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Archivio storico della provincia di Salerno. A.6, n.1/3(1927)

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI S A L E R N O

BIBLIOTECA

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A R C H I V I O S T O R I C O

DELLA

PROVINCIA DI SALERNO

Anno VI.

S O M M A R

1. C ontroversie p o litic h e ed econom iche f r a s a le r n i­

tani, cavesi ed anche a m a lfita n i — Ra f f a e l e

Ba l d i ... 2. D i un a ntico tem pio in C a stig lio n e — ? . E. Bi l o t t i 3 . C o n tin u a zio n e della C ronaca d i A n to n io S ta s ­

sano — An d r e a So r r e n t i n o .

4 . X C ongresso dei G e o g ra fi ita lia n i.

Fase. I. p a g . 3 » 2 3 . 3 4 6 3 SALERNO

P R E M IA T O STA B . T IP . SPA D AFO RA 1927

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ARCHIVIO STORICO

Dk i l l a

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Controversie politiche ed economiche

fra salernitani, cavesi ed anche amalfitani

È fuori dubbio che fra Salerno, Cava ed Amalfi, cioè fra i centri più insigni di memorie e più cospicui di traffici che vanti la nostra provincia, i rapporti storici non siano stati costantemente amichevoli, esposti a molteplici cause di contrasti e antipatie, di cui la memoria ancora non langue.

Infatti ostilità e malumori, che alimentarono e travagliarono specialmente i quasi comuni antenati della “ nuova città di Salerno .,

e della valle metelliana non so n o tuttora, se pure attutiti

dalle trasformate condizioni della vita in genere, interamente spenti e, almeno nel ricordo, quasi eco lontana, rivivono ad ogni più lieve occasione. Senonchè è lecito ritenere che nessuno dei v i­ venti salernitani e cavesi, che sentano a un tratto rifiorire dalle oscure profondità della coscienza la voglia di pungersi anche soltanto con frizzi mordaci e con amene storielle, che segnavano un tempo, dove più dove meno, il ritmo della ristretta vita m u ­ nicipale, sappia ritrovare non solo nella memoria ma nella storia benanche — e alludo a quella ammanita dagli eruditi locali dei due paesi — notizie sufficienti per spiegarsi cosa mai fossero in origine quelle panzane che, dal Rinascimento in poi, si diffusero tanto da superare i confini del mezzogiorno, che ascesero talora, fra i sali mordaci e le risa giocose, il palcoscenico di teatri p u b ­ blici e privati e dettero, così, principio a un genere drammatico assai divulgato col nome di F arse C avajoìe (1), in cui i cavesi finivano col riportarne la peggio.

Ricercare, almeno fin dov’ è possibile, con l’ausilio di docu • menti non del tutto ignoti, ma non a b b a s ta n z a valorizzati nei loro

(1) 1! N a p o li-S ig n o re lti è il primo che si occu p i diffusam ente di questò genere drammatico. Cfr. Voi. IV di “ V icende della Coltura n elle D ue S i­ cilie „ — pag. 549 e seg.

Senonchè lo scritto del Signorelli è inquinato da errori e p reg iu d izi non pochi, alcuni dei quali già rilevati dal Torraca nel suo studio fonda- mentale sull’argom ento. Cfr. F rancesco T orraca — A neddoti di Storia Lett- Napoletana — Pag. 281 e seg. — Città di C astello — MCMXXV.

In un prossim o futuro tratteremo am piam ente la quistione nei su o i più tfiinuti particolari.

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elementi essenziali, le origini prime di questi contrasti, che di­ vam parono massim am ente fra Cava e Salerno e o n d e certamente trassero motivo le ricordate rappresentazioni comiche, che alla corte aragonese e nella Napoli del quattrocento trovarono terreno adatto al loro fiorire, sarà compito del presente lavoro che vuole, senza stupidi risentimenti municipali, contribuire alla scoperta di u n a verità che potrà essere utile agli storici e ai letterati.

-*

* *

Noi non ci riferiremo nella nostra indagine al tempo incerto che precede il mille che fu, anc he per queste contrade romano­ barbariche, l’a u ro ra di una nuova vita. Placati vincitori barbari e vinti romani nella parola di Cristo, onde i vinti vincevano a lor volta la tracotanza degli oppressori, fuse in u n a sola due civiltà e due coscienze reluttanti fra loro, s’apriva per tutti un ’era feconda di pensieri e di opere. Fu ap punto in q u e st’epoca, tra la fine dell’ultimo principato longobardo dell’ Italia meridionale e il sorgere della dominazione n o rm an n a che, a poca distanza da Salerno, in u n a cava d i M etellìano non sconosciuta agli eremiti, Alferio P ap p ac arb o n e , signore longobardo di stirpe regia, fondò la Badia della Santissima Trinità. I modesti principi di questa badia, rifugiatasi in una cava o grotta (crypta arsicza) (1), non po­ tevano destare, e non d e starono infatti nei primi tempi, nessuna preoccupazione: chè anzi la città di S alerno tenne a battesimo questa nuova stazione cristiana, sorta nell’ ambito delia propria giurisdizione (gli antichissimi villaggi cavesi di Mitiliano o Metel liano, Priato, Pasciano, Balnearia ecc. dipendevano dalla Curtis

R e g ia del principato longobardo salernitano), e permise non solo

ma favorì in ogni modo il suo nascimento prima, il suo augu mento poi. Tuttavia gli ultimi tre principi longobardi — Guai- maro III, Q uaim aro IV, Gisulfo 11 — p u r aiutando come con­ sentivano i tempi le sorti del nuovo cenobio benedettino — a Salerno i benedettini possedevano già il convento di San Massi mo — non esagerarono in concessioni verso i monaci, come

(1) G ro tta A rsic ia si d isse la primitiva dimora dei santi padri cavensi

e V alle A r sic c ia la località a occid en te di Maiori. A lm eno c o sì il Camera si esprim e nel descrivere i confini di Maiori, la quale “ g ia c e in una bella pianura, confinante da settentrione con Tramonti, da oriente con Minori, da occid en te con la V alle A rsic c ia in tenim ento della Cava.... „. Cfr. Matteo

C am era — Istoria della Città e C ostiera di Amalfi — N ap oli - - Stamperia

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fecero dopo di loro i principi norm anni, che giunsero tino a disfarsi a loro vantaggio del C a stru m S a n c ti A d iu to ris, del P o rto

di Vietri e di altri diritti, allargando cosi a tutta la vallata, com ­

presa tra le m ontagne di Nocera da una parte e il mare dall’altra, la giurisdizione feudale dell’abate di C a v a ( l ) .

I due Guaimaro e Gisulfo, che p ure erano imparentati con Alferio e Pietro P a p p ac arb o n e — primo e terzo abate della SS.ma Trinità - - mantennero in limiti piuttosto ristretti il nascente feudo benedettino; la cui' primitiva giurisdizione non superava il territorio vero e proprio della badia. E si capisce il perchè di questa differenza di trattamento fra longobardi e normanni.

II principato di Salerno era un dominio abbastanza definito, come non lo fu più tardi la m onarchia norm anna dell’ Italia m e ­ ridionale, e i longobardi salernitani, a differenza dei loro s u c c e s­ sori che spostarono l’asse della dominazione dal primo c e n tro della loro fortuna e lo portarono anzi tanto lontano, non potevano certo consentire che vicino a Salerno e in concorrenza con essa sorgesse un altro potere, sia pure quanto si vuole spirituale, che comunque poteva minare la compagine dei principato stesso e dar luogo a competizioni nei vari campi dell’attività umana. C h ’ essi non s’ ingannassero si vedrà da quanto in seguito esporrem o (2).

La Badia di Cava non costituì dunque, nel concetto soprat­ tutto dei due Guaim aro, un dominio nuovo e l’abate di Cava non sembrò loro un vassallo possibile a diventar rivale.

Con molta simpatia, che traluce dai documenti di concessione, essi assistettero all’alba dì Cava m etellia n a e non sospettarono certo che la “ creatura nova „ potesse levarsi così alto, partico­ larmente nei traffici, da suscitar gelosie e apprensioni legittime tra i propri sudditi, la cui struttura morale si era affermata nel-

\’U niversità medica e la spina dorsale economica si veniva costi

tuendo, se non era già costituita, nella famosa Fiera d i S. M a tteo , ben nota ai nostri novellatori trecenteschi.

Senonchè i concetti che poterono guidare principi locali a guarentigia d ’interessi strettamente locali, non informarono più tardi

(1) Per il periodo preabbaziale cfr. Codex D ip lo m a tic u s C aven sis (d o ­ cumenti riportati nei primi volum i) — N apoli — Excudebat Petrus P iazzi — MDCCCLXXIII — Per il periodo ab baziale longobardo cfr. P a u l G uillaum e— Essai historique sur l ’ abbaye de Cava — Cava dei Tirreni — 1877.

