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La dinamica delle risorse, il caso Porto di Piombino

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Magistrale in

Strategia, Management e Controllo

TESI DI LAUREA

La dinamica delle risorse:

Il caso Porto di Piombino

Relatore: Prof. Bianchi Martini Silvio

Candidato: Matteo Donati

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Sommario

Introduzione ... 3

1.

L’analisi della dinamica delle risorse ... 4

1.1. Profili dell’analisi strategica ... 4

1.2. La dinamica delle risorse ... 22

1.3. Un possibile modello di analisi delle risorse in chiave dinamica ... 29

2.

Il Caso: il Porto di Piombino ... 47

2.1. Contesto generale ... 47

2.2. Cenni storici sul Porto di Piombino ... 47

2.3. Analisi strategica del Porto di Piombino: Impostazione strategica attuale ... 50

2.4. Analisi dinamica delle risorse ... 57

Conclusioni ... 85

BIBLIOGRAFIA ... 86

Ringraziamenti ... Errore. Il segnalibro non è definito.

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Introduzione

Il seguente elaborato è il risultato di un’esperienza di tirocinio compiuta presso gli uffici dell’Autorità Portuale di Piombino, oramai Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Settentrionale, durante il corso di studi in Strategia, Management e Controllo.

Obiettivo della tesi è quella utilizzare il framework teorico della Resouce-based view come base di partenza per analizzare le risorse a disposizione del porto di Piombino, applicandovi poi un approccio dinamico in modo da poterle apprezzare in relazione al mutevole contesto di riferimento in un’ottica strategica.

Di conseguenza, inizieremo ad analizzare le teoria delle risorse, contemplando contributi di più esponenti, finendo poi per presentare il sopra citato modello di analisi dinamica delle risorse.

Proseguiremo poi introducendo il caso specifico del porto di Piombino, analizzando brevemente il contesto di riferimento e presentando quella che è stata la sua storia. A quel punto procederemo ad applicare il framework teorico ed il modello di analisi statica al caso di studio.

I risultati ottenuti dalla nostra analisi ci forniranno un’utile base di riflessione riguardo alla composizione del portafoglio risorse in possesso al porto piombinese, permettendoci di analizzarne il valore strategico in chiave statica. Successivamente, utilizzando il modello di analisi dinamica, si andranno a valutare le stesse risorse identificate considerando anche le dinamiche settoriali ed i mutamenti ambientali a cui il porto stesso è esposto.

Questa analisi, che prevedrà anche uno studio degli interventi già pianificati dall’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Settentrionale, metterà in luce quelli che sono i piani di riconfigurazione del portafoglio risorse stesso, consentendoci anche di formulare delle ipotesi circa eventuali ulteriori sviluppi possibili.

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1. L’analisi della dinamica delle risorse

1.1. Profili dell’analisi strategica

L’analisi strategica, come afferma Bianchi Martini (2009), ha come compito primario quello di andare ad analizzare l’azienda per come è attualmente, ovvero, sotto un profilo prettamente oggettivo.

Si tratterà in sostanza di analizzare ciò di cui l’azienda si compone, ovvero: - le risorse di cui dispone: materiali, immateriali e finanziarie;

- le attività ed i processi messi in atto dalla gestione;

- le relazioni instaurate, sia in riferimento ai mercati che ai propri stackeholders. L’insieme di queste componenti, dà vita a quello che viene definito come sistema d’azienda

attualmente operante (o sistema d’azienda operante). Questo tipo di studio, limitandosi alla

situazione attuale sotto il profilo oggettivo, porta ad un’analisi di tipo prettamente operativo. Tuttavia, trattandosi di uno studio che trova ragione in un’analisi di tipo strategico, il livello operativo non è sufficiente, sarà pertanto opportuno osservare il profilo dell’azienda in esame anche in termini politico-strategici, andando quindi a considerare anche tutte quelle componenti di tipo soggettivo che vanno a costituire l’idea imprenditoriale a cui il sistema d’azienda attualmente operante si ispira.

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ANALISI STRATEGICA

Profilo «Soggettivo» Profilo «Oggettivo»

• Risorse • Attività e processi • Relazioni Sistema d’azienda attualmente operante Livello operativo Idea imprenditoriale

Impostazione strategica attuale

Livello politico-strategico

L’idea imprenditoriale prende vita dallo strategic decision maker, il quale, tramite considerazioni soggettive, delinea un preciso disegno imprenditoriale per l’azienda. Questo progetto d’impresa, viene definito come impostazione strategica attuale.

L’impostazione strategica attuale (definita anche come formula o disegno imprenditoriale

per l’oggi) altro non è che la traduzione sul piano logico e pratico ed in termini progettuali

dell’idea imprenditoriale, che si concretizza dunque in un sistema di elementi a valenza operativa, divenendo il modello ispirante l’intera gestione aziendale. Come si può facilmente intuire, la condivisione dell’impostazione strategica attuale tra tutte le componenti delle aree decisionali, oltre a fornire delle linee guida a cui ispirarsi nelle attività di gestione, pone le basi per sviluppare un’ottima governabilità aziendale.

Ricapitolando, ai fini di una valutazione dell’impostazione strategica attuale si rende preventivamente necessario lo studio di due “oggetti di analisi strategica”:

- l’idea imprenditoriale;

- il sistema aziendale attualmente operante.

Il sistema aziendale attualmente operante altri non è che la traduzione operativa dell’idea imprenditoriale. Occorre però tenere presente che un’azienda dovrà sempre adattarsi alle specifiche condizioni con cui si troverà ad interagire, a loro volta condizionate da dinamiche di natura ambientale, aziendale ed umana. Quindi, potremmo definire il sistema azienda non

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come la traduzione univoca dell’idea imprenditoriale, ma il suo concretizzarsi sulla base di tutte le specifiche dinamiche in atto.

È altresì evidente come le modalità di realizzazione del progetto imprenditoriale influenzino l’impostazione strategica attuale e quindi l’idea imprenditoriale stessa, comportando quindi una sua rivisitazione ed adattamento in corso di realizzazione basato sull’esperienza, con un processo evolutivo del tipo learning by doing.

Tra questi tre elementi, idea imprenditoriale, impostazione strategica attuale e sistema d’azienda attualmente operante esiste per quanto appena descritto una relazione di influenza

circolare e multidirezionale. Idea imprenditoriale Impostazione strategica attuale Sistema d’azienda attualmente operante Processo di apprendimento

Relazione circolare e multidirezionale tra gli oggetti strategici dell’azienda dell’oggi

È dunque possibile identificare, effettuando un’analisi strategica dell’azienda “dell’oggi”: - Due dimensioni puntuali, rappresentate dal sistema d’azienda attualmente operante

e dall’idea imprenditoriale concettualizzata progettualmente nell’impostazione strategica attuale;

- Due dimensioni dinamiche, date dal processo di attuazione dell’impostazione strategica attuale e dai processo di apprendimento che avviene contestualmente alla realizzazione del processo stesso, permettendo di affinare ed adattare l’impostazione strategica in base alle necessità.

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Oltre a queste quattro dimensioni, l’analisi si rivolge anche a:

- Due situazioni distinte: una reale, data dal sistema d’azienda attualmente operante, e una ipotetica, ovvero l’idea imprenditoriale concettualizzata progettualmente nell’impostazione strategica attuale;

- Due processi evolutivi, ovvero l’attuazione e l’apprendimento, come già detto interconnessi tra loro.

Questa distinzione si rende necessaria in ragione del fatto che il successo o l’insuccesso di un’azienda può dipendere sia dall’adeguatezza o meno dell’impostazione strategica attuale, sia dall’efficacia/efficienza o dall’inefficacia/inefficienza nella sua realizzazione e riconcettualizzazione.

Questa digressione, ci permette di introdurre l’approccio di analisi cosiddetto

Resource-based view (RBV), corrente di ricerca che trova origine negli anni ’80 del novecento, e che

permette di analizzare proprio il sistema d’azienda attualmente operante.

