DIPARTIMENTO DI
FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN LINGUISTICA
TESI DI LAUREA
Si può rottamare la speranza?
Uno studio psicolinguistico sull’uso metaforico dei verbi in italiano
CANDIDATO
RELATORE
Sara Cortopassi
Chiar.mo Prof. Alessandro Lenci
CONTRORELATORE
Chiar.ma Prof.ssa Marcella Bertuccelli
Indice
Introduzione
...3
I parte. La metafora: principali quadri teorici recenti e rassegna di
alcuni studi sperimentali
1. La Metafora Concettuale e il Cognitivismo………7
1.1 CMT: vivere attraverso le metafore………...7
1.2 Critiche alla CMT………12
1.3 Blending e CIT………..14
1.4 La Teoria Neurale della Metafora………..16
2. Studi Empirici sulla Metafora……….21
2.1 Verb Mutability Effect e Semantica Combinatoria di Nomi e
Verbi………...22
2.2 Glucksberg e la Dual Reference………33
2.3 Astrazione e Usi Metaforici dei Verbi………...39
II parte. Un esperimento sull’uso metaforico dei verbi in italiano
3. Il Test: costruzione e risultati………..46
3.1 Metodo………...47
3.2 Risultati e discussione………50
Conclusioni………67
Bibliografia……….69
Sitografia……….75
Appendice I………76
Appendice II………80
“Unless you are educated in metaphor,
you are not safe to be let loose in the world.”
Introduzione
La metafora (dal greco μεταφορά, “trasferimento”, derivante a sua volta dal
verbo μεταφέρω “trasportare”, “portare oltre”)
è stata oggetto di interesse in
ambito umanistico fin dall'antichità in quanto figura retorica, spesso ridotta a
semplice funzione decorativa di testi letterari e poetici; “a device of the poetic
imagination and the rhetorical flourish – a matter of extraordinary rather than ordinary
language” (Lakoff & Johnson, 1980:3).
La svolta si ha alla metà del XX secolo con l'avvento delle scienze
cognitive, che entrano di diritto anche nel dibattito linguistico e lo inquadrano
in una cornice più scientifica ed empirica. La metafora si svincola dagli studi di
tipo tradizionale e acquista una dignità in quanto potente strumento di
indagine in campo cognitivo, psicolinguistico e neurolinguistico. Il punto di
svolta è certamente il lavoro di George Lakoff e Mark Johnson: Metaphors we live
by, del 1980 (successivamente ampiamente criticato e ridimensionato nella
portata della sua importanza teorica). In esso si introduce la teoria della
metafora concettuale (Conceptual Metaphor Theory, CMT) secondo cui le
metafore sono pervasive nel linguaggio quotidiano degli esseri umani, in
quanto collegamenti tra domini concettuali radicati nel nostro corpo e nella
nostra esperienza (embodied). Tali collegamenti sono in grado di strutturare il
pensiero e vari aspetti della vita delle persone. In seguito a questo importante
spartiacque, innumerevoli saranno le ricerche sulla metafora, il modo in cui è
percepito, elaborato, prodotto, realizzato in diverse forme sintattiche e molti
altri aspetti, affrontati da punti di vista afferenti a discipline che vanno dalla
filosofia, alla psicologia, alle neuroscienze, sempre rimanendo in contatto con la
linguistica.
Nonostante il proliferare di studi, la metafora rimane sfuggente e
indefinibile in modo preciso, nelle parole di Prandi (2007: 1):
L’aspetto più interessante della metafora è di essere di volta in volta tutte
queste realtà diverse: l’estensione del significato di una parola, un concetto
condiviso, un sostituto, l’interpretazione di un conflitto concettuale. Non ci
sono teorie sbagliate della metafora, ma solo teorie parziali, tutte
supportate da dati empirici, nessuna esaustiva, cioè capace di giustificarli
tutti.
Nel vasto panorama attualmente esistente, a partire dagli anni '80 del
Novecento, grande rilievo assumono le ricerche facenti ricorso ai corpora nel
tentativo di analizzare il fenomeno-metafora. Tale approccio (soprattutto se
coniugato alla linguistica computazionale) permette di utilizzare dati reali e
molto consistenti, anziché soltanto esempi inventati o frutto di introspezione
dell'autore, sicuramente meno affidabili e indagabili sistematicamente. Nel
presente lavoro faremo riferimento a dati empirici, estratti dal corpus web
itTenTen
1..
È importante specificare che non ci occuperemo qui di fenomeni spesso
accostati alle metafore e ad esse connessi: metonimie ed espressioni
idiomatiche. Pur collocandoli in uno spazio contiguo all’universo metaforico,
riteniamo che meritino una trattazione a parte. Pertanto, a questo proposito,
rimandiamo ai lavori di Glucksberg (2001), Cacciari e Tabossi (2014), Panther e
Radden (a cura di) (1999).
L’elaborato è diviso in due parti. Nella prima parte si introducono le
moderne basi linguistiche delle teorie sulle metafore (Capitolo 1): cognitivismo,
metafore concettuali, blending e Teoria Neurale della Metafora; inoltre si
riassumono gli esperimenti e le teorie psicolinguistiche da noi reputati
fondamentali per arrivare alla seconda parte: gli studi di Gentner e France
sull’Ipotesi della Mutabilità del Verbo, l’idea della Double Reference di
Glucksberg e soprattutto l’esperimento di Torreano, Cacciari e Glucksberg
sull’astrazione e gli usi metaforici dei verbi (Capitolo 2). Nella seconda parte
(costituita dal Capitolo 3) si passa quindi a descrivere il cuore di questa tesi,
cioè il test da noi costruito e somministrato per studiare la metafora predicativa
21 Il corpus di maggiori dimensioni disponibile per l'italiano, lemmatizzato e annotato, che
contiene più di due miliardi e mezzo di parole da testi scaricati dal web nel 2010.
2 Utilizzeremo l’aggettivo “predicativa” nel senso anglofono del termine: come in
“predicative metaphors”, ampiamente riscontrabile nella letteratura da noi consultata (ad esempio in Torreano, Cacciari, Glucksberg; 2005). Con questo aggettivo intendiamo riferirci a metafore che si esprimono nel predicato verbale, tramite l’uso metaforico del verbo, e non a strutture
in italiano. Dopo le necessarie spiegazioni sulla realizzazione dell’indagine, si
passa all’analisi e alla discussione dei dati. Nell’ultimo paragrafo del terzo
capitolo accenniamo alle prospettive future, gli aspetti della questione che per
essere approfonditi, meriterebbero ulteriori studi interamente dedicati. Alle
conclusioni finali, seguono due appendici: l’Appendice I riporta il set di frasi
impiegato per il test, l’Appendice II contiene una grande tabella, che altro non è
se non l’insieme completo di tutti i dati raccolti.
L’enigmatica domanda che campeggia nel titolo della tesi, è costituita da
una combinazione verbo/complemento oggetto trovata nel corpus itTenTen,
che quindi è stata realmente elaborata ed utilizzata. Nella nostra formulazione
si tratta ovviamente di una provocazione ad hoc, che useremo comunque come
spunto per cercare di comprendere un po’ di più i meccanismi che permettono
alla mente umana di servirsi in modo così naturale dell’affascinante strumento
che è la metafora.
metaforiche del tipo “A è B” (anche questo uso del termine si trova abitualmente, soprattutto nella letteratura specialistica in italiano).
