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Esplorare la biblioteca

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Academic year: 2021

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I

NDICE

Introduzione

3

1. La biblioteca pubblica e il suo catalogo

8

1.1 Cataloghi e utenti

10

1.2 Breve storia degli OPAC

14

2. Biblioteche e software

25

2.1 Alcune criticità

34

2.2 L'usabilità è l'esperienza utente

38

2.3 Analisi della funzionalità di ricerca

44

La tolleranza agli errori di battitura

48

La gestione delle stop words

51

La gestione di sinonimi e quasi sinonimi

54

2.4 Analisi della presentazione dei risultati

58

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I collegamenti fra Opere

65

2.5 Alcune osservazioni conclusive

67

3. Qualche proposta operativa

71

3.1 CataloGo.

72

La tolleranza agli errori

75

La gestione delle stop words

76

La gestione di sinonimi e quasi sinonimi

77

Il livello Opera

80

I collegamenti fra Opere

81

Conclusioni

86

Appendice

91

(3)

I

NTRODUZIONE

“Che cos’è una biblioteca?” è la domanda che pongo a tutte le classi che giungono in vi-sita scolastica alla biblioteca presso cui lavoro1; e gli studenti, che provengano da una scuola dell’infanzia oppure dagli ultimi anni delle scuole secondarie, rispondono sempre “un posto pieno di libri”. Definizione un po’ banale, se vogliamo, ma anche rassicurante, per la prontezza con cui esce dalle bocche dei Millennials (e dei loro fratelli minori). Dopo questa risposta, c’è sempre bisogno di un ulteriore sforzo affinché, con i ragazzi più grandi, sia possibile arricchire la scarna definizione: solo quando viene fatto loro notare che i libri non sono disposti a caso sugli scaffali e che il loro numero è tale da rendere impossibile ritrovarli tutti contando solo sulla memoria umana, essi si ricorda-no che la biblioteca è un insieme di libri ordinato, e che deve esistere un qualche luogo fisico o virtuale in cui sono registrati tutti i libri e grazie al quale sia possibile trovarli. “Questo luogo è il catalogo” sono solita dire a questo punto “e voi potete consultarlo co-modamente anche da casa, per cercare i libri che vi interessano, vedere se li abbiamo e capire dove si trovano”. Per quanto questa notizia sia spesso seguita da due o tre sguar-di interessati (e forse vagamente sorpresi) fra i piccoli, i ragazzi più gransguar-di restano scar-samente impressionati. È ovvio che il catalogo sia disponibile online: perfino la

ferra-1 La Biblioteca Civica di Pordenone possiede oltre ferra-150.000 risorse fra volumi, periodici e materiale multi-mediale; questo computo esclude le risorse online messe a disposizione attraverso le piattaforme ReteIn-daco e MediaLibraryOnLine (MLOL). Il bacino di utenza è piuttosto ampio: nel 2018 si contavano oltre ventimila tesserati in totale; nello stesso anno sono stati fatti poco meno di 44.500 prestiti. Oltre alla sede principale nel centro della città, la biblioteca conta cinque distaccamenti in altrettanti quartieri. (https://www.comune.pordenone.it/it/comune/il-comune/strutture/biblioteca)

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menta sotto casa ha un elenco di prodotti online, perché non dovrebbe avercelo la bi-blioteca cittadina?

È dunque con una certa sufficienza che i ragazzi mi seguono verso la postazione di ricerca della biblioteca: l’ennesimo sito web in cui poter cercare qualcosa, proprio come su Amazon, Ebay, Etsy, Youtube, Spotify, …

“Allora, cosa proviamo a cercare?” Fra i titoli in voga scelgo un classico valido per tutte le età: Harry Potter e la pietra filosofale. Scrivo alcune parole chiave (‘harry potter pietra’) e lancio la ricerca: il sistema mi presenta cinque risultati, tutti con lo stesso tito-lo e affiancati da immagini di ragazzini con cappelli a punta, treni rossi e anziani maghi dalla folta barba (Figure 1 e 2). I ragazzi osservano per un istante; poi comincia la raffica di domande e deduzioni: “Avete cinque copie?”, “Ma qual è quello giusto?”, “Sono tutti giusti, sono tutti uguali!”, “Ma allora perché ce ne sono cinque diversi?”, “I primi due sono romanzi, gli altri no!”

