DOTTORATO DI RICERCA
IN LINGUE, LETTERATURE E CULTURE COMPARATE
CICLO XXVII
COORDINATORE Prof.ssa Lucia Bruschi Borghese
L'opera di Orly Castel Bloom nell'ambito della narrativa
femminile moderna e contemporanea di Israele
Settore Scientifico-Disciplinare L-OR/08 EBRAICO
Dottoranda Tutore
Dott.ssa Luna Sarti Prof.ssa Ida Zatelli
A Jacopo e alla mia famiglia,
Jo, Giuliano e Elia.
Ringraziamenti
Questo lavoro non sarebbe esistito senza tutte le persone che negli anni mi
sono state accanto, credendo in me e nei miei sogni;
Alla mia famiglia, mia madre, mio padre, mio fratello Elia, per avermi
sempre ascoltato e sostenuto, senza remore.
A Jacopo, per aver creduto in me, condividendo anni rari e indimenticabili.
Alla mia amica Ester, per esserci stata sempre e per avermi fatto capire cosa
significhi essere madre.
Alla mia amica Claudia, che avrebbe voluto vedermi collega matematica e
ancora non si rassegna alla mia scelta umanistica.
Alla Prof.ssa Ida Zatelli, per avermi sempre spinto a fare cose che altrimenti
non avrei mai fatto, per paura.
A Father Nick e Nicholas, per avermi insegnato la speranza e la gioia di
saper contare quelle benedizioni che la vita ci concede, nonostante tutto. I will
always count my blessings!
A voi tutti, che contate tra le mie benedizioni,
ancora grazie.
INDICE
I
NTRODUZIONE E OBIETTIVI DEL LAVORO p.1C
APITOLOI.
D
ALLE ORIGINI AGLI ANNIO
TTANTA,
IL FIORIRE DELLA SCRITTURA FEMMINILE NELLA NARRATIVA ISRAELIANAI.1
Le donne nella storiografia israeliana
p.2I.2
La narrativa femminile in Israele durante il periodo dello
Yišuv (1882-1948)
I.2.1 Neḥama Pukhačewsky (1869 - 1934) I.2.2 Ḥemda Ben-Yehuda (1873 - 1951)
I.2.3 Devora Baron (1887 -1956)
p. 6
p. 32 p. 37 p. 44
I.3
Vento di cambiamento, dalla fondazione dello stato alla
guerra di Yom Kippur (1948-1973)
I.3.1 Amalia Kahana-Carmon (1926- )
I.3.2 Šulamit Hareven (1930-2003)
I.3.3 Šulamit Lapid (1834- )
p. 49 p. 61 p. 65 p. 70
I.4 Verso gli anni Ottanta: il successo della narrativa al
femminile nella letteratura israeliana
p. 74
C
APITOLOII.
LA NARRATIVA POST-
MODERNA IN ISRAELE E LA FIGURA DIO
RLYC
ASTEL-B
LOOMII.1 Introduzione alla post-modernità: strumenti di analisi
p. 77II.2 La scena israeliana: post-modernismo e post-sionismo
p. 85II.4 Orly Castel-Bloom: l’opera e l’autrice
p. 101II.3.3 Gli anni Novanta: dalla prosa breve al romanzo
II.4.2 Da Hekan ʼani nimṣe’et a Ha-sefer he-ḥadaš šel ’Orli
Qasṭel-Blum: tra post-modernismo e femminismo
II.4.3 La svolta realista
p. 102 p. 115 p. 129
C
APITOLOIII.
IL TEMA DEL MATERNO IN ORLY CASTEL-
BLOOM p. 147III.1 La questione della maternità: alcuni aspetti centrali
III.2 La critica e il tema del materno in Orly Castel-Bloom
III.3 Il rapporto madre-figlia in Doli siṭi e Ṭeqsṭil
p. 147 p. 154 p. 179 CONCLUSIONI p. 202
B
IBLIOGRAFIA p. 213 APPENDICE TESTUALE p. 2351
INTRODUZIONE E OBIETTIVI DEL LAVORO
Il presente lavoro intende analizzare l'opera di Orly Castel-Bloom sullo sfondo della letteratura israeliana femminile contemporanea.
Il ruolo del materno e della maternità nell'opera di Orly Castel-Bloom ha suscitato grande attenzione ed è stato oggetto di diverse analisi ed interpretazioni. Attraverso questo lavoro le varie posizioni ed osservazioni saranno riconsiderate alla luce di un’analisi testuale che assume come punto di partenza la lingua usata dalla scrittrice per denotare la sfera del materno. L'intento è dunque quello di riorganizzare in un unico volume le diverse linee interpretative seguite dalla critica, avvalorando o confutando ciascuna di esse sulla base dei dati che emergono dal testo stesso.
A questo scopo il presente lavoro è organizzato in quattro distinte sezioni: le prime due provvedono a delineare il quadro storico-letterario e a fornire una panoramica organica sui romanzi di Orly Castel-Bloom; la terza ripercorre l'atteggiamento della critica nei confronti della sua opera, soffermandosi in particolare sulla dibattuta questione della maternità e confrontando le osservazioni che emergono dall’analisi del testo con le interpretazioni date dalla critica, mentre la quarta ed ultima parte è dedicata alle conclusioni che tale analisi permette di trarre sull'intera opera dell’autrice e sul rapporto tra rappresentazione del femminile, femminismo e post-modernismo nei suoi romanzi.
Il lavoro è completato da un'appendice in cui viene raccolto ed organizzato il materiale testuale.
2
C
APITOLOI.
DALLE ORIGINI AGLI ANNI OTTANTA, IL FIORIRE DELLA SCRITTURA FEMMINILE NELLA NARRATIVA ISRAELIANAI.1
Le donne nella storiografia israeliana
Solo recentemente la storiografia ha cominciato a concentrarsi sull’analisi della produzione letteraria in prosa di mano femminile in ʼEreṣ Yiśraʼel durante gli anni antecedenti alla formazione dello stato (1882–1948)1. Ciò è avvenuto in larga misura sulla scia della rinnovata critica femminista che ha iniziato a svilupparsi in Israele e negli Stati Uniti a partire dagli anni Ottanta, contribuendo ad aprire il dibattito sull'esigua presenza di autrici nel canone della narrativa ebraica moderna, almeno fino alla fine degli anni Sessanta2. Da ormai quasi trent’anni, quindi, come conseguenza degli effetti del così detto
Second Wave Feminism3, la storia delle donne ha iniziato a cercare il proprio posto nel quadro storico generale dell’insediamento ebraico-sionista in ʼEreṣ Yiśraʼel. Gli studi storiografici sulle donne nel periodo dello Yišuv (1882-1948)4, che rappresenta il momento
In questo volume si è scelto di adottare, laddove esistano, i nomi d’uso che si sono ormai imposti nella stampa e nella critica occidentale per molti autori e studiosi, includa Orly Castel-Bloom, la cui corretta trascrizione sarebbe ’Orli Qasṭel Blum. Quando, invece, una forma d’uso non esista ancora, i nomi vengono trascritti in modo da facilitare future ricerche e approfondimenti sul tema.
1
In questo senso, importantissimo è stato il lavoro di Yaffa Berlovitz attraverso numerosi saggi presentati in bibliografia in cui si dimostra come fosse esistita un’intensa attività di scrittura femminile, pur non registrata dal canone e dalla storiografia fino ad anni recenti. I primi lavori che hanno rilevato come problematica la mancanza di opere in prosa femminili (Feldman 1988, 1990) avevano invece teso a ritenere che tale voce, non registrata dal canone, non avesse cercato espressione, se non in rari casi (Devora Baron, Amalia Kahana-Carmon) fino alla svolta tra gli anni Sessanta e Settanta, che aveva permesso l’emersione di numerose scrittrici fino al boom degli anni Ottanta.
2
Jewish Women in Pre-state Israel: Life, History, Politics, and Culture, pp. 1-2.
3
Second-wave feminism è una espressione che si riferisce a un preciso periodo dell’attivismo femminista iniziato negli anni Sessanta negli Stati Uniti e diffusosi attraverso il mondo occidentale e oltre. Negli Stati Uniti il movimento durò fino agli inizi degli anni Ottanta, diventando al contempo un movimento mondiale, particolarmente influente in Europa e con qualche anno di ritardo anche in aree orientali, come Turchia e Israele. Mentre il first-wave feminism si era concentrato principalmente sulla questione del suffragio universale, impegnandosi a risolvere ostacoli che impedivano un’uguaglianza legale (per esempio il diritto di voto e i diritti di proprietà), il second-wave feminism ha esteso il dibattito a un’ampia gamma di temi come la sessualità, la famiglia, il lavoro, concentrandosi sia su disuguaglianze culturali che disuguaglianze legali vere e proprie.
