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PTSD E SINTOMI DI SPETTRO POST-TRAUMATICO DA STRESS IN UNA POPOLAZIONE ESPOSTA AL TERREMOTO DE L'AQUILA DEL 6 APRILE 2009: CORRELAZIONI CON ETA', SESSO E GRADO DI ESPOSIZIONE

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1 1 RIASSUNTO

Il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD) è un disturbo d’ansia con tipica insorgenza in seguito all’esposizione diretta o indiretta ad un evento traumatico che abbia implicato morte, minaccia di morte, gravi lesioni o minaccia dell’integrità fisica propria o di altri (DSM-IV-TR; 2000). Il PTSD è una patologia estremamente invalidante, con decorso tendenzialmente cronico, scarsa risposta ai trattamenti farmacologici, associata ad una bassa qualità di vita e che frequentemente si presenta in comorbidità con altri disturbi psichiatrici.

Molti studi hanno dimostrato come il PTSD e la sintomatologia di tipo post-traumatica da stress risultino essere tra le più frequenti reazioni psicopatologiche ad eventi catastrofici, quali ad esempio i terremoti. Una prevalenza di PTSD variabile tra 10,3% e 49,6% (Armenian et al., 2000; Bödvarsdottir et al., 2004; Kun et al., 2009; Wang et al., 2009; Cairo et al., 2010) è stata infatti riscontrata tra i sopravvissuti ai terremoti in varie regioni del mondo, con valori più elevati tra gli adolescenti e i giovani adulti (Pynoos et al., 1998; Lai et al. 2004; Bal and Jensen, 2007; Goenjian et al., 2009; Dell’Osso et al., 2011a; Dell’Osso et al., 2011b).

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Sebbene quadri di PTSD conclamato emergano spesso a seguito di eventi traumatici, molti studi (Stain et al., 1997; Marshall et al., 2001; Lai et al., 2004; Hepp et al., 2005) hanno evidenziato come un gran numero di soggetti non soddisfino completamente i criteri sintomatologici del DSM-IV-TR per la diagnosi di PTSD, nonostante manifestino forte disagio soggettivo a seguito di tali eventi, e richiedano dunque un intervento terapeutico. E’ stato infatti evidenziato come un sottogruppo (3.7% circa) della popolazione generale sottoposta ad un trauma di gravità estrema (DSM-IV-TR) possa manifestare forme invalidanti di PTSD sebbene subsindromiche o subcliniche, caratterizzate cioè da un numero di sintomi inferiori a quelli richiesti dal DSM-IV-TR per porre diagnosi. E’ stato dunque elaborato da alcuni autori (Kulka, 1988; Parson, 1990; Blank, 1992; Weiss et al., 1992; Cardier e Gersons, 1995; Stain et al., 1997) il concetto di PTSD parziale o sottosoglia (Subthreshold o Subsyndromal PTSD) che è stato definito mediante due profili operativi principali: il primo postula che debba essere presente almeno un sintomo in ognuno dei criteri sintomatologici del PTSD secondo il DSM-IV-TR (B, C e D), con uno dei due criteri C o D soddisfatti oltre ai criteri A e B; il secondo profilo afferma che debba essere presente una combinazione di due dei tre criteri (B, C, D).

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Naturalmente la prevalenza delle forme di PTSD parziale o sottosoglia è risultata variabile nei vari studi in relazione a quale dei due profili sia stato adottato.

Il PTSD, rispetto agli altri disturbi psichiatrici mostra un’importante peculiarità, ovvero l’insorgenza tipicamente correlata ad un evento traumatico. La diagnosi di PTSD si articola infatti su 3 aspetti principali che devono essere esplorati: l’evento traumatico e la risposta psicopatologica esperita dal soggetto negli attimi immediatamente conseguenti a tale esposizione, detta anche risposta “peri-traumatica” (sentimenti di paura, impotenza e orrore), ed il quadro sintomatologico, caratterizzato da sintomi di rievocazione, evitamento e ottundimento affettivo, iperattivazione neurovegetativa (DSM-IV, 2000). In linea con i recenti studi che hanno evidenziato l’importanza delle forme parziali o sottosoglia di PTSD, parallelamente alle ricerche che hanno evidenziato l’importanza anche di traumi così detti minori o low magnitude nell’indurre lo sviluppo di quadri conclamati di PTSD, presso la Clinica Psichiatrica dell’Università di Pisa è stato sviluppato lo Spettro Post-Traumatico da Stress (Dell’Osso et al., 2008 e 2009). Tale modello è stato sviluppato in accordo con il concetto di spettro all’interno di una collaborazione internazionale che ha coinvolto i ricercatori della

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Columbia University di New York (M.K. Shear, J. Endicott), del Western Psychiatric Institute and Clinic dell’Università di Pittsburgh (E. Frank, D.J. Kupfer) e dell’Università della California S.Diego (J. Maser), denominato Spectrum Project. Con il termine spettro si comprendono non solo i criteri contemplati dall’attuale DSM-IV-TR per la diagnosi del disturbo di Asse I, ma un insieme più ampio che considera il continuum che collega la fenomenologia atipica e sottosoglia, talora espressione di tratti stabili di personalità, alla sintomatologia tipica e conclamata dello specifico disturbo. Lo Spettro Post-Traumatico da Stress esplora quindi le sindromi post-traumatiche secondo tre dimensioni: la dimensione degli eventi potenzialmente traumatici, che include anche eventi non oggettivamente estremi “low magnitude events”, compresi eventi di perdita e/o lutto; la dimensione della reazione acuta o peri-traumatica; e la dimensione dei sintomi post-traumatici. Per esplorare lo spettro post-traumatico da stress sono stati quindi sviluppati un’intervista clinica srutturata (Structured Clinical Interview for Trauama and Loss Spectrum, SCI-TALS, Dell’Osso e tal., 2008) e il relativo questionario (Trauma and Loss Spectrum Self Report, TALS-SR, Dell’Osso et al., 2009). Ad oggi una delle più importanti sfide della ricerca psichiatrica è quella di studiare il ruolo del genere, dell’età, e della

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prossimità al trauma nello sviluppo dei sintomi di PTSD che seguono l’esposizione ad eventi traumatici, in particolare a terremoti. In letteratura emergono risultati talora discordanti sebbene la maggior parte degli studi condotti sul ruolo del genere nello sviluppo di PTSD nelle popolazioni esposte a terremoti dimostrino una più elevata vulnerabilità nelle donne non solo negli adulti (Lazaratou et al., 2008; Priebe et al., 2009; Wang et al., 2009 and 2010), ma anche nei bambini e negli adolescenti (Bal and Jensen, 2007; Goenjian et al., 2009; Dell’Osso et al., 2011). Tuttavia, alcuni studi sembrano non evidenziare differenze di genere (Nolen-Hoeksema and Morrow, 1991; Goenjan et al., 1994).

Alla luce di questi studi, l’obiettivo del presente studio è quello di indagare le possibili correlazioni tra età, sesso ed esposizione diretta o indiretta al terremoto del 6 Aprile 2009 che ha colpito la città de L’Aquila, e la presenza di PTSD, anche parziale, e di sintomi di spettro post-traumatici, esplorati mediante il TALS-SR.

Il TALS-SR, cosi come la corrispondente Intervista Clinica Strutturata (SCI TALS), comprende 116 domande, codificate in modo dicotomico (SI/NO) che esplorano la dimensione degli eventi potenzialmente traumatici, che include anche gli eventi non oggettivamente estremi, così detti “low magnitude events”

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e gli eventi di perdita (lutti, aborti etc); la dimensione della reazione acuta o peri-traumatica; la dimensione dei sintomi post-traumatici. Il TALS-SR include inoltre la valutazione di comportamenti e di caratteristiche personali che potrebbero rappresentare la manifestazione e/o fattori di rischio per lo sviluppo di una sindrome post-traumatica da stress.

In particolare, il questionario è suddiviso in nove domini eventi di perdita (I); reazioni agli eventi di perdita (II); eventi potenzialmente traumatici (III); reazioni alle perdite o a eventi sconvolgenti (IV); rievocazione (V); evitamento e numbing (VI); comportamenti disadattativi (VII); arousal (VIII); caratteristiche personali/fattori di rischio(IX). I punteggi di ogni singolo dominio sono ottenuti contando il numero di risposte positive.

