• Non ci sono risultati.

Sperimentazione di un motore alimentato ad ammoniaca più idrogeno ottenuto tramite catalisi dell'ammoniaca

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Sperimentazione di un motore alimentato ad ammoniaca più idrogeno ottenuto tramite catalisi dell'ammoniaca"

Copied!
167
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITÁ DI PISA

Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale

Corso di laurea in Ingegneria dei Veicoli

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

Sperimentazione di un motore alimentato ad ammoniaca

più idrogeno ottenuto tramite catalisi dell’ammoniaca

RELATORI:

Prof. Ing. Roberto Gentili

Dott. Ing. Stefano Frigo

Ing. Franco De Angelis

Anno Accademico 2013/2014

CANDIDATO:

Simona Trotti

(2)

I

Indice

Abstract ...

IV

CAPITOLO 1 Introduzione ... 1

CAPITOLO 2 Ammoniaca come vettore energetico ... 4

2.1 Cenni storici... 5

2.2 Processi produttivi ... 9

2.2.1 Processo Haber-Bosch ... 9

2.2.1.1 Produzione di idrogeno da reforming del metano ... 10

2.2.1.2 Produzione di idrogeno da gasificazione del carbone ... 12

2.2.1.3 Produzione di idrogeno da energia nucleare ... 13

2.2.1.4 Produzione di idrogeno da fonti rinnovabili ... 13

2.2.2 Biosintesi dell’ammoniaca ... 20

2.3 Proprietà chimico-fisiche dell’ammoniaca ... 22

2.3.1 Tossicità e rischi dell’ammoniaca ... 25

2.3.2 Compatibilità chimica dei materiali con l’ammoniaca ... 36

2.4 Confronto 𝑁𝐻3 con idrogeno e combustibili tradizionali ... 38

2.4.1 Stoccaggio e trasporto dell’ammoniaca ... 43

2.5 Impatto ambientale ... 45

CAPITOLO 3 Ammoniaca come combustibile per motori a combustione interna .... 49

3.1 Cenni storici... 49

3.1.1 Brevetto Ammonia Casale ... 51

3.1.2 Esperimenti condotti nella metà degli anni 60’ ... 53

3.1.3 La sperimentazione negli anni 70’ (Arora R) ... 62

3.2 La sperimentazione negli ultimi anni ... 65

3.2.1 Motore ammoniaca-benzina ... 66

3.2.2 Sperimentazione di iniezione diretta di ammoniaca gassosa in motori ad accensione comandata ... 69

(3)

II 3.2.3 Motore alimentato con benzina ed iniezione diretta di una

miscela di ammoniaca-idrogeno-azoto ... 73

3.3 Motore ammoniaca-gasolio ... 76

3.3.1 Impiego di ammoniaca gassosa + gasolio come combustibile per motori AS ... 76

3.3.2 Impiego di ammoniaca liquida con DME come combustibile per motori AS ... 80

3.4 Motore ammoniaca-idrogeno ... 86

CAPITOLO 4 Allestimento del prototipo e della sala prove ... 92

4.1 Scelta del motore e messa al banco ... 93

4.2 Strumentazione motore ... 98

4.2.1 Modifiche sistema di iniezione ... 103

4.2.2 Modifiche al sistema di accensione ... 106

4.2.3 Centralina Motec M400 ... 107

4.3 Sistema acquisizione dati AVL ... 110

4.4 Analizzatore di NOx ... 113

4.5 Linea di alimentazione dell’ammoniaca ... 114

4.5.1 Misuratore di portata ... 119

4.6 Alimentazione benzina: rilievo consumi ... 120

4.7 Posizionamento al banco del reattore catalitico accoppiato al motore ... 122

4.8 Dispositivi di sicurezza per l’impianto ... 124

CAPITOLO 5 Il reattore catalitico... 127

5.1 Struttura del reattore ... 129

5.2 Prestazioni del reattore al banco prova ... 131

5.3 Gli scambiatori di calore associati al reattore... 137

5.3.1 Scambiatore di calore H2 ... 137

5.3.2 Scambiatore di calore H1 ... 138

5.3.3 Scambiatore di calore alettato ad aria ambiente H6 ... 139

CAPITOLO 6 Verifica ed analisi delle prestazioni motore... 142

6.1 Logica di controllo del reattore ... 143

(4)

III

6.3 Analisi della combustione ... 149

6.4 Strategia di alimentazione per avviamento a freddo ... 155

CAPITOLO 7 Conclusioni ... 156

(5)

IV

Abstract

Storing hydrogen is one of the major issues concerning its utilization on board vehicles. A promising solution is storing hydrogen in the form of ammonia that contains almost 18% hydrogen by mass and is liquid at roughly 8 bar at environmental temperature. As a matter of fact, liquid ammonia contains 1.7 times as much hydrogen as liquid hydrogen itself, thus involving relatively small volumes and light and low-cost tanks.

It is well known that ammonia can be burned directly in I.C. engines, however a combustion promoter is necessary to support and speed up combustion especially in the case of high-speed S.I. engines.

The best promoter is hydrogen, due to its opposed and complementary characteristics to those of ammonia, Hydrogen has high combustion velocity, low ignition energy and wide flammability range, whereas ammonia has low flame speed, narrow flammability range, high ignition energy and high self-ignition temperature.

In a previous research the possibility to run a small 4-stroke twin-cylinder SI engine of 505 cm3 with ammonia plus a small amount of hydrogen was demonstrated. Ammonia and hydrogen tanks were utilized to feed the engine.

This work shows the experimental results obtained coupling an innovative catalytic reactor (designed and built within the project) to the engine and using the heat of the exhaust gases as energy source to keep the reactor at its operative temperature. The device necessary to control the ammonia reactor is described too.

The experimental activity confirmed the reactor performance, previously verified on a dedicated test bench. The hydrogen flow rate supplied by the reactor is larger than the minimum amount necessary for correct engine running, with benefits for fuel economy and engine cyclic variability. On the other hand, NOx emissions are penalized by the larger hydrogen injection since it

(6)

1

Capitolo 1

Introduzione

I combustibili fossili e il loro largo impiego in diversi settori (es. settore industriale, dei trasporti e commerciale) hanno causato alcuni dei maggiori problemi per la salute umana e ambientale. Per ridurne l’effetto dannoso è necessario aumentare sempre di più l’impiego di combustibili alternativi, in particolare quelli che non danno origine ad emissioni di gas ad effetto serra (CO2 in primis).

Con particolare riferimento ai motori a combustione interna, l’uso dell’idrogeno (H2)

rappresenta una soluzione efficace al fine di ridurre tali emissioni e la dipendenza dai combustibili tradizionali, quest’ultimo aspetto nel caso in cui l’idrogeno venga prodotto con l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili o con il nucleare [1,2].

Il problema principale che ostacola l’utilizzo dell’idrogeno come combustibile per i motori a combustione interna (MCI) è correlato alla sua bassa densità energetica. Infatti, se il funzionamento del motore a idrogeno è già stato ampiamente dimostrato, il problema dello stoccaggio a bordo del veicolo di una quantità "ragionevole" di idrogeno, ed in modo economicamente conveniente, non è stato ancora risolto. I problemi, come accennato precedentemente, derivano dalla bassissima densità energetica per unità di volume dell'idrogeno, soprattutto in fase gassosa (60 litri di H2 a 200 bar hanno il medesimo contenuto energetico di

circa 3 litri di benzina), con conseguente difficoltà nell'immagazzinarne una quantità tale da garantire un’autonomia accettabile per il veicolo senza avere contenitori con ingombri eccessivi. Infatti, per percorrere circa 500 km, un’auto consuma circa 3 kg di H2 che a pressione ambiente

occuperebbero un volume di 36000 litri.

Possibili soluzioni, come l’adozione di serbatoi ad alta pressione (sino a 700 bar), sistemi criogenici (serbatoi che mantengono l’idrogeno in fase liquida a circa – 253 °C), o per assorbimento (si sfrutta la proprietà che certe leghe metalliche hanno di assorbire l’idrogeno), malgrado già sperimentati, sono al momento non convenienti, sia economicamente che tecnologicamente.

(7)

2 Altro fattore da tenere in considerazione, per un possibile utilizzo dell’idrogeno come combustibile per i motori alternativi, è quello legato agli alti costi necessari allo sviluppo di infrastrutture per la sua distribuzione, che implica inoltre complicate misure di sicurezza a causa del suo basso punto di infiammabilità che potrebbe provocare pericolose esplosioni.

