SCUOLA DI INGEGNERIA
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN INGEGNERIA ENERGETICA
TESI DI LAUREA
Riqualificazione energetica in chiave NZEB.
Analisi di fattibilità e criticità nell’applicazione all’edilizia
popolare: il caso del quartiere di Gagno, Pisa
RELATORE
Prof. Ing. Daniele Testi
Dipartimento di Ingegneria dell’energia, dei sistemi, del territorio e delle costruzioni
CANDIDATO
Daniele Allegra
Sessione di Laurea del 12/10/2018 Anno Accademico 2018/2019
2
Un particolare ringraziamento al Prof. Testi Daniele, a Acernese Mario e ad Eccher Andrea, per la pazienza e il tempo dedicatomi.
3
INDICE
SOMMARIO ... 5
1 - INTRODUZIONE ... 6
1.1 - Premessa ...
6
1.2 - Scopo del lavoro ...
6
1.3 - Riferimenti normativi ...
7
1.3.1 - Gli edifici ad energia quasi zero (NZEB) ...
7
1.3.2 - Tipologia di valutazione energetica e strumenti di calcolo ...
12
2 - IL SOCIAL HOUSING ... 14
2.1 - Social housing: una difficle definizione ...
14
2.2 - L’evoluzione del settore in Europa ...
16
2.3 - Il social housing in Europa oggi ...
17
2.3.1 - Il ritorno al coinvolgimento del settore privato...
17
2.3.2 - L’elevata percentuale delle case di proprietà ...
17
2.3.3 - Le dimensioni dello stock edilizio ...
19
2.3.4 - Le diverse interpretazioni del settore ...
21
2.4 - La vicenda italiana: dalle case popolari al social housing ...
23
2.4.1 - La Legge Luzzatti e la funzione pubblica della casa ...
23
2.4.2 - La Gestione INA-Case ...
23
2.4.3 - La nascita dell’ERP e la difficile gestione della domanda abitativa ...
24
2.4.4 - Il social housing a sostegno della fascia grigia ...
25
2.4.5 - Il quadro attuale ...
26
2.4.6 - I vantaggi della riqualificazione ...
27
3 - ATTIVITA’ PRELIMINARI ... 29
3.1 - Approccio Bottom-Up ...
29
3.2 - Individuazione del caso studio ...
29
4 - ANALISI DELLO STATO DI FATTO ... 31
4.1 - Caratterizzazione del caso studio ...
31
4.1.1 - Descrizione della tipologia edilizia ...
35
4.1.2 - Descrizione impiantistica ...
35
4.2 - Simulazione dello stato di fatto ...
35
4.2.1 - Simulazione secondo UNI/TS 11300 (software MC 11300) ...
36
4.2.2 - Diagnosi energetica (software SEAS) ...
42
4.3 - Risultati delle simulazioni ...
54
4.3.1 - Risultati secondo UNI/TS 11300 (software MC11300) ...
54
4.3.2 - Risultati della diagnosi energetica (software SEAS) ...
63
4
5 - ANALISI DEGLI INTERVENTI DI RETROFIT PER LA
CONFIGURAZIONE NZEB ... 70
5.1 - Interventi proposti ...
71
5.2 - Analisi dei costi degli interventi proposti ...
77
5.3 - risultati ottenuti ...
77
5.3.1 - Risultati secondo UNI/TS 11300 (software MC11300) ...
77
5.3.2 - Risultati della diagnosi energetica (software SEAS) ...
85
5.3.3 - Confronto dei risultati di certificazione e diagnosi ...
89
6 - ANALISI DEGLI INTERVENTI DI RETROFIT SECONDO CRITERI DI
BEST-PRACTICES ... 91
6.1 - Scenario 1 ...
91
6.1.1 - Interventi proposti ...
91
6.1.2 - Analisi dei costi degli interventi proposti ...
93
6.1.3 - Risultati ottenuti ...
93
6.2 - Scenario 2 ...
101
6.2.1 - Interventi proposti ...
101
6.2.2 - Analisi dei costi degli interventi proposti ...
101
6.2.3 - Risultati ottenuti ...
102
6.3 - Scenario 3 ...
107
6.3.1 - Interventi proposti ...
107
6.3.2 - Analisi dei costi degli interventi proposti ...
107
6.3.3 - Risultati ottenuti ...
107
7 - ANALISI ECONOMICA DEGLI INTERVENTI DI RETROFIT ... 113
7.1 - Analisi economica degli interventi per la configurazione NZEB ...
113
7.2 - Analisi economica degli interventi secondo criteri di best-practices ...
115
7.2.1 - Scenario 1 ...
115
7.2.2 - Scenario 2 ...
116
7.2.3 - Scenario 3 ...
118
8 - ESTENSIONE DEI RISULTATI OTTENUTI AD ALTRI EDIFICI DI ERP
DELLA PROVINCIA DI PISA ... 120
9 - CONCLUSIONI ... 121
5
SOMMARIO
Con la presente Tesi si valuta la possibilità di riqualificare ad “edifico ad energia quasi zero” (Nearly Zero Energy Building) un’unità abitativa adibita ad alloggio sociale, considerata come di riferimento per tutti gli alloggi sociali siti nella provincia di Pisa e più in generale nella zona climatica Centro Italia (zona D).
Dopo aver individuato l’opportuno caso studio, si è proceduto alla raccolta dei dati necessari per la simulazione energetica dell’abitazione tramite sopralluoghi, misurazioni, colloqui con l’utenza e rinvenimento di fatturazioni energetiche. È stato quindi possibile procedere alla simulazione dello stato attuale, attraverso due software: il primo, MC 11300, certificato dal CTI (Comitato Termotecnico Italiano) come conforme alla serie di normative UNIT/TS 11300, mentre il secondo, SEAS 3.0, si è utilizzato per effettuare le diagnosi energetiche e per ottenere una stima corretta dei consumi energetici, in quanto è possibile validare i risultati ottenuti tramite i consumi effettivi di gas naturale e di energia elettrica.
Si è poi individuata (e successivamente modellata con entrambi i software) una prima linea di interventi mirata a rispettare tutti i requisiti richiesti per un abitazione NZEB, tramite efficientamenti energetici e installazione di sistemi a fonti rinnovabili ricadendo nella classificazione di ristrutturazione importante di primo livello.
Successivamente si sono individuate altre tre linee di interventi finalizzati ad ottenere un ottimo in termini di rapporto costi-benefici. Si è provveduto anche in questo caso alla modellazione di queste configurazioni tramite il software di certificazione e quello di diagnosi.
Si è poi valutata la fattibilità economica di tutti gli interventi proposti tramite un analisi economica, tenendo conto della presenza di incentivazioni statali sulle ristrutturazioni edilizie. Infine si è cercato di estendere i risultati ottenuti per il caso studio all’intero quartiere in cui esso è situato, in modo da presentare una stima dei risparmi in termini di consumi e di emissioni che si potrebbero raggiungere estendendo gli interventi proposti ad un numero maggiore di edifici sedi di alloggi sociali nella provincia di Pisa o più in generale nella zona climatica D.
6
1 - INTRODUZIONE
1.1 - Premessa
L’Edilizia Residenziale Pubblica (ERP) rappresenta, in Italia, poco meno di un milione di alloggi, 770mila dei quali gestiti dalle cosiddette “Aziende Casa”, ovvero quegli Enti Pubblici Economici che svolgono attività di gestione, manutenzione e qualificazione del patrimonio di ERP tramite l’utilizzo di fondi pubblici, fondi propri e prestiti agevolati. La maggior parte di questo patrimonio si sviluppa dal secondo dopoguerra fino all’inizio degli anni ’70[1]
.
Il fatto che, da quegl’anni ad oggi, le esigenze della società, il modello familiare, lo stile di vita e le condizioni economiche siano stati profondamente modificati, congiunto alla necessità di adeguamenti normativi agli standard globali, hanno fatto si da rendere ormai obsoleto tale patrimonio edilizio.
Tuttavia, prevedere interventi di demolizione e successiva ricostruzione comporterebbe un impegno economico-ambientale insostenibile a causa del massiccio impiego di risorse, di tempo e degli elevati costi di smaltimento.
Pertanto l’unica soluzione efficiente capace di ridurre le condizioni di degrado architettonico e sociale createsi in questi decenni è rappresentata dal recupero del patrimonio edilizio esistente.
