vanno dai 10 ai 20 atomi di carbonio. I terpenoidi rappresentano la base per la preparazione di aromi, profumi e medicinali.

I carotenoidi possono essere sintetizzati ex novo in tutti gli organismi fotosintetici ed in molti non fotosintetici (Bartley et al., 1995). Nei tessuti verdi delle piante superiori i carotenoidi esplicano essenziali funzioni protettive bloccando la formazione di ROS anche mediante il ciclo delle xantofille deputato alla dissipazione dell’energia sotto forma di calore. Questo ciclo, consistente nella de-epossidazione della violaxantina a zeaxantina attraverso l’intermedio anteraxantina, è comunemente attivato in condizioni di luminosità eccessiva o in condizioni di stress che riducono la capacità di utilizzo della radiazione luminosa per via fotochimica.

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Questi pigmenti si trovano, inoltre, nei cromoplasti come responsabili della colorazione gialla, arancione e rossa di molti fiori, frutti e radici. Carote, pomodori e verdure (spinaci, broccoli e fagiolini verdi) sono esempi di eccellenti fonti di carotenoidi, per questo molto importanti nella dieta umana (Tonucci et al., 1995). I principali carotenoidi presenti nel pomodoro sono il β-carotene ed il licopene (Figura 4), essi rappresentano la più importante fonte di antiossidanti nella dieta umana, il loro contenuto nel frutto è fortemente influenzato dallo stadio di maturazione. Il licopene è un carotenoide insaturo a catena aperta presente in pochi altri vegetali, noto come efficiente radical quencher, di conseguenza capace di combattere le specie reattive dell’ossigeno e di evitare le lesioni cellulari, esso, a differenza del β-carotene,non viene trasformato in vitamina A ma svolge indipendentemente la sua attività antiossidante. Il licopene è l’elemento che dà il colore rosso al frutto maturo e negli alimenti freschi si trova sotto forma strutturale di isomeri “trans”. L’assorbimento intestinale risulta maggiore se gli isomeri hanno forma “cis” e tale trasformazione accade con la cottura degli alimenti. Il prodotto trasformato ha

quindi una maggiore attività protettiva

antiossidante;l’assorbimento del licopene è influenzato dall’assorbimento dei lipidi, infatti con essi i carotenoidi formano delle micelle miste che attraverso la mucosa intestinale vengono incorporati nei chilomicroni e rilasciati attraverso il sistema linfatico nel flusso sanguigno, successivamente si depositano nei tessuti ricchi di recettori per le LDL (fegato, prostata, surrene e testicoli); il licopene svolge la sua attività antiossidante catturando l’ossigeno singoletto e riducendo la formazione di radicali liberi che rappresentano i maggiori responsabili del danno cellulare.

L’ossigeno singoletto è spento dal licopene ad una velocità almeno doppia del β-carotene.

Si aggiunge alle sue proprietà antiossidanti la capacità di indurre la comunicazione cellulare, la modulazione ormonale, la stimolazione del sistema immunitario e di altre vie metaboliche, le quali possono essere responsabili di effetti benefici. Il licopene è uno dei carotenoidi più presenti nella dieta europea e del Nord America, accentuando l’importanza nutrizionale di questi componenti. Si crede ad una simultanea presenza e sinergica azione di β-carotene e licopene e di altri composti antiossidanti nella prevenzione di malattie degenerative (Lenucci et al.,2006 ).

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Fig. 4 β-carotene e licopene

1.2.3.2.1. Biosintesi dei carotenoidi

Fino a poco tempo fa si credeva che i precursori dei carotenoidi fossero sintetizzati con la via dell’acido mevalonico mentre studi recenti hanno rivelato che si formano attraverso la via del 2-C-metil-D-eritritolo-4-fosfato/1-deossi-D-xilulosio-5-fosfato (DOXP) (Figura 5). Sebbene entrambe le vie biosintetiche producono l’IPP, la via dell’acido mevalonico porta alla formazione di steroli, sesquiterpenoidi e triterpenoidi nel citosol, mentre la via del DOXP porta alla formazione degli isoprenoidi pleastidici come carotenoidi, fitolo, plastochinone-9 e diterpeni nel cloroplasto (Bramley, 2002).

