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Attività del Crataegus sp. nel trattamento dell’insufficienza cardiaca: meccanismi d’azione ed evidenze cliniche

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Farmacia

Tesi di Laurea

Attività del Crataegus sp. nel trattamento

dell’insufficienza cardiaca: meccanismi

d’azione ed evidenze cliniche

Relatori:

Prof.ssa Maria Cristina Breschi

Prof. Vincenzo Calderone

Candidata

Ilaria Giovani

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Indice

1-INTRODUZIONE 1

2-INSUFFICIENZA CARDIACA 2

2.1- Definizioni e classificazione 2

2.2- Epidemiologia 7

2.3- Cause e fattori di rischio 10

2.4- Comorbidità 10

2.5- Controllo della normale contrattilità miocardica 15

2.6- Fisiopatologia dell’insufficienza cardiaca 18

2.7- Fisiopatologia della performance cardiaca 21

2.8- Terapia farmacologica 23

3- FITOTERAPIA DELL’INSUFFICIENZA CARDIACA

CONGESTIZIA 35 3.1- Adonide 37 3.2- Mughetto 38 3.3- Scilla 39 3.4- Strofanto 40 4- BIANCOSPINO 42

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4.1-Descrizione e costituenti principali 42

4.2- Proprietà farmacodinamiche 48

4.3- Proprietà farmacocinetiche 53

4.4- Dati preclinici di sicurezza 54

4.5- Sicurezza clinica e farmacovigilanza 55

4.6- Efficacia clinica 62

4.6.1- Sopravvivenza 63

4.6.2- Qualità della vita e tolleranza all’esercizio fisico 65

4.6.3- Valutazione del rischio-beneficio 71

4.7- Forme farmaceutiche e posologia 73

4.8- Indicazioni terapeutiche e durata del trattamento 74

5- CONCLUSIONI 75

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1- Introduzione

Il lavoro di questa tesi è stato svolto sulla base di un'osservazione critica della letteratura più recente relativa agli studi preclinici e clinici sulla sicurezza e sull'efficacia dell'estratto WS 1442 del Crataegus sp. (biancospino), prendendo come riferimento una review pubblicata nel 2017 da Christian J. F. Holubarsch, Wilson S. Colucci e Jaan Eha1.

Verrà introdotta la patologia dell'insufficienza cardiaca articolata nelle sue classificazioni, dati epidemiologici, eziologia, comorbidità, fisiopatologia e terapia farmacologica in uso.

Successivamente sarà presentata una breve panoramica sulla fitoterapia impiegata nell'insufficienza cardiaca, trattando brevemente piante già note ed ampiamente studiate per le loro proprietà cardioattive e protettive sul cuore: digitale, strofanto, scilla, adonide e mughetto.

La sezione principale della tesi, è volta a fornire un quadro completo dei più recenti studi clinici riguardo il profilo di sicurezza e l'efficacia clinica dell'estratto WS 1442 di Crataegus nel trattamento dell'insufficienza cardiaca dal grado I al grado III della classificazione della New York Heart Association. Sono trattati inoltre il meccanismo d'azione, la farmacodinamica e la farmacocinetica delle procianidine oligomeriche (OPC), i principali componenti attivi del biancospino.

Lo scopo di questa tesi è una valutazione del rischio-beneficio della pianta e dei suoi principali meccanismi di azione, approfondendo le sue applicazioni non soltanto in merito alle patologie cardiovascolari per le quali è stata utilizzata fino ad oggi (ipertensione arteriosa, stati di ipereccitabilità con aritmie e nevrosi cardiache, dispnea e sostegno cardiovascolare), ma anche nell'applicazione più specifica come adiuvante per l'insufficienza cardiaca, specie negli stadi iniziali della patologia, in aggiunta alla terapia farmacologica di base.

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2- Insufficienza cardiaca

2.1- Definizioni e classificazione

L’insufficienza cardiaca (IC) è stata esaustivamente definita da Eugene Braunwald come “una situazione fisiopatologica in cui un’alterazione della funzione cardiaca è responsabile dell’incapacità del cuore di pompare sangue ad una velocità commisurata con le esigenze metaboliche dei tessuti periferici. L’incapacità del cuore di soddisfare i bisogni tissutali, può essere dovuta a riempimento inefficace e insufficiente e/o ad un’anomala contrazione e successivo svuotamento”.2

L’European Society of Cardiology definisce invece la patologia da un punto di vista clinico, come una sindrome in cui si riscontrano sintomi tipici (affaticabilità, dispnea da sforzo o a riposo, edemi soprattutto a carico degli arti inferiori) e segni tipici (aumento della pressione venosa giugulare, crepitii polmonari ed edema periferico) causati da un’anomalia strutturale o funzionale cardiaca.

Entrambe le definizioni evidenziano l’incapacità della pompa cardiaca di contrarsi a sufficienza, di conseguenza non viene impressa al sangue un’adeguata velocità, tale da irrorare tutti i distretti periferici.

In cardiologia, uno dei parametri fondamentali per valutare l’efficacia di pompaggio del cuore è la frazione di eiezione (EF). Essa rappresenta la frazione o la percentuale di sangue espulso dal ventricolo sinistro durante la sistole sul totale di sangue contenuto nel ventricolo al termine della diastole (volume telediastolico 60-70%).

In base alla frazione di eiezione possono essere distinti due tipi principali di insufficienza cardiaca:

 Insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ridotta (Heart Failure with a reduced Ejection Fraction, HFrEF), chiamata anche insufficienza

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sistolica (EF <35-40%). Il ventricolo sinistro perde la capacità di contrarsi in modo adeguato e di conseguenza il sangue non riceve la spinta necessaria per circolare correttamente. È tipica dell’insufficienza acuta, soprattutto dopo l’infarto del miocardio, una delle principali cause della sua insorgenza.

 Insufficienza cardiaca con frazione di eiezione conservata (Heart Failure with a preserved Ejection Fraction, HFpEF), detta anche insufficienza diastolica (EF>35-50%). Circa metà dei pazienti con insufficienza cardiaca ha una normale funzione ventricolare sinistra. La rigidità e la perdita di un adeguato rilasciamento da parte del ventricolo sinistro hanno un ruolo primario nel ridurre la gittata cardiaca: il cuore non si riempie come dovrebbe durante il periodo di riposo tra un battito e l’altro.

Generalmente, l’HFpEF è definita da una frazione di eiezione del ventricolo sinistro del 50% o maggiore, mentre l’HRrEF è definita da una frazione di eiezione inferiore al 40%.2

I pazienti con HFpEF hanno una spaventosa mortalità a 5 anni (quasi del 60%), un tasso di ospedalizzazione a 6 mesi del 50% e sintomi debilitanti (consumo massimo di ossigeno da parte del miocardio in media di 14 mL/g/min).2

Rispetto ai pazienti con EF ridotta, quelli con EF conservata sono di età più avanzata e più frequentemente di genere femminile.

Tutti questi soggetti, indipendentemente dall’entità della frazione di eiezione, presentano la sindrome clinica dell’insufficienza cardiaca. Inoltre, molte caratteristiche sono simili entro lo spettro dei possibili valori della EF: le anomalie della dinamica del riempimento del ventricolo sinistro, la disfunzione sistolica e diastolica del ventricolo sinistro, l’attivazione neuroormonale, l’alterata tolleranza all’esercizio fisico, le frequenti ospedalizzazioni e la riduzione della sopravvivenza.

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Le linee guida prevedono anche un terzo tipo di insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ventricolare sinistra di grado medio (HFmrEF) i cui parametri si posizionano a metà tra HFrEF e HFpEF, vale a dire tra il 40% e il 49%.

La distinzione della patologia nelle diverse caegorie è di fondamentale importanza poiché vi si basano gli approcci terapeutici nel trattamento dell’insufficienza cardiaca.2

L’insufficienza cardiaca è nella maggior parte dei casi una condizione cronica, ma può presentare talvolta un’insorgenza acuta. Quest’ultimo caso è determinato da un peggioramento della patologia cronica dovuto ad un aumento di attività fisica, emozioni, mancata aderenza alla terapia farmacologica o aumento della domanda metabolica (per esempio in seguito a febbre o anemia). Una causa molto comune scatenante l’insufficienza cardaiaca acuta è l’infarto acuto del miocardio. L’insufficienza cardiaca acuta consite in un’improvvisa riduzione della performance cardiaca, che conduce ad edema polmonare acuto e ad ipotensione con o senza edema periferico.