Una soluzione alternativa ai suddetti problemi è di stoccare l’idrogeno sotto forma di ammoniaca (NH3). L’ammoniaca contiene circa il 18% di idrogeno in massa e, a parità di

volume, l’ammoniaca liquida contiene 1,77 volte in più di idrogeno rispetto all’idrogeno liquido stesso. I costi per volume di energia di stoccaggio dell’ammoniaca sono tre volte più bassi di quelli dell’idrogeno [3]. L’ammoniaca è liquida alla pressione di 8 bar e temperatura ambiente, caratteristica che permette di utilizzare tecniche di stoccaggio molto meno dispendiose ed anche più sicure. L’energia dell’ammoniaca contenuta per unità di volume è comparabile a quella del gasolio il ché la rende un combustibile attraente per applicazioni veicolari [4].

Come l’idrogeno anche l’ammoniaca può essere usata come vettore di energia pulita, perché i prodotti della sua combustione sono rappresentati principalmente da azoto e acqua, quindi non dannosi per l’ambiente. Le infrastrutture per la distribuzione di ammoniaca in grandi quantità già esistono (100 milioni di tonnellate all’anno) [5].

Negli USA, per esempio, l’ammoniaca è ampiamente utilizzata come fertilizzante azotato, e la sua distribuzione alle vaste aree di coltivazioni è assicurata da una rete di tubazioni dell’ordine di 5000 km [6], in cui l’NH3 è distribuita in maniera capillare.

La possibilità di utilizzare l’ammoniaca come un combustibile alternativo agli idrocarburi non è comunque una novità: è stata dimostrata su piccola scala in Europa, in Belgio, durante la seconda guerra mondiale a causa della scarsa disponibilità di combustibili fossili [7]. Alcuni autobus comunali furono messi in funzione usando una miscela di gas illuminante ed ammoniaca che era facilmente disponibile. Il gas illuminante conteneva idrogeno e serviva come promotore della combustione. Ma già precedentemente, nel 1938, la società italiana Ammonia Casale di Terni presentò un brevetto per un sistema che bruciava una miscela di ammoniaca, idrogeno e azoto nel motore a combustione interna [8]. L’idrogeno era ricavato dall’ammoniaca immagazzinata ed era aggiunto per migliorare le caratteristiche della combustione.

L’attività sperimentale trattata in questa tesi si propone di studiare il funzionamento di un motore bicilindrico di 505 cm3 ad AC alimentato con una miscela di idrogeno-ammoniaca, dove l’idrogeno è ottenuto mediante un processo di reforming catalitico dell’ammoniaca (on-board cracking). Questo lavoro mostra i risultati sperimentali ottenuti accoppiando un innovativo reattore catalitico, espressamente progettato e realizzato per questa attività di ricerca, con il

(8)

3 motore e usando il calore dei gas di scarico come fonte di energia per mantenere il reattore alle sue temperature di funzionamento. La presente ricerca prende origine da attività sperimentali precedenti, già oggetto di tesi, durante le quali il motore ed il reattore erano stati provati separatamente. In particolare il motore era stato provato al banco senza il reattore catalitico, dove l’idrogeno e l’ammoniaca erano forniti da convenzionali serbatoi in pressione.

Questa attività si inserisce in un progetto di più ampio respiro, finanziato dalla Regione Toscana e finalizzato alla realizzazione di un veicolo ibrido del tipo ”range-extended” sul quale il motore endotermico, alimentato con una miscela gassosa di ammoniaca e idrogeno (ottenuto a bordo mediante catalisi dell’ammoniaca), serve a ricaricare le batterie del veicolo. Il motore è collegato in serie ad un generatore elettrico a magneti permanenti che va ad alimentare una unità di batterie al litio che a loro volta alimentano un motore elettrico di trazione.

L’obiettivo della presente tesi è stato quindi quello di verificare il comportamento del motore accoppiato al reattore catalitico per la produzione di idrogeno. Le prove sono state svolte considerando il campo operazionale che caratterizza il comportamento del motore accoppiato al reattore su un veicolo range-extender, cioè da 2500 a 3500 giri, ed in condizioni di ”alto carico” (potenza massima prevista per il motore durante il suo funzionamento sul veicolo range-extended), e di "basso carico" (potenza minima prevista).

Le prove al banco del motore accoppiato al reattore si sono svolte presso la ditta “EDI Progetti & Sviluppo” di Pontedera (PI). Gli altri partner del progetto sono:

ACTA Energy s.p.a., per la progettazione del cracker per ottenere idrogeno dall’ammoniaca a bordo del veicolo

BIGAS International Autogas Systems s.r.l., per la realizzazione dell’impianto di alimentazione dell’ammoniaca

Dipartimento dell’Informazione dell’Università di Pisa, per la progettazione del sistema di gestione elettronica del motore termico

SSSUP per la gestione elettronica del veicolo

Dipartimento di Ingegneria dell’Energia e dei Sistemi dell’Università di Pisa, per la sperimentazione sul motore termico

(9)

4

Capitolo 2

Ammoniaca come vettore energetico

La produzione dei composti di interesse industriale contenenti azoto dipende nella maggior parte dei casi da quella di un‟unica sostanza: l‟ammoniaca. Infatti parlando di “industria dell‟azoto”, oltre all‟ammoniaca e all‟acido nitrico si fa riferimento, per motivi storici e di rilevanza economica, a poche altre sostanze, quali la calciocianamide e l‟urea [9].

Il riferimento fondamentale a un unico prodotto non rende l‟industria dell‟azoto meno importante, essendo l‟ammoniaca indispensabile sia in tempo di pace, in relazione ai fertilizzanti azotati, sia in tempo di guerra, in relazione agli esplosivi [10].

Oltre alla sua rilevanza economica e strategica, l‟industria dell‟azoto possiede inoltre alcune caratteristiche intrinseche che la rendono unica nel panorama dei grandi comparti produttivi dell‟industria chimica inorganica, e che si possono chiarire riferendoci all‟equazione di sintesi dell‟ammoniaca:

𝑁2+ 3𝐻2 → 2𝑁𝐻3 (2.1)

La prima caratteristica riguarda la disponibilità dei reagenti. Tale disponibilità, però, è solo apparente in quanto l‟azoto è un gas piuttosto inerte e richiede una grande quantità di energia per entrare in reazione mentre l‟idrogeno di per sé è molto reattivo, ma il suo ottenimento a partire dall‟acqua richiede parecchia energia. Da questo punto di vista, la sintesi dell‟ammoniaca si ridurrebbe a un problema energetico, ma si deve tener conto di una seconda caratteristica, da riferirsi alle condizioni termodinamiche nelle quali la reazione (2.1) ha una resa in ammoniaca soddisfacente. Il sistema in cui avviene la reazione deve essere portato ad alta temperatura e ad alte pressioni, e i parametri in gioco (reagenti, temperatura e pressione) hanno posto problemi serissimi ai tecnologi che hanno cercato di realizzare la reazione a livello industriale [11].

La reazione (2.1) rappresenta un metodo di fissazione dell’azoto, cioè di passaggio da un elemento gassoso a composti facilmente condensabili, oppure già liquidi o solidi a temperatura ambiente.

(10)

5 Le proprietà fisiche dell‟ammoniaca la rendono adatta ad essere sia un vettore di idrogeno che un combustibile principale per alimentare motori termici. Essa contiene infatti più idrogeno dello stesso idrogeno pressurizzato o liquefatto ed è stoccabile in fase liquida a bassa pressione in recipienti a basso costo.

L‟idea di utilizzare l‟ammoniaca come combustibile al posto di benzina e diesel è stata discussa per oltre 40 anni. Adesso, considerando il crescere dei problemi di carattere ambientale dovuti al riscaldamento globale e i segnali che spingono la ricerca verso una possibile futura economia dell‟idrogeno, lo studio sull‟ammoniaca come vettore energetico diventa quanto mai attuale.

2.1 Cenni storici

Alla fine dell‟Ottocento erano ben chiare le connotazioni strategiche della disponibilità di grandi quantità di azoto fissato, ed era evidente la palese impotenza dell‟industria chimica a offrire metodi di fissazione che fossero validi dal punto di vista economico.

L‟inizio della corsa alla fissazione dell‟azoto si può far risalire al 1898, quando l‟inglese Sir William Crookes (1832-1919), tenne a Bristol un discorso inaugurale durante il quale evidenziò che l‟attività agricola non era più in grado di soddisfare il fabbisogno alimentare della popolazione ormai in continua crescita [9,10]. Il rimedio che Crookes indicò fu quello di impiegare i concimi azotati; tuttavia si presentava un limite invalicabile: le riserve di nitro del Cile, l‟unico minerale utilizzabile, si sarebbero esaurite molto presto. Crookes indicò la soluzione nel bruciare l‟azoto sotto l‟azione di un potente arco elettrico, facendo sì che l‟azoto passasse dallo stato libero a quello “fissato” richiesto dalle colture.