Il campione esaminato comprendeva residenti della città de L’Aquila che erano stati esposti al terremoto del 6 Aprile 2009 circa 10 mesi prima della nostra valutazione e una popolazione di soggetti non esposti direttamente al terremoto in quanto non residenti a L’Aquila al momento del terremoto ma ad almeno una distanza di 150 Km dall’epicentro del sisma. Tutti i residenti della città de L'Aquila sono stati “esposti direttamente” all’evento. Gli individui "non esposti" sono stati reclutati tra gli abitanti di zone urbane e suburbane lontane

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dall’epicentro del terremoto e che quindi non erano stati colpiti dal terremoto in alcun modo sia per quanto riguarda danni fisici che alle cose .

Abbiamo quindi suddiviso il campione in due categorie differenti per età sulla base della considerazione che soggetti più giovani e più anziani possono presentare livelli di sintomatologia differenti: soggetti di età ≤ 40 anni e> 40 anni, e questo sia per i soggetti "esposti" che per i "non esposti" . Gli strumenti di valutazione sono stati somministrati ad un campione iniziale di 1497 soggetti (946 esposti e 551 non esposti) ma i dati completi sono risultati disponibili per 1488 soggetti (99,4%). Il campione totale esaminato comprende quindi 1488 soggetti, 721 donne e 767 uomini, dei quali 939 “esposti” (468 donne e 471 uomini) e 549 “non esposti” (253 donne e 296 uomini) . Nel campione totale l'età media ± DS è 30,1 ± 14,9 anni, con differenze significative tra soggetti esposti (24,4 ± 12,1 anni) e non esposti (40,0 ± 14,1) (t = 21,74, p <.001). Abbiamo stratificato il campione considerando età, sesso ed esposizione come variabili indipendenti. Per ottenere 8 sottogruppi omogenei paragonabili, abbiamo eseguito un sorteggio casuale degli individui reclutati e, poiché nella popolazione originale il più piccolo sottogruppo era quello delle donne di età >40 anni "esposte" (N = 75), abbiamo

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creato 8 campioni casuali di 75 soggetti ciascuno, ovvero:

[A] ≤40 anni non esposti; [B] >40 non esposti; [C] femmine ≤40 anni non esposte; [D] femmine >40 anni non esposte; [E] maschi ≤40 anni esposti; [F] maschi >40 anni esposti; [G] femmine ≤ 40 anni esposte; [H] femmine >40 anni esposte. In accordo con studi precedenti condotti su vittime di terremoti (Bödvarsdottir et al., 2004;. Bland et al., 2005; Lai et al., 2004, Dell'Osso et al., 2001a) è stata riscontrata una diagnosi di PTSD nel 41,3% dei soggetti esposti mentre solo un 16,6% dei non esposti ha manifestato il disturbo.

Inoltre, il 32,5% dei soggetti esposti ha riportato una diagnosi di PTSD parziale in accordo con un precedente studio su una popolazione di giovani studenti del V anno di scuola superiore sopravvissuti allo stesso sisma (Dell'Osso et al., 2011a). Solo il 26,2% dei non esposti presentava una diagnosi di PTSD parziale.

I nostri risultati sono in accordo con dati precedenti riscontrati in popolazioni esposte a terremoti in zone poste a distanza dall'epicentro che suggeriscono come il terremoto abbia un più elevato impatto sugli individui più vicini all'epicentro che risulterebbero pertanto maggiormente colpiti (Tojabe et al., 2006; Chen et al al., 2007; Chan et al., 2011; Ahmad et al.,

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9 2010; Cao et al., 2003).

In linea con i dati della letteratura (Lazaratou et al., 2008; Priebe et al., 2009; Wang et al., 2009 e 2010; Dell'Osso et al., 2011a) le donne hanno riportato dei punteggi di PTSD significativamente più alti rispetto agli uomini sia nel campione totale che nel gruppo dei soggetti esposti direttamente.

I nostri dati sembrano inoltre suggerire una più elevata suscettibilità allo sviluppo di PTSD nelle donne più giovani anche se non direttamente coinvolte dal terremoto. Alcuni autori hanno suggerito che le donne durante la fase riproduttiva o madri di figli piccoli possano essere suscettibili agli eventi traumatici e essere quindi a maggior rischio di sviluppare sintomi Post-Traumatici da Stress. Le nostre ricerche sembrano confermare questi dati con punteggi significativamente più alti nel TALS-SR in ciascuno dei domini esploranti tali aspetti tra le donne più giovani non esposte rispetto alle donne meno giovani.

Inoltre, punteggi significativamente più alti di PTSD parziale sono stati riportati nelle donne rispetto ai maschi sebbene solo nella popolazione dei soggetti non esposti.

Alcune importanti limitazioni del presente studio devono tuttavia essere ricordate, tra queste la prima è costituita dal

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numero di soggetti di ciascun sottogruppo. La selezione dei sottogruppi è stata infatti determinata dalle differenze significative di età presenti nel campione iniziale tra soggetti esposti e non esposti e alla conseguente impossibilità di confrontare tali gruppi. Pertanto si è resa necessaria un’estrazione casuale di sottogruppi di minore numerosità. Una seconda limitazione è rappresentata dall'utilizzo di strumenti di autovalutazione, piuttosto che il colloquio con il medico psichiatra, per la valutazione dei sintomi di PTSD e la formulazione della diagnosi di Asse I. Un questionario di auto-valutazione dei sintomi di PTSD può essere infatti considerato meno accurato. Una terza limitazione è rappresentata dalla mancanza di informazioni sulla presenza di comorbidità psichiatrica di Asse I.

Nonostante queste importanti limitazioni i nostri risultati confermano gli effetti devastanti di un disastro, come può essere un terremoto, per la salute mentale della popolazione esposta e dimostrano l'importanza dell’attenzione alla salute mentale della popolazione generale esposta in risposta ai traumi.

I nostri risultati evidenziano inoltre l'’importanza di un’attenzione particolare in relazione al genere e alla prossimità all’epicentro del terremoto nella risposta dei

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soggetti esposti al terremoto, e suggeriscono possibili differenze in certe reazioni tra le vittime più giovani e quelle più anziane.

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2 DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS

2.1 Cenni Storici

Il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD) è, secondo quanto definito dal Manuale Diagnostico e Statistico delle Malattie Mentali IV edizione Text Revision (DSM IV-TR, 2000), un disturbo d'ansia conseguente all’esposizione diretta o indiretta ad un evento traumatico. Nel DSM-IV (APA, 1994) e nel DSM-IV-TR (APA, 2000) il trauma è definito come un evento che la persona ha vissuto o cui ha assistito o di cui è venuto a conoscenza, che ha implicato morte, minaccia di morte, gravi lesioni o minaccia dell'integrità fisica propria o di altri (criterio A1). Il trauma, inoltre, deve aver suscitato nella persona una risposta che comprendesse paura intensa, sentimenti di impotenza o di orrore (criterio A2) e nel bambino comportamenti disorganizzati o agitati.

Le caratteristiche cliniche richieste dal DSM-IV-TR per porre diagnosi di PTSD comprendono: 1) sintomi di rievocazione del trauma, ovvero ricordi ricorrenti e intrusivi dell'evento sotto forma di pensieri, percezioni, immagini e sogni (criterio B); 2) sintomi di evitamento persistente degli stimoli associati al trauma e ottundimento affettivo (numbing), ovvero tentativi di

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evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate al trauma e luoghi o persone che rievocano l'evento (criterio C); 3) sintomi persistenti di aumentato arousal, che si manifestano con difficoltà ad addormentarsi, irritabilità e scoppi di collera, incapacità di concentrazione ed esagerate risposte d'allarme con l'esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell'evento traumatico (criterio D).

I sintomi intrusivi possono essere frequentemente accompagnati da sentimenti di vergogna, rabbia, tristezza, paura, terrore e vulnerabilità, mentre i ricordi del trauma possono essere distorti e associati all'incapacità di richiamare alla memoria sequenze temporali specifiche o piccoli dettagli dell'accaduto. L'attenuazione della reattività, nei pazienti affetti da PTSD, può esplicarsi attraverso un intorpidimento emozionale (numbing) con riduzione marcata dell'interesse o della partecipazione ad attività significative, con sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri, con affettività ridotta e con scarse prospettive per il futuro.