Le risposte a tutte queste domande sono già lì, nella pagina dei risultati, ma la loro presentazione è tale per cui non balzano all’occhio; oppure l’interpretazione delle infor-mazioni richiede una dimestichezza con l’universo bibliografico che molti di questi ra-gazzi non hanno ancora (o non avranno mai?).

Sì, tutti e cinque i risultati sono uguali, nel senso che tutti e cinque sono il romanzo Harry Potter e la pietra filosofale. Ma anche no, non sono tutti uguali perché a ben vedere il quarto risultato è un audiolibro, mentre il secondo si trova solo in una biblioteca di quartiere (la Biblioteca di quartiere “Mary Della Schiava”) e non nella sede centrale, dove si trovano i ragazzi; i primi due risultati poi presentano anche il sottotitolo “ro-manzo” dopo il titolo, che potrebbe far pensare che gli altri tre non siano romanzi (e in-vece lo sono).

Un adolescente medio, con il suo bagaglio di conoscenze e la sua cultura prettamen-te visiva, avrà la pazienza di leggere tutti dati che gli vengono presentati per scremare i risultati che non gli interessano (per esempio, l’audiolibro e il libro nella biblioteca di quartiere)? Intuirà poi che i risultati restanti sono tutti lo stesso libro, anche se vengono abbinati a immagini diverse e solo alcuni recano la dicitura ‘romanzo’? Ottenere una

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ri-sposta precisa a queste domande richiederebbe un’indagine vasta e approfondita sull’usabilità del particolare catalogo che stiamo considerando. Pur senza imbarcarci in una simile impresa, penso sia possibile affermare che i sistemi di ricerca attualmente a disposizione delle biblioteche pubbliche non offrano tutto ciò che potrebbero, in quanto applicazioni web, per provare a venire incontro a un insieme di utenti sempre più varie-gato e sempre meno coscio dei concetti di base che governano l'universo bibliografico. Quanti adolescenti, operai, impiegati saprebbero distinguere in pochi istanti un saggio da un romanzo? Quanti saprebbero elencare le caratteristiche che possono variare fra due diverse edizioni di un'opera di narrativa? Anche in questo caso, per rispondere con cognizione di causa servirebbe un sondaggio su vasta scala. E tuttavia, queste domande permettono di fare il passo successivo e di chiedersi: ma è compito degli utenti di una biblioteca pubblica conoscere i meccanismi dell'universo bibliografico? A mio modesto parere, la risposta è no. Gli utenti delle biblioteche pubbliche sono forse quanto di più variegato si possa incontrare: dal bambino appena entrato nella scuola primaria al ma-gistrato in pensione, passando per professionisti, genitori a tempo pieno, piccoli im-prenditori, disoccupati, studenti universitari di tutte le facoltà. Queste figure possono anche non capire la lingua ufficiale usata in biblioteca (rifugiati politici, studenti in Era-smus, lavoratori dall’estero) e perfino ignorare il funzionamento dell’istituzione in sé. La biblioteca ha il compito di andare incontro a tutte queste figure, favorendo il loro sviluppo educativo, fornendo aiuto in particolari questioni relative alla cittadinanza at-tiva o all'ambito professionale.

Se davvero il catalogo è lo strumento di mediazione fra la biblioteca e l’utente, ossia ciò che permette il dialogo fra chi entra in biblioteca e la collezione di risorse possedute, è chiaro che la sfida di progettare un catalogo utile e comprensibile a tutti può apparire impossibile. In un mondo utopico, una simile applicazione web dovrebbe essere multi-lingue, avendo cura di tradurre anche i metadati bibliografici; dovrebbe fornire inter-facce multiple a seconda delle differenze di approccio degli utenti (interfaccia per bam-bini, interfaccia per ricercatori, interfaccia per ipovedenti, …); dovrebbe continuamente

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oscillare fra l'adattamento all'utente che lo sta utilizzando e l'imparzialità nella presen-tazione dei contenuti.

