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Fattori indicativi di svezzamento dalla ventilazione meccanica invasiva in pazienti tracheotomizzati per insufficienza respiratoria acuta.

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Academic year: 2021

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(1)

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’area Critica Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

Corso di Laurea magistrale in Medicina e Chirurgia

_____________________________________________________________________________

Tesi di Laurea

“Fattori indicativi di svezzamento dalla ventilazione meccanica invasiva in

pazienti tracheotomizzati per insufficienza respiratoria acuta”

RELATORE

Chiar.mo Prof. Antonio Palla

CORRELATORE

Dott.ssa Nicoletta Carpenè

CANDIDATO

Domiziana Pellegrini

(2)

2

Indice:

Indice delle figure………...4

Indice delle tabelle………..5

1 RIASSUNTO ANALITICO ... 7

2 INSUFFICIENZA RESPIRATORIA ... 15

2.1 CAUSE di INSUFFICIENZA RESPIRATORIA ACUTA (IRA) ... 15

2.2 TRATTAMENTO della IRA ... 17

2.2.1 MODALITÁ di VENTILAZIONE MECCANICA INVASIVA (VMI) ... 20

2.3 TRACHEOTOMIA ... 23

2.3.1 Tracheotomia Percutanea Dilatativa ... 24

2.3.2 Cambio cannula tracheotomica ... 28

2.3.3 Decannulazione ... 34

3 SVEZZAMENTO ... 35

3.1 FATTORI PREDITTIVI di SVEZZAMENTO ... 37

3.1.1 APACHE II ... 40

3.1.2 SAPS II (Simplified Acute Physiology Score) ... 41

3.1.3 SOFA (Sepsis-related Organ Failure Assessment) ... 45

3.2 WIND (Weaning According to New Definition) ... 47

3.2.1 Inizio svezzamento ... 47

3.2.2 Classificazione pazienti ... 48

3.2.3 Mortalità nel tempo ... 49

3.2.4 Fattori predittivi di durata di svezzamento ... 49

3.2.5 Differenze tra ICC e WIND... 49

3.3 UTIR, UTIIR, UNITÁ di MONITORAGGIO ... 50

3.3.1 Unità di monitoraggio respiratorio ... 53

3.3.2 Unità di terapia intensiva intermedia respiratoria... 53

3.3.3 Unità di terapia intensiva respiratoria ... 54

3.3.4 Organizzazione ... 54

4 SCOPO DELLA TESI ... 59

5 MATERIALI e METODI ... 60

6 RISULTATI ... 64

6.1 DIAGNOSI di INGRESSO IN UTI ... 66

6.2 REPARTO di PROVENIENZA ... 67

6.3 DIMISSIONE o TRASFERIMENTO ... 67

(3)

3 7 DISCUSSIONE ... 74 7.1 SAPS II ... 75 7.2 SOFA ... 75 7.3 APACHE II ... 76 7.4 PRESENZA/ASSENZA di SNG ... 76 7.5 pH ... 77 7.6 paCO2 ... 77 7.7 ETÁ ... 77 7.8 SESSO ... 78

7.9 DURATA di DEGENZA in UTIIR ... 78

7.10 DURATA di DEGENZA in UTI ... 78

7.11 RAPPORTO PaO2/Fio2 ... 78

7.12 ANALISI MULTIVARIATA ... 79

8 CONCLUSIONI ... 80

9 BIBLIOGRAFIA ... 81

(4)

4

Indice delle figure:

Figura 1. Insufficienza respiratoria………..17

Figura 2. Ventilatori……….19

Figura 3. Ventilazione pressometrica assistita……….21

Figura 4. Ventilazione pressometrica controllata………21

Figura 5. Ventilazione volumetrica………..22

Figura 6. Respiro in CPAP………..23

Figura 7. Posizione di esecuzione TPD (1)………..25

Figura 8. Posizione di esecuzione TPD (2)………..…25

Figura 9. Sito di incisione TPD………26

Figura 10. Incisione e dilatazione trachea………27

Figura 11. Tracheostomy tube changer………29

Figura 12. Cannule curva e angolata………31

Figura 13. Cannula a geometria variabile………31

Figura 14. Cuffia………..32

Figura 15. Tipi di fenestrature……….33

Figura 16. Controcannula……….34

Figura 17. Fasi svezzamento………35

Figura 18. Fattori predittivi………..37

Figura 19. Sesso dei pazienti sottoposti a svezzamento da VMI………64

Figura 20. Età dei pazienti sottoposti a svezzamento da VMI…...………..…64

Figura 21. Durata degenza UTI…...………..………..…65

Figura 22. Durata degenza UTIIR...………..………..…65

Figura 23. Diagnosi di ingresso in UTI………...67

Figura 24. UTI di provenienza……….67

Figura 25. Dimissione o trasferimento……….68

Figura 26. Svezzati da VMI vs non svezzati………68

Figura 27. Modalità svezzamento da VMI..………....69

Figura 28. Svezzamento da VMI in portatori di PEG………..69

(5)

5

Indice delle tabelle:

Tabella 1. Fallimento SBT………...36

Tabella 2. Classificazione pazienti………...37

Tabella 3. Criteri di inizio svezzamento………..38

Tabella 4. APACHE II……….41

Tabella 5. Variabili escluse da SAPS II………...43

Tabella 6. SAPS II………44

Tabella 7. SOFA………...46

Tabella 8. UTI, UTIIR e Unità di monitoraggio respiratorio.………..51

Tabella 9. Gravità del paziente e UO di competenza………...52

Tabella 10. UTI AOUP………61

Tabella 11. Trasferimenti……….61

Tabella 12. Parametri rilevati (1)……….62

Tabella 13. Parametri rilevati (2)………..………...…62

Tabella 14. Valori emogasanalitici all’ingresso in UTIIR...………....66

Tabella 15. Score di gravità all’ingresso in UTIIR...………...66

Tabella 16. Modalità di nutrizione ……….……….66

Tabella 17. Risultati analisi univariata……….71

Tabella 18. Chi-quadrato e p di analisi multivariata ………72

Tabella 19. P e Odd Ratio dei singoli parametri in analisi multivariata ……….72

Tabella 20. Pazienti UTIR negli anni 1991-2005 (1)………...74

(6)

6

Elenco delle abbreviazioni:

AOUP.: Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana

APACHE: acute physiology and chronic health evaluation CPAP: continuous positive airway pressure

FiO2: frazione inspirata dell’ossigeno

GCS: Glasgow coma scale

ICC: international consensus conference IOT: intubazione oro-tracheale

IPPV: intermittent positive pressure breathing IR: insufficienza respiratoria

IRA: insufficienza respiratoria acuta MAP: pressione arteriosa media MOF: multiple organ failure

PaO2: pressione parziale arteriosa dell’ossigeno

PaCO2: pressione parziale arteriosa dell’anidride carbonica

PEG: gastrotomia endoscopica percutanea PSV: pressure support ventilation

SAPS: simplified acute physiology score SOFA: sepsis-related organ failure assessment SBT: spontaneous breathing trial

SIMV: synchronized intermittent mandatory ventilation SNG: sondino naso gastrico

TPD: tracheotomia percutanea dilatativa VMI: ventilazione meccanica invasiva VMNI: ventilazione meccanica non invasiva UO: unità operativa

UTI: unità di terapia intensiva

UTIIR: unità di terapia intensiva intermedia respiratoria UTIR: unità di terapia intensiva respiratoria

(7)

7

1 RIASSUNTO ANALITICO

PREMESSA

La Insufficienza Respiratoria Acuta (IRA) è una condizione caratterizzata da insufficienza degli scambi gassosi, dovuta all’inadeguata funzione di uno o più componenti del sistema respiratorio, che si sviluppa in tempi rapidi (minuti o ore). L’IR acuta su cronica è invece un deterioramento acuto dell’insufficienza respiratoria cronica.

L’insufficienza respiratoria acuta o acuta su cronica, nei casi più gravi, può determinare il ricorso all’intubazione orotracheale (IOT), il ricovero in Unità di Terapia Intensiva (UTI) e quindi la necessità di Ventilazione Meccanica Invasiva (VMI). Se il paziente non può essere estubato e deve proseguire la VMI, può essere necessaria l’esecuzione della tracheotomia. Con il termine Svezzamento dalla VMI si intende quel processo che porta alla ripresa della ventilazione spontanea in un paziente che esegue la VMI o tramite tubo endotracheale o tramite tracheotomia, per miglioramento o completa risoluzione dell’insufficienza respiratoria acuta o acuta su cronica. Quando in un paziente ricoverato in UTI e tracheotomizzato per proseguire la VMI, fallisce il processo di svezzamento, può essere trasferito presso le Unità di Terapia Intensiva Intermedia Respiratoria (UTIIR) o nei centri di svezzamento dove tale processo verrà proseguito. Se anche in tali strutture il paziente non riprende la completa autonomia respiratoria potrà essere dimesso a domicilio in VMI.