In particolare, il DSM-IV-TR fornisce anche un elenco degli eventi considerati traumatici: aggressione personale violenta (rapina, scippo, violenza sessuale), attacchi terroristici, torture, incarcerazioni, essere coinvolti in disastri naturali o provocati,

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gravi incidenti automobilistici. Possono rappresentare eventi traumatici anche quelli vissuti in qualità di testimone (ad esempio l'assistere al ferimento grave o alla morte innaturale di un'altra persona dovuti ad aggressione violenta, incidente, guerra o disastro, trovarsi inaspettatamente di fronte ad un cadavere o a parti di un corpo), oppure quelli vissuti da altri ma di cui si è venuti a conoscenza (grave incidente, gravi lesioni subite da un membro della famiglia o da una persona con cui si è in stretta relazione, morte improvvisa e inaspettata di un membro della famiglia o di un amico stretto, o il venire a conoscenza di una malattia minacciosa per la vita di un proprio figlio). Per i bambini gli eventi traumatici possono includere, oltre a quelli precedentemente illustrati per l'adulto, le esperienze sessuali inappropriate in relazione allo sviluppo senza violenza, oppure lesioni reali o minacciate.

Storicamente il concetto di reazione psicogena ad eventi stressanti e traumatici è stato introdotto da Bleuer nel 1911, sebbene concetti simili fossero già stati elaborati alla fine del secolo scorso nelle definizioni di “nevrosi post-traumatica” (Oppenheim, 1892) e di “nevrosi da spavento“ (Kraepelin, 1896).Le prime descrizioni di reazioni di tipo post-traumatico risalgono in realtà al XVI secolo quando in soldati, esposti a combattimenti militari, furono segnalati quadri psicopatologici

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che presentavano sintomi analoghi a quelli che attualmente vengono identificati con Disturbo Post-traumatico da Stress (PTSD). Il primo caso di sindrome post-traumatica, nella letteratura non militare, fu invece riportato nel 1666 in un cittadino londinese reduce dal “Grande Incendio di Londra” (Daly, 1983).

Un reale interesse verso questo fenomeno si accese tuttavia solo nel secolo scorso, con l’avvento dei trasporti ferroviari, quando emersero numerose descrizioni piuttosto strutturate sui riscontri psicopatologici nelle vittime civili dei primi incidenti ferroviari. Comparvero in questo periodo infatti, nella letteratura medica, i primi quadri clinici, definiti proprio come post-traumatici, in vittime civili. Tra le vittime che soffrirono di tali quadri si ricorda il noto scrittore Charles Dickens, che espose accuratamente in alcuni suoi scritti i sintomi manifestati in seguito ad un incidente ferroviario (Trimble, 1981). Tuttavia, ancora lontani dall’idea di una possibile origine psicopatologica, i clinici dell'epoca attribuirono erroneamente questi quadri sintomatologici agli effetti fisici causati dall'incidente alla colonna vertebrale della vittima o al sistema nervoso centrale. Il trauma non era niente di più che una lesione fisica o una ferita e per questo si coniò il termine di “colonna vertebrale da ferrovia”. L’introduzione di tale termine fu merito di John

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Erichsen, chirurgo inglese che nel 1866 pubblicò “On railway and other injuries of nervous system”, nel quale attribuiva i problemi psicologici di pazienti feriti durante incidenti ferroviari a lesioni organiche alla spina dorsale. La “railway spine sindrome” (“spina dorsale da ferrovia”) includeva sintomi quali: stanchezza, ansia, disturbi della memoria, irritabilità, disturbi del sonno, incubi, ronzii alle orecchie, vertigini e dolore agli arti. Per Erichsen tali sintomi non dovevano essere confusi con quelli dell’isteria. Di opinione diversa, Page (1885) riteneva invece che i sintomi della “spina dorsale da ferrovia” avessero un’ origine psicologica. Il chirurgo parlava di “shock nervoso”, affermando che “si sono commessi molti errori nella diagnosi, poiché il terrore non è stato considerato, di per se stesso sufficiente” (Yule, 2000; van der Kolk, 2005).

Un momento di fondamentale importanza nell’evoluzione del concetto di trauma giunse verso la fine del XIX secolo quando Oppenheim (1892) riprese il concetto di “nevrosi da trauma” per identificare quei quadri di ansia morbosa che insorgevano in risposta a gravi traumi e shock emotivi. Il neurologo tedesco infatti utilizzò per la prima volta, nel 1888, il termine di “nevrosi traumatica” per descrivere un quadro d’ansia conseguente a gravi shock emotivi. Egli riteneva che i problemi presentati da questi pazienti fossero il risultato di modificazioni

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molecolari, avvenute nel sistema nervoso centrale.

In linea con l’ipotesi organicista di Oppenheim, nel 1870 Myers utilizzò il termine “cuore irritabile” e Da Costa, nel 1871, quello di “cuore del soldato” entrambi per descrivere il quadro patologico presentato dai soldati traumatizzati durante le azioni belliche, associando così le problematiche post-traumatiche a “nevrosi cardiache”, dal momento che in questi soggetti vi era un alto tasso di incidenza di sintomi cardiovascolari.

Successivamente Kraepelin, nel “Trattato di Psichiatria” del 1896, descrisse la cosiddetta “Schreckneurose” ovvero la “Nevrosi da Spavento”, chiarendo come tale concetto indicasse un’entità clinica autonoma insorta in seguito a fatti o eventi che suscitavano intensa ansia, spavento, shock emotivo, come ad esempio in caso di incidenti, collisione o deragliamento di convogli ferroviari.

Iniziava dunque a diffondersi, in ambito psichiatrico, il bisogno di focalizzare l’attenzione sul ruolo dello stress considerandolo ora come un’offesa psicologica, una lesione spirituale, una ferita dell’anima (Ian Hackiing 1995).

Tra il 1909 e il 1911 Edouard Stierlin, psichiatra svizzero, condusse due ricerche sulle vittime del terremoto di Messina del 1908 e di un disastro minerario nella stessa città nel 1906

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da cui rilevò come una proporzione sostanziale di vittime sviluppasse sintomi post-traumatici persistenti. Stierlin attribuì l’origine di tali sintomi alle emozioni violente vissute dalle vittime stesse durante questi eventi.

Egli affermò inoltre come la “nevrosi traumatica” fosse l’unico complesso di sintomi psicogeni per il quale non è necessaria una predisposizione psicopatologica. Tale ipotesi fu oggetto di discussione con Kraepelin che considerava poco frequente e atipica la nevrosi traumatica che aveva come origine la paura vissuta dal soggetto

Tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 un gruppo di studiosi della Salpêtrière di Parigi condusse una serie di studi sull’origine dell’isteria ed in particolare sul rapporto tra isteria e traumi sessuali subiti dal paziente nell’infanzia, con la conseguente polemica sui “falsi ricordi”, il rifiuto dell’origine traumatica dell’isteria, e l’individuazione della simulazione e della suggestionabilità come basi dell’isteria. Charcot (1887) fu il primo ad ipotizzare che i sintomi isterici fossero prodotti da un trauma, parlò infatti di stato ipnoide causato dal trauma subito e della conseguente natura dissociativa degli attacchi isterici. Janet (1904) ipotizzò che una stimolazione emotiva estrema, ovvero “emozioni veementi” potessero produrre nel soggetto un’incapacità ad assimilare i ricordi traumatici. Le esperienze

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traumatiche non verrebbero abbinate a schemi cognitivi preesistenti per cui le persone “sono incapaci di fornire il resoconto che chiamiamo memoria narrativa, eppure continuano a dover far fronte alla situazione difficile”. Ne consegue una “fobia della memoria” che impedisce l’integrazione degli eventi traumatici e rende avulsi questi ricordi dalla coscienza ordinaria. Le tracce mnemoniche del trauma rimangono latenti sotto forma di idee fisse inconsce che continuano ad interferire sotto forma di percezioni terrificanti, preoccupazioni ossessive e riesperienze somatiche come le reazioni da ansia. Janet osservò che i pazienti reagivano a elementi che ricordavano il trauma rispondendo in modo adeguato alla minaccia originale, inoltre gli sforzi per mantenere i ricordi traumatici fuori dalla coscienza esaurivano la loro energia e ciò interferiva con la loro capacità di impegnarsi in azioni che richiedevano concentrazione e creatività.

Fino alla psicoanalisi tali teorie sono state considerate come le formulazioni corrette degli effetti del trauma sulla mente. La dissociazione era il fulcro del processo patogenico che suscita lo stress post-traumatico. Tali teorie sono poi cadute nell’oblio per essere riprese solo negli anni ’80.

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di Janet per cui la dissociazione è alla base de l’”isteria ipnoide”, conseguenza di eventi traumatici nell’infanzia. In seguito Freud sviluppò il concetto di “isteria da difesa” per cui non sono i ricordi del trauma in età infantile ad essere dissociati, ma vengono rimossi impulsi sessuali e aggressivi del bambino che ruotano intorno al complesso di Edipo e che minacciano l’ego. In sostanza si pone l’enfasi sull’esperienza soggettiva e la realtà intrapsichica, eclissando l’interesse per la realtà esterna.