Vengono utilizzati due approcci classificativi nel definire la patalogia. L’insufficienza cardiaca è comunemente classificata secondo la scala suggerita dalla New York Heart Association (NYHA), il cui sistema di classificazione si basa sulla progressione della disabilità fisica causata dalla patologia. Sono previste quattro classi di insufficienza cardiaca, come mostrato nella Tabella 1.

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Classificazione NYHA

Classe I (lieve) Non è associata a limitazioni delle attività ordinarie ed i sintomi possono verificarsi solo in seguito ad un esercizio maggiore di quello abituale.

Classe II (lieve) È caratterizzata da lieve limitazione dell’attività ordinaria che comporta stanchezza e palpitazioni a seguito delle abituali attività fisiche.

Classe III (moderata)

Non è caratterizzata da sintomi a riposo, ma da affaticamento, palpitazioni e dispnea con attività fisica inferiore all’abituale.

Classe VI (grave) Si associa a sintomi anche quando il paziente è a riposo. Se si intraprende una qualsiasi attività fisica i disturbi aumentano.

Tabella 1

Secondo il National Heart, Lung and Blood Institute, il 35% dei pazienti rientra nella classe I, ancora il 35% fa parte della classe II, segue il 25% dei pazienti appartenenti alla classe III ed il 5% di classe VI.3 Progredendo dalla classe I alla classe VI la mortalità aumenta.4

Più recente è la classificazione elaborata dall’American College of Cardiology (ACC) e dall’American Heart Association (AHA) che prende in considerazione sia l’evoluzione che la progressione dell’insufficienza cardiaca. Inoltre, questo sistema di classificazione riconosce la presenza di fattori di rischio e prerequisiti strutturali per lo sviluppo della patologia. La Tabella 2 mostra la classificazione in quattro stadi (A-D) e le caratteristiche di ognuno di essi.

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Classificazione ACC/AHA

Stadio A Pazienti senza anomalie strutturali cardiache, ma

con alto rischio di sviluppare insufficienza cardiaca.

Sono presenti fattori di rischio come: ipertensione, coronaropatia, familiarità per cardiomiopatie, utilizzo di farmaci cardiotossici, diabete, malattie reumatiche, tossicodipendenze, alcolismo.

Non sono presenti segni e sintomi della patologia.

Stadio B Pazienti con anomalie strutturali cardiache

(ipertrofia, dilatazione del ventricolo sinistro, anomalie valvolari) che non presentano segni e sintomi dell’insufficienza cardiaca.

Stadio C Pazienti con sintomi pregressi o attuali di

insufficienza cardiaca associati a dispnea o astenia da disfunzione ventricolare sistolica.

Stadio D Pazienti in stadio avanzato della malattia che presentano sintomi marcati a riposo, instabili cronicamente e soggetti a ricoveri ripetuti o non dimissibili.

Tabella 2

La stadiazione dell’insufficienza cardiaca secondo ACC/AHA sottolinea l’importanza dello sviluppo e della progressione della malattia, mentre la classificazione funzionale NYHA si basa maggiormente sulla tolleranza all’esercizio fisico in soggetti con diagnosi di insufficienza cardiaca. L’impiego di entrambi i criteri classificativi costituisce uno strumento efficace nella classificazione prognostica dei pazienti.

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2.2-Epidemiologia

In tutto il mondo, la prevalenza e l’incidenza dello scompenso cardiaco (SC) hanno dimensioni pressoché epidemiche, come evidenzia l’aumento inarrestabile del numero di ospedalizzazioni correlate alla patologia, il numero crescente di decessi attribuibili ad esso e l’aumento progressivo dei costi delle cure per i pazienti con insufficienza cardiaca.

Ne è affetto il 2-3% della popolazione generale ed il 10-15% se si considerano le fasce più alte di età.2

A livello mondiale, lo scompenso cardiaco interessa quasi 23 milioni di persone.2

Negli Stati Uniti, i dati epidemiologici più recenti indicano che 5,1 milioni di americani dai 20 anni in su hanno uno SC e si stima che verso il 2030 la prevalenza aumenterà del 25% rispetto ai valori attuali.5

La prevalenza stimata dello SC sintomatico nella popolazione generale europea è analoga a quella relativa alla popolazione statunitense, variando dallo 0,4 al 2%.4

L’incidenza di nuovi casi è del 0.2% per anno nella popolazione generale ed aumenta in modo esponenziale con l’avanzare dell’età fino a raggiungere il 4-8% della popolazione di età superiore a 65 anni. (Figura 1 A).

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A

B

Figura 1. A. Prevalenza dello scompenso cardiaco per genere ed età negli Stati Uniti (National Healt and Nutrition Examination Survey: dal 2007 al 2010). B. Incidenza dello scompenso cardiaco per genere ed

età (Framingham Heart Study: dal 1980 al 2003). Immagine modificata5

Questo incremento dell’incidenza è in relazione all’aumento progressivo dell’età media della popolazione ed al miglioramento delle cure della fase acuta delle malattie cardiovascolari (in particolare dell’infarto del miocardio).

Benché l’incidenza relativa dello SC sia inferiore nelle donne rispetto agli uomini in tutte le fasce di età (Figura 1 B) almeno la metà dei casi di insufficienza cardiaca si riscontra nel genere femminile, in quanto le donne hanno una

0,2 1,5 7,8 8,6 0,4 0,7 4,5 11,5 0 2 4 6 8 10 12 14 20 - 39 40 - 59 60 - 79 80 + PO PO LA ZI O N E (% ) Età (anni)

PREVALENZA DELLO SCOMPENSO CARDIACO

Maschi Femmine 9,2 22,3 41,9 4,7 14,8 32,7 0 10 20 30 40 50 65 - 74 75 - 84 85 + PE R 1. 00 0 PE RS O N E-AN N O Età (anni)

INCIDENZA DELLO SCOMPENSO CARDIACO

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maggiore aspettativa di vita e la prevalenza dello SC è maggiore nelle donne rispetto agli uomini dagli 80 anni di età in su.5

Il rischio di sviluppare la patologia nel corso della vita nei pazienti con un’età di 55 anni è del 33% per gli uomini, seguito dal 28% per le donne.6

In Nord America ed Europa, il rischio di sviluppare SC durante l’intero arco della vita per un quarantenne è pari a circa 1 su 5.2 Si ritiene che la prevalenza complessiva dell’insufficienza cardiaca stia aumentando, in parte in conseguenza delle terapie attuali delle patologie cardiache, come infarto miocardico, valvulopatie ed aritmie, che consentono una maggiore sopravvivenza dei pazienti.

Si sa molto poco circa la prevalenza o il rischio di sviluppare uno SC nei Paesi emergenti, a causa della mancanza di studi epidemiologici condotti in questi paesi.7

Benché in passato si ritenesse che lo scompenso cardiaco si manifestasse essenzialmente nel quadro di una frazione di eiezione ventricolare sinistra depressa, vari studi epidemiologici hanno dimostrato che circa la metà dei pazienti che vanno incontro a scompenso cardiaco ha una frazione di eiezione normale o conservata (EF > 50%).

L’insufficienza cardiaca con EF conservata interessa normalmente i pazienti più anziani, in particolare le donne con ipertensione, diabete mellito e ipertrofia ventricolare sinistra.

L’insufficienza cardiaca diastolica è spesso presente nei pazienti con ipertensione arteriosa sistemica mal controllata. Fibrosi miocardica, ipertrofia sistemica ed aumento del post-carico sono tutti fattori che contribuiscono alla disfunzione diastolica del ventricolo sinistro.

La prognosi rimane infausta nonostante i progressi della terapia medica, con una mortalità del 50% a 2 anni nei pazienti con scompenso cardiaco avanzato. La morte improvvisa costituisce la più importante causa di morte (30-50% a seconda delle diverse casistiche e definizioni).8

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2.3- Cause e fattori di rischio

Lo scompenso cardiaco è una sindrome clinica complessa che rappresenta l’evoluzione finale di numerose patologie cardiache a differente eziologia ed è gravata da una mortalità a 5 anni dalla diagnosi di circa 50%.

Tra le cause più comuni della compromissione della funzione cardiaca vi è il danno o la perdita del tessuto miocardico, l’ischemia acuta e cronica, l’ipertensione ed il diabete.

Tre quarti di tutti i pazienti colpiti da HF presentano un’ipertensione preesistente, fattore di rischio che da solo raddoppia la probabilità di sviluppare insufficienza cardiaca rispetto ai pazienti normotesi. Meno comuni, ma comunque importanti, sono le seguenti patologie riportate in ordine di prevalenza decrescente: cardiomiopatie, infezioni virali pregresse (per esempio: miocardite virale, malattia di Chagas, HIV), esposizione a tossine (alcool e metalli pesanti), utilizzo di farmaci chemioterapici (Doxorubicina e Trastuzumab), patologie delle valvole cardiache e aritmie prolungate come la fibrillazione atriale.9

Pertanto, il trattamento delle patologie concomitanti è un aspetto importante del trattamento dei pazienti con insufficienza cardiaca.