Se il processo di svezzamento dalla VMI è invece portato a termine con successo, il paziente riprenderà a respirare spontaneamente e potrà essere estubato (durante il ricovero in UTI), o decannulato se portatore di tracheotomia (durante il ricovero in UTI o in UTIIR o nei centri di svezzamento).

In letteratura ci sono numerosi studi che identificano fattori predittivi di svezzamento dalla VMI; è importante sottolineare che tali studi sono stati condotti su pazienti ricoverati in UTI e la quasi totalità dei pazienti reclutati eseguiva VMI tramite il tubo oro-tracheale. Secondo tali studi, i principali fattori che sarebbero coinvolti nel processo di svezzamento dalla VMI sono: l’inizio precoce dello svezzamento, il rapporto f/Vt (frequenza respiratoria/volume corrente), l’età, il valore dello score APACHE II (Acute Physiology And Chronic Health Evaluation II), il valore della PaCO2, misurata con l’emogasanalisi, il valore di albuminemia, la presenza di

anemia ed alcune comorbidità. In particolare, per l’età, per il rapporto f/Vt e per l’APACHE II risulta che maggiore è il loro valore e maggiore è la probabilità di insuccesso nel processo di svezzamento dalla VMI. Da uno studio emergerebbe inoltre che l’APACHE II avrebbe un valore soglia oltre il quale il rischio che lo svezzamento dalla VMI fallisca è più alto e tale valore sarebbe di 12. Il rischio di fallire lo svezzamento dalla VMI è inoltre maggiore in caso

(8)

8 di bassi livelli sierici di albumina ed emoglobina. Inoltre avere la PaCO2 superiore a 45 mmHg

si associa a maggior rischio di fallimento dello svezzamento. Per quanto concerne le comorbidità, gli studi sono unanimi nell’affermare che il paziente precedentemente “sano” abbia più probabilità di essere svezzato con successo dalla VMI. Gli autori non sono concordi nell’identificare la comorbidità più rilevante nel determinare l’insuccesso dello svezzamento dalla VMI; infatti, secondo alcuni questa sarebbe un’eventuale malattia polmonare cronica, secondo altri lo scompenso cardiaco cronico e altri ancora identificano invece l’insufficienza renale cronica. Alcuni studi affermano che qualora l’insufficienza respiratoria acuta sia dovuta a polmonite o bronco pneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) riacutizzata, lo svezzamento dalla VMI risulta prolungato e a maggior rischio di fallimento.

OBIETTIVO

Lo scopo del nostro studio è stato quello di ricercare eventuali fattori predittivi di svezzamento dalla VMI in ambiente di UTIIR, pertanto abbiamo indagato fra i vari parametri rilevati al momento del ricovero presso la nostra UTIIR in pazienti sottoposti ad IOT, VMI e tracheotomia, precedentemente ricoverati in UTI per insufficienza respiratoria acuta o acuta su cronica.

METODI

Nel nostro studio abbiamo arruolato 104 pazienti consecutivi, tracheotomizzati e in ventilazione con VMI, ricoverati nella UTIIR della Unità Operativa di Pneumologia Universitaria della Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana (AOUP) nel periodo Gennaio 2013-Gennaio 2017, al fine di eseguire lo svezzamento dalla VMI iniziato durante il ricovero in UTI. Per ognuno abbiamo rilevato, al momento del ricovero: i parametri anagrafici (età, sesso), fisiologici (Glasgow Coma Scale, pressione arteriosa sistemica, frequenza respiratoria, temperatura corporea), emogasanalitici (pH, PaCO2, PaO2/FiO2), laboratoristici (emocromo,

funzionalità renale ed epatica), gli score di gravità (APACHE II, SAPS II, Simplified Acute Physiology Score, e SOFA, Sepsis-related Organ Failure Assessment, calcolati sulla base dei parametri anagrafici, fisiologici e laboratoristici), la causa principale della insufficienza respiratoria acuta o acuta su cronica che aveva determinato la necessità di IOT, le UTI di provenienza e la durata della degenza in UTI. Inoltre abbiamo rilevato la modalità di nutrizione che poteva essere per via orale, tramite Sondino Naso Gastrico (SNG) o tramite Gastrostomia Endoscopica Percutanea (PEG).

(9)

9 Abbiamo poi suddiviso i pazienti in due gruppi: il gruppo dei pazienti che sono stati svezzati con successo dalla VMI ed il gruppo dei pazienti in cui lo svezzamento dalla VMI non è stato possibile. Per successo di svezzamento abbiamo considerato la sospensione dalla VMI da almeno 48 ore.

Eventuali differenze tra i due gruppi sono state analizzate mediante il test t di student per le variabili numeriche e mediante il test del chi quadrato per le variabili categoriche. Valori di p<0.05 sono stati considerati statisticamente significativi. Le variabili per le quali è stata riscontrata una differenza statisticamente significativa sono state poi inserite in un’analisi multivariata, eseguendo una regressione logistica binaria, al fine valutare la predittività delle stesse.

RISULTATI

Nel periodo preso in considerazione dallo studio sono stati ricoverati 104 pazienti (69 maschi, 66.3%) che rispondevano ai criteri di inclusione.L’età media era di 69 ± 13 anni (media ± ds); la durata di degenza media in UTI è stata di 32.9 ± 18.7 giorni; la durata della degenza media presso la nostra UTIIR di 20.4 ± 15.2 giorni. Gli altri risultati della popolazione generale sono riportati nelle tabelle sottostanti.

Valori emogasanalitici

pH 7.45 ± 0.05

PaCO2 42.81 ± 8.98 mmHg

PaO2/FiO2 244.54 ± 71.75

Valori emogasanalitici all’ingresso in UTIIR

Score di gravità

SAPS II 31.55 ±10.58

SOFA 2.94 ± 1.86

APACHE II 12.46 ± 5.27 Score di gravità all’ingresso in UTIIR

Nutrizione

SNG 54 (51.92%)

PEG 6 (5.76%)

Orale 44 (42.30%)

(10)

10 Analizzando i reparti di provenienza è risultato che il 45.2% proveniva dalla UTI PS, il 22.2% da UTI Cardio-Toraco-Vascolare, il 14.4% dalla UTI 4, il 6.7% dalla UTI Neurochirurgia, il 3.8% dalla UTI Trapianti e il restante 7.7% da UTI di altri presidi Ospedalieri.

Dei 104 pazienti reclutati 68 sono stati svezzati con successo dalla VMI (65.4%) mentre per i restanti 36 (34.6%) non è stato possibile concludere lo svezzamento.

I risultati dell’analisi statistica univariata, con cui abbiamo cercato di capire quali dei fattori precedentemente elencati avessero delle differenze statisticamente significative tra la popolazione dei pazienti svezzati con successo dalla VMI e il gruppo dei pazienti il cui svezzamento è fallito, sono riportati nella tabella sottostante. In rosso sono evidenziati i fattori risultati statisticamente significativi (p<0.05).

Pazienti svezzati 68 (65.4%) Pazienti non svezzati 36 (34.6%) P-Value Sesso F 22 (62.86%) M 46 (66.67%) F 13 (37.14%) M 23 (33.33%) 0.7000 (p>0.05) Età (anni) 73 ± 13.68 68 ± 9.90 0.0602 (p>0.05) Durata degenza UTIIR (giorni) 18.62 ±12.16 23.75 ± 19.50 0.1021 (p>0.05) Durata degenza UTI (giorni) 31.56 ± 18.23 35.47 ± 19.67 0.3133 (p>0.05) PaO2/FiO2 254.54 ± 74.65 226.58+/-76.00 0.0783 (p>0.05) pH 7.4594 ± 0.05 7.4364 ± 0.05 0.0393 (p<0.05) PaCO2 (mmHg) 41.88 ± 8.38 44.23 ± 9.88 0.1548 (p>0.05) SAPS II 29.12 ± 9.49 36.08 ± 11.11 0.0012 (p<0.05) SOFA 2.58 ± 1.58 3.61 ± 2.15 0.0069 (p<0.05) APACHE II 11.49 ± 5.02 14.25 ± 5.32 0.0107 (p<0.05) SNG SI 29 NO 39 SI 24 NO 12 0.02 (p<0.05) Risultati analisi univariata

(11)

11 Dai risultati ottenuti possiamo dire che:

- la presenza o assenza del SNG e il valore di ingresso di SAPS II, SOFA, APACHE II e del pH hanno una differenza statisticamente significativa tra il gruppo dei pazienti svezzati dalla VMI e il gruppo dei pazienti in cui lo svezzamento è fallito.

- il sesso, la durata della degenza in UTIIR, la durata del precedente ricovero in UTI e il rapporto PaO2/FiO2 non sono risultati avere alcun valore statisticamente significativo nel

processo di svezzamento.

Abbiamo in seguito eseguito un’analisi multivariata dei parametri risultati statisticamente significativi all’analisi univariata. Abbiamo dunque eseguito una regressione logistica binaria per valutare se i valori dei punteggi di SAPS II, SOFA e APACHE II e la presenza del SNG fossero fattori predittivi di svezzamento dalla VMI nei pazienti ricoverati in UTIIR.