4
Il periodo viene individuato secondo le date del primo gruppo di insediamento ebraico proveniente dall’Europa, i cosiddetti “Biluim” (dalle iniziali del versetto del libro di Isaia 2:5, “Beit ya'aqov lekhu
we-nelkha”, “Casa di Giacobbe venite e camminiamo”) che si stabilirono a Gedera su 3300 dunum di terra
3
formativo di quella che sarebbe diventata la nuova società israeliana, sono iniziati all’interno di un progetto di revisione femminista nato dalla risoluzione di alcune studiose che aspiravano a conoscere ed illuminare la storia delle donne, una storia che era stata fino ad allora completamente oscurata nella narrativa storica ufficiale israeliana5. Le loro ricerche hanno contribuito a recuperare voci assenti e hanno riportato alla luce personalità femminili, riscoprendo il loro contributo alla formazione della nuova comunità non solo come madri e lavoratrici, ma anche come figure politiche, intellettuali e scrittrici.
La consapevolezza dell’oblìo della voce femminile ha assunto in Israele un significato molto più importante di quanto potrebbe esserlo in altri contesti sociali e culturali, dal momento che il principio dell'uguaglianza tra i sessi era stato considerato un elemento portante del pensiero dei padri fondatori6. L'energia con cui la polemica è esplosa negli anni Cinquanta, e che ha portato a formulare l'espressione “the equality bluff ”, può essere compreso solo in relazione alla forza con cui i pionieri avevano creduto nell'ethos sionista dei pari diritti7. I paradigmi della mitologia sionista, come la vita ed il lavoro comune nei qibbuṣim o nei mošavim8 ed in particolare il ruolo militare assunto dalle donne nella Guerra d'Indipendenza e l'introduzione del servizio militare femminile dopo il 1948, avevano contribuito a diffondere un'immagine di uguaglianza che la discussione messa in atto dalla storiografia femminista degli ultimi decenni ha dimostrato essere più un mitico
5
Debora BERNSTEIN, The Study of Women in Israeli Historiography: Starting Points, New Directions, and
Emerging Insights, p. 7.
6
Per una panoramica più dettagliata sulle modalità di esclusione delle donne dalla storiografia ufficiale si
veda, tra gli altri: Ḥanna HERZOG, ʼrgwny nšym— prq nškk b-hysṭwrywgrpyh šl h-yšwv (Associazioni
femminili: un capitolo dimenticato nella storiografia sullo Yišuv); Yossi BEN ARTZI, Have Gender
Studies Changed Our Attitude toward the Historiography of the Aliyah and Settlement Process?; oltre
all’articolo di Debora Bernstein citato sopra.
7
Per un’analisi dettagliata di vari temi relativi al femminismo nella società israeliana, in diversi contesti
oltre quello letterario, si veda appunto: Barbara SWIRSKI e P. Marilyn SAFIR, Calling the equality bluff:
women in Israel. L’espressione nasce con la pubblicazione di questo testo nell’ambito della frangia critica
americana e per questo è in inglese.
8
Diversi tipi di insediamenti rurali la cui differenza è determinata dal grado con cui terra e beni sono condivisi dalla comunità agricola (anche se la situazione attuale è ormai molto più variegata): nei
qibbuṣim era prevista una condivisione totale e non era consentita nessuna forma di proprietà privata; nei mošavim le fattorie e le case erano possedute individualmente, ma vi erano strutture e terre comuni
amministrate attraverso una somma pagata al wa‘ad (la commissione di governo del mošav); nelle
4
ideale che una verità fattuale9. Non solo, infatti, la realtà della vita nello Yišuv rifletteva una classica divisione delle mansioni tra uomini e donne, ma anche nel contesto militare le donne raramente hanno svolto compiti analoghi a quelli maschili. Ancora oggi nell’ambito del servizio militare a queste ultime sono per lo più assegnate mansioni di ufficio e raramente prendono parte ad azioni in prima linea10. Pur non mettendo in dubbio che vi siano state figure femminili importanti e riconosciute come tali già al tempo dello Yišuv, la revisione storiografica intrapresa dalla critica femminista ha contribuito a far prendere coscienza di come queste abbiano effettivamente rappresentato delle eccezioni di cui il discorso ideologico si è servito in quanto contribuivano a confermare e rafforzare l'ethos dei pari diritti, così importante per l’identità e la cultura nazionale. L'immagine della donna soldato come simbolo di una società egalitaria e unica ha conservato il suo impatto psicologico ed emotivo fino ai tardi anni Ottanta, come dimostra la famosissima fotografia della figlia di Moshe Shamir, Yael, in tenuta militare e armata di kalašnikov che fece il giro del mondo .
L’inclusione delle donne nel quadro ha finito col cambiare completamente la percezione degli anni dello Yišuv, facendo andare in pezzi la storia ufficiale della società israeliana, inclusa la sua componente letteraria, con suoi miti e valori11. Le prime ricerche, di carattere storico e sociale, hanno infatti dimostrato come le donne non avessero goduto di pari diritti al contrario di ciò che veniva di solito affermato. Da qui alla ridiscussione delle modalità di formazione del canone della letteratura ebraica moderna, il passo è stato breve. La storiografia femminista ha quindi dapprima contestato la realtà della parità negli anni dello Yišuv per poi concentrarsi sugli effetti che questa “falsa prospettiva” ha avuto
9
Yael FELDMAN, From ‘The Madwoman in the Attic” to “The Women’s Room: the American Roots of
Israeli Feminism, p. 267.
10
Per un breve, ma chiaro quadro si veda Savyon LIEBRECHT, Women in Israel: the Stated Truth and the
Hidden Truth, pp.146-148.
11
BERNSTEIN, The Study of Women in Israeli Historiography: Starting Points, New Directions, and
5
nel contesto letterario, con lo scopo di individuare le cause dell’assenza di una tradizione narrativa di mano femminile negli anni precedenti alla fondazione dello stato e fino agli inizi degli anni Settanta12. Il risultato di tali ricerche è confluito nella scoperta di un’intensa attività letteraria femminile che è fiorita senza lasciare traccia nella storia letteraria ufficiale. In questo quadro di rilettura della storia e di conseguente ridiscussione del canone, il dato che più ha acuito il desiderio di revisione della narrativa storico-letteraria ufficiale è stato il fatto che, nonostante potessero essere individuate alcune scrittrici di prosa, pochissimi apparissero essere stati i tentativi di cimentarsi con opere di più largo respiro ed in particolare con il genere del romanzo13. È stato dimostrato come anche questo dato non corrisponda del tutto alla realtà. Come si vedrà nel paragrafo successivo le donne dello Yišuv scrissero prosa, in forma breve e lunga, tuttavia essa non entrò nel canone della letteratura ebraica moderna e rimase “minoritaria14”. Parallelamente
al processo di revisione della formazione del canone che inizia ad essere definito “un canone di genere maschile”, verso la fine degli anni Ottanta, ha cominciato a diffondersi una nuova letteratura che analizza la femminilità vista come conseguenza della costruzione del concetto stesso di sessualità all’interno del contesto sociale contemporaneo. L’attenzione è quindi passata dalle donne al concetto di genere, e dalla storia delle donne ad un’analisi dei ruoli che la società impone a uomini e donne in quanto uomini e in quanto donne, prima che in quanto individui.
12
Il caso isolato di Devora Baron o alcuni romanzi scritti da affermate poetesse sono stati ragionevolmente considerati insufficienti a costituire una tradizione letteraria che attraversasse i quasi cinquanta anni del periodo dello Yišuv.
13
FELDMAN, No Room of Their Own, p. 3-4.
