• Non ci sono risultati.

Potenziale di cambiamento di reti innovative operanti nel campo delle produzioni animali: un'analisi nel contesto europeo

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Potenziale di cambiamento di reti innovative operanti nel campo delle produzioni animali: un'analisi nel contesto europeo"

Copied!
102
0
0

Testo completo

(1)

Dipartimento di Scienze Veterinarie

Scuola di Dottorato in Scienze Agrarie e Veterinarie

Programma in:

alimenti nei Paesi a clima mediterraneo”

Codice Settore Scientifico Disciplinare (SSD)

"Potenziale di cambiamento di reti innovative

operanti nel campo delle produzioni animali"

Candidata Dott.ssa Elena Favilli

Dipartimento di Scienze Veterinarie

Scuola di Dottorato in Scienze Agrarie e Veterinarie

Programma in: “Produzioni animali, sanità e igiene degli

alimenti nei Paesi a clima mediterraneo”

Codice Settore Scientifico Disciplinare (SSD)

Tesi di dottorato

27° Ciclo

"Potenziale di cambiamento di reti innovative

operanti nel campo delle produzioni animali"

Relatore Prof.

Di Iacovo Francesco Paolo

Presidente del programma di dottorato Prof. Domenico Cerri

Anno accademico 2014 – 2015

Scuola di Dottorato in Scienze Agrarie e Veterinarie

Produzioni animali, sanità e igiene degli

alimenti nei Paesi a clima mediterraneo”

Codice Settore Scientifico Disciplinare (SSD) AGR/01

"Potenziale di cambiamento di reti innovative

operanti nel campo delle produzioni animali"

(2)

2

Sommario

Abstract ... 4

1. Introduzione ... 5

2. Stato dell’arte della letteratura sulla teoria della transizione e boundary object ... 13

2.1 La teoria della transizione e della transizione per la sostenibilità ... 13

2.2 La teoria del Boundary Object ... 22

2.3 Il quadro concettuale: combinazione fra la multilevel perspective on sustainability transition e la teoria del boundary object ... 25

3. Metodologia di ricerca ... 28

3.1 La metodologia transdisciplinare ... 28

3.2 La ricerca azione-partecipata ... 32

3.3 La strategia del caso di studio ... 34

3.4 Selezione dei casi di studio ... 35

3.5 Processo di ricerca ... 36 3.5.1 Workshops ... 37 3.5.2 Interviste ... 38 3.5.3 Documenti ... 39 3.5.4 Osservazione ... 39 3.6 Riflessioni ... 40 4. Risultati ... 42

4.1 Il Caso del Consorzio Vacche Rosse e della rete di produttori di Razza Rossa Reggiana ... 43

4.1.1 Il contesto: la DOP Parmigiano Reggiano ... 43

4.1.2 Il Consorzio Vacche Rosse e il suo network... 46

Processo di strutturazione della nicchia, il ruolo dei boundary objects e le relazioni con il regime socio-tecnico ... 51

Boundary objects, ruolo nella costruzione della rete e contributo alla transizione ... 55

4.2 Il caso dell’Associazione Crisoperla ... 63

4.2.1 Il contesto: il territorio della Lunigiana ... 63

4.2.2 L’Associazione biologica Crisoperla e il suo network ... 64

Processo di formazione della nicchia, il ruolo dei boundary objects e le relazioni con il regime socio-tecnico ... 66

(3)

3

Boundary objects, ruolo nella costruzione della rete e contributo alla transizione

... 71

5. Discussione ... 75

6. Conclusioni ... 79

(4)

4

Abstract

La questione della sostenibilità dei sistemi agro-zootecnici e le modalità attraverso cui realizzare un percorso di transizione in tale direzione è oggetto di un crescente interesse sia per il mondo accademico sia per quello degli operatori del settore. L’obiettivo di questa tesi va nella direzione di analizzare le strategie di supporto all’innovazione per la sostenibilità nel settore agro-zootecnico e veterinario, al fine di individuare dei metodi per l’organizzazione del sistema dell’assistenza tecnica rispondente alle sfide e alle crisi che il settore si trova ad affrontare.

In questa tesi si propone un approccio di rete allo studio delle innovazioni per la sostenibilità, che considera l’integrazione di competenze e abilità e la co-creazione di conoscenza provenienti da diversi ambiti di attività (scientifico, tecnico, operativo) come presupposti per la definizione di strategie di azione per affrontare le sfide del settore agro-zootecnico.

Con input teorici provenienti dalla multilevel-perspective on socio-technical

transition e dalla teoria dei boundary objects è stato predisposto un quadro per

l’analisi di due casi di studio di reti di innovazione – il Consorzio Vacche Rosse e la rete di produttori di Razza Rossa Reggiana e l’Associazione Crisoperla) - al fine di comprenderne l’organizzazione, il funzionamento e quali elementi di supporto (tecnico, economico) sono stati efficaci nel facilitare i rispettivi percorsi di transizione.

L’analisi dei casi di studio ha consentito di mettere in evidenza l’importanza dell’azione collettiva attorno ad un comune obiettivo al fine di realizzare pratiche agricole e zootecniche sostenibili; inoltre, la presenza di boundary objects e l’attività di alcuni attori (o gruppi di attori) si sono rivelati elementi chiave per il successo delle due iniziative.

Quanto emerso consente di porre l’attenzione sull’opportunità di indirizzare il sistema di assistenza tecnica in agricoltura verso metodi di supporto che agevolino la cooperazione fra aziende e che facilitino l’azione verso comuni obiettivi di sostenibilità di aziende agricole, università e amministrazioni pubbliche.

(5)

5

1.

Introduzione

Dalla sua codifica formale ad opera della commissione Brundtland nel 1987, quella della sostenibilità è man mano diventata una questione urgente, trasversale allo svolgimento di diverse attività economiche. Negli ultimi 10 anni, la letteratura internazionale ha esaminato con crescente attenzione la possibilità per i sistemi socio tecnici, come quello dei trasporti, energia e agricoltura, di intraprendere percorsi di transizione verso la sostenibilità (Geels 2011; Markard et al. 2012; Smith et al. 2010).

Per quanto riguarda il settore agro-zootecnico, vi è crescente consapevolezza che le soluzioni tecnologiche e organizzative intraprese in passato e fino ad oggi non sono più sempre compatibili con i vincoli e le opportunità che la collettività dovrà affrontare nel prossimo futuro (Moschitz et al. 2015).

A livello globale, sono tre i principali elementi di pressione che il sistema agro-zootecnico si trova ad affrontare: il cambiamento climatico, la progressiva scarsità di risorse non rinnovabili e l’aumento della popolazione (Konefal 2015).

Se da una parte l’agricoltura – e la zootecnia soprattutto – è ad oggi un settore che contribuisce in larga misura alle emissioni di gas responsabili del cambiamento climatico globale, tanto che il settore subisce pressioni dall’opinione pubblica per ridurre le emissioni di gas serra, dall’altra tali cambiamenti minacciano la continuità della sostenibilità in agricoltura. L’attività agricola, inoltre, deve affrontare la riduzione delle risorse naturali, quali la terra, l’acqua e il petrolio, aspetto che può rendere più incerte le future capacità produttive. Infine, sia l’aumento della popolazione sia i cambiamenti nelle preferenze dei consumatori dei paesi in via di sviluppo verso una maggiore domanda di proteine di origine animale, rappresentano un ulteriore elemento di pressione sul sistema agro-zootecnico. Questi elementi non solo evidenziano le criticità ambientali che l’agricoltura si troverà ad affrontare, ma rappresentano anche le principali sfide a livello globale nel prossimo futuro. Questo ha, di conseguenza, generato una crescente attenzione riguardo a una transizione verso nuovi modelli di business, nuove tecnologie e nuove strategie politiche che affrontino la sfida della sostenibilità.

(6)

6

Il ruolo delle innovazioni è chiave in questo percorso: il potenziale contributo delle innovazioni alle sfide dell’agricoltura sostenibile è però subordinato alla comprensione di come le pratiche agricole si sono sviluppate e diffuse e a come questi processi sono organizzati.

L’innovazione per la sostenibilità, infatti, non solo include gli aspetti tecnologici relativi alla realizzazione di un nuovo prodotto/servizio ma richiede anche una riorganizzazione delle strutture sociali coinvolte e, pertanto, un’analisi approfondita dei cambiamenti che conseguono alla sua realizzazione.