(2) Cfr. docum ento riportato in ap pendice. In e s s o i c a v e si con ten ­ denti coi salernitani appaiono essere principalm ente “ religiosi viri abbas et conventus M onasterii ca v en sis „ i quali, per la nomina dei giudici e dei notai, si basano sulla “ c o n cessio n e catholicorum regum S icilie „.

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i dominatori nuovi, ab b a s ta n z a lontani colla persona e col cuore dalla provincia, quale in buona sostanza era divenuta, se pure non ancora decapitata del tutto, la longobarda Salerno. Non più centro vitale d ’un principato, ma membro, sia p ure preminente, d ’un organism o politico più vasto ella fu ai tempi del dominio no rm an n o . E che Salerno fosse giustamente orgogliosa dei suoi privilegi e timorosa di perderli, s ’intuisce da una eloquente vicenda del periodo svevo.

Q u a n d o nel 1224 Federico II fondò lo S tu d io napoletano attirandovi, con molte lusinghe, scolari e maestri, egli mirava, senza dubbio, a fare la concorrenza all’università dei salernitani, e questi certamente se ne dovettero preoccupare. Di qui la varia fortuna dello Studio napoletano e l’atteggiamento non ben chiaro e definito dello stesso Federico di fronte alle nuove scuole, le quali furono pure sciolte dopo pochi a nni dalla loro istituzione e riformate poi nel 1234, secondo n a r ra Riccardo da San Germano.

Dopo la morte di Federico che nel 1239 aveva, per interces­ sione di maestri e scolari, allontanato u n ’altra minaccia di scio­ glimento, il figlio C orrado venuto dalla G erm ania “ ne! parlamento di Foggia (febbraio 1253), fece deliberare che Io studio fosse

trasferito a Salerno Da questo intrecciarsi di eventi relativi ai

maggiori centri di cultura — i soli riconosciuti — della monarchia sveva, è lecito d ed u rre che non le sole discordie tra Chiesa ed Impero im prontassero le molteplici contrastanti e a volte irresolute decisioni sovrane, ma anche influissero segreti m aneggi, più o meno confessate inframmettenze, gelosie di maestri, preoccupa­ zioni di scolari e di famiglie, orgogli cittadineschi stretti tutti intorno al più vecchio tronco dell’università salernitana, famosa in Italia e fuori. C orrado, nuovo nel regno, di fronte allo stato di liquidazione del giovane S tu d io napoletano, dovè volentieri prestare orecchio alle voci levatesi a difesa di Salerno, la cui rinomanza, a cagione dei suoi dotti medici, gli era giunta fin nella Germania. Perciò “ in v ita t rex C o n ra d u s stu d e n te s in scolas

que s ta tu e r a t in S a lern o „ e invita altresì a S alefno Pietro da

Casoli e Pietro da Isernia, giuristi insigni “ che avevano reso grandi servigi a suo p ad re ,..

Leggiamo, per curiosità, il testo della circolare di Corrado, concepita nello stile retorico accreditato dai dettatori bolognesi : “ O voi tutti che bram ate di bere la coppa dell’Elicona, venite di buon grado, venite a Salerno, dove condirete gli animi vostri con il sale della sapienza I O voi, che adottate per m adre la filosofia, correte alla sua dimora; correte voi che volete essere educati

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nelle sue delizie. Tutti sanno infatti, che la scienza è speciale gradinata alla virtù, la quale, dai fasci pesanti alle fasce dell’onore, dai fastidi ai fastigi, solleva chi la possiede, mutando i poveri in ricchi, gl’ignoranti in eruditi, gli oscuri in illustri. Chi dunque, che abbia fior di senno, non si compererà le incomparabili perle? Chi, se non fosse uno stolto, torpido per accidia, non accederà al balsamo della vita per coglierne frutti gloriosi ? Rompete gl’in ­ dugi, con celere piede avviandovi alle scuole, dove ciascuno studii le cose imparate in m o d o da conseguire in seguito onore e vantaggio „ (1).

Dunque Salerno la vinse e conservò la sua Università indi- sturbata, ma per poco ancora, giacche ormai le sorti dello S tu d io napoletano maturavano e non valsero in seguito priorità di fon­ dazione, antichità e gloria di nome a contrastare il definitivo consolidarsi nella vicina Napoli del nuovo centro di cultura, che doveva a poco a poco, dopo secoli per altro, compromettere, fino ad assorbirlo, il più vecchio e glorioso.

*

* #

Queste premesse fanno intendere agevolmente le successive divergenze fra i vari paesi limitrofi, specie fra Salerno e Cava. Se per il secolo decimo e undecimo non ci restano memorie che pongano in chiaro rilievo le controversie fra i salernitani e i cavesi, queste non vanno tuttavia escluse anche per quell’ epoca più antica. Gli abitanti della deliziosa convalle metelliana, dispersi per i numerosi casali aggrappati alle verdi colline, dovevano certo soffrire nella condizione di vassalli del principe longobardo che, a vigilarli, aveva un suo proprio officiale nel Castello di San t’ Adiutore. La necessità di trattare i propri affari nella C u rtis

R egia di Salerno e la vista delle proprie terre in possesso dei

signori di quella città, con tutte le iniquità e le vessazioni ine­ renti ai tempi e che è più facile intuire che descrivere, creava indubbiamente un ’ agitazione nell’ animo dei dipendenti m etellia ni, i quali dovettero respirare nel passaggio graduale dal dominio più ferreo dei longobardi a quello più mite degli abati. La sosti­ tuzione di un monaco cavese al gabarreta salernitano sulle torri del Castello, che dom ina la vallata, era indizio certo di vita nuova, di libertà maggiore, di diminuiti pericoli e minacce. O n d ’ è che i cavesi, scossi i legami che li avvincevano a Salerno,

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_ 8 —

fono rapidam ente una propria fisonomia giuridica e, nelle inter­ ferenze colla Badia, appresero anche le arti civili : sopratutto il commercio.

Importante eia divenuto, in processo di tempo e a seguito delle contini e concessioni e donazioni, il commercio particolar­ mente marittimo dei benedettini di Cava. Il porto di Vietri, quello del Traverso in Lucania e le innum eri borgate passate al loro dominio nel Cilento e altrove avevano messo i benedettini di Cava in condizione di poter esercitare coll’ Oriente e coll’ Africa set- tentriona'e la p.ù larga, la più intensa attività commerciale, Pos sedevano una nave oneraria, carte nautiche e - ciò che non do- vea m ancare e più monta — vettovaglie d a esportare. A Costan­ tinopoli, per tacere di altro, custodivano la chiesa di Santa Maria Latina (1).

Non è da meravigliare quindi che a un a simile scuola i c a ­ vesi ben presto im parassero tutti gli accorgimenti propri dei traffici.

Essi erano prossimi d ’ altronde ad Amalfi, e, in ogni caso i benedettini non facevano che ripercorrere le vie già bat­ tute da quella g’oriosa repubblica m arinara, continuando una tradizione che minacciava di disp erd e rsi. E sarà vero che Giorgio d ’ Antiochia, trovati fra i p rigionieri fatti nel 1146 presso Costan­ tinopoli alcuni esperti nell’ arte delia seta, li m an d ass e in Cava,

ove già era in uso il tessere lino e canape (2).

D u n q u e una nuova entità storica, un n u o v o centro di vita alacre s ’ era venuto form ando a pochi passi d a S alerno e da Amalfi; e questo centro, per la sua felice posizione geografica, per P,indirizzo sagace dei figli di San Benedetto e per la natia virtù, delle miti popolazioni abitanti la fertile vallata di Metello, era tale da destare apprensioni, gelosie e rivalità d ’ ogni genere.

Che le rivalità fossero soprattutto commerciali ma anche politiche, è provato dal fatto che esse non corsero soltanto fra salernitani e cavesi, ma anche fra salernitani ed amalfitani e fra cavesi ed ama fitani. Il Settembrini osserva a proposito “ che Salernitani, Cavoti (?), Amalfitani si davano, e si d a n n o ancora,

(1) Cfr. G. A. C a fa ro — D ell’ Attività Com m erciale e Marittima dei b e­ nedettini di Cava nel m e d io -e v o — in “ R ivista Storica Benedettina „ — Voi. XII e XIII - 1921-1926 - Roma.

(2) Cfr. G. A b ig n e n ie — Gli Statuti inediti di Cava dei Tirreni — V o­ lume II — Cap. I - p&s 7 — Roma — L oescher - 1886.