1.2 - Scopo del lavoro
Si provvede quindi ad individuare un caso studio rappresentativo delle unità abitative adibite ad alloggi di edilizia residenziale pubblica costruite nel secondo dopoguerra nella zona climatica D (centro Italia). Successivamente si apporteranno interventi di retrofit mirati a qualificare l’abitazione in edificio NZEB, con interventi che riguarderanno l’involucro edilizio, gli impianti tecnici (riscaldamento e produzione di ACS) e le efficienze di generazione, valutandone la fattibilità tecnica, ambientale ed economica.
Si propongono poi una serie di soluzioni che, svincolandosi dai limiti imposti dalla normativa, siano finalizzati ad ottenere un ottimo per il rapporto costi-benefici, in modo da poter mettere in luce eventuali criticità o limiti presenti nella normativa, proponendo interventi che, pur non raggiungendo le prestazioni di un edificio NZEB, riescano comunque ad ottenere benefici dal punto di vista dei consumi e da quello economico.
Le simulazioni verranno effettuate con l’ausilio dei software MC 11300 e SEAS.
Le analisi economiche verranno svolte tramite la routine “Analisi economica” interna al software SEAS.
7
1.3 - Riferimenti normativi
1.3.1 - Gli edifici ad energia quasi zero
La definizione di edificio ad energia quasi zero (Nearly Zero Energy Building, da ora “NZEB”) viene introdotta nelle normative nazionali dei Paesi comunitari attraverso la Direttiva europea 2010/31/UE1, revisione della Direttiva europea 2002/91/CE nota anche come EPDB (Energy Performance of Building Directive).
Con questa direttiva si impone ai vari stati membri di instituire misure volte ad incrementare il numero di edifici che oltre a rispettare i requisiti minimi richiesti, presentino prestazioni energetiche decisamente migliori, al fine di ridurre i consumi energetici e le emissioni di biossido di carbonio. Si evidenzia inoltre che gli Stati membri avrebbero dovuto sviluppare dei piani nazionali volti ad incrementare il numero di edifici che rispondono alle caratteristiche di NZEB.
L’articolo 2 della Direttiva 2010/31/UE riporta una definizione di edificio ad energia quasi zero, mentre l’articolo 9 definisce le scadenze temporali da rispettare per i vari Stati membri riguardo gli edifici di nuova costruzione. In particolare si afferma che oltre il 31 dicembre 2020 tutti gli edifici di nuova costruzione debbano essere edifici ad energia quasi zero mentre, a partire dal 31 dicembre 2018 gli edifici di nuova costruzione occupati da enti pubblici e di proprietà di questi debbano essere edifici ad energia quasi zero.
Il quadro normativo italiano non assume significative variazioni in materia energetica fino al 2005, quando si ha l’emanazione del Decreto Legislativo 19 agosto 2005 n. 1922 che verrà poi pesantemente modificato dal Decreto Legge 4 giugno 2013 n. 633 per recepire i contenuti della Direttiva Europea 2010/31/UE. In quest’ultimo D.L. si ha la prima comparsa della definizione di edificio ad energia quasi zero, la quale riprende fedelmente quella riportata dalla Direttiva 2010/31/UE, adattandola ai riferimenti nazionali. Si legge infatti che l’edificio ad energia quasi zero è “un edificio ad altissima prestazione energetica, calcolata conformemente alle disposizioni del presente decreto, che rispetta i requisiti di cui all’articolo 4, comma 1. Il fabbisogno energetico molto basso o quasi nullo è coperto in misura significativa da energia da fonti rinnovabili, prodotta in situ”.
I requisiti richiamati dalla definizione vengono definiti nei successivi Decreti attuativi del D.Lgs. n. 192/05. In particolare essi sono descritti nel paragrafo 3.4 dell’Allegato 1 del D.M. 26 giugno 2015 “Criteri generali e requisiti delle prestazioni energetiche degli edifici” in cui si afferma che sono edifici NZEB tutti gli edifici, di nuova costruzione e non, per i quali siano rispettati contemporaneamente:
1
Direttiva 2010/31/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 maggio 2010 sulla prestazione energetica nell’edilizia.
2
D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192 "Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell’edilizia".
3 D.L. 4 giugno 2013, n. 63 “Disposizioni urgenti per il recepimento della Direttiva 2010/31/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio 2010, sulla prestazione energetica nell’edilizia per la definizione delle procedure d’infrazione avviate dalla Commissione europea, nonchè altre disposizioni in materia di coesione sociale”
8
Tutti i requisiti previsti dalla lettera b), del comma 2, del paragrafo 3.3, determinati con i valori vigenti dal 1° gennaio 2019 per gli edifici pubblici e dal 1° gennaio 2021 per tutti gli altri edifici. Tali requisiti prevedono che:
a) “il parametro H’T (coefficiente medio globale di scambio termico per trasmissione per unità di superficie disperdente, W/m2K) risulti inferiore al pertinente valore limite riportato nella Tabella 10 dell’Appendice A;
b) il parametro Asol,est/Asup utile (area solare equivalente estiva per unità di superficie utile) risulti inferiore al corrispondente valore limite riportato in Tabella 11 dell’Appendice A;
c) gli indici EPH,nd, EPC,nd e EPgl,tot (rispettivamente indice di prestazione termica utile per il riscaldamento, per il raffrescamento e indice di prestazione di energia globale dell’edificio) risultino inferiori ai corrispondenti indici limite calcolati per l’edificio di riferimento (EPH,nd,limite, EPC,nd,limite e EPgl,tot,limite), come definito alla lettera 1-novies), dell’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo e per il quale i parametri energetici, le caratteristiche termiche e di generazione sono dati nelle pertinenti tabelle del Capitolo 1, dell’Appendice A, per i corrispondenti anni di vigenza. Per i valori limite di questi indici, contrassegnati con l’anno di inizio della loro validità, è prevista una progressiva riduzione articolata in due fasi:
fase 1 - contrassegnata dall’indicazione (2015): in vigore dal 1° luglio 2015 con valori limite validi per tutti gli edifici;
fase 2 - contrassegnata dall’indicazione (2019/21): in vigore dal 1° gennaio 2019 per gli edifici pubblici o a uso pubblico, cosi come definite alle lettere 1-sexies e 1-septies, dell’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo, e dal primo gennaio 2021 anche per tutti gli altri edifici;
d) le efficienze ηH, ηW e ηC risultino superiori ai valori delle corrispondenti efficienze indicate per l’edificio di riferimento (ηH,limite, ηW,limite e ηC,limite), come definito alla lettera 1-novies), del comma 1, dell’articolo 2, del decreto legislativo e per il quale i parametri energetici e le caratteristiche termiche sono dati nelle Tabelle 7 e 8 dell’Appendice A”.
Gli obblighi di integrazione delle fonti rinnovabili nel rispetto dei principi minimi di cui all’Allegato 3, paragrafo 1, lettera c), del D.Lgs. 3 marzo 2011, n. 28 “Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE”, che recita: “Nel caso di edifici nuovi o sottoposti a ristrutturazioni rilevanti, gli impianti di produzione di energia termica devono essere progettati e realizzati in modo da garantire il contemporaneo rispetto della copertura, tramite il ricorso ad energia prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili, del 50 % dei consumi previsti per l’acqua sanitaria e delle seguenti percentuali della somma dei consumi previsti per l’acqua calda sanitaria, il riscaldamento e il raffrescamento:
a) il 20 per cento quando la richiesta del pertinente titolo edilizio è rappresentata dal 31 maggio 2012 al 31 dicembre 2013;
b) il 35 per cento quando la richiesta del pertinente titolo edilizio è rappresentata dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2016;
c) il 50 per cento quando la richiesta del pertinente titolo edilizio è rilasciato dal 1° gennaio 2017”.
9
Il D.Lgs. n. 192/05, introduce anche l’obbligo, a partire dal 1° gennaio 2019, di rispondere ai requisiti NZEB per tutti gli edifici di nuova costruzione occupati dalle pubbliche amministrazioni e di proprietà di quest’ultime. Questo obbligo viene esteso anche a tutti gli edifici di nuova costruzione, a partire dal 1° gennaio 2021.
L’edificio oggetto del caso studio sarà quindi messo a confronto con un edificio “di riferimento”, avente la stessa geometria, orientamento, ubicazione territoriale, destinazione d’uso e condizioni al contorno, ma con caratteristiche termiche e parametri energetici prestabiliti4. Tali parametri caratteristici dell’edificio di riferimento, con i quali effettuare la verifica per l’edificio NZEB, sono quelli riportati nell’Appendice A del Decreto Legislativo Requisiti minimi, in particolare quelli riferiti alla scadenza del 1° gennaio 2019 per gli edifici pubblici e ad uso pubblico e dal 1° gennaio 2021 per tutti gli altri edifici.