Ad ogni modo, contributi precedenti si hanno già nel 1959, a cura di Penrose, ed ancor prima a Schumpeter, con il suo concetto di rendita imprenditoriale.

In particolare, fu proprio la Penrose che, adottando un’ottica di tipo intraorganizzativa, analizzò il concetto di risorse in chiave di limiti e di direzione per lo sviluppo, in termini di opportunità di diversificazione.

Secondo Penrose (1959), l’impresa va oltre al suo essere un semplice apparato amministrativo volto al coordinamento di fattori produttivi, assumendo il carattere di portafoglio di risorse produttive, fisiche ed intangibili, sviluppate per il migliore svolgimento della funzione di produzione.

Molte delle ipotesi fondanti l’approccio resource-based si devono proprio a lei, in particolare, la Penrose sosteneva:

 “È l’eterogeneità, e non l’omogeneità, dei servizi produttivi disponibili o

potenzialmente traibili dalle sue risorse che dà ad ogni azienda il suo carattere unico”, enfatizzando su come l’unicità delle imprese si abbia in funzione del

differente profilo di competenze e risorse a sua disposizione;

 “Una impresa può ottenere rendite non solo perché possiede una maggiore

dotazione di risorse, ma piuttosto perché la sua competenza distintiva permette un migliore uso delle sue risorse”, sottolineando come sia importante la gestione delle

risorse, oltre che la loro disponibilità, per ottenere un risultato superiore alla media;  Poneva inoltre l’attenzione su aspetti legati alla governance ed organizzativi.

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Ad ogni modo, la ragione dell’avvento dell’approccio RBV sta nell’osservazione, da parte di alcuni studiosi, di come molte imprese, presenti ed operanti in un medesimo settore, registrassero risultati, in termini di performance, molto eterogenei tra loro.

Infatti, l’allora paradigma teorico prevalentemente accettato era quello dell’industrial

organization che sosteneva, al contrario dell’RBV, l’omogeneità delle condotte e delle

performance aziendali all’interno di ciascun settore, determinate dalla struttura stessa del settore1. Questa rigidità venne meno solo successivamente quando, con l’introduzione del concetto di raggruppamento strategico a cura di Caves e Porter (1977), venne ammessa la possibilità di registrare risultati reddituali differenti, introducendo, accanto al già acclarato concetto di barriere all’entrata, quello di barriere alla mobilità del settore.

In altri termini, secondo gli autori che sostenevano questo tipo di approccio, la redditività media di un settore era definita dalla sua attrattività strutturale ma le differenze di performance tra i vari settori erano dovute alla capacità delle imprese presenti di creare delle barriere all’entrata2, e le differenze di performance all’interno di uno stesso settore erano,

invece, da imputarsi a barriere alla mobilità erette all’interno di essi (Caves e Porter, 1977). In questo modo, le rendite ottenute dalle imprese erano di tipo monopolistico3.

Tuttavia nel 1984, i due autori Wernerfelt e Rumelt si trovano a riflettere, ognuno per suo conto, su come l’eterogeneità delle performance all’interno e tra i settori non possa essere legata esclusivamente all’esistenza di generiche condizioni di accesso al settore o al raggruppamento strategico, quanto piuttosto ad un carattere di unicità specifico per ogni impresa riconducibile ad un diverso portafoglio di risorse e competenze. Fu proprio in quell’anno che Wernerfelt, in un articolo sullo Strategic Management Journal, coniò il termine resource-based view of the firm, sviluppando il pensiero delle Penrose abbinandolo ad elementi della teoria dei giochi, ed esplicitando le prime ipotesi di una teoria dell’impresa basata sulle risorse a sua disposizione. L’assunto di base, su cui Wernerfelt impronta tutto il suo lavoro, sta nella convinzione che le imprese dovrebbero prestare maggiore attenzione alle proprie risorse interne affermando che “risorse e prodotti sono facce di una stessa

1 Paradigma struttura-condotta-performance 2 Bain, 1956

3 A tal proposito si ricordano i differenti tipi di rendita:

 Monopolistico – dovute alla capacità dell’impresa di erigere delle barriere alla trasferibilità delle risorse e competenze;

 Ricardiano – dovute all’unicità o scarsità delle risorse e competenze possedute da un’impresa;  Schumpeteriano (imprenditoriale) – generate grazie alla capacità imprenditoriale di combinare le

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medaglia”. In particolare, alcune risorse risultano inscindibilmente legate alla capacità di un’impresa di realizzare dei profitti superiori alla media.

Oltre a questo, per indicare le barriere alla mobilità delle risorse, in analogia al concetto di barriere all’entrata, Wernerfelt introduce anche il termine resource position barriers. Allo stesso tempo, Rumelt (1974), che già da un decennio rifletteva riguardo alla diversità delle performance realizzate da imprese variamente diversificate, aveva notato come le imprese che diversificavano in settori correlati ottenessero risultati reddituali superiori, arrivando così ad elaborare una teoria sull’eterogeneità delle performance aziendali dovuta a meccanismi di isolamento riconducibili alla dotazione di risorse. Questi meccanismi permettono alle imprese di mantenere le proprie posizioni competitive asimmetriche, che stanno alla base delle rendite.

Quindi, unendo la visione di questi due autori, in primo luogo il concetto di rendita non viene più riferito genericamente all’impresa, ma scisso a livello di singole risorse e competenze. In questo modo, viene meno il concetto di barriera all’entrata nel settore o del raggruppamento strategico, ma si ha una barriera alla trasferibilità delle singole risorse e competenze.

In secondo luogo, ai fini della spiegazione dell’eterogeneità delle performance risultano egualmente importanti tutti i tipi di rendita.

Nel 1990 Hamel e Prahalad, nell’articolo pubblicato sull’Harvard Business Review, ampliano l’approccio resource-based introducendo il concetto di core competencies, e suggerendo di imprimere l’analisi strategica su di esse, in contrapposizione allo schema tradizionale che si basava sull’analisi sulle aree strategiche d’affari. Per loro infatti, l’impresa è un insieme di competenze, di cui alcune (le core competence appunto) sono funzionali allo sviluppo dei prodotti chiave (core products), a loro volta necessari per lo sviluppo dei prodotti finiti (end products).

Ad ogni modo, sebbene l’approccio resource-based sia ritenuto da molti come alternativo rispetto ai tradizionali schemi di analisi strategica, in realtà vi è un rapporto di complementarietà, poiché permette di:

 Approfondire l’analisi del profilo di risorse e di competenze necessario al posizionamento competitivo nei mercati e nei segmenti in cui opera l’impresa, sia individuando le risorse e le competenze ritenute critiche per la sostenibilità del vantaggio competitivo, sia offrendo spunti sulle modalità di gestione e trasferimento delle stesse;

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 Progettare il profilo ideale di risorse e competenze per garantire all’impresa la sopravvivenza e lo sviluppo nel medio/lungo termine, enfatizzando il processo di creazione, mantenimento e sviluppo delle risorse e competenze stesse.

Possiamo dunque ricapitolare i principali lineamenti su cui si basa il pensiero resource-based, ovvero:

 L’impresa è un portafoglio di risorse e competenze;

 Ogni impresa è unica, in ragione dell’unicità del suo portafoglio di risorse e competenze;

 L’eterogeneità delle performance delle imprese ed il conseguimento delle rendite sono dovuti all’esistenza di meccanismi di isolamento, ma solo alcuni di essi sono dovuti all’esistenza di barriere all’entrata;

 Il vantaggio competitivo di un’azienda dipende dalla diversa dotazione di risorse e competenze e dalla sua capacità di costruire/combinare/acquisire/gestire tali risorse e competenze.