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la baia fra loro; e i Cavoti hanno le beffe maggiori „ (1). E s a r à opportuno ricordare che fra Salerno ed Amalfi, vigendo ancora il principato longobardo, ci furono particolari ragioni di dissenso che spinsero gli amalfitani all’ uccisione di Guaim aro IV, per la qual cosa Gisuifo II, figlio dt 11’ ucciso, inferocì contro qualsiasi amalfitano gli venisse a tiro. Una volta, anzi, dovè intervenire lo abate di Cava, Pietro P appacarbone, a liberare dalle mani dell’in

dignato congiunto tre amalfitani, cui Gisuifo aveva ordinato fos sero cavati gli occhi (2).

Però, per trovare un docum ento che accenni a divergenze speciali fra salernitani e cavesi, bisogna arrivare al 26 luglio 1290. Esso è costituito a a una lettera di Carlo II a Pietro de G uisauc

“ militi Vicario Principatus et *Stratigoto Salerni ed accenna ad

una contesa sorta tra “ cives S a le rn i ex una p a rte et h om ines

Cave ex altera ex creaclone iud icu m et n o ta rio ru m in eadem terra Cave, quos p reten d u n t p re d ic ti cives S a le rn i de eorum civibus ex co nsuetudine servata hinc h a cten u s creari debere, homines Cave de eorum h om inibus de ju r e creari debere.... „.

La contesa non si limita al. campo dottrinale e legale perchè da essa, continua la lettera, “ d iscrim in a rissa ru m p ro ven iu n t, quies

pacis su b d u citu r et scandalorum p ericu lu m sem in a tu r

Per la nomina dei g i u d i c i ,e dei notai nel territorio cavese la pace tra Salerno e Cava veniva m essa a repentaglio ! Ogni occasione era dunque buona per accendere discussioni ; e litigi, che a volte trascorrevano ad eccessi tali da richiamare l’attenzione delle superiori autorità. Questo fatto rivela abbastanza il carattere sospettoso e diffidente delle due popolazioni e fa spingere lo sguardo, al di là della p ura e semplice nomina di alcuni pubblici uff ciali, fin nel più profondo della vita quotidiana, agitata e com mossa da interessi più vicini e più assillanti. Senza dubbio sotto a questo straio di controversie legali transeunti e non irreparabili, c’era una ben più grave controversia che s ’identificava nella gara economica, lentamente emersa dal seno degli avvenimenti e

sem-(1) Cfr. L u ig i S e tte m b r in i— Il N ovellino di M asuccio S a le r n ita n o _ Napoli — Ed. Morano - - 1874— pag. 249 e seg.

(2) Cfr. P a u l G uillaum e — Op. cit. — D el resto non mancano, anche nella storia anteriore a questo periodo, segn i d ’ inim icizia tra Salerno ed Amalfi. Nel seco lo V ili, tra il 783 e il 785, 11 principe salernitano Arechi assali, col pretesto di certe “ g iu stizie, tolte a uomini su oi e non volute restituire „ la città di Amalfi, e ne m ise a sa cco e a fuoco i dintorni. Cfr.

M ichelangelo Schipa — Il M ezzogiorno d’ Italia anteriormente alla monar­

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— 10

-pre meglio affermatasi col passar degli anni. Al 1290, data della lettera di Carlo II, la Badia contava circa tre secoli dì vita, che e r a n o stati dei più gloriosi e avevano segnato una continua prò

gressiva conquista: i cavesi quindi vantavano a n c h ’essi una storia tre volte secolare, che dava loro diritto, nelle mutevoli fortune dei principati e del Regno, di accam pare la propria personalità giuridica e morale, ormai delineatasi con caratteri inconfondibili (1).

Intanto è da notare che, a poco a poco, i borghi sparsi pei colli si venivano avvicinando nella valle dove un altro borgo, quello degli Scacciavento, s ’accresceva dei continui contributi che ad esso inviavano Priato, Pasciano. Mitiliano, Balnearia e gli altri casali rupestri. U n ’imagine sacra — la M ad o n n a dell’OImo — era stata prodigiosam ente trovata nella boscaglia contigua al borgo degli Scacciavento e, attorno ad essa, gli abitanti scesi al piano si. erano stretti, dimenticando il p adre com une S an t’Alferio e il protettore vescovo africano S a n t’Adiutore. U na nuova vita, in conseguenza, ferve e pulsa nell’arteria principale, che si chiamerà Borgo G ra nde, ossia, secondo il latino dei notai, M agnus B urg us, denom inazione questa che s ’ im porrà all’ altra di Scacciavento ricavata dalla maggior famiglia del luogo. N on molto dopo un papa battezzerà col nome di C ivita s (2) l’ intero corpo di casali che, nel Rinascimento, si presenteranno a Gioviano Pontano ap punto come una civ ita s sebbene vica tim d is trib u ta (3).

Tuttavia, mentre questa evoluzione graduale e costante si manifesta nelia Valle M e te llia n a , non m ancano altre occasioni di

divergenze tra le popolazioni di Salerno e Cava.

Da un documento, posteriore al precederne di soli sette anni, ricaviamo notizie più concrete intorno alle asp re contese di quegl i abitanti. In tale docum ento s p u n ta anche la menzione di Amalfi. Leggiamolo :

“ Scriptum est domino Gentili de S. Georgio capitaneo Terre laboris comitatus Molisii et ducatus Amalfie. Pridem vobis per literas nostras iniunxim us de nonnullis excessibus per homines Salerni et Cave u trin q u e co m m issis (4) sec u n d u m justitiani

corri-(1) La lettera di Carlo li a Pietro de G uisauc v ien e da noi pubblicata per la prima volta integralm ente in fondo a queste pagine. Essa ci è stata com unicata dal dott. A lessandro C utolo del R egio A rchivio di Stato di N a­ poli, che qui ci piace di ringraziare pubblicam ente.

(2) Cfr. P a u l G uillaum e — Op. cit.

(3) Cfr. G iovian o P o n ta n o — D e b ello neapolitano — Voi. V della R ac­ colta del Gravier — pag. 36.

(4) Forse si allude alla con tesa sorta sette anni prima. L’ utrinque

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-gendis; Nuper autem per eosdeni C avenses gravis auribus nostris est impacia quedam querela continens capitula infrascripta vide- licet; quod iidem Salernitani C avenses ipsos diffidaverunt et post diffidationem eamdem capiunt, spoliant et affigunt homines Cave et S. Adjutoris euntes ad civitatem eamdem, vel eius districtum, et alibi ubicumque eos inveniunt edicto publice prepositum per contractum ut nullus de predicta T erra Cave et S. Adiutorij audeat ad predictam Civitateni accedere, vel districtum ipsius, et si ac cesserit privetur, vel spolietur rebus om nibus q u as portat et condemnetur ad certam pecunie quantitatem, et ex premisso edicto multi homines diete T erre capti sunt, verberati et spoliati per Salernitanos eosdem, positis nihilominus per Universitatem Civi- tatis eiusdem insidiatores in certis passibus ad dieta maleficia perpetranda, nec non hostili more Salernitani predicti de nocte se intrusuros minantur, ac ignem immissuros per forias T erre predicte. item quod dominus Riccardus Rogerij de Salerno et undecim alij locumtenentes Universitatis Salerni requisiverunt et requiri fecerunt homines Casalium ipsius T erre ac civitatis Amalfie ut essent et iurarent cum hom inibus Civitatis eiusdem contra homines Terre predicte quos, cum nollent, diffidaverunt, ita quod nullus de Amalfia, et Casalibus audeat accedere ad civitatem eamdem. Item quod dicti duodecim locumtenentes Universitatis Salerni statuerunt in portis om nibus Salerni porterios de inelio- ribus eiusdem Civitatis, qui neminem de Cave et pertinentiis eius Civitatem ipsam intrare permittant, dicentes eisdem volentibus intrare si vis intrare condem naberis ad arbitrium duodecim eo- rumdem. Item quod dicti locumtenentes requisiverunt et requiri fecerunt alias Universitates convicinas, ut essent cum eis contra homines diete Terre Cave. Item quod post mandatum factum, ut dicitur sub pena hominibus Salerni, q uam plure s de Salerno ve- nientes ad plagiam veteris territorii Cave, ap e ruerunt, et aperiri fecerunt more predonio et furtive apothecas loci predicti, et carnes salitas in maxima quantitate que erant ho m in u m T erre predicte abstulerunt abinde ammalia, que portaverunt dictas carnes occi- derunt, ac patronos eorum ceperunt et ductos Positanum per mare mercaverunt, et in diversis partibus faciei. Item quod homines Positani requisiti prò parte hominum Civitatis predicte, ut sitni- liter essent, et jurarent cum eis contra hom ines Cave, petierunt propterea franchitiarn seu immunitatem in Civitate prefata, et ipsi parati erant rnortem dare, et recipere prò e is; Quo peracto et completo cum galea armata un a transeuntes per plagiam veteris territori]' conclamando ad robbam ad robbain Cavensium conati

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sunt descendere ad incurrendum per forias T e rre predicte, et etiam descendissent nisi homines dictarum foriarum ibidem parati ad defensionem restitissent eisdem. Item quod prò quolibet contra voluntatem Stratigoti eiusdem Civitatis Salerni, homines armati exeunt Civitatem eamdem insidiando de morte, condemnatione et combustione hominum et bonorum Cavensium, volentes sol dare m alandrinos, si m alandrini predicti illud a n n u e re vellent; S u p e r q uibus nostre provisionis remedio implorato devotloni vestre m andam us, ut illud exinde facere studeatis q u o d Regie Curie ac fidelium status videritis convenire. Datum Melfie per Nicolaum Fricziam de Ravello, locumtenentem Protonotarij Regni Sicilie die 25 madij X Indict. an. 1297 „ (1).