Con la prima guerra mondiale poi fu introdotto il concetto di “nevrosi da guerra” e non a caso il primo congresso della Società Psicanalitica Internazionale, che si svolse a Budapest nel 1924, fu dedicato a questo tema. Fu infatti durante la Grande Guerra che i medici militari si trovarono di fronte al fenomeno massiccio di soldati sotto shock come mai fino ad allora si ricorda in letteratura. Le caratteristiche di lunga guerra di trincea, non di certo mobile e leggera come le guerre precedenti, con costante impiego di bombardamenti a tappeto, non fecero che acuire il disturbo in un numero sempre crescente di soldati. Comparvero quindi anche i termini di “shock da bombardamento”, “cuore del soldato o nevrosi da guerra”, nel tentativo di identificare sindromi specifiche che potessero giustificare i sintomi che i clinici osservavano. Cosi,

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ne l’ “Introduzione alla Psicanalisi delle Nevrosi di Guerra”, (1919) Freud sottolineò come “le nevrosi di guerra “sono delle nevrosi traumatiche che, com’è noto, si presentano anche in tempo di pace in seguito ad esperienze spaventose o a gravi incidenti, senza alcun rapporto con un conflitto dell’io”. In realtà la posizione di Freud fu decisamente incerta a riguardo, soprattutto relativamente all’esistenza di un conflitto dell’io, infatti il contatto con la Prima Guerra Mondiale e le osservazioni sulle nevrosi belliche non portarono Freud ad un’ integrazione, ma allo sviluppo di due modelli distinti del trauma: il modello della “situazione insopportabile” e il modello “dell’impulso inaccettabile”.

Durante la Prima Guerra Mondiale e nei decenni successivi, in Germania, la “nevrosi da guerra” era considerata come una malattia della volontà, pertanto la diagnosi medica dello stress post traumatico veniva formulata come “disfacimento della volontà del singolo soldato”, di conseguenza il trattamento comprendeva “terapie della volontà causale”, in cui con esercizi fisiologici veniva stimolato il desiderio di star bene del paziente. Poiché il trattamento era molto doloroso, i soldati preferivano essere rispediti in prima linea e in tal modo erano considerati guariti (Yule, 2000; van der Kolk, 2005).

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sorto su questo disturbo declinò in modo rapido, probabilmente per il diminuire dei casi stessi; in quegli anni si parlava soprattutto di “reazioni ad eventi” e di “nevrosi traumatiche”. Nel 1926 Bonhoeffer ritenne che la nevrosi traumatica fosse una patologia sociale e che i soldati che ne soffrivano avessero in comune una predisposizione ereditaria. In particolare la gravità di tale nevrosi era condizionata dalla disponibilità o meno ad ottenere un risarcimento, per cui il disturbo era lamentato in base alla possibilità di un beneficio secondario, pertanto la nevrosi traumatica era una “nevrosi da risarcimento”; infatti quando nel 1926 in Germania entrò in vigore la RVO (legge sull’assicurazione sanitaria nazionale) per cui non doveva essere concessa alcuna compensazione per la nevrosi traumatica, pena l’incurabilità di questa, si azzerarono i casi di disturbo traumatico tra la popolazione militare. Tale legge rimase in vigore per tutto il periodo nazista e nel 1959 fu ritoccata.

Nel 1923 Kardiner cercò di elaborare una teoria sulle nevrosi da guerra basandosi sulla teoria precedente di Freud, ma fallì. In seguito, in “The traumatic neuroses of war” (1941) egli descrisse le reazioni dei soldati statunitensi che aveva in cura, evidenziando come chi fosse affetto da nevrosi traumatica presentasse una fisionevrosi, ovvero un’ attivazione fisiologica

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con un abbassamento della soglia della stimolazione che si manifestava in un’ eccitazione fisiologica estrema. I soldati presentavano inoltre un’ alterazione della concezione di sé in relazione al mondo, in base ad una fissazione al trauma ed ad una vita onirica atipica, caratterizzata da irritabilità cronica, reazioni d’allarme, reazioni aggressive irruente. Il paziente rimaneva bloccato al trauma e spesso aveva il “sogno di Sisifo”, ovvero un senso di impotenza tale per cui “qualunque attività viene accompagnata da forme stereotipate di inanità”. Questo senso d’ impotenza spesso aveva il sopravvento sul paziente, che tendeva a chiudersi e restare in disparte, anche se prima della sua esperienza bellica aveva agito in modo normale. Più di quarant’anni dopo Tichener (1986) avrebbe riscoperto questo fenomeno chiamandolo “declino post-traumatico”.

Durante la II Guerra Mondiale vennero elaborate nuove tecniche per la psichiatria di prima linea e vennero svolte ricerche sui fattori protettivi come l’addestramento, la coesione di gruppo, la disciplina e la motivazione. Vari psichiatri statunitensi applicarono le idee di Kardiner (L. Kubie, R. Grinker; H. Spiegel; J. Spiegel; W. Menninger; L. Kolbe), confermarono le sue osservazioni e reintrodussero l’ipnosi per aiutare i pazienti a reagire al trauma.

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operative di gruppo in caso di stress (William Yule, 2000; Bessel A. van der Kolk, 2005).

Non è trascurabile, a tal proposito, il materiale offerto dagli studi effettuati su disturbi psichiatrici riscontrati nei reduci della Guerra del Vietnam. Nel 1974 il Vietnam Veterans Working Group, comprendente una serie di associazioni professionali ed umanitarie finalizzate al sostegno dei veterani di guerra, fornì lo stimolo iniziale ad effettuare gli studi che portarono ad una validazione empirica della Sindrome Post-Traumatica permettendone l’ingresso ufficiale nella nosografia psichiatrica moderna.

Fu solo nella terza edizione del Diagnostical and Statistical Manual (DSM-III) del 1980, che entrò a pieno titolo il concetto di Disturbo Post-Traumatico da Stress definito come disturbo evocato da un “evento fuori dal range delle normali esperienze umane e che sarebbe molto stressante per chiunque”.

Né nella prima edizione del DSM , utilizzata dal 1952 al 1968 , né nella seconda utilizzata dal 1968 al 1980, è presente una categoria diagnostica per questo disturbo. Riprendendo un’idea già sviluppata da Fenichel, in quegli anni, si diffondeva il pensiero di Bleuler(1967) secondo il quale le “reazioni patologiche” ad eventi traumatici, definite anche disturbi

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“psicoreattivi o psicogeni”, non erano legate all’evento in sé ma alla personalità del soggetto, alla sua predisposizione e a reazioni psichiche morbose. Erano gli anni in cui negli Stati Uniti si sviluppava l’approccio psicobiologico di Mayer (1990), che interpretava molti disturbi come reazioni ad esperienze di vita e come espressione dell’adattamento dell’individuo alla realtà e alle circostanze psicosociali.

Quasi contemporaneamente, dominarono in Europa due teorie principali: l’una di Jasper e l’altra di Schneider. Il primo sosteneva l’esistenza di due meccanismi diversi di reazione agli eventi: uno “normale”, quando l’esperienza resta sotto il potere del soggetto, non provoca conseguenze dannose e può aversi in qualunque individuo; e l’altro “anormale” quando invece porta allo sviluppo di una reazione patologica, cioè una risposta all’evento eccessiva per misura, durata e grado (Jasper, 1964). Schneider si focalizzava soprattutto sulla natura abnorme di tale reazione “di insolita intensità e inadeguatezza rispetto all’evento” (Schneider , 1983).

La nuova definizione di agente traumatico viene introdotta nel DSM-IV(1994), in cui il trauma non è più definito “un evento che esula dalle esperienze umane comuni e che evoca sintomi di stress nella maggior parte degli individui” ma come un

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“evento che mette a rischio l’incolumità di un individuo e che provoca sentimenti di paura, impotenza od orrore nei quali il soggetto è coinvolto in modo diretto o da semplice spettatore”. La tendenza a considerare i sintomi del disturbo post-traumatico da stress come una “normale risposta” ad un evento traumatico ha costituto un ostacolo allo sviluppo della ricerca in quest’ambito. Infatti il PTSD è una risposta patologica all’esposizione ad un evento traumatico: la maggior parte dei soggetti esposti ad un trauma sono poi in grado di adattarsi e continuare la loro vita senza sviluppare quadri psicopatologici. Solo una minima percentuale di soggetti esposti a un trauma, per il tipo ed intensità del trauma e per la presenza di fattori di rischio, sviluppa una patologica fissazione all’evento traumatico, detta PTSD (Zohar et al., 1998). Il PTSD è quindi un disturbo d’ansia per lo più cronico ed invalidante, che si differenzia dagli altri disturbi psichiatrici per la peculiarità di insorgere in seguito ad un evento traumatico scatenante.