L‟appello di Crookes, lanciato al termine dell‟Ottocento, risuonò per decenni nel secolo successivo, richiamato come un ritornello in ogni discorso dedicato al problema dei rifornimenti di azoto fissato per la produzione di fertilizzanti e di esplosivi. In ogni caso, fino alla Prima guerra mondiale le sole fonti di azoto fissato per uso industriale e commerciale rimasero essenzialmente quelle „naturali‟, ovvero il nitro del Cile e l‟ammoniaca ricavata dalle acque di lavaggio del gas di città. L‟ammoniaca era commercializzata come solfato d‟ammonio e utilizzata come fertilizzante.

Nel 1902 il chimico tedesco Wilhelm Ostwald (1853-1932) brevettò un processo di produzione dell‟acido nitrico a partire dall‟ammoniaca. Il primo passo, il più difficile, consisteva nell‟ossidazione dell‟ammoniaca a monossido d‟azoto NO, e fu realizzato con l‟utilizzo di opportuni catalizzatori. Il primo processo di fissazione dell‟azoto portato a livello industriale

(11)

6 però si ebbe in Norvegia, ed ebbe all‟origine l‟incontro fortuito fra il fisico Kristian Birkeland (1867-1917), e l‟ingegnere Samuel Eyde (1866-1940).

Un impianto pilota entrò in funzione nel 1903, la produzione commerciale fu avviata nel 1905.

L‟innovazione di Birkeland ed Eyde non rimase senza concorrenti. Nel 1907 vennero pubblicati i primi dettagli di un nuovo tipo di fornace elettrica per la produzione di monossido d‟azoto, progettata dall‟ingegnere tedesco Harry Pauling (1875-1956). La prima installazione del processo Pauling fu realizzata nel 1905 dalla tedesca Salpetersäure-Industrie-Gesellschaft nei pressi di Innsbruck (Austria), e nel 1909 l‟impianto era già dotato di 24 fornaci.

L‟Italia non mancò all‟appuntamento con questo primo metodo di fissazione dell‟azoto [12]. Ne fu artefice il chimico Carlo Rossi (1877-1924). La sua attività si svolgeva presso il Cotonificio Cantoni di Legnano, dove un mutamento nelle condizioni di lavoro delle maestranze femminili gli offrì un‟occasione inaspettata per fare un salto decisivo nel campo imprenditoriale. Nel 1906 l‟Italia aveva firmato a Berna una convenzione internazionale sull‟abolizione del lavoro notturno. Con le macchine ferme durante la notte, si creava un surplus di energia idroelettrica a basso costo, che Rossi pensò di sfruttare importando in Italia la recentissima tecnologia di fissazione dell‟azoto messa a punto da Pauling. Nello stesso periodo in cui si proponeva la fissazione dell‟azoto con i forni elettrici ad arco, stava però fiorendo un altro metodo, basato sulla produzione di calciocianamide.

La preparazione di calciocianamide da carburo di calcio e azoto atmosferico fu brevettata nel 1895 da Frank e da un polacco naturalizzato tedesco, Nikodem Caro (1871-1935). La scoperta del nuovo composto non era stata intenzionale. Frank e Caro avevano cercato di mettere a punto un nuovo processo per la sintesi di cianuri. Si trattava comunque di un possibile metodo di fissazione dell‟azoto.

La reazione per ottenere ammoniaca dalla calciocianamide è la seguente: 𝐶𝑎𝐶𝑁2+ 3𝐻2𝑂 → 𝐶𝑎𝐶𝑂3+ 2𝑁𝐻3 (2.2)

A livello industriale, la reazione è condotta facendo interagire la calciocianamide con vapore d‟acqua ad alta temperatura, così si comprende l‟iniziale riservatezza con cui Albert Rudolph Frank (1872-1965), trattò la scoperta avvenuta nel 1901 che la calciocianamide rilasciava ammoniaca una volta mescolata con il terreno agricolo.

Per impiantare il processo di produzione della calciocianamide gli imprenditori tedeschi avrebbero potuto orientarsi verso l‟Austria, dal momento che in Germania non vi erano grandi

(12)

7 risorse idroelettriche. Sulle loro scelte intervenne però il chimico agrario Angelo Menozzi (1854-1947), che funse da intermediario scientifico-economico fra Berlino e Milano [13]. Nel 1904 si costituì a Roma la Società italiana per la fabbricazione dei prodotti azotati e di altri prodotti per l‟agricoltura.

La capacità produttiva dei forni migliorò nel tempo grazie all‟apporto su questi ultimi di opportune modifiche e fu portata a 4000 t all‟anno.

La questione della fissazione dell‟azoto divenne veramente drammatica durante la Prima guerra mondiale. Il segnale che stava avvenendo qualcosa di nuovo fu dato dall‟inattesa capacità della Germania di rifornire i diversi fronti con enormi quantità di esplosivi. Dato che il blocco navale britannico impediva qualunque rifornimento di nitro del Cile agli imperi centrali, questi erano stati privati di una materia prima fondamentale per le produzioni militari, così che l‟acido nitrico poteva essere ottenuto solo mediante l‟ossidazione dell‟ammoniaca. Quindi era stato quest‟ultimo composto a diventare l‟obiettivo primario dell‟industria chimica tedesca in tempo di guerra [13]. Nel 1917, Ettore Molinari (1867-1926), esaminò i diversi processi mediante i quali i tedeschi avrebbero potuto ottenere l‟ammoniaca giungendo alla conclusione che il metodo più economicamente vantaggioso fosse il processo Haber-Bosch [11].

La collaborazione tra due tedeschi, il chimico fisico Fritz Haber (1868-1934) e l‟ingegnere Carl Bosch (1874-1940), ebbe come risultato la messa a punto di un nuovo processo che permetteva di ottenere una capacità di ammoniaca di sintesi di 30 t al giorno e che quindi permise alla Germania in guerra, come detto, di rifornire i diversi fronti con immense quantità di esplosivi.

Fu proprio durante la Prima guerra mondiale che Luigi Casale (1882-1927) iniziò le ricerche che dovevano condurlo alla messa a punto del suo processo originale per la sintesi dell‟ammoniaca a medie pressioni. L‟inizio della sperimentazione semindustriale avvenne presso la IDROS, una società elettrica ed elettrochimica di Terni [14].

Al termine della Prima guerra mondiale l‟ingegnere industriale Fauser affrontò il problema ciclopico della sintesi dell‟ammoniaca a partire dagli elementi [15]. Costruì il primo reattore sperimentale nell‟officina del padre, utilizzando un residuato di guerra, un obice da 320 mm. Nel 1921 avviò un rapporto con la Montecatini che segnò gran parte della sua vita professionale [16]. Fauser fu messo in contatto con Donegani, e nacque una collaborazione destinata a far sì che la Montecatini diventasse un‟impresa d‟avanguardia proprio nel settore della fissazione dell‟azoto.

(13)

8 Per quanto riguarda la preparazione dell‟idrogeno e dell‟azoto, a metà degli anni Trenta Fauser mutò radicalmente i metodi impiegati nei primi impianti. Nel 1936, in un grande impianto a San Giuseppe di Cairo preparò l‟idrogeno da gas di cokeria e l‟azoto per distillazione frazionata dell‟aria. Per i prodotti a valle del processo di sintesi dell‟ammoniaca, mise a punto impianti per la preparazione dell‟acido nitrico. Sul piano dei sali ammoniacali utilizzabili in agricoltura, Fauser inventò apparecchi originali per ottenere solfato d‟ammonio e nitrato d‟ammonio. Fauser diresse la progettazione di due complessi impianti, a Bari e a Livorno, veri capolavori di ingegneria chimica che stavano alla pari con le più avanzate realizzazioni tedesche.

Un'utilizzazione importante dell'ammoniaca dovuta a Fauser fu per la fabbricazione dell'urea [15] che trovò impiego come fertilizzante, nelle produzioni di materie plastiche, nella farmaceutica, nella tintura, nell'apprettatura dei tessuti, e negli esplosivi.

L‟ammoniaca è oggigiorno largamente utilizzata in molti processi industriali a tal punto che il suo consumo è preso come metro di valutazione del livello tecnologico di un Paese. Di seguito, in tabella 2.1 è rappresentato l‟elenco dei maggiori produttori di ammoniaca al mondo.

Tab. 2.1 - Produzione annua di ammoniaca dei produttori principali in migliaia di tonnellate

Come si evince dalla tabella sopra, i più grandi produttori di ammoniaca sono Cina e India: un fatto significativo visto che esse rappresentano oramai anche i due più grandi mercati di automotive.

Nella tabella 2.1 non compare l‟Italia, anche se nel nostro Paese la produzione dell'ammoniaca ha assunto uno sviluppo non indifferente in passato.

Infatti nella storia dell'industria italiana, come si è visto, i brevetti Fauser furono una pagina importante e portarono al sorgere a Novara di un polo industriale, poi confluito in Montecatini [15,16]. Il successivo sviluppo fu legato a quello dell'industria dei fertilizzanti e del polo di

(14)

9 Ferrara, Terni e di Porto Marghera. Nel frattempo si erano sviluppati impianti anche a San Giuseppe di Cairo e a Priolo nonché il grande polo di Ravenna per meglio utilizzare il metano.