Sette anni innanzi Salernitani e Cavesi erano venuti alle mani per una quistione di competenza circa la nom ina dei giudici e dei notai ed ora i dissidi continuano in una forma assai più vio­ lenta, che denunzia il radicarsi di uno stato d ’animo pieno di pericoli per la pace di un esteso territorio.

Poiché traspare dal docum ento sopra citato che i Salernitani sollecitarono contro i cavesi la solidarietà dei paesi vicini e s a n ­ cirono e applicarono contro la terra di S an t’Alferio e Sant’Adiutore sanzioni trem ende che non si peritarono di affidare a pubblici editti. Ai cavesi era inibito presentarsi nel distretto di Salerno e a quelli di essi che non osservavano tale divieto si accarezzavano m anzonianam ente le spalle, giungendosi fino a spogliarli dei loro averi. C he tanto nascesse da rivalità commerciale e dall’invidia delle ricchezze acquistate nei commerci fortunati dai cavesi si ricava, oltre che da una posteriore novella di Masuccio, dal me­ desimo documento che abbiam o sott’occhi. In esso è detto che una volta i Salernitani, venendo in gran num ero a Vietri di Cava (2), asportarono dalle botteghe, m ore p red o n io et fu r tiv e , carni salate in g ra ndissim a quantità, m enando strage tra gli animali e c o n d u ­ cendo a P ositano i padroni di quelli e che poscia, stabilita a certe condizioni una specie di alleanza coi positanesi, cercarono tutti insieme, ccn una galea armata, di s b arcare nella plaga di Vietri per tentare u n ’incursione nella f o r i a di Cava conclamando : ad

robbam a d robbam C a vensium !

(1) Cfr. M atteo C am era — M em orie Storiche d e li’ Antica Città e D ucato di Amalfi — v oi. F. — pag. 508.

(2) Vietri ha fatto parte del com une di C ava fino al 1806. Si p o sso n o consultare a riguardo le storie locali del Tajani, del C asab u r, del P o lv e­ rino, de! Di N otargiacom o e d ell’ Adinolfi.

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Era la roba, come ancora oggi napoletanamente si dice, ossia la fortuna dei cavesi che spingeva i loro avversari a emulare le imprese dei pirati, pei quali il governo cittadino stabilirà più tardi una vedetta nella frazione di Siepi, donde si guarda il prossimo mare. È da rilevare che, giusta quanto riferisce il documento citato, i salernitani avrebbero mandato ad effetto il loro disegno se gli assaliti, preparati alla difesa, non avessero opposto una energica resistenza.

Questa lettera di Nicola Freccia o Frezza è, come si vede, assai importante e ci dà ragione di molte cose. In essa i cavesi appaiono provocati piuttosto che provocatori, ci si palesano agiati e coraggiosi, in quanto, all’occorrenza, sanno e possono tener testa al nemico. L’episodio contiene in germe tutta quanta la posteriore storia di Cava, il cui carattere è nel 1297 già formato definitiva­ mente.

* * *

Per trovare u n ’ altra testimonianza che fra i salernitani e i cavesi non correva buon sangue bisogna giungere al periodo aragonese e propriamente a Masuccio Salernitano che fu, con Pietro Antonio Caracciolo, uno dei più insigni elementi della c u l­ tura che s’incentrava nella reggia napoletana.

Masuccio non è amico dei suoi vicini di Cava: ci vuol poco a capirlo. Prima di tutto li chiama ca vo ti e non cavesi o cavensi

perchè è ovvio — pare a lui che nella parola sia un q u id umo

ristico. Forse le due ultime sillabe, che formano di per sé un aggettivo di chiaro significato negativo, dovevano al suo orecchio e aiia sua mente suonare come una eloquente testimonianza della dappocaggine cavese; e che un tale senso egli annetta all’aggettivo

cavoti, usato per la prima volta da lui che era buon facitore di

novelle (1), pare non si possa dubitare q u an d o si consideri partico­ larmente l’insieme dello scritto in cui tale storpiatura fiorisce. Si vede che lo scrittore si compiace a trovare un l?game ideale tra

(1) Il primo che usi la parola ca vo ti è, sen za dubbio, M asuccio. Dietro il suo esem pio quan'i vollero parlare a sp ro p o sito degli abitanti

di Cava li chiamarono, di lì in poi, non più c a v esi o caven si, ma cavoti, cavaiuoli, cavonesi ecc. 11 Braca, non contento, fog g iò sulla trafila di c a ­

vato l’aggettivo cavotisco. 11 C aracciolo, contem poraneo a ll’ incirca di Ma­

succio, adopera già la qualifica di cavaiu oli. Cfr. N a p o li-S ig n o re /li — Op. cit.— Francesco T orraca — Op. cit.— E tto re M auro — Un umorista salerni­ tano — ecc.

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la parola buffonesca e il fatto deplorabile che i cavesi, arricchì tisi enormemente nelle arti tessili e murarie, siano ora ridotti, per la loro stupida boria, a tale estremo di povertà da non esser p o s ­ sibile un a comparazione tra il presente e il passato.

Quanto Masuccio volutamente esageri la dec ad en z a economica dei cavesi si prova colla più nota e più gloriosa storia civile della città di Cava. Al tempo, in cui 1’ ottimo salernitano novellava a spasso della corte e società napoletana, correva per Cava l’aureo periodo aragonese : artisti di Cava, come Onofrio Giordano, i fratelli De Marinis, lo Stasio ed altri, lavoravano alle costruzioni di Castelnuovo e i sovrani largheggiavano in concessioni verso di loro e la città, da cui erano usciti inoltre un Aniello Ferrara, un Giosuè Longo e un Grandinetto d ’Aulisio, che avevano sollevato le sorti pericolanti della monarchia e dei principi nei momenti più difficili (1).

È del 6 settembre 1460 — Masuccio muore il 1474 - la let­ tera magnifica con la quale F errante I, a prova del suo animo grato, accom pagnava il famoso privilegio in bianco spedito alla città fe d e lissim a . “ A noi ha parso, scriveva due mesi dopo la battaglia di S arno dalla reggia di Castelnuovo, fare alcune demon- strazioni, et quale si merita a tanta affezione, et fedeltà vostra, e p en sa n d o che cosa d eg n a a vostri meriti ve potessimo co n c e ­ dere non avemo visto cosa alcuna, (quantum che fosse grande) che dignamente potesse satisfare a vostri meriti, excep to fare e con cedere un privilegio in bianco subscritto di nostra propria mano, e sigillato con tutte solennità se richìedeno e cossi l’ avemo fatto spacciare, e ve lo mandamo.... In quello privilegio me facciate scrivere a vostra voluntà tutte quelle gratie che per un Re g ra­ tissimo se potessero concedere a’ suoi Vassalli fedelissimi e caris­ simi et liberamente volimo lo facciate, e strengelmovene, e tute quelle gratie che ce metterete le haverimo per acceptissime et firmissime o m n i tem pore, benché ne rendiam o certissimi, non poti iti metternece tante che bastino a satisfare vostri meriti, avi- sandove che questo che facemo, non lo facemo per satisfattione di quello che vostra integrità merita, ma in ricoinpensatione di

una particola di quello che degnam ente meritate ecc. „ (2).

■ Questa bellissima lettera, osserva giustamente il Torraca,’non

so vedere chi onori di più, o il re che la scrisse, o i sudditi ch e

(1) Cfr. F ila n g ieri — Indici da servire alla storia d elle arti nel M ez­ zogiorn o.

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la meritarono .,. Onora anche più i sudditi, aggiungiamo noi, perchè è risaputo che al inerito i cavesi aggiunsero la discrezione e la­ sciarono bianca la pergamena — e così si conserva nell’archivio municipale — senza iscrivervi la richiesta di alcuna ricompensa. E un simile atteggiamento mette a nudo non la loro vanagloria ma la loro floridezza, che permetteva ad essi di rifiutare d ig n i­

tosamente le illimitate grazie sovrane.