Storicamente, il modello lineare di creazione della conoscenza e trasferimento della soluzione tecnologica ha dominato il pensiero riguardo alle innovazioni in agricoltura. Secondo questo modello, la conoscenza in agricoltura è sviluppata all’interno delle università e istituti di ricerca e i servizi di consulenza pubblici provvedono a diffondere tale conoscenza agli agricoltori secondo un modello che è detto “triangolo della conoscenza”; gli agricoltori sono, di fatto, gli utilizzatori finali delle innovazioni, i “consumatori” delle tecnologie e non coinvolti direttamente nelle fasi di sviluppo della conoscenza e dell’innovazione.

Sebbene il modello lineare di trasferimento delle innovazioni sia stato di grande successo per incrementare la produttività dell’agricoltura, negli ultimi anni sono aumentate le preoccupazioni riguardo alla questione della sostenibilità di tale approccio e la sua adeguatezza nell’affrontare più ampi obiettivi di sviluppo che riflettono le molteplici funzioni delle aziende e degli agro ecosistemi nello sviluppo rurale (IAASTD 2009).

Nella letteratura agraria e sulle innovazioni in agricoltura (Smits e Kuhlmann 2004; Leeuwis e Ban, 2004; Hoffmann 2007; Knickel et al. 2009) vengono evidenziati alcuni punti critici del modello lineare di trasferimento della conoscenza e dell’innovazione. Tale visione parte da tre assunzioni (Dosi et al. 1988): i) le innovazioni sono buone “per sé”, poiché generano una crescita nella produttività e, di conseguenza, nella competitività sul mercato, aspetti cruciali per il progresso; ii) la scienza ufficiale è la sola, legittima fonte di conoscenza e motore di innovazione; iii) la visione degli utilizzatori finali deve

(7)

7

comunque essere presa in considerazione. Secondo la letteratura, ci sono diverse implicazioni negative nell’accettare queste assunzioni: i) le innovazioni generano impatti imprevedibili nella società. La “bontà” di un’innovazione è sempre più valutata in relazione al suo contributo nel risolvere i bisogni della società; ii) se gli attori della società non sono coinvolti o lo sono solo alla fine del processo di innovazione, potrebbero non essere motivati ad innovare, oppure il costo, anche sociale, per l’adozione dell’innovazione potrebbe essere elevato; iii) considerando una sola fonte legittima di conoscenza si trascurano quei processi che spiegano i differenziali di innovazione e competitività fra le entità collettive, che sono basati sull’apprendimento in contesti sociali (Smits 2002).

In risposta a queste critiche, la visione lineare è stata sostituita da un approccio di sistema (Röling e Engel 1991; Hall et al. 2003; Sumberg e Reece, 2004; Knickel et al. 2009), secondo cui attori pubblici, privati e della società civile devono essere inclusi in un “Sistema di Innovazione in Agricoltura” (AIS – Agriculture Innovation System).

Fra questi attori sono inclusi, ad esempio, imprenditori agricoli e altri che svolgono attività nelle aree rurali, così come ricercatori, consulenti, politici, industrie/aziende di trasformazione di prodotti alimentari, consumatori e Organizzazioni Non Governative (ONG).

Un Sistema di Innovazione in Agricoltura è definito da Hall et al. (2006) come una rete di organizzazioni, imprese e individui orientati a portare nuovi prodotti, nuovi processi e nuove forme di organizzazione nell’uso economico, insieme a istituzioni e politiche che influenzano il modo in cui i diversi attori interagiscono, condividono, scambiano e utilizzano conoscenza.

Nella prospettiva di sistema all’innovazione, la produzione e lo scambio di conoscenza non rappresentano i soli pre-requisiti per l’innovazione, ma altri fattori giocano un ruolo altrettanto determinante, come le politiche, la legislazione, le infrastrutture, le risorse economiche e lo sviluppo dei mercati (Klein Woolthuis et al. 2005; Hekkert et al. 2007). Inoltre, l’innovazione non si identifica solamente con la produzione di valore economico ma anche sociale, etico e ambientale.

(8)

8

La prospettiva di sistema sull’innovazione focalizza sulle strutture stesse dei sistemi agricoli, su come i diversi attori interagiscono e sulle possibili barriere che possono ostacolarne le performance (Freeman 1998; Klein Woolthius et al. 2005). L’approccio di sistema all’innovazione può meglio caratterizzare il cambiamento in agricoltura, inteso come processo di azione e interazione fra una serie di attori diversi impegnati nella generazione, scambio e utilizzo di conoscenza (Hall et al. 2003; Spielman et al. 2008).

Si rileva quindi l’esigenza di investigare i diversi ruoli e funzioni che gli attori assumono in quelle che si possono definire reti di innovazione, poiché essi collaborano non solo per migliorare le pratiche agricole nell’ottica della sostenibilità, ma ambiscono anche a provocare cambiamenti nel contesto socio-istituzionale in cui queste pratiche vengono realizzate.

All’interno di questo quadro generale di cambiamenti a livello si sistema delle innovazioni per l’agricoltura sostenibile, è stato realizzato il Progetto di ricerca SOLINSA (Agriculture Knowledge System in Transition: towards a more effective and efficient support of Learning and Innovation Network for Sustainable Agriculture, FP7, GA No 266306) (Moschitz et al. 2015), nell’ambito del quale questa tesi di dottorato è stata sviluppata. La partecipazione attiva alla ricerca del Progetto ha rappresentato un’importante opportunità di crescita e apprendimento professionale, realizzabili attraverso il confronto con ricercatori che operano nel contesto della ricerca internazionale su più fronti: la natura inter e trans-disciplinare del Progetto ha contribuito in modo considerevole alla formazione della scrivente e all’acquisizione di strumenti e metodi della ricerca che sono stati di fondamentale importanza per la costruzione di questo lavoro di tesi.

Il Progetto SOLINSA, iniziato nel febbraio 2011 e concluso in gennaio 2014, ha esplorato nuovi modalità e metodi di co-produzione di conoscenza e apprendimento per l’agricoltura sostenibile e lo sviluppo rurale, proponendo riflessioni critiche sul ruolo della ricerca e della politica nel supporto alle innovazioni sostenibili in Europa.

SOLINSA ha implementato un approccio di rete nell’affrontare la questione dell’apprendimento e dell’innovazione in agricoltura: questo approccio

(9)

9

consente il riconoscimento e l’integrazione di diverse fonti, tipologie e processi di conoscenza. L’approccio di rete consente anche di introdurre nell’analisi del sistema della conoscenza in agricoltura diverse tipi di attori: non solo agricoltori, ma anche consumatori, abitanti delle aree rurali, imprese commerciali, ONG, politici e altri attori che contribuiscono con la loro conoscenze allo sviluppo dell’agricoltura (Knickel et al. 2009; Oreszczyn et al. 2010; Leewis e Aarts 2011).

Tutti gli attori, insieme, rappresentano una grande diversità di risorse e di conoscenza disponibili che sono utilizzate nelle pratiche agricole e di sviluppo rurale: si tratta di conoscenze tecniche ed economiche, orientate al marketing e alla produzione, tacite e codificate, tutte necessarie per la soluzione di specifici problemi e per la trasformazione di sistema. Le innovazioni si realizzano quando risorse materiali e immateriali circolano all’interno di una rete e quando gli attori utilizzano in modo strategico il potenziale che queste risorse forniscono (Brunori et al, 2013).

Il Progetto SOLINSA introduce un particolare tipo di rete multi-attoriale, chiamato LINSA - Learning and Innovation Network for Sustainable

Agriculture o Rete di apprendimento e innovazione per l’agricoltura sostenibile

– all’interno della quale “produttori, consumatori, esperti, ONG, Piccole e Medie Imprese (PMI), amministratori locali, ricercatori e consulenti sono mutualmente impegnati nel raggiungimento di obiettivi comuni per l’agricoltura sostenibile e sviluppo rurale, cooperando, condividendo risorse e co-producendo nuova conoscenza creando condizioni per la comunicazione (Brunori et al. 2013).

Apprendimento sociale e co – creazione di conoscenza rispetto al suo trasferimento lineare diventano il principio organizzativo base di questi network.

SOLINSA ha contribuito al dibattito internazionale sulla tematica della conoscenza e innovazione in agricoltura elaborando delle raccomandazioni politiche su come poter supportare tali reti, considerate drivers di innovazione, in modo efficiente ed efficace, e sull’individuazione delle migliori strategie per agevolare il successo di queste iniziative (Burkart et al. 2014).