Si riportano di seguito i valori dei parametri caratteristici del fabbricato dell’edificio di riferimento, considerando che l’edificio oggetto del caso studio è situato in zona climatica D e che devono essere presi a riferimento, come già detto, i valori limite definiti per il 2019/2021.
Descrizione U [W/m
2
K] (edificio di riferimento)
Trasmittanza termica delle strutture opache verticali, verso l’esterno, gli ambienti non
climatizzati o contro terra
0,29 Trasmittanza termica delle strutture opache
orizzontali o inclinate di copertura, verso
l’esterno e gli ambienti non climatizzati 0,26 Trasmittanza termica delle chiusure tecniche
trasparenti e opache dei cassonetti, comprensive degli infissi, verso l’esterno e
verso ambienti non climatizzati
1,80 Trasmittanza delle strutture opache verticali e
orizzontali di separazione tra edifici o unità immobiliari confinanti
0,8
Tabella 1 - Valori dei parametri caratteristici del fabbricato dell'edificio di riferimento (D.M. “Requisiti minimi”).
Si osservi che nel caso di strutture delimitanti lo spazio riscaldato verso ambienti non climatizzati, si assume come trasmittanza il valore della pertinente tabella diviso per il fattore di correzione dello scambio termico tra ambiente climatizzato e non climatizzato, come indicato nella norma UNI TS 11300-1 in forma tabellare5.
Per quanto riguarda i parametri relativi agli impianti tecnici, si consideri che in assenza di un servizio energetico nell’edificio reale non si considera il fabbisogno di energia primaria per quel servizio6. L’edificio di riferimento si considera quindi dotato degli stessi impianti di produzione dell’edificio reale7
, ai quali si attribuisce una efficienza media di riferimento per i sottoinsiemi di utilizzazione (emissione/erogazione, regolazione, distribuzione e eventuale accumulo) e di generazione, riportate nelle seguenti tabelle.
4
D.M. 26/06/2015 “Requisiti Minimi”, Appendice A, paragrafo 1, comma 1.
5 D.M. 26/06/2015 “Requisiti Minimi”, Appendice A, paragrafo 1.1, comma 2. 6 D.M. 26/06/2015 “Requisiti Minimi”, Appendice A, paragrafo 1.2, comma 1. 7 D.M. 26/06/2015 “Requisiti Minimi”, Appendice A, paragrafo 1.2, comma 2.
10
Efficienza dei sottosistemi di utilizzazione ηu H C W
Distribuzione idronica 0,81 0,81 0,70
Distribuzione aeraulica 0,83 0,83 -
Distribuzione mista 0,82 0,82 -
Tabella 2 - Efficienze medie dei sottosistemi di utilizzazione dell'edificio di riferimento per i servizi di riscaldamento (H), raffrescamento (C) e produzione di ACS (W).
Efficienze medie dei sottosistemi di generazione
Produzione di energia termica Produzione di energia elettrica in
situ
H C W
Generatore a combustibile liquido 0,82 - 0,80 -
Generatore a combustibile gassoso 0,95 - 0,85 -
Generatore a combustibile solido 0,72 - 0,70 -
Generatore a biomassa solida 0,72 - 0,65 -
Generatore a biomassa liquida 0,82 - 0,75 -
Pompa di calore a compressione di vapore
con motore elettrico 3,00 (*) 2,50 -
Macchina frigorifera a compressione di
vapore a motore elettrico - 2,50 - -
Pompa di calore ad assorbimento 1,20 (*) 1,10 -
Macchina frigorifera a fiamma indiretta - 0,60 x ηgn
Macchina frigorifera a fiamma diretta - 0,60 - -
Pompa di calore a compressione di vapore
a motore endotermico 1,15 1,00 1,05 -
Cogeneratore 0,55 - 0,55 0,25
Riscaldamento con resistenza elettrica 1,00 - - -
Teleriscaldamento 0,97 - - -
Teleraffrescamento - 0,97 - -
Solare termico 0,3 - 0,3 -
Solare fotovoltaico - - - 0,1
Mini eolico o mini idroelettrico - - - (**)
NOTA: per i combustibili tutti i dati fanno riferimento al potere calorifico inferiore (*) Per pompe di calore che prevedono la funzione di raffrescamento si considera lo stesso valore delle macchine frigorifere della stessa tipologia
(**) Si assume l’efficienza media del sistema installato nell’edificio reale
Tabella 3 - Efficienze medie dei sottosistemi di generazione dell'edificio di riferimento per la produzione di energia termica per i servizi di H, C, W e la produzione di energia elettrica in situ (D.M. "Requisiti minimi").
I fabbisogni di energia primaria e quelli di energia termica utile in riscaldamento e in raffrescamento sono calcolati tramite secondo la serie di normative tecniche UNI/TS 11300 (riferendosi ai parametri del fabbricato dell’edificio di riferimento indicati nella Tabella 1) ed utilizzando i fattori di conversione in energia primaria definiti nell’Allegato 1 del D.M. Requisiti minimi8. Il fabbisogno di energia termica utile per il servizio di produzione di acqua calda sanitaria è preso pari a quello dell’edificio reale9
.
Le efficienze indicate nelle Tabelle 2 e 3 sono comprensive dell’effetto dei consumi di energia elettrica ausiliaria.
8
D.M. 26/06/2015 “Requisiti Minimi”, Appendice A, paragrafo 1.2.1, comma 1-2.
9
11
I parametri H’T e Asol,est/Asup utile dell’edificio NZEB dovranno risultare inferiori ai valori limite riportati nelle Tabelle 10 e 11 dell’Appendice A del D.M. Requisiti minimi mentre, una volta definito l’edificio di riferimento, i valori di efficienza e gli indici di prestazione energetica dovranno risultare rispettivamente superiori o inferiori ai corrispondenti valori calcolati per tale edificio. Si riportano nella tabella seguente i valori limite da rispettare per le efficienze, parametri o indici di prestazione dell’edificio NZEB.
Efficienza, parametro
o indice di prestazione u.m. Valore limite Riferimento normativo
H’T W/m2K ≤ 0,58 Tabella 10, Appendice A,
D.L. Requisiti minimi
Asol,est/Asup utile - ≤ 0,030 Tabella 11, Appendice A,
D.L. Requisiti minimi EPH,nd kWh/m2 ≤ EPH,nd dell’edificio di
riferimento 2019/2021 Punto b), comma 2, par. 3.3, Allegato 1, D.L. Requisiti Minimi ηH - ≥ ηH dell’edificio di riferimento 2019/2021 Punto b), comma 2, par. 3.3, Allegato 1, D.L. Requisiti Minimi
EPH kWh/m2 Verifica non prevista -
EPW,nd kWh/m2 ≤ EPW,nd dell’edificio di riferimento 2019/2021 Punto b), comma 2, par. 3.3, Allegato 1, D.L. Requisiti Minimi ηW - ≥ ηW dell’edificio di riferimento 2019/2021 Punto b), comma 2, par. 3.3, Allegato 1, D.L. Requisiti Minimi
EPW kWh/m2 Verifica non prevista -
EPV kWh/m2 Verifica non prevista -
EPC,nd kWh/m2 ≤ EPC,nd dell’edificio di riferimento 2019/2021 Punto b), comma 2, par. 3.3, Allegato 1, D.L. Requisiti Minimi ηC - ≥ ηC dell’edificio di riferimento 2019/2021 Punto b), comma 2, par. 3.3, Allegato 1, D.L. Requisiti Minimi
EPC - Verifica non prevista -
EPL - Verifica non prevista -
EPT - Verifica non prevista -
EPgl = EPH + EPW + EPC + EPV + EPL + EPT -
≤ EPgl dell’edificio di riferimento 2019/2021
Punto b), comma 2, par. 3.3, Allegato 1, D.L. Requisiti Minimi Tabella 4 - Valori limite da rispettare per edificio NZEB.
Si nota, come già affermato, che per gli indici di prestazione energetica e per le efficienze i valori limite sono rappresentati dai corrispondenti valori dell’edificio di riferimento.
Nell’Allegato 1 del D.M. Requisiti minimi, richiamando il Decreto Legislativo 3 marzo 2011 n. 28, si impone agli edifici NZEB anche l’obbligo di copertura del fabbisogno con energia rinnovabile, per una quota pari al 50 % nei casi in cui la richiesta del pertinente titolo edilizio sia rilasciata dal 1° gennaio 2017. Tale copertura è relativa solo agli impianti di riscaldamento, raffrescamento e produzione di ACS.