Il modello è risultato statisticamente migliore rispetto al modello nullo, ottenendo Chi-quadrato pari a 17.512 e p pari a 0.002. Tali valori sono riportati nella tabella sottostante, in cui la “p” è riportata come “Sig.” (= significatività).

Chi-quadrato e p di analisi multivariata

I risultati della regressione logistica binaria sono riportati nella tabella sottostante, nella quale sono segnati in rosso i parametri statisticamente significativi.

Parametro P (significativa se <0.05) Odd Ratio SNG 0.036 (p<0.05) 3.008 SAPS II 0.241 (p>0.05) 0.964 SOFA 0.162 (p>0.05) 0.795 APACHE 0.963 (p>0.05) 0.997 P e Odd Ratio dei singoli parametri in analisi multivariata

Da tali dati è risultato che l’unica variabile che si mantiene statisticamente significativa all’analisi multivariata è il SNG (p<0.05) e risulta inoltre che la probabilità di svezzamento dalla VMI è circa 3 volte maggiore nei pazienti senza SNG rispetto ai pazienti portatori di SNG (OR=3.008). Il SNG è quindi un fattore predittivo di svezzamento dalla VMI.

Le altre variabili (SAPS II, SOFA e APACHE II) hanno invece mostrato valori di p inferiori a 0.05 e dunque non risultano predittive del processo di svezzamento.

(12)

12 DISCUSSIONE

Il nostro studio è stato eseguito prendendo in considerazione pazienti degenti in UTIIR e in letteratura non è presente alcuno studio analogo. Infatti, tutti gli studi riportati in letteratura riguardanti i fattori predittivi di svezzamento sono stati svolti in UTI, in cui la maggior parte dei pazienti esegue la VMI tramite il tubo orotracheale, mentre i nostri pazienti la eseguono tramite la tracheotomia.

Dal nostro studio è dunque emerso che:

- i pazienti portatori di SNG hanno maggior probabilità di insuccesso nel processo di svezzamento dalla VMI. Infatti questi pazienti presentano deficit deglutitori e tali disturbi è noto che rendono difficoltosa la gestione delle vie aeree con maggior rischio di inalazione. Con l’analisi univariata abbiamo potuto affermare che questo rientra tra i fattori influenti nel processo di svezzamento in quanto nella popolazione dei pazienti non svezzati dalla VMI il numero di portatori di SNG è significativamente più alto rispetto al numero di portatori dello stesso nel gruppo dei pazienti svezzati dalla VMI. In letteratura non sono presenti studi riguardo l’influenza del SNG nel processo di svezzamento dalla VMI;

- i pazienti aventi elevati valori di SAPS II, SOFA e APACHE II hanno maggior rischio di fallimento del processo di svezzamento. Ciò è spiegabile dal fatto che tutti e tre sono score di gravità, quindi più sono elevati più le condizioni cliniche del paziente sono gravi e quindi minore sarà la possibilità di svezzamento dalla VMI.

In letteratura non sono presenti studi riguardo l’influenza di SAPS II e SOFA nel processo di svezzamento dalla VMI. Invece essi esistono per APACHE II e benchè siano studi eseguiti in unità di terapia intensiva generale il risultato, con i limiti sopracitati, è sovrapponibile al nostro. Infatti anche tali studi affermano che se APACHE II è elevato è un fattore predittivo di fallimento nel processo di svezzamento dalla VMI e, inoltre, si sbilanciano ad indicare il valore di “12” come soglia oltre la quale lo svezzamento dalla VMI fallisce. Noi non abbiamo ricercato la soglia, però è opportuno notare che il valore medio di APACHE II nella popolazione dei pazienti svezzati dalla VMI è inferiore a 12 e quello nella popolazione dei pazienti il cui svezzamento è fallito è superiore a 12;

- dal nostro studio emerge che maggiore è la tendenza all’acidemia maggiore è il rischio di fallimento nel processo di svezzamento dalla VMI. Questo risultato deve essere comunque interpretato con criticità perché anche se la differenza del valore di pH è statisticamente significativa nei due gruppi, i valori di pH in entrambi i gruppi risultano comunque nel range di normalità.

(13)

13 In letteratura non sono presenti studi riguardo l’influenza del pH nel processo di svezzamento dalla VMI;

- l’età nel nostro studio non risulta significativa nel processo di svezzamento dalla VMI, mentre dagli studi presenti in letteratura emerge che generalmente vengono svezzati più facilmente dalla VMI i pazienti più giovani. Tali studi sono, anche in questo caso, tutti svolti in unità di terapia intensiva generale. Questo parametro è verosimilmente “falsato” dal fatto che i pazienti più giovani terminano lo svezzamento dalla VMI in tempi brevi già in unità di terapia intensiva generale e quindi non necessitano del ricovero in UTIIR;

- la PaCO2, nel nostro studio, non è risultata avere alcuna differenza statisticamente

significativa tra la popolazione dei pazienti svezzati con successo dalla VMI e quella di coloro il cui svezzamento è fallito. Quanto emerge da studi eseguiti in unità di terapia intensiva generale è che questa è predittiva di fallimento dello svezzamento da VMI se superiore a 45 mmHg. Noi dunque non possiamo confermare questo dato, anche perché, sebbene il valore medio della PaCO2 sia più basso nella popolazione dei

pazienti svezzati con successo rispetto al valore medio della popolazione dei pazienti non svezzati, la PaCO2 ha un valore medio inferiore a 45 mmHg anche nel gruppo dei

pazienti il cui svezzamento è fallito;

- il sesso, la durata della degenza in UTIIR, la durata del precedente ricovero in UTI e il rapporto PaO2/FiO2 non sono riportati in letteratura tra i fattori predittivi di

svezzamento dalla VMI. Dai risultati del nostro studio sembra che tali parametri non abbiano alcun valore statisticamente significativo nella predizione dello stesso.

Dalla successiva analisi multivariata risulta che solo SNG è un fattore predittivo di svezzamento dalla VMI. In particolare, da essa risulta che l’essere portatori di SNG si associa ad un rischio di fallimento dello svezzamento 3 volte superiore rispetto ai pazienti non aventi SNG.

Le altre variabili (SAPS II, SOFA e APACHE II) non sono risultate invece predittive di svezzamento dalla VMI, probabilmente a causa della alta correlazione tra le stesse (molti parametri sono infatti in comune tra i tre score di gravità).

CONCLUSIONI

Dalla nostra analisi possiamo concludere che esistono dei parametri che influiscono sulla probabilità di successo nello svezzamento dalla VMI nei pazienti tracheotomizzati per IRA o per IRA su cronica e successivamente ricoverati in una UTIIR e questi sono: SAPS II, SOFA e APACHE II calcolati al momento del ricovero (tendenzialmente più il loro valore è alto più il

(14)

14 paziente è a rischio di fallire lo svezzamento dalla VMI), pH al momento del ricovero (maggiore è la tendenza all’acidemia maggiore è il rischio di fallire lo svezzamento dalla VMI) e la presenza o assenza di SNG.

In particolare, il SNG è un fattore predittivo di fallimento dello svezzamento dalla VMI in quanto i pazienti portatori dello stesso hanno un rischio di fallimento nel processo di svezzamento dalla VMI 3 volte superiore rispetto ai pazienti che non ne sono portatori.

(15)

15

2 INSUFFICIENZA RESPIRATORIA

L’Insufficienza Respiratoria (IR) è una condizione caratterizzata da insufficienza degli scambi gassosi dovuta all’inadeguata funzione di uno o più componenti del sistema respiratorio.[1] Questa si classifica su base clinica, sulla modalità di insorgenza e sulle alterazioni fisiopatologiche della funzione respiratoria.[1]

Classificazione Clinica:

- IR Ipossiemica, se la PaO2 è inferiore a 60 mmHg e la paCO2 non è superiore a 45

mmHg;

- IR Ipercapnica, sela PaO2 è inferiore a 60 mmHg ela paCO2 è superiore a 45 mmHg.

Classificazione in base alle modalità di insorgenza:

- Acuta, evento improvviso che conduce a pericolo di vita in minuti o ore. Il pericolo di vita non sussiste solo per l’ipossiemia ma anche per l’eventuale ipercapnia, in quanto quest’ultima si associa a disturbi dell’equilibrio acido base con sviluppo di acidosi respiratoria[2];

- Cronica, graduale peggioramento della funzione respiratoria che porta a progressivo deterioramento degli scambi gassosi. In questo caso i disturbi dell’equilibrio acido base, qualora l’IR sia ipercapnica, ci sono ma sono meno gravi rispetto alla forma acuta in quanto c’è l’attivazione del compenso renale con conseguente aumento della concentrazione ematica dei bicarbonati[2];

- Acuta su cronica, deterioramento acuto dell’insufficienza respiratoria cronica. Classificazione in base alle alterazioni fisiopatologiche della funzione respiratoria:

- Tipo 1, se ipossiemica e ipocapnica o normocapnica; - Tipo 2, se ipossiemica e ipercapnica.