14
6
I.2
La narrativa femminile in Israele durante il periodo dello Yišuv
(1882-1948)
La prima antologia di letteratura dello Yišuv, mivḥar ha-sippur ha-ʼEreṣ Yiśraʼel, (Una selezione di letteratura dalla Terra di Israele), a cura di Rafael Patai e Ṣevi Velmut fu pubblicata solamente nel 1938. Nell'introduzione, Joseph Klausner, professore e critico di punta dell'epoca, nel tentativo di tracciare un panorama riassuntivo che illustri il corpus della prosa ebraica scritta in ʼEreṣ Yiśraʼel, ne analizza le qualità e le caratteristiche che la distinguono dalla prosa ebraica composta in diaspora, giungendo però ad interrogarsi sulle ragioni dell'esigua presenza della voce femminile nella raccolta15. Su trenta scrittori, solamente due furono le donne incluse dai curatori: Devora Baron (1887-1956) e Batya Kahana (1901-1979). Tuttavia, un’analisi più recente mostra come il quadro fosse molto più composito e si possono innanzitutto citare alcuni esempi, considerando semplicemente la prosa femminile pubblicata in forma di libro e tralasciando interventi pubblicati in ebraico su periodici, supplementi letterari o raccolte, sia nello Yišuv che in diaspora16: Bi-yehuda he-ḥadaša (Nella nuova Giudea, 1911) e Ba-kefar u-ba-‘avoda (Al villaggio e a lavoro, 1930) di Neḥama Pukhačewsky; Sippurim (Racconti, 1928) e Simṭa’ot (Vicoli,
1929) di Eliševa Bichovsky; Ḥayyim (Vita, 1929) di Dora Avrahamit; Pirpure mahapeka (Ondate di rivoluzione, 1930) di Rivka Alper (1902–1958); ‘Al saf ha-mavet (Sulla soglia
della morte, 1936) di Sara Gluzman (poi Gluzman-Gross, 1915–1988); Miriyyia (Maria,
1932) di Šošana Šababo (1910–1992); Mefisṭo (Mefisto, 1938) di Miryam Bernstein-Cohen; Meṣayefe ha-ḥayyim (I falsari della vita, 1937) di Miryam Ṭal; Li-šenatayyim:
roman bli ʼahava (Per due anni: romanzo senza amore) e Be-darke nekar (Su vie straniere,
1938) di Rokhl Fayenberg-Imri; Gimnazisṭit we-‘od sippurim (Una studentessa di ginnasio
15
Mivḥar ha-sippur ha-ʼEreṣ-Yiśraʼeli: ʼantologiyya šel ha-proza ha-ʼEreṣ- Yiśraʼelit he-ḥadaša, p. 5.
16
Per un’analisi dettagliata di scrittrici ed opere si vedano gli studi di Yaffa Berlovitz in bibliografia ed in
particolare il volume, L-hmṣyʼ ʼrṣ, l-hmṣʼ ʻm: tštywt sfrwt w-trbwt b-yṣyrh šl h-ʻlyyh h-ršnh (Inventare un
7
e altre storie, 1938) di Šulamit Klugai (1890–1972); Parparim (Farfalle, 1927), Bi-poreaḥ ‘eṣ ha-hadar (Quando fiorisce il cedro, 1931) e ‘Elbonot (Insulti, 1936) di Batya Kahana;
ed infine, ovviamente, Sippurim (Racconti, 1927) e Qetanot (Piccolezze, 1933) di Devora Baron. Anche un esame delle liste di pionieri incluse nel Sefer ha-yovel Zikron Ya’aqov (Il
libro per il Giubileo di Zikron Ya’aqov, 1943), per esempio, non rivela nemmeno un nome
di donna, e lo stesso vale anche per le liste di fondatori, di caduti, di emigrati. In altre parole, ricorrendo a questi elenchi, si potrebbe pensare che le donne non avessero partecipato alla fondazione ed alla costruzione di Zikron Ya’aqov. Analoghi sono altri volumi di questo tipo o molti documenti, tra cui certificati, lettere, protocolli e simili17.
Anche la storia della letteratura ebraica moderna è caratterizzata dalla scomparsa di un’ampia parte del contributo femminile. Come hanno dimostrato per esempio le ricerche di Yaffa Berlovitz, il presupposto iniziale secondo cui la prosa femminile sarebbe emersa come un fenomeno vivace e significativo solamente durante gli anni Settanta, in conseguenza dei cambiamenti socio-politici intervenuti tra gli anni Cinquanta e Sessanta, si è rivelato essere un falso di prospettiva, nel senso che una letteratura era nata già durante gli anni dello Yišuv ma era rimasta fuori dal canone18. Yael Feldman nel suo studio pionieristico sulla narrativa femminile No Room of Their Own afferma che per centocinquanta anni la prosa ebraica era stata dominio esclusivo degli uomini, mentre le donne avevano trovato espressione in poesia19. Effettivamente, è oramai accertato che i tentativi di prosa furono ignorati, mentre la poesia fu un ambito in cui l’attività letteraria femminile poteva essere ben accolta, soprattutto in forme liriche, poiché esse sono tradizionalmente considerate consone all’espressione di sentimenti e di intimità e quindi confermavano fondamentali aspettative di genere, secondo cui la sfera pubblica, politica e
17
Si veda a questo proposito il volume Pioneers and Homemakers: Jewish Women in Pre-State Israel curato da Debora S. Bernstein.
18
Si vedano i testi in bibliografia.
19
8
razionale compete agli uomini mentre quella privata, emotiva e irrazionale alle donne20. Quando, nel 1897, ’Eli’ezer Ben-Yehuda, propagatore dell'ebraico parlato, invitò le donne a partecipare alla riattivazione della lingua ebraica attraverso la loro attività su vari periodici, spiegò anche come solo le donne sarebbero state “capaci di rivitalizzare l'ebraico”, una lingua “vecchia, dimenticata e asciutta” grazie alla loro capacità di “permearlo con emozioni, tenerezza, pienezza e finezza21”.
La critica contemporanea ha visto in questo invito la manifestazione di un pensiero che avrebbe dominato il campo letterario per un’altra metà di secolo, secondo cui alle donne spettava solo un’espressione emotiva che era accettata in forma poetica, ma che difficilmente poteva trovare spazio nei generi a cui si affidavano le strutture filosofiche e ideologiche alla base della narrativa sionista22. Il romanzo canonico, quindi, rimase prerogativa maschile e servì a creare e diffondere i valori fondamentali dell’impresa sionista, mentre i punti di vista divergenti venivano respinti23. In questo senso dunque la critica femminista ha teso ad interpretare il corpus poetico femminile come uno spazio letterario concesso nei limiti del canone in quanto contribuiva a riempire specifici spazi non soddisfatti dalla scrittura maschile a cui venivano affidate le aspettative di tipo ideologico e nazionale, senza che queste ultime ne venissero messe in discussione contrariamente a quanto avveniva in opere di prosa24. Inoltre, i pochi romanzi pubblicati da donne e riconosciuti dalla critica prima della fondazione dello stato furono scritti da Lea Goldberg e ’Eliševa Bikhovski. Si trattò di un’eccezione concessa alle due poetesse in ragione della loro popolarità, ma entrambe le opere non ottennero alcun plauso al tempo della loro pubblicazione. È ormai innegabile, quindi, che l’attività letteraria femminile sia
20
Introduction in Gender and Text in Modern Hebrew and Yiddish Literature, p. 11.
21
Ḥemda BEN-YEHUDA, Ben-Yehuda, ḥyw w-mf‘lw (Ben-Yehuda, la sua vita e la sua opera), p.118. Citato
anche da Yaffa BERLOVITZ, The Literature of the Early Pioneer Women.
22
Rochelle FURSTENBERG, Dreaming of Flying, p. 5; questa idea è alla base del lavoro di Yael Feldman,
No Room of Their Own.
23
Alan MINTZ, Fracturing the Zionist Narrative, p. 408-410.
24
9
stata a lungo considerata marginale, soprattutto nell'ambito della narrativa25. Ancora nel 1977 quando Gershon Shaked pubblicò il primo volume della sua opera Ha-sipporet
ha-‘ivrit, 1880–1980 (La narrativa ebraica, 1880-1980) ripercorrendo un secolo di narrativa
ebraica moderna, decise di includere solamente Devora Baron come autrice di prosa nel panorama della letteratura pre-statale26. Lo studioso colloca Devora Baron tra gli scrittori del realismo psicologico sottolineandone “la ridotta varietà dei temi” e le similitudini tra l'esperienza personale e la produzione letteraria che “essenzialmente rappresentano un riflesso realistico della vita delle comunità ebraiche in Lituania27”. Tuttavia egli le riconobbe, in edizioni successive, il merito di poter essere considerata come la prima scrittrice femminista della letteratura ebraica28 e Devora Baron ne è ormai considerata la madre fondatrice. La revisione storica intrapresa dalle critica femminista ha portato infatti a un significativo cambio di prospettiva sui lavori di scrittrici antecedenti il boom della letteratura femminile negli anni Ottanta29.