La successiva crisi dell'Enichem Agricoltura in cui erano confluiti gli impianti, portò però ad un drastico ridimensionamento della produzione, concentrata solo a Ferrara e a Terni, e alla cessione alla norvegese Norsk Hydro, oggi Yara. A seguito della cessazione della produzione di ammoniaca a Terni da parte di Yara avvenuta nel 2008, l'impianto di Ferrara è attualmente l'unico in Italia a produrre ammoniaca, con una capacità massima di circa 600.000 tonnellate all'anno.

Noto ormai che l‟ammoniaca è stata largamente utilizzata fin dagli inizi del 900, anche se non come vettore energetico, ripercorriamo quelli che sono i vari metodi di produzione.

2.2 Processi produttivi

2.2.1 Processo Haber-Bosch

Il processo più utilizzato per la produzione di ammoniaca è il così detto processo Haber-Bosch, il quale sintetizza l‟ammoniaca a partire dai suoi elementi costitutivi (idrogeno e azoto). L‟azoto è normalmente ottenuto dall‟aria, mentre ci sono vari metodi per ottenere l‟idrogeno da utilizzare nel processo di sintesi.

Azoto e idrogeno reagiscono in rapporto 1/3 a temperatura ottimale tra 350-550 °C e pressione ottimale di 140-320 atm utilizzando magnetite quale promotore della catalisi. La reazione consiste in un equilibrio chimico in fase gassosa descritto dalla seguente equazione stechiometrica:

𝑁2+ 3𝐻2 ↔ 2𝑁𝐻3 (2.3)

La reazione è esoergonica a temperatura ambiente ed esotermica, sviluppa 92,4 kJ/mol. Le alte pressioni adoperate e la sottrazione dal reattore dell‟ammoniaca prodotta spostano l‟equilibrio verso destra.

Originariamente il processo Haber-Bosch sfruttava osmio e uranio quali catalizzatori, attualmente il catalizzatore utilizzato è il ferro, meno costoso e di più semplice reperimento. L‟intero sistema catalitico consiste in una miscela di magnetite, protettori e attivatori. Appena introdotta nel reattore di sintesi, la magnetite subisce la seguente riduzione:

(15)

10 Lo studio cinetico della sintesi dell‟ammoniaca ha permesso di accertare che un passaggio decisivo del meccanismo di reazione è costituito dalla rottura dei legami tra gli atomi nella molecola di azoto: 𝑁2 ↔ 2𝑁. Il catalizzatore interviene proprio in questa fase (Fig. 2.1): esso

trattiene (o adsorbe) sulla sua superficie le molecole di N2 e rende possibile la loro dissociazione

in atomi, così come quella delle molecole di H2. Gli atomi liberi possono reagire così più

rapidamente per formare le molecole di 𝑁𝐻3 che non vengono trattenute dagli atomi di ferro (grazie all‟aggiunta di attivatori, quali ossido di potassio e ossido di calcio) e che si staccano dalla superficie. In questo modo i centri attivi del catalizzatore si rendono liberi per adsorbire altre molecole di azoto e di idrogeno.

I metodi utilizzati per la produzione di idrogeno da impiegare poi nel processo Haber-Bosch sono:

 Reforming del metano  Gasificazione del carbone  Energia nucleare

 Produzione da fonti rinnovabili

2.2.1.1 Produzione di idrogeno da reforming del metano

Il processo maggiormente utilizzato è il reforming del metano (Fig. 2.2). Si tratta di un processo ben sviluppato ed altamente commercializzato, mediante il quale viene prodotto circa l‟80% dell‟idrogeno mondiale. Tale metodo può essere applicato anche ad altri idrocarburi leggeri, come la nafta. Non possono essere usati idrocarburi pesanti perché avrebbero bisogno di un processo di depurazione spinto e potrebbero facilmente crackizzare, con conseguente occlusione dei siti attivi del catalizzatore e quindi diminuzione di attività.

che porta alla produzione di cristalliti di ferro 𝛼 che, a seguito della minima diminuzione di volume subita e della rimozione dell‟ossigeno, assume una struttura molto porosa. Con l‟usura e l‟azione delle alte temperature i cristalliti tendono a trasformarsi in cristalli di ferro α, con conseguente perdita dell‟attività catalitica. Per evitare tale fenomeno di aggiungono dei protettori quali l‟ossido di alluminio.

Fig. 2.1 – L’azione del catalizzatore nella

(16)

11 L‟85% della produzione mondiale di ammoniaca avviene mediante reforming del gas naturale.

𝐶𝐻4+ 𝐻2𝑂 → 𝐶𝑂 + 3𝐻2

𝑁2+ 3𝐻2 → 2𝑁𝐻3

Fig. 2.2 - Schema di processo Haber-Bosch che utilizza idrogeno ottenuto da reforming del

metano

Gli impianti di produzione di ammoniaca che utilizzano questo metodo sono i primi a beneficiare di un‟esperienza di oltre un secolo: essi hanno raggiunto l‟efficienza di oltre il 75%, valore in aumento grazie alla ricerca. La figura 2.3 mostra quanto appena esposto.

Fig. 2.3 - Energia richiesta per la produzione di ammoniaca ed efficienza del processo

(17)

12

2.2.1.2 Produzione di idrogeno da gasificazione del carbone

L‟idrogeno può derivare anche dalla gassificazione del carbone, consistente nella parziale ossidazione non catalitica di quest‟ultimo per dare un combustibile formato principalmente da idrogeno, monossido di carbonio e metano (Fig. 2.4). La reazione può essere condotta in diversi tipi di reattore: a letto fisso, a letto fluido o a letto trascinato. Tutti questi prevedono l‟uso di vapore assieme ad aria per ossidare parzialmente il carbone secondo la reazione:

𝐶 + 𝐻2𝑂 → 𝐶𝑂 + 𝐻2 (2.6)

Il calore necessario alla gassificazione è fornito dall‟ossidazione parziale del carbone. Generalmente l‟operazione di gassificazione nel suo complesso è esotermica, per questo motivo al reattore viene abbinata una caldaia a recupero per la produzione di vapore, eventualmente da usare all‟interno del sistema stesso.

Fig. 2.4 - Schema di un impianto per la gassificazione del carbone

Il problema maggiore dell‟utilizzo del carbone, nonché degli altri combustibili fossili, è rappresentato dall‟emissione di 𝐶𝑂2, a meno che non si operino processi di confinamento, costosi e complessi.

(18)

13

2.2.1.3 Produzione di idrogeno da energia nucleare

La produzione di idrogeno può avvenire anche utilizzando il calore o l‟elettricità prodotti dalle centrali nucleari. Il calore nucleare utilizzato per lo steam reforming del gas naturale, produce idrogeno che potrà essere poi utilizzato nel già discusso processo Haber-Bosch per l‟ottenimento di ammoniaca. Invece, l‟energia elettrica generata dalle centrali nucleari può essere impiegata per ottenere idrogeno attraverso elettrolisi dell‟ H2O, eliminando in questa maniera le

emissioni di CO2.

2.2.1.4 Produzione di idrogeno da fonti rinnovabili

Una valida alternativa per l‟ottenimento dell‟idrogeno è rappresentata dalla gassificazione della biomassa. Quest‟ultima, che rappresenta una delle maggiori risorse di energia rinnovabili presenti, si viene a formare organicando il carbonio presente nell‟atmosfera sottoforma di CO2

durante il processo di fotosintesi. L‟utilizzo della biomassa non comporta quindi l‟emissione di quantità di gas serra aggiuntive nell‟atmosfera, rendendo neutro il ciclo di vita del carbonio.

Analogamente alla gassificazione del carbone, la gassificazione della biomassa è un processo che avviene in 2 stadi in cui un combustibile solido viene convertito in un gas a basso o medio potere calorifico (rispetto ai 35000 kJ/Nm³ del metano), variabile tra i 4000-5000 kJ/Nm³ (gassificatori ad aria) e i 14000-15000 kJ/Nm³ nel caso di gassificatori ad ossigeno, meno diffusi [17]. Il primo stadio consiste in una pirolisi del materiale di partenza; l‟applicazione di calore in assenza di ossigeno fa sì che i componenti più volatili vengano vaporizzati a temperature inferiori a 600 °C per effetto di una serie complessa di reazioni. Tali componenti volatili sono composti da idrocarburi leggeri, idrogeno, CO e CO2 [18].