(10)

10

Questa tesi di dottorato si propone di approfondire in modo specifico il potenziale di cambiamento verso un’agricoltura più sostenibile delle reti di innovazione. Se è vero che in letteratura si è ampiamente dibattuto sull’organizzazione e sulla governance delle reti multi-attoriali, sull’entità dei cambiamenti generati nell’ambiente in cui operano (tecnico, istituzionale, regolamentare), meno attenzione è stata dedicata alle strategie che esse mettono in atto per creare condizioni favorevoli alla loro attività e, di conseguenza, a quali strumenti e metodi potrebbero essere impiegati per supportare tali strategie.

Questa ricerca si è concentrata sul potenziale di cambiamento di reti innovative che operano nel campo delle produzioni animali, nello specifico di allevatori di vacche da latte che viene destinato alla trasformazione in formaggio DOP, analizzando i processi di cambiamento di specifici casi di studio.

I casi sono stati scelti perché rappresentano esempi concreti di reti di conoscenza e innovazione dove la domanda di transizione verso la sostenibilità è prioritaria.

Infatti, il settore lattiero caseario si trova ad affrontare importanti sfide nel prossimo futuro, sia legati alle sopracitate sfide globali sia legati ai cambiamenti strutturali in atto nel settore, a partire dalla drastica riduzione del numero di stalle e del numero di unità produttive che non è stato attutito neppure dalle produzioni di qualità. Nell’ultimo decennio, in Emilia Romagna hanno cessato l’attività circa 4800 aziende (CRPA 2013). Questo anche perché il settore lattiero-caseario è soggetto ad influenze che provengono da diversi ambiti - economico, sociale, ambientale – e che rappresentano gli elementi di sfida per la sopravvivenza del settore (CRPA 2013). Proprio perché la crisi del settore è diffusa e connessa a una molteplicità di fattori, le eventuali strategie da mettere in atto non possono essere rivolte al singolo allevatore ma occorre ripensare al sistema di supporto in chiave collettiva e territoriale.

La questione della transizione per la sostenibilità è stata affrontata nella letteratura di settore prevalentemente da un punto di vista tecnico-tecnologico, con studi riguardanti i possibili metodi per ridurre l’impatto ambientale delle produzioni zootecniche: ad esempio, numerosi sono infatti gli studi sulle

(11)

11

modalità di riduzione delle emissioni di gas serra negli allevamenti nell’ottica di un contributo alla mitigazione del cambiamento climatico (Ruviaro et al. 2014;; Van der Weerden et al. 2014; Minato et al., 2013; Scialabba N.E.-H. et al. 2010; Vanotti et al. 2008; Arvey e Arvey 2008).

Il tema della transizione verso la sostenibilità nelle produzioni animali è stato meno esplorato dal punto di vista del cambiamento nelle strutture socio-istituzionali che accompagnano l’innovazione: l’innovazione anche in questo caso è favorita da alleanze strategiche fra attori che favoriscono, appunto, la transizione. Considerati questi apparenti gap di conoscenza in merito, la tesi ha l’obiettivo di contribuire al dibattito in atto sugli strumenti e metodi disponibili o potenzialmente sviluppabili per promuovere la transizione verso l’agricoltura e la zootecnica sostenibili. La direzione di questo lavoro è infatti quella di stimolare il dibattito in merito alla necessità di supporto all’azione collettiva nell’ambito delle produzioni animali e del settore lattier-caseario in particolare, ritenuta una strategia da valorizzare per provocare il necessario cambiamento non solo per la sopravvivenza del settore ma anche per una sua transizione verso modelli più sostenibili.

Le domande che ci si è posti per impostare la ricerca sono relative sia agli elementi di funzionamento e di strategia interna di cui le reti si dotano, sia ai fattori esterni che possono contribuire alla generazione di cambiamento, inclusa la caratterizzazione dei sistemi in cui tali reti operano. Nello specifico:

i) come si definisce il sistema socio-tecnico di riferimento di un network a livello locale del sistema dell’innovazione?

ii) Dato il sistema socio tecnico, cosa ha determinato la spinta al cambiamento e cosa il cambiamento ha innescato?

iii) Come i network di innovazione attivi possono contribuire al cambiamento dei sistemi in cui operano?

Si è voluto focalizzare, in fase di discussione, sulle alleanze e strategie che le reti mettono in atto per generare cambiamento:

iv) come i network innovativi interagiscono con i loro ambienti istituzionali per raggiungere i loro obiettivi di innovazione?

(12)

12

v) Quali strategie si sono rivelate efficaci nel produrre cambiamento e quali potrebbero essere sviluppate al fine di agevolare i processi di transizione?

La tesi è articolata in sei sezioni. Dopo questo capitolo introduttivo, è stato inserito un capitolo dedicato al quadro concettuale che è stato utilizzato per inquadrare la ricerca, risultante in una combinazione di due filoni di letteratura: la multilevel perspective on sustainability transition e la teoria del boundary

object. Il primo passo è stato lo studio della letteratura relativa alle due teorie,

attraverso una revisione analitica delle principali caratteristiche, degli ambiti di applicazione e delle critiche rivolte ad entrambe le teorie dai diversi autori; successivamente è stato illustrato quali aspetti delle due teorie sono stati combinati al fine di ipotizzare un framework utile a inquadrare il potenziale di cambiamento nei due casi di studio proposti per l’analisi.

Il capitolo successivo è dedicato all’illustrazione della metodologia di indagine, che prevede l’inquadramento dell’approccio alla ricerca trans-disciplinare e della ricerca-azione partecipata; il capitolo prosegue con la descrizione di dettaglio dei metodi di raccolta dati e una nota riflessiva sull’applicazione della metodologia nell’ambito del lavoro di questa tesi.

Nella parte dedicata ai risultati, sono stati messi in evidenza i percorsi e i processi di cambiamento che sono stati messi in atto nei due casi di studio, sottolineando gli attori chiave, le regole e gli artefatti che hanno subito una re-difinizione a seguito dell’azione delle reti, l’entità del cambiamento e il ruolo dei boundary objects nelle diverse fasi dei processi di transizione per la sostenibilità.

I risultati sono stati discussi mettendo in evidenza alcune fasi chiave per la realizzazione dei processi di transizione, sottolineando quei metodi e quegli strumenti che hanno facilitato il percorso. Nella sezione conclusiva, la discussione è stata integrata con alcune riflessioni sulle possibili implicazioni della ricerca e sui possibili strumenti che, a livello politico-istituzionale, potrebbero essere messi in atto per supportare il cambiamento, con specifico riferimento alle reti che operano nel campo delle produzioni animali.

(13)

13

2. Stato dell’arte della letteratura sulla teoria della transizione e

boundary object

I capitoli 2.1 e 2.2 contengono una revisione analitica e critica della letteratura relativa alla transizione per la sostenibilità e all’origine ed evoluzione del concetto di boundary object. Dopo l’analisi dello stato dell’arte della letteratura, il capitolo 2.3 presenta il quadro concettuale utilizzato.

2.1 La teoria della transizione e della transizione per la sostenibilità

Nel corso degli anni si sono susseguiti ed affiancati diversi approcci teorici che hanno studiato e cercato di spiegare le particolarità di una transizione.

Questi includono teorie generali, come ad esempio la teoria economica evolutiva (Nelson e Winter 1982; Van den Bergh e Gowdy 2000) e la teoria dell’actor network (Callon 1986; Law e Assard 1999), e altri approcci che hanno un focus più specifico sugli aspetti tecnologici, come la valutazione costruttiva della tecnologia (Rip et al. 1995) e la governance riflessiva (Kuhlman et al 2010; Voß et al. 2006); inoltre, anche altri filoni di ricerca sulla cosiddetta “questione verde”, la letteratura sulle scienze per la sostenibilità (Kates et al. 2001), sul green management e sulla corporate social

responsability (Rugman e Verbeke 1998; Porter e Kramer 2006), sulle

innovazioni ambientali o eco-innovazioni (Kemp 2010; Rennings 2000) e, più in generale, la teoria della modernizzazione ecologica (Christoff 1996; Mol e Sonnenfeld 2000) hanno dato negli anni un importante contributo nello studio delle transizioni.