I Parte
La metafora: principali quadri teorici
recenti e rassegna di alcuni studi
1. La Metafora Concettuale e il Cognitivismo
Nel primo capitolo vediamo una rassegna essenziale e non esaustiva di
contributi sulla metafora ascrivibili al quadro teorico cognitivista. Dalla Teoria
della Metafora Concettuale di Lakoff e Johnson (1980), alla Teoria
dell’Integrazione Concettuale di Fauconnier e Turner (1994; 1996), fino ad
arrivare alla Teoria Neurale della Metafora con Feldman, Lakoff, Narayanan
(Feldman et al., 1996), Grady (1997) e C. Johnson (1997).
Il cognitivismo nasce negli anni ’60 in psicologia in contrapposizione al
comportamentismo. Il suo scopo è comprendere i meccanismi cognitivi della
mente umana, sottostanti alle varie funzioni del “computer-cervello”. In
linguistica, il pensiero cognitivista si oppone alla posizione prominente della
grammatica generativa di Chomsky e altri generativisti. Il linguaggio è
interpretato sulla base dei concetti, universali o specifici di una certa lingua, che
soggiacciono alle sue forme superficiali. La linguistica cognitiva aderisce a tre
principi fondamentali (Croft & Cruise, 2004: 1):
Nella mente non c’è una facoltà autonoma del linguaggio;
La grammatica è concepita in termini di concettualizzazione;
La conoscenza della lingua emerge dall’uso.
Inoltre, la linguistica cognitiva afferma che il linguaggio è incarnato
(embodied) e collegato ad un ambiente specifico: linguaggio e cognizione si
influenzano reciprocamente e sono entrambi inseriti nelle esperienze e
nell’ambiente dei parlanti.
Per la linguistica cognitiva, la metafora è molto importante, utilizzata
come prova empirica dei meccanismi cognitivi e ampiamente analizzata. Per
questo facciamo riferimento a questo quadro teorico e ne presentiamo le teorie
più importanti rispetto all’interpretazione della metafora nei paragrafi seguenti.
1.1 CMT: vivere attraverso le metafore
Come già accennato nell’Introduzione, il 1980 vede la pubblicazione
dell’opera più conosciuta del linguista cognitivo George Lakoff e del filosofo
Mark Johnson: Metaphors We Live by (pubblicata in Italia con il titolo di minor
effetto “Metafora e Vita Quotidiana”). Si inaugura così la Teoria della Metafora
Concettuale, o Teoria della Metafora Cognitiva, per cui la metafora non è solo
un’espressione linguistica superficiale, ma un sistema di relazioni tra due aree
semantiche o domini (indicati dagli autori in maiuscoletto) che permette di
strutturare il pensiero e di comprendere un concetto per mezzo di un altro: “the
essence of metaphor is understanding and experiencing one kind of thing in
terms of another” (Lakoff & Johnson, 1980: 5). Al centro dell’attenzione non vi
sono più le metafore creative e “vive”, come succedeva nella visione
“decorativa”
3, ma quelle convenzionali e tradizionalmente considerate “morte”.
Il linguaggio quotidiano è infatti pervaso da espressioni metaforiche ricorrenti e
sistematiche, a cui la CMT si rivolge e che cerca di spiegare. Esse passano
comunemente inosservate proprio perché naturali e impiegate quasi del tutto
inconsciamente.
Vediamo da vicino un esempio di metafora concettuale citato più volte
dagli autori:
ARGUMENT IS WAR(“
LE DISCUSSIONI SONO GUERRE”)
4. Una tale
relazione tra concetti, radicata in una certa cultura, porta all’emergere di
espressioni linguistiche corrispondenti, e ad un certo modo di filtrare la realtà.
Le espressioni metaforiche, molto numerose nella produzione linguistica,
sarebbero la prova dell’esistenza di metafore concettuali sottostanti, che invece
non appaiono esplicitamente. Nel caso dell’esempio riportato,
ARGUMENTè il
dominio target, solitamente più astratto, concepito in base al dominio source
(
WAR),
tipicamente
concreto, che fornisce le basi per la metafora. Si dice che idee
3 Cioè la visione che relega la metafora al linguaggio letterario, a orpello ornamentale. 4 In seguito Lakoff e Johnson ridimensioneranno l’irruenza di questa metafora
concettuale, come si legge nella postfazione dell’edizione del 2003 di Metaphors We Live by:
“
Many readers have correctly observed that most people learn about argument before they learn about war. The metaphor actually originates in childhood with the primary metaphorARGUMENT IS STRUGGLE. All children struggle against the physical manipulations of their parents; and, as language is learned, the physical struggle comes to be accompanied by words. The conflation of physical struggle with associated words in the development of all children is the basis for the primary metaphor ARGUMENT IS STRUGGLE. As we grow up, we learn about more extended and violent struggles like battles and wars, and the metaphor is extended via that knowledge” (Lakoff & Johnson, 2003 [1980]: 265).
e conoscenza dal dominio di provenienza sono proiettati (mapped) sul dominio
di arrivo (metaphorical mapping). La distinzione tra dominio astratto e dominio
concreto è intesa in senso lato, ci sono casi in cui i domini possono essere
entrambi astratti o entrambi concreti. Di fatto, il dominio source è più
correttamente definibile come quello più familiare, conosciuto e di semplice
comprensione.
Alcuni esempi di espressioni linguistiche che declinano la stessa metafora
concettuale (
ARGUMENT IS WAR):
(1) Your claims are indefensible. (Le tue affermazioni non sono difendibili)
(2) He attacked every weak point in my argument. (Attaccò ogni punto
debole del mio ragionamento)
(3) His criticisms were right on target. (Le sue critiche centravano il
bersaglio)
(4) I demolished his argument. (Ho distrutto il suo ragionamento)
Secondo Lakoff e Johnson, le espressioni linguistiche provenienti dal
campo semantico della guerra che utilizziamo abitualmente parlando di
discussioni, controversie e litigi, non sono da leggere in chiave poetica o
retorica, ma letterale. Per noi gli “scontri” verbali sono guerre, pensiamo ai primi
nei termini delle seconde. In altre parole, alcuni fenomeni non potremmo
concepirli se non in termini metaforici:
“We talk about arguments that way because
we conceive of them that way—and we act according to the way we conceive of things.”
(Lakoff & Johnson, 1980: 5). Il pensiero metaforico diviene quindi strumento
indispensabile all’elaborazione dei concetti, ci rende possibile afferrare quelli
astratti che forse non riusciremmo altrimenti a concepire.
Le metafore concettuali sono plasmate dalla cultura in cui viviamo: per
una popolazione ipotetica che vivesse le discussioni diversamente da noi, ad
esempio in modo meno conflittuale, non avrebbe senso il rapporto
identificativo tra
ARGUMENTe
WAR. Allo stesso tempo, queste discussioni non
sarebbero rappresentate come tali da parte nostra.