Nonostante le difficoltà, nel momento stesso in cui, con il processo di acculturazione a cui poterono accedere le donne ebree all’inizio del diciannovesimo secolo in Europa orientale, venne data loro l’opportunità di inserirsi in una cornice educativa di un tipo o di un altro (fosse un tutore privato o la frequenza presso strutture scolastiche), sorse nelle donne un desiderio di esprimersi attraverso la scrittura30. Ma il processo creativo, come ha affermato Sartre31, dipende dal pubblico, e dal momento che, nonostante le rivendicazioni di liberalismo, già a partire dal periodo dell’Haśkala, l’illuminismo
25
Lily RATTOK, Introduction, in Ribcage, pp. xvi-xvii.
26
Quando apparve il primo volume della storiografia di Gershon Shaked, H-sprt h-‘bryt, 1880–1980 (La
narrativa ebraica, 1880-1980), molti affermarono che si trattava di una biografia della comunità letteraria
maschile.
27
Gershon SHAKED, H-sprt h-‘bryt, 1880–1980 (La narrativa ebraica, 1880-1980), p. 453.
28
SHAKED, Modern Hebrew Fiction, p. 60.
29
Esther FUCHS, The Evolution of Critical Paradigms in Israeli Feminist Scholarship: a Theoretical
Model, p. 198.
30
Per una breve introduzione al ruolo delle donne nel movimento dell’Haśkala si veda per esempio Tova
COHEN, Portrait of the Maskilah as a Young Woman.
31
10
ebraico, la società ebraica aveva respinto le donne scrittrici, arrivando anche a definirle, come successe ad esempio a Raḥel Morpurgo e Sara Feiga Meinkin Foner, una sorta di ibrido tra il divertente e il bizzarro, esse venivano costrette al silenzio attraverso una pressione psicologica che le portava a volte persino a bruciare le proprie opere32.
Questo tipo di atteggiamento iniziò a modificarsi con l’arrivo delle donne in ʼEreṣ
Yiśraʼel. Già durante la prima ‘aliyya (1882–1904), si possono identificare scrittrici che
non solo non si tenevano in disparte, come Neḥama Pukhačewsky, ma che eventualmente divennero guida e portavoce della rinascita nazionale, come Ḥemda Ben-Yehuda. Per queste scrittrici, quindi, il rinnovamento nazionale in terra di Israele rappresentò una possibilità di rivitalizzare sia il mondo sia la letteratura femminile. Certamente, anche in
ʼEreṣ Yiśraʼel come in diaspora, furono circondate da un ambiente maschile per lo più
ostile, sia di matrice conservatrice (in particolare tra i sostenitori del sionismo religioso) sia di matrice progressista (principalmente tra i sostenitori del movimento operaio). Tuttavia non si arresero e non scelsero il silenzio: al contrario, l’anelito al risorgimento delle donne si nutrì dello spirito di rinascita nazionale e letteraria, rafforzandosi. Ciò si riflette anche in dimensioni pratiche e in contesti più generici di quello letterario, come dimostra la prolificazione di organizzazioni e comitati che nacquero nello Yišuv e che promuovevano l’attività letteraria femminile33.
Senza dubbio, per le donne che passarono dalla diaspora alla nuova patria in ʼEreṣ
Yiśraʼel, questa esperienza rappresentò una forma di transizione da assenza a presenza, da
silenzio a voce propria. Tuttavia, anche se la figura della donna scrittrice non trovava incoraggiamento e veniva lasciata ai margini della scena letteraria e sociale, nondimeno essa insisteva nel dedicarsi alla propria opera di scrittura. È possibile, quindi, rintracciare le origini della prosa femminile agli inizi della rinascita ebraica in ʼEreṣ Yiśraʼel durante la
32
Shmuel FEINER, The Modern Jewish Woman: Test Case in Attitudes of the Modern Haskalah, p. 120.
33
BERLOVITZ, L-hmṣyʼ ʼrṣ, l-hmṣʼ ʻm: tštywt sfrwt w-trbwt b-yṣyrh šl h-ʻlyyh h-ršnh (Inventare un paese,
11
prima e la seconda ʻaliyya, quando si potevano individuare pochissime autrici di prosa, attraverso gli anni Trenta e Quaranta quando il numero salì a diverse dozzine, senza considerare le numerose scrittrici di libri per bambini (come Bella Baram, Malka Fiškin, Šošana Appelbaum) e alcune drammaturghe (come Yona Rigai e Miryam Bernstein Cohen), ed ovviamente le poetesse (come Raḥel Bluvstein, ’Eliševa Bichowsky, ’Ester Ra’ab, Lea Goldberg, Yoḥeved Bat-Miryam)34. Questi generi erano infatti considerati minori e quindi l’attività femminile in questi contesti era tollerata e spesso ben accolta35
. C’erano inoltre molte donne che scrivevano in generi non considerati letterari in senso stretto, ma che comunque con la loro attività aiutarono ad arricchire la discussione e lo studio di materiale tra il documentario ed il letterario, sia attraverso opere di saggistica che biografie e critica letteraria36.
Il quadro che emerge dimostra quindi l’esistenza di una comunità attiva e vibrante di donne che discutevano, analizzavano, leggevano e soprattutto scrivevano. Esse impiegarono ogni mezzo letterario, ad ogni livello, nel tentativo di strutturare un mondo creativo indipendente – un mondo in cui poter definire il proprio spazio narrativo, secondo criteri formali e contenuti propri, attraverso i propri personaggi e la riflessione sui loro comportamenti e le loro percezioni. Nella narrativa di quel periodo, le donne cercarono di visualizzare la loro ʼEreṣ Yiśraʼel, da una prospettiva che non fosse solo strettamente legata all’esperienza personale ma che si facesse portavoce di un intero cosmo minoritario, mettendo in luce una molteplicità di voci silenziose e represse, incapaci di esprimere la propria lotta come donne, intellettuali, mogli e madri37. Nelle opere di Neḥama Pukhačewsky prende vita la comunità delle donne yemenite di Rišon Le-Ṣiyyon; mentre Ḥemda Ben-Yehuda si concentra sia sulle donne ultra-ortodosse aškenazite sia sulle loro
34
BERLOVITZ, Spry nšym (Racconti di donne), p. 123.
35 RATTOK, Introduction in The Other Voice, p. xxii.
36
Un quadro dettagliato si trova nel volume BERLOVITZ, Sprwt h-‘lyyh h-r’šwnh k-sprwt mityšbym
r’šwnym (La letteratura della prima ‘aliyya come letteratura dei primi coloni).
37
12
sorelle sefardite, nella zona vecchia e nuova di Gerusalemme38. Sara Gluzman, invece, ci racconta la storia delle donne affamate e disoccupate nell’elegante “città bianca” di Tel Aviv, mentre Emma Levine Talmi ci conduce nell’intimità delle donne pioniere nelle brigate operaie della terza ʻaliyya, impiegate nel devastante lavoro di bonifica e pavimentazione delle strade tra Haifa e Nahalal. Šošana Šababo si spinge ancora oltre, dando voce non solo alla comunità sefardita di Safed ma anche alle donne arabe della città di Haifa e del villaggio di Furaydis. Degne di nota sono anche le figure femminili nel lavoro di Penina Kaspi, che rappresenta sia la donna religiosa che la bracciante e il membro del mošav. Ruḥama Ḥazanov ci offre una panoramica su due generazioni di coltivatrici a Gedera, mentre Batya Kahana descrive un ventaglio di esperienze femminili che si estende dalla donna artista alla donna partigiana delle forze clandestine della
Hagana39, dalla sarta indigente alla casalinga benestante ed annoiata40.
La ricchezza di figure descritte in questa prosa e la moltitudine di voci che vi trovano espressione non ha eguali nella prosa contemporanea maschile dello Yišuv, che tendeva piuttosto alla stereotipizzazione dei personaggi femminili41. Significativamente, quindi, la scrittura femminile esprimeva anche una reazione al modo, spesso semplicistico se non addirittura retorico, in cui la figura femminile veniva rappresentata nei romanzi del periodo. La crescente predominanza durante il primo trentennio del ventesimo secolo della figura letteraria del sabra42, il giovane nativo combattente, implicitamente portava a trascurare l'espressione di voci “altre” indipendentemente da questioni di genere. Come è stato ampiamente analizzato da Esther Fuchs nel testo Israeli Mythogynies, la figura
38
Il loro contributo sarà analizzato più in dettaglio in calce a questa panoramica storico-letteraria sul periodo dello Yišuv.
39
L'organizzazione paramilitare ebraica attiva in Palestina durante il Mandato britannico dal 1920 al 1948 e poi divenuta il nucleo delle forze militari israeliane dopo la fondazione dello stato.
40
Per una panoramica completa e più dettagliata su tutte queste scrittrici si veda BERLOVITZ, H-ʼyšh
b-sfrwt h-nšym šl h-ʻlyyh h-ršnh (La donna nella letteratura della prima ‘aliyya).