Poiché ciascuna transizione richiede cambiamenti innovativi di carattere strutturale, la ricerca sulla modernizzazione ecologica si è non solo focalizzata sulle innovazioni ambientali, o eco-innovazioni, ma soprattutto sull'interazione dei fattori sociali (scientifici, economici, istituzionali, giuridiche, politiche, culturali) che favoriscono o ostacolano tali innovazioni (Klemmer et al., 1999; Huber, 2004; Weber and Hemmelskamp, 2005; Olsthoorn and Wieczorek, 2006); in quest’ottica, un sistema di governance decentralizzata che consenta la

(14)

14

partecipazione anche di attori non istituzionali può rappresentare un fattore di successo nella transizione verso modelli di economia ecologica (Monn e Sonnenfeld 2000; Rajkobal 2014).

In particolare, hanno acquisito rilevanza alcuni quadri che adottano visioni sistemiche sui processi di trasformazione dei sistemi socio-tecnici di vasta portata e sono: transition management (Kern e Smith 2008; Loorbach 2010; Rotmans et al, 2001), strategic niche management (Kemp et al. 1998; Raven e Geels 2010; Smith et al 2010), multi-level perspective on socio-technical

transition (Geels 2002; Geels e Schot 2007; Smith et al. 2010) e technological innovation system (Bergek et al. 2008; Jacobson e Johnson 2000; Hekkert et al.

2007).

Prima di passare ad analizzare tali approcci e di descrivere quello proposto per il presente lavoro di tesi, occorre introdurre, attraverso una revisione della letteratura, cosa si intende per transizione verso la sostenibilità, quali sono i principali concetti caratterizzanti e la loro origine.

Nell’analizzare la transizione verso la sostenibilità, in tutti gli approcci teorici che trattano il tema, uno dei concetti chiave è quello di sistema socio-tecnico: tali sistemi sono caratterizzati da:

- (reti di) attori (individui, aziende e loro organizzazioni, attori collettivi);

- istituzioni/regole di funzionamento (norme sociali e tecniche, regolamenti, standard di buone pratiche),

- artefatti/manufatti/oggetti materiali e conoscenza (Weber 2003; Geels 2004; Markard 2011;).

I diversi elementi del sistema interagiscono e insieme forniscono specifici servizi per la società: il concetto di sistema in sé sottolinea il fatto che i diversi elementi che lo compongono sono strettamente legati e dipendenti l’uno dall’altro, aspetto che ha implicazioni per le dinamiche del sistema stesso e, soprattutto, per le sue trasformazioni (Markard 2012).

Con il termine transizione si intende una serie di processi che portano ad uno spostamento fondamentale dei sistemi socio-tecnici (Kemp 1994; Geels e Schot 2010; Markard et al. 2011). Una transizione implica cambiamenti di ampia portata: tecnologici, materiali, organizzativi, istituzionali, politici,

(15)

15

economici e socio-culturali. Coinvolge un’ampia gamma di attori e necessita tipicamente di periodi relativamente lunghi per potersi realizzare; nel corso di ciascuna transizione emergono nuovi prodotti, nuovi servizi, nuovi modelli di business e nuovi modelli organizzativi che, in parte, sono complementari alle strutture esistenti ma in parte, invece, vanno completamente a sostituire le pre-esistenti (Geels 2002; Markard 2012).

Le transizioni socio-tecniche sono diverse da quelle tecnologiche poiché, oltre la dimensione tecnologica, implicano cambiamenti nelle regole, pratiche e strutture del contesto di riferimento. Inoltre, le transizioni socio-tecniche contengono innovazioni di carattere tecnologico e non tecnologico che sono complementari: ad esempio, nel passaggio al trasporto basato sulla tecnologia dell’automobile richiede uno sviluppo complementare di infrastrutture stradali, distribuzione di carburanti, regole per il traffico ecc.

In definitiva, le transizioni implicano cambiamenti nella complessiva configurazione dei sistemi (dei trasporti, energia, agro-alimentare) che, a loro volta, coinvolgono la sfera tecnologica, la politica, i mercati, le pratiche di consumo, le infrastrutture, i significati culturali e la conoscenza scientifica (Elzen et al. 2004; Geels 2004).

Le transizioni verso la sostenibilità sono processi di trasformazione di lungo termine e multi-dimensionali attraverso i quali si realizza lo spostamento del sistema socio-tecnico verso modelli di produzione e consumo più sostenibili. Le transizioni verso la sostenibilità hanno alcune caratteristiche peculiari che le distinguono da molte transizioni storiche, fra le quali il fatto che sono orientate al raggiungimento di un obiettivo di interesse per la collettività; proprio per questo, generalmente la politica e le strutture di governance assumono un ruolo determinante per la realizzazione (Smith et al. 2005).

Fra gli approcci sopra citati per analizzare la transizione per la sostenibilità, la

multi-level perspective on sustainability transition (MLP) sembra essere

l’approccio teorico più appropriato a contestualizzare il ruolo delle innovazioni nella transizione verso la sostenibilità.

(16)

16

Questo approccio, originariamente proposta da Rip e Kemp (1998), è stato applicato e sviluppato in modo più prominente da Geels (2002, 2004, 2005a, 2005b, 2006, 2010).

La MLP va oltre gli studi relativi alla singola tecnologia/innovazione tecnologica, in quanto concettualizza i modelli generali nelle transizioni socio – tecniche. Il quadro analitico combina concetti che provengono dall’economia evolutiva (traiettorie, regimi, nicchie, path-dependance, routines), dalla scienza e dagli studi sulle tecnologie (social network, innovazione come processo sociale) e dalla teoria della strutturazione e teoria neo-istituzionale: quest’ultima vede le regole e le istituzioni come strutture profonde sui quali gli attori della conoscenza esercitano la loro azione, cioè le strutture rappresentano sia il contesto che i risultati dell’azione. (Geels 2004; Geels e Schot 2007, 2010).

La MLP vede le transizioni come processi non lineari che risultano dalle interazioni che si sviluppano fra tre livelli analitici: le nicchie – che rappresentano il locus per le innovazioni radicali - i regimi socio – tecnici - i

loci delle pratiche prestabilite e delle regole ad esse associate che stabilizzano

il sistema esistente - e un esogeno “scenario” o landscape (Rip e Kemp 1998; Geels 2002, 2005).

(17)

17

Figura 1 – Modello della multilevel perspective on socio-technical transition (adattato da Brunori et al. 2012) icchia Novità Regime Nicchia Scenario

Ciascun livello si riferisce ad un’eterogenea configurazione di elementi: i livelli più “alti” sono più stabili rispetto ai livelli più “bassi” in termini di attori e grado di allineamento fra gli elementi.

Il “regime” è di primario interesse, poiché le transizioni sono caratterizzate da passaggi da un regime all’altro, mentre “nicchia” e “scenario” sono concetti derivati in quanto definiti in relazione al regime, rispettivamente pratiche o tecnologie che deviano in modo sostanziale dall’esistente regime e ambiente esterno che influenza le relazioni fra nicchie e regime.

Il regime socio tecnico rappresenta la struttura di un sistema socio-tecnico (Geels 2004) e consiste di una serie di regole che orientano e coordinano le attività dei gruppi sociali che riproducono i diversi elementi del sistema stesso. Le regole del regime presentano un dualismo strutturale (Giddens 1984): da un lato gli attori traducono le regole in azioni concrete, dall’altro le stesse regole configurano gli attori e la loro possibilità di agire. Esempi di regole di un regime socio tecnico sono le routine cognitive e le opinioni condivise, le

(18)

18

capacità e le competenze, gli stili di vita e le pratiche quotidiane, i regolamenti e gli assetti istituzionali e contratti.

Nei regimi, le innovazioni si realizzano in modo, detto, incrementale, ossia con piccoli adattamenti che si accumulano in traiettorie stabili; queste traiettorie si verificano non solo in ambito tecnologico, ma anche culturale politico, scientifico, di mercato e industriale.

Le nicchie sono uno spazio protetto dove si realizzano innovazioni radicali; gli attori delle nicchie lavorano su innovazioni che deviano dal regime esistente e ambiscono al fatto che le loro “novità” possano essere eventualmente implementate nelle strutture di regime o, persino, sostituirlo. Le nicchie sono cruciali per una transizione poiché rappresentano le prime basi per realizzare un cambiamento a livello di sistema.

Le nicchie si sviluppano attraverso tre processi chiave:

- l’articolazione di aspettative e visioni che orientano l’innovazione e attirano l’interesse anche di attori esterni;

- la costruzione di una rete sociale e il coinvolgimento di più attori;

- realizzazione di percorsi di apprendimento su più dimensioni (tecnica-tecnologica, infrastrutturale, organizzativa ecc)

Le nicchie possono, in questo senso, essere viste come Comunità di Pratiche (CoP) (Wenger 2000; Wenger et al. 2002): relazioni complesse, auto-organizzazione, confini dinamici, continua negoziazione di identità e cultura caratterizzano le CoP come sistemi di apprendimento sociale, al cui interno l’emergere dell’innovazione è determinato dall’interazione fra le strutture/gruppi sociali che ne fanno parte.