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Fig. 5: Via metabolica del 2-C-metil-D-eritritolo-4-fosfato/1-deossi-D-xilulosio-5-fosfato (MEP/DOXP pathway)

Il primo step è la condensazione di una molecola di piruvato con una molecola di gliceraldeide 3-fosfato ad opera dell’enzima DOXP sintasi (Dxs) con formazione di una molecola di 1-Deossi-D-xilulosio 5-fosfato (DOXP), la reazione richiede una molecola di tiammina di fosfato e viene rilasciata una molecola di CO2. L’ 1-Deossi-D-xilulosio 5-fosfato (DOXP) viene convertito in 2-C-metileritritol 4-fosfato (MEP) attraverso l’enzima DOXP reduttoisomerasi (Dxr, IspC) e con l’ossidazione di una molecola di NADPH a NADP+.

Grazie all’azione dell’enzima 4-difosfocitidil-2-C-metil-D-eritritol sintasi (YgbP, IspD) e della citosina trifosfato (CTP) come cofattore, il MEP viene convertito in 4-difosfocitidil-2-C-metileritritolo (CDP-ME), successivamente il CDP-ME viene fosforilato in 4-difosfocitidil-2-C-metil-D-eritritol 2-fosfato (CDP-MEP) ad opera dell’enzima 4-difosfocitidil-2-C-metil-D-eritritol chinasi (YchB, IspE) e di una molecola di ATP come donatore di un gruppo fosfato. Il passo successivo consiste nella scissione del CDP-MEP in una molecola di 2-C-metil-D-eritritol 2,4-ciclopirofosfato (MEcPP) ed una molecola di citosina monofosfato (CMP) ad opera dell’enzima 2-C-metil-D-eritritol 2,4-ciclodifosfato sintasi (YgbB, IspF).

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Il MEcPP viene trasformato in (E)-4-idrossi-3-metil-but-2-enil pirofosfato (HMB-PP) ad opera dell’enzima HMB-PP sintasi (GcpE, IspG), infine l’ultimo passaggio consiste nella scissione del (E)-4-idrossi-3-metil-but-2-enil pirofosfato (HMB-PP) in una molecola di isopentenil difosfato (IPP) ed una molecola di dimetilallil pirofosfato (DMAPP) ad opera dell’enzima HMB-PP reduttasi (LytB, IspH) e di una molecola di NADPH che si ossida a NADP+.

L’IPP viene considerato l’elemento di base per la costruzione di tutti gli altri terpenoidi, infatti viene isomerizzato dalla IPP isomerasi, con la formazione del dimetilallil pirofosfato (DMAPP).

L’enzima isoprene sintasi catalizza l’eliminazione del gruppo difosfato del DMAPP per formare l’isoprene, un composto volatile. Gli enzimi prenil-trasferasi catalizzano poi la condensazione di una molecola di isopentenil pirofosfato con un pirofosfato

allilico, determinando quindi l’aggiunta di 5 atomi di carbonio alla

molecola di origine. Per esempio, la preniltrasferasi GPP sintasi catalizza la condensazione dell’IPP con il DMAPP, per formare il

geranil pirofosfato (GPP), una molecola a dieci atomi di

carbonio,da cui hanno origine tutti i monoterpeni. La più importante trasformazione è rappresentata da una ciclizzazione dell’anello, catalizzata da enzimi definiti ciclasi, e che porta ad una gran varietà di molecole.

Dalla condensazione di una molecola di IPP con una di GPP, reazione catalizzata dalla farnesil pirofosfato sintasi, si ottiene una molecola di farnesil pirofosfato (FPP).

Anche l’FPP può andare incontro a reazioni di ciclizzazione; la condensazione di due molecole di FPP invece può portare alla formazione di una molecola a trenta atomi di carbonio, lo

squalene, ad opera della squalene sintasi, enzima che può

catalizzare anche l’eliminazione del residuo pirofosforico dal presqualene pirofosfato.

La condensazione di una molecola di FPP con una di IPP, che viene catalizzata dall’enzima GGPP sintasi, può dare luogo ad una molecola di GGPP (geranilgeranil pirofosfato).