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27 2.2 Il PTSD verso il DSM-V

La questione sulla classificazione del PTSD fu sollevata prima della pubblicazione della quarta edizione del Diagnostical and Statistical Manual of Mental Disorder (DSM-IV, American Psychiatric Association, 1994) quando, nonostante l’Advisory subcommittee avesse votato unanimamente il collocamento del PTSD in una nuova categoria di risposta allo stress (Brett, 1993), la task force del DSM-IV decise di classificare il PTSD come un disturbo d’ansia, esattamente come lo era già nel DSM-III.

La classificazione del PTSD fu dibattuta anche in occasione della revisione del DSM-III quando i membri della sottocommissione discussero animatamente se mantenerlo tra i disturbi d’ansia o tra quelli dissociativi (Brett, Spitzer, Williams, 1988). Le considerazioni che essi portarono a difesa delle due diverse prospettive furono dettate, in entrambi i casi, dalla necessità di giungere a una decisione per la nuova edizione del manuale diagnostico con il duplice effetto di focalizzare e di restringere al tempo stesso la discussione. L’esperienza, maturata in quegli anni, sui danni psichiatrici prodotti a seguito della seconda guerra mondiale condusse ad una completa riformulazione delle concezioni esistenti sui disturbi mentali; così durante e immediatamente dopo la

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guerra le American Armed Forces e la Veterans Administraton svilupparono nuove classificazioni diagnostiche. Nel 1948, quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità decise di includere i disturbi mentali nella sesta edizione della International Statistical classification of Diseases, Injuries, and causes of Death, ICD-6, si basò sulle categorie introdotte dalle Armed Forces. Nel 1952, quando l’APA aggiornò la sua classificazione diagnostica, che risaliva al 1933, utilizzò le esperienze psichiatriche dei sistemi delle Armed Forces, della Veterans Administration e de l’IDC-6 (APA, 1952, 1933). Sia la classificazione internazionale sia quella nordamericana, quindi, furono formulate da psichiatri che avevano avuto un’esperienza diffusa con la patologia post-traumatica. Le Armed Forces e la Veterans Administration definirono allora le reazioni traumatiche come risposte di breve durata in individui normali. Si definirono “sindromi situazionali transitorie” le reazioni acute allo stress eccessivo che si manifestavano in individui senza una psicopatologia premorbosa o concomitante. Questa prospettiva fu sostenuta sia nella classificazione internazionale che in quella nordamericana.

Ne l’ICD-6 i prototipi di quello che ad oggi chiamiamo PTSD erano chiamati “disadattamenti situazionali acuti”. Nel DSM-I erano menzionati come “disturbi situazionali transitori della

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personalità”. Il DSM-II (APA, 1968) si basò sulla sezione dei disturbi mentali de l’ICD-8 (WHO, 1969) e adottò il termine, che lì compariva, di “disturbo situazionale transitorio”. Ne l’ICD-7 non ci furono cambiamenti nella sezione dei disturbi mentali. L’ICD-9 (WHO, 1977) introdusse la designazione compatibile, ma più specifica di “reazione acuta allo stress”. L’ICD-10 (WHO, 1992) e il DSM-III(APA, 1980) presentavano concezioni significativamente diverse delle reazioni post-traumatiche. Il cambiamento più importante consistette nel non limitare i disturbi da stress alle sole risposte acute in individui sani ma nel considerare lo stress traumatico come potenziale causa di reazioni croniche. Inoltre il DSM-III collocava il PTSD nella sezione dei disturbi d’ansia. L’IDC-10 presentava una maggior varietà nelle diagnosi delle reazioni traumatiche, includendo cambiamenti persistenti della personalità a seguito di un’esperienza catastrofica. Nel passaggio dal DSM-I al DSM-II , il concetto di disturbo traumatico venne stemperato. Il DSM-I includeva la” reazione grave allo stress “ riferita ai casi di risposta alle catastrofi militari o civili. Il DSM-II eliminò quel riferimento e lasciò solamente le “reazioni d’adattamento“ per indicare indistintamente sindromi che non erano differenziate sulla base della natura o della severità della risposta allo stress. Gli autori

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del DSM-II evidenziarono che la diagnosi di disturbo d’adattamento includeva, diversamente dalla categoria del DSM-I, le reazioni psicotiche. Nonostante ciò, la giustapposizione di disturbi di adattamento e disturbi d’ansia costituì allo stesso tempo una perdita di differenziazione. La specificità delle reazioni al trauma riapparve nel DSM-III, a seguito delle valutazioni e dei trattamenti psichiatrici dei veterani del Vietnam (Spitzer, 1994). Infatti com’era successo con la seconda guerra mondiale anche la guerra del Vietnam fornì un importante impulso allo studio delle reazioni psicopatologiche ai traumi. A partire dal DSM-III le reazioni post-traumatiche non comparivano in una categoria di adattamento e di stress, ma furono collocate tra i disturbi d’ansia.

Fu Barlow a discutere in modo completo e convincente le ragioni che portarono a considerare il PTSD un disturbo d’ansia (Barlow,1988; Jones, Barlow, 1990) osservando la presenza di “componenti fondamentali d’ansia nei sistemi di risposta comportamentali, cognitivi e fisiologici” nel PTSD (Jones, Barlow, 1990). Egli giunse ad affermare che, sebbene possa sembrare che il PTSD e gli altri disturbi d’ansia differiscano in base alla natura e al ruolo degli stressors, i due disturbi sono simili in quanto l’origine è costituita in entrambi i casi dal ciclo

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della percezione ansiosa; ritenne quindi fosse necessaria una spiegazione che tenga conto del perché così tante persone non sviluppano il disturbo sebbene esposti a stressors traumatici. Passando in rassegna le ricerche sul PTSD, Jones e Barlow (1990) conclusero che queste confermano la similarità tra il PTSD e i disturbi d’ansia in diverse ambiti tra cui la vulnerabilità genetica, la predisposizione psicologica, la fisiopatologia, la sintomatologia e la risposta alle terapie.

Così, quando venne redatto il nuovo DSM-IV-TR nel 2000, il PTSD risultava essere descritto come un disturbo d’ansia ma, differentemente dagli altri disturbi, caratterizzato dalla particolarità di possedere un agente eziologico ovvero lo stress traumatico. Esso veniva definito come un evento in grado di scatenare un’intensa paura, sconforto, o sofferenza fisica propria o subita da altri. Possono essere considerati eventi traumatici le aggressioni personali, i disastri naturali o causati dall’uomo, gli incidenti o i combattimenti militari.

Molte ricerche sulle reazioni agli eventi traumatici hanno tuttavia portato a focalizzare l’attenzione della task force dedicata alla stesura del DSM-V sull’importante ruolo della suscettibilità individuale all’evento stressante, condizionata anche dal corredo genetico e dal rapporto che questo stabilisce con l’ambiente, al fine del manifestarsi del PTSD; e ciò ha

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consentito di poter affermare che il trauma è condizione necessaria ma non sufficiente per lo sviluppo del disturbo.

Infatti la comparsa clinica del Disturbo Post-Traumatico da Stress sembra essere determinata non dalla gravità dell’evento traumatico o stressante, ma dalle modalità soggettive di elaborazione delle esperienze. Inoltre sono stati individuati degli elementi che potrebbero giocare un importante ruolo nello sviluppo del disturbo, come la “dissociazione peritraumatica”, le emozioni negative peritraumatiche e il supporto sociale ricevuto a seguito dell’evento.

Il dibattito che si è acceso sulla questione di come considerare un evento traumatico al punto di innescare il disturbo, ha portato a molte controversie ed anche all’ipotesi di eliminare i criteri che definiscono un evento traumatico (A1 e A2), focalizzando l’attenzione solamente sugli aspetti sintomatologici dello stesso così come accade anche per altri disturbi psichiatrici.

