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Vento di cambiamento, dalla fondazione dello stato alla guerra di Yom Kippur (1948-1973)

La fondazione dello stato segna l’inizio di una nuova fase nello sviluppo della cultura e della società ebraica in ʼEreṣ Yiśraʼel. Dopo l’euforia per il successo sionista e la vittoria in una guerra che pareva un’impresa disperata, infatti, la comunità dello Yišuv iniziò a confrontarsi con la nuova realtà nazionale e statale che poneva problematiche nuove, soprattutto a causa dell’insorgere di un più acerbo dissenso interno118. Una volta realizzato l’obiettivo comune, la creazione di uno stato ebraico, non solo vennero a riproporsi le vecchie divisioni dello Yišuv descritte nel paragrafo precedente ma anche nuovi motivi di divergenza cominciarono ad emergere tra i diversi gruppi che andarono a costituire i cittadini dello stato: tra ebrei religiosi e ebrei secolari, tra destra e sinistra, tra aškenaziti e sefarditi, tra membri del vecchio insediamento e nuovi immigrati, tra uomini e donne.

Già a partire dalla metà degli anni Cinquanta, con l'inizio di quello che è stato definito il processo di “perdita delle certezze” iniziato con la Guerra del Sinai119

, il consenso alla dominante ideologia sionista di derivazione marxista-socialista iniziò ad incrinarsi fino a giungere alla sua definitiva disfatta, dopo la Guerra di Yom Kippur, con la vittoria del partito Likud e la presa del potere da parte della destra nel 1977120. Questo progressivo disfarsi del tessuto politico-culturale iniziato già a metà degli anni Cinquanta e culminato con la vittoria di Likud lasciò, però, spazio di espressione a quegli stessi gruppi divergenti che, estranei all'esperienza collettiva aškenazita, socialista e secolare di cui la

118

Per un quadro dettagliato sull’emersione del dissenso in quegli anni si veda SHINDLER, A History of

Modern Israel, p. 175-197.

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È stato notato (Shaked, 2008) come, per coloro che erano nati negli anni Trenta, la Campagna del Sinai del 1956 fu l'esperienza che cambiò la loro relazione con la trama meta-sionista. A differenza della Guerra del 1948, quella del 1956 fu vista più come una guerra di scelta che come una questione di sopravvivenza. Inoltre fu in questa occasione che per la prima volta i cittadini israeliani si trovarono a confrontarsi con le condizioni di vita nei campi dei rifugiati palestinesi nella Striscia di Gaza.

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narrativa si era fatta portavoce, erano rimasti fino ad allora marginali e esclusi dal canone della letteratura ebraica moderna. La crescita del movimento femminista e la rinascita della prosa femminile rientrano in questa emersione generale di voci che erano state spinte ai margini, sia nell’ambito sociale che letterario, insieme a quelle degli Ebrei orientali, degli Ebrei religiosi, e dei sopravvissuti alla Shoà121.

A partire dai tardi anni Cinquanta del Novecento, sull’onda dei cambiamenti socio- politici, anche la letteratura ebraica comincia quindi ad assumere un nuovo atteggiamento nei confronti di quel complesso di valori ideologici e letterari intrinsecamente legati alla storia e alla realizzazione dell'impresa sionista122. Si potrebbe sintetizzare sostenendo che il tema principale della letteratura divenne, dopo il 1948, il frantumarsi delle grandi speranze fondate sul principio di rinnovamento e rinascita, espresso attraverso molteplici atteggiamenti letterari, dalla satira all’ironia alla nostalgia, in un generale riappropriarsi del valore dell’individuo e dell’esperienza personale indipendentemente dalla missione collettiva123. Gli scrittori di questa nuova epoca, raggruppati sotto il movimento definito

Gal ḥadaš, non aspiravano a liberare la letteratura solo dall’ideologia e dal “noi”

collettivo, ma anche dalla stereotipica rappresentazione del “nuovo israeliano” entro i rigidi limiti della figura letteraria del sabra (il nativo) o di quella del ḥaluṣ (il pioniere)124. Piuttosto che affrontare questioni nazionali e professare valori sionisti, questi scrittori si focalizzarono sull’esperienza personale e sui problemi posti dalla stessa esistenza individuale, sotto l’influenza della poesia inglese e dell’esistenzialismo francese che erano di moda in quegli anni125. Questo spirito di rivolta verso la letteratura dei padri iniziò in poesia e Natan Zach fu il vate di questa nuova poetica con i suoi componimenti giocosi, arguti e ricchi di ironia che evitano ogni pathos con l’intento di non caricare

121

Anat FEINBERG, Modern Hebrew Fiction, pp. 14-15.