12
Valore limite da
rispettare Riferimento normativo
Copertura del fabbisogno energetico con fonti rinnovabili (riscaldamento +
condizionamento + ACS)
≥ 50 % D. Lgs. n. 28/2011, Allegato 3, comma 1, lettera c)
Copertura del fabbisogno energetico con fonti rinnovabili (produzione di
ACS)
≥ 50 % D. Lgs. n. 28/2011, Allegato 3, comma 1, lettera c) Tabella 5 - D.lgs. n. 28/2011, limiti da rispettare per edifico NZEB.
Tuttavia il D.Lgs n. 28/2011 prevede anche altri obblighi che, pur non essendo richiamati dal D.L. Requisiti minimi, si ritiene debbano essere comunque rispettati. In particolare nell’Allegato 3 del D.Lgs n. 28/2011 sono presenti gli obblighi da rispettare per le nuove costruzioni o per le ristrutturazioni rilevanti10. Il comma 2 ad esempio stabilisce che gli obblighi di cui al comma 1 non possano essere assolti tramite impianti da fonti rinnovabili che producano esclusivamente energia elettrica la quale alimenti, a sua volta, dispositivi o impianti per la produzione di acqua calda sanitaria, il riscaldamento e il raffrescamento. Il comma 3 afferma che la potenza elettrica degli impianti alimentati da fonti rinnovabili (che devono essere installati sopra o all’interno dell’edificio o nelle relative pertinenze), nel caso di edifici nuovi o sottoposti a ristrutturazioni rilevanti, deve risultare superiore ad un valore minimo espresso in funzione della superficie in pianta dell’edificio al livello del terreno e di un coefficiente che assume tre valori a seconda di tre scadenze temporali per la presentazione della richiesta del pertinente titolo edilizio.
1.3.2 - Tipologia di valutazione energetica e strumenti di calcolo
All’articolo 3 del D.M. Requisiti minimi si definiscono i criteri e le metodologie di calcolo delle prestazioni energetiche degli edifici. In particolare si definiscono le norme tecniche nazionali adottate e le loro successive modifiche ed integrazioni predisposte in conformità allo sviluppo delle norme EN a supporto della Direttiva 2010/31/UE.
Oltre alle norme riportate all’articolo 3, comma 1, il D.M. Requisiti minimi, riporta nell’Allegato 2 le norme a cui fare riferimento, riportando anche gli aggiornamenti delle norme tecniche o eventuali norme sostitutive o integrative. Le normative UNI/TS 11300 e la Raccomandazione CTI 14 sono indicate tra le norme quadro di riferimento nazionale, inoltre si individuano altre norme tecniche a supporto di queste.
Si osservi che la normativa UNI/TS 11300-1 è rivolta a tutte le possibili applicazioni previste dalla UNI EN ISO 13790:2008, ovvero calcolo di progetto (design rating), valutazione energetica di edifici attraverso il calcolo in condizioni standard (asset rating) o in particolari condizioni climatiche e di esercizio (tailored rating)11. Si riporta il prospetto 2 della norma UNI/TS 11300-1 dove si classificano le tre tipologie di valutazione energetica per applicazioni omogenee all’intero edificio.
10
D. Lgs. n. 28/2011, Art. 2, comma 1, punto m): “edificio sottoposto a ristrutturazione rilevante: edificio che ricade in una delle seguenti categorie: i) edificio esistente avente superficie utile superiore a 1000 m2, soggetto a ristrutturazione integrale degli elementi edilizi costituenti l'involucro; ii) edificio esistente soggetto a demolizione e ricostruzione anche in manutenzione straordinaria”.
13
Tipo di valutazione Dati di ingresso
Uso Clima Edificio
A1 Sul progetto (design rating) Standard Standard Progetto
A2 Standard (asset rating) Standard Standard Reale
A3 Adattata all’utenza (tailored rating) In funzione dello scopo Reale Tabella 6 - Classificazione tipologie di valutazione energetica per applicazioni omogenee all'intero edificio.
Il D.M. Requisiti minimi, nell’Allegato 1, paragrafo 1.1, comma 1, definisce che la prestazione energetica degli edifici è determinata sulla base della quantità di energia necessaria annualmente per soddisfare le esigenze legate ad un uso standard dell’edificio, richiamando pertanto il calcolo in condizioni standard della norma UNI/TS 11300-1 (asset rating), evidenziando che il fabbisogno globale si calcola come energia primaria per singolo servizio energetico, con intervalli di calcolo mensile.
Per quanto riguarda gli strumenti di calcolo, all’articolo 7 del D.M. Requisiti minimi si impone che tali strumenti e i software commerciali per l’applicazione delle metodologie di calcolo (riportate in articolo 3, comma 1) garantiscano che i valori degli indici di prestazione energetica, calcolati attraverso il loro utilizzo, abbiano uno scostamento massimo di più o meno il 5 per cento rispetto ai corrispondenti parametri determinati con l’applicazione dello strumento nazionale di riferimento. La garanzia è fornita attraverso una dichiarazione resa dal CTI, previa verifica del rispetto dello scostamento dei risultati.
Il software utilizzato per effettuare l’analisi energetica dell’unità abitativa oggetto del caso studio e del corrispondente edificio di riferimento è il software sviluppato da Aermec s.p.a. Masterclima MC 11300 versione 3.20. Il software possiede la certificazione CTI n. 75, valida dal 29 giugno 2016 e rilasciata il 15 marzo 2017.
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2 - IL SOCIAL HOUSING
2.1 - Social housing: una difficile definizione
Il termine social housing risulta difficile da definire, soprattutto perché l’Unione Europea lascia ampi margini di discrezionalità ad ogni stato membro in merito a questa definizione.
Gli approcci a questo settore all’interno dell’area europea si differenziano in termini di:
Proprietà: sebbene l’edilizia sociale sia fornita prevalentemente in locazione, molti Paesi prevedono sia la possibilità di vendere gli alloggi, sia di adottare la soluzione della “proprietà condivisa”, dove gli inquilini acquistano una quota della loro abitazione e pagano l’affitto per la restante parte. Nel Regno Unito quest’ultima soluzione è diventata sempre più importante mentre, in altri Paesi come la Grecia, la Spagna e Cipro, gli alloggi sociali vengono forniti solo o principalmente sotto forma di alloggi a basso costo per la vendita[2].
Fornitori: nella fornitura di alloggi sociali possono essere coinvolti molti soggetti, che vanno dalle autorità locali e aziende pubbliche, alle cooperative e associazioni senza scopo di lucro o limited-profit, fino ad arrivare, in alcuni casi, ad investitori privati. Beneficiari: in alcuni Paesi l’edilizia sociale è aperta a tutti i cittadini, in altri si
stabilisce in base al reddito chi può avere diritto a beneficiarne e per altri ancora si dà priorità alle famiglie più vulnerabili.
Modalità di finanziamento: il social housing è finanziato attraverso diverse modalità che variano in base ad una serie di fattori come il livello di maturità dei fornitori degli alloggi sociali, l’impegno del governo a sostenere il settore e le condizioni sul mercato dei mutui.
Il tentativo di arrivare ad un concetto europeo comune è ulteriormente complicato dal fatto che la maggior parte dei paesi non abbiano adottato una definizione ufficiale di social housing e che questo termine non sia usato ovunque: si trovano termini come “abitazione ad affitto moderato” in Francia, “residenza condivisa” o “housing senza scopo di lucro” in Danimarca, “promozione residenziale” in Germania, “housing a profitto limitato” o “housing popolare” in Austria, “residenza protetta” in Spagna, “alloggio pubblico” in Svezia, “locazione convenzionata” o “agevolata” in Italia ecc..
Risulta quindi molto difficile accordarsi su una definizione comune del significato di housing sociale, tuttavia, è possibile individuare alcuni elementi fondamentali di ciò che caratterizza l’edilizia sociale in tutta l’Unione Europea, al fine di arrivare ad una definizione operativa utile. Il ruolo attribuito al social housing è quello di soddisfare i bisogni abitativi delle famiglie in termini di accesso e permanenza in abitazioni dignitose e a prezzi accessibili. Obiettivo comune dei vari Paesi è anche quello di aumentare l’offerta di alloggi a prezzi accessibili, attraverso la costruzione, la gestione, l’acquisto e l’affitto di alloggi sociali. Un’altra caratteristica comune è quella dell’esistenza di criteri di assegnazione e di target-groups, sia in termini socio-economici sia relativamente ad altri tipi di vulnerabilità.