È bene soffermarci su quest’ultimo punto, analizzando più approfonditamente il rapporto esistente tra le risorse/competenze ed il vantaggio competitivo sostenibile per un’impresa. Nel 1995 Grant offre uno schema descrittivo in cui sintetizza gran parte dei maggiori contributi trattanti questo rapporto. Nella sua visione, i vantaggio competitivo di un’azienda è frutto della sua capacità della sua strategia aziendale, di coniugare in maniera coerente le competenze aziendali con i fattori critici di successo propri del settore in cui essa opera. Sulla base di quanto affermato precedentemente, ovvero che le competenze di un’impresa si sviluppano sulla base delle risorse (umane, tangibili e intangibili) proprie di un’impresa in un dato momento, sono proprio le risorse e le competenze a rappresentare la base del vantaggio competitivo, sia esso di differenziazione oppure di costo.

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Fattori critici di successo nel

settore Strategia competitiva Vantaggio competitivo

Risorse e Competenze aziendali

Il rapporto tra risorse, competenze e vantaggio competitivo

Fonte: rielaborazione da Grant (2005)

È dunque facile comprendere quanto sia di fondamentale importanza compiere un’analisi delle risorse per poter comprendere il sistema d’azienda attualmente operante, ad ogni modo, è bene fare alcune precisazioni.

Analizzare le risorse in questa prospettiva, ovvero in un’ottica strategico-situazionale, significa effettuare due fasi conseguenziali:

1. Analisi della composizione del portafoglio delle risorse presenti in azienda (classificazione delle risorse in una sorta di “inventario”);

2. Analisi delle determinanti del valore strategico delle risorse.

Molti sono i contributi teorici riguardanti la classificazione delle risorse, noi adotteremo quella suggerita da Grant4, che identifica tre categorie di risorse:

 Risorse tangibili;  Risorse intangibili;  Risorse umane;

In via generale, è bene precisare che le risorse, prese singolarmente, possono non generare vantaggio competitivo per l’azienda. Esso infatti scaturisce solo dalla combinazione unica di diverse risorse messa in atto, unica proprio perché specifica di ogni azienda. Vediamo quindi quali siano i caratteri di ogni tipologia di risorsa.

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Le risorse tangibili sono rappresentate da tutti gli asset che possono essere osservati e quantificati. Impianti, infrastrutture e moli sono tutti esempi di risorse tangibili. A loro volta le risorse tangibili di un’azienda si dividono in:

1. Finanziarie, facenti riferimento sia alla la sua capacità di generare ricchezza, sia alle sue possibilità di accesso al credito;

2. Fisiche, intese come la posizione dell’azienda stessa e le sue attrezzature, e la possibilità di accesso alle materie prime.

Il valore di molte risorse tangibili è facilmente riscontrabile sui documenti contabili, ma il loro sarà un valore limitato, data la difficoltà di creare valore aggiuntivo da essi.

Rispetto alle risorse tangibili, quelle intangibili rappresentano una fonte superiore di vantaggio competitivo, difatti, nel sistema economico attuale, solitamente il successo di un’azienda scaturisce proprio da questo tipo di asset. Dato, appunto, il loro carattere intangibile, queste risorse sono difficilmente identificabili e replicabili dalla concorrenza, per questo motivo le aziende cercheranno di basare su di esse il proprio core business e la propria strategia competitiva.

In altre parole, tanto più una risorsa è “intangibile”, e di conseguenza più difficilmente replicabile ed identificabile dalla concorrenza, tanto maggiore sarà il vantaggio competitivo che essa potrà originare.

Più specifiche e di complicata individuazione sono, dunque, le risorse intangibili, che possono essere considerati degli “asset” che si sono accumulati nel tempo e che sono dunque radicati nella storia dell’impresa, si pensi a tal riguardo ad esempio alle capacità manageriali, organizzative, alla reputazione dell’azienda o del brand.

Anche le risorse intangibili sono classificabili in sottoclassi:

1. Culturali, intese come l’insieme dei valori e dei convincimenti sviluppati e condivisi all’interno di un’azienda;

2. Risorse reputazionali, tra cui:

 La reputazione nei confronti della clientela;  La forza del brand;

 La percezione che il prodotto dà in termini di qualità, durabilità e affidabilità  La reputazione nei confronti dei fornitori;

 Il sistema di relazioni ed interazioni sviluppate dall’azienda; 3. Risorse tecnologiche, di cui fanno parte:

 Brevetti;  Know how;

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 Copyrights;  Segreti industriali.

Un notevole beneficio derivante dalle risorse intangibili sta nel fatto che il loro utilizzo non ne diminuisce la fruibilità da parte di altri soggetti. Si pensi ad esempio alla condivisione di conoscenze tra i dipendenti, non solo tale condivisione non darà luogo ad una diminuzione di valore della conoscenza stessa, anzi al contrario è plausibile che tale condivisione comporti un valore aggiunto per l’azienda, originato proprio dall’interazione di più soggetti con background di conoscenza differenti. In generale, per quanto riguarda gli asset intangibili, tanto maggiore è il numero di soggetti che le utilizzano, tanto maggiore sarà il beneficio per tutto il gruppo, e quindi per l’azienda.

Il loro valore economico, proprio a causa della loro intangibilità, sarà di difficile identificazione e misurazione e, chiaramente, non sarà presente su alcun documento contabile.

L’ultima categoria di risorse è data da quelle cosiddette umane, ovvero quelle che, squisitamente riferite all’organico aziendale, si dividono in:

 Abilità specifiche e conoscenze, come ad esempio il grado di esperienza del personale o conoscenze specifiche incorporate nelle maestranze;

 Abilità comunicative e di interazione, nello specifico riferito alle capacità relazionali del personale;

 Motivazione, che comprende tutto il sistema degli incentivi al personale ed il grado di partecipazione alla vita aziendale.

Anche questo tipo di risorsa, quasi al pari di quelle intangibili, presenta una notevole difficoltà nella stima del suo valore, e rappresenta un fattore chiave per la sopravvivenza ed il successo dell’azienda.

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Risorse

Tangibili Intangibili Umane 1. Finanziarie 2. Fisiche 1. Culturali 2. Reputazionali 3. Tecnologiche

1. Abilità specifiche e conoscenze 2. Abilità comunicative e di

interazione 3. Motivazione

Oltre alle risorse, ci sono le competenze aziendali, che rappresentano le capacità di un’impresa di combinare e impiegare le proprie risorse, per il raggiungimento di determinati obiettivi.5 In pratica si traducono nelle capacità proprie dell’azienda di coordinamento e di creazione di schemi e modelli organizzativi, formalizzati o meno (Nelson e Winter, 1982). Esse, classificate da Buttignon (1996), sono distinguibili in:

 Specialistiche, ovvero utilizzabili sono in specifici contesti. A loro volta si suddividono in:

o Tecnologico-produttive – si riferiscono alla capacità dell’impresa di integrare le varie correnti tecnologiche al fine di progettare, ideare o realizzare prodotti innovativi;

o Di funzione – che attengono al sistema conoscitivo e relazionale che regola il funzionamento di aree di attività specialistiche;

o Di processo – riguardanti il sistema di relazioni e conoscenze attinenti al funzionamento dei processi aziendali interfunzionali.

 Generiche, ossia quelle che, viceversa, sono caratterizzate da un grado di versatilità tale da poter essere usate, o adattate, in vari contesti. Anche queste sono catalogabili in:

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o Integrazione esterna – ovvero la capacità di coniugare i caratteri del poprio sistema prodotto e la percezione dei bisogni del mercato;

o Integrazione interna – ovvero riguardante la connessione o l’interdipendenza tra le varie aree di attività, competenze e processi; o Flessibilità – indicante la capacità di reazione dell’impresa e la varietà

delle sue produzioni;

o Innovazione incrementale – date dalle capacità dell’impresa di migliorare continuamente il suo sistema produttivo e le proprie competenze specialistiche;

o Innovazione radicale – ovvero la capacità di cambiare radicalmente i caratteri delle combinazioni produttive.

Le competenze, salvo rari casi, non sono a disposizione di un’azienda al momento della sua nascita. Al contrario, esse vengono sviluppate con il tempo partendo dalle risorse umane, tangibili e intangibili di cui l’impresa dispone in un dato momento e concernono specificatamente al tipo di attività svolta.