Una città che può non profittare di u n ’occasione tanto favo­ revole è, per questo stesso fatto, una città agiata e sa perciò di novella e di facezia il racconto dell’ estrema povertà a cui nel Rinascimento si erano, per l’a bba ndono delle arti tessili e murarie, condotti i suoi cittadini correnti dietro ai privilegi dottorali e alle insegne equestri. P uò darsi che la prosperità conquistata nei tre secoli precedenti si fosse alquanto attenuata, per la ricerca delle comodità della vita, e può anche essere accaduto che parecchie famiglie, messi da banda gli utili arnesi del tessere e del m u ra r e , li avessero sostituiti con cinture, speroni e stoffe dorate; non ne consegue per altro che a questo rivolgimento si accompagnasse necessariamente una miseria spaventevole. Masuccio vuole accen­ tuare il contrasto tra il passato e il presente e, s e n z a parere, tiene ad accagionare dello scadim ento la dappocaggine e la v a n a ­ gloria della nuova generazione. Ma il q u a d ro e h ’ egli dipinge è troppo nero ed é in così stridente contrasto con quanto da altre fonti risulta che non riesce accettabile. Una possibile crisi tr a n ­

sitoria, scambiata dal facile e om broso salernitano per u n a irre­ parabile rovina, gli fornì senza dubbio argomento per la gere­ miade che introduce la novella XIX del suo N ovellino. E che la geremiade sia dettata più da un preconcetto verso i cavesi che dalla verità storica si può agevolmente d ed u rre dalla novella stessa, nella quale non mancano disarmonie assai gravi.

Prima di tutto c.iò che Masuccio vuol dim ostrare col suo racconto — la dappocaggine dei c a v esi—alla fine non risulta, giac­ che, come pur ebbe ad osservare il Torraca, i cavoti l’accoccano all’ amalfitano. Manca d u n q u e l’esito cui mirava il novellatore con la stia ben architettata introduzione. D ’altra parte l’ introduzione stessa, dove si prospetta un q u a d ro storico di maniera de la Cava del Rinascimento, è un tessuto di contraddizioni che salta agli occhi del più superficiale lettore. Vediamo questa parte più

da vicino.

“ La Cava citate molto antiqua fedelissima, e novamente in parte divenuta nobile, come è già noto, fu sem pre a b b o n d a n te ­ mente fornita di singulari maestri muratori e tessitori; de la etti

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arte ovvero maesterio loro v’era sì bene avvenuto, che in denari contanti ed altri beni mobili ed immobili erano in maniera a r r i c - cati che per tutto il nostro regno non si ragionava d ’altra r i c ­ chezza che di quella dei Cavoti. Di che se li figliuoli avessero seguiti li vestigi dei padri loro, e andati dietro le orme dei loro antichi avoli, non sareb b ero ridutti in quella povertà estrema e fore di m isura nella quale al presente già sono. M i forse loro di­ spregiando le ricchezze acquistate in tale fatichevole mestiero, e quelle come beni de la fortuna e transitorii avendo a nulla, se­ guendo la virtù e nobiltà come cose incommutabili e perpetue, universalm ente si sono dati a diventare novi legasti, e medici e notari, ed altri armigeri, e quali cavalieri, per n u d o tale che non vi è casa niuna che dove prim a altro che artigliaria d a tessere e da m urare non vi si trovava, adesso, per iscambio di quelle, staffe, speroni e centure indorate in ogni lato vi si vedono.... Ed io seguendo la istoria dico che nel tempo che il famoso Onofrio de Jordano aveva pigliata l’im presa del mirabile edificio del C a ­ stello Novo, la maggior parte dei maestri e manipuli de la Cava se conduceano a Napoli per lavorare a la detta o pera... . (1).

La contraddizione più lampante scatta dall’affermazione del quasi totale a b b a n d o n o delle arti tessili e m urarie che va a finire nell’episodio più insigne che le gloriose cronache delle arti m u ­ rarie cavesi potessero vantare: l’im presa del mirabile edificio del Castello Novo tolta da Onofrio Giordano. 11 Castello Novo e Onofrio G iordano : u n ’opera d ’arte e un artista non volgari. Ma con Onofrio Giordano, che nella dalmata Ragusa (2) costruì altre opere mirabili, quanti mai cavesi p as sa n o a Napoli! E Masuccio vede ed ammira tutto questo; ciò non pertanto la Cava gli sem bra in un a situazione fallimentare. Q u a n d o si dice il pregiudizio! Ma noi vogliamo anche concedere qualche cosa alla vena del novel­ liere: il distacco tra la libera fantasia e la verità vera è contras segnato, nella stessa narrazione di Masuccio, da queil’inciso

invo-(1) Cfr. L u ig i S e tte m b rin i — Op. cit. — pag. 249 e seg. - Anche G re­

g a rio R osso, che scrive m eno di un s e c o lo d o p o , parlando dei cittadini di

Cava, li chiama C a v à jo li ricchi. Vedi più innanzi nota 1 a pag. 21 di questo scritto.

(2) Cfr. A lessa n d ro D u d a n — La D alm azia n ell’Arte Ita lia n a —Voi. 1. - pag. 166 e seg . — M ilano — T rev es — MCMXXI — A Onofrio Giordano o di Giordano de La Cava il Dudan dedica un intero cap itolo.

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lontariamente rivelatore: ed io seguendo la isto ria dico... (1). Dopo un lungo preambolo di maniera lo scrittore si ricorda finalmente della storia: era tempo ! E la storia gli sciorina sotto il muso cose degne di molto rilievo i 2).

Ristretta in questi limiti la novella di Masuccio si com prende e si spiega. Egli in fondo, pur mal suo grado, è | u n ammiratore

dell’ingegno di quelli che chiama “ quasi compatrioti ma non

ne tollera l’albagia, che minaccia di compromettere persino la loro consistenza economica. Di quello li loda, di questa li riprende, consapevole dell’origine comune dei salernitani e dei cavesi e quindi in certo modo partecipe dei loro fasti e nefasti. Ma ciò non toglie ch’esagerò per convinzione aprioristica, per spirito grettamente municipale, per sentimento di umanità infastidita da qualche eccessiva grandigia scontrata sui propri passi (chi sa quanti co m p a trio ti cavoti avrà egli conosciuti a Salerno e a Napoli !), ed anche semplicemente per la retorica sovrabbondante

in tutti i laudatores tem poris acti. Sovrattutto è da tener {pre­

sente — e la cosa non sfuggiva alla sagacia del T orraca — ch’egli è un salernitano e, come tale, sebbene non sia d ’una statura ordinaria, il buon Masuccio non sa del tutto liberarsi dalla congenita antipatia verso i cavesi, che ripetutamente aveva dato, come s’ è visto, manifestazioni di estrema violenza. Q ua e là, tra le pieghe dei periodi compassati e sonanti, il novelliere arrischia qualche frizzo e, q u an tu n q u e pelle pelle, tenta col p u n ­ giglione avvelenato la parte più vitale dell’organism o cavese. Non penetra ma punge. È, ad ogni modo, u n a zanzara molesta.

* * *

A questo punto è lecito dom andarsi se le controversie tra s a ­ lernitani e cavesi fossero a fondo economico soltanto o non

ri-(1) Crediamo che l’ e sp r e s sio n e : ed io segu en do la is to ria dico, debba intendersi proprio com e abbiam mostrato d’ intenderla, g ia cch é, se d o ­ vesse risolversi nel so lito io dico segu itan do, non si spiegh ereb b e l’ uso della parola isto ria nella sp ecia le giacitura della n ovella.

(2) Scrive il G othein : “ I Sanseverino procurarono di ripristinare l’an­ tica facoltà di medicina ; e ss i tentarono anche di tanto in tanto, e con successo, di attirare a Salerno il com m ercio, quando pei turbamenti delle guerre si ritirava da N apoli. Ma a lungo andare il com m ercio e l’industria si rivolgevano di preferenza, v erso città o v e il cittadino p o te sse m uoversi più liberamente e prender parte m aggiore a ll’ am m inistrazione. Q uesto era il caso delle città regie „. Cfr. E vera rd o G othein — Il rinascim ento nel- l’ Italia Meridionale — pag. 74 — Firenze — Sansoni — MCMXV — Cava era appunto città regia.

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vestissero talora anc he il carattere politico. La risposta è facile e, per darla, basta consultare q u alch e storico di quel periodo.