122

SHAKED, Modern Hebrew Fiction, p. 156.

123

Ibidem, p. 143

124

FUCHS, The Enemy as Woman: Fictional Women in the Literature of the Palmach, pp. 213-214.

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ideologicamente nè la lingua nè l’immaginario poetico. Accanto a Zach si possono ricordare altre figure come il rinomato poeta israeliano Yehuda Amichai che scrisse poesia contro la guerra e contro l’establishment politico dell’epoca, fondendo l’esperienza personale con la tradizione ebraica, o David Avidan che compose testi altamente provocativi sia nella lingua che nei temi. Questa atmosfera di cambiamento e di rivolta contro i principi dei pionieri fondatori e contro il canone che ne tramandava la voce prese piede anche in prosa, ma più lentamente, così che non è possibile individuare elementi di rottura altrettanto netti almeno fino alla metà degli anni Sessanta126.

Incoraggiata da questi segni di cambiamento, l’aspirazione delle donne a piegare le convenzioni del canone che era stata fino ad allora attualizzata attraverso strategie di tacita sovversione iniziò ad emergere con una forza sempre più dirompente. Se inizialmente l’obiettivo primario delle scrittrici dello Yišuv era stato quello di aprirsi la strada all’interno della letteratura ebraica moderna, dagli anni successivi alla fondazione dello stato, in particolare gli anni Sessanta, esse iniziarono a lottare per cambiare le strutture stesse della cultura e della società israeliana127. Come Shaked sottolinea nel suo testo Modern Hebrew

Fiction, la poesia ebraica moderna spesso riflette dinamiche che emergono solo più tardi in

prosa128. I cambiamenti che intervengono nella prosa ebraica di mano femminile a partire dagli anni Cinquanta possono essere identificati mettendo a confronto due figure, quella di Raḥel e di Yona Wallach , figure-simbolo di due diverse epoche e immaginari: da un lato, lo Yišuv e, dall’altro, la nascente società israeliana, con nuovi valori e imperativi.

Il mito di Raḥel, sorto dopo la tragica scomparsa della poetessa negli anni Trenta, aveva influenzato per almeno due decenni l’immaginario collettivo, tramandando un periodo eroico da cui emanavano i principi guida dell’esistenza nazionale in ʼEreṣ Yiśraʼel,

126

Karen GRUMBERG, Place and Ideology in Contemporary Hebrew Literature, p. 30.

127

DOMB, Women’s Hebrew Writing, p. 28.

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dove le virtù femminili per eccellenza erano la dedizione, il sacrificio e la modestia129. L’icona della poesia e della cultura femminile israeliana tra gli anni Sessanta e Settanta divenne, invece, Yona Wallach (1944-1985), colei che condusse alla rivoluzione del “bilinguismo di genere”, come l’ha definito Oz Almog130

. Nella sua opera Wallach celebrò la sfrontatezza e la ribellione femminile, attraverso un linguaggio brusco e dai toni fortemente sessuali. I simboli della cultura bisessuale che caratterizzarono Israele durante gli anni Novanta, ancora secondo Almog, erano parte del messaggio di liberazione trasmesso dalle parole e dalla vita della poetessa131. Queste due figure possono essere considerate come il simbolo della voce femminile di ciascuna delle epoche a cui appartennero, quella precedente e quella successiva alla fondazione dello stato. Da un lato una poesia che cresce entro i limiti del canone, e ne viene accolta; dall’altro la ribellione e la rivolta di una nuova donna che non si limita più a provare, ma pretende di ottenere il proprio posto alla pari con la sua controparte maschile. Nel mezzo, una trama di prosa, e di scrittrici che continuavano a sfidare quei modelli culturali che le avevano confinate ai margini.

Tra gli anni Cinquanta e Settanta questa sfida assunse quindi toni sempre più decisi e la “poetica della sovversione” iniziò a diventare sempre più manifesta. Le scrittrici di questo periodo si dedicarono a analizzare e decostruire le strutture del canone, dal punto di vista formale e tematico, con una rinnovata energia e una forza sconosciuta alle loro antenate. Questo dipese anche certamente dal fatto che, come si è accennato, gli anni Cinquanta avevano segnato una svolta fondamentale nella letteratura israeliana, che aveva preso una nuova direzione, con nuovi stili, nuove forme linguistiche e nuovi temi come riflesso dei cambiamenti che stavano avvenendo nella vita e nella società del neo-nato

129

BERLOVITZ, Literature by Women of the First Aliyah: The Aspiration for Women’s Renaissance in Eretz

Israel, p. 53.