2.4- Comorbidità

Le linee guida 2016 ESC per la diagnosi e il trattamento di insufficienza cardiaca acuta e cronica evidenziano l’importanza della comorbidità nello sviluppo e nella progressione della malattia, considerando la presenza contemporanea di più patologie come uno dei punti chiave nel trattamento dei pazienti con insufficienza cardiaca.

Soprattutto nell’insufficienza cardiaca con frazione di eiezione conservata (HFpEF) la prevalenza delle comorbidità è più alta rispetto all’insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ridotta.

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Le motivazioni che spingono a considerare questo aspetto, riguardano il fatto che la comorbidità interferisce con alcune delle strategie diagnostiche dell’insufficienza cardiaca, peggiora i sintomi della patologia e contribuisce all’ospedalizzazione ed alla mortalità.

Inoltre, molti farmaci utilizzati per trattare patologie concomitanti con l’insufficienza cardiaca possono aggravarne i sintomi, come per esempio i farmaci antitumorali (Antracicline: doxorubicina, epirubicina, idarubicina). Patologie come il diabete, l’anemia sideropenica (da carenza di ferro), la cachessia, disturbi a carico del microbioma intestinale e tumori, peggiorano la prognosi nei pazienti con insufficienza cardiaca, ma allo stesso tempo possono offrire un approccio terapeutico innovativo per alleviare i sintomi della patologia10. (Figura 2).

Figura 2. L'importanza della comorbidità nel progresso dell'insufficienza cardiaca è stata esaustivamente riconosciuta. Comorbidità come anemia sideropenica, diabete, cachessia, disturbi a carico del microbioma e cancro possono peggiorare la prognosi dei pazienti con insufficienza cardiaca, ma alcune di queste entità

offrono anche l’opportunità di nuovi approcci terapeutici. (Immagine modificata10)

L’anemia sideropenica (da carenza di ferro) aggrava molto le condizioni dei pazienti con insufficienza cardiaca.

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Nel trial clinico FAIR HF11 è stato valutato l’effetto della somministrazione intravenosa di carbossimaltosio ferrico nei pazienti affetti da anemia sideropenica ed insufficienza cardiaca.

I risultati ottenuti mostrano che 24 ore dopo la somministrazione del farmaco i pazienti manifestano un miglioramento dei sintomi, della capacità funzionale e della qualità di vita rispetto al placebo.

Questi risultati confermano ed estendono il trial CONFIRM HF12, nel quale i benefici del carbossimaltosio ferrico (secondo la classificazione HYHA) possono essere rilevati fino a 52 settimane dopo la somministrazione, evidenziando l'impatto a lungo termine della compensazione della carenza di ferro nei pazienti con scompenso cardiaco.

Il meccanismo molecolare coinvolto non è ancora stato pienamente compreso, ma un interessante studio di Haddad ed i suoi collaboratori13, pone l’attenzione sulle proteine regolatrici del ferro (IRP1 e 2) come le principali responsabili dell’omeostasi del ferro dei cardiomiociti, in grado di mediare il recupero delle riserve energetiche e della funzionalità cardiaca.

Sebbene la carenza di ferro peggiori la prognosi nei pazienti con insufficienza cardiaca, mancano ancora dati su studi prospettici che ne dimostrano il miglioramento. (La mortalità non era un obiettivo primario nello studio FAIR HF e nel CONFIRM HF)10.

L’anemia, anche se grave, raramente causa insufficienza cardiaca o angina pectoris nei pazienti con cuori normali.

Lo studio FAIR HF 213, supportato dal Centro tedesco per la ricerca cardiovascolare (DZHK) ed in corso tutt’ora, sta reclutando pazienti che chiariranno se la somministrazione endovenosa di ferro sotto forma di carbossimaltosio ferrico può migliorare anche la prognosi dei pazienti con scompenso cardiaco ed anemia sideropenica.

Molti pazienti con insufficienza cardiaca, soprattutto negli stadi avanzati della patologia, sviluppano cachessia e perdita di massa muscolare, come

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conseguenza della congestione epatica e intestinale e dell’ipoperfusione mesenterica.

Questa condizione è associata a perdita di peso involontaria di almeno il 5% del peso corporeo10.

È spesso preceduta dalla sarcopenia (perdita di massa muscolare), condizione non necessariamente legata alla perdita di peso.

Risultano compromessi la forza muscolare, la capacità di eseguire attività fisica ed anche la performance cardiaca, fattori che gravano sulla qualità di vita del paziente.

Il meccanismo coinvolto nella cachessia cardiaca riguarda uno squilibrio catabolico e/o anabolico, un aumento della degradazione proteica, un aumento dell'apoptosi e dell’autofagia cellulare, oltre ad un aumento dello stress ossidativo.

Gli approcci terapeutici volti a migliorare questa condizione, risultano utili anche per i sintomi dell’insufficienza cardiaca: l'esercizio fisico è di fondamentale importanza per il sollievo e per la prognosi, oltre alla prevenzione ed al trattamento della cachessia stessa nei pazienti con scompenso cardiaco. Oggetto di studio che sta portando risultati promettenti è l’integrazione di micronutrienti o di agenti anabolici come la grelina, testati nell’insufficienza cardiaca associata a cachessia.10

Il cancro e l’insufficienza cardiaca sono le principali cause di mortalità nel mondo occidentale e la combinazione di entrambe le patologie provoca nei pazienti coinvolti un importante stress fisico e psicologico.

Le interrelazioni del meccanismo molecolare tra cancro ed insufficienza cardiaca non sono ancora chiare, anche se numerosi studi vi hanno posto l’attenzione. Nel 2015 Schäfer ed i suoi collaboratori14 hanno identificato l’Ataxin-10 come una proteina che fa parte di un complesso che innesca la disfunzione metabolica cardiaca nella cachessia neoplastica. Essa potrebbe costituire un potenziale target per nuovi trattamenti sia di cancro che di insufficienza cardiaca con cachessia.14

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Anche la congestione intestinale rappresenta un problema importante nell'insufficienza cardiaca, dal momento che relaziona la perdita di appetito, la cachessia e l’attivazione pro-infiammatoria con la cronicità della patologia. Ricerche cliniche15 condotte su pazienti con insufficienza cardiaca cronica, hanno dimostrato che la patologia modifica in modo rilevante sia la morfologia intestinale, che la permeabilità e l’assorbimento. Questi risultati sono coerenti con la ridotta perfusione intestinale ed il conseguente edema della mucosa, l’elevata permeabilità intestinale e la carenza di difese immunitarie con aumento del biofilm batterico. Tutti questi fattori potrebbero contribuire all’innesco dell’infiammazione cronica e della malnutrizione, osservata nella cachessia cardiaca.15

Elevati livelli sistemici di immunoglobulina anti-lipopolisaccaride A nei pazienti con insufficienza cardiaca, pongono l’attenzione sul possibile ruolo del miocrobiota intestinale (comunità microbica del tratto enterico costituita prevalentemente da batteri, oltre a lieviti, parassiti e virus) nella patogenesi della malattia.

Mark Luedde ed i suoi collaboratori16 hanno studiato il ruolo del microbioma intestinale nell’insufficienza cardiaca, notando una significativa diminuzione della diversità del microbioma stesso ed una downregulation dei principali gruppi batterici intestinali, condizione assente nel gruppo di controllo dei volontari sani.

I risultati16 indicano un’alterazione del microbioma come un potenziale innesco nella patogenesi e nella progressione dell’insufficienza cardiaca, aspetto in grado di offrire trattamenti innovativi negli approcci terapeutici della malattia.

Anche patologie in aumento come il diabete mellito, la sindrome metabolica e l’obesità giocano un ruolo importante nell’insorgenza e nella progressione dell’insufficienza cardiaca.

Lo studio Framingham9, stima che uomini e donne con diabete mellito abbiano rispettivamente due e quattro volte, il rischio aumentato di sviluppare insufficienza cardiaca rispetto ai soggetti non diabetici.