È dunque grazie a queste strutture concettuali che si creano i presupposti
del nostro modo di pensare, di conoscere e di agire. Molti ambiti specialistici,
tecnici e scientifici, sono stati avvicinati dai non addetti ai lavori grazie a
metafore concettuali che si sono evolute nel tempo
5. Pensiamo solo alle teorie
sul funzionamento del cervello, via via accostato a diversi tipi di tecnologia, da
una macchina a ingranaggi meccanici, alla odierna macchina computerizzata.
È difficile distinguere tra metafore concettuali emergenti da influenze
culturali e metafore concettuali radicate nell’esperienza fisica. Tuttavia
possiamo distinguere tra concetti “più” culturali e concetti esperiti “più”
fisicamente (Lakoff & Johnson, 1980: 57). Le metafore di base, ad esempio
quelle che utilizziamo per parlare delle emozioni e per comprenderle, sembrano
fondarsi sulle percezioni fisiche che sperimentiamo ogni giorno e che sono in
larga parte condivise con altre culture. Prova ne sarebbero le espressioni
metaforiche di questo tipo che possiamo ritrovare in forma simile in lingue
molto lontane tra loro: quando due popoli non condividono cultura e lingua,
ma hanno le stesse metafore, la connessione trova probabilmente le sue radici
nell’esperienza umana universale di abitare lo stesso corpo, e quindi ha una
base cognitiva.
Una metafora concettuale come
ANGER IS A HOT FLUID IN A CONTAINER(
LA RABBIA È UN FLUIDO CALDO IN UN CONTENITORE),
sembra scaturire dalla
percezione fisica del sentimento di rabbia come calore e pressione interna che si
irradiano nel corpo e minacciano di raggiungere livelli pericolosi. Anche in
italiano vi sono metafore linguistiche di questo genere, quali: “ribolle dalla
rabbia”, “è una testa calda”, “sto per esplodere”, “gli esce il fumo dalle
orecchie” eccetera. Yu (1995) ha studiato le metafore usate per parlare di rabbia
in cinese, in cui gli elementi di calore e pressione sono mantenuti, ma si utilizza
il gas invece del fluido.
Le associazioni tra dominio di origine e dominio oggetto, si basano su
similarità percepite che si stabiliscono su base esperienziale (Kövecses, 2002:
74). Questo punto è fondamentale per la CMT, che infatti è stata definita teoria
“esperienzialista”, e ha dato vita al paradigma dell’embodiment o embodied
thought
6, che stabilisce l’origine dell’acquisizione dei concetti nella percezione
corporea e nella capacità di stabilire correlazioni tra questa e concetti astratti.
Nel trasferimento metaforico è possibile stabilire una corrispondenza solo tra
entità che condividano gli stessi schemi-immagine (Johnson, 1987: xiv) ovvero
tra elementi che fanno riferimento a una stessa “forma astratta”.
Diverse metafore concettuali, possono essere utilizzate per parlare dello
stesso dominio target. Ognuna di esse darà risalto ad aspetti differenti del
dominio oggetto, escludendone altri. Nella metafora
LE TEORIE SONO EDIFICI,
ad
esempio, saranno utilizzate solo alcune delle caratteristiche degli edifici nel
mapping sulle teorie. Diremo che la teoria si fonda su basi solide, ma non
parleremo dei suoi corridoi, dei suoi coinquilini e delle sue finestre, a meno che
non ci impegniamo in uno “sfruttamento” della metafora che ne favorisca un
uso nuovo e creativo, estendendo il trasferimento metaforico.
Lakoff e Johnson chiamano “highlighting and hiding” (evidenziare e
nascondere) questa capacità della metafora di sottolineare parti del concetto
target e nasconderne altre. Il dominio del viaggio in
LE DISCUSSIONIsono viaggi
(che vediamo in espressioni come: “seguire un ragionamento” o “un
ragionamento tortuoso”),
dà rilievo
ad elementi diversi del discutere, rispetto al
dominio della guerra nella metafora
LE DISCUSSIONI SONO GUERRE.
I punti
contrastanti si escludono a vicenda, creando due modi diversi di
concettualizzare le discussioni.
Ciò permette di portare alla luce differenti atteggiamenti e perfino
paradigmi culturali; inoltre il parlante, scegliendo una metafora specifica per
parlare di un concetto, sceglie gli aspetti da mettere in evidenza, di modo che le
metafore assumano un ruolo essenziale nel veicolare una particolare ideologia
(Lakoff, 1996). Per illustrare la potenzialità ideologica della metafora, Lakoff e
Johnson (1980: 156) sostengono che l’uso di una metafora concettuale,
LA RICERCA DI ENERGIA È GUERRA, abbia influenzato l’opinione pubblica e politica
degli Stati Uniti negli anni ’70. Essa avrebbe implicitamente suggerito
l’esistenza di un nemico straniero, e agito sul pensiero delle persone, fino a
portare ad eventi che forse non si sarebbero verificati con l’uso di una diversa
metafora. Lakoff arriva addirittura a congetturare che “metaphors can kill”
7(1991: 1).
1.2 Critiche alla CMT
Le intuizioni di Lakoff e Johnson sono state portate avanti e approfondite
da moltissimi autori nel corso degli anni. Migliorate, sperimentate, applicate a
molti campi della conoscenza—dalla letteratura (Lakoff & Turner 1989), alla
filosofia (Johnson 1987, Lakoff & Johnson 1999), alla matematica (Lakoff &
Núñez 2000), alla politica (Lakoff 1996)—e ampiamente criticate.
Fortemente criticato da diversi fronti è l’approccio poco rigorosamente
scientifico della CMT, basato su metodologie che utilizzano esempi introspettivi
o comuni, che potrebbero non corrispondere a dati statisticamente solidi.
La teoria è presentata come rivoluzionaria, vera e assoluta, e ignora i
contributi precedenti e contemporanei, che spesso descrivono la metafora in
modo molto simile come Weinrich (1976) e Black (1993[1979]).
Il fenomeno metaforico è alquanto semplificato, esclude dall’analisi tutti i
casi di metafore linguistiche non riconducibili a metafore concettuali
sistematiche, che si fondano sull’accostamento di domini non assimilabili a
trasferimenti condivisi. Il fatto di ricondurre tutto a metafore concettuali, dando
pochissimo peso alle metafore linguistiche, toglie spazio al rilievo che le diverse
realizzazioni testuali potrebbero avere.
Il tentativo della CMT di negare l’esistenza di metafore linguisticamente
costruite conduce a semplificazioni che mettono in ombra importanti aspetti
dell’uso metaforico. Per Jackendoff & Aaron (1991), senza il criterio della
“falsità pragmatica” nell’individuazione delle metafore, la teoria lakoffiana non
traccia una distinzione importante tra metafore pragmaticamente congrue o
vere (che cioè potrebbero rappresentare avvenimenti reali come “ho preso la
strada più facile”) e metafore incongrue o pragmaticamente false (del “mi è
morto il computer”). La classificazione è simile a quella indicata da Prandi
(2004; 2006) tra “metafore coerenti” (consistent metaphors) e “metafore
conflittuali” (conflictual metaphors).
Anche alcuni studiosi che hanno adottato e promosso lo sviluppo della
CMT ammettono che quest’ultima si concentra solo su un tipo di metafore.