Apriamo La C on g iu ra dei B a ro n i del Porzio e leggiamo il capitolo secondo, a quel punto che contiene il ricordo della pri gionia in S alerno di Federigo d ’ Aragona e della di lui libera­ zione ad opera dei cetaresi. Scrive il Porzio che da Salerno “ lungi due miglia è un luoghetto, che sem bra picciolo borgo, nomato Citara, gli uomini del quale avvezzi agli esercizj marittimi, sovente con barche il paese d ’ intorno frequentano: e, come tra’ vicini accade, coi Salernitani avevano controversie, anzi con tutto il paese della Cava erano stimati di fazione contraria; perchè gli uni dagli Angioini e gli altri dagli Aragonesi avevano nome .,(1).

D u n q u e quei di Cetara, da cavesi che erano, non se la di cevano coi salernitani, e all’ epoca della fuga di Federico da S a ­

lerno “ con due b arche de Cetara e de la Cava cioè al 1485,

le controversie erano ugualmente vive che per il passato. Le diver

genze - lo abbiam o visto non erano di quelle solite tra paesi

\icini, come mostra di credere il Porzio; chè esse avevano re­

mote e profonde origini nelle competizioni p e r la nomina dei

giudici, nelle rivalità e gelosie commerciali ed ora, come attesta

il Porzio, invadevano anc he il campo politico. M entre era opi­ nione comune che i Salernitani tenessero per gli Angioini, quei di Cetara con tutto il paese della Cava si sapeva che parteggias­ sero per gli Aragonesi. Qui ci vien fatto di pensare che, aggiun­ gendosi alle vessate quistioni di territorio e di economia, le con­ troversie politiche, i dissapoii divam passero più vivi che mai, ma acquistassero al tempo stesso, nel cozzo meno interessato delle fazioni, un colorito e un aspetto nuovo.

Le risse di un tempo cedono a poco a poco il campo alla ironia, al frizzo, al sarcasm o m ordace e ridanciano. Masuccio era già morto q u a n d o “ lo illustre Signore don Federico „ fuggiva d a Salerno, ma lo spunto era stato trovato. Una classe di mer­ canti arricchiti, che lascia il telaio e l’archipenzolo per gli speroni e le lauree dottorali, costituisce un buon canovaccio p er la vena comica di quanti h a n n o a che fare con loro e se questi mercanti in passato non furono, com’ è credibile, troppo dolci nelle contrat­ tazioni non c’è chi li salvi, ora che mirano a nobilitarsi e a campar

(1) Cfr. C am illo P o r z io — C ongiura d e ’ Baroni del R egno di Napoli contro il Re Ferdinando I — Lib. I — pag. 85 — M ilano — A ntonio Fonta­ na — MDCCCXXX.

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sulle fortune degli avi, dagli sberleffi del prossimo (1). Il popolo in genere, sorride sempre davanti alla boria degli arricchiti e guarda, con un senso tra di spregio e di commiserazione, quei borghesucci più o meno grassi usciti dal suo seno e non ancora sufficientemente rifatti. E Masuccio era venuto alla corte aragonese dal popolo salernitano di cui partecipava le passioni e lo spirito. In questo mezzo provincialesco, tra gelosie e risentimenti m u n ic i­ pali da lunga mano stratificati, nascono e fioriscono le Farse Ca- vajole, dette anche le Cavaiole soltanto, e dalla provincia giungono alla capitale dove, com’è da ritenere, le accredita Io stesso Masuccio. Ed ecco Pietro Antonio Caracciolo che fa salire il palcoscenico a due personaggi cavesi, per esporli al riso degli spettatori (2).

Intanto le ostilità tra Cava e Salerno non cessano, che anzi, senza più degenerare in risse, s ’ acuiscono tra il cinque e il seicento. L’invadenza economica dei cavesi è insopportabile. Il privilegio della patente, che li esonera dai fiscali, è un potente ausilio del loro commercio che, dopo la breve crisi della seconda metà del secolo decimoquinto, si riprende e trascorre vittorioso per tutto il Mezzogiorno ed oltre. La stessa Fiera di San Matteo

è minacciata e quindi il commercio salernitano se ne adom bra.

I notai e i mercanti cavesi si trasferiscono tutti, all’ epoca della fiera, sul vicino mercato e sono perciò obbligati a locare m agaz­ zini per i loro bisogni. P assan o cosi sotto le forche caudine dei locatori, la cui ingordigia cresce tanto che i cavesi reputano n e ­ cessario riunirsi il 15 febbraio 1533 e stipulare, come ricorda l’Abignente, una convenzione “ di non fittare locali in Salerno, a tempo della fiera, nè per sè nè per i compagni d ’arte „ (3).

Ma nel secolo XVI e nel successivo il commercio cavese ha conquistato anche il mercato di Napoli. Si sa che i Cavesi erano acclimatati a Napoli da tempo remoto e che vi si diffusero s o ­

(1) Giambattista del P in o — altro salernitano ? — discorrendo dei ca­ vesi e delle farse accenna di passata a una c o n tr a ffa z io n e . I ca v esi non erano amati — lo erano forse a ll’ estero, qualche s e c o lo avanti, i fam osi

lom bardi? — e quindi l’ od io e l’insidia lavoravano ai loro danni, s p e c ie

nel M ezzogiorno. Non finisce mai il Carnevale, osserva il D el Pino, che non vi sia alcuno di loro che com parisca nelle farse “ o alm eno chi li

contrafacesse „. — Cfr. T orraca — op. cit. Anche non v olen d o, la verità

scappa fuori lo stesso !

(2) Cfr. N a p o li-S ig n o re lli — Op. cit- — pag. 539-540.

(3) Cfr. A bignente — Op. cit. — pag. 43 — ibidem : D ocum enti — Cfr. anche R a ffa e le B a ld i — Lineamenti di storia c a v ese — Estratto dalla “ Cronaca Scolastica „ d ell’ anno 1923-1924 del L iceo-G innasio di Badia, di Cava.

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prattutto nel periodo aragonese per i singolari favori resi e ri­ cevuti da quella monarchia; ma ii Summ onte ricorda che appunto nel maggio 1533 il corsaro Sinam, scorrazzando lungo le marine tirrene, costrinse calabresi, celentani. cetaresi e cavajuoli a rifu­ giarsi in Napoli ( l i , o n d ’ è a credere che il primitivo nucleo, già molto considerevole, di cavesi si accrescesse enormemente in quella circostanza. Tanto ciò è vero che, annunziatosi due an n i più tardi il passaggio di Carlo V per Cava, il sindaco scrive a tutti i cittadini dimoranti nella capitale che “ per bisogno univer­ sale se ne vengono acciò si trovino alla venuta del Imp. „. Per che f a r e ? P e r popolare la città, risponde il T o rraca (2).

Sovra una città così fiorente Salerno, in p ersona del suo principe, aveva allungato lo sguardo. E q u a n d o nel novembre 1535 Carlo V passa a grande onore per la città fedelissima, ric­ camente addobbata, al principe F errante Sanseverino, che giiel’a- veva richiesta in feudo, risponde asciutto che non gli pareva pic­ cola la sua pretesa. Cosi le mire di Salerno venivano frustrate, ma esse erano state rese di così pubblica ragione che i cavesi se ne erano impensieriti e avevano perciò disposto il piano atto a farle cadere. Un tal brigante Della Monica, forse quello stesso c h ’ebbe tanta parte nei tumulti napoletani del 1547, minacciò addirittura nella vita il principe di Salerno.

Naufragato miseramente il disegno di q u e s t’ultimo i Salerni tani si vendicarono dei cavesi diffondendo quella nota farsa che va sotto il nome de “ La Ricevuta dello Imperatore a la Cava ., che, per essere stata rintracciata in un manoscritto del Braca r i ­ montante al secolo XVII, si può anc he credere uscita dalla penna delPumorista seicentesco, ma che il T orraca e il Croce giudicano invece contem poranea agli avvenimenti ivi trattati. È quella una delle tante — forse la sola — rappresentazione del genere che sia sopravanzata al generale naufragio, ove si prescinda dalle tardive composizioni del Braca che sem brano giungere a festa finita (3).

Quanto questo genere di farse, cui s ’appartiene 11 La Ricevuta „ ,

(1) Cfr. S um m onte — Historia della città e regno di N ap oli -L ib . Vili— p. 4.

(2) Cfr. T o rra ca — Op. cit. — pag. 301.