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Vi sono prove evidenti del nesso tra diabete ed insufficienza cardiaca, indipendentemente dalla presenza della malattia coronarica e dell’ipertensione. Escludendo pazienti con cardiopatia coronarica o malattie cardiache reumatiche, il rischio di insufficienza cardiaca rimane elevato a 3,8 negli uomini diabetici ed a 5,5 nelle donne affette da diabete. I pazienti con diabete mellito vengono classificati nello stadio A della classificazione AHA, ovvero con alto rischio di sviluppare insufficienza cardiaca, ma senza anomalie strutturali cardiache.17

2.5- Controllo della normale contrattilità

miocardica

La contrazione del muscolo cardiaco avviene in seguito allo scorrimento dei filamenti di actina e miosina nel sarcomero della cellula miocardica.

Più in particolare (come mostrato nella Figura 3), quando il potenziale d’azione proveniente da una cellula adiacente invade la membrana cellulare, i canali voltaggio-dipendenti per il calcio si aprono, quindi il calcio entra nella cellula18. L’ingresso di calcio innesca il rilascio di altro calcio dal reticolo sarcoplasmatico attraverso i recettori canale per la rianodina (RyR2). La quantità di calcio liberato dipende dalla quantità presente nel reticolo sarcoplasmatico cardiaco e dalla quantità di calcio di “innesco” (trigger) che entra nella cellula tramite i canali del calcio (soprattutto di tipo L) della membrana cellulare, durante la fase di plateau del potenziale d’azione.

Il rilascio localizzato di calcio e la somma di più scariche di calcio che ne conseguono, producono un segnale di calcio.

La contrazione si verifica grazie all’interazione dell’attivatore calcio (durante la sistole) con il sistema actina-troponina-tropomiosina, in modo da attivare il processo di accoppiamento actina-miosina: gli ioni Ca2+ si legano alla troponina ed inizia la contrazione. Il rilassamento si verifica quando il Ca2+ si stacca dalla troponina.

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Successivamente il Ca2+ viene pompato dal trasportatore SERCA all’interno del reticolo sarcoplasmatico, dove viene accumulato.

Lo scambiatore sodio-calcio localizzato sulla membrana cellulare, utilizza il gradiente del Na+ per spostare il Ca2+ contro il suo gradiente, dal citoplasma allo spazio extracelluare.

Il gradiente del sodio è mantenuto dalla pompa Na+/K+ ATPasi.

Le conduttanze ioniche responsabili del potenziale d’azione cardiaco sono dunque la conduttanza al Na+, al K+ ed al Ca2+.

Figura 3. Diagramma schematico di un sarcomero del muscolo cardiaco con l'indicazione dei siti di azione

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Come si può notare dalla Figura 4, l’onda di depolarizzazione cardiaca è costituita dal susseguirsi delle seguenti fasi:

- Fase 0: è dovuta alla rapida apertura dei canali al Na+ con conseguente ingresso massivo di Na+ attraverso i canali Na+-voltaggio dipendenti. È responsabile di una rapida depolarizzazione.

- Fase 1: corrisponde ad una piccola ripolarizzazione dovuta all’apertura dei canali al K+ e alla chiusura dei canali al Na+.

- Fase 2: l’apertura dei canali al Ca2+ con la conseguente entrata dello ione, è responsabile della fase di plateau. I canali al K+ si chiudono. In questa fase si verifica la contrazione.

- Fase 3: alla fine del plateau si riscontra una grande depolarizzazione, causata dalla chiusura dei canali al Ca2+ e dall’attivazione della pompa Na+/K+ ATPasi. Rimane attiva la conduttanza al K+.

- Fase 4: corrisponde al ritorno al valore del potenziale di riposo (-90 mV).

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2.6- Fisiopatologia dell’insufficienza cardiaca

Il nesso tra l’insulto iniziale e lo sviluppo e la progressione dell’insufficienza cardiaca è estremamente complesso. La sindrome può essere il risultato di qualunque disturbo cardiaco, strutturale o funzionale, che riduca il riempimento o lo svuotamento ventricolare.20

Possono essere interessati il ventricolo destro, il sinistro o entrambi.

Tutti i tipi di insufficienza cardiaca comprendono i seguenti segni e sintomi: tachicardia, ridotta tolleranza all’esercizio fisico, respiro breve e frequente, edema periferico e polmonare, cardiomegalia.

Nell’insufficienza cardiaca, la gittata cardiaca è solitamente al di sotto dei valori normali: questa caratteristica è la causa diretta della diminuita tolleranza all’esercizio fisico, con rapida comparsa di affaticamento muscolare.

Le altre manifestazioni della patologia derivano dai tentativi da parte dell’organismo, di compensare il difetto cardiaco intrinseco.

La risposta compensatoria neuroumorale (estrinseca), coinvolge il sistema nervoso simpatico e la risposta ormonale renina-angiotensina-aldosterone. Come mostra la Figura 5, questi meccanismi compensatori fisiologici, sono responsabili anche di alcuni aspetti patologici che incrementano o inducono la progressione dell’insufficienza cardiaca.

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Figura 5. Risposte compensatorie che si verificano nell'insufficienza cardiaca congestizia. (Immagine

modificata da19).

Nei pazienti con insufficienza cardiaca, il riflesso barorecettoriale sembra avere una sensibilità minore nei confronti della pressione arteriosa. Di conseguenza, il segnale che i barorecettori indirizzano al centro vasomotore è di intensità minore, anche in presenza di normali livelli di pressione arteriosa. Gli impulsi efferenti del sistema simpatico risultano aumentati, mentre il sistema parasimpatico risulta diminuito.

L’aumento del flusso degli impulsi efferenti simpatici è responsabile della tachicardia, dell’aumento della contrattilità cardiaca e del tono vascolare. È l’aumento del tono arterioso a determinare un aumento del postcarico ed una diminuzione della frazione di eiezione, della gittata cardiaca e della perfusione renale.

Dopo tempi brevi, si verificano delle modifiche di subsensitività dei recettori β1 adrenergici, mentre i recettori β2 non sono soggetti a subsensitività.

L’aumentata produzione di angiotensina II provoca un aumento della secrezione di aldosterone (con ritenzione di acqua e Na+), un aumento del post-carico (aumentando le resistenze vascolari periferiche) ed un “rimodellamento” a carico del cuore e dei vasi.

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Possono essere rilasciati anche altri ormoni, inclusi il peptide natriuretico atriale e l’endotelina.

Il principale meccanismo di compensazione intrinseco è l’ipertrofia miocardica. Si tratta di un aumento della massa muscolare che cerca di sostenere le prestazioni cardiache. In una prima fase si riscontra un effetto benefico, successivamente l’ipertrofia può portare a modificazioni ischemiche, ad un peggioramento del riempimento durante la diastole e ad alterazioni delle dimensioni ventricolari.

Con “rimodellamento” si intende la dilatazione ed i lenti cambiamenti strutturali che avvengono nel miocardio, quando questo è sottoposto a sforzi prolungati. Il processo di rimodellamento può consistere in una proliferazione di tessuto connettivale o di cellule miocardiche anomale (con alcune caratteristiche biochimiche simili a quelle dei miociti fetali).

Inoltre, le cellule miocardiche sono più soggette ad apoptosi, lasciando i miociti rimanenti in una situazione di maggiore stress.19

La Figura 6 mostra lo sviluppo dell’insufficienza cardiaca in seguito ad un evento scatenante ed i meccanismi compensatori coinvolti nel ripristinare la capacità di pompa cardiaca.

Figura 6. L'insufficienza cardiaca inizia dopo che un evento indice provoca un iniziale declino della capacità di pompa del cuore (A). A seguito di questa iniziale riduzione della capacità di pompa cardiaca, viene attivata una serie di meccanismi compensatori che coinvolgono il sistema nervoso adrenergico, il

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2.7- Fisiopatologia della performance

cardiaca

Le prestazioni cardiache dipendono da quattro fattori principali:

1. Precarico. Ponendo il lavoro sistolico del ventricolo sinistro in funzione della pressione di riempimento del ventricolo sinistro, si ottiene la curva della funzione ventricolare sinistra. (Figura 7).

Figura 7. Relazione tra "performance" del ventricolo sinistro e pressione di riempimento, in pazienti con infarto acuto del miocardio. La curva superiore rappresenta l’ambito dei valori relativi a soggetti sani. Nei pazienti con insufficienza cardiaca acuta, la funzione è spostata in

basso a destra. Lo stesso si osserva nei pazienti con insufficienza cardiaca cronica. (Immagine19).

Il tratto ascendente di tale curva (<15 mm di Hg di pressione di riempimento), rappresenta la relazione di Frank-Starling.

Segue, sopra i 15 mm Hg, una fase di plateau del rendimento. Un precarico con valori superiori a 20-25 mm Hg porta a congestione polmonare.