Dalla condensazione di due molecole di GGPP si ottengono i

tetraterpeni, composti formati da 8 unità isopreniche (40 atomi di

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L’enzima fitoene sintasi (PSY) catalizza la condensazione di due

molecole di GGPP e porta alla formazione di prefitoene pirofosfato

(PPPP) e successivamente di fitoene, per distacco del gruppo

pirofosforico in C-1 (Figura 6). Tale composto è incolore, e con successive desaturazioni può essere convertito in carotenoidi colorati, che presentano doppi legami coniugati.

Dopo 4 desaturazioni si forma il pigmento rosso licopene, mentre prima si formano fitofluene (incolore), ζ-carotene (giallo) e

neurosporene (arancio).

Sul licopene, con la presenza del FAD, agisce la licopene ciclasi, portando alla formazione di β-carotene.

Le xantofille sono idrossi, epossi, furanossi e ossi derivati carotenoidici. Per ossidazione degli anelli iononici in posizione 3 e 3’ si formano le prime xantofille, tra cui la zeaxantina; un’ulteriore epossidazione nelle posizioni 5,6 e 5’,6’ porta alla formazione di xantofille quali la violaxantina. In questa ultima reazione, l’epossidazione può avvenire in presenza di luce e può portare alla interconversione della violaxantina nella zeaxantina, e viceversa. Le xantofille, ma più precisamente tutti i carotenoidi, sono estremamente importanti in quanto mattoni fondamentali dei complessi antenna dei fotosistemi necessari per la cattura della luce. Infatti, in associazione con le clorofille e componenti proteiche definite CAB, i carotenoidi partecipano alla costituzione di complessi proteina-pigmento dei quali il più abbondante è l’LHCII, il complesso antenna del fotositema II (Maffei, 1998).

La funzione principale dei complessi antenna è di trasferire energia ai centri di reazione dei fotosistemi I e II e dato che l’energia viene ceduta per risonanza è indispensabile che alcuni pigmenti siano localizzati alla periferia del complesso.

Oltre alle antenne maggiori (LHCI e LHCII) esistono complessi proteina pigmento denominati antenne minori, tra i quali i complessi CP23, CP26,CP29 (Cohen et al., 1995). Il ruolo di questi complessi è quello di mediare il trasferimento di energia dai complessi LCHII ai centri di reazione, ma anche di calibrare le dimensioni dell’antenna in risposta alle condizioni di luce, dissociandosi o associandosi ed anche cambiando l’efficienza del trasferimento di energia attraverso l’azione del ciclo delle xantofille (Simpson e Knoetzel, 1996).

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1.3.

Etilene

L’etilene è una molecola segnale gassosa con caratteristiche simili a quelle degli ormoni (per esempio il fatto di essere attivo a concentrazioni nanomolari (1 ppm = 1 μL /L). Esso è il più semplice tra gli alcheni per la sua struttura d’idrocarburo insaturo con un doppio legame covalente tra due atomi di carbonio. Tale molecola è planare e gli atomi giacciono sullo stesso piano (Figura 7).

Fig. 7 Struttura molecolare dell’etilene

La più alta produzione di etilene si riscontra in tessuti senescenti, in quelli sottoposti a stress e in quelli in fase di maturazione. L’etilene ha numerosi effetti sui processi fisiologici delle piante, è un prodotto naturale del metabolismo vegetale ed è prodotto da tutti i tessuti delle piante più complesse e da alcuni microrganismi. Come ormone vegetale regola molti aspetti della crescita, dello sviluppo e della senescenza, inoltre gioca un ruolo importante nell’abscissione degli organi delle piante e in risposta a stress di natura biotica ed abiotica.

Per quanto riguarda i frutti climaterici, la maturazione è associata ad un aumento di produzione di etilene e l’esposizione ad esso può accelerare la maturazione e accorciare il periodo pre-climaterico. Durante il periodo pre-climaterico il frutto rimane solido, inoltre, la respirazione e la produzione di etilene sono basse, rimuovendo risorse esterne di etilene possiamo prolungare tale periodo. Durante il periodo climaterico la maturazione è rapida, la respirazione è alta e tale è anche la produzione di etilene, rimuovendo risorse esterne di etilene non possiamo rallentare la maturazione (Figura 8).

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Fig. 8 Andamento del tasso respiratorio in relazione alla produzione di etilene e alla crescita di frutti climaterici e non climaterici

1.3.1.

Biosintesi dell’etilene

Riferimenti

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