Molti autori hanno dimostrato che poche persone (3.4%-4.5%) manifestano un PTSD conclamato se non hanno avuto esperienza di un evento traumatico come è definito nel DSM-IV. In base a ciò si sono mostrati contrari ad un ampliamento degli eventi che qualificano il criterio A1; suggeriscono di

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associare gli eventi meno minacciosi piuttosto al disturbo dell’adattamento che non al PTSD. Si parla in questo senso di “bracket creep” o “criterion creep” proprio ad indicare quella ”crepa” nella definizione del criterio.

Altri autori invece respingono il “bracket creep” sostenendo piuttosto la necessità di includere un più ampio range di esperienze negative nel criterio A1, in modo da comprendere nella diagnosi di PTSD un quantitativo maggiore di soggetti esposti a tali sintomi. Nonostante tali controversie il gruppo di ricercatori ha in ultimo concordato di mantenere il criterio A1, considerandolo elemento indispensabile per lo sviluppo dei sintomi di PTSD in particolare quelli intrusivi e di evitamento (Spitzer; Rosen et al., 2010).

Tuttavia, il concetto di evento traumatico ha subito una rivisitazione che ha condotto ad una migliore distinzione tra eventi traumatici ed eventi che, sebbene pericolosi, non raggiungono né superano la soglia traumatica. Nel DSM-V gli eventi qualificanti comprendono l’esposizione diretta a morte o minaccia di morte, danno personale reale o minacciato, e violenza sessuale reale o minaccia.

Inoltre si aggiungono all’evento stressante e contribuiscono ad alimentare la patologia anche i ripetuti stress quotidiani che il

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soggetto avverte (Seides, 2010). Infatti il paziente che vive od ha vissuto gravi stress e traumi ha spesso anche dei danni e delle difficoltà materiali ed economiche. Basta pensare ai correlati concreti di eventi come crolli di case, incidenti stradali, gravi malattie inabilitanti, furti, rapine, aggressioni ecc.

A tal proposito, osservando che il trauma può dipendere dalla reazione della persona che l’ha provato, alcuni autori hanno ritenuto importante comprendere nella definizione di PTSD i cosiddetti eventi “low-magnitude” ( ovvero divorzi, malattie gravi e problemi finanziari ecc) che il soggetto può percepire rilevanti al punto da scatenare il disturbo (Moreau e Zisook 2002). E’ stato inoltre osservato da medici e ricercatori come, nonostante individui esposti a questo tipo di agenti stressanti presenti una diagnosi di PTSD, gli aspetti più importanti della sindrome non sono in realtà presi in considerazione nella attuale definizione del disturbo. Si tratterebbe di fenomeni come l’“acting-out”, l’autolesionismo, le relazioni personali distruttive, i comportamenti e le emozioni difficoltose (come la labilità affettiva, la depressione e il panico), le difficoltà cognitive (ad esempio la dissociazione), e la somatizzazione; tutte condizioni inizialmente considerate facenti parte del PTSD completo, ma che in un secondo momento sono state inserite, dalla task force del DSM-IV, nel Disturbo da Stress Non

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35 Altrimenti Specificato (DESNOS).

Inoltre, per confermare l’importante ruolo dei “low-magnitude” events nel determinare l’insorgenza del disturbo, è essenziale osservare che molte ricerche si concentrano sulle malattie corporee come cancro e altre malattie croniche in quanto queste sembrerebbero rappresentare delle cause di PTSD; esse infatti necessitano di interventi diagnostici e terapeutici che hanno quale corollario un tributo emozionale molto forte che può trasformarsi in stress post-traumatico.

Uno studio di coorte svizzero svolto su 597 pazienti affetti dal morbo di Chron ha mostrato che anche questa malattia può essere la causa di PTSD e che a sua volta determina effetti molto negativi sulla malattia intestinale. Lo studio svolto dal team di Ronald von Känel dell’ospedale di Berna ha considerato, innanzitutto la salute mentale dei partecipanti, misurata con una scala dello stress contenente 17 Items e raggiunge un valore massimo di 51 punti. Un paziente su cinque ha totalizzato il valore soglia di 15 punti. Ciò significa che un quinto dei pazienti presentava disturbi derivati da PTSD. Nel corso dei seguenti 18 mesi, grazie ad una costante analisi, è stata determinata l’influenza del PTSD sullo sviluppo della malattia. La ricorrenza delle esacerbazioni, cioè l’incremento acuto della malattia, in forma anche di manifestazioni

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intestinali, insorgenza di complicazioni o mancanza di risposta alla terapia, è aumentata con i i punti della scala PTSD.

È stato mostrato che alcuni specifici cluster dei sintomi aumentano il rischio di aggravamento della malattia: traumi o incubi ricorrenti, comportamenti elusivi in riferimento allo stato di malattia o stati di sovreccitazione ne sono un esempio.

Inoltre è importante notare che lo stress post-traumatico determina un cambiamento del quadro immunitario ed ormonale che spiega l’effetto negativo sulla malattia.

Tra i fattori di rischio per lo sviluppo di PTSD sono stati evidenziati inoltre la dissociazione peritraumatica e le emozioni negative peri-traumatiche. Marmar e colleghi hanno chiamato le risposte dissociative acute al trauma “dissociazione peritraumatica” (Marmar et al., 1994b; Marmar et al., 1997; Weiss et al., 1995). Si tratterebbe di una serie di reazioni che si manifestano durante l’evento traumatico che le vittime definiscono come alterazioni nel modo di percepire il tempo, lo spazio e le persone, conferendo un senso di irrealtà all’evento. La dissociazione che si verifica nel corso del trauma può assumere la forma di un senso alterato del tempo, che può essere vissuto come alterato o accelerato; molte vittime provano una depersonalizzazione, la sensazione di uscire dal

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proprio corpo, sentono smarrimento, confusione, disorientamento e una percezione alterata del dolore e del loro corpo. In anni recenti, studi condotti su diverse popolazioni traumatizzate hanno mostrato che la presenza della dissociazione durante il trauma costituisce un predittore significativo del successivo sviluppo del PTSD. Holen (1993) ha rilevato questa correlazione nei sopravvissuti a un disastro su una piattaforma petrolifera nel mare del Nord; Cardena e Spigel (1993) in 100 studenti coinvolti nel terremoto di Loma Prieta del 1989 in California; e Koopman, Classen e Spigel (1994) nei sopravvissuti degli incendi di Oakland/Berkeley, in California.

E’ stato visto inoltre come all’aumentare dell’entità della dissociazione durante l’evento, corrisponda una più alta probabilità di soddisfare i criteri di PTSD conclamato(Weiss et al., 1995; Marmar et al., 1996). Inoltre Marmar, Weiss, Metzler e Delucchi (1996) hanno scoperto che i fattori associati a livelli più alti di dissociazione peritraumatica sono i seguenti: età minore, livelli più elevati di esposizione, maggiore percezione soggettiva di una minaccia, minore adattamento psicologico generale, struttura dell’identità più debole, più bassi livelli di ambizione e prudenza definite secondo l’Inventario Hogan della Personalità (Hogan Personality Inventory), maggiore locus

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di controllo esterno e maggior uso di reazioni di fuga/evitamento e coping centrato sulle emozioni.

Presi nel loro insieme questi dati suggeriscono che gli individui più vulnerabili alla dissociazione peritraumatica sono coloro con minore esperienza di lavoro, con strutture della personalità più vulnerabili, che, per il loro senso di sicurezza, fanno più affidamento sul mondo esterno facendo un uso maggiore di strategie di coping non adattative.

In base a tutte queste osservazioni si è acceso un dibattito tra i ricercatori ad oggi dedicati alla stesura del DSM-V riguardo quali criteri includere nella definizione di evento stressante capace di innescare il disturbo .

Il criterio A2 ha posto un importante interrogativo durante la stesura del DSM-V e infine è stato eliminato alla luce di numerose ricerche empiriche che dimostrano il suo inadeguato valore diagnostico per il PTSD; infatti risultano essere certamente più importanti le emozioni di rabbia o vergogna manifestantisi nell’arco di sei mesi dopo l’evento, piuttosto che la paura immediata provata dopo l’esposizione al trauma, l’impotenza percepita innanzi a questo e l’orrore vissuto nel periodo successivo ad esso (Spitzer, 2007;Hathaway, 2010). Numerosi studi suggeriscono infatti di tenere in considerazione

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la risposta personale immediata al trauma perché ogni individuo risponde in maniera diversa e più o meno complessa al trauma.