Le competenze

Specialistiche Generiche • Tecnologico-produttive • Di funzione • Di processo • Integrazione esterna • Integrazione interna • Flessibilità • Innovazione incrementale • Innovazione radicale

Ad ogni modo, tra tutte le risorse e competenze presenti all’interno di un’impresa, solo alcune permettono di generare dei ritorni economici sopra la media, dando così vita ad un vantaggio competitivo. Queste particolari risorse e competenze sono dette competenze

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Citando Faccipieri6, “le competenze distintive di una impresa sono costituite da quelle capacità operative che qualificano l’identità dell’impresa rispetto a quella dei suoi concorrenti e che sono di rilevante importanza per il successo competitivo nei settori e nei mercati in cui l’impresa agisce”.

Un ulteriore concetto da definire, è quello di core competencies. Hamel e Prahalad (1990) definiscono le core competencies come quelle “conoscenze sviluppate dall’impresa, relative soprattutto al come coordinare diverse capacità produttive e integrare molteplici correnti tecnologiche” al fine di ideare, progettare e realizzare prodotti innovativi, in molteplici aree d’affari.7 Fattore determinante una competenza core, era dunque la sua capacità di estendere

il proprio raggio d’azione in una molteplicità di business.

Tuttavia successivamente, Hamel e Prahalad hanno esteso i confini del concetto di core competencies, rendendo molto più sfumata la differenza con il concetto di competenze distintive. In particolare, pur mantenendo il proprio carattere di ampio raggio d’azione, è venuta meno la focalizzazione su competenze di tipo tecnologico.

In ogni caso, si precisa come non tutte le risorse e competenze rappresentino un fonte di vantaggio competitivo, ma solo le risorse e competenze distintive. Molti sono i contributi teorici volti ad analizzare le risorse e competenze per identificare quelle che rappresentano una fonte di vantaggio competitivo.

Ad esempio, secondo Barney (1991), le risorse e competenze distintive, ovvero quelle capaci di generare un vantaggio competitivo, inteso sia come maggiore redditività del capitale investito rispetto alla media del settore, sia come capacità di rispondere meglio alle esigenze della clientela, sono quelle:

1. Capaci di generare valore, inteso come capacità di contribuire a mantenere rilevante il divario di produttività tra l’azienda ed i suoi concorrenti in termini di maggiore capacità di creazione di valore per il cliente e/o di capacità di contenere i costi aziendali;

2. Non diffuse tra i vari concorrenti attuali o potenziali, o meglio ancora rare; 3. Non perfettamente imitabili dai concorrenti;

4. Organizzate, nel senso che l’azienda è pienamente cosciente del loro potenziale e si adopera per renderle un elemento competitivo centrale del suo sistema di offerta. Di

6 Faccipieri, 1997 7 Buttignon, 1996

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conseguenza potrà sfruttarla a pieno e ad appropriarsi di tutto il suo potenziale ritorno economico.

Un ulteriore contributo teorico, che ci permette di apprezzare il valore di una data risorsa/competenza in chiave strategica e quindi in termini di capacità di generare vantaggio competitivo, ci arriva da Bianchi Martini (2017). Questo particolare strumento, di cui ci avvarremmo nell’analisi del nostro caso di studio, è detto “Decalogo delle determinanti del

valore” e rappresenta l’evoluzione di un modello, sempre elaborato da Bianchi Martini, noto

come “Pentagono delle risorse”.

Il decalogo prevede che le risorse/competenze vengano sottoposte a dieci test, rappresentati dalle dieci determinanti del valore, in modo da poterne apprezzare il valore strategico in chiave qualitativa. Il processo di analisi della singola risorsa consisterà quindi nel attribuirle un punteggio (ad esempio da 1 a 5) in relazione a tutte e dieci le determinanti e riportando i dati su di un grafico, in modo da avere un quadro più dettagliato e visivamente più significativo della rilevanza strategica della risorsa.

Decalogo delle determinanti del valore delle risorse

1. Scarsità

2. Natura distintiva

3. Concorso alla creazione del valore per il cliente

4. Concorso alla creazione di valore per gli altri interlocutori 5. Appropriabilità del valore (creazione del valore per l’azienda) 6. Affinità strutturale e coerenza funzionale

7. Durevolezza

8. Grado di rigidità conferito

9. Grado di utilizzazione/sfruttamento delle risorse 10.Estensibilità

Com’è facile intuire, questo schema è una semplificazione e non si deve mai perdere di vista le interrelazioni e sovrapposizioni che esistono tra queste dieci determinanti.

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Possiamo quindi soffermarci sulle singole determinanti: 1. Scarsità

Essa rappresenta quanto la risorsa/competenza sia disponibile ed accessibile ad un’azienda. Com’è facile intuire, una risorsa ampiamente disponibile ed accessibile, e quindi caratterizzata da un basso livello di scarsità, anche se fondamentale per la gestione aziendale, non potrà aggiungere valore all’azienda in termini comparativi.

2. La natura distintiva

Questa determinante esprime il grado di unicità che la risorsa/competenza è in grado di infondere al sistema di attività e/o al sistema di prodotto dell’azienda. Chiaramente, più una risorsa ha natura distintiva, tanto maggiori saranno le possibilità di basare su di essa il proprio vantaggio comparativo rispetto alle atre azienda, e di conseguenza il vantaggio competitivo. Questo però non deve far pensare che una risorsa debba necessariamente avere natura distintiva per essere di fondamentale importanza per l’azienda, ma che, al contrario, essa potrebbe rappresentare per l’azienda addirittura una risorsa critica o una core competence, anche non rappresentando un fattore di distintività (Bianchi Martini, 2017).

3. Il concorso alla creazione di valore per il cliente

Riprendendo il discorso sulla unicità e distintività di una risorsa, si deve tenere presente che non sempre le risorse dotate di tali requisiti pongono le fondamenta per la creazione di valore.

Ci sono infatti casi in cui le aziende si focalizzano su aspetti di natura meramente tecnica che hanno tali requisiti, ma che non creano valore per il cliente. È infatti importante sottolineare che la capacità di creare valore di un sistema prodotto è totalmente inutile se il cliente non avrà modo di riconoscerla. Conseguentemente è bene tenere presente, nell’analisi della risorsa, anche la problematica della percezione del valore da parte dell’utente finale, intesa ovviamente come componente essenziale della concreta creazione di valore. A tal riguardo un contributo arriva anche da Garzella (2005) che scrive: “la strategicità di una

risorsa deriva dal contributo che essa è in grado di sviluppare nel processo di creazione di valore per il cliente, una risorsa quindi è tanto più di valore quanto più percepita come tale dai clienti”.

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4. Il concorso alla creazione di valore per gli interlocutori

Analogo al concetto appena presentato, questa determinante rappresenta la capacità da parte della risorsa, di far percepire il proprio valore anche ai vari interlocutori. Ovviamente, il valore percepito può assumere diversi caratteri, si pensi ad esempio al valore sociale di una risorsa posseduta da un’impresa che va ad impattare positivamente sulla qualità della vita della comunità circostante.

5. Appropriabilità del valore (creazione di valore per l’azienda)

L’appropriabilità del valore sta ad indicare la capacità di tradurre in un beneficio economico per l’azienda il valore creato per i clienti e/o gli interlocutori. Si può infatti affermare che, in linea generale, una risorsa ha valore per l’azienda nella misura in cui essa genera benefici, oltre che per i clienti e/o interlocutori, anche per l’azienda in termini di performance rispetto ai competitor. Si tratta quindi di valutare se una risorsa sia in grado di produrre effetti migliorativi economici rispetto ai competitor.

In altri termini, come suggeriscono Garzoni e Invernizzi: “le risorse di un’azienda saranno di valore solo se sono in grado di soddisfare i bisogni dei consumatori meglio e/o a costi inferiori della concorrenza, consentendo all’azienda una superiore redditività”.