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Quello che distingue i settori di social housing tra i vari Stati membri sono le dimensioni del settore stesso, le forme legali ed organizzative alle quali corrispondono diversi operatori (come società pubbliche o private senza scopo di lucro, associazioni e fondazioni senza scopo di lucro, organizzazioni cooperative o investitori privati), le diverse forme di diritto di occupazione che possono prevedere l’affitto, la proprietà, forme di occupazione cooperative o la proprietà condivisa ed infine il contesto delle politiche abitative nel quale i vari attori operano.
Appresi quindi gli elementi fondamentali che caratterizzano il social housing nell’Unione Europea, la definizione comunemente accettata è quella data dal Cecodhas (European Federation of Public, Cooperative & Social Housing), che lo ha definito “l’insieme delle attività atte a fornire alloggi adeguati, attraverso regole certe di assegnazione, a famiglie che hanno difficoltà nel trovare un alloggio alle condizioni di mercato perché incapaci di ottenere credito o perché afflitte da problematiche particolari”.
A seguito di questa definizione, Nel 2010, la Commissione Europea interviene sul profilo organizzativo-gestionale delle operazioni e sugli aspetti di coesione e integrazione sociale dei beneficiari dell’edilizia sociale affermando che “lo sviluppo, la locazione/vendita e manutenzione di abitazioni a prezzi accessibili e la loro assegnazione e gestione, compresa eventualmente la gestione dei complessi residenziali e quartieri, può comprendere servizi di assistenza coinvolti in programmi di edilizia abitativa o di risistemazione di gruppi specifici o di gestione del debito di famiglie a basso reddito”.
Sembra quindi risaltare un’impostazione che mira a distinguere i fattori in grado di qualificare una soluzione come social housing in base al criterio impiegato per l’individuazione dei beneficiari. Ne deriva quindi un approccio che riconduce le diverse tipologie di social housing adottate dai Paesi europei a due modelli di riferimento[3]:
Il modello “universalistico” che considera l’alloggio come una responsabilità pubblica che deve essere assicurato a tutta la popolazione. Gli alloggi generalmente vengono assegnati attraverso liste di attesa anche se, in alcuni Paesi, una quota di alloggi vacanti viene riservata alle famiglie con urgenti esigenze abitative;
Il modello “targeted” che si appoggia prevalentemente al mercato ed è rivolto alle famiglie che non possono permettersi un alloggio dignitoso ad un prezzo accessibile sul mercato privato.
Di questo modello si possono individuare due sottogruppi: “generalista” o “residuale”. Il primo si basa sulla definizione di una soglia di reddito che permette alle famiglie che si trovano al di sotto di questa di beneficiare di una indennità, calcolata sul reddito, che copre parte dell’affitto. Il secondo invece tende a privilegiare le famiglie con condizioni abitative di emergenza e i nuclei più vulnerabili, come disabili, anziani o genitori soli.
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2.2 - L’evoluzione del settore in Europa
Il settore del social housing ha avuto uno sviluppo diverso nelle varie aree geografiche europee. In Europa occidentale e settentrionale questo è stato più rapido rispetto ai paesi dell’Europa meridionale dove invece è stato ostacolato da un processo di urbanizzazione più lento e una solida struttura rurale che ha comportato un minor coinvolgimento dei governi nel problema della casa. In Europa orientale infine, le influenze del regime politico comunista hanno fatto sì che si iniziasse a parlare di social housing solo a partire dall’inizio del processo di privatizzazione.
Soffermando l’attenzione sull’Europa occidentale e volendo ricostruire l’evoluzione storica del social housing in questa regione è necessario considerare che il periodo compreso tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo è stato caratterizzato da una industrializzazione e una urbanizzazione molto forti che hanno causato emergenti esigenze abitative. L’edilizia sociale nasce nella maggior parte dei Paesi europei su iniziativa del settore privato (istituzioni di beneficienza e alcune aziende private che costruiscono case per ospitare i lavoratori), proprio per rispondere a queste esigenze. Il sostegno pubblico, in questo periodo, risultò dunque modesto e, comunque, limitato al sostegno delle famiglie più povere.
La realizzazione di alloggi sociali, negli anni ’20, fu, per alcuni Paesi, un utile strumento per risolvere la crisi edilizia e per affrontare i gravi problemi politici e sociali conseguenti alla Prima Guerra Mondiale. Tuttavia i progetti sociali nati in questi anni prevedevano un sostegno di durata limitata ed erano rivolti alle classi lavoratrici di livello medio-alto.
A seguito del secondo conflitto mondiale i governi della maggior parte dei Paesi, mossi da preoccupazioni riguardo la forte carenza di immobili residenziali, iniziano a studiare delle politiche edilizie più attive. Si assumono quelle iniziative private nate ad inizio secolo con lo scopo di generalizzarle su scala più ampia. Si può quindi affermare che è lecito parlare di vero e proprio social housing solo a partire dalla fine degli anni ’40. In particolare si può pensare di suddividere lo sviluppo dell’edilizia sociale dalla fine della Seconda Guerra Mondiale fino agli anni ’90 in tre fasi[4]
:
Prima fase, 1945-1960: detta “fase della ripresa”, nella quale l’obiettivo principale era riparare i danni causati dalla guerra ed affrontare il problema della carenza di alloggi. Si procede quindi alla costruzione di immobili residenziali che, grazie a importanti sovvenzioni e finanziamenti degli Stati, venivano dati in locazione con canoni al di sotto dei valori di mercato. Tuttavia, la bassa qualità e la scarsa gestione degli immobili stessi rappresentarono due problematiche molto importanti;
Seconda fase, 1960-1975: detta “fase della crescita”, dove a seguito delle problematiche emerse dai programmi di social housing degli anni precedenti ed a seguito di un maggior benessere economico e di una maggiore disponibilità di alloggi, si registrarono le prime unità abitative vacanti. In questi anni si cerca allora di porre una maggior attenzione verso la qualità edilizia e verso il rinnovamento urbano;
Terza fase, 1975-1990: detta “fase delle nuove realtà per l’edilizia”. Fatta eccezione per Paesi come Austria e Olanda (per i quali si è mantenuto un forte coinvolgimento dello Stato fino a inizi anni ’90), i vari Stati tendono a ridurre il proprio impegno economico spostando l’attenzione su altri problemi come gli elevati livelli di inflazione
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e di spesa pubblica. Conseguenza di questo è che il settore residenziale è sempre più guidato dalle forze di mercato e che gli alloggi sociali rappresentano una percentuale sempre minore rispetto agli stock totali e sono rivolti a gruppi sempre più ristretti di popolazione.
2.3 - Il social housing in Europa oggi
2.3.1 - Il ritorno al coinvolgimento del settore privato
Il trend della terza fase prosegue ancora oggi, con una tendenza a tornare al coinvolgimento di iniziative private e no-profit attraverso una vasta gamma di servizi sociali, anche se con continui sussidi governativi e il finanziamento di programmi edilizi.
Oggi nella maggior parte dei Paesi EU1512, troviamo una combinazione delle figure coinvolte, con fornitori pubblici (di solito i Comuni o società dedicate di proprietà pubblica) che spesso coesistono con un settore privato in crescita, costituito principalmente da organizzazioni senza scopo di lucro o con scopo di lucro limitato. In Inghilterra le Housing association (associazioni private senza scopo di lucro indipendenti, preposte alla realizzazione e predisposizione di alloggi low-cost per soggetti in condizioni di necessità di dimora) costituiscono il maggior soggetto fornitore e gestiscono il 54% del patrimonio di edilizia residenziale sociale. In Austria il 60% del patrimonio di edilizia residenziale sociale appartiene ai Comuni e alle società a partecipazione pubblica, anche se nell’ultimo decennio sono state attuate politiche di riduzione della partecipazione pubblica a vantaggio del settore a profitto limitato (limited-profit sector)[2]. Negli ultimi anni questa tendenza è aumentata, con le autorità locali che, nella maggior parte dei casi, si sono ritirate dalla produzione di nuovi alloggi sociali e si sono concentrate sulla gestione dello stock esistente, lasciando il settore privato come il principale responsabile dei nuovi sviluppi.
Per la maggior parte dei Paesi dell’Europa centrale e orientale la situazione risulta diversa in quanto, con l’eccezione di Repubblica Ceca e Polonia, la massiccia privatizzazione dello stock abitativo pubblico avvenuta dopo il 1990, ha fatto sì che alle Autorità locali siano stati lasciati patrimoni di edilizia residenziale pubblica molto ridotti rispetto a quelli di cui disponevano durante il regime socialista.