Nella futura quinta edizione del DSM-V anche gli stessi sintomi descritti nei criteri di diagnosi del PTSD sono stati ridefiniti. Una delle più importanti modifiche riguarda i sintomi descritti nei criteri B e D, quali irritabilità, insonnia, difficoltà di concentrazione, diminuzione marcata di interessi, che sembrerebbero piuttosto appartenere ad altre patologie come depressione maggiore, fobie specifiche e disordini dissociativi e che rappresenterebbero qui semplicemente una sovrapposizione.

Ancora altre ricerche hanno dimostrato che gli eventi traumatici possono svelare molte emozioni diverse dalla paura come rabbia, sentimenti di colpa o vergogna, di disgusto, di tristezza e anche di torpore, che sono stati quindi presi in considerazione nella definizione del PTSD. Si è resa dunque necessaria una revisione accurata della definizione del disturbo e attualmente è stato proposto di includere 20 sintomi piuttosto che i 17 precedenti.

Ovvero si ritiene che la struttura base del PTSD debba includere quattro cluster di sintomi, piuttosto che tre, come

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avviene nel DSM-IV: sintomi intrusivi, evitamento, effetti negativi, iperarousal.

Inoltre il criterio C (evitamento e numbing) del DSM-IV-TR è stato diviso in due criteri: comportamento di evitamento e alterazioni negative nella sfera cognitiva ed emotiva. I criteri proposti hanno ampliato l’ambito dei criteri B-E introducendo i concetti di disforia, di anedonia, di aggressivita-externalizing, di colpa e vergogna, e infine di sintomi dissociativi, ovvero bassa stima in se stessi e nel mondo.

Infine il DSM-V elimina la distinzione tra PTSD acuto e cronico, alla luce di questi piccoli supporti empirici.

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3. PTSD NELLE POPOLAZIONI ESPOSTE AL TERREMOTO Un’ampia ricerca è stata condotta sui disturbi mentali che si manifestano a seguito di disastri naturali come i terremoti, poiché negli ultimi decenni sembra esser divenuta una delle più grandi sfide dei ricercatori quella di inquadrare e meglio affrontare il disagio mentale associato a queste esperienze (Armenian et. al., 2000 and 2002; Goenjian et al., 2005; Kun et al., 2009; Hussain et al., 2010).

Molti studi hanno dimostrato che il PTSD ed i sintomi post-traumatici da stress risultano essere le più frequenti reazioni psicopatologiche a seguito di eventi catastrofici come risulta essere un terremoto (McMIllen et al., 2000). Una prevalenza di PTSD variabile tra 10,3% e 49,6% (Armenian et al., 2000; Bödvarsdottir et al., 2004; Kun et al., 2009; Wang et al., 2009; Cairo et al., 2010) è stata riscontrata tra i sopravvissuti ai terremoti con valori più elevati tra gli adolescenti e i giovani adulti (Pynoos et al., 1998; Lai et al. 2004; Bal e Jensen, 2007; Goenjian et al., 2009; Dell’Osso et al., 2011).

Uno sforzo sempre maggiore è stato compiuto per studiare il ruolo del genere e dell’età nello sviluppo dei sintomi di PTSD che seguono l’esposizione ad un terremoto, ma i risultati non sono ancora certi. La maggior parte dei risultati degli studi

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condotti sul ruolo del genere nello sviluppo dei sintomi di PTSD che seguono i terremoti nelle popolazioni adulte sembra mostrare una più elevata vulnerabilità nelle donne (Lazaratou et al., 2008; Priebe et al., 2009; Wang et al., 2009 and 2010), così come nei bambini e negli adolescenti (Bal and Jensen, 2007; Goenjian et al., 2009; Dell’Osso et al., 2011). Tuttavia altri studi non hanno trovato differenze di genere (Nolen-Hoeksema and Morrow, 1991; Goenjan et al., 1994).

I terremoti costituiscono una delle più grandi catastrofi naturali dell'era contemporanea. Insorgono perlopiù inaspettatamente, arrecando danni irreparabili all’ambiente ed alle persone. (Bödvarsdottir et al., 2004; Lai et al., 2004; Bland et al., 2005; Chang et al., 2005; Önder et al., 2006; Priebe et al., 2010; Su et al., 2010).

L'Italia è uno dei paesi sismicamente più attivi in Europa, è infatti pervasa da scosse sismiche prevalentemente di lieve entità ed è raramente colpita da episodi violenti e mortali, cosi com’è avvenuto invece il 6 aprile 2009 nella città de L’Aquila. Alle ore 3:32 del 6 aprile 2009 infatti un terremoto di Magnitudo Richter 6.3 ha colpito L'Aquila, una città con una popolazione complessiva di 105000 abitanti e 72000 residenti. Molti edifici ed ampie parti della città, soprattutto nel centro storico, sono crollati. Il terremoto dell’Aprile 2009 ha provocato

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la morte di 309 persone, con più di 1600 feriti dei quali 200 gravemente feriti e ricoverati in strutture sanitarie e 66000 sfollati. La terra ha continuato a tremare anche nei giorni successivi al 6 Aprile; si sono registrate fino a 150 scosse in un solo giorno. Il piano di emergenza nelle ore immediatamente successive all’accaduto ha riguardato l’estrazione di numerose persone ancora vive dalle macerie nelle zone più compromesse e l’evacuazione dell’intera popolazione. Il piano di aiuti della Protezione Civile ha portato all’allestimento di strutture di emergenza (tendopoli) in cui accogliere le persone rimaste senza tetto ed in molti casi senza persone care. Il senso di precarietà e l’incertezza su se e quando ci sarebbe stata la possibilità di rientrare nelle proprie case ha generato in moltissime persone sconforto, tristezza ma allo tempo rabbia e forte senso di impotenza.

In un precedente studio (Dell’Osso et al., 2011a) condotto dai ricercatori della Clinica Psichiatrica di Pisa (Prof. Dell’Osso) e de L’Aquila (Prof. Rossi) è stato riportato per la prima volta la presenza di PTSD in una popolazione di adolescenti sopravvissuti al terremoto de l’Aquila del 2009. Tutti i soggetti sono stati reclutati tra studenti frequentanti l’ultimo anno della scuola superiore a L'Aquila 10 mesi e 21 mesi dopo il terremoto. In accordo con la precedente letteratura (Laj et al.

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2004; Bal e Jensen, 2007; Goenjian et al., 2009), i nostri risultati hanno mostrato un punteggio di PTSD di 37.5% dopo 10 mesi (Dell’Osso et al., 2011a), e di 30.7% dopo 21 (Dell’Osso et al., 2011b),e di PTSD parziale in un ulteriore 29,9% del campione.

Uno sforzo sempre maggiore è stato rivolto a studiare il ruolo dei fattori di rischio come ad esempio il genere, l'età ed il grado di esposizione nello sviluppo di sintomi di PTSD a seguito di terremoti.

Ci sono dati che confermano come le donne presentino livelli di sintomi di PTSD significativamente maggiori rispetto agli uomini a seguito di un evento traumatico ed in particolar modo dopo un terremoto.(Pynoos et al., 1993; Najarian et al., 2001; Green, 2003; Lai et al., 2004; Foa et al., 2006; Bal e Jensen., 2007; Cohen, 2008; Goenjian et al., 2009; Cohen and Scheeringa, 2009; McFarlane et al., 2009; Dell’Osso et al., 2010; Pratchett et al., 2010; Dell’Osso et al., 2011).

Oltre al genere sono stati riscontrati altri fattori di rischio per lo sviluppo di PTSD a seguito di terremoto come bassi livelli di scolarità, morte di un familiare o la perdita di amici (Dell’Osso et al., 2011b; Ahmad et al., 2010; Basoglu et al., 2004), ma un'attenzione particolare è stata rivolta al grado di esposizione

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al terremoto, ovvero alla distanza dall'epicentro (Armenian et al., 2000; Cao et al., 2003; Ahmad et al., 2010 Chan et al., 2011). Recentemente Chan et al. (2011) hanno reclutato un campione di sopravvissuti a un terremoto da due zone a diversa distanza dall'epicentro ed hanno riscontrato sintomi significativamente più alti di PTSD (55.6% versus 26.4%) nella popolazione più vicina all'epicentro. In accordo con ciò, Ahmad et al (2010) ha riscontrato che più alti livelli di sintomi post-traumatici erano presenti in donne con un basso livello di educazione ed abitanti in prossimità dell'epicentro del terremoto del Pakistan del 2005. Questi dati sembrano confermare una relazione tra la vicinanza all'epicentro di un terremoto e gli aumentati livelli di PTSD o di sintomi post-traumatici da stress nella popolazione. Al contrario risultati contrastanti sono stati trovati per quanto riguarda il ruolo dell’età nello sviluppo dei sintomi da stress post-traumatico a seguito di terremoti. Nonostante molti studi abbiano riportato più alti livelli di sintomi di PTSD dopo un terremoto in soggetti di mezz’età ed anziani rispetto a soggetti più giovani (Carr et al., 1997; Lewin et al., 1998 Tojabe et al., 2006), altri studiosi (Kato et al., 1996), hanno trovato una diminuzione importante di sintomi in soggetti più vecchi di 60 anni.