Nell’insufficienza cardiaca, il precarico risulta aumentato a causa dell’aumento del volume di sangue e del tono venoso e la curva della funzione ventricolare sinistra è più bassa; di conseguenza il plateau è raggiunto a valori molto minori del lavoro sistolico.

L’aumento della pressione di riempimento intensifica la richiesta di ossigeno da parte del miocardio. La terapia diuretica e le restrizioni

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nell’assunzione di sale cercano di contrastare questo meccanismo, mentre farmaci venodilatatori (nitroglicerina) riducono anche il precarico, aumentando la distribuzione del sangue verso il distretto venoso periferico.

2. Postcarico: è la resistenza contro cui il cuore deve pompare il sangue, ed è costituito dalla resistenza aortica e dalle resistenze vascolari sistemiche. Nell’insufficienza cardiaca cronica, quando diminuisce la gittata cardiaca, si verifica di riflesso un aumento delle resistenze vascolari sistemiche, in parte mediato dall’afferenza simpatica e dalle catecolamine circolanti, in parte dall’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone. Anche l’endotelina, un peptide vasocostrittore, può essere implicata. A tal proposito, sono impiegati nell’insufficienza cardiaca congestizia farmaci capaci di ridurre il tono arteriolare.

3. Contrattilità. Questo parametro presenta una riduzione nei pazienti con insufficienza cardiaca a bassa gittata; ne consegue una riduzione del rendimento della funzione di pompa del cuore, che spesso si associa all’insufficienza cardiaca (per esempio dopo infarto acuto del miocardio). Farmaci stimolanti l’inotropismo, aumentano la contrattilità cardiaca.

4. Frequenza cardiaca: è il primo meccanismo compensatorio che entra in gioco per sostenere la gittata cardiaca, quando la funzionalità intrinseca del cuore ed il volume sistolico diminuiscono. L’aumento della frequenza cardiaca avviene attraverso l’attivazione simpatica dei recettori β adrenergici.

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2.8- Terapia farmacologica

L’insufficienza cardiaca consiste in una graduale riduzione della funzione cardiaca; il risultato è una diminuzione dell’apporto di sangue ai tessuti.

La pressione ematica ed il flusso ematico renale ne risultano entrambi ridotti e questo porta spesso allo sviluppo di edema agli arti inferiori, ai polmoni e ad insufficienza renale.

Pertanto, l’obiettivo terapeutico è volto ad incrementare il rendimento cardiaco. Vengono impiegati farmaci che aumentano la forza di contrazione del muscolo cardiaco (farmaci inotropi positivi come i digitalici e gli inibitori delle fosfodiesterasi), i vasodilatatori e farmaci responsabili di una diminuzione del volume di fluido extracellulare (diuretici).

Di seguito è riportato l’elenco dei principali gruppi di farmaci correntemente impiegati nell’insufficienza cardiaca19:

- Diuretici

- Antagonisti ai recettori per l’aldosterone - ACE inibitori

- Antagonisti al recettore AT1 dell’angiotensina - Beta-bloccanti - Glicosidi cardiaci - Vasodilatatori - Beta-agonisti, dopamina - Bipiridine - Peptide natriuretico

La digitale è un nome generico che sta ad indicare una famiglia di piante che forniscono il più utile glicoside cardiaco dal punto di vista medico: la digossina. La digossina si ottiene dalle foglie della Digitalis Lanata e D. Purpurea, ed è il prototipo di tutti i glicosidi cardioattivi comunemente usati. Essi contengono un

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nucleo steroideo legato a un anello lattonico in posizione 17, ed una serie di zuccheri legati al carbonio 3 del nucleo (Figura 8).

Figura 8. Struttura della digossina. (Immagine modificata19)

La digitale esplica molteplici effetti cardiaci, diretti ed indiretti, con conseguenti effetti sia terapeutici che tossici. Esplica inoltre effetti indesiderabili a carico del sistema nervoso centrale e dell’apparato digerente.

Tutti i glicosidi cardioattivi utilizzati in terapia inibiscono l’ATP-asi Na+/K+ dipendente, il trasportatore legato alla membrana, chiamato anche “pompa del sodio”. Questa attività inibitrice è responsabile dell’azione inotropa positiva: essi aumentano la contrazione del sarcomero cardiaco, aumentando la concentrazione di calcio libero in prossimità delle proteine contrattili durante la sistole.

La concentrazione del calcio aumenta in seguito a due processi: il primo riguarda l’aumento della concentrazione del sodio intracellulare per l’inibizione dell’ATP-asi Na+/K+ dipendente, il secondo è costituito da una relativa riduzione dell’espulsione del calcio dalla cellula da parte dello scambiatore sodio-calcio localizzato sulla membrana cellulare, causata da un aumento del sodio intracellulare.

L’aumento del calcio citoplasmatico è sequestrato da SERCA nel reticolo sarcoplasmatico, ed utilizzato per il rilascio successivo.

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Il risultato finale di concentrazioni terapeutiche di un glicoside cardioattivo è un caratteristico aumento della contrattilità cardiaca (Figura 9).

Figura 9. Rappresentazione schematica dei flussi di Na+, K+ e Ca2+ attraverso la membrana della cellula cardiaca e degli effetti della digitale su tali processi. Tali effetti sono indicati con dei + o dei – posti in corrispondenza del processo o del parametro in questione.

Sotto il profilo elettrico, la digitale esplica sia un’azione diretta sulle membrane delle cellule cardiache, sia un effetto legato al sistema nervoso autonomo parasimpatico (soprattutto) e simpatico (Tabella 3).

Nel primo caso si assiste ad una diminuzione della durata del potenziale d’azione (specialmente della fase di plateau), probabilmente a causa di un’aumentata conduttanza al potassio con riduzione intracellulare dello ione, che è a sua volta originata dall’aumento del calcio intracellulare (inibizione della pompa del sodio). Questi effetti sono osservati per concentrazioni terapeutiche di farmaco. Incrementando la concentrazione del digitalico, compaiono post-potenziali depolarizzanti oscillatori, che seguono i potenziali d’azione normalmente evocati. Essi si verificano in seguito ad un sovraccarico dei depositi di calcio intracellulari e ad oscillazioni della concentrazione degli ioni calcio liberi all’interno della cellula. Quando un post-potenziale raggiunge il valore soglia, provoca un potenziale d’azione che risulta accoppiato al precedente (battito ectopico).

In un ulteriore aggravamento dello stato tossico, ciascun potenziale d’azione, evocato da un potenziale, potrà esso stesso indurre un ulteriore post-potenziale, fino ad instaurare una tachicardia autosostenuta. Se non curata, tale

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tachicardia potrà degenerare in fibrillazione. La fibrillazione ventricolare porta rapidamente ad un esito fatale.

Per quanto riguarda gli effetti dei glicosidi cardioattivi sul sistema nervoso autonomo, a dosi più basse è predominante un’azione parasimpaticomimetica cardioselettiva, che include la sensibilizzazione dei barorecettori, la stimolazione centrale del vago e facilitazione della trasmissione muscarinica a livello dei cardiomiociti. Dal momento che l’innervazione colinergica è molto rappresentata negli atri, questi effetti interessano in misura predominante la funzionalità atriale e quella del nodo atrioventricolare.

Gli impulsi efferenti simpatici sono invece aumentati a dosi tossiche di digitalico; essi sensibilizzano il miocardio ed esaltano tutti gli effetti tossici della molecola.

Tessuto o variabile Effetti a dosi

terapeutiche Effetti a dosi tossiche

Nodo del seno ↓ Frequenza (Effetto

cronotropo negativo)

↓ Frequenza Muscolo atriale ↓ Periodo refrattario

(Effetto batmotropo positivo)

↓ Periodo refrattario, aritmie

Nodo atrioventricolare ↓ Velocità di

conduzione (Effetto dromotropo negativo), ↑periodo refrattario ↑ Periodo refrattario, aritmie Sistema di Purkinje, muscolo ventricolare Lieve ↓ periodo refrattario Extrasistoli, tachicardia, fibrillazione Elettrocardiogramma ↑ Intervallo PR, ↓ Intervallo QT Tachicardia, fibrillazione, arresto per dosi estremamente elevate

Tabella 3. Principali azioni della digossina sulle proprietà elettriche dei tessuti cardiaci. (Immagine

modificata da19).

I glicosidi cardioattivi esercitano la loro azione su tutti i tessuti eccitabili, inclusa la muscolatura liscia ed il sistema nervoso centrale. Oltre al cuore, la digitale risulta tossica anche sul tratto gastrointestinale, provocando anoressia, nausea, vomito e diarrea. Gli effetti comunemente osservati sul sistema nervoso centrale

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comprendono ipertono vagale e stimolazione della zona chemiorecettrice. Più rari risultano essere disorientamento, allucinazioni e disturbi visivi.