E‟ importante notare che i combustibili ottenuti dalla biomassa hanno un contenuto di volatili superiore rispetto a quello del carbone (rispettivamente 70-85% e 30% su base secca): per questo motivo la pirolisi ricopre un ruolo fondamentale nella gassificazione delle biomasse piuttosto che in quella del carbone. Nel secondo stadio le sostanze carboniose e la cenere, che sono prodotti non vaporizzabili, devono essere gasificate in una reazione con ossigeno e acqua sotto forma di vapore, secondo la reazione (2.6) già vista in precedenza [19]. La parte incombusta delle sostanze carbonizzate viene bruciata per fornire il calore necessario alle reazioni di gassificazione. La gassificazione viene generalmente realizzata a bassa pressione in reattori a letto fisso o fluido. In figura 2.5 è rappresentato lo schema di un impianto di gassificazione di biomassa indiretto sviluppato dalla Battelle nel 1980.

(19)

14

Fig. 2.5 - Schema dell’impianto Battelle/ FERCO McNeil a Burlinghton

In questo processo vengono utilizzati due distinti reattori a letto fluido ricircolante; il gassificatore riscalda la biomassa e la converte in un gas di medio potere calorifico e carbone. Nel combustore invece il carbone viene bruciato per scaldare la sabbia (il materiale inerte che costituisce il letto), che viene rimandata calda la gassificatore, la quale fornisce calore di supporto al processo. La produzione di idrogeno da biomassa per via gasificazione è sempre necessariamente seguita da una fase molto complessa di gas cleaning (pulizia del gas), specialmente al fine della rimozione dei catrami (tar).

Un metodo alternativo per la produzione di idrogeno dalle biomasse è la combinazione di pirolisi e steam reforming. Tramite una pirolisi condotta a 400-800°C in atmosfera inerte o leggermente ossidante le biomasse vengono decomposte termicamente: i prodotti di reazione possono essere sia solidi, sia gassosi, in proporzioni che dipendono dai metodi di pirolisi e dai parametri di reazione. In genere, comunque, si formano sostanze gassose che possono essere convertite a idrogeno e ossidi di carbonio in ambiente catalitico e una sostanza liquida, il bio-olio, composta per l‟85% da sostanze organiche e per il 15% da acqua. Il bio-olio così ottenuto può essere sottoposto ad un tradizionale processo di steam reforming per ottenere infine idrogeno.

L‟idrogeno, inoltre, può essere ottenuto dall‟acqua sfruttando l‟energia in eccesso di impianti fotovoltaici ed eolici, che oltre alla biomassa, rappresentano due importanti fonti di energia rinnovabile.

La produzione di idrogeno per via solare è una della strade oggi tecnicamente possibili: spesso tali sistemi, in particolare quelli basati sull‟uso di celle fotovoltaiche (PV), risultano di

(20)

15 costo particolarmente elevato, ed inoltre non è raro che i sistemi solari a PV siano accoppiati a sistemi, ad esempio, eolici in configurazioni ibride.

Le tecnologie fotoelettrochimiche prevedono l‟utilizzo di una cella fotoelettrochimica per convertire energia ottica in energia chimica [20]. I sistemi si distinguono in due classi principali: la prima è basata sull‟uso di semiconduttori, la seconda metalli complessi dissolti.

Con riferimento al primo approccio, il processo può essere rappresentato come un processo fotovoltaico seguito da uno elettrolitico. Il metodo basato sui semiconduttori utilizza infatti elettrodi in contatto con una soluzione acquosa di elettrolita. La banda di conduzione del semiconduttore viene superata quando i fotoni raggiungono livelli sufficienti di energia (zona blu dello spettro in Fig. 2.6): in tale situazione, infatti, i fotoni hanno energia tale da liberare idrogeno ed ossigeno agli elettrodi attraverso la rottura della molecola di acqua. Il vantaggio offerto dal sistema illustrato, rispetto ai due sistemi (fotovoltaico + elettrolitico) separati, sarebbe quello di una maggiore efficienza derivante dalla eliminazione della fase elettrica intermedia. Assumendo una efficienza fotovoltaica di circa 11-12 % e l‟80 % per quella elettrolitica, si ricava una efficienza globale del sistema descritto pari a circa il 9 %.

Fig. 2.6 - Schema di cella solare nella quale tre strati di silicio sono interposti fra due

semiconduttori

Nella seconda classe di sistemi [20], invece, si utilizzano materiali complessi disciolti come catalizzatori: Il materiale complesso solubile assorbe energia e crea una separazione tramite carica elettrica che conduce alla reazione di scissione dell'acqua.

Il sistema termochimico, invece, consiste nella scissione termica della molecola di acqua. Questa avviene spontaneamente alla temperatura di 2300°C, ma questa è difficilmente raggiungibile e solo pochi materiali possono sopportare queste temperature mantenendo integre le loro proprietà meccaniche. Metodi alternativi, che prevedono l‟utilizzo di opportuni catalizzatori, possono ridurre la temperatura richiesta attorno a 800-1000°C. Queste temperature sono facilmente ottenibili tramite concentratori solari parabolici.

(21)

16 Inoltre si possono utilizzare centrali fotovoltaiche per la produzione di idrogeno in quanto il collegamento di impianti fotovoltaici con elettrolizzatori non presenta significative difficoltà tecniche, a differenza di buona parte dei sistemi analizzati precedentemente. Il vero ostacolo è invece rappresentato dagli alti costi di impianto combinato con un rendimento molto modesto, che rendono questa opzione ad oggi difficilmente percorribile a meno di incentivi in conto capitale od in conto energia particolarmente consistenti. Il sistema consiste essenzialmente in un impianto per la produzione di energia elettrica tramite pannelli fotovoltaici, ed in un elettrolizzatore, dei tipi già visti, che si occupa della produzione di idrogeno. E‟ possibile collegare direttamente in corrente continua il sistema fotovoltaico con l‟impianto di elettrolisi, semplificando il sistema fotovoltaico attraverso l‟eliminazione dell‟inverter, che trasforma usualmente la corrente continua in alternata in tali impianti.

Esempi di impianti di questo tipo [20] ne esistono diversi: tra i primi il “Solar Village” presso Riyadh, in Arabia Saudita, la cui potenzialità è pari a 350 kW di energia elettrica fotovoltaica e 463 m3 di idrogeno. Altre attività sono in corso anche in Italia (Napoli e Casaccia, ENEA) oltre che negli Stati Uniti ed in Australia.

L‟energia eolica rappresenta una ulteriore opzione per la produzione di idrogeno basandosi su fonti rinnovabili. Anzi, la produzione di energia elettrica per via eolica è certamente la più tecnologicamente e commercialmente matura fra i vari sistemi basati sulle fonti rinnovabili. Nonostante ciò, comunque, l‟accoppiamento con sistemi per la produzione di idrogeno, ed in particolare impianti di elettrolisi, non è assolutamente una pratica ovvia e consolidata.

Per la produzione elettrolitica dell‟H2 va detto che se è vero che un impianto di elettrolisi

dell‟acqua connesso con un impianto di generazione solare od eolico garantisce una completa eco compatibilità al processo di immagazzinamento delle energie intermittenti, è altresì vero che ciò mostra evidenti limiti dal punto di vista economico. Esistono comunque, in Europa, iniziative mirate alla produzione di idrogeno da fonte eolica, ed in particolare in quei Paesi dell‟Unione in cui la disponibilità di risorsa eolica è maggiore. A titolo di esempio, e per illustrare lo schema di un impianto di questo tipo, si riporta il progetto di Sydthy [21].

Il progetto prevede la realizzazione di un impianto dimostrativo composto dai seguenti elementi:

• Turbine eoliche connesse alla rete elettrica

• Elettrolizzatore da 144 kW, di capacità pari a 7.5÷30 Nm3

/h e rendimento pari al 73 %. L‟unità può essere acquisita completa di sistemi di sicurezza e controllo.

• Compressore da 200 bar, 20 Nm3

(22)

17 • Sistema di stoccaggio composto da due set di 24 cilindri ciascuno da 50 litri. A 200 bar ha una capacità di immagazzinamento pari a 480 Nm3, corrispondente a 24 ore di funzionamento del compressore.

• Stazione di rifornimento • 6 veicoli ad idrogeno

Lo schema dell‟impianto è rappresentato in figura 2.7.

Fig. 2.7 – Impianto di produzione di idrogeno da fonte eolica (Sydthy)

L‟idrogeno ottenuto da elettricità rinnovabile può essere impiegato per produrre ammoniaca se fatto reagire con l‟azoto atmosferico.

L'ammoniaca quindi ottenuta da elettricità rinnovabile, aria ed acqua potrebbe rivoluzionare i sistemi energetici, consentendo di immagazzinare l'energia di sole e vento sotto forma di combustibile liquido.

In pratica, si può immaginare un impianto a rinnovabili intermittenti, che usi l‟energia in eccesso per ottenere idrogeno dall‟acqua, e azoto dall‟aria, li faccia reagire fra loro, e immagazzini l‟ammoniaca ottenuta, come combustibile liquido. In questo modo si avrebbe una trasformazione di evanescente elettricità, in un liquido che occupa poco volume, immagazzinabile a volontà per periodi lunghi a piacere, commerciabile in giro per il mondo, (come oggi il petrolio) e ritrasformabile quando serve, in nuova elettricità, attraverso la sua combustione in motori, turbine o celle a combustibile (Fig. 2.8).