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in un campione di 2148 soggetti esposti ad un terremoto di una regione rurale dell’Italia nel 2002, il genere femminile, un livello di educazione scolastica minore ed un’età maggiore di 55 anni correla con più elevato riscontro di PTSD.

Più recentemente Xu et al. (2011) hanno osservato che il supporto psicologico dei sopravvissuti al terremoto che è avvenuto in Sichuan debba essere rivolto alle donne e alle persone più anziane che sono le due categorie più colpite dal disastro.

Sono stati condotti studi incrociati con strumenti di valutazione diversi per misurare i sintomi di PTSD ad intervalli di tempo diversi tra la valutazione ed il momento del terremoto (Bland et al., 2005; Bödvarsdottir et al., 2004).

Così, rimane poco chiaro fino a che punto l’incongruenza dei risultati ottenuti dagli studi sia dovuta a differenze effettivamente esistenti tra i campioni valutati o a i diversi approcci metodologici utilizzati. In ogni caso, dati più accurati sono necessari per capire il ruolo dell’età e del genere nello sviluppo dei sintomi di PTSD a seguito di terremoti.

Questi dati risultano essere in accordo con i precedenti risultati ottenuti in popolazioni di adolescenti e giovani adulti (Laj et al. 2004; Bal e Jensen, 2007; Goenjian et al, 2009) nei quali è

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stato riportato che la psicopatologia a seguito di calamità naturali, come terremoti, è in prevalenza rappresentata da disordine da stress post-traumatico.

I risultati di studi condotti sull’età come potenziale fattore di rischio per lo sviluppo del PTSD sono complessi: sembra che i bambini in età scolare siano più vulnerabili, rispetto a quelli più piccoli (Green et al., 1991). In particolare, il comportamento dei genitori, il loro livello di sofferenza e l’atmosfera familiare sembrano influenzare le reazioni post-traumatiche dei bambini (Vila et al., 2001).

Breslau et al. (1999) ha rilevato che l’aver vissuto esperienze traumatiche precedenti costituisce un fattore di rischio per l’insorgenza del PTSD; in particolare i soggetti che hanno subito violenze nell’infanzia sono maggiormente a rischio di sviluppare un PTSD in seguito ad un trauma vissuto in età adulta.

Secondo alcuni autori (Thompson et al., 1993) gli anziani presentano una minore vulnerabilità rispetto ai giovani adulti ed agli adulti. I dati nella letteratura sono tuttora contraddittori, infatti Norris et al. (2002) in uno studio comparativo culturale, ha evidenziato che tra i messicani erano maggiormente vulnerabili i giovani adulti, tra gli americani gli

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adulti e tra i polacchi gli anziani. Questo studio ha evidenziato come caratteristiche sociali, economiche e culturali interagiscano con l’età nel costituire un potenziale fattore di rischio per l’insorgenza di sintomi post-traumatici.

Indipendentemente dall’età, sembra comunque ormai dimostrato che una storia precedente di disturbi psichici rappresenti un fattore predittivo per l’insorgenza del PTSD (Phifer, 1990).

Numerose ricerche sono state condotte su popolazioni di giovani sopravvissuti a terremoti gravi e sono emerse percentuali di PTSD importanti tra i sopravvissuti ; inoltre sono stati individuati numerosi fattori di rischio per l’insorgenza del disturbo .

A tal proposito analizzando una popolazione di giovani studenti sopravvissuti ad un devastante terremoto che si è verificato il 12 maggio 2008 in Sichuan (Cina) è stata dimostrata una diagnosi di disturbo da stress post-traumatico nel 22,3% mentre il 22,6% sono stati casi di probabile depressione, il 10,6% soggetti hanno riportato ideazione suicidaria; è risultato inoltre molto importante per questi giovani, al fine dal preservarli dall’insorgenza del disturbo post-traumatico, il supporto sociale ed emotivo offerto da insegnanti di scuola e

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l’ottimismo manifestato dagli stessi, dai mass media e dai genitori. Uno studio condotto su un campione di 1958 giovani frequentanti la scuola media esposti ad un terribile terremoto in Wenchuan (Cina) nel 2008 ha dimostrato una percentuale di PTSD elevata (78.29%) con tassi decisamente maggiori nelle femmine(82.30%) piuttosto che nei maschi (73.92%) e livelli di PTSD maggiori nei giovani abitanti delle zone rurali (83.52%) rispetto agli abitanti della città (72.43%); ciò dimostra che la vicinanza all’epicentro del terremoto, in tal caso il centro cittadino, correla con la maggior gravità del disturbo. Inoltre è stata dimostrata un’alta percentuale di alterazioni del ciclo mestruale in ragazze sopravvissute al terremoto in Wenchuan e che presentavano diagnosi di PTSD a seguito dell’evento.

Nel valutare le conseguenze psicologiche di eventi traumatici è inoltre importante considerare il tipo, la gravità e la durata del trauma: alcuni tipi di esperienze sono più traumatiche di altre e possono indurre livelli diversi di PTSD (Yehuda et al., 1995); inoltre molti studi hanno documentato una relazione tra gravità del trauma e sviluppo di un PTSD cronico (Favaro et al., 1999). Le caratteristiche dell’evento traumatico sono strettamente correlate allo sviluppo di reazioni post-traumatiche: in particolare sembra esserci una “risposta dose-dipendente”,

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ovvero all’aumentare della gravità dell’esposizione al trauma, aumenta la probabilità di sviluppare sintomi post-traumatici (Galea et al., 2002). Dalle ricerche è emerso che alcuni eventi concomitanti o successivi al trauma possono influire sulla reazione post-traumatica dei soggetti.

In particolare l’attenzione si è focalizzata su esperienze quali: lutti, perdita dei propri beni e situazioni pericolose per la vita del soggetto (Gleser et al., 1981; Green et al., 1985; Murphy et al., 1986), rilevando come la morte di una persona amata costituisca un elemento di vulnerabilità maggiore rispetto alla perdita dei propri beni. Secondo Norris (2002) è difficile poter trarre delle conclusioni sul ruolo di tali fattori nella patogenesi di reazioni post traumatiche; infatti alcuni fattori sono strettamente correlati tra loro, non tutti i fattori considerati sono sempre presenti nelle varie tipologie di disastro ed infine non vi è ancora chiarezza in letteratura su quali siano i fattori più patogeni. Sembra comunque che i fattori più frequentemente associati ad una maggior gravità e durata delle conseguenze sulla salute mentale dei sopravvissuti siano il danno fisico subito e la minaccia alla loro vita.

Le caratteristiche del trauma non sono tuttavia una determinante sufficiente per sviluppare il PTSD( Yehuda, 1995; Zohar et al., 1998); infatti sono stati individuati alcuni fattori di

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rischio che potrebbero aumentare la vulnerabilità del soggetto nello sviluppo di tale disturbo ed influenzarne il decorso (Breslau, 2001). Numerosi studi hanno valutato l’influenza di diversi fattori di rischio, quali esperienze traumatiche precedenti, caratteristiche demografiche, storia personale, personalità, determinanti biologiche, familiarità, fattori genetici e risorse intra ed extra-personali (Halligan et al., 2000).

Caratteristiche personali, quali sesso ed età, possono costituire dei fattori di vulnerabilità. Molti studi suggeriscono che le donne presentano un maggior rischio di sviluppare il PTSD od altri disturbi, in seguito all’esposizione ad eventi traumatici (Steinglass et al., 1990; Breslau et al., 1997). Norris et al. (2002) hanno esaminato 49 articoli che riportano nelle conseguenze di eventi traumatici una differenza di genere statisticamente significativa: in 46 di questi articoli viene confermato un maggior rischio per il sesso femminile.

Queste differenze sono state riscontrate tra bambini ed adolescenti così come tra adulti. Nella popolazione adulta queste differenze di genere sono presenti sia in paesi industrializzati che in via di sviluppo; Norris et al. (2001) ha rilevato una diversa influenza del genere a seconda della cultura di appartenenza: la cultura messicana amplifica le differenze di genere nei sintomi postraumatici delle vittime di

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