La digossina è indicata in pazienti con insufficienza cardiaca e fibrillazione atriale. Risulta molto utile anche in pazienti con cuore dilatato e terzo suono cardiaco. Normalmente viene prescritta dopo la terapia con ACE-inibitori. Nel caso in cui la terapia sia orientata verso l’uso dei glicosidi cardiaci, la digossina (Lanoxin®) è il prescelto nella maggior parte dei casi (negli USA è il solo disponibile). Quando i sintomi sono lievi, un carico lento (digitalizzazione) con 0,125-0,25 mg al giorno è più sicuro ed altrettanto efficace del metodo rapido (0,5-0,75 mg ogni 8 h per tre dosi, seguiti da 0,125-0,25 mg al giorno).19 Sebbene i glucosidi cardioattivi siano i principali mezzi terapeutici nel trattamento dell’insufficienza cardiaca, essi non sono gli unici disponibili. Altri agenti inotropo positivi utilizzati nell’insufficienza cardiaca sono le bipiridine e gli stimolanti dei recettori beta-adrenergici. Si tratta di farmaci che inibiscono le fosfodiesterasi (famiglia di enzimi che inattivano il cAMP ed il cGMP) e sebbene abbiano effetti inotropo positivi, la maggior parte dei benefici che comportano è attribuibile alla vasodilatazione.

Le bipiridine impiegate sono l’inamrinone (denominato anche amrinone e non attualmente commercializzato in Italia), il milrinone (Primacor®) ed il enoximone (Perfan®, disponibile in Italia).

Esse inibiscono la fosfodiesterasi 3 (PDE-3), un enzima presente nei miociti cardiaci e nelle cellule muscolari lisce dei vasi: a livello cardiaco aumentano la contrattilità miocardica incrementando l’afflusso di calcio al cuore durante il potenziale d’azione, mentre sulla muscolatura liscia vasale l’aumentato immagazzinamento di Ca2+ porta alla vasodilatazione.

L’inamrinone, a causa della sua tossicità legata a nausea, vomito, aritmie, trombocitopenia e modifiche negli enzimi epatici, è stato ritirato dal commercio in alcuni paesi, mentre il milrinone causa minor tossicità midollare ed epatica, anche se persistono le aritmie.

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Queste molecole sono attive sia per via orale che parenterale, ma sono disponibili solo per via parenterale. Vengono utilizzate esclusivamente per l’insufficienza cardiaca acuta o acutizzazioni della cronica.

Anche gli stimolanti dei recettori beta-adrenergici sono stati utilizzati al posto della digitale, ma possono aumentare la mortalità. L’istaurarsi di abitudine o desensibilizzazione dei recettori β1 del miocardio rappresenta la principale limitazione all’uso delle catecolamine nell’insufficienza cardiaca.

L’agonista β1-selettivo più largamente utilizzato in pazienti con insufficienza cardiaca è la dobutamina. Questa molecola è uno stimolante cardiaco con effetto simpatico-mimetico, che agisce provocando inotropismo positivo responsabile di un aumento della gittata cardiaca ed una riduzione della pressione di riempimento ventricolare. Il meccanismo attraverso cui si realizza questo effetto coinvolge ancora una volta l’aumento dei livelli di cAMP, in questo caso attraverso la stimolazione indiretta dell’enzima adenilato ciclasi. L’aumento dei livelli di cAMP conduce ad una cascata di eventi che termina con un aumento del Ca2+ intracellulare e quindi con un aumento della contrattilità del miocardio. Può essere causa di tachicardia ed aumento del consumo di ossigeno miocardico; il rischio di provocare angina, aritmie o tachifilassi (che accompagna l’uso di qualsiasi β-stimolante), sono aspetti da considerare soprattutto in pazienti con malattia arteriosa coronarica.

Nelle condizioni acute della malattia, è stata impiegata anche la dopamina, particolarmente utile quando occorre innalzare la pressione arteriosa.

Nell’insufficienza cardiaca cronica sono largamente utilizzati anche farmaci privi di azione inotropo positiva, come i diuretici, gli ACE-inibitori, gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina ed i β-bloccanti. Diuretici e vasodilatatori svolgono un ruolo determinante nei casi acuti dell’insufficienza cardiaca.

La riduzione della gittata cardiaca nel cuore insufficiente e le conseguenti variazioni della pressione e del flusso sanguigno renale, sono avvertite come

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ipovolemia ed inducono ritenzione renale di acqua e sale. Questa risposta fisiologica inizialmente aumenta il volume intravascolare ed il ritorno venoso al cuore e può parzialmente riportare a valori normali la gittata cardiaca.

Se è presente una compromissione della gittata cardiaca nonostante l’espansione del volume plasmatico, il rene continua a ritenere sale ed acqua, che di conseguenza fuoriesce dal distretto vascolare causando edema interstiziale o polmonare.

A questo livello, l’uso dei diuretici risulta necessario per ridurre l’accumulo dell’edema soprattutto a livello polmonare. La riduzione della congestione vascolare nel polmone grazie ai diuretici, ha un secondo effetto: migliora l’ossigenazione e quindi la funzionalità miocardica.

Anche la riduzione del precarico può ridurre le dimensioni del cuore, migliorando l’efficienza di pompa.

L’edema presente del paziente insufficiente è generalmente trattato con diuretici dell’ansa (furosemide, Lasix®). Nei casi più gravi in cui la ritenzione di sale ed acqua aumenta enormemente, è richiesto l’uso combinato di diuretici dell’ansa e tiazidi (idroclorotiazide).

Occorre in ogni caso prestare attenzione all’uso dei diuretici nel paziente con insufficienza cardiaca, dal momento che la gittata cardiaca in questi soggetti è parzialmente mantenuta dall’alta pressione di riempimento, ed un eccessivo uso di tali farmaci può ridurre il ritorno venoso aggravando ulteriormente la gittata cardiaca.

L’alcalosi metabolica è un altro effetto collaterale indotto da questa classe di diuretici e può concorrere a peggiorare la funzionalità cardiaca. L’ipokaliemia può aggravare un’aritmia cardiaca di base e contribuire alla tossicità dei digitalici. Questa complicanza è trattata con integrazione di K+ oppure può essere evitata riducendo l’apporto di Na+ nella dieta; di conseguenza si osserva una riduzione delle quantità di sodio da scambiare con il K+ a livello del dotto collettore. Farmaci utili in questa condizione sono lo spironolattone e l’eplerenone: si tratta di diuretici risparmiatori di potassio, antagonisti dell’aldosterone. Essi hanno il vantaggio aggiuntivo di diminuire la morbilità e

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la mortalità in pazienti con grave insufficienza cardiaca: l’aldosterone, oltre ai suoi effetti a livello renale, può anche causare fibrosi miocardica e vascolare e disfunzione recettoriale.

Gli ACE-inibitori (per esempio il captopril) sono in grado di ridurre le resistenze periferiche e, di conseguenza, il postcarico. Riducendo la secrezione di aldosterone, riducono anche la ritenzione di acqua e sali, dunque il precarico. La riduzione della concentrazione di angiotensina a livello dei tessuti riduce l’attività simpatica (probabilmente attraverso la diminuzione degli effetti presinaptici dell’angiotensina sulla liberazione di adrenalina). Essi riducono anche il rimodellamento a lungo termine del cuore e dei vasi, un effetto che può essere responsabile della riduzione della mortalità e della morbilità.

Gli ACE- inibitori sono considerati, insieme ai diuretici, come una terapia di prima scelta per l’insufficienza cardiaca cronica. Non possono in ogni caso sostituire la digossina in pazienti che già la ricevono, dal momento che la sospensione del glicoside cardiaco in corso di trattamento con un ACE-inibitore comporta un peggioramento.

Questa classe di farmaci, riducendo sia il precarico che il postcarico in pazienti asintomatici, rallentano l’entità della dilatazione ventricolare e quindi l’inizio dell’insufficienza cardiaca clinica. Apportano benefici in tutti i sottogruppi di pazienti, sia asintomatici che con insufficienza seria.

Gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina II a livello del recettore AT1 (losartan, valsartan), causano effetti emodinamici simili a quelli degli ACE-inibitori, vantaggiosi nel quadro clinico del cuore insufficiente (Figura 10). Ciononostante, dovrebbero essere impiegati nei pazienti che risultano intolleranti agli ACE-inibitori. Tosse ed angioedema possono verificarsi anche con gli antagonisti ai recettori per l’angiotensina, sebbene siano meno comuni che con gli ACE-inibitori.