2.1

CAUSE di INSUFFICIENZA RESPIRATORIA ACUTA (IRA)

L’IRA si verifica quando uno o più dei componenti che costituiscono il sistema respiratorio non svolgono più la loro funzione e ciò si manifesta in tempi rapidi[1]. Le componenti del sistema respiratorio che possono determinare tale condizione sono: le vie aeree, gli alveoli, il sistema nervoso centrale, il sistema nervoso periferico, i vasi, i muscoli respiratori e la gabbia toracica[2]. Inoltre, l’IR può essere presente anche in caso di ipoperfusione secondaria a shock ipovolemico, cardiogeno o settico.[2]

Le cause di IRA sono dunque le seguenti:[1] Disfunzione prevalente delle vie aeree:

(16)

16 - Enfisema;

- Bronchite cronica;

- Tumore endobronchiale, massa o stenosi; Disfunzione prevalente alveolare:

- Polmonite;

- Edema polmonare; - Emorragia polmonare;

- Sindrome da distress respiratorio dell’adulto; - Reazione a farmaci;

- Contusione polmonare;

- Patologia polmonare interstiziale. Disfunzione prevalente vascolare polmonare:

- Embolia polmonare acuta; - Ipertensione polmonare;

- Malformazione artero-venosa o shunt intracardiaco. Disfunzione prevalente del sistema nervoso:

- Terapie sedative;

- Ipotermia postoperatoria; - Ictus cerebrale.

- Malattie neuromuscolari Disfunzione prevalente muscolare:

- Terapie e/o tossine; - Miopatia;

- Miositi;

- Alterazioni metaboliche, quali ipofosfatemia e ipotiroidismo; - Sindrome di Guillain-Barrè;

- Poliradicolopatie da malattie critiche;

- Disfunzioni del nervo frenico post-operatorie o post-radiazioni; - Dolore o immobilizzazione post-operatori;

- Malattie neuromuscolari.

Le cause di IRA possono dunque essere suddivise in due grossi gruppi: insufficienza della pompa muscolare e insufficienza del parenchima polmonare. Il deficit di pompa determina ipoventilazione alveolare con conseguente IR di tipo 2, mentre i difetti del parenchima polmonare provocano deficit nell’esecuzione degli scambi gassosi e dunque, di solito, IR tipo

(17)

17 1[3]. Comunque, qualora il danno al parenchima polmonare persista e vada incontro a peggioramento, l’IR potrà evolvere da tipo 1 a tipo 2[3]. Il tutto è mostrato nella figura sottostante (Figura 1).

Figura 1. Insufficienza respiratoria [3]

2.2

TRATTAMENTO della IRA

I cardini terapeutici dell’IRA sono due:[1]

- Stabilire la pervietà delle vie aeree, l’ossigenazione e l’eventuale ventilazione; - Trattamento della patologia sottostante.

In prima istanza dobbiamo assicurare la pervietà delle vie aeree, pertanto qualora il paziente abbia un corpo estraneo dobbiamo rimuoverlo; se avesse secrezioni dobbiamo aspirarle; se non riuscisse a mantenere pervie le vie aeree a seguito di uno stato di incoscienza (a causa del quale ci può essere caduta della lingua e dei tessuti molli della faringe ad occludere le vie aeree) dovremo procedere con l’intubazione oro-tracheale (IOT). Se l’intubazione risulta difficile (per esempio per edema dei tessuti molli delle vie aeree superiori) dovrà essere eseguita la tracheotomia o la cricotiroidotomia.[1]

La condizione di ipossiemia richiede la somministrazione di ossigenoterapia anche ad alti flussi. Se possibile lo si somministra mantenendo il respiro spontaneo, se ciò non è possibile è necessario ricorrere alla VM.[1]

(18)

18 La VM si usa dunque quando l’ipossiemia è severa e la patologia del paziente è troppo grave per essere risolta solo con la somministrazione di ossigenoterapia in respiro spontaneo. Inoltre è necessaria quando si è in presenza di ipossiemia ed ipercapnia soprattutto nel momento in cui a questa si associ lo sviluppo di disturbo dell’equilibrio acido-base.[1]

La VM può essere eseguita in modo invasivo o non invasivo. La Ventilazione Meccanica Non Invasiva (VMNI) si esegue tramite interfacce esterne, quali le maschere oronasali-facciali o il casco, dunque il flusso d’aria erogato dal ventilatore passa attraverso lo spazio morto prima di giungere alle vie aeree inferiori. Lo spazio morto è rappresentato dalle vie aeree superiori, dunque consiste nelle vie aeree che sono ventilate ma non sono efficienti ai fini dello scambio gassoso. Applicando invece la Ventilazione Meccanica Invasiva (VMI) si bypassa lo spazio morto, quindi è più efficiente ai fini dell’esecuzione degli scambi gassosi. La VMI è la modalità ventilatoria che si usa in caso di intubazione oro-tracheale, tracheotomia o maschera laringea.[1]

La scelta nell’esecuzione della VMI o della VMNI dipende da vari fattori. In linea teorica si tende a preferire la VMI quando[3]:

- Il rapporto PaO2/FiO2 risulta inferiore a 300 (indice di una IR ipossiemica severa);

tanto più questo rapporto è basso quanto più sarà difficile risolvere l’IR con la VMNI; - Vengono a mancare i sistemi di protezione delle vie aeree superiori (per es il riflesso

della tosse);

- Siamo in presenza di instabilità emodinamica grave;

- Il paziente è incosciente o siamo in condizioni di imminente arresto cardiocircolatorio.

(19)

19 Figura 2. Ventilatori [4]

(20)

20

2.2.1 MODALITÁ di VENTILAZIONE MECCANICA INVASIVA (VMI)

La VMI può essere eseguita in acuto dopo intubazione oro tracheale ma può essere proseguita anche tramite una cannula tracheale che viene posizionata durante la procedura di tracheotomia. Le modalità ventilatorie più frequentemente utilizzate sono: SIMV (Synchronized Intermittent Mandatory Ventilation), PSV (Pressure Support Ventilation) e ventilazione meccanica volumetrica. Durante la procedura di distacco del paziente dal ventilatore si può utilizzare anche la CPAP (Continuous Positive Airway Pressure) ed il Respiro spontaneo tramite tubo a T, che non sono però modalità di ventilazione.[5]

2.2.1.1 SIMV (Synchronized Intermittent Mandatory Ventilation)

Con questa modalità ventilatoria il ventilatore garantisce un determinato numero di atti respiratori al paziente, il quale ha però la possibilità di eseguire atti respiratori spontanei. Quando il paziente ha risolto il problema respiratorio acuto ed è in fase di riacquisire il respiro spontaneo, gli atti respiratori impostati sono la metà di quelli che erano eseguiti durante la ventilazione controllata ed in seguito sono gradualmente ridotti, in relazione alla compliance del paziente, fino ad un minimo di 2-4 atti/min. È possibile eseguire l’estubazione quando il paziente tollera almeno 2 ore la ventilazione con 4-5 atti/minuto impostati.

Il vantaggio di questa modalità ventilatoria risiede nel fatto che garantisce una vera e propria transizione da una ventilazione completamente assistita ad una completamente spontanea.[6][7][8]

Allo stesso tempo, però, rispetto alla modalità PSV o al tubo a T la durata del processo di ripresa del respiro spontaneo risulta più lunga e sono inferiori le probabilità di successo a 14-21 giorni[9]. Inoltre con questa modalità aumenta il lavoro respiratorio che deve essere eseguito dal paziente a causa della resistenza dei circuiti e degli umidificatori esterni al ventilatore.[6]

2.2.1.2 PSV (Pressure Support Ventilation)

In questo caso il ventilatore eroga una pressione positiva di supporto durante l’atto inspiratorio del paziente (IPAP) ed una pressione positiva anche espiratoria (PEEP). Quando il flusso di aria raggiunge una certa soglia all’interno del circuito del ventilatore il ciclo passa da inspiratorio ad espiratorio. Con questa modalità il paziente determina spontaneamente la frequenza respiratoria, il tempo di ciclo ed il volume corrente, anche se vengono garantiti atti respiratori mandatori. Così facendo si garantisce un buona sincronia tra il paziente ed il ventilatore[6][8]. La pressione di supporto riduce il lavoro respiratorio e di conseguenza

(21)

21 anche il consumo di ossigeno da parte dei muscoli respiratori. Grazie a ciò migliora l’efficacia del respiro spontaneo.[10]

Il valore che viene inizialmente impostato come Pressione di Supporto è solitamente determinato da un criterio clinico, dunque da quel livello pressorio a cui il paziente respira adeguatamente.[9][7]