Grady (1999), ad esempio, riconosce la necessità di distinguere tra “metafore
correlazionali” (correlation metaphors) e “metafore di somiglianza” (resemblance
metaphors), indicando che le prime assimilano concetti molto distanti (del tipo
LE DIFFICOLTÀ SONO PESI
), mentre le seconde mettono in relazione concetti simili
(Achille è un leone). Se le metafore correlazionali appaiono motivate da una
forte base esperienziale, le altre si affidano all’individuazione delle somiglianze
tra i concetti messi in relazione: dunque, a metafore diverse corrispondono
meccanismi cognitivi diversi – cosa non accettabile per i lakoffiani.
Un’altra semplificazione riguarda l’incapacità di ordinare le metafore
concettuali secondo criteri precisi, dal punto di vista di specificità e genericità,
impedendo di stabilire possibili classificazioni gerarchiche (Jackendoff & Aron,
1991). Il sospetto è che la scelta dei domini sia volta al bisogno di provare una
certa affermazione. Le conclusioni sono tratte a partire da esempi in grado di
confermare le ipotesi, senza verificare se questi esempi siano o meno
rappresentativi di una popolazione.
Da qui un rischio di circolarità della CMT.
Per quanto riguarda le intuizioni della CMT a proposito di metafora e
pensiero, le critiche perlopiù lamentano una semplificazione eccessiva delle
strutture cognitive, che non tiene di conto della capacità umana di pensare in
astratto, surclassata dall’applicazione del pensiero metaforico alle basi
esperienziali. Infatti, pensare che gli esseri umani acquisiscano i concetti solo a
partire dall’esperienza motosensoriale riduce il valore delle facoltà astratte del
pensiero umano. Per Wierzbicka (1986: 296-297):
[…] it is an illusion to think that spatial and otherwise physical notions are
inherently clearer to us than frankly mental ones, as it is an illusion to think
that the external world is more accessible to us, and more familiar to us
than our inner world. Mental experiences are given to us, if anything, more
directly than physical ones. A blind person may not know shapes and
colours, but he or she will still know what love, thought or understand is.
[…] People can be familiar with love, and have a clear concept of love,
before they have experienced journeys, madness, fire or depth.
Anche nella visione di Ortony (1988), è altamente improbabile che i
bambini acquisiscano il concetto
RABBIAsolo dopo aver acquisito i concetti
concreti (
PAZZIA,
LIQUIDO CALDO IN UN CONTENITORE,
ALTA PRESSIONEecc.)
attraverso cui esso viene concettualizzato. La conclusione di Ortony annulla il
valore delle implicazioni cognitive della teoria, asserendo che “we simply borrow
the language from one lexically rich domain to talk about a lexically less rich domain.”
(1988:101).
Rudzka-Ostyn (1995) critica invece la definizione forte del Principio di
Invariabilità, secondo cui i domini source strutturano i domini target,
relativamente più astratti. Per l’autrice, entrambi i tipi di domini hanno in realtà
una struttura concettuale propria, ed il ruolo della metafora è primariamente
quello di individuare somiglianze tra dominio source e dominio target. Così la
facoltà di astrazione del pensiero umano, ignorata dalla CMT, riacquista
importanza e centralità.
Simile è la posizione di Jackendoff e Aron (1991), per cui la capacità
umana di schematizzare l’esperienza astraendola rende possibile
l’individuazione di analogie tra domini concreti e astratti. Infatti, prima ancora
di associare lo schema ad esempio della
VERTICALITÀalla dimensione
psicologica della
FELICITÀ/
DEPRESSIONE, la mente umana dimostra di possedere
una capacità di astrazione che le permette di apprendere (a partire
dall’osservazione degli alberi e dei palazzi, del livello dell’acqua che sale in una
vasca, della rampa di scale che si eleva dal primo al secondo piano, dalla
posizione eretta del corpo umano, ecc.) la nozione astratta di
VERTICALITÀ.
1.3 Blending e CIT
Dalle critiche alla CMT, sono nate molte teorie che la implementano e
approfondiscono. Quella del “blending” (o “Teoria dell’Integrazione
Concettuale”, CIT) cerca di dare maggior flessibilità all’unidirezionalità del
trasferimento metaforico, processo automatico e immediato per la CMT, che
non ammette interazioni tra dominio origine e dominio oggetto.
Gilles Fauconnier e Mark Turner (1994; 1996) usano la nozione di spazio
mentale per descrivere una struttura concettuale costruita “on-line”, cioè al
momento della comprensione. Uno spazio mentale è più specifico e più piccolo
di un dominio concettuale, ma spesso strutturato da più di un dominio
concettuale. L’idea di base è che per spiegare la complessità del pensiero
immaginativo umano sia necessario un modello a rete, “network model”.
Fauconnier e Turner cercano infatti di fornire un modello del funzionamento
della mente e del pensiero in generale, e non solo dei meccanismi sottesi
all’esercizio del trasferimento metaforico.
Il modello prevede degli input spaces, che nel caso della metafora
corrispondono a source e target domain (ma che in altri casi possono essere più di
due); un generic space, spazio generico in cui si trovano i tratti comuni ai domini
di input e che fornisce le corrispondenze e somiglianze (mappings) agli input
spaces; infine il blended space, lo spazio integrato che dà il nome al modello e ne è
l’innovazione più importante. In esso si mescolano alcuni tratti dei domini
input, che diventano un dominio a parte. La CIT ha dunque un approccio molto
più dinamico, aperto e integrato rispetto alla CMT.
Ad esempio, vediamo il concetto di “The Grim Reaper”, “l’oscuro
mietitore”, (cioè la morte) discusso da Turner (1996). Lo scheletro con vestito
nero e cappuccio, armato di falce, non esiste in un dominio target o in un
dominio source, ma nell’integrazione tra diversi spazi mentali, mescolati in un
blended space. Gli input sono la morte (target) e la raccolta delle piante (source),
ma il risultato ottenuto non emerge direttamente dalle corrispondenze tra
questi due domini; il mietitore (con l’articolo determinativo in quanto uno solo
e specifico) non si comporta come un qualsiasi mietitore, ci sono molte
incongruenze tra le persone che raccolgono nella realtà e lo scheletro che
rappresenta la morte.
Il concetto di “The Grim Reaper” è una metafora di personificazione
complessa che fa riferimento a due metafore concettuali:
LE PERSONE SONO PIANTEe
GLI EVENTI SONO AZIONI. Queste si riflettono nei domini input, accostati
grazie allo spazio generico, e integrati nel blending.
Vediamo quindi come il quadro si fa più complesso rispetto al paradigma
della CMT, riuscendo allo stesso tempo a spiegare e coinvolgere in modo più
completo casi che prima non venivano affrontati. Il network model offre anche
altri vantaggi, fornisce infatti i mezzi per analisi più sottili dei testi letterari e
permette di descrivere alcuni fenomeni concettuali con maggiore sistematicità.
Non ci soffermeremo sulle molteplici implementazioni del modello, a cui
rimandiamo per approfondimenti: Turner and Fauconnier (1995), Turner (1996),
Fauconnier (1997), Grady et al. (1999), Coulson and Oakley (2000), Seana
Coulson (2000), Fauconnier and Turner (2002), Edwin Hutchins (2005) e
Fauconnier and Turner (2008).