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Figura 10. Siti di azione degli ACE-inibitori e degli antagonisti recettoriali dell'angiotensina (ARBs)19.

I vasodilatatori sono farmaci efficaci nell’insufficienza cardiaca acuta perché determinano una riduzione del precarico (grazie alla venodilatazione), del postcarico o di entrambe.

L’uso nel lungo periodo di idralazina (dilatatore arteriolare) e isosorbide dinitrato (dilatatore venoso) può anche ridurre il rimodellamento che danneggia il cuore.

Nei casi acuti di insufficienza cardiaca trova impiego anche la nesiritide (Natrecor®), una forma sintetica del brain natriuretic peptide (peptide natriuretico cerebrale, BNP).

Si tratta di un prodotto ricombinante in grado di aumentare il cGMP nelle cellule muscolari lisce; in pazienti con scompenso cardiaco grave aumenta l’escrezione di sodio (aumentando la diuresi) e migliora l’emodinamica. Tuttavia, il peptide ha una breve emivita di appena 18 minuti, perciò la somministrazione avviene

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in infusione venosa continua. L’ipotensione è il più comune effetto sfavorevole che provoca.

Dal momento che la maggior parte pazienti con scompenso cardiaco presenta elevati livelli plasmatici di BNP, la determinazione del BNP endogeno è stata proposta come test diagnostico e prognostico (negativo) in questa patologia. Alcuni β-bloccanti come bisoprololo, carvedilolo e metoprololo, hanno mostrato esiti positivi nel trattamento di pazienti con insufficienza cardiaca cronica, nonostante il rischio di scompenso acuto che questi stessi farmaci possono provocare.

Non vi è ancora una completa comprensione dell’effetto benefico dei β-bloccanti. I meccanismi suggeriti includono l’attenuazione degli effetti sfavorevoli provocati da elevate concentrazioni di catecolamine, sovraregolazione dei recettori β, diminuzione della frequenza cardiaca e ridotto rimodellamento attraverso l’inibizione dell’attività mitogena di catecolamine19. Mentre in passato era comune la prescrizione di un diuretico in associazione alla digitale senza prendere in considerazione altri farmaci, ad oggi i diuretici sono considerati farmaci di prima scelta, mentre la somministrazione di digitalici è riservata a pazienti che non rispondono in maniera adeguata a diuretici, ACE-inibitori e β-bloccanti 19.

Nella pratica clinica, l’insufficienza cardiaca cronica e quella acuta vengono trattate con approcci diversi a causa della necessità di una risposta più rapida e relativamente maggiore: nel primo caso risulta utile ridurre il lavoro cardiaco, soprattutto controllando l’ipertensione, limitando il livello di attività e riducendo il peso. Gli episodi acuti di insufficienza cardiaca sono spesso associati ad un aumento di attività, emozioni, mancata aderenza alla terapia o ad un aumento della domanda metabolica causata da febbre, anemia ecc. La causa principale di insufficienza acuta (con o senza insufficienza cronica) è l’infarto acuto del miocardio. In quest’ultimo caso si procede trattando il paziente con rivascolarizzazione di emergenza mediante angioplastica coronarica ed un agente trombolitico (stent).

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Le Tabelle 4 e 5 mostrano i vari approcci considerati nel trattamento dell’insufficienza cardiaca cronica e nel paziente dopo infarto acuto del miocardio.

Tappe nel trattamento dell’insufficienza cardiaca cronica 1) Ridurre il lavoro del cuore

a) Limitare il livello di attività b) Ridurre il peso

c) Controllare l’ipertensione 2) Ridurre l’apporto di sodio

3) Restringere il consumo di acqua (richiesto di rado) 4) Dare diuretici

5) Dare ACE-inibitori o antagonisti recettoriali dell’angiotensina 6) Dare digitale se sono presenti disfunzione sistolica con 3° suono o

fibrillazione atriale

7) Dare β-bloccanti a pazienti con insufficienza cardiaca di classe II-IV 8) Dare vasodilatatori

9) Resincronizzazione cardiaca se vi è un QRS slargato con ritmo sinusale normale

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Tabella 5. Classificazione terapeutica dei pazienti dopo infarto acuto del miocardio e terapia.19

Classificazione terapeutica dei pazienti, suddivisi in diversi sottogruppi, dopo infarto acuto del miocardio

Sottogruppi Pressione arteriosa sistolica (mm Hg) Pressione di riempimento del ventricolo sinistro (mm Hg) Terapia

Ipovolemia <100 <10 Reintegrazione volume

circolante Congestione polmonare 100-150 >20 Diuretici Vasodilatazione periferica <100 10-20 Nessuna o farmaci vasoattivi “scompenso di pompa” <100 >20 Vasodilatatori, farmaci inotropo-positivi

Grave shock <90 >20 Farmaci vasoattivi, farmaci

inotropo-positivi, vasodilatatori, circolazione assistita Infarto ventricolare destro <100 PRVD>10 PRVS<15 Reintegrazione volume circolante per bassi valori di PRVS Farmaci inotropo-positivi Evitare diuretici Insufficienza mitralica, difetto setto ventricolare <100 >20 Vasodilatatori, farmaci inotropo-positivi, circolazione assistita, intervento chirurgico

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3. Fitoterapia dell’insufficienza

cardiaca congestizia

Come trattato in precedenza, i glicosidi cardiaci sono tra le sostanze oggi disponibili in grado di aumentare la forza di contrazione del muscolo cardiaco (azione inotropa positiva).

Queste sostanze, affiancate nella terapia a breve e a lungo termine dell’insufficienza cardiaca ai farmaci precedentemente descritti, sono presenti nella digitale ed in alcune altre droghe vegetali (Tabella 6).

Droghe potenzialmente utili nel trattamento dell’insufficienza cardiaca Nome comune della droga Nome latino della pianta Parte della pianta utilizzata Principali costituenti chimici Dose giornaliera Adonide* Adonis vernalis

Parti aeree Cardenolidi, flavonoidi

0,6 g Biancospino* Crataegus

spp

Fiori, foglie Flavonoidi, procianidine

160-900 mg di estratto Cardiaca** Leonurus

cardiaca

Parti aeree Bufenolide, alcaloidi (stachidrina), glicosidi amari 4,5 g Digitale Digitalis spp Foglie Glicosidi steroidei cardioattivi 0,1 g Mughetto* Convallaria majalis Rizoma con radici Cardenolidi 0,6 g Oleandro Nerium oleander Foglie Cardenolidi, pregani 0,1-0,5 g

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Tabella 621

* Consigliata dalla Commissione E tedesca per l’insufficienza cardiaca ** Consigliata dalla Commissione E tedesca per i disturbi cardiaci nervosi

In fitoterapia, la droga che attualmente viene considerata di riferimento per il trattamento dell’insufficienza cardiaca è il Biancospino. Le sostanze in esso contenute hanno mostrato effetti terapeutici promettenti nel trattamento adiuvante dello stadio I e II dell’insufficienza cardiaca congestizia.

La Commissione E tedesca consiglia anche l’utilizzo dell’adonide, della scilla e del mughetto, mentre la cardiaca viene raccomandata per i “disturbi cardiaci nervosi”. Scilla* Scilla maritima Bulbo Bufadienolidi, flavonoidi, antocianine 0,1-0,5 g Strofanto Strophantus spp Semi Cardenolidi, saponine, olio grasso 0,1 g

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3.1- Adonide

Figura 11. Adonis vernalis L.

È costituita dalle parti aeree essiccate di Adonis vernalis L. (Fam. Ranunculaceae), raccolte durante la stagione di fioritura. Si tratta di una pianta erbacea perenne, diffusa anche in Italia, la cui droga contiene flavonoidi e glicosidi cardioattivi (cardenolidi). I principali tra questi sono: adonitossina, cismarina e k-strofantoside.

La Commissione E tedesca riporta l’azione inotropa positiva della droga, il cui utilizzo è indicato “nei disturbi lievi della funzione cardiaca, specialmente quando questi sono accompagnati da sintomi nervosi”. La stessa Commissione E tedesca suggerisce che, somministrata in dosi eccessive, l’adonide può causare nausea, vomito ed alterazioni del ritmo cardiaco, oltre ad aumentare sia l’efficacia che la tossicità della chinidina (farmaco antiaritmico), dei lassativi e dei glucocorticoidi.

La dose giornaliera consigliata è di 0,6 g di polvere standardizzata (la massima dose singola non deve superare 1 g, mentre la massima dose giornaliera è di 3 g)21.

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3.2- Mughetto

Figura 12. Convallaria maialis L.