41
FUCHS, The Enemy as Woman: Fictional Women in the Literature of the Palmach, p.213.
42
Si è scelto di usare il termine “sabra” divenuto d’uso nell’ambito critico occidentale, anche se la corretta trascrizione del termine dall’ebraico sarebbe ṣabbar, pianta tipica dell’ambiente desertico israeliano.
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femminile viene inclusa nella cornice narrativa sionista e meta-sionista principalmente secondo due funzioni fondamentali: da un lato essa rappresenta il focolare domestico a cui il sabra deve rinunciare per la difesa della terra e della patria; dall'altro la donna emerge con la sua potenzialità sessuale come la più forte tra le tentazioni che possono portare al fallimento militare in quanto causa di una minore concentrazione e di una ridotta dedizione43. La donna viene quindi generalmente rappresentata, ricorrendo alla terminologia della corrente femminista della scuola francese-lacaniana, come “altro dal
sabra” ed emerge come un anti-eroe della narrativa meta-sionista, sia essa il fulcro di un
amore domestico o quello di un amore carnale.
Secondo Shaked, la letteratura dello Yišuv, ed in particolare la narrativa, era dominata dalla tensione tra l'attesa di un nuovo destino ebraico scaturito dall'impresa sionista e la preoccupazione del suo fallimento44. Proprio questa ansia che tale cambiamento potesse non realizzarsi determinava la necessità di eludere narrazioni e soggettività estranee a quelle dinamiche culturali e sociali che erano fondamentali per la sopravvivenza dello Yišuv e per la possibilità di un nuovo stato ebraico. La figura femminile, non potendo rispondere pienamente alle caratteristiche necessarie all'immaginario del sabra, finiva con l'essere polarizzata secondo le caratteristiche a cui si è brevemente accennato sopra. Conseguentemente, le opere e le figure letterarie che rischiavano di mettere in discussione i nodi fondamentali della nuova identità ebraica in terra di Israele così come si erano configurati nel discorso culturale egemone del periodo venivano marginalizzate45.
La critica femminista degli ultimi anni ha contribuito ad individuare le contraddizioni tra il messaggio paritario46 contenuto nelle istanze della teoria sionista e
43
Introduction in FUCHS, Israeli Mythogynies.
44
SHAKED, Modern Hebrew Fiction, pp. 20-23.
45
Michael GLUZMAN, The Exclusion of Women from Hebrew Literary History, pp. 259-261.
46
14
l’esclusione della voce femminile dai resoconti storici, letterari o generalmente culturali. Tuttavia si potrebbe anche rilevare come la rappresentazione dell'uomo ebraico secondo i criteri della figura del sabra non abbia certamente fatto giustizia ad una larga parte della popolazione ebraica in ʼEreṣ Yiśraʼel durante gli anni antecedenti alla fondazione dello stato. Persino un autore come Yosef Agnon è stato sottovalutato per molti anni poiché non rispettava i crismi di quella che è stata definita “trama sionista” e che si è più tardi trasformata nella storia letteraria recente nella cosiddetta “trama meta-sionista47”. Tuttavia questi autori “contro la figura del sabra” hanno comunque trovato più spazio e più ascolto di molte autrici dell'epoca e certamente più di quanto sia accaduto a quelle scrittrici che abbiano scelto di dedicarsi a generi che, secondo il programma culturale sionista, non si addicevano alla mano femminile48.
Le scrittrici dell’epoca antecedente alla fondazione dello stato, da sole o in gruppo, non smisero di far sentire la propria voce servendosi innanzitutto di varie riviste che erano però per sole donne e che fecero la loro comparsa negli anni Venti, sponsorizzate da organizzazioni allineate sia col movimento operaio che con il settore civile della società. Queste pubblicazioni erano principalmente incentrate su questioni di tipo sociale (il ruolo delle donne nella comunità dello Yišuv ed il miglioramento delle loro condizioni), ma davano anche spazio a sezioni dedicate alla letteratura, alle arti e alla critica, creando una piattaforma per la scrittura al femminile in grado anche di incoraggiare l’esordio di nuove autrici. Per capire la situazione delle donne nello Yišuv è necessario a questo punto tracciare un breve quadro della struttura settoriale ed ideologica di quegli anni. Esistevano, infatti, due ambiti principali dal punto di vista sociale e politico: da un lato la classe operaia e dall’altro la componente “civile” (termine qui usato nel senso generale di
pionieri, in quanto rappresentava un elemento fondamentale all'interno dell'ideologia socialista-marxista che aveva costituito una delle componenti fondamentali dell'impresa sionista.
47
SHAKED, Modern Hebrew Fiction, p. 95.
48
Sulle similitudini tra la marginalizzazione di Agnon e della prosa femminile si veda per esempio Marc
15
pubblico non-operaio). Il settore sionista-socialista includeva il movimento operaio con i suoi diversi sottogruppi - moderati, attivisti e radicali - mentre il settore civile rifletteva l’intera gamma del credo sionista, con l’esclusione della corrente socialista e con i suoi diversi gradi di democraticità: la destra moderata, i progressisti, l’estrema destra e gli inaffiliati49. Oltre a questi c’era anche il gruppo del cosiddetto sionismo religioso, che pure produsse scrittrici proprie come Malka Šapira e Penina Kaspi. Nonostante costituisse un corpo a parte, quest’ultimo settore era diviso secondo due orientamenti ideologici divergenti: da un lato un blocco simpatizzante con il settore civile dello Yišuv (che contava tra le sue fila anche esponenti religiosi ortodossi dal punto di vista dell’osservanza religiosa) e dall’altro un blocco che invece sosteneva il movimento operaio (Ha-Po’el
ha-Miṣraḥi). Lo stesso tipo di spaccatura si poteva ritrovare anche nella comunità ebraica
sefardita. Šošana Šababo, di famiglia sefardita di Safed e cresciuta nella mošavà di Zikhron Ya’akov, apparteneva al blocco civile e pubblicò nei suoi organi di stampa; altre giovani scrittrici di origine yemenita, come Sara Levi-Tanai e Yona Wahab, pubblicarono invece i loro primi racconti su Devar ha-po‘elet (“Comandamento della lavoratrice”) e furono quindi affiliate al blocco operaio50.
Di particolare rilievo in questo senso furono anche alcuni editori che offrirono la possibilità di pubblicare anche ad alcune scrittrici. La casa editrice Miṣpe (“Osservatorio”), sotto la direzione di ’Ašer Baraš rappresentò per esempio una piattaforma fondamentale per la pubblicazione e la diffusione della prosa di mano femminile, coerentemente con la sua dichiarata politica che prevedeva l’incoraggiamento di giovani artisti, fossero essi uomini o donne. Effettivamente, i lavori di Rivka Alper, Šošana Šababo, Batya Kahana, Miryam Bernstein-Cohen, Miryam Ṭal e di tante altre scrittrici sono stati curati e
49
Per un’analisi dettagliata delle divisioni ideologiche nello Yišuv si veda, per esempio, Colin SHINDLER, A
history of Modern Israel, pp. 18-37.
50
Per un quadro completo si veda BERLOVITZ, H-ʼyšh b-sfrwt h-nšym šl h-ʻlyyh h-ršnh (La donna nella
16
pubblicati da lui. Da sottolineare anche che un cospicuo numero di autori di punta seguì la linea di Baraš, deviando dal consenso generale e prendendo giovani autrici sotto la propria protezione. Le opere di Šošana Šerira, per esempio, furono spesso pubblicate da Yiṣḥak Lamdan nella sua rivista, Gilyonot (“Fogli di carta”). Un altro esempio significativo è rappresentato dal poeta e scrittore ’Avigdor Hame’iri, che si prese cura della pubblicazione delle opere di Miryam Ṭal. Hame’iri, uno degli scrittori di punta della generazione degli anni Trenta, non solo aiutò la giovane autrice a pubblicare il suo primo volume, Mezayefe
ha-ḥayyim (I falsari della vita, 1937), ma ne scrisse anche l’introduzione, una sorta di
“recensione anticipata”, in cui raccomandava caldamente il romanzo e ne descriveva le caratteristiche che lo rendevano speciale e innovativo: lo definiva “genuino, candido e tragico.” Inoltre, sottolineava l’importanza del fatto che il lavoro fosse di mano femminile e dava il benvenuto alla scrittrice come una di quei giovani “rinforzi” che potevano portare nuova vita ad una vecchia letteratura51. Nonostante tutto, le posizioni come quelle di Baraš e Hame’iri rimasero minoritarie e la maggior parte dei critici e degli editori ignorò i tentativi di esordio di queste giovani scrittrici. Si potrebbe pensare che tali fossero le condizioni a cui doveva sottostare una letteratura che era minore non in quanto scritta da una minorità politica, ma in quanto dotata di una qualità letteraria minore52. Tuttavia fa riflettere che un destino simile subirono anche personalità destinate in seguito a divenire voci portanti e acclamate della letteratura femminile israeliana come Amalia Kahana-Carmon che ha pubblicato sotto la protezione di Klausner fino a quando, negli anni Cinquanta, i cambiamenti nella società israeliana hanno iniziato a lasciare spazio anche a voci fino ad allora marginalizzate, tra cui quella femminile53.