1.4 La Teoria Neurale della Metafora
Il progetto della Teoria Neurale del Linguaggio (Neural Theory of Language
o NTL) inizia nel 1988 all’ International Computer Science Institute di Berkeley
e continua ancora oggi (http://www.icsi.berkeley.edu/icsi/projects/ai/ntl).
Ha come principali ideatori Jerry Feldman e George Lakoff (Feldman et al.,
1996) e si pone come obiettivo l’indagine della mente e del linguaggio in quanto
elaborazioni del cervello umano (cfr Feldman, 2006; Feldman & Narayanan,
2004). La NTL si sviluppa all’incirca nello stesso periodo della CIT e, seppure
differente in ambito e scopo, si sovrappone ad essa per alcuni importanti
aspetti. Ad esempio, il blending della CIT ha molte corrispondenze con il binding
(legame) della NTL, di cui parleremo tra poco.
All’interno della NTL trova posto anche una teoria neurale della metafora.
I maggiori contributi a questo proposito sono apportati da Joseph Grady (1997),
Christopher Johnson (1997), e Srinivas Narayanan (1997).
Grady ha mostrato che le metafore complesse emergono dalle metafore
primarie (primary metaphors), radicate direttamente nell’esperienza quotidiana,
che collega l’esperienza senso-motoria al dominio dei nostri giudizi soggettivi.
Ad esempio, abbiamo la metafora concettuale primaria
L’
AFFETTO È CALOREperché le nostre prime esperienze con l’affetto corrispondono alla sensazione di
calore proveniente dall’essere tenuti stretti.
Per Johnson i bambini apprendono le metafore primarie sulla base di una
fusione (conflation) tra domini concettuali. La metafora
CONOSCERE È VEDEREsi
sviluppa in diverse fasi. Il primo uso del verbo vedere è letterale, poi c’è un
livello in cui vedere e conoscere sono concettualmente fusi (conflated), e solo più
tardi emergono usi chiaramente metaforici (es. : “see what I mean”).
I risultati di Grady e Johnson possono essere spiegati dalla teoria neurale
della metafora sviluppata da Narayanan. Egli utilizza tecniche computazionali
di modellazione neurale per sviluppare una teoria in cui le metafore concettuali
sono elaborate attraverso mappe neurali.
I termini map e mapping sono mutuati dalle neuroscienze, si tratta di una
metafora topografica. Si dice, ad esempio, che la corteccia cerebrale contiene
una “mappa” del corpo (territorio).
Quindi, nella teoria neurale della metafora, i termini “mappa” e
“proiezione” cambiano significato e diventano collegamenti fisici: circuiti
neurali che collegano cluster (gruppi) neuronali chiamati nodi (nodes). I domini,
in questo caso, sono insiemi neurali altamente strutturati in diverse regioni del
cervello.
Il meccanismo di apprendimento neurale genera un sistema
convenzionale di metafore primarie che restano nel sistema concettuale e sono
indipendenti dal linguaggio. Nella metafora
L’
AFFETTO È CALORE(come in “è
una persona calorosa” o “è un blocco di ghiaccio”) c’è attivazione simultanea in
due zone separate del cervello: quelle deputate alle emozioni e quelle deputate
alla temperatura. Nelle neuroscienze si dice che “neurons that fire together wire
together”, le connessioni tra i neuroni di queste aree cerebrali costituiscono la
metafora
L’
AFFETTO È CALORE.
La metafora è un fenomeno neurale, le mappe
neurali costituiscono il meccanismo che utilizza le inferenze senso-motorie per
il pensiero astratto. Centinaia di metafore concettuali primarie si sviluppano
automaticamente e inconsciamente, fornendo una sovrastruttura per pensiero e
linguaggio metaforico. Non scegliamo deliberatamente di parlare in modo
metaforico, e molte metafore primarie sono universali perché abbiamo tutti
corpi simili, cervelli simili e viviamo in ambienti simili. Le metafore complesse
composte da metafore primarie che utilizzano frame concettuali
8a base culturale
possono invece variare significativamente da cultura a cultura.
Alcune aree cerebrali si attivano sia durante l’immaginazione che durante
la percezione e l’azione. Quando immaginiamo una scena, la corteccia visiva si
attiva come durante la percezione effettiva della stessa scena. Lakoff e Johnson
(2002: 257) utilizzano il termine enactment (messa in atto, attuazione) per
indicare queste funzioni condivise. L’enactment avviene in tempo reale. I
8 La frame semantics è stata sviluppata da Fillmore (1976), come evoluzione della sua case
grammar. L’idea di base è che per comprendere un lessema è necessario accedere a tutta la conoscenza essenziale ad essa correlata, infatti “Certain concepts ‘belong together’ because they are associated in experience” (Croft and Cruse, 2004). Ad esempio, non è possibile comprendere la parola “negozio” senza sapere cosa significhi vendere e comprare, chi siano un compratore e un venditore, quale sia la relazione tra beni e denaro e così via. Una parola attiva quindi un frame, un quadro o cornice, di conoscenza semantica relativa al concetto a cui si riferisce. I frame sono basati su esperienze ricorrenti.
concetti fissi sono strutture di informazione neurale chiamate parametrizzazioni
neurali che possono guidare gli enactment immaginativi quando attivate. Le
metafore concettuali, a livello neurale, collegano le parametrizzazioni del
dominio source a quelle del dominio target, in questo modo possiamo realizzare
enactment metaforici, forme di immaginazione in cui il pensiero astratto è
governato da enactment senso-motori che si realizzano in tempo reale e in
contesti reali.
Gli enactment possono essere singoli o multipli, per questo esistono frasi
metaforiche complesse come l’inglese “I've fallen in love, but we seem to be going
in different directions”
9(Lakoff & Johnson, 2002: 258) che sono strutturate da
varie metafore:
LA MANCANZA DI CONTROLLO È IN BASSO, come in “fall” (cadere);
GLI STATI SONO LUOGHIcome in “in love” (nell’amore);
I CAMBIAMENTI SONO MOVIMENTI, come nel caso in cui “falling in love” (letteralmente: “cadere
nell’amore”) struttura un cambio di stato; e
L’
AMORE È UN VIAGGIOcome gli
amanti che possono andare in direzioni diverse (going in different directions). In
questo specifico enactment del dominio target, l’amore può essere caratterizzato
come uno stato, una perdita di controllo o la compatibilità degli obiettivi di vita
degli innamorati.
Il modello usato precedentemente da Lakoff e Johnson per la CMT era la
Metafora di Proiezione (Projection Metaphor). Anche una teoria delle metafore
ha infatti bisogno di una metafora per essere compresa. Essa si basava
sull’immagine di un proiettore che proietta slide sul dominio target. La
proiezione metaforica era il processo di mettere una nuova slide sulla prima,
aggiungendo la struttura del source su quella del target. Il problema maggiore di
questo modello era la necessità di escludere (override) alcune proiezioni che non
erano compatibili col target, secondo il principio: “Don’t map an element if it
would give rise to a contradiction in the target domain” (Lakoff, 1993).