Lo scenario socio-tecnico (socio-technical landscape) è il contesto più ampio che influenza le dinamiche di nicchie e regime (Rip e Kemp, 1998) e rappresenta il sistema generale che sostiene la società, inclusi gli aspetti demografici, le ideologie politiche, i valori sociali e i trends macro-economici. Solitamente lo scenario cambia molto lentamente.

Sebbene ogni transizione abbia le proprie caratteristiche distintive, la dinamica generale è rappresentata dall’interazione fra processi ai diversi livelli: le innovazioni radicali o novità trovano slancio e sostegno e si consolidano a

(19)

19

livello di nicchia; dei cambiamenti a livello di scenario esercitano pressione sul regime; la destabilizzazione del regime crea finestre di opportunità per la diffusione delle innovazioni di nicchia.

Figura 2 – Strutturazione dei livelli analitici nella multilevel perspective (elaborazione da Geels 2002)

Una implicazione della MLP è che nulla nelle transizioni avviene con casualità: ci sono processi che si realizzano in più dimensioni e a diversi livelli che sono collegati e che si rinforzano reciprocamente.

La MLP è stata utile per concettualizzare diverse transizioni storiche in diversi settori che hanno coinvolto lo sviluppo di nuove tecnologie: il passaggio dalla carrozza all’automobile (Geels 2005b), l’evoluzione del sistema dei trasporti marittimi e su terra (Geels 2002; Van Driel e Schot 2005; Whitmarsh 2012), lo sviluppo dei sistemi fognari e di distribuzione di acqua potabile; è stata applicata trasversalmente a diversi settori, dall’aviazione, ai sistemi ferroviari ai sistemi di produzione industriale (Geels 2011).

In modo più approfondito, di seguito si sottolineano le più recenti applicazioni della MLP in relazione alla transizione verso la sostenibilità.

(20)

20

La MLP è stata utilizzata nell’ambito della produzione di biogas (Raven 2004), della produzione di cibo biologico e edilizia sostenibile (Smith 2007; O’Neill e Gibbs 2014; Ruhi-Sipahioǧlu 2013), della politica energetica nelle città (De Laurentis 2013; Rohracher e Späth 2014; Teschner e Paavola 2013), dei sistemi di gestione delle risorse idriche (Söderholm 2013), del benessere animale negli allevamenti (Elzen et al. 2011), del settore dell’energia elettrica (Verbong e Geels 2007, 2010; Tong e Yan 2013).

Altre recenti applicazioni hanno riguardato l’applicazione delle MLP nella valutazione delle politiche per l’innovazione (Kern 2012; Hildén 2014), nell’analisi dei cambiamenti nel sistema agro-alimentare (food system) (Hinrichs 2014) e dei processi di diffusione della tecnologia nel settore della pesca (Sinde-Cantorna et al. 2013).

La MLP è stata anche integrata con approfondimenti da altre teorie: Hargreaves et al. (2013) e Hinrichs (2014) hanno combinato la MLP e la teoria della “social practice” per analizzare, rispettivamente, le innovazioni per la sostenibilità e i cambiamenti nel sistema alimentare, evidenziando quei punti di intersezione fra le due teorie che possono potenzialmente facilitare la comprensione della transizione verso la sostenibilità. Inserendo approfondimenti dall’ecologia politica, Lawhon e Murphy (2012) analizzano il caso degli OGM nella produzione agricola evidenziandone le dinamiche sociali, spaziali e politiche; lo stesso Geels (2014) ha recentemente introdotto i concetti di politica e potere nella MLP nell’analizzare la transizione verso sistemi a basso impiego di carbonio e Grin (2010), basandosi sulle teorie delle scienze politiche, sviluppa il ruolo del potere all’interno della MLP.

Elzen et al. (2011) hanno coniugato la MLP con alcuni approfondimenti dalla teoria dei movimenti sociali per comprendere come le pressioni normative esterne possono influenzare i regimi esistenti; Geels e Varhees (2011), attingendo dalle teorie della sociologia culturale e dei movimenti sociali, sviluppano la dimensione culturale della MLP.

La MLP è stata anche oggetto di critiche di natura concettuale e sostanziale: nel paper “The multi-level perspective on sustainability transitions: responses

(21)

21

MLP e fornisce suggerimenti costruttivi per la ricerca futura sul tema. I punti critici sono stati messi in evidenza sin dai primi anni di lavoro sulla MLP e hanno riguardato prevalentemente aspetti di natura concettuale (agency, concetto di regime) e metodologici. Con gli studi e le ricerche successive alcune di queste critiche sono state superate e/o implementate nella teoria della MLP (Geels 2011) pertanto, di seguito, si riportano gli elementi di criticità evidenziati nel corso degli ultimi anni da diversi autori.

La MLP è stata ampiamente criticata per sottovalutare il ruolo dell’agency nelle transizioni. In particolare, Smith et al. (2005) sostengono che vada dedicata maggior attenzione al ruolo del potere e della politica nell’affrontare la governance delle transizioni (Geels 2014). Collegandosi a questo, Genus e Coles (2008) suggeriscono che la MLP dovrebbe incorporare approcci costruttivisti al fine di “mostrare attenzione agli attori e ad eventuali rappresentazioni alternative che altrimenti non verrebbero evidenziati”. Geels sottolinea invece che questi aspetti sono già contenuti nella MLP, poiché le traiettorie e le interazioni fra i diversi livelli (nicchia, regime, scenario) sono di fatto realizzate dai gruppo sociali; i diversi livelli strutturali stessi sono continuamente riprodotti e rappresentati dagli attori attraverso la realizzazione di attività concrete.

Altre critiche riguardano la caratterizzazione pratica dei diversi livelli, soprattutto per quanto riguarda quello di regime: in particolare, Berkhout et al. (2004) ritengono non chiaro come i tre livelli concettuali dovrebbero essere applicati da un punto di vista empirico, ponendo il problema di come tracciare i confini per l’analisi e, conseguentemente, definirne esattamente il soggetto. Questo tipo di critica è stato oggetto anche di lavori più recenti: si veda ad esempio Fuenfshilling e Truffer (2014), i quali sottolineano che le applicazioni empiriche tendono a rappresentare il regime come qualcosa di statico, “monolitico” ed “omogeneo”, non considerando in modo adeguato le tensioni istituzionali e le contraddizioni.

E’ stato anche sollevato (Markard e Truffer 2008) il fatto che talvolta il concetto di regime è riferito alle regole, mentre altre viene utilizzato come sinonimo di sistema, per cui sarebbe necessario un maggior rigore

(22)

22

nell’identificazione. Più recentemente Shove e Walker (2010) hanno evidenziato altri due punti critici riguardo il concetto di regime socio-tecnico; il primo è che l’aspetto sociale si riferisce alla modalità di realizzazione delle innovazioni come risultato di processi sociali e non ai cambiamenti nella pratiche e nelle routine degli attori coinvolti (Hargreaves et al. 2013); il secondo riguarda il fatto che la MLP è preziosa nell’aiutare a comprendere le dinamiche attraverso cui le innovazioni, realizzate all’interno delle nicchie, rompono le regole dei sistemi dominanti per formare nuovi regimi, ma è più debole nella caratterizzazione delle dinamiche della “normalità” (Shove 2012). Raven et al. (2012) e Coenen et al (2012) sottolineano l’assenza di una mancata analisi sistematica delle particolarità spaziali della transizione e propongono di introdurre la prospettiva spaziale nella MLP, proponendo la MLP “multi-scalare”.

Uno dei più recenti lavori pubblicati sul tema (Konefal et al. 2015) mette, infine, in evidenza il fatto che la MLP sotto-stima o non approfondisce il ruolo della governance nei processi di transizione per la sostenibilità.

Un’altra critica alla MLP consiste nel constatare la prevalente attenzione alle dinamiche tecniche e alla diffusione dell’innovazione più che ai processi sociali che ne determinano la realizzazione.