6. L’affinità strutturale e la coerenza funzionale

Esse sono influenzate dalla capacità e dalla possibilità di inserire la specifica risorsa/competenza nel sistema della produzione da parte dell’azienda, in modo da rendere possibile l’“appropriazione” di una parte del valore competitivo solo astrattamente generabile dalla risorsa/competenza o dal set di risorse/competenze.

Si tratta dunque non di una parte del valore oggettivamente riscontrabile nella risorsa, valore che essa ha anche al di fuori dell’azienda, ma di un particolare valore aggiunto che si viene a creare in relazione allo specifico sistema aziendale in cui la risorsa stessa viene collocata. Si tiene a precisare a tal proposito, che il valore di una risorsa per l’azienda è strettamente correlato allo specifico legame che si instaura con il sistema aziendale e la risorsa stessa. Sono abbastanza comuni infatti, casi in cui una risorsa, dall’alto valore oggettivo se valutata in

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ottica “stand alone”, una volta collocata in azienda non riesca più ad esprimere tale valore. Spetta infatti al management il compito di riuscire ad inserire la risorsa nel sistema aziendale combinandola con il fine di estrarne tutto il valore che essa può esprimere, anche nel caso di acquisizione della stessa da un terzo, in cui dovrà anche accertarsi preventivamente che tale risorsa disponga dei requisiti di affinità e coerenza con il sistema aziendale stesso.

7. Durevolezza

Anche questa determinante costituisce un requisito per potersi appropriare del valore della risorsa nel tempo, a tal proposito scrivono infatti Saloner, Shepard e Podolny (2002): “è nella natura della competizione il tentativo di imitare o

eliminare il vantaggio di un’impresa da parte dei propri concorrenti. Quando le fonti del vantaggio resistono alla concorrenza, il vantaggio è detto sostenibile. La possibilità che un concorrente possa imitare o rendere il vantaggio dell’impresa obsoleto rappresenta il maggior rischio per quello basato sulle competenze; il vantaggio basato sul posizionamento, invece, viene perso allorché un’impresa concorrente raggiunge lo stesso posizionamento oppure il suo valore viene annullato.”

È bene precisare infatti che il beneficio economico generabile da una risorsa/competenza non dipende esclusivamente dalla sua capacità di contribuire a generare un vantaggio competitivo, ma anche dalla possibilità di mantenere tale vantaggio nel tempo, infatti, l’attributo della durevolezza esprime anche il “processo di decadimento” delle altre determinanti fin qui osservate. Per chiarire quest’ultimo passaggio si pensi, ad esempio, ad un brevetto in scadenza o destinato ad essere economicamente superato, oppure ad una innovazione tecnica rilevante ma agevolmente replicabile dalla concorrenza.

Strettamente collegata alla durevolezza è la separabilità, con la quale intendiamo la capacità di una risorsa/competenza di mantenere il proprio valore anche se trasferite in un altro sistema aziendale. Si pensi ad esempio alle competenze possedute da un dipendente, esse, non appartenendo appunto all’azienda, saranno facilmente intercettabili dalla concorrenza dotata di una maggiore forza contrattuale, a meno che l’azienda stessa non si impegni a mantenerle al suo interno.

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Al contrario, una risorsa/competenza incorporata in complesse routine organizzative o connessa al sistema reputazionale dell’azienda risulterà più difficilmente separabile.

Un altro carattere inscindibilmente legato alla durevolezza è il grado di

imitabilità da parte dei competitor, conducendo quindi un’analisi volta ad

identificare sia le barriere all’imitazione di singole risorse/competenze, sia l’“ambiguità casuale” eventualmente connaturata alle competenze organizzative, alle routine, ai processi e così via.

8. Il grado di rigidità conferito all’azienda dalla risorsa

Questa determinante fa riferimento ad una situazione estremamente negativa che spesso si verifica con riferimento alle risorse e competenze chiave di un’azienda. Non è infatti inusuale che, tali risorse e competenze, dopo essere state la chiave del successo storico aziendale, finiscano per tramutarsi nella principale causa del suo declino, passando dunque da risorse e competenze core a core rigidities.

9. Il grado di utilizzazione/sfruttamento delle risorse

Un’altra pericolosa dinamica che spesso si verifica in seno alle aziende è la presenza al loro interno di risorse, spesso di ingenti dimensioni, non pienamente o affatto valorizzate. Questo si verifica quando il decision maker non ha compiuto una corretta analisi delle potenzialità delle risorse presenti in azienda, finendo quindi per non valorizzare a pieno risorse ad alto potenziale o ad alto valore concorrenziale.

È bene precisare, tuttavia, come un’analisi accurata delle risorse non valorizzate o delle potenzialità inespresse presenti in azienda conduca inevitabilmente a profondi rinnovamenti strategici.

10. L’estensibilità

L’ultima delle determinanti del valore delle risorse è l’estensibilità. Ciò esprime la capacità di una risorsa di incorporare e liberare opzioni reali. In altri termini, ciò che si va a valutare è se la risorsa in questione ha delle caratteristiche tali per cui possa essere utilizzata per lo sviluppo in altri settori, segmenti o contesti, anche combinandosi sinergicamente con altre risorse.

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1.2. La dinamica delle risorse

Per quanto l’analisi appena mostrata ci permetta di apprezzare il valore di una data risorsa/competenza in termini strategici e quindi la sua capacità di essere fonte di vantaggio competitivo, si deve precisare quanto non sia sufficiente conseguire tale vantaggio, quanto mantenerlo. In altri termini, è necessario che tale vantaggio competitivo sia duraturo nel tempo, ovvero sostenibile.

Si rende pertanto necessario approfondire il tema delle cosiddette capacità dinamiche. Le imprese cosiddette leader, cioè quelle che possono vantare un vantaggio competitivo, si trovano a doversi rapportare con l’intensa pressione competitiva su di loro esercitata dalle imprese concorrenti, dalle potenziali entranti e dai prodotti sostitutivi. Questo genere di pressioni si sono accresciute nel tempo, oltre che per l’aumento generale delle imprese presenti sui vari mercati, per effetto della velocità del progresso tecnologico, che comporta una riduzione della vita media dei prodotti, favorendo sia i comportamenti innovativi che imitativi.

Proprio per queste ragioni, il modello della resouced-based view presentato poc’anzi mostra non poche debolezze, in quanto approccio statico, e di conseguenza poco adatto per relazionarsi con le dinamicità del mercato. Sarà dunque opportuno integrare il suddetto modello con degli elementi di natura dinamica.

Il concetto di capacità dinamiche si propone proprio di superare questa criticità, come risposta dinamica alla mutabilità del mercato. Queste particolari capacità possono essere definite, in estrema sintesi, come la capacità di un’organizzazione di creare, ampliare o modificare la sua base di risorse in modo volontario8.

È possibile distinguere le capacità dinamiche da quelle ordinarie, a tal proposito Teece (2014), propone un utile schema per evidenziarne il diverso scopo:

 Ordinary capabilities – Doing things right (fare le cose bene)  Dynamic capabilities – Doing the right things (fare le cose giuste)

In particolare, le capacità ordinarie, definite anche statiche9, di livello zero10 o di prim’ordine11 sono quelle che permettono lo svolgimento da parte dell’impresa di un

determinato compito. 8 Helfat, 2007 9 Collins, 1994 10 Winter, 2003 11 Danneels, 2002

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In genere, attengono alle funzioni amministrative, a quelle operative ed alla governance. Inoltre, tali capacità sono solitamente già incorporate in seno a personale esperto, a strutture e strumenti, ad i processi ed alle routine, e nei processi di coordinamento per eseguire correttamente un determinato compito.

Le capacità ordinarie possono essere misurate utilizzando degli indicatori in relazione alla funzione che permettono di svolgere (si pensi ad esempio alla produttività), consentendo anche un confronto tra i vari parametri. Sono in pratica capacità volte all’ottenimento dell’efficienza tecnica.