2.3.2 - L’elevata percentuale delle case di proprietà
Un’altra caratteristica piuttosto condivisa dei mercati immobiliari dell’Unione Europea è l’elevata percentuale delle case di proprietà (home-ownership) nei vari Stati membri (fig.1). Secondo dati del 2010 questa percentuale varia da oltre il 90% per Paesi dell’Europa orientale come la Romania, Estonia e Bulgaria fino al 40% in Germania, l’unico Paese dove il settore locativo è più grande rispetto a quello delle case di proprietà. Quest’ultimo settore risulta piuttosto elevato anche nei Paesi dell’Europa meridionale come Spagna, Malta, Cipro, Italia e Grecia.
12 I paesi membri dell’Unione Europea prima del 01/05/2014: Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia,
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Figura 1 - Caratterizzazione degli stock edilizi degli Stati europei (Housing statistic in the European Union 2010).
Il settore locativo, nel suo complesso, risulta piuttosto ridotto nei paesi dell’Europa orientale e in alcuni paesi dell’Europa meridionale come Spagna, Grecia e Italia. All’interno di questo settore l’importanza dell’affitto privato rispetto a quello sociale varia in modo significativo: in alcuni Paesi l’affitto di alloggi sociali rappresenta oltre il 50% del mercato degli affitti (Paesi Bassi, Austria, Regno Unito, ma anche Paesi dell’Europa orientale che non hanno un settore locativo ben sviluppato), mentre per altri rappresenta un settore marginale all’interno del mercato immobiliare.
In alcuni Paesi inoltre, le cooperative hanno un ruolo preminente nella fornitura di alloggi a prezzi accessibili, tuttavia, ai fini di raccolta di dati statistici, è necessario notare l’ampia diversità nella definizione di queste per i vari Stati membri: Per alcuni Paesi i dati delle cooperative sono inclusi in quelli del settore delle abitazioni di proprietà, per altri nel settore dell’abitazione sociale e per altri ancora sono considerate come una categoria separata. Pertanto, in Fig.1 si può notare che per alcuni Paesi come Austria, Germania, Ungheria, Italia, Spagna, Irlanda e Portogallo, le cooperative non vengono rappresentate anche se queste risultano effettivamente attive in questi Stati.
Nonostante queste differenze, una tendenza che accomuna la maggior parte dei Paesi dell’UE, come si può notare dalla Fig.2, è quella di un aumento delle case di proprietà rispetto agli anni precedenti, tendenza che è stata rafforzata sia da incentivazioni fiscali per gli acquirenti o da programmi che incoraggiavano la vendita di alloggi sociali (come l’introduzione del Right to Buy nel Regno Unito negli anni ’80), ma anche dai bassi tassi di interesse sostenuti negli ultimi anni e da un mercato dei mutui sempre più competitivo. Tra i più “vecchi” Stati membri, quelli con i tassi di crescita più elevati sono i Paesi bassi e il Regno Unito.
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Figura 2 - Trend delle case di proprietà per i paesi europei dal 1980 (Luxembourg Income Study).
Nella maggior parte dei Paesi dell’Europa orientale il rapido aumento delle case in proprietà è principalmente dovuto, come già detto precedentemente, alla privatizzazione del patrimonio abitativo, conseguenza della caduta del comunismo.
2.3.3 - Le dimensioni dello stock edilizio
Al fine di identificare le dimensioni dello stock dell’edilizia sociale nell’area europea è necessario tenere conto del fatto che oltre all’affitto sociale in alcuni Paesi (in particolare per Grecia e Spagna) è possibile fornire abitazioni in vendita a prezzi accessibili per alcune categorie di famiglie. Tuttavia risulta problematico andare a identificare statisticamente questo sottoinsieme, quindi solitamente le dimensioni del settore dell’edilizia sociale vengono illustrate sulla base dei soli affitti sociali come percentuale del totale stock edilizio dei Paesi, come illustrato in Fig.3.
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Figura 3 - Alloggi sociali in locazione come percentuale dello stock edilizio totale (2012 Housing Europe Review, Cecodhas).
I Paesi Bassi sono il paese con la percentuale più alta di alloggi sociali in Europa con il 32% del totale degli alloggi, seguiti dall’Austria con il 23% e dalla Danimarca con il 19%. Anche Regno Unito, Svezia, Francia e Finlandia vantano di un ampio settore sociale[2].
La Grecia rappresenta un caso particolare, in quanto la fornitura di alloggi sociali avviene solo tramite la vendita a basso costo. Si nota anche che, per quanto detto precedentemente, la maggior parte dei Paesi dell’Europa centrale e orientale hanno quote di alloggi sociali in locazione estremamente basse, ad eccezione della Repubblica Ceca e della Polonia per i quali il processo di privatizzazione ha avuto influenze minori.
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Figura 4 - Dati sullo stock di edilizia sociale in Europa (2012 Housing Europe Review, Cecodhas).
Il settore del social housing è in calo dagli anni ’80 per la maggior parte degli Stati tuttavia, negli ultimi anni, in diversi Paesi il numero di richiedenti è in crescita. Tra il 2001 e il 2006, in Inghilterra, le liste di attesa degli alloggi sociali sono aumentate del 57%, mentre in Francia sono stati registrati 1,2 milioni di richiedenti.
Tra il 2000 e il 2008 lo stock di edilizia sociale come quota dello stock edilizio totale degli Stati EU15 è rimasto invariato per Austria, Belgio e Danimarca, mentre si è ridotto per tutti gli altri Paesi.
Successivamente alla crisi economica registrata a partire dal 2007, alcuni governi hanno investito in alloggi sociali come parte di un programma di recupero, utilizzando il social housing come “ammortizzatore sociale”. In Francia, ad esempio, il 2010 è stato un anno record per la costruzione di alloggi sociali, con 131509 nuove abitazioni. Anche in Inghilterra in questi anni si registra un aumento degli alloggi sociali.
2.3.4 - Le diverse interpretazioni del settore
Volendo classificare i modelli di social housing dei vari Stati membri in funzione dei criteri di scelta dei beneficiari e delle dimensioni del settore stesso rispetto all’intero settore residenziale, si ottiene la suddivisione di Fig.5.
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Figura 5 - Modelli di social housing adottati dai vari Paesi europei (Cassa Depositi e Prestiti, 2003).
Si nota che la maggior parte dei Paesi europei adottano il modello “targeted”, mentre il modello “universalistico” è adottato solamente dai Paesi dell’Europa del nord e dall’Olanda.
Tuttavia, se si adotta questa classificazione è necessario tenere conto della presenza di alcuni casi particolari:
Nei Paesi Bassi il social housing si propone, oltre a privilegiare le situazioni di maggior disagio, di offrire soluzioni abitative sia a soggetti con reddito basso sia a nuclei familiari a reddito medio, grazie alle soglie reddituali di accesso piuttosto elevate. Si può quindi optare per varie forme di agevolazione e consentire ai fornitori di offrire alloggi in affitto, il cui canone sia calibrato in base alle capacità dell’occupante o sul prezzo del mercato calmierato;
In Portogallo invece l’edilizia sociale si rivolge alle famiglie a reddito basso ed i fornitori sono prevalentemente di natura pubblica. Gli alloggi possono essere riscattati dopo un certo periodo di tempo ed il loro canone, tipicamente fisso nel tempo, è strettamente legato alla capacità di reddito del nucleo familiare occupante;
In Francia e Germania il modello di social housing risulta essere di tipo targeted, tuttavia vengono offerte sia soluzioni generaliste, vincolando l’accesso all’offerta solo a chi si trova al di sotto di alcune soglie reddituali, sia residuali, privilegiando nell’assegnazione degli alloggi gli individui con particolari necessità di tutela sociale. In Francia i soggetti fornitori sono generalmente pubblici anche se si ammette la partecipazione a soggetti privati no-profit e in alcuni casi privati con scopo di lucro, mentre in Germania i soggetti sono essenzialmente privati.
Per quanto riguarda i meccanismi di selezione dei beneficiari per il modello targeted è necessario distinguere tra i due sottoinsiemi: per il modello targeted-generalista la selezione avviene in base alla condizione reddituale dei vari nuclei familiari impostando un limite massimo di reddito che per alcuni Paesi, come Germania e Francia, risulta essere piuttosto elevato in modo da consentire l’accesso ad un ampia e variegata fascia di popolazione, mentre per altri come l’Italia è generalmente più basso, come di conseguenza anche i prezzi dei canoni.
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Per il modello targeted-residuale invece, la selezione avviene in base al “criterio del bisogno specifico”, basato su condizioni di salute, numerosità del nucleo familiare, età e appartenenza a particolari settori professionali e produttivi.