Nella teoria neurale tutto ciò non è necessario. L’apprendimento di nuove
metafore implica lo stabilirsi di nuove connessioni neurali e non c’è bisogno di
9 “Mi sono innamorato (lett. sono caduto nell’amore), ma sembriamo andare in direzioni
esclusioni, le metafore sono infatti costruite quando due esperienze avvengono
contemporaneamente, se un collegamento metaforico risultasse in una
contraddizione per il dominio target, non sarebbe appresa. A livello neurale, le
contraddizioni sono reciproche inibizioni.
La collocazione della teoria della metafora all’interno della NTL porta
numerosi vantaggi:
- Tramite l’embodiment spieghiamo l’universalità delle metafore
primarie, generate attraverso le esperienze primarie universali;
- L’attivazione simultanea di due domini risultante nel reclutamento dei
circuiti neurali che li collegano spiega l’esistenza e la normalità del
pensiero metaforico;
- Non sono necessarie esclusioni e sovrascritture;
- Le metafore trovano un loro posto naturale nella più ampia Teoria
Neurale del Linguaggio;
- L’enactment neurale fornisce un meccanismo per la caratterizzazione
dell’uso dinamico della metafora nel contesto e nel discorso;
- Dato che la NTL ha un suo modello computazionale, anche la metafora
iscritta in questa teoria può essere analizzata dinamicamente con un
approccio computazionale.
2. Studi Empirici sulla Metafora
In questo capitolo vediamo un resoconto di alcuni interessanti studi di
carattere psicolinguistico e semantico, accompagnati da evidenze sperimentali,
che indagano luogo e modalità del cambiamento semantico presente
nell’espressione metaforica.
Questa rassegna servirà a porre le basi per la seconda parte, in cui
illustreremo il nostro esperimento. La rilevanza dei dati sperimentali in
linguistica è direttamente proporzionale alla visione di tale area di studio in
quanto scienza, seppur morbida; affermazione in cui ci identifichiamo e che è
importante ribadire.
Gentner e France (1990) testano l’esistenza della verb mutability hypothesis,
ponendo il verbo al centro del processo metaforico e mettendo in relazione il
livello di costrizione semantica generato dalla combinazione di nomi e verbi
con la necessità di elaborare l’input in modo metaforico. Le autrici cercano
inoltre di delineare le strategie utilizzate per l’interpretazione della frase
metaforica.
Nel secondo paragrafo, introduciamo l’approccio alla metafora di
Glucksberg. In questo caso non abbiamo il resoconto dettagliato di un
particolare esperimento, ma un insieme di affermazioni supportate da vari dati
empirici, ottenuti da molteplici studi sperimentali elaborati sia dallo stesso
Glucksberg che da altri accademici. I punti importanti che emergono sono due:
la non-priorità del linguaggio letterale e la teoria della dual reference (Glucksberg
& Keysar, 1990; 1993).
L’esperimento di Torreano, Cacciari e Glucksberg (2005) cerca una
possibile correlazione tra livello di metaforicità del verbo e interpretazione
metaforica; questa ipotesi era già stata testata sulle metafore nominali da
Glucksberg e Keysar (1990). Seguendo le basi poste dalla dual reference, gli
autori vogliono dimostrare come più un verbo è astratto e più esso può essere
identificato come rappresentante di una categoria di verbi, perdendo le sue
caratteristiche più concrete e innescando così l’interpretazione metaforica
prioritaria per la frase in questione.
2.1 Verb Mutability Effect e Semantica Combinatoria di Nomi e
Verbi
Dedre Gentner (1981) formula la verb mutability hypothesis (ipotesi della
mutabilità del verbo), secondo cui le strutture semantiche espresse dai verbi
vengono alterate per adattarsi al contesto più facilmente rispetto alle strutture
semantiche espresse dai nomi.
Gentner e France (1990) verificano questa ipotesi attraverso tre
esperimenti: i primi due mirano a verificare la maggiore alterazione nel
significato dei verbi rispetto ai sostantivi; il terzo (suddiviso in 3a e 3b) cerca di
capire come avviene l’aggiustamento del significato.
La concezione della centralità del verbo è stata molto importante nelle
teorie della semantica frasale fin dall’avvento della grammatica dei casi
(Fillmore, 1966; 1968). Secondo questa visione, il verbo è il centro della frase,
attorno al quale si aggregano gli altri elementi: esso fornisce la struttura
relazionale della proposizione. Per Chafe (1970: 97-98), è ragionevole che il
verbo determini quali classi di nomi possono saturare i suoi argomenti. Egli
paragona il verbo al sole: qualsiasi cosa capiti alla stella si riflette sull’intero
sistema solare, mentre il nome è accostabile a un pianeta, le cui modificazioni
non influenzano il sistema totale.
Nonostante ciò, osservazioni informali suggeriscono il verificarsi dello
schema opposto: il significato del verbo spesso si adatta a quello del nome in
caso di restrizione semantica. Ad esempio, nella frase “the flower kissed the rock”
(il fiore baciò la roccia), presentata informalmente a molte persone da Chafe, è
immaginata una scena in cui il fiore e la roccia rimangono tali, ma il verbo viene
generalizzato a un significato più astratto, per cui il fiore sfiora la roccia o la
accarezza gentilmente.
Da questi presupposti si arriva alla verb mutability hypothesis (Gentner,
1981): quando il nome e il verbo in una frase presentano una discrepanza
semantica, il percorso normale prevede che nell’interpretazione si aggiusti il
significato del verbo. Tale affermazione è indubbiamente contraria alla
previsione verbo–centrica secondo cui il significato del verbo dovrebbe
dominare quello del nome.
Nei primi due esperimenti, le autrici vogliono determinare il luogo del
cambiamento semantico, allo scopo di verificare la verb mutability hypothesis. Ai
soggetti è richiesto di parafrasare frasi semplici di forma “The N Ved”. Le frasi
sono composte utilizzando le 64 coppie possibili in una matrice di otto nomi e
otto verbi. Degli otto nomi, due sono umani, due animati non umani, due
concreti e due astratti, secondo le categorie descritte da Clark e Begun (1971). In
modo analogo, due dei verbi preferiscono per soggetto nomi umani, due nomi
animati non umani, due nomi concreti e due nomi astratti.
Quando nome e verbo concordano, le frasi appaiono normali. Ad esempio,
il verbo “limp” (zoppicare) preferisce un soggetto animato; quindi “The mule
limped” (il mulo zoppicava) e “The daughter limped” (la figlia zoppicava)
dovrebbero essere entrambe frasi accettabili, in quanto contenenti soggetti
animati (il nome “daughter” è umano e dunque anche animato). Quando invece
i nomi violano le preferenze di selezione dei verbi, le frasi sono semanticamente
forzate. Ad esempio, se “limp” è accostato ad un nome inanimato come
“lantern” (lanterna), la frase risultante “The lantern limped” (la lanterna
zoppicava) è semanticamente forzata.
La verb mutability hypothesis predice che, proprio sotto forzatura semantica,
parafrasando le frasi, i soggetti altereranno il significato del verbo più di quello
del nome.