(3) La u ccisio n e dei Braca in casa d ell’ am ico Pietro D e Ruggiero, che qualcuno ha voluto ascrivere a vendetta dei ca v esi, d ev e avere avuto altra origine che le su e farse. I ca v e si, gente pratica, non si curavano più che tanto di sim ili m anifestazioni. In ogni ev en ien za ess i, sen za preoccuparsi dei comm enti e delle m alignità altrui, a v v isavan o ai m ezzi più adatti per trionfare degli o sta co li. Q uando scriv ev a il Braca, poi, le ostilità tra

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strida colla realtà si prova ad a b u n d a n tia m com parando le scioc­ chezze infilzate allo spiedo degli endecasillabi incatenati di q u e s t’a ­ nonima rappresentazione colla verità storica, quale risulta da d o ­ cumenti certissimi. Proprio nel caso di Carlo V i cavesi si c o m ­ portarono sagacemente, rendendo al sovrano onori in su p era ti ed evitando così la perdita della propria libertà. Chi ci restò scornato fu invece lo prencipiello dell’anonimo umorista (1).

É ad ogni modo Vincenzo Braca 1’ ultimo salernitano degno di nota che prosegue nella letteratura la tendenza alla rissa co n ­ naturata allo spirito dei suoi concittadini di Salerno e dei com­ patrioti di Cava, così come — e gli uni e gli altri — li abbiam o visti uscire dal secolo XI che li accoglie e confonde i.i u n ’unica matrice. I suoi lazzi sono volgari e passano assai spesso il segno e ci dicono anche quale e quanta fosse tuttavia nel seicento la te­

nacia degl’ italiani nel bezzicarsi tra loro. Prima che i nuovi

tempi maturino, prima che si formi un a sana coscienza rile- vantesi di su lo sfondo monotono di municipalismi ammuffiti tra

i due paesi erano molto attutite, a seg n o che, com e il Braca s t e s s o ricorda, ci fu qualche periodo d’ intera am icizia.

Nel 1614 il vivace salernitano scriveva a m em oria d’ uom o quanto segue :

Quando era o capo d ’ anno anticam ente solea scendere a gente Cavajola

co o tammurro e co a viola a fà allegria n’ e case e m iezzo a via dintro Sajerno cercando ogni perzona a fronte aperte allegramente enferte, e i veveraggi Cfr. E ttore Mauro — Op. cit. — pag. 187.

(1) Molti cronisti contem poranei, com e il C astaldo, il R osso e il Par- rino, parlano del ricevim ento fatto dai ca v esi a Carlo V. Il C astaldo scrive che “ passando [Carlo V] per la Cava, i G entiluom ini e Cittadini di quella nel passare gli presentarono un gran b acile d’ oro per lavar le mani, pieno di molte monete d ’ oro in seg n o d’ am orevolezza, che fu da S. M. con grande soddisfazione d e’ donatari benignam ente ricevuto Cfr. D e l- l ’ Istoria di Notar A N T O N I N O C A S T A L D O — lib. I — pag. 43. E il R o sso a sua volta : “ E ssendo partito la matina da Salerno et al passare per la Cava essendoli fatti da quelli Cavajoli ricch i uno ricco presente di m oneta d’ oro dentro d’ un gran bacile d’ oro tutto p ieno, dim andò lo im peratore

se quella era la C ava, che lo P ren cip e d i S alern o p reten d eva , e dettoli de

sì, li p a rs e che non era p o ca la p re te n zio n e de lo P re n c ip e „. Cfr. Isto­ ria delle co se di N apoli di Gr e g o r i o Rosso pag. 58 e 59. Le isto rie del

Castaldo e del R osso formano rispettivam ente il volum e settim o e 1’ o t­ tavo della C ollezione Gravier.

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satire e farse, le nostre popolazioni d o vra nno anc ora molto lot­ tare e soffrire. C a d ra n n o più volte nel cammino doloroso per ascendere poi definitivamente e pacificarsi sull’altare supremo della patria comune.

Ra f f a e l e Ba l d i

Trascrizione dal Registro angioino — volume 92 fol. 40 tergo — a cura del dottor Onofrio Pasanisi.

“ P ro Monasterio cavensi — Scriptum est per eundem do- minum Regem Ungarie — Nobili viro petro de guisauc militi vicario principatus et stratigoto salerni devoto suo etc. Exorta du dum controversia quedam inter cives salerni ex u n a parte, et homines cave ex altera ex creacione iudicum et notariorum in eadem terra Cave q uos pretendunt predicti cives Salerni de eorum civibus ex consuetudine servata hinc hactenus creari debere ho- m inibus Cave de eorum hom inibus de iure creari debere con- tendentibus ex adverso in quorum creacione iudicum et notariorum in terra predicta, Religiosi viri ab b a s et conventus Monasterii cavensis ex concessione catholicorum Regum Sicilie asserunt ius habere ad huc dependet in curia, sit altriusecus agitata et quia a controversiis et contentionibus discrimina rissarum prove- niunt, quies pacis su bducitur et scandalorum periculum seminatur, ex debito nostris imposito humeris, futuris incomodis precavere, volentes huiusm odi dubio vidimus co nsulendum quod cum prò parte predicti monasterii asse ratu r, quod in bonis que habet in civitate Salerni ex huiusm odi exortis litigiis cives aliqui diete terre dainpna commitiantur inferre nec sit tutum personis dicti mona- sterii ad dictam accedere civitatem, devocioni tue districte preci, pimus qu aten u s tue sollecitudinis diiigentiam ad h ib en s in premissis, nec permittas quod in bonis qu e habet dictum monasterium in Salerno et pertinentiis eius aliqui cives ipsius dam p n a aliqua indebite inferant; nec q u o d securus personis dicti monasterii ad- ditus ad eandem civitatem impediatur a quo cu m q u e impedientium et dam p n a inferentium eorundem motus .indignos pena debita si expediens fuerit compescendo.

Datum Nepoli die XXVI Julii V inditionis Regni nostri anno primo.

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Di un antico tempio in Castigiione

Possedevo d a tem p o u n ’a n t i c a n o t i z i a a r c h e o lo g ic a , ma 11011 avevo m a i c r e d u to di p u b b l i c a r l a , sia p e r c h è c o n ­ vinto di non g iu n g e r e a d a l c u n u t i l e r i s u l t a t o r e n d e n d o la n o ta, p e rc h è m a n c a v a q u a l s i a s i e le m e n to d i p r o v a , sia p e r 11011 a t t i r a r m i a ddosso u n s o rris o d i c o m p a t i m e n t o d a p a r t e di coloro, e sono i p iù , i q u a li p a r e n o n t o l l e r i n o si p a r l i di cosa che n o n r i e n t r i nella p o litic a od in is p e c u la z io n i di n a t u r a economica.

P o s te r i o r m e n t e poi il caso del n o n m a i a b b a s t a n z a c o m ­ p i a n t o se n a to re G iacom o B oni, n a r r a t o in ini a r ti c o l o d e lla m agnifica r i v i s t a d’ It a l i a e ni a m e r i c a (1) u n o dei m i g li o r i

p eriodici che si s t a m p a n o in I t a l i a , e r a s t a t o p e r m e t r o p p o significativo e m i aveva del t u t t o d i s s u a s o d a l l ’o c c u p a r- nieire; m a oggi dopo r i n t r a c c i a t o u n i m p o r t a n t e m o n u ­ m ento d i s o t t e r r a t o un secolo fa , che a q u e l l a n o t i z i a si r i f e ­ risce, m a del (piale si e r a p e r d u t o ogni r i c o r d o , m i d e c id o a r i p r o d u r r e , così com e l 'h o t r o v a t o , q u e l r i c o r d o s c r it t o , n ella fiducia che esso sia d i stim o lo a p i ù p re c iso l a v o r o e a d i n ­ d ag in i p iù co n c re te (2).

Nel 1824 il sig. G iu s e p p e A n t o n i o G re co d i S a le rn o , si fece ini dovere d i p r e s e n t a r e u n e s e m p l a r e d e lla r e la z io n e che o r a io p o ngo in ev id en z a, a l co m m . G u a r i n o , a l l o r a I n t e n d e n t e d ella P r o v i n c i a , e q u e s t i la m a n d ò s u b i t o al

(1) L ’a rtic o lo , in tito la to F u n g o , fa n g o , f a n g o ! è nel fa s c ic o lo del m arz o 1925.

(2; U n ’a l t r a ra g io n e p e r cui n o n c r e d e tt i d i p u b b lic a re p r im a «li oggi la p re s e n te n o ta è s t a t a T esserm i t r o v a to p e r m o lti a n n i p r e s id e n te d e ll;’. C o m m issio n e p ro v in c ia le p e r la c o n s e rv a z io n e d e i m o n u m e n ti, l ’e r q uell:; q u a lità si sa re b b e a s p e tta to d a m e m o lto p iù d i q u e l c h e p o s s a p r e te n ­ d e rs i d a u n p riv a to c itta d in o , m e n tr e io s a r e i s t a t o n e lla im p o s s ib ilita di f a r e di p iù . p e rc h é le C o m m issio n i c o n s e r v a tr ic i n o n h a n n o le f a c o ltà che sa re b b e ro o ccorse, n è r is o r s e eco n o m ich e , a p r e s c in d e r e d a l f a t t o ch e d a lle n u m ero s e S o p ra in te n d e n z e c r e a te co n la leg g e 27 g iu g n o 1907 sono in a s c o lta te , a n z i g u a r d a t e co n g e lo s ia .q u a s i fo s s e r o d e lle I s titu z io n i in tru s e ed in u tili.