Il processo di ripresa del respiro spontaneo con questa modalità è eseguito riducendo gradualmente la PSV ed il numero di sedute ventilatorie, valutando la compliance clinica ed i valori emogasanalitici per ogni situazione.[5]

Figura 3. Ventilazione Pressometrica Assistita [3]

La ventilazione pressometrica può essere eseguita anche in modalità controllata, dunque l’operatore non imposta solo i valori della pressione all’interno delle vie aeree (IPAP e PEEP) ma anche il tempo inspiratorio e la frequenza respiratoria (Figura 4).[3]

Rispetto alla modalità assistita, la controllata è vantaggiosa in pazienti aventi un drive respiratorio ridotto o una marcata debolezza muscolare.[3]

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22

2.2.1.3 IPPV (Intermittent Positive Pressure Breathing)

Questa è una modalità di ventilazione volumetrica, per la quale l’operatore imposta la frequenza respiratoria, il volume corrente (8-10ml/Kg) ed il tempo inspiratorio (tempo in cui il volume impostato viene erogato).[3]

È una modalità di ventilazione che può essere sia controllata che assistita. Nel primo caso l’operatore annulla la sensibilità del trigger e il paziente non può interagire con il ventilatore, dunque è utilizzata in pazienti sedati, spesso curarizzati. Invece se assistita l’operatore imposta la sensibilità del trigger e il paziente, se supera il valore soglia con lo sforzo inspiratorio, può attivare il ventilatore. In ogni caso è comunque impostata una frequenza respiratoria minima qualora il paziente non riesca ad iniziare l’atto inspiratorio. Per esempio, se si stabilisce una frequenza respiratoria minima di 10 atti/minuto, il singolo atto respiratorio è quantificabile in 6 secondi; se dopo questo tempo il ventilatore non viene sollecitato inizia automaticamente l’insufflazione a volume costante.[3]

Figura 5. Ventilazione Volumetrica [3]

2.2.1.4 CPAP (Continuous Positive Airway Pressure)

Con questa modalità si applica una pressione positiva continua durante tutto l’atto respiratorio al fine di promuovere il respiro spontaneo. La CPAP consente di ridurre il lavoro respiratorio del paziente e sincronizza lo sforzo respiratorio con il ventilatore.[11][12]

(23)

23

Figura 6. Respiro in CPAP [3]

2.2.1.5 Respiro spontaneo tramite tubo a T

Questa tecnica consente di alternare periodi di sforzo e di riposo respiratorio. Il tubo a T è infatti un sistema che pone una resistenza molto bassa al flusso per l’assenza di valvole senza necessità di maggior sforzo respiratorio da parte del paziente.[6]

2.3

TRACHEOTOMIA

Nel caso in cui il paziente abbia difficoltà a riprendere in tempi rapidi la capacità di ventilare spontaneamente (e dunque di essere svezzato dalla VMI), è preferibile procedere alla tracheotomia piuttosto che mantenere il paziente intubato.[13]

La tracheotomia consiste nella incisione della porzione cervicale della trachea e nel posizionamento a tale livello di una cannula tracheale al fine di creare una comunicazione diretta delle vie aeree con l’ambiente esterno senza l’interposizione di laringe, faringe, cavità orale e naso.[13]

I vantaggi della tracheotomia rispetto all’intubazione oro-tracheale sono[14][15]: - possibilità del paziente di comunicare;

- riduzione dell’uso dei farmaci sedativi; - più facile controllo delle vie aeree;

- miglioramento della meccanica respiratoria; - più rapido passaggio all’alimentazione orale;

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24 - riduzione dei traumi oro-faringei;

- riduzione del rischio di contrarre polmoniti associate all’uso del ventilatore.

Inoltre la tracheotomia consente di ridurre le resistenze al passaggio del flusso aereo e di annullare lo spazio morto anatomico, entrambi fattori correlati alla presenza del tubo endotracheale; il tutto risulta in una riduzione del lavoro respiratorio che il paziente deve effettuare. Infine si ottiene una riduzione del continuo stimolo irritativo orofaringeo mediato dal tubo endotracheale.[16][17]

La tracheotomia tuttavia può portare a delle complicanze a breve o a lungo termine, fra le quali le più frequenti sono: errata posizione, emorragie, ostruzione o dislocazione della cannula tracheale.[18]

È stato dimostrato che la tracheotomia precoce (entro due giorni dall’intubazione oro-tracheale) riduce la durata della ventilazione ed i costi ospedalieri, favorisce la ripresa di autonomia dei pazienti in quanto rimangono sedati per meno tempo, riduce il rischio di polmoniti, riduce la mortalità ed il tempo di permanenza in ospedale e si associa ad un ridotto rischio di lesioni oro-faringee.[19][20][21]

Non tutti i pazienti intubati necessitano di tracheotomia. La maggior parte riprende l’autonomia respiratoriaanche senza la tracheotomia, dunque è essenziale definire i fattori che possano predire la probabilità del paziente di essere dipendente dal ventilatore.[22][23]

2.3.1

Tracheotomia Percutanea Dilatativa

La tecnica più utilizzata per eseguire la tracheotomia nei pazienti che sono stati presi in considerazione nel nostro studio è stata la Tracheotomia Percutanea Dilatativa (TPD).

Rispetto alla “classica” tracheotomia chirurgica, la TPD si associa a minor rischio di infezione della ferita ed è di esecuzione più rapida, anche se presenta più difficoltà al momento della decannulazione e maggior rischio di ostruzione.[24]

Complessivamente la quota di complicanze e mortalità tra i due sistemi sono sovrapponibili e quindi la TPD, essendo di più rapida esecuzione è diventata la procedura di prima scelta per eseguire la tracheotomia in molti Paesi europei.[25]

La procedura per eseguire la TPD è stata descritta nello studio di Y.-J. Cho [26] come segue.

2.3.1.1 Ambiente di esecuzione

La TPD non necessita di essere eseguita in sala operatoria ma viene effettuata di routine nei letti di un reparto di Terapia Intensiva.

(25)

25

2.3.1.2 Esecuzione tecnica

PREPARAZIONE

In primis è opportuno valutare lo stato coagulativo del paziente tramite opportuni esami laboratoristici.

Si prosegue successivamente alla sua preparazione somministrando farmaci sedativi, analgesici e miorilassanti, oltre che ad eseguire la ventilazione meccanica in modalità controllata con FiO2 al 100%.

In seguito si posizionano due lenzuoli piegati al di sotto delle spalle del paziente e si esegue l’iperestensione del collo (a meno che non vi siano delle controindicazioni).

Gli operatori devono essere in condizione di sterilità, come se fossero in sala operatoria.

Figura 7. Posizione di esecuzione TPD (1) [26]

Figura 8. Posizione di esecuzione TPD (2) [26]

IDENTIFICAZIONE SITO di INCISIONE

Il sito di incisione è individuato con il broncoscopio: il broncoscopista accede alle vie aeree e, giunto in corrispondenza dello spazio compreso tra il primo ed il secondo anello tracheale o tra il secondo ed il terzo, transillumina la regione identificata. Questa è la regione anatomica solitamente utilizzata in quanto è quella associata ad un rischio minore di sanguinamento. Infatti la tiroide è localizzata più caudalmente ed i vasi che vi scorrono sono laterali con

(26)

26 andamento verticale. Per questa ragione il taglio è anch’esso verticale nella maggioranza dei casi.

Spesso, prima di eseguire l’incisione si preferisce marcare la zona con una penna chirurgica, come mostrato nella figura sottostante (Figura 9).

Figura 9. Sito di incisione TPD [26]

A questo punto si esegue l’anestesia locale con soluzione di lidocaina al 2% ed epinefrina.

INCISIONE e DILATAZIONE

Quando è stato adeguatamente individuato il sito di taglio di esegue l’incisione di cute e sottocute con bisturi. In seguito utilizzando l’ago fornito nell’apposito kit per tracheotomia si punge la trachea. Il tutto è eseguito sempre su guida broncoscopia.

Dopo aver bucato la trachea con l’ago si inserisce e si lascia in sito un filo guida, sul quale si faranno scorrere i dilatatori di calibro crescente al fine di ampliare ed eseguire l’emostasi meccanica dell’orifizio tracheale creato. L’estremità distale del filo guida dovrà arrivare a livello carenale.

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27

Figura 10. Incisione e dilatazione trachea per TPD [26]

INSERIMENTO CANNULA TRACHEOTOMICA

Dopo aver dilatato l’orifizio tracheale vi si inserisce la cannula tracheotomica facendola scorrere sul filo guida, il quale sarà rimosso subito dopo.

Prima di estrarre il broncoscopio si controlla che non vi siano lesioni a livello degli anelli tracheali e si esegue l’aspirazione di secrezioni endobronchiali.

Le successive ispezioni endoscopiche saranno eseguite accedendo dalla cannula appena inserita.

Al termine della procedura la cannula tracheale viene fissata mediante un apposito “collarino” o, se necessario, con alcuni punti di sutura.