Una simile meraviglia informatica è ancora lontana dal realizzarsi soprattutto in un ambito, come quello biblioteconomico italiano, in cui le risorse non sempre abbondano e i fronti su cui impiegarle sono molto più variegati della sola innovazione tecnologica. D'altra parte, i cataloghi informatici attualmente più usati dalle biblioteche pubbliche italiane sono ben lontani dall'utopia che abbiamo delineato: una loro valutazione in quanto semplici applicazioni web può far emergere alcune criticità. Se infatti un’appli-cazione web usabile dovrebbe puntare su una grafica pulita ed essenziale, una quantità di testo strettamente indispensabile alla comunicazione e un insieme di elementi di sup-porto che guidino l’utente con sicurezza durante l’utilizzo del sistema, i cataloghi delle biblioteche pubbliche italiane hanno ancora un po’ di strada da compiere per riuscire a soddisfare questi requisiti.

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Figura 1: I primi due risultati della ricerca 'harry potter pietra' su BiblioEst. Il secondo si trova solo nella biblioteca di quartiere “Mary Della Schiava”.

Figura 2: Gli altri tre risultati della ricerca. Il penultimo è un audiolibro mentre gli altri due, dal punto di vista dei contenuti, sono molto simili ai risultati in Figura 1.

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1. L

A

BIBLIOTECA

PUBBLICA

E

IL

SUO

CATALOGO

Questa indagine nasce con l’intento di approfondire la situazione dei cataloghi2 delle bi-blioteche pubbliche in Italia, esaminando i software più utilizzati e ricercando le loro eventuali potenzialità ancora inespresse. Nell’impossibilità di analizzare specificamente l’intero panorama delle biblioteche pubbliche italiane, sono state prese in considerazio-ne le biblioteche comunali di tutti i capoluoghi di provincia3. Questa scelta è sembrata sufficientemente rappresentativa di come il mondo delle biblioteche italiane interagisce con la popolazione.

L’indagine in sé scaturisce da questa domanda: il catalogo di una biblioteca civica o comunale risulta comprensibile, utile e interessante per il suo cittadino? Per rispondere è stato necessario dunque rivolgere la ricerca verso le istituzioni frequentate da un’utenza il più possibile variegata e non specialistica. Da qui dunque l’esclusione delle biblioteche universitarie, di ricerca ed ecclesiastiche, che pure potranno essere prese in considerazione, quando necessario, come termine di paragone.

2 Nel corso dell’intero lavoro, con “cataloghi” si intenderanno sempre gli OPAC (Online Public Access Cata-log), ossia i cataloghi online realizzati grazie a un'applicazione web. Può sembrare una precisazione scon-tata, ma è parsa particolarmente importante per differenziare i contenuti di questa ricerca con quelli di altri lavori che abbracciano anche l'idea astratta del catalogo di biblioteca a prescindere dalla sua mani-festazione sotto forma di software, e si occupano quindi più nello specifico di regole e standard di catalo-gazione. Questo lavoro potrà non di meno fare riferimento alla prassi catalografica, ma sempre con lo scopo di comprendere meglio le scelte informatiche applicabili agli OPAC.

3 Come si approfondirà più avanti, alcune delle biblioteche considerate sono in realtà afferenti a enti di-versi dal Comune cui appartengono, ma sono state ugualmente considerate valide per la ricerca poiché svolgono, nel proprio territorio, la funzione di public library assimilabile a quella di una biblioteca civica.

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La scelta di non indagare gli OPAC utilizzati da realtà più piccole dei capoluoghi pro-vinciali deriva invece da molteplici considerazioni. La compilazione di un’anagrafe dei software completa ed esauriente si preannuncia lunga e tortuosa a causa della fram-mentazione del panorama organizzativo delle biblioteche italiane, specie di quelle più piccole: sistemi, reti e sottoreti con che spesso non coincidono pienamente con zone geografiche circoscritte e si mescolano secondo criteri non sempre facili da intuire. Molto spesso, tra l'altro, queste realtà utilizzano gli stessi software delle biblioteche più grandi (o loro sottoprodotti); talvolta si servono invece di soluzioni più modeste, imple-mentate da aziende locali. Poiché lo scopo di questo lavoro è di indagare il livello di in-novazione di cui dispongono i cataloghi delle biblioteche civiche in Italia, l’inclusione dei sistemi bibliotecari più piccoli non sembrava apportare un valore aggiunto significa-tivo all’indagine.