Io a u g u ro c h e S. E . il M in is tr o F e d e le n e m o d ifich i le a ttr ib u z io n i, o so p p rim a del t u t t o le C o m m iss io n i, p o te n d o b a s ta r e , a llo s t a to p re s e n te , le a ttr ib u z io n i c o n sim ili d e i R . I s p e t to r i o n o r a rli.

(30)

M i n i s t e r o di C a s a R e a l e : m a n o n si ha n o t i z i a di a lc u n p r o v v e d i m e n t o ch e sia s t a t o p r e s o p e r c h è si p ro se g u is s e ro le i n d a g i n i o a l m e n o si c o n t r o l l a s s e q u a n t o v e n iv a rife rito P r o b a b i l m e n t e n o n se n e fece n i e n t e , e s s e n d o tro p p o r e c e n te il r i c o r d o di q u e s ta P r o v i n c i a , a l q u a n t o indegna, p e r a v e r t r o p p o l a r g a m e n t e p a r t e c i p a t o a l m o v im e n to i n ­ s u r r e z i o n a l e d i q u e l l ’ep o c a e p e r a v e r c o s t i t u i t o in S alerno il c e n t r o p r i n c i p a l e d e l l ’a g i t a z i o n e c a r b o n a r i c a o carb o n ica, co m e a l l o r a si dic e v a . Q u i i n f a t t i ave va a v u t o lu o g o la G r a n d e D i e t a del 1821, e di q u e s t a P r o v i n c i a e r a n o s t a t i p a r e c c h i rib e l l i , dei q u a li i p o s t e r i lian c o m m e m o r a to p o c h i a n n i o r so n o e ric o r d a ti i n u n a l a p i d e su l m u r o del p a l a z z o C o n f o r t i , a l l e spalle d e l l a s t a t u a d e lla L ib e r tà , i c i n q u e c h e s u b i r o n o c o n d a n n a a l l a p e n a c a p i t a l e . E c c o la re la z i o n e n e l l a s u a i n t e g r i t à : * * *

- Veneranda rerum antiquitas.

« 111 f a c c i a d e l p i ù fe lic e o r i z z o n t e e s o t t o d i u n clim a r i d e n t e , in u n p i a n o e le v a to t r a i m o n t i , c h e g u a r d a n o n l o n t a n o il m a r e a m e z z o g io rn o , p o c h i p a s s i a l d i sotto d e l­ l ' a b i t a t o d i C a s t i g li o n e , è s o r t a n o n g u a r i a l l ’altezza di p a l m i d ieci d a l t e r r e n o , u n a ce lla , così d e t t a d a g l i a n t i ­ q u a r i , c h e s e n z ’a l t r o s i t u a t a e r a n e l m ezzo d i u n tempio, ove 1’ i m m a g i n e o s t a t u a d e l n u m e r e s ta v a .

I l f a b b r i c a t o d i t a l ce lla è c o m p o s to d i p i e t r e n a t u r a l i d el p a e s e ; m a l a p a r t e e s t e r n a è r i v e s t i t a d i pezzi di tufo a f o r n i a d i p ic c o l i m a t t o n i , s e n z a i n t o n a c o .

L a f o r m a e s t e r n a è q u a d r a n g o l a r e , m a n e l l ’ in te rn o vi s ono q u a t t r o p i l a s t r i d e lla la r g h e z z a di p a l m i 3 1 /2 l’uno, a ffia n c a ti d a q u a t t r o se m i-e llissi ch e v a n n o t r a i p i l a s t r i a f o r m a r e a l l a c i m a u n a c u p o l e t t a o s s ia v o lta r o t o n d a , cosid­ d e t t a th o lu s , c o m p o s t a d i m a t t o n i b en g r a n d i .

I l sno v a n o d a u n m u r o a l l ’a l t r o , a l l ’ i n f u o r i dei p i ­ l a s t r i , è di p a lm i 1(1 m e n o u n q u a r t o , e le m u r a in terne d i m o s t r a n o di es s e re s t a t e i n c o s t r a t e di s tu c c o , e special m e n te in q u e i p u n t i ove b a s a la v o l ta , vi si v e d o n o degli a v a n z i di p icco la c o r n ic e a s t u c c o r e g o l a r m e n t e form ato. L i n t e r n o p o i d e l l a v o l ta , p e r q u a n t o c o n t a d i n i a ss ic u ra n o , e r a a d o r n a t o di m a t t o n i l a v o r a t i , dei q u a l i ce n e f u

(31)

ino-s tra to 1111 pezzo d a l n o ino-stro c o ito am ic o ino-sig. A b a te 1). A n d ie à 1 >ini.

L 'e n t r a t a è a l l ’o rie n te p e r u n a d isc e sa i n c a v a t a n e l suolo in palm i 5. P e r t a l e a d i t o , che p e r l a s u a c o s tru z io n e la te r a le m o s tra di esservi s t a t a u n a p o r t a il c u i a r c o t r a v e superiore tro v asi d i s t r u t t o , si e n t r a n e lla c i t t à ed a s i n i s t r a dell’ ingresso, sulla s o m m ità del m u r o , vi si vede un buco ovato, a lum e in g re d ie n te , che p o sto vi sì v ed e p e r segno o espansione d e ll’oracolo. Il f a b b r i c a t o c o m p a t t o p e r u n a composizione di calce solida, a r e n o s a e b i a n c a , e le m u r a che chiu d o n o il locale, h a n n o la grossezza di p a l m i 2 1/2.

Vi si veggono dei r ip ie n i di f a b b r i c a nel f r o n t e , della larghezza di mezzo p alm o c irc a , che c i r c o l a r m e n t e v a n n o a d i n c o n t r a r e le p u n t e dei p i l a s tr i .

N on vi si conósce a l t r o in g resso a l l ’ i n f u o r i d e l l ’e sp res- sato, d a cui p r i m a di la rv is i la d e t t a d is c e s a si c a l a v a p e r u n a sca la nella cella a rip o r v i d elia neve.

L ’a t t u a l e p av im e n to d ella cella è u n t e r r a p i e n o f o r m a ­ tovi da quei n a t u r a l i p e r la p r o f o n d i t à d i p a l m i v e n ti. E r a d u n q u e la cella a ssa i p iù p r o f o n d a d i q u e l c h e o r a si vede, e con ciò o q u e s ta era a l p i a n o del te m p io , ed in t a l ca s o il tem pio è ro v in a to , m a la p i a n t a è s o t t e r r a ; o se il te m p io era al d isotto d e ll’oracolo, e con lo scavo esso r i c o m p a r i r à senz’a ltro .

T r a i r o t t a m i del f a b b r i c a t o s u d d e t t o si è r i n v e n u t a nel mese scorso di g iu g n o , c o r r e n t e a n n o 1824, u n a parte* <ii m a tto n e con le g g e n d a a c a r a t t e r e m a iu s c o lo g re co AIMOiV, che in la t in o id io m a v ale m n e tu a r i u m , lo che d i ­ nota d ’essere s t a t a q u e sta la cella del n u m e da c u i si d a v a l ’oracolo, ed eccone i n Seneca l ’e se m p io :

... H in c o r a n tib u s R e sp o n sa ( la n tu r c e rta cu m in g e n ti so n o L a x a n tu r a d y to F a t a ... T h y e s t : V. I. 13 q u a n t u n q u e i c a r a t t e r i d e ll' is c r iz io n e in g reco m a ­ iuscolo si veggano im p re s s i, p u r e a ta l p a g a n o S a n t u a r i o non può c o n t r a s ta r s i la g r e c a o rig in e , p e r esse re il m u r o e s t e ­ riore della cella co m p o sto d i tu f o d i c u i si s e r v iv a n o o r d i ­ n ar ia m en te i greci.

IO di f a t t i d al p r i m o m a t t o n e che d a quel t e r r e n o a l l ' o ­ rie n te della cella fu d i s o t t e r r a t o , c h i a r a m e n t e si rile v a ch e

Figura

Fot.  Broz i
Fot.  A lin a ri In v e c e   in  I ta lia ,  il  fa n c iu llo   n u d o   si  c o n s e r v ò  a n c h e   n e lla   g io v in e z z a ,  c o m e  e r a   n a to   a   F o s ­s a n o v a ,  n o n   i s f o r z a to ..

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