Il contributo di questo lavoro al dibattito scientifico riguarda l’applicazione della teoria della transizione e la MLP per analizzare il potenziale di cambiamento, a livello di sistema socio-tecnico, di reti (nicchie) innovative che operano nel campo delle produzioni animali, con particolare attenzione all’evoluzione delle relazioni fra gli attori e ai processi sociali che ne caratterizzano la costituzione, l’articolazione e la realizzazione in termini di risultati.

2.2 La teoria del Boundary Object

Il concetto di “oggetto di confine” o “boundary object” è stato introdotto nel 1989 da Susan L. Star e James R. Griesemer (Star e Griesemer 1989): in questo primo approccio al concetto, gli autori hanno rivisto la teoria

(23)

dell’actor-23

network nell’ambito di una prospettiva “ecologica” di azione collettiva e

innovazione. Questa teoria ha dimostrato il ruolo di ogni sorta di artefatto – metodi, classificazioni, concetti, rappresentazioni materiali – nella creazione, gestione e coordinamento della conoscenza da cui consegue la sua realizzazione (Trompette e Vink, 2009).

Il concetto ha avuto una grande diffusione, soprattutto nel campo della gestione della conoscenza, e ha aperto la strada a una “progenie concettuale” diffusa trasversalmente fra diverse discipline (sociologia, management, scienza dell’educazione, ingegneria, design ecc.) e che include i concetti di boundary

work, boundary spanning, boundary organisation (Trompette e Vink, 2009).

Star e Griesemer introducono il concetto di boundary object nell’ambito del coordinamento dell’attività di ricerca scientifica all’interno di un museo di storia naturale: lo scopo era di qualificare il processo attraverso cui attori appartenenti a diversi gruppi sociali che erano tenuti a cooperare e gestire i loro diversi punti di vista, come potessero creare un pensiero condiviso senza perdere la loro diversità connessa con il gruppo sociale di appartenenza. Nello specifico, i soggetti coinvolti hanno raggiunto un pensiero condiviso lavorando su oggetti.

Il boundary object è caratterizzato da diverse dimensioni: può essere astratto o concreto, generale o specifico, materiale o concettuale (un prodotto, uno strumento, un documento, un codice di pratiche ecc.); il boundary object assume significati differenti all’interno di diversi gruppi sociali ma tali significati sono sufficientemente strutturati per essere riconosciuti anche dagli altri. Gli attori in un determinato contesto, seppur appartenenti a mondi sociali diversi possono, grazie ai boundary objects, negoziare le loro differenze e accordarsi sui loro rispettivi punti di vista. Wenger (2000) identifica i boundary

object come quegli artefatti che rappresentano l’esperienza condivisa e attorno

ai quali si organizza la partecipazione nelle Comunità di Pratiche.

Nelle varie applicazioni, il concetto di boundary object generalmente si riferisce a ogni artefatto coinvolto nel coordinamento fra diversi attori o che è al confine fra due o più mondi sociali o sfere di attività. Handerson (1991, 1998) ha impiegato il concetto per lo studio antropologico delle attività di

(24)

24

design, analizzando quegli elementi che hanno facilitato la convergenza di diversi gruppi professionali coinvolti nel disegno di una turbina. Questi studi sono stati ampliati da Berg (1997, 1998) e hanno riguardato le pratiche lavorative in campo medico.

Il concetto di boundary object è stato anche utilizzato nel campo della pianificazione urbana (Aibar e Bijker 1997) e per analizzare i processi di costruzione sociale dei Sistemi Informativi Territoriali (SIT) (MacEachren 2001). Negli anni duemila, il concetto ha iniziato a trovare diffusione negli studi sull’innovazione, in particolare nell’analisi del ruolo delle comunità di pratiche nella gestione delle innovazioni (Swan et al. 2002) e, in seguito, sull’uso della conoscenza nella gestione delle innovazioni (Majchrzak et al. 2004).

L’applicazione della nozione di boundary object nel campo degli studi sull’innovazione ha continuato a trovare ampio consenso anche nella seconda metà degli anni duemila, soprattutto in campo medico (Prasad 2007; Swan et al. 2007) e architettonico – ingegneristico (Faulkner 2007; Dogson et al. 2007; Van Der Poel 2008).

Più recenti linee di ricerca, hanno utilizzato il concetto di boundary object per analizzare i fattori che influenzano l’apprendimento organizzativo per la sostenibilità (Fitzgerald 2012; Benn et al. 2013) e l’apprendimento e innovazione per la sostenibilità.

Moschitz et al. (2014) e Tisenkopfs et al. (2015) hanno evidenziato che nei LINSA i boundary objects sono diversificati: possono essere documenti politici, una specifica tecnologia, un metodo, pratiche, uno specifico prodotto, una specifica interpretazione di un concetto. Devono rappresentare uno specifico spazio per i membri dei network per negoziare i tre aspetti fondamentali dell’attività di rete: apprendimento, innovazione e sostenibilità (Tisenkopfs et al. 2015). Con specifico riferimento all’agricoltura sostenibile, i

boundary objects sono necessari per far convergere le diverse attitudini e

pratiche, così come per facilitare la negoziazione fra i soggetti appartenenti a diverse culture di conoscenza (ad esempio ricercatori e produttori).

(25)

25

Poiché il concetto di sostenibilità, così come quello di pratiche sostenibili, è soggetto a interpretazioni varie e fortemente contesto-dipendenti, ha bisogno di essere negoziato (Koutsouris 2008; Hermans et al. 2010): la stessa sostenibilità viene interpretata non come qualcosa di predefinito ma come un boundary

object attorno al quale gli attori interagiscono producendo innovazione.

Questa interpretazione del concetto di boundary object appare la più appropriata ad analizzare il potenziale di cambiamento e i fattori di successo di network attivi nel campo delle produzioni animali. Infatti, tali network rappresentano nicchie di innovazione che si configurano come Comunità di Pratiche: in questo quadro, i boundary objects costituiscono gli elementi di identità attorno ai quali i diversi attori progressivamente convergono e agiscono, accompagnano la crescita della rete facilitando la costruzione di nuove alleanze strategiche che possono rappresentare fattori di successo.

Nella sezione successiva viene definito il quadro concettuale di questa tesi, che prevede la combinazione della teoria della transizione e multilevel perspective con la teoria del boundary object.

2.3 Il quadro concettuale: combinazione fra la multilevel perspective on

sustainability transition e la teoria del boundary object

Nel definire il quadro concettuale di questa tesi, sono stati presi in esame quegli aspetti delle due teorie sopra esposte che possono avere degli elementi di complementarietà. Questo al fine di individuare uno strumento analitico che, valorizzando entrambi gli approcci, possa consentire di comprendere la transizione verso la sostenibilità nell’ambito dei network innovativi nel campo delle produzioni animali.

Le due teorie, MLP e del boundary object, si completano a vicenda e, combinate, contribuiscono ad una maggiore comprensione dei processi di transizione verso la sostenibilità, nello specifico del potenziale di cambiamento del sistema socio-tecnico di riferimento delle reti innovative. Se da un lato la MLP è funzionale ad analizzare e caratterizzare la diffusione delle innovazioni nei sistemi socio-tecnici, la teoria del boundary object aiuta a comprendere

(26)

26

l’articolazione dei processi sociali, la crescita e lo sviluppo delle relazioni e la costruzione delle alleanze che accompagnano e determinano l’innovazione per la transizione verso la sostenibilità, vista come cambiamento nel sistema socio-tecnico di riferimento.

La MLP descrive la formazione delle nicchie di innovazione attraverso l’articolazione di processi caratterizzati dal coinvolgimento di attori diversi all’interno di un sistema caratterizzato dalla condivisione e apprendimento sociale, così schematizzabili:

- costruzione di una rete sociale attraverso il coinvolgimento di più attori;

- articolazione di aspettative e visioni che orientano l’innovazione e attirano l’interesse anche di attori esterni;

- realizzazione di percorsi di apprendimento su più dimensioni (tecnica-tecnologica, infrastrutturale, organizzativa ecc) (Geels 2002).

Essendo caratterizzate da questi processi, le nicchie di innovazione si configurano, di fatto, come Comunità di Pratiche nelle quali le relazioni, l’impegno e gli obiettivi condivisi rappresentano gli elementi chiave per innovare per la sostenibilità.

Secondo Wenger (2000) le Comunità di Pratiche sono “gli elementi di base di un sistema di apprendimento sociale in quanto rappresentano il contenitore sociale delle competenze che costituiscono qualsiasi sistema”; attraverso la partecipazione in una comunità di pratiche gli attori negoziano e condividono quello che per loro rappresentano pratiche di sostenibilità. Il successo delle nicchie viste come comunità di apprendimento dipende dalla presenza fra gli attori di un senso di condivisione degli intenti, di impegno così come di regole condivise (Crossan et al. 1999; Wenger 2000).