(23)

18

Fig. 2.8 – Green-economy dell’ammoniaca

Ricercatori dell'Università del Minnesota stanno adesso sperimentando l‟uso diretto di idrogeno, prodotto da elettrolisi dell‟acqua con l‟energia fornita da una pala eolica da 1,6 MW, per alimentare un piccolo impianto Haber-Bosch, in grado di produrre fino a 25 tonnellate di ammoniaca l‟anno [22], con cui realizzare fertilizzanti azotati per i contadini locali, più economici di quelli industriali, e da utilizzare in futuro anche come carburante per le macchine agricole (Fig. 2.9).

(24)

19

Fig. 2.9 – Impianto completo di produzione e stoccaggio di ammoniaca in Minnesota

Il processo Haber-Bosch, in questo caso, ha un‟efficienza relativamente bassa, è complesso e necessita di gas ad alta temperatura e pressione. Ciò non lo rende molto adatto per la piccola scala richiesta spesso dall‟accumulo.

Gli ingegneri chimici americani della società NHThree hanno ideato un nuovo metodo di sintesi dell‟ammoniaca che si sviluppa in un piccolo reattore alimentato da un lato con azoto estratto dall‟aria, e dall‟altro con acqua.

A separare le due parti una membrana ceramica che consente il passaggio dei soli protoni (nuclei di idrogeno). Scaldato a 550 °C ed eccitato da un campo elettrico, l‟idrogeno si distacca dall‟acqua, migra verso il settore dell‟azoto, dove, grazie a un catalizzatore, si combina con questo a formare NH3. Oltre all‟ammoniaca la reazione produce solo ossigeno, che può essere

venduto a parte, e consuma 7500 kWh di elettricità per ogni tonnellata di NH3 prodotta, contro

gli 11.000 kWh di energia richiesti dal normale processo Haber-Bosch.

La NHTree ha già venduto il primo impianto dimostrativo alla Royal Silver Company una società mineraria, che ha bisogno di ammoniaca ultrapura, per la raffinazione dell‟argento, ma l‟idea per cui il metodo è stato sviluppato è un‟altra: dotare di sistemi di accumulo le tante piccole reti elettriche isolate con cui si alimentano le comunità dell‟Alaska, e che oggi, per assicurarsi una fornitura costante e continua, possono ricorrere solo a generatori diesel,

(25)

20 alimentati con sempre più costoso gasolio. Con sistemi di accumulo basati su ammoniaca, città e villaggi dell‟Alaska potranno sfruttare le loro grandi risorse di energia eolica, accumulando come NH3 gli eccessi di produzione e riutilizzandoli nei generatori diesel, quando il vento viene a

mancare.

Se le prove in corso al Pacific Northwest National Laboratory di Richmond, stato di Washington, dimostreranno la validità del metodo NHTree, il primo impianto di accumulo ad ammoniaca del mondo sorgerà nella città di Juneau, una delle comunità dell‟Alaska più grandi oggi alimentate a gasolio. Avere un sistema di accumulo che produce un combustibile liquido a partire dai composti più largamente disponibili al mondo (aria e acqua) potrebbe rivoluzionare i sistemi energetici, consentendo a sole e vento di diventare fonti continue e programmabili, in grado di alimentare sia le reti elettriche in tutte le stagioni che i trasporti, grazie ai motori alimentati a NH3. Permetterebbe di dare alle energie rinnovabili una forma concentrata e

trasportabile, che consenta alle regioni del mondo meno dotate di fonti rinnovabili, di alimentarsi con energia sostenibile prodotta altrove. Una sorta di «petrolio» rinnovabile che, quindi, renderebbe decisamente più basse le esternalità negative per ambiente e clima.

2.2.2 Biosintesi dell’ammoniaca

Negli organismi viventi, l‟ammoniaca è un componente fondamentale per la sintesi dei composti azotati. Si pensa che l‟atmosfera primordiale della Terra contenesse grandi quantità d‟ammoniaca, ma con la comparsa dei primi organismi viventi fotosintetici, e con la conseguente produzione di ossigeno, l‟ammoniaca è scomparsa (ossidata dall‟ossigeno). Gli organismi viventi si sono così evoluti e hanno sviluppato tutta una serie di vie metaboliche ed enzimatiche per sintetizzare l‟ammoniaca, quando ve ne sia la necessità. La perfetta comprensione di tali processi e la possibilità di riprodurli e gestirli in laboratorio da parte dell‟uomo, rappresenterebbe un‟ulteriore passo per la produzione di ammoniaca da fonti carbon-free. Di seguito sono riportati due processi biologici potenzialmente impiegabili, ma al momento ancora in fase di sperimentazione.

Digestione organica

Un processo innovativo per la produzione di ammoniaca è la digestione organica ovvero la disgregazione di materiale organico in condizioni di anaerobiosi (ambiente privo di ossigeno).

(26)

21 Tale processo è operato da “batteri proteolitici” che utilizzano, in assenza di ossigeno, come substrato organico, composti proteici; le proteine vengono inizialmente demolite in aminoacidi, a loro volta demoliti con formazione di acido piruvico e ammoniaca. Quest‟ultima proviene dal gruppo amminico, presente negli amminoacidi, che genera o ioni ammonio o ammoniaca. Un buon substrato per la produzione di bio-ammoniaca è il sorgo.

Fissazione biologica dell’azoto

Sebbene l‟azoto sia presente nell‟atmosfera in quantità elevata, non può essere usato dalle piante superiori e dagli animali in quanto esso si trova sottoforma di gas inerte. Il triplo legame covalente (N≡N) della molecola di azoto è altamente stabile e può essere rotto chimicamente solo con temperature e pressioni elevate. I microrganismi fissatori di azoto possono invece rompere il legame a temperature e pressioni ordinarie. Il più importante processo attraverso il quale l‟azoto, a partire dalla sterile forma molecolare inorganica, è fissato e convertito in forma organica, è quello dell‟ azoto-fissazione biologica, operata da alcuni microrganismi che hanno la capacità di estrarre l‟azoto dall‟atmosfera ed utilizzarlo per la loro nutrizione. La reazione di trasformazione dell‟azoto molecolare in azoto ammoniacale è catalizzata dall‟enzima nitrogenasi:

𝑁2 + 6𝐻++ 6𝑒→ 2𝑁𝐻

3 (2.7)

Questa trasformazione è condotta da alcuni microrganismi del suolo che riescono a fissare circa 17,2 ∙ 107 tonnellate per anno di azoto, una quantità che è circa 4 volte quella utilizzata dall‟industria chimica.

Hall D. O. e Brouers M. [23] hanno cercato di sfruttare tale processo per la produzione di ammoniaca immobilizzando i cianobatteri eterocistati Anabaena azollae (simbionte) e Mastigocladus laminosus (termofilo) in schiume di polivinile. Questi batteri, in presenza di luce, hanno progressivamente colonizzato le matrici. L‟immobilizzazione ha stabilizzato l‟attività della nitrogenasi ed ha aumentato il tasso iniziale di fissazione dell‟azoto da parte di entrambe le specie di cianobatteri. La foto produzione di ammoniaca è stata monitorata in presenza di L-metionina-D, L-sulfoximina, un inibitore della glutamina sintetasi. Alte rese di ammoniaca, superiori a 400μmol per mg di clorofilla in 24 h, sono state ottenute nei reattori dalla schiuma di polivinile immobilizzata. Le colture di controllo spontanee di A. azollae e M. laminosu, invece hanno prodotto meno di 10μmol di ammoniaca nelle stesse condizioni.

(27)

22 La figura 2.10 illustra schematicamente tutti i processi di produzione dell‟ammoniaca. Si noti che effettuare una sintesi CO2 – free dell‟NH3 permette di by-passare la fase di scrubbing ad

alta temperatura.

Fig. 2.10 – Processi di produzione dell’ammoniaca impiegata come vettore energetico

2.3 Proprietà chimico-fisiche dell’ammoniaca

Le caratteristiche fisico-chimiche dell‟ammoniaca sono tali da suggerirne l‟uso come vettore idrogeno. L‟ammoniaca contiene il 18% di idrogeno in massa e, in forma liquida e a parità di volume, contiene più idrogeno dell‟𝐻2 pressurizzato o liquefatto: si ha quindi l‟evidente

vantaggio di diminuire i volumi di stoccaggio. La densità volumica e massica di idrogeno contenuto nell‟ammoniaca risponde pienamente agli standard futuri richiesti dal Dipartimento dell‟Energia degli USA (DOE) per i vettori idrogeno come si evince dal grafico in figura 2.11

(28)

23

Fig. 2.11 - Quantità specifiche di idrogeno contenute nei principali composti chimici.