Tuttavia, in un contesto fortemente dinamico come quello attuale, e caratterizzato da una forte pressione strategica, queste capacità possono non essere in grado di creare vantaggio competitivo. Questo proprio in ragione della loro alta imitabilità, o addirittura acquistabilità sul mercato, che non permette loro di generare, appunto, vantaggio competitivo. Non solo, nel momento in cui avviene in un mercato o settore un cambio delle regole del gioco, a causa di un qualsivoglia fattore o agente, queste competenze potranno cessare di contribuire al successo aziendale.

Possiamo quindi identificare tre dimensioni a cui le capacità dinamiche si riferiscono, ovvero all’abilità, alla volontà ed al portafoglio di risorse di un’impresa.

La dimensione abilità attiene alla capacità di un’impresa di svolgere in modo efficiente una determinata attività. Si parla di efficienza proprio in quanto si tratta di attività che utilizzano risorse aziendali per la produzione di beni e servizi. Non si fa riferimento necessariamente ad un miglioramento delle performance in termini di efficienza, quanto alla capacità stessa dell’azienda di differenziarsi rispetto alle altre. Oltre a questo, queste capacità si considerano attinenti ad attività che seguono un determinato modello di svolgimento, ovvero abilità ripetibili e affidabili.

La dimensione volontà attiene alla consapevolezza, anche non del tutto esplicitata, nello svolgere quella determinata attività. Questa dimensione ci serve per poter distinguere le capacità dinamiche da eventi casuali e fortuiti o da routine organizzative.

L’ultima dimensione attiene direttamente all’assunto di base dell’ottica resource-based, considerando la base di risorse come insieme di asset tangibili, intangibili ed umane che un’azienda possiede, insieme alle sue competenze.

Ad ogni modo, è bene precisare come l’importanza di queste risorse si evidenzi soprattutto nei mercati a scarso tasso d’innovazione, dove il possesso di determinate capacità tecniche è di primaria importanza.

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Le capacità dinamiche, d’altro canto, attengono alla capacità di un’azienda di creare nuove risorse, di ampliare e migliorare quelle già in suo possesso, e di modificare alcune di esse, in linea con i cambiamenti dell’ambiente. In pratica, esse rappresentano l’anello di congiunzione tra l’analisi di tipo statico del portafoglio risorse, e l’approccio dinamico che considera le dinamiche ambientali, permettendo all’azienda di adattare il proprio portafoglio di risorse e competenze ai nuovi contesti competitivi.

Per queste ragioni, sarà necessario, sempre da parte dell’impresa, il possesso di capacità di

ricerca e selezione, proprio in riferimento alle risorse e competenze da ottenere, modificare

ed in alcuni casi eliminare.

Detto questo, è bene precisare che anche le capacità dinamiche possono dar vita al vantaggio competitivo, in ragione della loro capacità di generare valore in termini di capacità di adattamento alle dinamiche ambientali.

In prima istanza, questo è conseguenza dell’appartenenza delle capacità dinamiche al portafoglio di risorse e competenze aziendali. In ragione di quanto precedentemente detto, ovvero che un’azienda ottiene un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti sulla base di particolari risorse e competenze distintive, allora anche le capacità dinamiche possono esserne fonte.

In questo senso, il vantaggio competitivo dipende anche dalla capacità delle risorse di creare maggiore valore rispetto alle risorse a disposizione dei concorrenti. Per questo motivo, il valore di una capacità dinamica in termini di distintività sarà proprio legato alla sua capacità di generare tale maggior valore.

Ricordando che il valore generato dalle capacità dinamiche si esplicita nel loro conferimento all’azienda della capacità di adattarsi ai cambiamenti ambientali, tale valore sarà irrimediabilmente legato all’efficacia o meno di tale capacità di sostenere nel tempo il proprio vantaggio competitivo. A sua volta, l’efficacia del processo di adattamento sarà condizionato dall’andamento del mercato, ed in generale, dai mutamenti che intervengono nell’ambiente.

Di conseguenza, la possibilità di generare o meno valore da parte di una capacità dinamica sarà sempre influenzata dall’ambiente.

In ogni caso, può accadere che una capacità dinamica non crei valore sufficiente oppure non ne crei in misura superiore rispetto ai concorrenti. In questi casi, dato il possesso di capacità simili a quelle in mano ai concorrenti, sarà più difficile per un’azienda raggiungere un vantaggio competitivo.

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Tornando a parlare di vantaggio competitivo generato dalle risorse e competenze, abbiamo già accennato di quanto la sua sostenibilità sia diventata un fattore indispensabile per il successo di un’impresa, data la profonda dinamicità del sistema economico attuale. Tuttavia, parlare di sostenibilità, rende necessaria una distinzione dell’arco temporale a cui ci si riferisce.

A questo proposito, adottando la distinzione fatta da Abell (1995), è utile distinguere il presente dal futuro, con la conseguenza che le imprese dovranno definire una strategia per gestire il presente, ed una per pianificare il futuro, entrambe con l’obiettivo di raggiungere, consolidare e mantenere una posizione di vantaggio competitivo durevole rispetto ai concorrenti, ma comunque con orizzonti temporali diversi. Questo perché, com’è facile immaginare e come spiegheremo tra poco, la natura del vantaggio ed i contenuti dell’azione strategica presentano caratteri fortemente diversi a seconda che essi siano orientati al presente o al futuro.

In generale, è possibile affermare che, in linea con l’evoluzione dell’ambiente in cui si trova ed i cambiamenti dei fattori critici di successo nel settore in cui essa opera, è necessario per ogni azienda ricercare continuamente nuove fonti di vantaggio competitivo, ed in questo contesto possono entrare in gioco proprio le già citate capacità dinamiche.

In questo senso, la strategia ed il management di un’impresa assumono un ruolo ancor più rilevante, poiché hanno il compito di massimizzare il valore dell’impresa nel presente attraverso il miglior sfruttamento delle risorse e competenze presenti in azienda, e tramite lo sviluppo di nuove risorse e competenze distintive per approcciarsi al futuro. Ovviamente, date la specificità presenti in ogni settore e per ogni impresa, l’ampiezza degli orizzonti temporali può variare sensibilmente, e anche in riferimento ad uno stesso settore questa variazione si può avere nel corso degli anni per effetto dei cambiamenti tecnologici e dei comportamenti competitivi posti in essere sia dalle imprese già presenti che dai nuovi entranti, si pensi ad esempio ai già citati meccanismi di imitazione (Bruni e Garzoni, 2004). Di conseguenza, proprio in ragione del fatto che il vantaggio competitivo viene originato in prima istanza dalle risorse e competenze (ordinarie) che possiedono il carattere di distintività in seno ad un’azienda, l’approccio resource-based view propone che la sua sostenibilità sia condizionata dalle caratteristiche delle suddette risorse e competenze, in termini di

durevolezza, mobilità e replicabilità.

La durevolezza indica quanto una risorsa o competenza distintiva sia in grado di restare tale nel tempo, mantenendo quindi la sua capacità di generare vantaggio competitivo. La durevolezza dipende sia dalla natura stessa delle risorse/competenze, sia dall’azione degli

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agenti di cambiamento, come l’innovazione tecnologica, i comportamenti sostitutivi dei concorrenti e, ovviamente, l’evoluzione dei gusti dei consumatori.

La mobilità delle risorse e competenze è invece strettamente collegato all’aspetto dell’acquisibilità da parte dei concorrenti intenzionati ad imitare l’azienda leader. In relazione a questo aspetto, i principali fattori che costituiscono le barriere alla mobilità delle risorse e competenze sono rappresentati dagli ostacoli geografici al loro trasferimento, dall’esistenza di condizioni imperfette nella disponibilità delle informazioni e dall’esistenza di quelle che vengono dette risorse e competenze firm specific, ovvero difficilmente appropriabili e replicabili all’esterno dello specifico contesto aziendale, proprio in ragione delle peculiarità e specificità del contesto stesso.