2.4 - La vicenda italiana: dalle case popolari al social housing
2.4.1 - La Legge Luzzati e la funzione pubblica della casa
Per inquadrare al meglio lo sviluppo del settore dell’edilizia residenziale in Italia è necessario ripercorrere gli eventi storici dalla fine dell’Ottocento, quando l’Italia venne segnata da massicce migrazioni dalle campagne alle città che unite all’assenza di una specifica disciplina statale causò il manifestarsi, sempre più frequentemente, di una carenza di servizi e di pessime qualità igienico sanitarie all’interno dei quartieri. In questo contesto di emergenza abitativa, il 31 maggio 1903 venne approvata la Legge 251 meglio nota come Legge Luzzatti, dall’allora ministro del tesoro che la propose. Questo provvedimento istituisce gli Istituti Autonomi Case Popolari (IACP), enti la cui funzione è quella di ottenere finanziamenti utili per la costruzione di alloggi sociali da vendere, a prezzi ridotti, ad una fascia di popolazione individuata in base al reddito. Lo Stato quindi riconosce per la prima volta la funzione pubblica della casa, tuttavia non interviene direttamente nell’ambito dell’edilizia popolare, ma si limita a svolgere un ruolo regolatorio nei confronti dei privati, favorendo il rinvenimento di finanziamenti e la sostenibilità dei canoni degli affitti. Con il Regio Decreto 27 febbraio 1908, si prevede infatti che gli IACP possano accendere mutui con gli enti mutuanti ordinari, compiere operazioni di credito con la Cassa Depositi e Prestiti e finanziarsi tramite l’emissione di obbligazioni, in modo da incidere il meno possibile sulle finanze dello Stato che, tuttavia, mantiene pieni poteri dal punto di vista decisionale.
Con il periodo fascista si entra in una fase caratterizzata da una maggiore articolazione delle politiche assistenziali e da un intervento più pronunciato da parte dello Stato anche se non assume ancora il ruolo di finanziatore vero e proprio. Il Testo Unico delle disposizioni sull’edilizia popolare ed economica (Regio Decreto 28 aprile 1938), conferisce ai Comuni, società cooperative, Enti (soprattutto gli IACP), società di mutuo soccorso e assistenza o beneficenza, un’ampia capacità di movimento riguardo l’acquisizione delle risorse da destinare alla realizzazione di edilizia residenziale pubblica concessa prevalentemente in locazione, a soggetti individuati secondo criteri prestabiliti. Lo Stato manteneva il controllo centrale sulle forme del diritto concesso (che potevano essere contratti di locazione o patti di futura vendita) e sui piani di realizzazione, stabilendo che l’approvazione di questi spettasse alle autorità tutorie.
2.4.2 - La gestione INA-Case
Successivamente, a seguito del secondo conflitto mondiale, gli edifici distrutti dai bombardamenti sono moltissimi. L’Italia si trova quindi ad affrontare una forte carenza di alloggi ed una grave crisi economica. In questa fase lo Stato assume un ruolo sempre più incisivo, anche se sempre indiretto. Con Legge del 28 febbraio 1949, n. 43, proposta dall’allora ministro del Lavoro Fanfani, il parlamento approvò i “Provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per lavoratori” e si dette avvio alla cosiddetta gestione INA-Case, in quanto i fondi erano gestiti da un’apposita organizzazione
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presso l’istituto nazionale delle assicurazioni (INA). Il programma, che inizialmente prevedeva una durata di 7 anni ma venne poi prorogato per altri 7 (1949-1963), aveva l’obiettivo di creare occupazione e manodopera per la costruzione di case per i lavoratori ed il finanziamento, oltre che prelevando risorse dallo Stato, avvenne attraverso trattenute dell’1,20% sul salario mensile dei datori di lavoro e dello 0,60% su quello dei lavoratori (“l’equivalente di una sigaretta al giorno”, come recitava la propaganda dell’epoca)13.Il piano prende avvio nel luglio del 1949 e nel maggio dell’anno successivo sono già stati avviati 414 cantieri. Grazie alla struttura organizzativa estremamente efficiente si arriva a realizzare 2800 alloggi a settimana, garantendo ogni 7 giorni una casa a 150 famiglie. Dal 1950 al 1962 si arriva a 20 mila cantieri, 40 mila lavoratori impiegati all’anno e circa 6 mila ingegneri e architetti coinvolti14
.
2.4.3 - La nascita dell’ERP e la difficile gestione della domanda abitativa
Successivamente con la Legge 14 febbraio 1963, n. 60 ha inizio la cosiddetta gestione GESCAL (GEStione CAse Lavoratori), un programma decennale per la costruzione di alloggi per lavoratori dipendenti nato dalla trasformazione del piano INA-Casa e disciplinato dalla Legge 14 febbraio 1963, n. 60 “liquidazione del patrimonio edilizio della gestione INA-Casa e istituzione di un programma decennale di costruzione di alloggi per i lavoratori”. Il finanziamento avveniva tramite prelievi effettuati direttamente sulle retribuzioni di dipendenti pubblici e privati, pari allo 0,35%, e dei datori di lavoro, pari allo 0,70%[3].
Dagli anni Settanta si registra un sostanziale cambiamento: la Legge 22 ottobre 1971, n. 865, oltre che essere responsabile di una decentralizzazione soprattutto a vantaggio delle Regioni, istituisce l’Edilizia Residenziale Pubblica (ERP), alla quale faranno capo, con l’emanazione del D.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1036, tutti gli edifici costruiti o da costruirsi da parte di Enti pubblici. Con questo Decreto si sopprimono anche alcuni Enti come la GESCAL (anche se il relativo contributo verrà versato fino agli inizi degli anni ’90), con conseguente trasferimento dei propri beni e personale agli IACP competenti.
Con l’articolo 93 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, si ha il definitivo abbandono del sistema centralizzato in quanto si trasferiscono alle Regioni tutte le funzioni amministrative riguardanti l’edilizia residenziale pubblica.
Con la legge 5 agosto 1978, n. 457, nota come “Norme per l’edilizia residenziale”, per la prima volta si affronta il tema del recupero edilizio del patrimonio esistente oltre che prevedere la costruzione di nuove abitazioni. Questa tendenza venne consolidata fino alla prima metà degli anni ’90 da provvedimenti che mirano alla riqualificazione del tessuto urbano come la Legge 24 dicembre 1993, n. 560, che oltre a segnare l’inizio di un progressivo abbandono dell’intervento diretto dello Stato come amministratore e finanziatore, stabilisce l’alienazione di parte del patrimonio di edilizia residenziale pubblica, al fine della realizzazione di programmi di recupero e riqualificazione per lo sviluppo di questo settore. Questo orientamento fa si che si inizi a porre maggiore attenzione anche alle condizioni sociali, prevedendo interventi come i Contratti di quartiere (avviati nel 1998 e confermati con un secondo programma nel 2002), mirati a migliorare la ridotta qualità urbana presente in molti ambiti aumentando infrastrutture, servizi e zone verdi.
13 Ina-Case, quando l’utopia divenne (quasi) realtà, La Stampa, 20/02/2013. 14 Da: https://it.wikipedia.org/wiki/INA-Casa .
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Il fabbisogno abitativo, tuttavia, tornerà ad aumentare negli anni successivi ma si troverà in contrasto con un patrimonio immobiliare di ERP ridimensionato che dal 1993 al 2008 si riduce di circa il 20%, portando l’Italia a collocarsi al di sotto del 5% come percentuale di alloggi sociali rispetto al totale degli alloggi dello stock in affitto, quando la media europea ammontava al 25%. In particolare il patrimonio di ERP ammontava, nel 2008, a 852.938 alloggi, di cui 763.960 posti in locazione, 23.911 a riscatto e 65.097 in condomini privati, mentre i beneficiari (persone disabili, anziani ultrasessantacinquenni, immigrati extracomunitari e nuclei familiari con redditi inferiori a 10 mila euro l’anno) ammontavano a circa 2 milioni di individui. Geograficamente il suddetto patrimonio si collocava per il 43% al Nord, per il 36% al Sud e per il 21% al Centro, rispettivamente costituiti per l’88,9%, l’88,2% e l’89,8% da alloggi in locazione[3].