2.3.1.3 Controindicazioni TPD

In letteratura ci sono diverse opinioni in merito, rendendo così l’argomento controverso. In generale si considerano controindicazioni alla TPD le seguenti condizioni [27][28][29]:

- bambini (vie aeree piccole e mobili); - vie aeree non protette;

- problemi anatomici del collo anteriormente, quali gozzo tiroideo, impossibilità alla palpazione della cartilagine cricoidea, obesità, collo corto, lesioni mieliche cervicali; - pregressa tracheotomia;

- severa coagulopatia;

(28)

28

2.3.2

Cambio cannula tracheotomica

Dopo aver eseguito la tracheotomia sono previsti dei cambi cannula routinari (cioè la sostituzione della cannula tracheale), per ognuno dei quali è opportuno valutare il tempo di esecuzione ed il tipo di cannula da inserire in relazione agli aspetti fisici del paziente ed alle sue comorbidità.

2.3.2.1 Tempo di esecuzione

Il tempo ideale per eseguire il primo cambio cannula, secondo lo studio [30], è a 3-7 giorni dall’esecuzione della tracheotomia. Gli scopi del cambio cannula sono i seguenti:

- valutare la maturità della stomia neo-formata [30];

- prevenire lo sviluppo di infezioni locali favorendone l’igiene [30];

- confermare la stabilità della stomia per trasferire il paziente in un altro reparto con più bassi livelli di monitoraggio [30];

- cambiare la tipologia della cannula (dimensioni diverse, fenestrata o senza cuffia) [30];

- ridurre il rischio di formazione di granulomi. In letteratura è stato riportato che, nel lungo termine, maggiore è il numero di cambi cannula minore è il rischio di sviluppo di granulomi [31];

- consentire al paziente la ripresa dell’eloquio e l’alimentazione per via orale [32]. È comunque necessario aspettare alcuni giorni dall’esecuzione della tracheotomia per fare il cambio cannula al fine di dare tempo alla stomia di stabilizzarsi. Infatti il rischio di perdita di accesso alle vie aeree è tanto maggiore quanto più è immatura la stomia [30]. Inoltre anche la conformazione fisica del paziente può influire, infatti maggiore è la circonferenza del collo e l’indice di massa corporea maggiore è il rischio sia di perdita dell’accesso sia di creazione di una falsa via, la quale si crea più facilmente qualora il cambio cannula sia effettuato su una stomia non ancora adeguatamente cicatrizzata [30][33]. La perdita di accesso alle vie aeree è una complicanza severa che può determinare anche la morte del paziente.[33][34]

Nel caso in cui si preveda un difficoltoso cambio cannula è possibile utilizzare il presidio presentato nella figura sottostante (Figura 11). Questo è uno strumento che deve essere inserito nella via aerea del paziente passando attraverso la cannula precedente, la quale verrà poi tolta facendola scorrere su tale guida e la nuova verrà poi inserita passando attraverso tale presidio.[33]

(29)

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Figura 11. Tracheostomy tube changer [33]

La presenza della cannula tracheale, a differenza della presenza del tubo endotracheale, non impedisce la possibilità del paziente di comunicare. Per quanto concerne la capacità di parlare è opportuno evidenziare che questa è tanto maggiore quanto minore è il diametro della cannula, in modo da aumentare il flusso di aria verso le vie aeree superiori [35]. Il tutto è facilitato dall’uso di una valvola fonatoria o di una cannula che sia scuffiata [35]. In quest’ottica si potrebbe pensare di usare fin da subito una cannula con diametro inferiore. Ciò è in realtà controindicato dal fatto che nelle fasi iniziali è frequentemente necessario eseguire dei controlli broncoscopici ed aspirare le secrezioni endobronchiali che si vengono a formare e per tali manovre è opportuno avere una cannula di diametro maggiore. Infatti nella pratica clinica la prima cannula tracheale che viene posizionata è di almeno 8 mm; nei giorni successivi potrà essere sostituita con cannule di calibro inferiore.[32][36][37]

Nei pazienti che mantengono la tracheotomia per lungo tempo sono previsti dei cambi cannula di routine al fine di ridurre il rischio di ostruzione da parte di secrezioni e per la suddetta prevenzione dello sviluppo di granulomi [33][31]. Il tempo ideale per eseguire tali sostituzioni è tre mesi [38], a meno che il materiale non sia in cloruro di polivinile (PVC) o in silicone. Infatti la cannula tracheale in silicone va cambiata ogni quattro settimane e quella in PVC ogni otto settimane.[33]

2.3.2.2 Tipologie di cannula

MATERIALE

Le cannule possono essere di plastica o di metallo.

Quelle di metallo si usano meno perché sono più costose, più rigide, non hanno la cuffia e mancano del connettore che consente di collegarle al ventilatore.

Tra le cannule di plastica le più utilizzate sono in PVC o in silicone. La differenza sta nel fatto che il PVC è termolabile, quindi con la temperatura corporea diventa meno rigido e si

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30 conforma all’anatomia del paziente. Il silicone non è termolabile ma si adatta comunque bene all’anatomia del paziente.[39]

DIMENSIONI

Le dimensioni di una cannula tracheotomica sono definite dal diametro interno, dal diametro esterno, dalla curvatura e dalla lunghezza.[39]

Qualora il diametro interno sia troppo piccolo vi sono dei rischi legati all’aumento delle resistenze al passaggio dell’aria attraverso la cannula e alla maggiore difficoltà nella clearance delle vie aeree.[39]

Se invece il diametro esterno è troppo largo ci possono essere problemi al passaggio dell’aria attraverso le vie aeree superiori (e di conseguenza un eloquio inadeguato) e difficoltà del passaggio della cannula attraverso la stomia.[39]

Tra adulti di sesso maschile e femminile ci sono delle differenze per quanto concerne il calibro della trachea [40]. Infatti, nel sesso femminile la trachea interrompe la propria crescita all’età di 14 anni, mentre nel sesso maschile continua fino a 17-18 anni. In tal modo il diametro tracheale nei maschi è in media di 2.3 x 1.8 cm mentre nelle femmine è di 2.0 x 1.4 cm. Di conseguenza, le cannule da posizionare in una paziente di sesso femminile hanno solitamente un diametro interno di 6.0-6.5 mm mentre quelle da posizionare in un paziente di sesso maschile sono un po’ più grandi, cioè di 7.0-7.5 mm.[33]

In relazione alla loro forma le cannule si distinguono in curve o angolate, come mostrato nell’immagine sottostante (Figura 12). Dei due tipi di cannula quella più conforme all’anatomia della trachea è l’angolata in quanto presenta una parte distale diritta e una parte prossimale angolata che facilita l’ingresso nella trachea.[39]

Le cannule curve sono meno utilizzate perché essendo meno simili all’anatomia tracheale il loro posizionamento risulta più difficoltoso con rischio maggiore di provocare lesioni a livello della parete posteriore della trachea stessa.[39]

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Figura 12. Cannule curva e angolata [39]

Per quanto concerne la lunghezza della cannule è opportuno specificare che questa va scelta in modo che l’estremità inferiore della cannula sia posizionata a circa 4-6 cm di distanza dalla carena [39][41]. Infatti le cannule tracheali non hanno tutte la stessa lunghezza.[39]

Esistono inoltre le cannule a geometria variabile che consentono di cambiare la lunghezza del tubo all’interno della trachea senza doverlo sostituire. Ciò è utile in pazienti con granulomi o tumori ostruenti la trachea nei quali con questo tipo di cannula possiamo bypassare l’ostruzione delle vie aeree e garantirne la pervietà.[33]

La cannula a geometria variabile è mostrata nella figura sottostante (Figura 13).

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32 CUFFIA

Le cannule tracheotomiche possono essere con o senza cuffia. La cuffia è un dispositivo localizzato nella parte distale della cannula che, se gonfiato con aria, consente di ancorare la cannula stessa alla trachea riducendo il rischio di dislocazione accidentale [39].