È costituito dalle parti aeree esiccate di Convallaria majalis L. (Fam. Liliaceae), raccolte durante il periodo di fioritura. Si tratta di una pianta erbacea perenne, con un lungo rizoma, che cresce spontaneamente dalla zona submontana a quella subalpina, preferendo luoghi freschi ed ombrosi. È spesso coltivata per i suoi fiori.

La droga contiene glicosidi cardioattivi (cardenolidi), la cui presenza può variare in base all’area geografica di raccolta: se la droga proviene da piante raccolte nell’Europa occidentale e nordoccidentale il principale glicoside è la convallatossina, mentre se la droga proviene da piante che vegetano nell’Europa orientale e nel nord dell’Europa la convalloside è il glicoside maggiormente rappresentato.

Sempre la Commissione E tedesca, attribuisce al mughetto proprietà farmacologiche quali: azione inotropa positiva, aumento del rendimento cardiaco, diminuzione della pressione diastolica o della pressione venosa, effetto natriuretico, kaliuretico e tonico per le vene. La droga può altresì causare nausea, vomito ed aritmie cardiache, oltre ad essere controindicata in caso di ipokaliemia

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ed in pazienti in trattamento con digitalici. Il mughetto, come l’adonide, può aumentare l’efficacia e la tossicità della chinidina, dei lassativi e dei glucocorticoidi.

Questa pianta è raccomandata in casi di insufficienza cardiaca lieve, in particolare quella causata dall’avanzare dell’età. La dose giornaliera consigliata è di 0,6 g di polvere standardizzata21.

3.3- Scilla

Figura 13. Scilla maritima L.

È data dalle squame mediane del bulbo di Urginea maritima (L.), U. scilla Steinh o Scilla maritima L., isolate dal bulbo della pianta dissotterrato a fine agosto. La Scilla è tipica di zone aride e sabbiose del litorale mediterraneo e delle Isole Canarie. I suoi costituenti attivi sono bufadienolidi come proscillardinia A, flavonoidi liberi e glicosidati, mucilagini, triterpeni ecc.

Per quanto riguarda le proprietà farmacologiche è un cardiotonico di tipo digitalico. Possiede inoltre azione diuretica ed espettorante.19

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3.4- Strofanto

Figura 14. Strophantus hispidus DC

È dato dai semi di Strophantus hispidus DC, S. kombé, S. sarmentosus DC o di S. Gratus.

Si tratta di arbusti rampicanti (liane), tipici dell’Africa centro-orientale.

Le parti utilizzate sono i semi, raccolti tra giugno e luglio quando i frutti hanno raggiunto la piena maturità. I componenti attivi della droga sono i glicosidi cardenolidi (2-8%) detti strofantine: a seconda della pianta di origine si distinguono in K, H e G.

La Strofantina K è costituita da una miscela di tre glicosidi e possiede un’attività simile a quella dei glicosidi della digitale, a differenza della quale ha un’insorgenza d’azione più rapida, una minore durata d’azione ed un minore accumulo. Non viene assorbita dal tratto gastro intestinale per cui la sua somministrazione avviene per via endovenosa o intramuscolo.

La strofantina G è detta ouabaina poiché è contenuta nel legno di Acokanthera ouabaio, ed è circa due volte più potente della k-strofantina. Non viene più utilizzata a scopo clinico, ma permane il suo utilizzo sperimentale come mezzo per inibire l’ATPasi di membrana. L’aspetto interessante è che nel plasma umano vi sono più fattori endogeni, prodotti dal surrene, simili all’ouabaina.

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Lo strofanto è un cardiotonico di tipo digitalico, ad azione rapida e fugace. Era preferito nei casi in cui era necessario un effetto inotropo positivo molto rapido (per esempio nell’edema polmonare).22

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4- Biancospino

Figura 15. Crataegus monogyna Jacq.

4.1- Descrizione e costituenti principali

Il biancospino foglie e fiori (Crataegi folium cum flore), secondo la monografia della Farmacopea Europea, è composto dalle foglie e dalle sommità fiorite di Crataegus monogyna Jacq. (Fam. Rosaceae), C. laevigata (Poiret) DC (= C. oxycantha L.) o loro ibridi, mentre più raramente da altre specie europee di Crataegus compresa C. pentagyna Waldst. Et Kit. Ex Willd., C. nigra Waldst. Et Kit e C. azarolus L.

Si tratta di arbusti o piccoli alberi spinosi, con foglie verdi brillanti e fiori bianchi o leggermente rosati e profumati.

Il biancospino cresce al margine di boschi, macchie e pendii erbosi, con preferenza per i terreni calcarei che vanno dal litorale marino alla montagna sino a 1.600 m s.l.m.

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È presente in tutta Europa, fino alla Scandinavia, in Asia Minore e nel Nord America; in Italia è presente in tutte le regioni. Ha una crescita molto lenta e può vivere sino a 500 anni.

I preparati di foglie e fiori di alcune specie di Crataegus (biancospino), sono citati nella letteratura medica sin dal I secolo d.C. come rimedi per il trattamento delle malattie cardiache e per aumentare la forza di contrazione nel cuore senile. Il biancospino fa parte della medicina tradizionale cinese23: soprattutto le bacche sono usate per migliorare la circolazione, rimuovere la stasi sanguigna, e trattare indigestione, diarrea, dolori addominali, dislipidemia, ed ipertensione; utilizzato anche dai nativi americani per problemi cardiaci e gastrointestinali; in Europa conosciuto per le proprietà cardiotoniche, antispasmodiche, ipotensivanti ed antiateroscelrotiche.

Già nel 1896 furono riportati 43 casi di pazienti affetti da diverse forme di cardiopatie e trattati con Crataegus oxyacantha, con risultati incoraggianti, ma soltanto negli anni ’30 iniziò una ricerca scientifica sistematica sugli effetti clinici dei preparati di biancospino, fino ad arrivare nel 1941 all’introduzione nella farmacopea tedesca di alcuni estratti della pianta.

La Commissione tedesca E pubblicò nel 1984 e nel 1994 monografie sull’impiego di foglie e fiori di biancospino da impiegare nel trattamento della ridotta capacità funzionale del cuore, corrispondente alla classe II della classificazione funzionale HYHA (New York Heart Association), caratterizzata da sintomi cardiaci lievi come affaticamento, palpitazione, dispnea o dolore durante le attività ordinarie.

Poiché i medicinali contenenti foglie e fiori di Crataegus sono in uso da oltre 30 anni (15 anni all’interno dell’UE), nel 2016 l’EMA (European Medicines Association) attraverso il suo Comitato per i prodotti a base di erbe medicinali (HMPC), ha riconosciuto il tradizionale uso del biancospino per il sollievo dei sintomi di disturbi cardiaci nervosi temporanei (in seguito all’esclusione di condizioni mediche serie).1

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Anche ESCOP, OMS e Commissione E del BfArM riconoscono l’impiego delle preparazioni a base di Crataegus (foglie e fiori essiccate) per sostenere le funzioni cardiovascolari.

Nella Figura 16 è possibile osservare le diverse parti della pianta (Crataegus monogyna) utilizzate a scopo farmaceutico: fiori e foglie; frutti freschi e frutti secchi sono invece utilizzati nella medicina tradizionale cinese e nella cultura asiatica a scopo alimentare.23

Figura 16. Parti diverse di Crataegus monogyna: (a) fiori e foglie, (b) frutti freschi, (c) frutti secchi.

Immagine modificata23

La Farmacopea Europea riconosce l’uso di C. monogyna e laevigata, dei loro ibridi e di diverse specie minori. Le foglie e le sommità fiorite che costituiscono la droga di questa pianta, devono contenere non meno dell’1,5% di flavonoidi, calcolati con riferimento alla droga essiccata come iperoside, mentre le bacche devono contenere almeno l’1% di procianidine.

La concentrazione di tali principi attivi dipende da numerose variabili, come l’ambiente di crescita, il periodo di raccolta, la specie ecc.

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I principali costituenti sono:

 Polifenoli flavonoidici (fino al 2%) quali iperoside, spireoside, rutoside, quercetina, vitexina, orientina, 2’’ramnosil vitexina e quercitrina. (Figura 17).

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 Procianidine basate sulla condensazione della catechina e/o epicatechina con diversi gradi di polimerizzazione. Le più importanti sono le procianidine oligomeriche contenenti da 2 a 8 unità monomeriche; esse hanno un contenuto di circa il 3%. (Figura 18).

Figura 18. Catechine dimeriche ed oligomeriche (OPC) costituite da monomeri di catechina ed epicatechina, isolate da Crataegus sp.

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