Le domande alla base di questa ricerca nascono dall'osservazione di molteplici fatto-ri, uno su tutti la rilevazione di un aumento degli abbandoni scolastici in Italia e il con-seguente rischio di povertà educativa che grava sulla nostra società4. Inutile soffermarsi su quanto le biblioteche pubbliche, da sempre centri di aggregazione e garanti dell'apprendimento permanente (lifelong learning), possano incidere positivamente su questa situazione5. Ora più che mai, dunque, è fondamentale che le biblioteche parlino ai giovani: e quale miglior strumento del catalogo, per farlo? Nel suo essere un'applica-zione web raggiungibile (potenzialmente) da qualsiasi dispositivo, l'OPAC consente un approccio alla biblioteca individuale e, se vogliamo, anche più 'intimo' rispetto alla tra-dizionale conversazione con il bibliotecario di reference. L'OPAC permette la ricerca di

4 In Italia, il fenomeno dell'abbandono scolastico è stato per anni in costante diminuzione; a partire dal 2018, tuttavia, l'Istat ha registrato una piccola ma preoccupante inversione di tendenza: https://www.openpolis.it/numeri/si-interrompe-la-riduzione-degli-abbandoni-scolastici/ (elaborazione OpenPolis su dati Istat 2019). Da sottolineare, inoltre, lo stretto legame fra bassa istruzione e povertà as-soluta: https://www.openpolis.it/numeri/il-rapporto-tra-poverta-e-istruzione-2/ (elaborazione OpenPo-lis su dati Istat 2019).

5 Il ruolo cardine della biblioteca pubblica come promotrice di miglioramento culturale e sociale è stato ri -badito con forza più di vent'anni fa dall'UNESCO, in un manifesto che invita esplicitamente i governi na-zionali e locali a investire su queste istituzioni:

https://www.ifla.org/files/assets/public-libraries/publications/PL-manifesto/pl-manifesto-it.pdf

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libri proibiti o denigrati da genitori e insegnanti, presenta talvolta risultati accessibili stando comodamente sdraiati sul proprio letto (ebook e contenuti multimediali online). Il catalogo può quindi arrivare a costituire un punto di riferimento centrale per un ado-lescente alle prime armi con i servizi bibliotecari. Sempre che il ragazzo in questione riesca a capire come usarlo in tempi ragionevolmente brevi.

1.1 C

ATALOGHI E UTENTI

A partire dal XIX secolo, la figura dell’utente di una biblioteca civica ha subìto un pro-cesso di trasformazione che l’ha portata a perdere gradualmente un’identità di classe e a coincidere sempre più con il generico cittadino. Durante l’Ottocento, infatti, nel mon-do anglosassone si sviluppò il concetto di public library e nacquero le prime istituzioni pronte ad accogliere fra i propri utenti gli esponenti del proletariato e degli strati socia-li più bassi [Guida 2008, p. 109]. Col tempo, questo nuovo modo di concepire i servizi bi-bliotecari giunse anche in Italia dove, all'inizio del XX secolo, la maggior parte degli utenti di biblioteca proveniva ancora dagli strati più colti della società: erano, insomma, coloro che sapevano leggere, potevano trovare il tempo e i mezzi per andare in bibliote-ca ed erano interessati ai testi in essa contenuti (la narrativa di evasione non era ancora così abbondante sugli scaffali). È soprattutto dal secondo dopoguerra e con le rivoluzio-ni sociali dovute alla nascita della Repubblica e alla crescente consapevolezza dei gruppi storicamente più sottomessi che le biblioteche pubbliche italiane6 cominciano a riem-pirsi di una popolazione sempre più variegata. La forma più evoluta del catalogo in

que-6 In questa ricerca, si è deciso di tradurre public libraries con “biblioteche pubbliche”, anche se la letteratu-ra specialistica preferisce spesso mantenere il termine inglese. Nel mondo anglosassone, infatti, public

li-brary indica un ente con finalità e scopi ben precisi, così come in Italia potrebbe essere “biblioteca

dell'Università” o “biblioteca comunale”. In Italia, invece, l'aggettivo “pubblica” ha spesso destato qual-che fraintendimento: per “biblioteca pubblica” si intende genericamente una biblioteca aperta al pubbli-co? Oppure una biblioteca le cui risorse, acquistate da enti pubblici, sono quindi demanio pubblipubbli-co? An-che una biblioteca statale ad accesso pubblico An-che si occupa prevalentemente di conservazione è dunque una biblioteca pubblica? Nell'ambito di questo lavoro, la dicitura “biblioteca pubblica” verrà usata sem-pre e solo come equivalente di public library: un ente ad accesso libero, promosso dall'amministrazione lo-cale, privo di velleità specialistiche o di conservazione e proteso verso l'intera cittadinanza.