Nel primo esperimento, i soggetti eseguono il compito di parafrasi
(paraphrase task) iniziale, in modo da ottenere sei parafrasi per ogni frase
originale, senza che nessun soggetto trovi lo stesso verbo o lo stesso nome più
di una volta. Dalle proposizioni così ottenute, si può subito notare da un punto
di vista qualitativo che le frasi più “forzate” portano a un considerevole
aggiustamento semantico, soprattutto nel verbo.
Es.: The car worshipped
The vehicle only responded to him
(L’auto venerava
Il veicolo rispondeva solo a lui)
Per verificare empiricamente la verb mutability hypothesis, sono stati
proposti altri due compiti: il double-paraphrase task (compito della doppia
parafrasi) e il retrace task (compito di rintracciamento), svolti da nuovi gruppi di
soggetti. Nel double-paraphrase task, altri soggetti si trovano a parafrasare di
nuovo le parafrasi ottenute dal primo paraphrase task, senza sapere niente delle
frasi originali e con la richiesta di formare delle proposizioni in modo più
naturale possibile. Lo scopo è verificare quanti dei termini originali sono
riutilizzati nelle parafrasi prodotte. Come prevedibile, i risultati mostrano che i
nomi riapparsi superano di gran lunga i verbi: 74 (19%) a 16 (4%). Secondo
quanto ottenuto nello svolgimento di questo compito, quindi, il grado di
cambiamento semantico è maggiore nei verbi che nei nomi e la verb mutability
hypothesis sembra confermata.
Nel retrace task, partecipano 84 nuovi soggetti divisi in due gruppi. Metà
dei soggetti ha il compito di rintracciare i nomi nelle parafrasi, l’altra metà deve
invece riconoscere i verbi. Ai partecipanti viene fornita una lista con gli otto
nomi (o gli otto verbi) da individuare nelle proposizioni rielaborate. Chi ha
istruzioni di rintracciare i nomi non ha informazioni sui verbi e viceversa.
Questo compito permette di andare oltre la comparazione tra verbi e nomi e di
esaminare più in dettaglio i pattern combinatori. La matrice delle combinazioni
(Figura 2) può essere divisa in tre distinti settori, secondo il livello di
corrispondenza tra verbi e argomenti. In un settore, il “matched sector”, il nome
corrisponde all’argomento specificato dal verbo e si ha una bassa costrizione
semantica: in questo settore, che si trova sulla diagonale della matrice, il verbo
“zoppicare” (limp) è accostato a soggetti animati come “mulo” (mule) o
“lucertola” (lizard). Il secondo settore si trova al di sopra della diagonale della
matrice ed è chiamato “over-matched sector”, qui i nomi eccedono la
specificazione richiesta dal verbo. Ad esempio il verbo “limp” riceve come
soggetto i nomi “daughter” e “politician”, che non solo sono animati, ma anche
umani. In queste frasi, la forzatura semantica dovrebbe essere bassa almeno
quanto quella presente nel primo settore. Il terzo settore, al di sotto della
diagonale, è “under-matched”: il nome non soddisfa le specificazioni del verbo
per il soggetto. Quindi il verbo “limp”, che richiede un soggetto animato, è
invece combinato con un nome concreto inanimato come lantern (lanterna), o
con un nome astratto come responsibility (responsabilità). Questo under-matched
sector è l’area di maggior costrizione semantica. Qui, dovrebbe verificarsi il
maggior grado di cambiamento semantico, mentre il livello di accuratezza nel
rintracciamento dovrebbe essere al minimo.
Figura 2: matrice delle combinazioni nome-verbo usate negli esperimenti 1 e 2, con i diversi settori (da Gentner e France, 1990: Figure 1)
I risultati concordano con la verb mutability hypothesis. I giudizi di
rintracciamento sono infatti considerevolmente più accurati per i nomi che per i
verbi, confermando l’asserzione per cui la semantica verbale nelle parafrasi è
alterata molto più della semantica nominale. Inoltre, l’accuratezza nel
rintracciamento è minore per il settore under-matched e maggiore per gli altri
due settori. Infine, le interazioni indicano che il cambiamento di significato nel
verbo è più importante laddove è più alta la forzatura semantica.
I pattern del cambiamento semantico ottenuti indicano che sotto forzatura
semantica il locus primario di cambiamento è il verbo. Suggeriscono altresì che
l’aggiustamento nel significato del verbo è ordinato: il verbo preserva il suo
significato standard finché è possibile. I soggetti sembrano considerare i nomi
come riferimenti a entità fissate a priori, e i verbi come portatori di concetti
relazionali mutevoli, da estendere metaforicamente in caso di mancanza di
accordo col nome. Tuttavia, i pattern del cambiamento potrebbero derivare
anche dalle convenzioni sull’ordine delle parole; nelle frasi utilizzate nel primo
esperimento, infatti, il sostantivo precede il verbo e funge da topic. Per verificare
questa possibilità, nel secondo esperimento l’ordine delle parole è cambiato in
modo da avere prima il verbo.
Il secondo esperimento prevede un nuovo paraphrase task seguito da un
nuovo retrace task. Nel primo compito, 48 soggetti parafrasano 64 frasi
corrispondenti alle 64 combinazioni nome-verbo, come da Esperimento 1. Le
frasi sono divise in 8 set da 8, in modo che ogni soggetto parafrasi 8 frasi, senza
ripetizioni di vero o nome. Le frasi hanno la forma “Ved was what the N did”, ad
esempio: “Worshipped was what the lizard did” (letteralmente: “adorato era ciò che
la lucertola ha fatto”
10). Per il secondo compito, 84 studenti seguono la stessa
procedura utilizzata nel primo esperimento.
I risultati confermano ancora una volta le predizioni della verb mutability
hypothesis: la quantità di risultati corretti nel retrace task è infatti molto più alta
per i soggetti aventi a che fare con i nomi. Inoltre, lo svantaggio dei verbi è
maggiormente ravvisabile nell’under-matched sector. Ciò suggerisce che
l’aggiustamento semantico del verbo è selettivo e sistematico. Negli
Esperimenti 3a e 3b, le autrici si chiedono come avvenga questo aggiustamento.
Per permettere un’osservazione più da vicino dei meccanismi di cambiamento
del significato i verbi sono limitati a un subset di verbi di possesso.
10 In italiano sarebbe più corretto formulare la frase scrivendo: “adorare è ciò che la
lucertola faceva”. Tuttavia dobbiamo osservare che sia in inglese che in italiano frasi in questa forma risultano in ogni caso molto forzate e poco naturali.
Nell’Esperimento 3a, tutti i nomi soggetto sono nomi propri. La
manipolazione sperimentale riguarda solo lo slot dell’oggetto. I soggetti
parafrasano quindi frasi del tipo “George bought doom” (George comprò la
sventura), per cui la domanda è se “bought” venga alterato maggiormente di
“doom”. I nomi usati come complementi oggetto sono nomi concreti (es. vase,
“vaso”), nomi che denotano occupazioni umane (es. doctor, “dottore”) oppure
nomi astratti, sia con significato positivo (es. luck, “fortuna”) che negativo (es.
doom, “sventura”). Secondo le previsioni, i verbi dovrebbero alterare
maggiormente il loro significato quando sono accostati a complementi oggetto
umani o astratti, rispetto a quando gli oggetti sono concreti. I soggetti inoltre
cercheranno probabilmente (come successo negli esperimenti precedenti) di
preservare il più possibile il significato originale del verbo.