L’ultimo fattore, la replicabilità, attiene alla possibilità, da parte di aziende concorrenti, di replicare o riprodurre tali risorse e competenze distintive. In linea di massima, una risorsa/competenza distintiva sarà più difficilmente replicabile tanto più lungo e complesso sarà stato il processo del suo sviluppo e accumulazione.

Queste caratteristiche, valide per tutte le tipologie di risorse e competenze, rappresentano una modalità per la valutazione del loro grado di imitabilità. Infatti, se il processo di imitazione da parte dei concorrenti va a buon fine, le risorse e competenze cessano di essere distintive, diventando critiche di settore, grazie alle quali difficilmente si riuscirà ad ottenere dei ritorni economici sopra la media.

Quando questo processo prende piede, e tutti i concorrenti utilizzano quelle date risorse/competenze per la creazione del loro prodotto, tali risorse diventano cosiddette

igieniche, ovvero necessarie per la sopravvivenza in quel dato settore ma scarsamente utili

ai fini del processo di creazione il valore per il cliente.

Tornando a parlare delle capacità dinamiche, tuttavia, per assicurarsi che il vantaggio competitivo da esse generato sia duraturo, occorre analizzare diversi fattori:

- Competitivi – si pensi ad esempio alla presenza di barriere all’imitazione o di meccanismi di isolamento o ancora a prodotti sostitutivi. In questi casi, il vantaggio competitivo generato dalle capacità dinamiche dipenderà da quanto questi fattori impediscono alle aziende concorrenti di eguagliare il valore creato dalla capacità stessa;

- Esterni – dato che il valore di una capacità dinamica dipende congiuntamente dalla sua funzione e dal suo bisogno all’interno del mercato, l’ambiente condiziona inevitabilmente la sostenibilità del vantaggio competitivo da essa generato.

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In generale, se il mercato in cui un’impresa opera è tendenzialmente stabile, il vantaggio competitivo che essa ha raggiunto sarà più durevole nel tempo; viceversa, in un mercato ad alta velocità di cambiamento, il vantaggio sarà meno sostenibile nel tempo, e gli eventuali meccanismi di isolamento per limitare l’imitabilità risulteranno inutili, poiché la capacità cesserà presto di produrre valore.

Di conseguenza, più stabile è l’ambiente esterno, tanto più sostenibile sarà il vantaggio competitivo di un’azienda.

- Interni – il livello di sostenibilità del valore di una determinata capacità dinamica è anche legato a come questa viene gestita in seno all’azienda che la detiene. Infatti, per far sì che le capacità dinamiche riescano a sprigionare il loro massimo valore per un tempo maggiore occorre che vengano attuati gli investimenti necessari al loro mantenimento e miglioramento. Di conseguenza, in questo contesto è rilevante il ruolo svolto dal management, che dovrà selezionare gli asset sfruttando quelli che possono maggiormente influire sulla durevolezza e adeguatezza delle capacità dinamiche.

Abbiamo detto quanto sia importante, oltre al raggiungimento di una posizione di vantaggio competitivo nel presente, il mantenimento di questa situazione nel futuro, in altri termini, ottenere un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo. Questo può essere ottenuto, ricordiamo, solo con la costante ricerca di nuove risorse e competenze adatte alla creazione di vantaggio competitivo.

In un loro lavoro del 1994, Hamel e Prahalad sostengono al riguardo che non esiste una leadership eternamente sostenibile, e che essa vada continuamente reinventata attraverso un complesso procedimento di trasformazione del proprio settore. In altre parole, un’impresa può rimanere di successo anticipando, ad esempio, il futuro prima dei concorrenti ed ad un costo inferiore, reinventando, appunto, il proprio settore e modificando le regole del gioco. Tuttavia, per far sì che questo avvenga, occorre uno sforzo per abbandonare le tradizionali logiche di prodotto e servizio e adottare la visione resouce-based, in cui l’impresa è un portafoglio di risorse e competenze.

In quest’ottica, il ruolo dei vertici aziendale si esplica, da un lato, nel percepire (sense) prima dei concorrenti i cambiamenti per il futuro del proprio settore, identificando le risorse e competenze distintive che è necessario acquisire e/o sviluppare per poter conseguire una posizione di vantaggio competitivo in quel determinato contesto futuro, dall’altro, di realizzare un piano d’azione che consenta all’impresa di cogliere le opportunità strategiche

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future. Invece, i dirigenti di secondo livello, in ragione del loro contatto diretto con le logiche di business consolidate e con le risorse e competenze distintive per il presente, hanno il compito di sviluppare ed accrescere il portafoglio di competenze a disposizione dell’impresa su cui fondare la leadership nel futuro (Bruni e Garzoni, 2004).

Per poter cogliere i cambiamenti futuri anticipatamente rispetto alla concorrenza, Hamel e Prahalad (1994) ritengono che sia necessario:

 Capire come evolverà lo scenario presente e come, dunque, quello futuro si differenzierà da quello attuale;

 Riuscire ad intuire e comprendere quali saranno le opportunità da cogliere nel futuro;  Predisporre degli obiettivi chiari e sfidanti in grado di mantenere e diffondere energia e motivazione a tutti i livelli dell’organizzazione, con lo scopo di indirizzare gli sforzi comuni verso l’obiettivo futuro;

 Riuscire ad anticipare i concorrenti e giungere per primi al futuro senza correre inutili rischi.

In questo senso l’azione strategica, oltre a dover ricercare una posizione di equilibrio nei mercati esistenti, deve impegnarsi a trovarlo anche per il futuro, anticipando quelli che saranno i bisogni dei clienti per il futuro ed i cambiamenti dei mercati a cui l’azienda potrà rivolgersi. Si ha quindi, in aggiunta alla ricerca del miglior posizionamento competitivo rispetto i concorrenti, anche una competizione per disporre delle risorse e competenze distintive nel futuro.

È facile a questo punto apprezzare il percorso logico che lega gli elementi che abbiamo analizzato, che parte dalle capacità dinamiche, che permettono ad un’impresa di identificare le nuove risorse e competenze distintive, a loro volta necessarie per il raggiungimento del vantaggio competitivo sostenibile nel futuro, che è la chiave del successo aziendale a lungo termine.

Citando proprio Hamel e Prahalad (1994): “le aziende non competono solo entro i confini

dei settori esistenti, ma competono anche per modellare la struttura del settore del domani; la lotta per la leadership nelle core competencies precede quella per la leadership di prodotto; l’azienda è contemporaneamente un portafoglio di competenze ed un insieme di attività; è necessario superare i vincoli legati alla scarsità delle risorse, inventando ogni giorno modi sempre migliorie più creativi di far leva sulle risorse.”

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1.3. Un possibile modello di analisi delle risorse in chiave dinamica

Avendo dunque analizzato i fattori che permettono la sostenibilità del vantaggio competitivo nel tempo, si rende necessario presentare quelli che sono i processi di formazione e sviluppo delle risorse e competenze, profondamente interrelati al processo di formazione della strategia aziendale.

Infatti, quelle che sono le scelte di investimento/disinvestimento in termini di risorse e competenze, sono profondamente collegate alla visione strategica (o intento strategico) dell’alta direzione aziendale, nel senso che da tale visione derivano tutte le strategie di sviluppo che la direzione è intenzionata ad imprimere alla struttura aziendale.

Quello che andremo a presentare è dunque uno strumento, sempre di natura dinamica, che permette di identificare e sviluppare le risorse e competenze necessarie al raggiungimento di un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo.