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sto momento è la raccolta di schedine cartacee stampate dal bibliotecario catalogatore e conservate in armadi a cassetti, ordinati alfabeticamente secondo il titolo, l’autore, il soggetto o qualche altra parola scelta dalla biblioteca; può inoltre sussistere ancora il cosiddetto catalogo a libroni, costituito cioè da volumi a stampa contenenti le registra-zioni bibliografiche dei libri presenti in biblioteca. La ricerca di un testo nel catalogo a schede è di tipo precoordinato, vale a dire che può essere svolta solo secondo alcune de-terminate tipologie di metadati. La modalità di interazione fra utente e catalogo è sem-pre la stessa, ossia la consultazione di una lista in ordine alfabetico: un metodo estrema-mente lineare e intuitivo nella cultura pre-digitale.

Negli anni ‘70 le biblioteche statunitensi cominciano a digitalizzare le loro schede di catalogo mantenendo, almeno agli inizi, l’impostazione precoordinata del catalogo car-taceo; le possibilità dei database e la nascita del web, tuttavia, portarono i cataloghi a evolversi molto rapidamente. A metà degli anni ‘90 nacquero negli U.S.A. i primi OPAC basati sul web; da almeno una decina d’anni il metodo di ricerca aveva abbandonato la precoordinazione a favore delle tecniche postcoordinate fornite dalle basi di dati [Guida 2008, p. 210; Frigimelica-Marchitelli 2012, p. 29]. Gli utenti (e i bibliotecari) potevano fi-nalmente cercare incrociando più parole chiave, espresse in un query language formale che si è reso via via sempre più invisibile, fino alle interfacce odierne. Il catalogo si tra-sformava sempre di più in uno strumento a disposizione di tutti – e, come già sottoli-neato, quando si dice “tutti” parlando di una biblioteca pubblica s'intende potenzial-mente chiunque.

L’assenza di caratteristiche comuni fra le persone che si possono trovare a consulta-re un OPAC può portaconsulta-re ad accostaconsulta-re questa applicazione alle grandi applicazioni web che, similmente, nascono per rivolgersi all'universo mondo (Facebook, Instagram, Spo-tify, …), nonostante le finalità di queste due tipologie di strumenti non potrebbero esse-re più distanti fra loro. E infatti le diffeesse-renze fra di esse non mancano. La prima, enorme discrepanza è che le applicazioni di successo globale hanno alle spalle la libertà di esse-re un’impesse-resa e un solido business plan che le ha portate a otteneesse-re il successo di cui go-dono attualmente: nascono insomma come un prodotto da diffondere e sviluppare il più

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possibile in modi sempre nuovi e accattivanti, pena la stagnazione e l’estinzione. Un OPAC, invece, nasce anzitutto come trasposizione digitale di uno strumento che già da decenni era calibrato per rivolgersi a tutti, e solo dopo decenni comincia a staccarsi dal modello analogico che ha ereditato in un primo momento – e tra l’altro se ne distacca imitando proprio la sfera social delle altre applicazioni summenzionate7. Se una bibliote-ca pubblibibliote-ca si serve di un OPAC non all’avanguardia, è molto improbabile che possa (e voglia) abbandonarlo con la stessa rapidità con cui qualsiasi altra applicazione web in-soddisfacente viene accantonata dai suoi utenti finali.

E con ciò si giunge alla seconda grande differenza fra la situazione degli OPAC e quella delle applicazioni di tendenza: la presenza delle biblioteche e dei bibliotecari come intermediari fra le aziende che materialmente creano l’applicazione e gli utenti fi-nali dell’applicazione stessa8. Questa presenza può avere alcuni risvolti negativi per la salute delle applicazioni create. Da un lato, le biblioteche civiche afferiscono a enti pub-blici locali e perciò i tempi con cui possono scegliere o cambiare il loro software di cata-logazione devono sottostare ai tempi e alle procedure della burocrazia italiana. Inoltre, le reti di biblioteche sono ormai la spina dorsale del sistema bibliotecario italiano;

que-7 L'imitazione della sfera social, con la possibilità di postare commenti e votazioni per i libri nel catalogo e interagire con gli altri utenti registrati, è una spinta evolutiva che ha interessato maggiormente gli OPAC delle biblioteche pubbliche, che si sono trasformati nei portali social e multiservizi chiamati attualmente