La densità dell‟ammoniaca alla temperatura ambiente è di 0,8 𝐾𝑔 𝑚3, essa è quindi più

leggera dell‟aria, per questo, generalmente, (ad eccezione di alcuni casi di cui si parlerà nel Par. 2.3.1), al verificarsi di dispersione nell‟ambiente di NH3 allo stato liquido, essa evapora

formando nubi di grandi dimensioni che hanno la tendenza a salire fino a disperdersi nell‟atmosfera piuttosto velocemente.

(29)

24

Tab. 2.2 - Caratteristiche fisiche dell’ammoniaca

L‟ammoniaca è liquida alla pressione di 8 bar a temperatura ambiente, caratteristica che permette di utilizzare tecniche di stoccaggio poco dispendiose ed anche sicure.

L‟ammoniaca è difficilmente infiammabile a causa dell‟elevatissimo MIE (Minimum Ignition Energy) e del proprio range di infiammabilità, che va dal 15, 4 al 33,6% (vol. % in aria) (Fig. 2.12).

(30)

25

Fig. 2.12 - Flammability range per vari tipi di combustibile

L‟ammoniaca è incolore ed un‟altra caratteristica è l‟odore estremamente pungente che sprigiona: questo fa si che nella maggior parte dei casi essa allo stato gassoso sia facilmente avvertibile dall‟uomo prima di arrecare danni gravi alla salute a causa della sua alta tossicità.

2.3.1 Tossicità e rischi dell’ammoniaca

Il maggiore problema legato all‟utilizzo di ammoniaca è rappresentato dalla sua elevata tossicità, al contrario di quanto avviene per altri combustibili normalmente impiegati, per i quali invece la minaccia è data dall‟ampio range di infiammabilità (Fig. 2.13).

(31)

26 L'ammoniaca ha un effetto tossico nel caso in cui la sua assunzione superi la capacità di smaltimento. Gli effetti tossici, osservati solo in caso di esposizioni superiori a 200 mg/kg di peso corporeo, consistono nell‟alterazione dell'equilibrio acido-base, ridotta tolleranza al glucosio, ridotta sensibilità all'insulina a livello tessutale. Studi su animali di laboratorio hanno evidenziato che l'esposizione acuta a dosi elevate di sali di ammonio causa edema polmonare, acidosi, danno ai reni e al sistema nervoso centrale.

I principali effetti tossici dell‟ammoniaca sono confinati ai siti di contatto diretto: pelle, occhi, tratti respiratori, bocca.

L‟intensità del danno che l‟ammoniaca può arrecare alla salute dell‟uomo in seguito all‟ inalazione o al contatto, è funzione della sua concentrazione (Tab. 2.3) e del tempo di esposizione (Fig. 2.14).

(32)

27

Fig. 2.14 – Percentuale di fatalità in funzione della concentrazione di NH3 e del tempo di

esposizione

Non ci sono evidenze di effetti cancerogeni dovuti all‟ammoniaca. L‟ammoniaca non rientra tra le sostanze ritenute cancerogene dall‟EPA (Environmental Protection Agency), dal DHHS (Department of Health and Human Services), e dall‟Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC).

Rischi

L‟esposizione di un contenitore di ammoniaca liquida al calore è rischiosa per la sicurezza, dal momento che una variazione di temperatura comporta una variazione esponenziale di pressione (Fig. 2.15) nel recipiente. Ne consegue un aumentano delle sollecitazioni sul contenitore, che potrebbe rompersi e causare la fuoriuscita di ammoniaca.

(33)

28

Fig. 2.15 – Andamento pressione dell’ammoniaca in funzione della variazione di temperatura

Una bombola per ammoniaca liquida deve possedere opportuni dispositivi di sicurezza, come rappresentato in figura 2.16.

Fig. 2.16 – Dispositivi di sicurezza per la gestione della pressione all’interno di un

(34)

29 Nel caso di fuoriuscita di ammoniaca, questa dapprima si diffonde a V nell‟ambiente circostante, poi col diminuire della pressione il flusso iniziale si trasforma in una nuvola densa di gas per poi rarefarsi sempre di più.

La velocità con cui questa si disperde dipende dalle condizioni ambientali: la sua diffusione sarà più rapida in condizioni di elevata ventosità, alte temperature e bassa umidità relativa, come mostrato in figura 2.17.

Fig. 2.17 – Dispersione di NH3 liquida in diverse condizioni climatiche dopo rilascio da un

contenitore ad alta pressione

Ci sono però taluni casi in cui l‟ammoniaca rimane in uno stato di spray composto da piccole gocce che rimangono a bassa quota fino ad essere disperse nel terreno. Questo dipende dalle condizioni di temperatura e umidità dell‟ambiente: l‟elevato tasso di umidità e le basse temperature possono portare alla formazione dello spray nocivo al contatto e all‟inalazione.

Nelle condizioni atmosferiche peggiori, la nuvola di vapore tossica, può espandersi per circa 220 metri dal punto di rilascio (1% del limite di fatalità) [24]. La zona di impatto tossico associata con la fuoriuscita di ammoniaca è illustrata in due modi in figura 2.18.

(35)

30

Fig. 2.18 – Metodo del corridoio di vulnerabilità e impronta nube tossica in seguito a rilascio di

NH3

Un metodo presenta l‟evento come un corridoio di vulnerabilità lungo la carreggiata, con un offset di 220 metri di distanza sia a destra che a sinistra. Questa presentazione trae in inganno dal momento che tutte le postazioni lungo la carreggiata non possono essere simultaneamente esposte alla nube tossica conseguente ad ogni singolo rilascio. Una presentazione più realistica della zona di massimo potenziale tossico associata al trasporto su strada di ammoniaca è l‟area tratteggiata in figura 2.18, la quale rappresenta la zona realmente interessata dal pericolo nel caso in cui avvenga la rottura della cisterna, il vento soffi perpendicolare e la sua velocità sia bassa (circa 1m/s) [24].

La probabilità che queste condizioni si presentino simultaneamente è approssimativamente di 5,63 ∙ 10−14 (uno ogni 17 trilioni) per camion che trasporta ammoniaca, ogni miglio di

carreggiata percorso all‟anno.

Inoltre, ci sono molte altre possibilità di formazione di nubi tossiche prodotte da incidenti che riempirebbero parte del corridoio di vulnerabilità. Questa analisi del rischio considera 21 combinazioni di velocità del vento e di stabilità atmosferica e 64 direzioni del vento per ogni singolo rilascio. Queste condizioni sono combinate con tre dimensioni di fori di rilascio. Lo scenario rappresentato in figura 2.18 è appena uno delle migliaia di risultati possibili conseguenti un rilascio di ammoniaca dal serbatoio di un camion. Quindi, i corridoi di vulnerabilità non permettono una misura significativa del rischio. Questi, semplicemente, forniscono informazioni su quali aree potrebbero potenzialmente essere esposte ad un singolo incidente, ma non danno informazioni sulla probabilità di esposizione.

(36)

31 I corridoi di vulnerabilità per tre tipi di combustibile sono rappresentati in figura 2.19.

Fig. 2.19 – Rappresentazione col metodo del corridoio di vulnerabilità della massima estensione

di un impatto fatale lungo la carreggiata per i tre tipi di combustibili trasportati

La zona di vulnerabilità degli autocarri trasportatori di benzina è caratterizzata soprattutto dal pool fire (combustione continua di un gas infiammabile emesso da una riserva di liquido), conseguente ad un rilascio di benzina sulla carreggiata. La zona di vulnerabilità del GPL è definita dal flash fire (combustione immediata di una nube di gas infiammabile) dopo rilascio di gpl sulla carreggiata [24].

Il rischio a cui un individuo può essere potenzialmente esposto in seguito ad eventi originati lungo le carreggiate dove sono trasportati i combustibili per autotrazione, o dalle stesse stazione di servizio per la distribuzione, può essere rappresentato da una misura numerica. Quest‟ultima rappresenta la probabilità che un individuo sia esposto ad un pericolo mortale durante il periodo di un anno. La tabella 2.4 elenca i valori numerici espressi in termini di probabilità di mortalità per anno.

(37)

32 Un altro metodo di rappresentazione del rischio determinato dal trasporto dei combustibili è il così detto metodo del “transetto di rischio”. Quest‟ultimo mostra il rischio annuale di fatalità dovuto al rilascio di combustibile da autocisterne rispetto alla minima distanza (perpendicolare) dalla carreggiata. Questo metodo di rappresentazione del rischio, tiene conto di tutti i possibili rilasci e pericoli, e fornisce un metodo semplice di comparazione del rischio per molti combustibili.