130

Oz ALMOG, The Sabra: The Creation of the New Jew, p. 70.

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stato132. Una volta crollati i miti del sabra e della parità sessuale, così celebrati e alla base dell’identità ideologica e nazionale133

, in un contesto sociale che era innegabilmente più variegato e ideologicamente meno coerente, soprattutto a causa di nuove ondate di immigrazione giunte dall’Europa post-bellica e dai paesi del Medio Oriente, si aprì la via per il dibattito sulla questione femminista che aspirava a una ridiscussione del ruolo della donna nella società e nella cultura israeliana, in opposizione non solo alla vecchia guardia letteraria, ma anche alle nuove correnti degli anni Cinquanta e Sessanta che continuavano a rappresentare le figure femminili secondo modalità stereotipiche134. Le donne erano rimaste infatti confinate nel “ruolo dell’altro” non solo nella letteratura della cosiddetta “generazione del Palmaḥ” (cioè pre-statale), e quindi nelle opere di S. Yizhar (1916), Moshe Shamir (1921–2004) e Natan Shaḥam (1925), ma anche dopo la rivoluzione letteraria della successiva “generazione dello stato,” nei lavori di scrittori come Abraham B. Yehoshua (1931), Amos Oz (1939) e Yoram Kaniuk (1930-2013), in cui le donne sono di solito ai margini della narrativa, se non hanno addirittura una dimensione sinistra e negativa135.

Dal momento che nella letteratura dello Yišuv e del Palmaḥ un ruolo fondamentale era stato attribuito alla guerra e alla figura del combattente, esperienze che sono tradizionalmente predisposte per il genere maschile e a cui le donne possono solo partecipare come testimoni passivi, da casa e non dal campo di battaglia, queste ultime erano state innanzitutto escluse dalla possibilità di narrare la guerra. Di conseguenza, anche quelle donne che si distinsero nel combattimento e che servirono come comandanti, come Netiva Ben-Yehuda, furono costrette ad attendere fino agli Ottanta prima di poter

132

SHAKED, Modern Hebrew Fiction, pp. 188-230.

133

FELDMAN, From The Madwoman in the Attic to The Women's Room, p. 266.

134

FUCHS, Israeli Mythogynies: Women in Contemporary Hebrew Fiction, p. 32.

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vedere pubblicate le proprie opere sulla Guerra di Indipendenza136. Inoltre, l’esperienza bellica è da sempre tradizionalmente considerata un’arena che richiede doti di virilità e, infatti, la letteratura del sabra combattente aveva imposto una repressione delle emozioni destinata a caratterizzare la letteratura ebraica moderna per molti anni, condannando la voce femminile ad uno stato di marginalizzazione o demonizzazione accanto alla femminilizzazione di aspetti culturali legati alla diaspora137. La manifestazione e l’espressione delle emozioni era considerata un segno di debolezza e di codardia; di conseguenza, la voce della vittima, sia della Shoà che della guerra, fu avvolta dal silenzio durante il primo decennio di vita dello stato. Certamente, alle donne fu concesso di manifestare compassione e, anzi, c’era una certa aspettativa nei confronti della loro capacità di provare empatia per la sofferenza umana, fatto che conferma ancora una volta quanto la poesia femminile svolgesse un ruolo necessario e complementare dal punto di vista psicologico e non solo letterario e sociale. In un certo senso la poesia delle madri poetesse rappresentò indirettamente una possibilità di sentimento dietro lo specchio dell’impassibile e determinato sabra138

.

Un ultimo elemento che certamente spinse le donne a una maggiore intraprendenza fu l’aperta ostilità che il movimento femminista iniziò ad incontrare nella società israeliana dopo il 1948. Paradossalmente, infatti, con il successo e la fondazione dello stato erano giunti gruppi di immigrati estranei ai principi che avevano guidato la comunità dello Yišuv e già negli anni Sessanta una larga parte della popolazione israeliana era ormai estranea alle ideologie pre-statali e si opponeva alla questione femminista, dal momento che poneva anatema sia sul “vecchio” femminismo sionista sia sul “nuovo” femminismo di

136

FELDMAN, No Room of Their Own, p. 45.