All’interno di strutture sociali come le nicchie e le comunità di pratiche, il concetto di sostenibilità spesso si trova al confine fra la sfera ecologica, economica, ambientale e sociale; in questo senso, la “produzione” di boundary

objects può svolgere la funzione di connettore fra mondi; poiché sono

concordati e condivisi da diversi mondi sociali, sono utilizzati da questi in modo diverso ma la loro rappresentazione è comunque condivisa (Sapsed e Salter 2004).

(27)

27

All’interno delle nicchie i boundary objects, nella loro forma di artefatti, di concetti ecc., assumono un ruolo chiave nella definizione dell’identità, nella progressiva crescita della rete sociale e nella realizzazione dell’apprendimento sociale sulle diverse dimensioni. Inoltre, possono consentire ad attori/gruppi sociali che hanno ruoli diversi e differenti background di interagire e collaborare, così che i processi di integrazione di nuove conoscenze o pratiche di sostenibilità possano essere incoraggiate (Benn et al. 2013).

L’identificazione dei livelli analitici della MLP nelle reti studiate in questo lavoro unitamente all’analisi della creazione e utilizzo di boundary objects (prendendo in esame conoscenze coinvolte, le diverse priorità dei gruppi sociali nonché gli elementi di conflitto con il regime socio-tecnico di riferimento), forniscono un quadro analitico appropriato per rispondere alle domande che ci si è posti per lo svolgimento di questa ricerca.

(28)

28

3. Metodologia di ricerca

In questo capitolo viene descritta la metodologia utilizzata per la realizzazione di questa ricerca; viene descritto l’approccio generale e i metodi e gli strumenti ritenuti adeguati per l’analisi dei processi di cambiamento all’interno delle reti studiate. L’approccio che si è deciso di utilizzare è di natura trans-disciplinare, ritenendo opportuna la collaborazione con soggetti non appartenenti al contesto scientifico per l’identificazione e lo studio di questioni connesse alle pratiche agricole e zootecniche, nell’ottica di una transizione verso la sostenibilità. Nelle sezioni che seguono è descritto nello specifico l’approccio trans-disciplinare e la ricerca azione. Per quanto riguarda i metodi per l’esecuzione della ricerca viene introdotta la strategia del caso di studio e i diversi strumenti utilizzati per la raccolta dei dati, quali workshops, interviste e momenti di osservazione partecipata.

3.1 La metodologia transdisciplinare

Una ricerca che affronta i problemi complessi relativi alla questione della sostenibilità necessita di input che provengano da diverse comunità, per assicurare che sia resa disponibile e utilizzabile la conoscenza di tutti quegli attori che hanno un interesse attorno ad un medesimo problema o tema. Questo perché, affrontando temi complessi, con ripercussioni non solo in ambiente scientifico ma anche sociale, l’impegno collaborativo fra ricercatori e

stakeholders consente di incrementare la legittimità e la titolarità di un

determinato problema, così come delle soluzioni proposte (Lang et al. 2012). Questi sovra-esposti sono caratteristiche proprie della ricerca transdisciplinare. La trans-disciplinarità rappresenta un approccio alla ricerca che ha iniziato ad essere sperimentato nell’ambito delle scienze della sostenibilità, a partire da fine anni 90 (Kates et al. 2001; Clark e Dickinson 2003; Martens 2006; Jerneck et al. 2011; Wiek et al. 2011, 2012). Questo tipo di pratica ha, come

(29)

29

caratteristica fondamentale, quella di avere come focus la collaborazione fra scienziati di diverse discipline e stakeholders non accademici al fine di al fine di affrontare le sfide della sostenibilità e sviluppare possibili soluzioni (Kates et al. 2001). Secondo una definizione ampia, la “trans-disciplinarità è un principio scientifico riflessivo e integrativo orientato alla soluzione o alla transizione di problemi della società e, contemporaneamente, dei relativi quesiti scientifici, attraverso la differenziazione e l’integrazione di conoscenze provenienti sia da soggetti scientifici che dalla società stessa” (Bergmann 2011).

Tale definizione implica che la ricerca trans-disciplinare deve avere alcuni requisiti: i) deve essere focalizzata su problemi di rilevanza per la società; ii) deve favorire l’apprendimento condiviso fra ricercatori di discipline diverse così come fra gli attori non appartenenti al mondo scientifico; iii) deve essere finalizzata a creare una conoscenza orientata alla risoluzione di un problema e che sia trasferibile sia alle pratiche scientifiche che sociali.

Una delle caratteristiche della ricerca transdisciplinare più ampiamente riconosciuta è che viene realizzata con lo specifico intento di risolvere problemi di natura complessa e multi-dimensionale che coinvolgono sia sistemi ambientali che umani (Gibbons et al. 1994; Lawrence e Després 2004; Costanza 1990; Hammer e Söderqvist 2001). La ricerca transdisciplinare parte da un problema “esistente e attuale” più che da uno “concettuale”, in quanto le dimensioni teoriche e filosofiche non sono il punto di partenza per inquadrare il soggetto della ricerca. Piuttosto, i temi oggetto di una ricerca transdisciplinare sono inquadrati per come si manifestano nel “mondo reale”; focalizzando su problemi esistenti nella /per la società, l’obiettivo del ricercatore è di contribuire alla loro risoluzione. Il contributo della ricerca alla soluzione di questi problemi sarà fornire elementi pratici che possono essere applicati in un contesto sociale o ambientale e che porteranno un qualche grado di cambiamento in tali contesti (Wickson et al. 2006).

Lang et al. (2012) propongono un modello concettuale per la costruzione di un progetto di ricerca trans-disciplinare che prevede una sequenza di tre fasi: 1) inquadramento collettivo del problema e costruzione di un team di ricerca

(30)

30

collaborativo; 2) co-produzione di una conoscenza orientata alla soluzione e che sia trasferibile attraverso la ricerca collaborativa; 3) re-integrazione e applicazione della conoscenza prodotta sia in ambito scientifico che nelle pratiche sociali.

Figura 4 – Modello concettuale di un ideale processo di ricerca transdisciplinare (adattato da Lang et al. 2012; Bunders et al. 2010; Keil 2009; Bergmann et al. 2005)

Nonostante la rappresentazione lineare questo processo è, piuttosto, ciclico poiché prevede una continua riflessione in seno a ciascuna fase (Spangenberg 2011).

La prima fase prevede, in linea di massima, attività quali l’identificazione e la descrizione di un problema reale, la condivisione del progetto di ricerca e dei relativi obiettivi, la predisposizione di un metodo per l’integrazione delle conoscenze e la costruzione di un gruppo di ricerca collaborativo. Parte essenziale di questa prima fase è che il problema reale diventi un boundary

(31)

31

La seconda fase del processo è l’esecuzione vera e propria dell’attività di ricerca. Deve essere definito e applicato un metodo che faciliti l’integrazione delle diverse conoscenze e, per ciascun passo della ricerca, deve essere ben definito chi contribuisce a fare cosa e con che obiettivo.

L’ultima fase del processo prevede l’implementazione dei risultati della ricerca; proprio perché sono coinvolti diversi attori, valori e fonti di conoscenza, questa fase non si realizza solamente attraverso il trasferimento e la diffusione dei risultati dal mondo scientifico a quello degli “utilizzatori” (Talwar et al. 2011); piuttosto prevede una re-introduzione dei risultati della ricerca nelle pratiche sociali (ad esempio, attraverso l’implementazione di strategie generate durante la ricerca) e nella pratica scientifica (comparazione, incorporazione dei risultati in una corrente di letteratura, contributo al dibattito scientifico).

Oltre gli output tangibili, come la definizione di strategie di azione, il processo di ricerca transdisciplinare può produrre anche risultati meno tangibili, come la valorizzazione delle abilità degli attori coinvolti.

Ovviamente ogni fase del processo e, conseguentemente, il processo trans-disciplinare in sé, presenta delle criticità di applicazione.