next generation catalogues; contemporaneamente, le biblioteche accademiche si sono concentrate invece

sul potenziamento delle funzioni di ricerca, sull'integrazione di risultati provenienti da piattaforme di-verse e sull'ottimizzazione della presentazione dei risultati, realizzando i cosiddetti discovery tools. Anche i next generation catalogues si avvalgono di funzionalità di ricerca evolute rispetto ai cataloghi della gene-razione precedente, come per esempio la ricerca a faccette, pur senza puntare esclusivamente su questo ambito di sviluppo [Bianchini 2012, p. 307].

8 La letteratura specialistica è da tempo concorde nell'affermare con forza la centralità dell'utente in tutte le attività della biblioteca pubblica; il dibattito professionale si occupò approfonditamente del rapporto con l'utenza fin dai primi anni '90. In tempi recenti possiamo ricordare, puramente a titolo d'esempio e senza pretese di esaustività, i lavori di ricerca di Chiara Faggiolani sulla biblioteconomia sociale, che han-no portato anche a una stretta collaborazione con l'Istat per analizzare i dati relativi ai fruitori delle bi-blioteche pubbliche italiane [Faggiolani-Federici 2018]; e quelli di Carlo Bianchini che, prendendo le mos-se da un'accurata disamina del pensiero di Shiyali Ramamrita Ranganathan, descrive nel dettaglio come e perché occorre personalizzare i servizi all'utente, in particolare il servizio di reference [Bianchini 2017b, p. 10]. Anche il catalogo di una biblioteca pubblica, perciò, deve essere orientato specificamente all'uten-te, nonostante esso abbia anche finalità di gestione e controllo delle risorse possedute e dunque possa sembrare più uno strumento interno che un servizio al pubblico [Leombroni 2017].

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sto fa sì che, se una biblioteca vuole entrare a far parte di un sistema, spesso non ha la possibilità di scegliere il software di gestione e dovrà adottare quello scelto in preceden-za dall’intero polo. Le biblioteche in quanto istituzioni, insomma, possono conferire al mercato dei software un ritmo più lento e una staticità insoliti per un’azienda informa-tica9.

Talvolta può capitare che siano i bibliotecari stessi a rallentare le possibilità di svi-luppo degli OPAC, sebbene in modo non intenzionale. Come accade anche in ambiti completamente diversi da quello delle biblioteche, le novità, specie quando sono tecno-logiche, possono incutere un certo timore o suscitare sentimenti di rifiuto. Non sempre dunque le aziende di software vengono spronate dai bibliotecari a trovare la soluzione più avanzata per gli utenti; e chi lavora in biblioteca, spinto anche dall'abitudine, po-trebbe ritenersi del tutto soddisfatto dallo strumento OPAC messo a sua disposizione e non considerare indispensabile un aggiornamento costante, che implicherebbe costanti novità. Il risultato quindi può portare a un’interfaccia sempre meno connessa ai deside-ri dell’utente e al mondo delle altre applicazioni web – ma sempre comoda da usare per i bibliotecari. Non è sempre facile per le aziende riuscire a far prevalere la novità e riaf

-9 Per fare un esempio di quanto l'aspetto burocratico delle biblioteche pubbliche italiane incida sul rappor-to che esse hanno con i loro software di gestione possiamo considerare il questionario che Marshall Bree-ding, guru dei sistemi informatici per biblioteche, invia annualmente alle biblioteche statunitensi per in-dagare lo stato dei loro software. Fra le domande, spicca quella relativa ai trend di migrazione (migration

patterns): viene richiesto cioè se la biblioteca sia in procinto di cambiare software (“it is shopping for a new system”). Una volta raccolte le risposte, Breeding raggruppa le biblioteche suddividendole a seconda del