A fronte di questa condizione di crescente fabbisogno abitativo, l’ERP risponde con difficoltà in quanto, dal 1998, una volta eliminati i fondi della gestione GESCAL, non fu prevista alcun tipo di risorsa sostitutiva, quindi le uniche entrate furono quelle derivanti dalla gestione del patrimonio edilizio. Queste ultime possono essere suddivise in risorse straordinarie, derivanti dalla dismissione degli alloggi in modo da acquisire fondi per nuove costruzioni o recuperi edilizi, e risorse ordinarie, derivanti dai canoni. Tuttavia, i prezzi di dismissione notevolmente al di sotto dei valori di mercato (nel 2008 il prezzo medio di un alloggio di ERP ammontava a 53 mila euro al Nord, 30 mila euro al Centro e 16 mila euro al sud), uniti al valore ridotto dei canoni medi di affitto (nel 2008 ammontava a 1.403 euro al Nord, 1.086 euro al Centro e 940 euro al Sud) che si rivelarono insufficienti perfino a garantire la manutenzione conservativa e ordinaria, hanno fatto si che l’ERP non potesse essere in grado di gestire al meglio la crescente domanda abitativa.
2.4.4 - Il social housing a sostegno della fascia grigia
Questo fenomeno di innalzamento della domanda non risulta imputabile alle categorie meno abbienti, per le quali dagli anni ’90 la necessità di prevedere alloggi sociali si è addirittura ridotta, ma risulta causato dall’ampliarsi della cosiddetta “fascia grigia” della popolazione, comprendente quelle categorie le cui condizioni economiche non sono tali da poter accedere ai meccanismi di ERP, ma che tuttavia hanno difficoltà a rivolgersi direttamente e in modo confortevole sul mercato.
Un esempio fra tutti è quello dei giovani italiani: secondo le stime dell’Ocse, nel 2014 il 52,5% degli under-25 italiani aveva un contratto di lavoro precario, mentre nel 2000 questa percentuale ammontava al 26,2%. Questa precarietà lavorativa che grava su questa categoria ne determina in molti casi l’impossibilità di accedere ad alloggi in affitto o in proprietà. Dall’altro lato il fatto che l’offerta di alloggi di ERP si sia ridotta del 90% dagli anni ‘80 al 201015
, ha fatto si che le nuove assegnazioni si concentrassero sempre più su una fascia di popolazione avente un urgente bisogno abitativo, contribuendo sempre più a caratterizzare l’ERP come uno strumento di emergenza. Altri fattori determinanti per la nascita di questa nuova ed eterogenea domanda sono sicuramente la diminuzione del potere di acquisto delle famiglie, l’incremento dei prezzi di mercato, l’aumento del numero di divorzi e separazioni ed un incremento della popolazione anziana che vive sola, legato all’innalzamento dell’aspettativa di vita della popolazione.
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Vi è quindi la necessità di adottare politiche abitative che riescano a rispondere alle esigenze di questa fascia grigia, il cui nome rende chiara la varietà delle categorie presenti al suo interno ed il fatto che queste siano rimaste “in ombra” fino ad ora, essendo escluse da ogni tipo di politica abitativa. Il social housing italiano si muoverà proprio in questa direzione assumendo come elementi distintivi la focalizzazione su queste categorie di individui, l’interesse a combinare obiettivi sociali, economici ed ambientali e l’assunzione di un modello di tipo targeted generalista, affidando quindi la realizzazione degli obiettivi delle politiche abitative in misura prevalente ai mercati, individuando come beneficiari quella parte di popolazione per la quale i prezzi proposti dal mercato risultano inaccessibili.
È quindi lecito pensare che, in ambito italiano, con l’espressione social housing o edilizia residenziale sociale (ERS) si faccia riferimento ad un nuovo modello, parallelo a quello dell’ERP, che cerca di rispondere alle nuove esigenze abitative che si verificano in questo periodo oltre che promuovere una serie di funzioni di utilità collettiva e altri interventi come l’inserimento di spazi di aggregazione sociale all’esterno dei quartieri e l’incremento di servizi e infrastrutture.
2.4.5 - Il quadro attuale
Un primo passo verso l’implementazione di questo nuovo modello si ha con l’introduzione dell’articolo 11 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 (c.d. “Piano Casa”). Questo articolo prevede l’approvazione, tramite un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di un piano nazionale di edilizia abitativa avente come scopo “l'incremento del patrimonio immobiliare ad uso abitativo attraverso l'offerta di abitazioni di edilizia residenziale, da realizzare nel rispetto dei criteri di efficienza energetica e di riduzione delle emissioni inquinanti, con il coinvolgimento di capitali pubblici e privati”. Il piano, in allegato al D.P.C.M. 16 luglio 2009, è articolato in sei linee di intervento che prevedono, tramite finanziamento privato e pubblico, la realizzazione di abitazioni residenziali (tramite la costruzione di nuovi alloggi e/o la riqualificazione dell’esistente) da destinarsi prioritariamente a prima casa a soggetti come nuclei familiari a basso reddito, giovani coppie a basso reddito, anziani in condizioni sociali o economiche svantaggiate, studenti fuori sede o immigrati regolari a basso reddito.
Successivamente, con il Piano Casa 2014, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 28 marzo 2014, si provvederà sia ad incrementare l’offerta di edilizia residenziale pubblica ma anche ad agevolare lo sviluppo del settore del social housing. Per quanto riguarda l’ERP, oltre che prevedere l’alienazione a favore dei beneficiari in modo da poter realizzare nuovi alloggi popolari con gli introiti ottenuti, vengono stanziati fondi da destinarsi al miglioramento del patrimonio esistente. Per favorire lo sviluppo dell’edilizia residenziale sociale invece si prevede la possibilità da parte degli inquilini di riscattare gli alloggi sociali al termine della locazione settennale, oltre che prevedere agevolazioni e detrazioni fiscali riguardo gli alloggi sociali in locazione.
L’evoluzione dell’edilizia residenziale italiana ha portato oggi giorno ad avere ben tre tipologie diverse sostenute economicamente attraverso le risorse pubbliche ovvero, l’edilizia sovvenzionata, l’edilizia agevolata e l’edilizia convenzionata. Queste tipologie si differenziano in termini di meccanismi finanziari, ma anche dei soggetti fornitori e di quelli beneficiari, oltre che per le diverse forme del diritto di occupazione previste (Fig. 4).
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Figura 6 - Tipologie di edilizia residenziale in Italia (Cassa Depositi e Prestiti).
la fascia grigia può accedere ai meccanismi di edilizia convenzionata e/o agevolata, in proprietà o in locazione, mentre l’edilizia sovvenzionata è esclusivamente rivolta a coloro che rientrano nelle graduatorie di ERP, i quali hanno un reddito inferiore ai 10500 euro annui. L’edilizia convenzionata e quella agevolata hanno l’obiettivo di costruire alloggi da destinare a prima abitazione a costi ridotti i quali contributi vengono concessi attraverso cooperative o imprese di costruzione che, a seguito della partecipazione a bandi di concorso regionali, sono ammesse ai finanziamenti per realizzare alloggi aventi caratteristiche e tipologie stabilite e a costi inferiori rispetto a quelli concorrenti.
Si riporta di seguito la composizione del patrimonio residenziale gestito dalle Aziende Casa negli anni 2013-2014[1].
Alloggi gestiti
In locazione % sul totale A riscatto % sul totale Totale
Nord 323.279 44 18.860 38 342.139
Centro 155.718 21 19.277 39 174.995
Sud 263.019 35 11.758 24 274.777
Italia 742.016 100 49.895 100 791.911
Tabella 7 - Patrimonio residenziale gestito dalle Aziende Casa (Ufficio studi e statistica Federcasa, 2013-2014).
Nel patrimonio sopra descritto sono inseriti poco meno di 2 milioni di persone riportanti situazioni di estrema fragilità sociale, fra cui 145mila persone disabili, 413mila anziani ultrasessantacinquenni, 142mila immigrati extracomunitari, con oltre un terzo delle famiglie che dichiara redditi al di sotto di 10mila euro l’anno.
2.4.6 - I vantaggi della riqualificazione
Come si è potuto osservare, la maggior parte degli alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica sono sorti, nelle periferie delle città italiane, a partire dagli anni ’50 fino agli anni ’70 del novecento, in un ottica che mirava a ridurre tempi e costi di realizzazione a causa della sempre più crescente domanda abitativa. Secondo quanto affermato da Federcasa (federazione che associa 103 enti che costruiscono e gestiscono abitazioni sociali in Italia realizzate con fondi pubblici, fondi propri e con prestiti agevolati), al giorno d’oggi infatti, “oltre la metà del patrimonio di edilizia residenziale gestito, circa 500.000 alloggi, è classificato ad alto consumo energetico (classi E, F e G) e le famiglie che vi abitano impiegano più del 10% del loro reddito