La prima rivista femminile, Ha-ʼiša (“La Donna”), curata da Ḥanna Helena Thon,
51
’Avigdor HAME’IRI, in Miryam ṬAL, Mezayefe ha-ḥayyim, p. 10.
52
Un atteggiamento ancora influente anche su critici “illuminati’, si veda per esempio Gluzman su Dan
Miron in GLUZMAN, The Exclusion of Women from Hebrew Literary History pp. 265-267.
53
BERLOVITZ, B-ḥypwś ’ḥr Dywqn h-“’rṣ yśr’lyt” b-Sfrwt h-nšym b-tqwft h-yšwv (In cerca di un ritratto
17
fu pubblicata a Gerusalemme dal 1926 al 1929. Sponsorizzata da Ḥadassa - Società delle
Donne Sioniste d’America e da Histadrut Našim ‘Ivriot (“Unione delle Donne Ebraiche”,
fondata nel 1920), fu l’organo di stampa del blocco civile. A causa della sua breve esistenza, la rivista non riuscì ad affermarsi come un’entità letteraria autonoma, ma diffuse alcuni fondamentali questioni quali l’importanza di sostenere il movimento suffragista, e pubblicò autrici sia di destra che di sinistra, quali Raḥel Bluvstein (nota come Raḥel) dal settore operaio e Eliševa Bichovsky e Neḥama Pukhačewsky dal settore civile. Un’altra rivista importante fu Devar ha-po‘elet (“Comandamento della lavoratrice”), curata da Raḥel Kaṣnelson (poi Šazar) e sostenuta dalla Federazione Generale del Lavoro dell’Histadrut (fondata nel 1920) e dal Comitato delle Donne Operaie (1930). La rivista si occupava tendenzialmente di temi quali lo status delle donne ed il miglioramento delle loro condizioni nella società, sia in ʼEreṣ Yiśraʼel sia nel mondo, con la convinzione che, attraverso la creazione di un vero regime socialista, i problemi dell’oppressione e della marginalizzazione femminile sarebbero stati automaticamente risolti. Devar ha-po’elet, al contrario di Ha-ʼiša, non dava spazio a scrittrici del blocco civile ma solo ad esponenti delle cerchie del gruppo operaio. Kaṣnelson, inoltre, sviluppò una politica letteraria che favorì la nascita di una poetica femminile indipendente e “del vissuto”: da un lato incoraggiava ogni lettrice a scrivere la propria storia e a raccontare sia se stessa sia il proprio posto nel movimento dei pionieri (la maggior parte delle donne firmava il proprio contributo solo con le proprie iniziali), mentre dall’altro allontanava dalla “letteratura creativa” donne con un potenziale creativo per le belles lettres indirizzandole verso il genere del documentario, della biografia, della storia e dell’autobiografia o del memoir come un atto dovuto verso la propria generazione. Ed infatti, il gruppo di donne che si formò intorno alla rivista (tra cui Braḥa Ḥabas, Raḥel Yana’it Ben-Ṣvi, Devora Dayan, Mania Šoḥat, Rivka Alper, Rivka Gurfein, Emma Levine-Ṭalmi, Kesenia Zilberberg e la
18
stessa Raḥel Kaṣnelson) divenne famoso per aver documentato i progetti del paese, l’immigrazione legale o illegale, le istituzioni (soprattutto nell’ambito dell’istruzione) e i capi della comunità. Il lavoro di queste scrittrici aveva ovviamente una maggiore ricaduta pubblica, sia come risultato dei legami con la stampa del movimento operaio in città e nei
qibbuṣim (Davar, ‘Al ha-mišmar, Ha-po‘el ha-ṣa’ir) sia in ragione dei temi che venivano
scelti e dell’attenzione con cui venivano descritte le conquiste della società e della dirigenza socialista. In effetti, grazie a questo gruppo, le scrittrici di quel periodo diedero un importante contributo alla coeva letteratura documentaria e biografica.
‘Olam ha-ʼiša (“Mondo della donna”) apparve più tardi (1940–1948) come un
bisettimanale diretto da Raḥel Lifschitz e sostenuto dall’“Organizzazione Internazionale delle Donne Sioniste” (ʼIrgun Ṣiyyone Našim Benleʼumi – nota come Women’s
International Zionist Organization, WIZO o WIṢO). Questa rivista rappresentava il blocco
civile e costituì una guida durante il periodo buio della Seconda Guerra Mondiale poiché forniva informazioni sulle esperienze vissute dalle donne sul fronte ed in battaglia nelle file dell’Armata Britannica, oltre a consigli pratici ed emotivi per il tempo di guerra ed a sezioni dedicate alla letteratura ed alla cultura. Non poté tuttavia costituirsi una cerchia di scrittrici che ruotasse intorno alla rivista, a causa della sua breve esistenza, nonostante le donne del settore civile, che avevano già pubblicato libri ed erano ben note al pubblico (come, per esempio, Miryam Bernstein-Cohen e Šelomit Flaum), avessero contribuito alle menzionate sezioni culturali e letterarie54.
Certamente le fratture all’interno del mondo intellettuale femminile indebolirono la lotta verso la “parità letteraria dei sessi”, in un ambiente che già era ostile sulla base di
54
Per un quadro dell’attività di stampa al femminile nello Yišuv si vedano per esempio Dan CASPI, e Yehiel
LIMOR, The In/Outsiders: Mass Media in Israel; esempio CASPI e LIMOR, The Feminization of the
Israeli Press; in ebraico, Getzel KRESSEL, Twldwt ‘ytwnwt h-‘ivrit b-’rṣ yśrʼl (Consequenze della
19
stereotipi di genere e categorie ideologiche rigide55. Un altro fattore importante che sfavorì l’emersione della voce femminile è rappresentato dalla discontinuità della loro attività letteraria non solo come gruppo ma anche come singoli individui. Una conseguenza importante della difficoltà incontrata dalle donne nel tentativo di far parte dei centri fu infatti che per una donna divenne quasi impossibile svolgere la professione di intellettuale: tutte queste scrittrici del periodo dello Yišuv furono quindi “occasionali56”. Non mancano le eccezioni ovviamente e vi furono certamente alcune di loro che vissero della propria attività intellettuale in qualità di giornaliste (per esempio Rivka Alper, Šošana Šerira, Miryam Ṭal, Ora Zonenschein) o di insegnanti (per esempio Ira Jan, Ruḥama Ḥazanov, Sara Gluzman), tuttavia diversa fu la tendenza generale. Miryam Bernstein-Cohen, la cui occupazione principale era recitare, racconta nella sua autobiografia Ke-tipa ba-yam (Come una goccia nel mare, 1971), come avesse iniziato a scrivere il suo primo romanzo
Mefisṭo (Mefisto, 1938) quando il teatro dove lavorava era stato chiuso a causa delle rivolte
arabe del 1936. Neḥama Pukhačewsky era solita scrivere durante ogni momento libero e verso sera si ritirava nelle vigne per poter rimanere sola con i propri pensieri; senza menzionare Devora Baron che si creò una sua remota isola nella vita caotica di Tel Aviv, chiudendosi in casa e dedicando tutto il proprio tempo alla scrittura, a discapito della propria famiglia e la propria vita sociale57.
Nonostante le difficoltà individuali e nonostante le divisioni interne riflesso delle divisioni della società dello Yišuv, la prosa femminile di questo periodo emerge comunque come un’entità piuttosto uniforme e coesa, nel senso che al di là delle divergenze tra le scrittrici di Ha-ʼiša e ‘Olam ha-ʼiša, e dell’isolamento della cerchia delle personalità intorno a Devar ha-po’elet, la loro comune condizione di marginalità o di “esilio
55
BERNSTEIN, Pioneers and Homemakers : Jewish Women in Pre-State Israel, pp. 4-9.
56
BERLOVITZ, Literature by Women of the First Aliyah: The Aspiration for Women's Renaissance in Eretz
Israel, p. 243.