137

Sulla percezione della lingua e della cultura yiddiš si veda per esempio Naomi SEIDMAN, A Marriage

Made in Heaven: The Sexual Politics of Hebrew and Yiddish.

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derivazione europea ed americana139. Il femminismo, nella forma in cui divenne noto negli Stati Uniti degli anni Sessanta, fu infatti osteggiato e anche la vecchia comunità dello Yišuv vi si oppose dal momento che era interpretato come un tardo prodotto della “cultura del lusso occidentale”, una fase che Israele aveva già superato e che America ed Europa affrontavano in ritardo, a causa della loro cecità nei confronti dei meriti del socialismo140. Nel momento in cui il principio di parità, sia di derivazione socialista o di derivazione americana, divenne apertamente osteggiato si verificò una definitiva rottura dell’equilibrio tra adesione e reazione che aveva fino ad allora contenuto il movimento delle donne, nella società e in letteratura.

Negli anni Settanta, a causa del definitivo incrinarsi del pensiero culturale dominante, la resistenza alla discussione sulle condizione marginale delle donne iniziò a venire meno, soprattutto per l'azione politica intrapresa da alcune figure immigrate dall'America, come Marcia Freedman che fu eletta alla Knesset nel 1973141. Negli anni precedenti, la Freedman insieme a Marilyn Safir aveva organizzato alcuni gruppi di autocoscienza e alcuni seminari sul femminismo presso l'Università di Haifa che avevano diffuso un nuovo atteggiamento critico nella componente femminile della società. Contemporaneamente anche nelle ali più estremiste della sinistra gerosolimitana iniziò a fermentare un'attività femminista, guidata da Lea Zemel e Mikhal Ṣofen142. Gli anni Ottanta, infine, videro l’esplosione della critica femminista e la revisione storica che ne derivò, come abbiamo visto, cambiò per sempre la prospettiva con cui gli anni dello Yišuv e la letteratura del periodo vennero percepiti da parte delle scrittrici, prima, e dalla società, poi.

Infine, in ambito letterario, un elemento fondamentale che contribuì ad avvalorare

139

FELDMAN, From The Madwoman in the Attic to The Women's Room, p. 267.

140

FELDMAN, No Room of Their Own, p. 155.

141

FELMAND, From The Madwoman in the Attic to The Women's Room, p. 51.

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l’attività di scrittura femminile fu la traduzione in ebraico di numerose opere del mondo occidentale fino ad allora ignorate dalla classe intellettuale ed in particolare la diffusione che ebbero i testi di Virginia Woolf tra gli scrittori del Gal ḥadaš. Tra la seconda metà degli anni Cinquanta e la fine degli anni Sessanta la cultura israeliana si era aperta infatti alla letteratura dell'Europa occidentale e degli Stati Uniti, mettendo fine al predominio dell'influenza russa sulla scena israeliana, dopo quasi trent’anni143. Nel cercare nuove modalità di rappresentazione della realtà femminile, molte scrittrici poterono ispirarsi a modelli culturali diversi potendo contare su due delle figure che più hanno contribuito al cambiamento culturale in senso femminista, discutendo ed analizzando nelle loro opere il ruolo della donna nella tradizione patriarcale: Virginia Woolf e Simone de Beauvoir144. Simone de Beauvoir fu già dagli anni Cinquanta una figura conosciuta ed apprezzata in Israele, in ragione del suo dichiarato schieramento socialista e della sua relazione con Jean Paul Sartre. Tuttavia la sua opera, in particolare gli scritti femministi, incontrò una certa resistenza e non fu tradotta, escluso Les Mandarins (I Mandarini, 1954), pubblicato in ebraico nel 1958145. È stato notato come uno dei fattori di questo ritardo possa essere individuato in alcune delle posizioni assunte da Simone De Beauvoir sul ruolo della donna che risultavano particolarmente problematiche per la tradizione ebraica ed israeliana146. La prospettiva di scontro che l'analisi di Simone de Beauvoir sembrava aprire, essendo la sua critica basata sull'evidenza di un'opposizione insolubile tra soggetto maschile ed alterità femminile, rappresentava infatti una questione problematica in una società dove il collettivismo e la collaborazione erano ancora considerati valori fondamentali ed insostituibili. Inoltre per Simone de Beauvoir il femminismo liberatorio e la maternità si

143

SHAKED, Modern Hebrew Fiction, p. 205.