Questo modello di analisi, si compone di sei fasi consequenziali, in particolare esse sono: 1. Identificazione dell’attuale portafoglio di risorse e competenze;

2. Identificazione delle risorse e competenze distintive, coerentemente con il posizionamento attuale dell’impresa;

3. Valutazione dell’evoluzione dell’ambiente di riferimento e comprensione delle opportunità e delle minacce conseguenti;

4. Definizione del posizionamento strategico obiettivo, in ragione delle opportunità offerte dalle core competencies in mano all’impresa;

5. Riconfigurazione del portafoglio delle risorse e competenze, in termini di: o Eliminazione;

o Mantenimento, eventualmente riducendone l’importanza; o Rafforzamento, anche inteso come aumento di importanza;

o Costruzione ex novo di risorse e competenze in grado di generare valore per i clienti;

6. Costruire nuove risorse e competenze, di cui, a riguardo, si presentano tre alternative:

o Costruzione interna (make)

o Acquisizione dall’esterno (buy), sia in termini di singola risorsa, sia in termini di acquisto di interi complessi aziendali;

o Connessione in network (connect). Vediamo dunque di esaminare le singole fasi:

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Fase 1 – Individuazione del portafoglio attuale di risorse e competenze

Questa prima fase, insieme alla seconda come vedremo, attiene ad un’analisi di tipo statico, in cui materialmente si stila un “inventario” delle risorse competenze in possesso dell’azienda. Gli schemi di classificazione utilizzati ai fini del nostro progetto sono quelli presentati nel capitolo 1, ovvero quelli elaborati da Grant e Buttignon, rispettivamente per la classificazione delle risorse e per le competenze aziendali.

Questa prima fase richiede una grande capacità di analisi e valutazione, in ragione della presenza di molte risorse a carattere intangibile delle quali risulta complicata l’identificazione.

Fase 2 – Identificazione delle risorse e competenze distintive

Come accennato, anche questa fase ha carattere statico, di conseguenza si andranno a valutare le risorse precedentemente individuate in chiave strategica, in modo da identificare quelle che possiedono il carattere di distintività.

Per questo tipo di analisi, utilizzeremo il già citato modello teorico detto “Decalogo delle determinanti del valore delle risorse” elaborato da Bianchi Martini, con il quale si andrà materialmente ad attribuire dei punteggi ad ogni risorsa e competenza in relazione alle varie determinanti. Questo permetterà, appunto, di apprezzare il valore strategico delle risorse e competenze, evidenziando quelle che hanno carattere distintivo e che sono quindi in grado di generare vantaggio competitivo.

Fase 3 – Valutazione delle dinamiche in corso nell’ambiente di riferimento

Con questa fase si inizia ad apprezzare l’evoluzione dal vecchio modello resource based, caratterizzato da un’ottica prettamente statica, ad un analisi di tipo dinamico.

Questo passaggio consiste infatti nell’analizzare il mercato o settore in cui l’impresa opera attualmente, identificando quelle che sono le evoluzioni in atto. È bene tuttavia fare una digressione su questo aspetto.

Infatti, l’evoluzione di un mercato o di un settore presenta caratteri ed implicazioni molto differenti, a seconda che si tratti di dinamiche congiunturali oppure permanenti, che possono influire sia sulla sua struttura, sia sulla redditività ottenibile da esso (Invernizzi, 2008). In particolare, le dinamiche congiunturali sono quelle che hanno delle ripercussioni momentanee sui rapporti tra gli attori presenti in un dato settore e sul suo “spazio economico”, ma non sono così rilevanti da poterne mutare le caratteristiche di base. Per

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questa ragione, la struttura del settore tenderà a riassumere la sua configurazione originaria nel medio periodo, rimanendo inalterata anche la sua redditività strutturale.

L’analisi di questo tipo di dinamiche rappresenta tuttavia un aspetto imprescindibile nell’analisi di un settore. Questo in ragione del fatto che, soprattutto se queste dinamiche si ripresentano con regolarità nel dato mercato o settore, l’impresa avrà necessità di elaborare una strategia che gli consenta di superarle senza difficoltà. La gestione ottimale di questo tipo di dinamiche richiede all’impresa una certa flessibilità, in termini di struttura, di sistema prodotto e di ambito competitivo. A riguardo si pensi ad oscillazioni dei volumi di vendita o produzione, oppure a dinamiche legate ai gusti dei consumatori.

Ovviamente, tanto più queste dinamiche si manifestano in maniera ampia e repentina, tanto più sarà necessario per l’azienda riuscire ad “assecondarle”, in modo da non subirle passivamente incorrendo in conseguenze negative.

Il processo di identificazione delle dinamiche congiunturali che sono solite presentarsi con maggiore intensità e frequenza in un dato settore, può essere svolte sia analizzando quella che è stata la sua evoluzione nel passato più o meno recente, sia andando a studiare la struttura del settore stesso, identificando le caratteristiche che hanno dato origine proprio a quelle dinamiche, si pensi, ad esempio a settori caratterizzati da un’alta sensibilità della domanda.

Passando invece all’analisi delle dinamiche di tipo permanente, si sottolinea come le conseguenze che esse hanno sulla struttura del settore sono di gran lunga più rilevanti rispetto a quelle di natura congiunturale.

Infatti, come prima conseguenza di queste dinamiche, si ha una variazione della redditività strutturale del settore cosa che, come abbiamo, visto non accadeva per effetto delle dinamiche congiunturali. In questo senso, la variazione si estende di conseguenza anche ai termini fino a quel momento utilizzati sia per valutare le performance ottenute grazie alla strategia, sia per maturale le scelte di investimento o disinvestimento riferito a quel dato settore.

La seconda conseguenza è legata proprio alla maggior rilevanza di queste dinamiche sul settore, che necessitano, ai fini del raggiungimento di una situazione di equilibrio duraturo, di interventi di maggior rilievo. Questo perché non è più sufficiente che l’impresa adotti delle strategie che ne assicurino i caratteri di flessibilità operativa, quanto ad azioni volte, in certi casi, anche ad un complesso ripensamento dell’impostazione attuale in termini di strategia competitiva, che permettano di anticipare o quantomeno assecondare i rilevanti mutamenti del settore.

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Per quel che concerne alle cause, il verificarsi di una dinamica permanente può essere causato sia da fenomeni di natura endogena rispetto al sistema competitivo di riferimento, sia di natura esogena. In particolare, è possibile identificare il verificarsi di dinamiche permanenti come conseguenza di:

 Mutamenti intervenuti in una o più variabili di base del settore di natura

tecnico-economica, quali ad esempio innovazioni tecnologiche radicali, variazione dei gusti,

dello stile di vita o delle condizioni dei consumatori, variazioni che interessano le principali categorie di costo, ecc;

 Mutamenti interessanti il contesto macroeconomico che hanno generato delle ripercussioni anche sul settore in analisi;

 Evoluzioni intervenute nei settori posti a monte e/o a valle rispetto a quello oggetto di analisi, oppure nei settori ad esso adiacenti o collegati;

 Cambiamenti nei comportamenti adottati dagli operatori che già operano nel settore considerato o che provengono da altri, e che impattano sulle modalità competitive causandone un mutamento radicale.

Si rende necessario a questo punto introdurre anche il concetto di dinamica strutturale. Questo termine è utilizzato per indicare quelle dinamiche che interessano le cinque direttrici di sviluppo capaci di alterare permanentemente la struttura del sistema competitivo di un dato settore.

Queste cinque direttrici attengono a:

1. Il ciclo di vita del settore – suddiviso in più fasi (introduzione, sviluppo, maturità e declino), ognuna caratterizzata da un differente tasso di sviluppo delle vendite. In generale, lo sviluppo di un settore segue un andamento tradizionalmente rappresentabile graficamente con una curva a “S”. Nello specifico, nella fase iniziale, quella di introduzione sul mercato, i nuovi prodotti registrano uno sviluppo limitato, causato dalla difficoltà delle imprese sia di superare l’inerzia degli acquirenti, sia per stimolare gli acquisti in prova.

La successiva fase di sviluppo, invece, il prodotto incontra i gusti di un crescente numero di consumatori, registrando un forte aumento del tasso di sviluppo delle vendite.

Durante la terza fase, il mercato di quel prodotto si avvia verso la maturità e la saturazione, con la conseguente scomparsa della domanda proveniente dai nuovi clienti ed il mantenimento di quella di sostituzione. La conseguenza è una stabilizzazione del tasso di sviluppo delle vendite.

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