57
20
metaforico” le spingeva l’una verso l’altra, in una sorta di “comunità immaginata58”. In
altre parole, anche se ogni donna visse nel suo ambiente specifico e particolare, all’interno del proprio mondo sionista o sionista-socialista, ciascuna di loro con un’affinità particolare per questa o quella scuola letteraria, esse ebbero comunque un’esperienza comune, specificatamente femminile, che generò un bagaglio condiviso di immagini a cui tutte loro aderirono e contribuirono59. Questa vicinanza si manifesta innanzitutto in diverse dosi di meta-politica (a cui tutte loro furono ideologicamente e praticamente legate, consciamente o inconsciamente) ed in diverse misure di meta-poetica femminile (secondo le quali ciascuna di loro racconta la realtà prima della fondazione dello stato, dal punto di vista tematico ed estetico). Quindi, anche se la presente analisi include un periodo di sessantasei anni di prosa ebraica (1882–1948), le scrittrici sono presentate secondo la più comune tendenza critica, inaugurata da Yaffa Berlovitz che le analizza come un unico meta-gruppo, in cui si possono individuare tre diverse generazioni secondo una classificazione che diverge dalle classiche suddivisioni applicate alla prosa maschile del periodo prestatale, con le sue varie cerchie e scuole60. La prima generazione è costituita da donne nate nell’ultima metà dell’Ottocento, che emigrarono in ʼEreṣ Yiśraʼel alla fine del secolo o all’inizio del secolo successivo, iniziando a pubblicare in quel periodo, tra di loro: Neḥama Pukhačewsky, Ḥemdah Ben-Yehuda, Yehudit Ḥarari e ‘Ira Jan. Questo gruppo include anche Šulamit Klugai e Miryam Bernstein-Cohen, che iniziarono a pubblicare negli anni Venti, e Ḥanna Lunkz (1892–1987), nata in ʼEreṣ Yiśraʼel. La seconda generazione include donne nate nel primo decennio del ventesimo secolo, che immigrarono in ʼEreṣ Yiśraʼel con la terza (1919–1923) e quarta (1924–1928) ʻaliyya ed iniziarono a pubblicare durante
58
Si veda Benedict ANDERSON, Imagined Communities: Reflections on the Origin and Spread of
Nationalism.
59
BERLOVITZ, ‘l Ṣmty-mpgšym bn nšym b-r’šyt h-yšwv (1878-1918)(Punti d’incontro tra donne
all’origine dello Yišuv, 1878-1918), p. 371.
60
Ci si riferisce alla periodizzazione canonica stabilita dalla monumentale opera di Gershon Shaked, H-sprt
21
questo periodo: Batya Kahana, Yehudit Mensch, Rivka Alper, e Emma Levine-Ṭalmi, ed anche Šošana Šababo, nata invece in ʼEreṣ Yiśraʼel. La terza generazione di donne include scrittrici nate tra il 1915 e gli anni Venti, che giunsero in ʼEreṣ Yiśraʼel in tenera età e vi crebbero come se vi fossero nate. Il gruppo di queste scrittrici iniziò a pubblicare negli anni Trenta e Quaranta ed include: Ruḥama Ḥazanov (1912–1994), Sara Gluzman, Šošana Šerira, e Penina Kaspi61
.
La prima caratteristica comune che immediatamente emerge in tutti questi testi è una generale atmosfera di insoddisfazione espressa, in modi più o meno espliciti, nei confronti del movimento sionista percepito come un’impresa patriarcale in cui il controllo restava agli uomini, nonostante le donne fossero parimenti consapevoli e dimostrassero analoga dedizione62. È fondamentale sottolineare come, dal momento in cui avevano scelto di immigrare in ʼEreṣ Yiśraʼel e di dedicarsi alla costruzione del popolo e della terra, queste donne avessero iniziato a sentire di meritare la parità, senza alcun pregiudizio o distinzione di genere. La dottrina sionista, in fondo, aveva formulato il suo messaggio in questo spirito di uguaglianza, dal momento che al Primo Congresso Sionista a Basilea nel 1929 le donne erano state invitate a partecipare come delegati con pieno e pari status. Anche i manifesti sionista e socialista studiati dai movimenti giovanili ebraici enfatizzavano questo principio di uguaglianza come è riportato dalle testimonianze di alcune esponenti, per esempio in Pirpure mahapeka (Ondate di rivoluzione, 1930) di Rivka Alper e, più tardi, Kokavim me-‘al ha-gan (Stelle da sopra il giardino, 1964) di Rivka Gurfein e Ne’urim (Gioventù, 1958) di Yehudit Mensch. Di conseguenza, queste donne vennero prese alla sprovvista quando, dopo l’arrivo in ʼEreṣ Yiśraʼel, scoprirono che il proprio ruolo era ridimensionato e che il movimento si rivelava prerogativa maschile, dal
61
Per un’analisi dettagliata si rimanda ancora a BERLOVITZ, H-ʼyšh b-sfrwt h-nšym šl h-ʻlyyh h-ršnh (La
donna nella letteratura della prima ‘aliyya).
62
BERLOVITZ, L-hmṣyʼ ʼrṣ, l-hmṣʼ ʻm: tštywt sfrwt w-trbwt b-yṣyrh šl h-ʻlyyh h-ršnh (Inventare un paese,
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momento che gli organi decisionali sia nel campo del lavoro che nel campo culturale erano gestiti da esponenti di genere maschile. In altre parole, la donna idealista, che aveva lasciato la propria casa e la propria famiglia o gli studi e il proprio ambiente, per contribuire alla realizzazione dell’indipendenza e del rinnovamento femminile e nazionale, si sentiva comprensibilmente frustrata e ingannata, un’esperienza espressa nelle autobiografie di Sara Malkin, Ḥenia Pekelman e Teḥiya Liberson. Effettivamente, fino al 1926, alle donne dello Yišuv vennero negati tutti i diritti, anche il diritto di voto e ad essere elette63. Fu solamente mettendo insieme le proprie forze e facendosi avanti per i propri diritti che esse riuscirono a democratizzare la società dello Yišuv; ma anche dopo aver ottenuto il diritto di voto nel gennaio 1926, esse non cessarono di battersi per ottenere la parità. Si erano infatti ritrovate non solo ad essere considerate residenti di seconda categoria nella loro nuova casa nazionale, ma anche a sentirsi “senza una casa” entro quei confini. Il dolore di questa delusione nazionale affliggeva molte scrittrici che quindi si concentrarono precipuamente su questa mutazione inaspettata del sionismo, analizzandolo e criticandolo.
Oltre alla delusione per la parità “rubata” si possono individuare altre caratteristiche comuni che, dal punto di vista tematico e formale, unificano questa dinamica e risoluta “comunità immaginata” costituita dalle scrittrici dello Yišuv. La prosa femminile del periodo dello Yišuv si concentra, per la maggior parte, sullo spazio femminile includendo due tipi di contenuto64: da un lato “la donna in quanto donna”, ovvero temi quali l’intimità, la sessualità, la maternità, il corpo femminile, la natura delle relazioni sia di amicizia sia di amore, le età della vita, gli abusi sulle donne, il loro lavoro e il loro sostentamento; dall’altro, invece, troviamo la donna nel contesto della comunità dello Yišuv, ovvero che cosa significasse essere una donna in ʼEreṣ Yiśraʼel prima della
63
BERNSTEIN, Pioneers and Homemakers : Jewish Women in Pre-State Israel, p. 71.
64
Per un quadro più dettagliato si rimanda a BERLOVITZ, B-ḥypwś ’ḥr Dywqn “’rṣ yśr’lyt” b-Sfrwt
23
fondazione dello stato, l’elaborazione ed il significato della transizione dalla diaspora alla madre-patria e da schemi di comportamento conservatori a schemi liberali, l’incontro con la terra, il conflitto tra i diversi gruppi etnici di ebrei, problemi di genere, tensioni tra individuo e società, l’assenza di una famiglia estesa, e la rinascita nazionale intesa come risorgimento delle donne ebree.
Tutti questi temi contribuirono alla creazione di una narrativa nazionale indipendente che si distingue da quella di autori maschili, in quanto non è caratterizzata dal conflitto tra successo e fallimento (quella che Gershon Shaked ha definito “la letteratura della patria”) ma dalla storia quotidiana, ripetitiva e senza pretese, di una società che vive giorno per giorno. Mentre la narrativa nazionale maschile si proclamava messaggera dei principi originari, riaffermandoli attraverso l’amplificazione di ogni evento ordinario, come il lavoro nei campi, una notte spesa di guardia o un’escursione in campagna, in un’affermazione di eroismo storico, la narrativa nazionale femminile affondava le proprie radici nel personale e nel particolare65. Queste autrici consideravano l’ambiente individuale come un campo di indagine comune, un’opportunità di cercare, di mettere in discussione e di esplorare che cosa la terra di Israele rappresentasse per ciascun individuo. Quindi, mentre la narrativa maschile tendeva a sottolineare “la conquista della montagna” come una totalità, la narrativa femminile rifiutava le “saghe eroiche” e il “sacrificio delle battaglie” in favore di un più graduale avanzamento e un atteggiamento che sottolineasse la preziosa particolarità dell’esperienza individuale66
.