Figura 14. Cuffia [42]

Le cannule cuffiate sono le prime ad essere posizionate perché escludono completamente le vie aeree superiori e quindi rendono più efficace la VMI; inoltre prevengono l’eventuale inalazione di ingesti. Le cannule scuffiate possono comunque essere usate nella VMI a lungo termine se il paziente ha una buona funzionalità polmonare ed un’adeguata funzionalità dei muscoli delle vie aeree superiori [43]. Generalmente però le cannule scuffiate sono utilizzate nei pazienti che non hanno necessità di eseguire la VMI, per esempio in coloro con tracheomalacia in cui la cannula serve solo per assicurare la continuità delle vie aeree.[33] Se la cuffia non è più necessaria si preferisce scuffiare la cannula o sostituirla con una senza cuffia perché la cuffia può determinare lesioni della mucosa tracheale da eccessiva pressione [44][45].Di solito il valore medio di pressione all’interno della cuffia non deve superare 20-25 mmHg.[39]

FENESTRATURA

Alcune cannule presentano una o più aperture sulla parete posteriore, al di sopra della cuffia, come mostrato nella figura sottostante (Figura 15). Queste garantiscono il passaggio di aria verso le vie aeree superiori e ciò è utile nella preparazione del paziente ad un’eventuale decannulazione.[39]

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33 Tuttavia le fenestrature si possono ostruire per esempio se le cannule non sono posizionate in modo corretto e quindi se la fenestratura è rivolta verso la parete tracheale e non verso l’alto, con conseguente aumento della resistenza del flusso nelle vie aeree.[39]

L’ostruzione delle fenestrature può avvenire anche per la presenza di un granuloma.[46]

Figura 15. Tipi di fenestrature [39]

CONTROCANNULA

Alcune cannule sono costituite in modo da avere all’interno del loro lume un’altra cannula più piccola, denominata “controcannula”, la quale può essere rimossa e riposizionata estraendola dalla cannula in cui è inserita senza rimuovere quest’ultima.[39]

La rimozione della controcannula è funzionale ad eseguire la pulizia della stessa garantendo la pervietà del sistema. Ciò serve sia a ridurre il rischio di polmoniti associate all’uso del ventilatore, (anche se lo studio S. M. Burns et al. [47] stabilisce che ci sono troppi pochi dati a supporto di questa ipotesi), sia a liberare rapidamente le vie aeree di un paziente ostruite da abbondanti secrezioni e/o coaguli ematici.[48]

Alcune controcannule presentano delle fenestrature e sono dunque da utilizzare nei pazienti portatori di cannula fenestrata.[39]

La presenza della controcannula determina la riduzione del diametro interno attraverso cui passa l’aria [39]. A seguito di ciò ci sarà un aumento della resistenza al flusso d’aria e quindi un aumento del lavoro respiratorio del paziente [49].

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34

Figura 16. Controcannula [39]

2.3.3

Decannulazione

Il processo di rimozione della cannula tracheotomica è simile al processo di estubazione e viene chiamato decannulazione. Per prima cosa il clinico deve “ipotizzare” che sia possibile eseguire la decannulazione per poi procedere all’esecuzione di un test per averne la conferma.[48]

Il sospetto che il paziente sia pronto per la decannulazione deve sopraggiungere quando non esegue più la VMI da almeno 48 ore[50][51] e quando si ipotizzi che il paziente non avrà più bisogno di VMI anche in futuro. Se per esempio il paziente non esegue più la VMI ma dovrà essere a breve sottoposto ad un intervento chirurgico è preferibile lasciare la tracheotomia. Per la decannulazione è inoltre necessario valutare la capacità del paziente di controllare le vie aeree, dunque l’efficacia della tosse. Se il paziente ha una tosse efficace si può procedere con la decannulazione.[48][52]

Il test pre-decannulazione consiste nel valutare il paziente mentre ventila spontaneamente con la cannula scuffiata e chiusa con un tappo. Se il paziente non sviluppa dispnea, ostruzione da secrezioni, ipossia o stridore dopo circa 30 minuti e se si mantiene vigile con una buona capacità di tossire, allora è possibile procedere con la decannulazione. Alcuni esperti, però, raccomandano di attendere almeno 24-48 ore al fine di avere un più lungo periodo di osservazione soprattutto nei pazienti con malattie croniche e prolungata VMI che potrebbero sviluppare segni di distress respiratorio anche a distanza di più giorni dalla applicazione del tappo alla cannula.[51]. In tali casi, per la decannulazione, si può aspettare anche 48-72 ore [50][51][53].

Se il paziente non tollera la cannula con il tappo non può essere decannulato. In questi casi è possibile ridurre il calibro della cannula in modo da aumentare il flusso di aria a livello delle vie aeree superiori.[48]

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35

3 SVEZZAMENTO

Durante la Consensus Conference sulla VMI del 1993 è stato definito con il termine “Svezzamento” quel processo tramite il quale la VMI è rapidamente o gradualmente interrotta ed il paziente torna a ventilare spontaneamente per miglioramento o completa risoluzione dell’insufficienza respiratoria [5]. Il paziente è dunque considerato svezzato quando non necessita del supporto ventilatorio per almeno 48 ore.[13]

Il processo di svezzamento avviene attraverso step consecutivi[13][54], come mostrato nella figura sottostante (Figura 17): 1) trattamento dell’insufficienza respiratoria acuta; 2) sospetto clinico della possibilità di poter eseguire lo svezzamento; 3) preparazione allo svezzamento; 4) Test del Respiro Spontaneo; 5) estubazione; se necessario 6) re-intubazione o 7) VMNI.

Figura 17. Fasi svezzamento [13]

Il test del Respiro Spontaneo (SBT, Spontaneous Breathing Trial) è eseguito facendo respirare spontaneamente il paziente tramite il tubo a T o impostando una bassa Pressione di Supporto (<8 cmH2O)[13]. Tale test dovrebbe durare 30 minuti, considerando che la maggior parte dei fallimenti avviene nei primi 20 minuti.

Il fallimento del SBT è valutato considerando dati oggettivi o soggettivi. Tra i primi rientrano tachipnea, tachicardia, ipertensione o ipotensione arteriosa, ipossiemia, acidosi ed aritmie. I secondi comprendono lo stato di agitazione psico-motoria del paziente, maggior fatica nello sforzo respiratorio ed alterazione dello stato di coscienza[55][9][7]. I singoli parametri sono riportati in tabella 1.

Spesso la meccanica respiratoria peggiora durante SBT, provocando un aumento del lavoro respiratorio che il paziente non riesce a sostenere. Questa condizione si può verificare sia per aumento delle resistenze al flusso di aria sia per riduzione della compliance polmonare.[56]

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36

Tabella 1. Fallimento SBT [13]

Si definisce “fallimento” dello svezzamento quando: 1) fallisce SBT; 2) il paziente necessita di essere re-intubato o ventilato dopo un’estubazione eseguita con successo; 3) il paziente decede nelle 48 ore che seguono l’estubazione.[13]

Durante la Consensus Conference del 2007 (ICC, International Consensus Conference) i pazienti sottoposti a svezzamento sono stati classificati in tre categorie sulla base della difficoltà e della durata dello stesso [13], come mostrato nella tabella sottostante (Tabella 2):

1) Facilmente svezzabili. A questo gruppo appartengono coloro che superano il primo SBT e che sono estubati con successo al primo tentativo. Essi rappresentano circa il 69% dei pazienti ricoverati in UTI;

2) Difficilmente svezzabili. A questo gruppo appartengono coloro che superano il SBT al terzo tentativo o che richiedono uno svezzamento non più lungo di sette giorni dopo il primo SBT;

3) Svezzamento prolungato. A questo gruppo appartengono coloro che superano il SBT dopo il terzo tentativo o che richiedono uno svezzamento di più di 7 giorni dopo il primo SBT. Essi rappresentano circa il 15% dei pazienti ricoverati in UTI.

Si definiscono invece “in corso di svezzamento” coloro che necessitano di VMNI nei giorni successivi all’estubazione.

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37

Tabella 2. Classificazione pazienti in svezzamento [13]

3.1

FATTORI PREDITTIVI di SVEZZAMENTO

I fattori predittivi di svezzamento sono l’insieme dei parametri misurati prima dell’inizio del processo di svezzamento dalla VMI e che influiscono sul suo successo o fallimento.[13][57] In letteratura ci sono numerosi studi riguardanti i fattori predittivi; è però opportuno specificare che tali studi sono tutti eseguiti in UTI, non in UTIIR.

È inoltre possibile identificare fattori specifici per diversi stadi dello svezzamento: “fattori indicativi di estubazione” e “fattori indicativi di svezzamento prolungato”.

Figura 18. Fattori predittivi [54]

Il primo punto da tenere in considerazione è l’inizio precoce dello svezzamento. Ritardando l’inizio dello svezzamento, infatti, si espone il paziente a maggior rischio di complicanze con conseguente peggioramento della prognosi. Infatti la mortalità aumenta con la durata della VMI. Ciò è dovuto sia alle complicanze direttamente legate alla prolungata VMI (come le polmoniti associate all’uso del ventilatore e i traumi delle vie aeree)[58][59], sia alla permanenza in TI e quindi allo sviluppo di complicanze iatrogene come sepsi, trombosi venosa profonda, embolia polmonare, immobilizzazione, infezioni delle vie urinarie, ecc.[60] Un prolungato passaggio tra gli step 2 e 3 è una causa comune di ritardo nell’inizio del processo di svezzamento[13]. Lo step 2 inizia quando il medico ha il sospetto clinico che sia

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38 possibile eseguire lo svezzamento del paziente. Lo step 3 invece è la fase in cui il medico esegue delle valutazioni per confermare il sospetto avuto nello step 2.[13]

La valutazione dei criteri clinici per iniziare lo svezzamento dovrebbe essere eseguita tutti i giorni al fine di iniziare il più precocemente possibile. Tali criteri comprendono sia reperti clinici che valutazioni oggettive. Tra i primi rientrano la capacità di tossire, l’assenza di eccessive secrezioni bronchiali e la risoluzione della fase acuta che aveva richiesto l’intubazione. I secondi invece comprendono: stabilità cardio-vascolare (valutata tramite PA, FC e l’eventuale esecuzione di vasopressori), adeguata ossigenazione (valutata tramite saturimetria e FiO2), adeguata funzione polmonare (valutata tramite FR, VT, MIP, CV, assenza di acidosi), stato di coscienza.[55][61][62][9][7][63]

Tabella 3. Criteri di inizio svezzamento [13]

Nel predire le probabilità di successo dello svezzamento è utile anche il rapporto f/Vt (Frequenza Respiratoria/Volume Corrente)[54]. Questo è misurato nei primi minuti di SBT usando uno spirometro connesso al tubo endotracheale dopo che il paziente ha assunto una frequenza respiratoria regolare. Questo rapporto è chiamato anche Rapid Shallow Breathing

Index in ragione del fatto che il paziente ventilato che non riesce a respirare autonomamente

nel momento in cui è staccato dal ventilatore tenderà ad assumere una dinamica respiratoria tale per cui il respiro sarà rapido (elevata frequenza) ma superficiale (basso volume tidale). Pertanto, più è alto questo indice più sarà difficoltoso lo svezzamento del paziente.