Fig. 2.20 – Metodo del transetto di rischio per trasporto su camion di tre diversi combustibili

La figura 2.20 rappresenta i transetti di rischio per la benzina, il gpl e l‟ammoniaca refrigerata lungo una normale carreggiata. Per questo confronto si assume che ogni combustibile sia trasportato su camion sulla strada una volta a settimana, (per un totale di 52 viaggi all‟anno). Il numero di viaggi non è un fattore critico nell‟analisi comparativa se si considera lo stesso numero di viaggi per tutti i combustibili. Come si evince dalla figura 2.20 il rischio di mortalità decresce all‟aumentare della distanza dalla carreggiata. Ciò è particolarmente vero per la benzina, i cui rischi maggiori sono associati al pool fire e alle fiamme persistenti che provoca. L‟estensione del flusso radiante derivante da una certa quantità di benzina che brucia è limitato dalla grandezza della superficie che tale quantità occupa. Storicamente i pericoli derivanti da questi eventi non hanno interessato grandi aree. Confrontati con i transetti di rischio della benzina, quelli dell‟ammoniaca mostrano un livello più basso di rischio sulla carreggiata. Ciò è dovuto in parte al fatto che i recipienti per l‟ammoniaca sono recipienti in pressione identici a quelli per il trasporto di GPL, mentre le cisterne per la benzina sono a pressione ambiente e con

(38)

33 pareti più sottili. I dati riguardanti gli incidenti dovuti a sversamento dei combustibili analizzati mostrano che i recipienti con spessore maggiore, (impiegati per ammoniaca e GPL) hanno una più bassa probabilità di rompersi [24]. Comunque, se avviene un rilascio, l‟estensione del pericolo di mortalità derivante dalla tossicità dell‟ammoniaca è maggiore di quello derivante dal pericolo di incendio della benzina sversata.

Anche il transetto di rischio per il terzo combustibile considerato, il GPL, è mostrato in figura 2.20. Nonostante il GPL e l‟ammoniaca refrigerata siano trasportati nello stesso tipo di cisterna in pressione, per un uguale quantità di sostanza sversata, il GPL ha la potenzialità di generare complessivamente un pericolo maggiore rispetto a quello derivante da sversamento di ammoniaca. Questo è parzialmente dovuto alla natura del GPL che può produrre pericolo sia radiante che esplosivo. Date le identiche condizioni atmosferiche, l‟estensione del pericolo di una fiamma rapida è spesso maggiore dell‟estensione del pericolo di tossicità determinato dall‟ammoniaca. Quindi, tutte le possibili combinazioni dei piani di pericolo portano alla conclusione che il transetto di rischio per il GPL è più ampio (si estende più lontano dalla carreggiata) rispetto al transetto di rischio della benzina o dell‟ammoniaca refrigerata.

Rischi derivati dalle stazioni di servizio

Le figure 2.21, 2.22 e 2.23 rappresentano i profili di rischio per una stazione di rifornimento erogante rispettivamente benzina, GPL e ammoniaca refrigerata.

(39)

34

Fig. 2.22 - Profilo di rischio per una stazione di servizio a GPL

Fig. 2.23 - Profilo di rischio per una stazione di servizio di ammoniaca refrigerata

Ogni contorno, per ogni stazione di servizio, illustra il rischio annuale per le persone nell‟area designata in funzione della loro posizione. Il profilo di rischio definisce il rischio di esposizione letale ai pericoli associati al rilascio di ogni combustibile entro l‟impianto di

(40)

35 rifornimento. Per esempio, il contorno marcato 10-6 in figura 2.21 rappresenta una possibilità su un milione per anno di essere esposti ad un pericolo mortale da ognuno dei possibili rilasci associati allo scarico, stoccaggio ed erogazione di benzina entro la stazione.

Quando è analizzata una stazione di servizio erogante GPL il profilo di rischio è maggiore, come mostrato in figura 2.22. Dal momento che il GPL è stoccato sotto pressione ed è più volatile della benzina, esso ha la potenzialità di generare maggiori aree di pericolo mortale rispetto alla benzina. Tale comportamento è visibile dalla comparazione delle figure 2.21 e 2.22. La figura 2.23 mostra il profilo di rischio per una stazione di servizio nella quale l‟ammoniaca refrigerata è scaricata, stoccata e dispensata. L‟impatto del rischio dovuto allo stoccaggio e all‟uso dell‟ammoniaca è minore se comparato con le stazioni eroganti GPL ma è maggiore del rischio associato alla benzina. Ci sono diverse ragioni per questo, la più importante consiste nel fatto che il GPL è comunemente stoccato come gas liquefatto negli attuali impianti delle stazioni di servizio, mentre l‟ammoniaca sarebbe scaricata e stoccata come ammoniaca refrigerata in queste analisi comparative. La volatilità dell‟ammoniaca refrigerata è maggiore di quella della benzina, per questo i rischi associati all‟ammoniaca sono maggiori di quelli della benzina.

Criteri di accettabilità del rischio

La determinazione dell‟accettabilità del rischio utilizzando un criterio riconosciuto internazionalmente non è ancora possibile. Comunque, è utile conoscere i criteri utilizzabili per determinare se le stazioni di servizio possono essere considerate accettabili dal punto di vista del rischio individuale. In questa maniera il rischio associato ad i tre combustibili può essere comparato se si assume nell‟analisi lo stesso numero di trasporti stradali di carburante, di scarico e di rifornimenti di automobili.

In generale, il criterio di rischio è stato sviluppato per aiutare le agenzie di regolamentazione a definire dove potrebbe essere sviluppato un alloggio permanente nei dintorni delle aree industriali. Diversi Paesi hanno dei propri standard [24] riconosciuti per l‟accettabilità del rischio. (Fig. 2.24)

(41)

36

Fig. 2.24 – Criteri di accettabilità del rischio per diversi Paesi.

Il livello di massimo rischio accettabile più comune è di 1 ∙ 10−6 (una probabilità ogni

milione di essere travolto in un incidente mortale in un anno). La figura 2.24 mostra che il livello di rischio individuale minore di 10-6 è ritenuto accettabile da tutti i Paesi, con possibili eccezioni delle linee guida più restrittive dei Paesi Bassi.

2.3.2 Compatibilità chimica dei materiali con l’ammoniaca

Diverse ricerche in letteratura sottolineano una incompatibilità chimica dell‟ammoniaca con il rame, il bronzo, l‟ottone e delle leghe di zinco. Occorre specificare che l‟ammoniaca attacca questi materiali principalmente se si trovano allo stato puro, determinando un caratteristico colore verde-blu alle aree corrose (Fig. 2.25).

(42)

37

Fig. 2.25 – Effetti corrosivi dell’ammoniaca su metalli incompatibili

L‟ammoniaca reagisce violentemente con le sostanze ossidanti e con gli acidi, può formare composti esplosivi con argento, mercurio e oro.

Reagisce con l‟acqua formando composti alcalini corrosivi.

In generale, comunque, l‟ammoniaca crea problemi anche ad altri materiali non metallici con cui possono essere realizzate guarnizioni e raccordi. In tabella 2.5 è riportato uno specchio raffigurante la compatibilità chimica dell‟ammoniaca con molti materiali utilizzati comunemente per lo stoccaggio e il trasporto dei gas

Acciaio Acciaio

inox Alluminio Ottone Rame

Gomma

butilica Neoprene Viton Teflon Pvc

D B D M M B B M B D

B = buona NB = In presenza dell‟ossigeno è sconsigliato l‟uso dell‟acciaio

M = mediocre

D = dipende dalle condizioni N = nessuna

Riferimenti

Documenti correlati

Le figure 3, 4, 5 e 6 illustrano la potenzialità emissiva rispettivamente di ammoniaca, anidride carbonica, metano e protossido d’azoto (questi ultimi due sono

Realizzazione di interventi sulle strutture di allevamento finalizzati a migliorare le condizioni di aereazione e il microclima e a migliorare la gestione delle deiezioni

➢ L’adsorbimento di ammoniaca da acqua reflua industriale, risulta essere inefficiente ed instabile, a causa della presenza di altri contaminanti come fosforo, sodio,

Sulla base dei dati disponibili, i criteri di classificazione non sono soddisfatti. h) tossicità specifica per organi bersaglio (STOT) — esposizione singola Non classificato.

Obiettivo del GO è di determinare il grado di contenimento delle emissioni di ammoniaca e gas serra che si possono realizzare in alcune tipologie innovative di sistemi di

Tra queste ultime, la copertura del liquame con tappetini galleggianti (Ecomembrane®) è risultata la più efficiente, con una percentuale di riduzione delle emissioni

• Quantificazione della riduzione delle emissioni di ammoniaca conseguibili con l’utilizzazione dell’acido benzoico nella dieta del suino pesante per diete a basso contenuto

Ci si attende come risultati il miglioramento della qualità dell’aria all’interno della sala in cui è installato il prototipo e la quantificazione delle emissioni