Nel contesto di questa prosa femminile iniziò ad essere definita in quel periodo una nuova figura letteraria, quella della “nuova donna ebraica”, controparte del “nuovo uomo ebraico” della letteratura maschile67
. Mentre per gli uomini essere “nuovo” implicava
65
Sheila JELEN, Intimation of Difference: Dvora Baron in the Modern Hebrew Renaissance, p. 142.
66
BERLOVITZ, Literature by Women of the First Aliyah: The Aspiration for Women's Renaissance in Eretz
Israel, p. 243.
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essere un colono, un pioniere, un operaio, la prosa femminile cercava di creare proprie protagoniste, libere dagli schemi tradizionali in cui venivano ancora confinate dalla letteratura maschile. Questo ritratto della “donna nuova” prese sempre più ispirazione non dall’immagine convenzionale della donna amante e madre, ma da figure bibliche autoritarie e dirigenziali come Miryam (dal libro dell’Esodo 15:20-21), Debora (dal libro dei Giudici 5:1-31), e le figlie di Ṣelafeḥad (dal libro dei Numeri 27:2-7 e 36:1-11). Questi modelli fornirono le linee guida per la costruzione dei primi profili tipologici precursori della figura della ṣabarit (la donna nativa) che si possono rintracciare nelle opere di scrittrici quali, tra le altre, Ḥemda Ben-Yehuda, Yehudit Harari e Ḥanna Trager.
Un esame della narrativa nazionale delle scrittrici dalla prima ʻaliyya in poi rivela infine due distinte posizioni “femministe”: da un lato la visione costruttiva introdotta da Ḥemda Ben-Yehuda, e dall’altro la visione malinconica, espressa per la prima volta dalle
opere di Neḥama Pukhačewsky68
. Il lavoro di Ben-Yehuda descrive lo status secondario e marginale delle donne nella società dello Yišuv dell’inizio del ventesimo secolo come un fenomeno transitorio che sarebbe stato risolto attraverso l’istruzione. Quindi, anche se la sua narrativa denunciava lo sfruttamento e l’oppressione delle donne nella società69, il lettore era rassicurato dal fatto che questa situazione è descritta all’interno di una visione positiva del futuro come di un momento in cui giustizia sarà fatta. Questo “femminismo ottimista” creò anche scenari alternativi in cui certe figure femminili riescono a emergere in ragione della loro indipendenza e della loro risoluzione di fronte alle avversità, per esempio in Taḥat ha-šaked (Sotto il mandorlo, 1903), Simla ḥadaša (Un abito nuovo, 1906), Ba-moledet (In patria, 1917). Questo tipo di lavori letterari funze anche da linee guida per la costruzione e lo sviluppo di un nuovo modello femminile in ʼEreṣ Yiśraʼel prima della fondazione dello stato. La visione malinconica è più realista e allo stesso
68
BERLOVITZ, Literature by Women of t he First Aliyah: The Aspiration for Women's Renaissance in Eretz
Israel
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tempo più critica. Secondo questa prospettiva, l’impresa sionista non era riuscita ad implementare i valori morali ed etici che avrebbe invece dovuto realizzare in ʼEreṣ Yiśraʼel attraverso la reintegrazione della società ebraica nella patria originaria e attraverso il tentativo di creare una nuova terra, un nuovo popolo e un nuovo individuo. Al contrario, questa nuova società perpetuava gli stessi misfatti e le stesse perversioni della diaspora, dimostrandosi una società reazionaria che manteneva differenze sociali e ignorava gli oppressi (i lavoratori, le donne e gli altri gruppi etnici). Questo punto di vista è evidente nelle opere di esordi di Pukhačewsky, che preferì adottare la prospettiva del debole, rivelando la penosa situazione di figure marginalizzate con un realismo lucido e critico che è allo stesso tempo sconfortante e melanconico70. Nonostante Pukhačewsky abbia ritratto anche figure maschili di braccianti e immigrati ebrei yemeniti, il suo interesse principale rimane l’oppressione delle donne. Sefardite o aškenazite, le donne sono sempre presenti come vittime, in genere di un membro maschile della famiglia, per esempio in Sara Zarḥi (Sara Zarḥi, 1930), Ha-mešeq (La fattoria, 1930), Ruma (Ruma, 1930); o, più in generale, come vittime di una società maschilista che adotta codici di comportamento umilianti nei confronti delle donne, come è il caso nella mošava, per esempio in Bi-vedidut (In
solitudine, 1930), o anche di un gruppo etico, yemenita nel caso specifico, per esempio in ’Aḥare simḥa (Dopo la cerimonia, 1930) e ’Asona šel ‘Afya (La tragedia di ‘Afya, 1911).
Il punto di vista melanconico di cui Pukhačewsky fu la prima sostenitrice è stato spesso deplorato dalla critica. Nella recensione del suo Bi-Yehuda ha-ḥadaša (1911), Ya’akov Zerubavel (1886–1967) la attaccò per la predominanza che il tema della malattia e del lutto avevano nelle sue storie71, e Gershon Shaked nella sua storiografia sostiene che la sua scrittura era melodrammatica e aspirava solamente ad “evocare pietà e lacrime72”.
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BERLOVITZ, Qwl h-Mlnkwlyh ke-Qwl h-Mḥ’h: ‘ywn b-yṣrth šel Nḥmh Pwḥčbsqy (La voce della
malinconia come voce di protesta: uno studio dell’opera di Neḥama Puḥačevski).
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Commento di Ya’akov Zerubavel su Ha-ʼaḥdut, del 6 Novembre 1912.
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Questi critici sorvolano sull’ambivalenza dei suoi testi e sulla profondità che essa conferisce loro. Piuttosto che aspirare a fornire una perfetta rappresentazione della realtà, i suoi testi manifestano un atto di protesta che si avvale della malinconia come uno strumento per minare il consenso sionista e letterario per scuotere la narrativa nazionale del maschio eroico (che aveva catturato il pubblico), sostituendovi una narrativa alternativa ed indipendente73.
Questo tipo di atteggiamento letterario dal carattere sovversivo accomuna cinquanta anni e tre generazioni di scrittura femminile, dimostrando che non fu la prospettiva costruttiva ma quella melanconica, anche se in diverse gradazioni, a dominare questa narrativa. Per esempio, nel citato lavoro di Sara Gluzman ‘Al saf ha-mavet (Sulla
soglia della morte, 1936) Tel Aviv non è una splendente “città bianca” che emerge dalla
sabbia ma un posto tetro ed oppressivo per i suoi abitanti, lavoratori o pionieri; oppure nelle opere di Ruḥama Ḥazanov che, di tutte le possibili storie di una fiorente mošava, sceglie per il suo romanzo Gederot (Recinti, 1950) una famiglia che venne per “costruire ed essere ricostruita” e si trova invece a seppellire i propri figli e figlie, una dopo l’altra. Similmente, Devora Baron, della prima generazione in Qetanot (Piccolezze, 1933) e Ma
še-hayya (Ciò che è stato, 1939), Yehudit Mensch in Ne’urim (Intellettuali, 1958) e Batya
Kahana in ‘Elbonot (Insulti), della seconda generazione; e Šošana Šerira in ’Almanot (Vedove, 1947), Lev navok (Cuore confuso, 1947) e Miryam Ṭal in Mezayefe ha-ḥayyim (I
falsari della vita, 1937), della terza generazione. Un’atmosfera di intensa tristezza e
disillusione emana da questi testi, senza menzionare quelli di Penina Kaspi, in cui rabbia e depressione producono storie inquietanti come in Ṣelalim melavim (Ombre che
accompagnano, 1931) e in Ha-ʼAḥot Na’omi (Sorella Naomi, 1935). Non meno audace fu
la posizione presa da Šošana Šababo che, all’acme del conflitto arabo ebraico, scelse di
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BERLOVITZ, Qwl h-Mlnkwlyh ke-Qwl h-Mḥ’h: ‘ywn b-yṣrth šel Nḥmh Pwḥčbsqy (La voce della