Il fattore predittivo di successo migliore è rappresentato da f/Vt di 100bpm/L.[64]

Inoltre, sono stati descritti altri parametri che influiscono sull’outcome del processo di svezzamento[65]:

(39)

39 1) Età. I pazienti giovani richiedono un tempo di svezzamento minore rispetto a pazienti di età più avanzata. Inoltre i pazienti anziani hanno una maggior incidenza di dipendenza dal ventilatore[66];

2) APACHE II (Acute Physiology And Chronic Health Evaluation II). Tale score è un buon fattore predittivo di svezzamento per pazienti con polmoniti, tumori e malattie cardiache.

Dallo studio [67] emerge che APACHE II sarebbe efficace nell’identificare i pazienti che avranno bisogno di essere supportati nell’espletare le attività di vita quotidiana dopo la dimissione (lavarsi, cure personali), piuttosto che nel predire la performance respiratoria dopo la fine del ricovero;

3) Albuminemia. I livelli sierici di albumina sono indicativi dello stato di nutrizione. Se bassi il paziente sarà malnutrito e ciò si associa a maggior probabilità di fallimento del processo di svezzamento;

4) Anemia. È comune nei pazienti critici e può interferire con le possibilità di svezzamento. Dallo studio [68] è stato dimostrato che i pazienti con BPCO aventi bassi livelli di Hb avevano una prognosi peggiore di coloro che li avevano normali. Aumentando però i livelli di Hb tramite trasfusione di emazie concentrate migliora la prognosi riducendo il lavoro respiratorio del paziente[68];

5) Insufficienza renale cronica. Questa determina una ridotta risposta al controllo ventilatorio riducendo le possibilità dei pazienti di essere svezzati[69].

Tra i fattori di rischio di fallimento nell’interruzione della VMI rientrano anche[70]: - Insuccesso di due o più SBT consecutive;

- Scompenso cardiaco cronico;

- Presenza di più di una comorbidità oltre allo scompenso cardiaco; - PaCO2 > 45 mmHg dopo l’estubazione;

- Tosse inadeguata;

- “Stridore” della vie aeree superiori al momento dell’estubazione; - Età > 65 anni;

- APACHE II > 12 nei giorni successivi all’estubazione; - Insufficienza respiratoria causata da polmonite.

Allo stesso tempo, il rischio di re-intubazione è stato dimostrato essere maggiore in pazienti con tosse inefficace, eccessive secrezioni e scarso livello di coscienza. Dunque, anche se SBT è stato superato da un paziente avente queste caratteristiche, è preferibile ritardare l’inizio

(40)

40 dello svezzamento dalla VMI in quanto il rischio di re-intubazione è alto[71]. Fattori di rischio ulteriori di re-intubazione sono rappresentati da elevato rapporto f/Vt, bilancio di fluidi positivo e diagnosi di polmonite.[72]

Lo svezzamento prolungato è associato ad alta mortalità e l’identificazione precoce dei pazienti a rischio è utile per guidare l’eventuale decisione di fare una tracheotomia il più precocemente possibile.[54]

I fattori predittivi di svezzamento prolungato sono:

- lunga durata della VMI[73];

- ipercapnia e frequenza cardiaca elevata alla fine del SBT[73]; - malattia polmonare cronica[74];

- BPCO o polmoniti come causa di inizio della VMI[74].

3.1.1 APACHE II

Questo score è stato introdotto da Knaus nel 1985. Questo è un buon fattore predittivo di mortalità intraospedaliera e ad un mese dalla dimissione di pazienti critici [75]:

I parametri di cui si compone sono i seguenti:

- Età;

- Parametri fisiologici:

_ Glasgow Coma Scale;

_ Parametri vitali, quali Temperatura corporea, Frequenza Cardiaca, Pressione Arteriosa Media e Frequenza Respiratoria;

_ Ossigenazione, per la quale si valuta PaO2, FiO2 e pH;

_ Parametri laboratoristici, quali Na+, K+, creatinina;

_ Parametri ematologici, quali emocromo e concentrazione ematica di leucociti;

- Precedenti condizioni cliniche di immunodepressione o grave insufficienza d’organo.

In modo particolare si valuta se il paziente ha:

_ cirrosi epatica biopticamente accertata oppure pregressi episodi di ematemesi attribuibili ad ipertensione portale oppure pregressi episodi di insufficienza epatica, encefalopatia o coma;

_ insufficienza cardiaca di classe NYHA 4;

_ dispnea per sforzi minimi a seguito di patologia respiratoria restrittiva cronica, ostruttiva o vascolare oppure cronica ipossia, ipercapnia cronica, policitemia secondaria e ipertensione arteriosa (>40mmHg) oppure dipendenza dal ventilatore;

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41 _ dialisi cronica;

_ immunocompromissione per AIDS o leucemia grave o perché esegue terapia immunosoppressiva (chemioterapia, radioterapia, terapia con steroidi a lungo termine o ad alte dosi).

Tabella 4. APACHE II [75]

3.1.2 SAPS II (Simplified Acute Physiology Score)

Da uno studio multicentrico del 1993 che ha interessato Europa e Nord America è stato redatto SAPS II [76]. Questo è uno score che nasce con lo scopo di predire le probabilità di

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42 morte dei pazienti dopo 24 ore dal ricovero in un’Unità Terapia Intensiva (UTI), senza il bisogno di specificare la diagnosi.

SAPS II prende in considerazione 17 variabili:

- Età;

- 12 variabili fisiologiche: frequenza cardiaca, pressione sistolica, temperatura corporea,

PaO2/FiO2 (solo se il paziente esegue la VM), quantità di urine prodotte in 1h o 24h,

livelli sierici di urea, concentrazione ematica dei leucociti e della bilirubina totale (mg/dL), concentrazione sierica di K+ (mmol/dl), Na+ (mmol/L) e HCO3- (mEq/L) e GCS (Glasgow Coma Scale).

Il valore che deve essere preso in considerazione nel calcolo del SAPS II è il peggiore che il paziente ha presentato nelle 24 ore successive all’ingresso in reparto;

- Il tipo di ammissione, ovvero se chirurgica (ricoverato 24 ore prima di eseguire

l’intervento), non chirurgica (ricoverato nelle 24 ore successive ad un intervento) o medica (ricoverato nei 7 giorni successivi ad un intervento);

- Malattie croniche, quali: AIDS, tumore in fase metastatica e malignità ematologica.

Nello studio non sono stati presi in considerazione pazienti ustionati e coloro che erano ricoverati per problemi cardiaci. Infatti i primi sono di solito ricoverati in UTI specializzate e presentavano già degli score prognostici dedicati. Invece sui pazienti cardiologici sussistono dei dubbi, per cui probabilmente il SAPS II può essere applicato anche su di loro.

Le variabili considerate nella fase iniziale dello studio erano 37, non 17. In seguito 20 sono state tralasciate (vedi Tabella 5) in quanto “incluse” in alcune di quelle prese in considerazione. Per esempio la cirrosi può essere inclusa in elevati livelli di bilirubina totale mentre l’insufficienza d’organo, valutata secondo criteri clinici, è inclusa nei parametri fisiologici.

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Tabella 5. Variabili escluse da SAPS II [76]

I parametri che dunque vengono considerati al fine di calcolare il SAPS II sono riportati nella tabella sottostante (Tabella 6).

Età

PARAMETRI VITALI Frequenza cardiaca (battiti/minuto)

Pressione Sistolica (mmHg) Temperatura Corporea (°C o F) Glasgow Coma Scale

OSSIGENAZIONE Ventilazione meccanica SI NO PaO2 (mmHg) FiO2 (%) FUNZIONE RENALE Produzione urine (ml/h) BUN (mg/dl)

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