I soggetti sono 16 studenti che svolgono un compito di parafrasi come
negli esperimenti precedenti. Le frasi sono costruite con un set di 8 verbi di
possesso e 8 nomi che servono da complementi diretti, come da matrice in
Figura 3. Tutte le frasi sono di forma “X Ved the N”. I soggetti delle frasi sono 8
nomi propri maschili, distribuiti nelle diverse combinazioni con i verbi e i
Figura 3: matrice delle combinazioni verbo-oggetto usate nell’esperimento 3° (da Gentner e France, 1990: Figure 4)
complementi oggetto. Questi ultimi consistono di due sostantivi concreti, due
umani e quattro astratti, di cui due con polarità positiva e due con polarità
negativa. Tutti gli oggetti, esclusi i due concreti, risultano in frasi non letterali.
Vengono inoltre aggiunte 16 frasi di riempimento, sintatticamente simili alle
frasi-test, allo scopo di fugare eventuali aspettative di pattern contenenti frasi
anomale. Ogni soggetto è chiamato a parafrasare 8 frasi-stimolo inframmezzate
da frasi di riempimento.
I risultati mostrano ancora una volta il maggior cambiamento del verbo
rispetto a quello del nome. Lo schema degli aggiustamenti verbali suggerisce
l’esistenza di una serie di processi sistematici sottostanti le estensioni
metaforiche del verbo, necessarie in caso di forte costrizione semantica. In
questi casi, alcune strutture del verbo sembrano preservate, mentre ciò che
cambia è il dominio del verbo. Ad esempio, un verbo che normalmente
comunica un cambio causale di possesso (es. discard, “scartare”/”scaricare”)
sarebbe interpretato come un cambio causale in qualche altra dimensione. La
frase “Marvin discarded a doctor” (Marvin scaricò un dottore) è stata parafrasata
come “Marvin consulted a different practitioner of medicine” (Marvin consultò un
diverso medico). In questa parafrasi non si riscontra una perdita di possesso,
ma piuttosto la perdita dei servizi del dottore di Marvin. Il cambio di stato
causale rimane, e con esso il fatto che è stato Marvin ad iniziarlo, ma il concetto
di proprietà è perduto. Risposte come questa sembrano riflettere l’esistenza di
un processo ordinato e governato da regole, più che un tentativo ad hoc di dare
un senso alla frase.
L’Esperimento 3b è basato su un compito a scelte con stimoli in parte
generati nell’Esperimento 3a. Le risposte a scelta sono costruite secondo
possibili strategie di interpretazione delle frasi metaforiche:
1. Sottrazione Minima (Minimal Subtraction). Questa scelta preserva il
più possibile il significato del verbo. Nelle frasi letterali la parafrasi
è una semplice rielaborazione della frase di partenza, mentre per le
frasi non letterali un cambio minimo nel significato del verbo
produce un plausibile senso metaforico. Ad esempio, per la frase
“Chuck stole a plumber” (Chuck rubò un idraulico), la risposta è
“Chuck hired a plumbist specialist away from another employer” (Chuck
assunse uno specialista in idraulica togliendolo a un altro datore di
lavoro).
2. Sottrazione Radicale (Radical Subtraction). In questa scelta, tutti i
componenti del significato verbale, escluso il cambio di stato,
vengono sottratti. Questa interpretazione è corretta, ma
estremamente generica. Ad esempio, per la stessa frase
esemplificata sopra, “Chuck stole a plumber”, la parafrasi con
Sottrazione Radicale è “Chuck had a plumbing specialist do some work
for him” (Chuck ha fatto fare a uno specialista in idraulica del lavoro
per suo conto).
3. Amplificazione Pragmatica (Pragmatic Amplification). Questa scelta
assume una certa sospensione del significato abituale del verbo, ma
aggiunge informazioni contestuali atte a rendere plausibile la frase.
Per “Chuck stole a plumber”, la risposta corrispondente è “Chuck paid
a very high salary and hired away his rival’s best plumbing specialist”
(Chuck pagò un salario molto alto e assunse il miglior specialista di
idraulica del suo rivale).
4. Controllo. La scelta di controllo è irrilevante per il significato della
frase originale, ma contiene concetti associati con alcuni dei concetti
originali. La risposta di controllo per “Chuck stole a plumber” è
“Chuck lived by the beach and had a tool box” (Chuck viveva vicino alla
spiaggia e aveva una cassetta degli attrezzi). Questa scelta è stata
inserita come test alla versione forte della visione normativa, che
afferma che le frasi non letterali sono totalmente incomprensibili. Se
ciò fosse vero, tutti i quattro tipi di risposte sarebbero visti come
ugualmente anomali, e la scelta di controllo verrebbe selezionata
con la stessa probabilità delle altre. Inoltre, questa risposta serve a
stabilire se i soggetti interpretano effettivamente le frasi.
I soggetti dell’Esperimento 3b sono 48 studenti. Le frasi sono simili a
quelle utilizzate nell’Esperimento 3a, con alcune differenze. Due verbi sono
eliminati, così come la distinzione di polarità tra i nomi complemento oggetto,
che non pare aggiungere dati significativi. Riportiamo in Figura 3 la matrice da
cui si compongono le frasi con alcuni esempi.
Ogni frase è quindi seguita dalle quattro risposte a scelta, il cui ordine varia in
modo casuale. Sono inserite anche frasi di riempimento, ciascuna con le sue
quattro risposte. A ogni soggetto sono sottoposte 18 frasi stimolo e 12 frasi di
riempimento, con l’istruzione di immaginare di aver sentito di sfuggita le frasi
in una caffetteria, e di scegliere la risposta che meglio potrebbe rispecchiare il
significato inteso dal parlante.
Figura 3: esempio di matrice di combinazioni oggetto-verbo usata nell’Esperimento 3b (da Gentner e France, 1990: Figure 6)
I risultati mostrano che la risposta di Sottrazione Minima viene scelta
molto più spesso delle altre. Dopo di essa, la seconda risposta più frequente è la
scelta di Sottrazione Radicale in cui è preservato solo il cambio di stato.
L’interpretazione secondo l’Amplificazione Pragmatica è scelta raramente,
mentre quella di Controllo non viene scelta quasi mai. Queste differenze sono
confermate tramite t-test (Gentner e France, 1990: 14): tutte le differenze tra
coppie adiacenti (nella classifica in ordine di frequenza di scelta tra i diversi tipi
di risposta) sono significative.
Nella Figura 4 possiamo invece vedere le proporzioni delle scelte di
strategie interpretative in correlazione alla tipologia di complementi oggetto. La
risposta di Sottrazione Minima, quella di Sottrazione Radicale e la risposta di
Amplificazione Pragmatica variano molto in frequenza rispetto al tipo di
oggetto. La risposta di Controllo invece non mostra differenze significative.
Figura 4: proporzioni delle risposte per ogni tipo di oggetto nell’Esperimento 3b (da Gentner e France, 1990: Figure 8)