Una delle principali sfide con cui questo tipo di approccio di ricerca si deve confrontare riguarda, in prima istanza, la definizione e la condivisione del problema di partenza, inclusa anche la sua percezione a livello di attori coinvolti: uno sbilanciamento riguardo al peso/rilevanza del problema fra gli attori coinvolti può determinare un diverso interesse per la sua risoluzione. Un’altra criticità riguarda la legittimità degli attori coinvolti nel processo, che rappresenta un importante criterio di qualità per la ricerca trans-disciplinare: gli attori selezionati dovrebbero essere rappresentativi di ciascuna tipologia coinvolta (ad esempio, amministrazioni locali, società civile ecc) e dovrebbero essere interessati direttamente dal problema oggetto del processo.

Correlato alla varietà e legittimità degli attori è anche la questione della continuità di coinvolgimento degli stessi; la partecipazione discontinua o il calo di interesse può dipendere da diversi fattori (mancanza di impegno civico,

(32)

32

impegni contingenti ecc) ma devono comunque essere limitati per garantire il successo del processo.

Un’altra importante criticità riguarda la valutazione della qualità della ricerca: la ricerca trans-disciplinare deve rispondere a precisi standard di qualità poiché applica metodi specifici (Wiek et al. 2012). Nonostante gli standard di qualità non siano così netti come lo sono in altri ambiti accademici, la questione della legittimità del processo di ricerca richiede particolare attenzione e necessita di ulteriori approfondimenti.

Considerati i punti di forza e le criticità di questo tipo di approccio, la metodologia transdisciplinare è stata ritenuta appropriata per lo svolgimento di questa ricerca: la questione della transizione per la sostenibilità e del potenziale di cambiamento delle reti innovative nel contesto in cui operano è un problema complesso che si ritiene rientri nel contesto delle tematiche di attenzione delle scienze della sostenibilità. Per analizzare tali processi si richiedono competenze diverse e l’integrazione di diversi tipi di conoscenza e di cultura, non solo scientifica ma anche locale, pratica e di comunità. Considerato questo tipo di approccio alla ricerca è stato predisposto il processo trans-disciplinare per la collaborazione con i due casi di studio, che sarà approfondito nel dettaglio nei paragrafi successivi.

3.2 La ricerca azione-partecipata

In letteratura, è ampiamente riconosciuto che non esiste una metodologia prescritta per la ricerca trans-disciplinare: gli autori concordano sul fatto che le metodologie utilizzate nella ricerca transdisciplinare hanno necessità di rispondere e riflettere il problema e il contesto analizzato (Bruce et al. 2004; Horlick-Jones et al. 2004; Ramadier 2004).

La metodologia di indagine utilizzata per il processo di ricerca di questo lavoro si basa sui principi della ricerca – azione partecipata (Home e Moschitz 2014) e ha previsto una continua interazione con gli attori delle reti studiate.

La caratteristica principale della ricerca-azione è la sua natura collaborativa, poiché anche stakeholders non scientifici (allevatori, agricoltori, agronomi

(33)

33

ecc.) sono stati coinvolti nella definizione degli obiettivi di ricerca e delle strategie, pur rimanendo all'interno del lavoro di una struttura di ricerca scientifica (O’Leary 2004).

La ricerca-azione partecipata è orientata a favorire l’instaurarsi di meccanismi che “mettono in moto azioni di lungo periodo, cicliche e di auto-correzione per mantenere e migliorare l’efficacia di un sistema, lasciando al sistema stesso strumenti pratici e utili per un auto-analisi e un auto-rinnovamento” (Johnson 1976).

La ricerca azione è stata sperimentata per la prima volta da Lewin (1958) ed è organizzata attorno a tre punti fondamentali: il problema, la parte interessata (stakeholder) e quale azione la parte interessata intende intraprendere per risolvere il problema; questo tipo di ricerca coinvolge lo stakeholder in un processo attivo di diagnosi, apprendimento, scoperta e risoluzione dei problemi. La filosofia che c’è dietro a questo approccio è che l’attore intermediario (il ricercatore) non svolge esclusivamente attività di raccolta dati e di restituzione allo stakeholder in forma, ad esempio, di raccomandazione scritta; i due soggetti collaborano all’identificazione del problema, allo studio di metodi per individuarne le reali cause e allo sviluppo di piani per affrontarlo in modo realistico (Bradford e Burke 2005) e riflettono, inoltre, collettivamente sui risultati.

Lo scopo nella ricerca azione è infatti di stabilire un progressivo meccanismo di riflessione per mantenere e valorizzare l’efficacia della rete studiata integrando tale sistema con metodi e strumenti per l’auto-diagnosi (Bradford e Burke 2005).

La ricerca azione partecipata si concentra più sui processi che sulla raccolta di dati ed è di per sé non appropriata quando lo scopo di una ricerca è quello di effettuare un’analisi comparativa; il metodo incoraggia la riflessione sui processi e sui risultati e ben si è adattato per valutare i cambiamenti messi in atto dalle reti studiate per questo lavoro.

Ekibor (2003) sottolinea però i limiti dell’analisi di impatto partecipativa, evidenziando che le relazioni esistenti nelle reti attive nell’ambito dell’agricoltura sostenibile e dello sviluppo rurale sono troppo complesse

(34)

34

affinché l’impatto di tali reti possa essere attribuito a dei singoli attori; piuttosto suggerisce di valutare l’efficacia delle reti studiandone l’organizzazione, le regole che si sono dati per generare informazioni, gli aspetti economici e di mercato (Ekibor 2003). Questi suggerimenti sono compatibili con l’approccio della ricerca azione partecipata, poiché lo studio dell’organizzazione di una rete è fondamentale per attivare un percorso di risoluzione dei problemi e di implementazione delle strategie di azione.

3.3 La strategia del caso di studio

Nell’ambito della ricerca nelle scienze sociali ed economiche, l’impiego di casi di studio è ampiamente riconosciuto come metodo qualitativo di ricerca (Starr 2012).

Il metodo dei casi studio comporta l'uso di un numero relativamente piccolo di realtà osservate (paesi, comunità, aziende o soggetti privati, a seconda dello scopo della ricerca) per condurre un'analisi approfondita di una determinata questione di interesse. Informazioni dettagliate sono raccolte per ogni singolo caso, spesso utilizzando più fonti.

In questo caso si è ritenuto strategico perché l’obiettivo è quello di studiare fenomeni socio-economici complessi nel loro contesto; il caso di studio e l’utilizzo di più fonti di dati risultano essenziali in situazioni reali, dove le condizioni non possono essere mantenute costanti, come ad esempio in un esperimento (Yin 1994). Il considerare più fonti di dati nonché la loro coerenza consente un maggiore approfondimento dei fenomeni studiati e contribuisce alla validità interna dei risultati della ricerca. Inoltre, l’impiego di casi di studio offre la possibilità al ricercatore di seguire un’unità di osservazione per un periodo di tempo relativamente lungo (Numagami 1998). Il caso di studio è anche utile per analizzare i cambiamenti in atto nelle reti, nonché di osservare le interazioni sociali e i punti di vista degli attori.

Nonostante l’utilità del caso di studio sia dimostrata in diversi ambiti della ricerca socio-economica (ad esempio, l’organizzazione industriale, l’implementazione di innovazioni), persistono ancora dubbi sulla sua validità:

Riferimenti

Documenti correlati

Sotto il profilo dei soggetti beneficiari, invece, si verifica di regola una fattispecie complessa, in cui tale veste può essere assunta da soggetti diversi, a seconda delle

Preparare pertanto solo le quantità che saranno utilizzate nel corso di 4-5 giorni (20°C). Tutte le tinte sono miscelabili tra loro. L’inchiostro Tampa® Pol TPY non deve essere

La documentazione richiesta al successivo paragrafo 4.1 (“Dichiarazione”) del presente invito deve essere prodotta relativamente a ciascuna impresa raggruppata. Ai sensi

Dopo 12-24 ore dall’applicazione dell’ultima mano di Mapegum WPS (a seconda delle condizioni ambientali) è possibile eseguire la posa di pavimenti o rivestimenti in ceramica,

- CBI12xx: 11 - 14,4 Vdc; 15,5 Vdc per NiCd (Senza batteria collegata, tensione d’uscita sul carico fissata a 12Vdc) - CBI24xx: 22 - 28,8 Vdc; 30 Vdc per NiCd (Senza batteri

La metodologia di ARR è parte di un framework più ampio per la valutazione degli impatti e dei rischi legati ai cambiamenti climatici nelle zone costiere a scala regionale (Torresan

116 “Linee Guida per il Programma Startup Lazio” - Memoria di Giunta dell’Assessore allo Sviluppo Economico e alle attività produttive - 10 dicembre 2013.. 107 idoneo a sostegno

[r]