144

Per la ricezione dell'opera di queste due autrici in Israele vedi: FELDMAN, No Room of Their Own, pp.

13-20.

145

Il Secondo Sesso è apparso in ebraico solo agli inizi di questo secolo, pubblicato in due volumi presso la casa editrice Babel: il primo è uscito nel 2001 ed il secondo nel 2007.

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escludevano a vicenda. Per quanto fondata sul modernismo e sull'individualismo, paradossalmente la teoria androgina elaborata da Virginia Woolf offriva invece una forma di compromesso che poteva essere adattata alla tradizione ebraica ed al contesto israeliano, in modo da risolvere la dicotomia uomo-donna, superando la distinzione stessa e senza minare alcuni dei valori fondamentali della tradizione ebraica e del pensiero sionista: ovvero l'appartenenza ad un “noi” collettivo con scopi comuni e la centralità della maternità nell'esistenza della donna ebrea. Alle soglie degli anni Ottanta quasi tutte le opere di Virginia Woolf erano disponibili in ebraico. Orlando: a biography apparve nel 1964, offrendo un altro modello del “fantastico” cui gli scrittori della Generazione dello

Stato andavano ispirandosi per rompere il codice realista. Gli argomenti femministi, ed in

generale la problematicizzazione dei ruoli di genere che Virginia Woolf propone attraverso la sua “visione androgina”, sembrò però a parte pochissime eccezioni passare inosservata147.

Il fermento socio-politico di quegli anni pose le basi affinché nuove voci avessero non solo la possibilità, ma anche la determinazione a farsi sentire. In particolare nell'ambito della narrativa, si assiste all’affermarsi di alcune autrici di rilievo che cercano di formulare nuove strategie di soggettività in grado di de-costruire quella dicotomia uomo-donna che, tipica della trama sionista, è stata variamente ereditata anche dagli scrittori del movimento Gal ḥadaš148. Queste scrittrici, tra cui Amalia Kahana-Carmon, Šulamit Hareven, Yehudit Hendel, Netiva Ben-Yehuda e Ruth Almog si sono appropriate del genere del romanzo sionista e meta-sionista, rimasto fino ad allora di predominio maschile, introducendovi una nuova prospettiva femminile e costruendo protagoniste che portano avanti la loro lotta individuale con intraprendenza e autonomia, nel tentativo di

147

FELDMAN, No Room of Their Own, p. 17.

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Per una panoramica della rappresentazione della donna nella letteratura della New Wave vedi FUCHS,

Israeli Mythogynies: Women in Contemporary Hebrew Fiction, e FURSTENBERG, Images of Women in

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dimostrare come la differenza uomo/donna sia una differenza che può essere posta in discussione. Nella generazione dello stato l’incursione delle donne nella letteratura ebraica manifesta non solo una rinnovata lotta per appropriarsi di ogni tipo di genere, ma soprattutto implica un impegno a smantellare aspettative di genere e a creare sia figure che forme letterarie in grado di decostruire ritratti e ruoli stereotipici assegnati alla donna.

Accanto alla costruzione di protagoniste alla ricerca di una propria indipendenza e di un proprio ruolo libero dalle aspettative di genere, ritorna anche il tema della sofferenza delle donne nella prospettiva della loro maggiore capacità di aprirsi al prossimo in opposizione al ruolo di nemica della patria, sia nella sua veste di figura angelicata sia nella sua veste diabolica, che le veniva affidato nella letteratura contemporanea. Questa visione del mondo femminile sta al cuore del lavoro di molte scrittrici, ma in particolare delle opere di Yehudit Hendel, il cui primo libro pubblicato nel 1950 e intitolato ʼAnašim

ʼaḥerim hem (Persone diverse, loro), in modo estremamente coraggioso diede voce al

gruppo “dei diversi”, ovvero coloro che non riuscivano a trovarsi un posto tutto per sè all’interno della cultura circostante, i sopravvissuti all’Olocausto e le famiglie dei caduti, riflettendo sul concetto di “altro” (ʼaḥerim in ebraico rende sia “diverso” che “altro”) anni prima che questo divenisse popolare sull’onda della scuola lacaniana e del femminismo francese149. L’identificazione con la sofferenza altrui ha un ruolo fondamentale anche nei romanzi di Kahana-Carmon, che come Hendel rivela un narratore dai confini interpretativi flessibili con la capacità di identificarsi completamente con altri individui, facendone propria la storia. Le opere di queste scrittrici si distinguono per il loro potere lirico e la