software che attualmente stanno utilizzando; si crea così una tabella di confronto, con le percentuali di quante biblioteche stiano per abbandonare un determinato software. I risultati sono davvero interessan-ti: negli ultimi dieci anni, solo tre software fra i 11 più utilizzati ha avuto percentuali di migrazione vicine o pari allo 0; il 2018 conta una percentuale di abbandoni di almeno il 2% per tutti i software (la percen -tuale maggiore è il 83% per Voyager, un software Ex Libris). Questi dati sono sintomo di un mercato di software vitale, in cui le biblioteche, anche le più piccole, possono gestire piuttosto liberamente il rap-porto con i loro programmi e ricercare costantemente la soluzione migliore per i propri utenti. Una simi-le vitalità sarebbe pressoché impossibisimi-le nel mercato italiano, dove la biblioteca in quanto ente pubblico deve interfacciarsi anche con il sistema bibliotecario di appartenenza e considerare inoltre il dialogo con l'Indice del Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN), la rete istituzionale e informatica delle biblioteche ita-liane. Da sottolineare poi l'endemica scarsità di fondi, che frena gli slanci di rinnovamento e induce a ri-flettere molto attentamente sui vantaggi di un eventuale cambiamento. Il rapporto Perceptions 2018 è di-sponibile sul sito di Marshall Breeding: https://librarytechnology.org/perceptions/2018/.

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fermare con forza che il fine ultimo del catalogo è quello di essere usato dai frequenta-tori della biblioteca e non dai bibliotecari.

E tuttavia un software ben fatto, ossia al passo con l’evoluzione dell’interfaccia uten-te e dei sisuten-temi di ricerca, viene utilizzato più spesso e più facilmenuten-te, portando vantag-gi a tutti: agli utenti, che riescono a gestire le proprie ricerche in quasi totale autono-mia, ma anche ai bibliotecari che, grazie all’indipendenza degli utenti, potranno dedica-re più odedica-re del proprio lavoro alle attività di back office, dalla catalogazione all’organiz-zazione degli eventi di promozione della lettura.

Ma i cataloghi attualmente a disposizione delle biblioteche civiche italiane sono software ben fatti? In apertura ho descritto una scena che accade molte volte quando presento il catalogo ai giovani frequentatori della biblioteca in cui lavoro (e anche ai meno giovani, ma ugualmente poco esperti di ricerca bibliografica). Il risultato del pri-mo incontro fra il catalogo e gli utenti inesperti non è sempre dei più lusinghieri; eppu-re, come vedremo, la biblioteca civica di Pordenone adotta per il suo catalogo uno dei software più avanzati a disposizione delle biblioteche civiche italiane, e sicuramente il più utilizzato dalle biblioteche medio-grandi.

1.2 B

REVE STORIA DEGLI

OPAC

Comprendere le condizioni socio-economiche che hanno influenzato l’informatica in Italia fin dagli esordi può aiutare a inserire lo studio degli OPAC all’interno del loro giu-sto contegiu-sto. Non sono moltissimi gli studi specifici sulla giu-storia dell’informatica italia-na10; ancora meno, quindi, sono i lavori storiografici che approfondiscono specificamen-te l’evoluzione dei software italiani. Si tratta forse di un argomento ancora troppo di

10 Silvio Hénin, studioso di storia della tecnologia, afferma che «la letteratura sulla storia dell’informatica è quasi totalmente monopolizzata da autori americani» [Hénin 2019, p. 4] e continua sottolineando come la rivista IEEE Annals of the History of Computing, l'unico periodico internazionale dedicato espressamente alla storiografia informatica, abbia pubblicato in quarant'anni di attività solo 124 articoli riguardanti la storia dell'informatica in paesi diversi da U.S.A. e Regno Unito, ossia circa un decimo degli articoli totali [ ivi, p. 5].

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nicchia in una disciplina che, quasi per definizione, punta costantemente al futuro e volge di rado lo sguardo all’indietro per tirare le fila di cosa è stato11.

Uno dei volumi cardine per questo breve excursus storico è sicuramente La CEP pri-ma della CEP: storia dell’inforpri-matica: si tratta degli atti del convegno tenuto a Pisa nel no-vembre 2011 per celebrare i cinquant’anni dalla creazione della Calcolatrice Elettronica Pisana (CEP), il primo computer creato in Italia. I contributi più interessanti in questa sede sono sicuramente quelli che indagano i passaggi preliminari al completamento del-la CEP: quel periodo di transizione durante il quale l’Italia, sebbene ancora sofferente per le ripercussioni della Seconda Guerra Mondiale, compì sforzi ingenti per riuscire a entrare a sua volta nel mondo del calcolo digitale. Viaggi-studio di fisici e ingegneri ne-gli U.S.A., collaborazioni fra istituti pubblici e aziende private (una su tutte, la Olivetti), contatti con altri stati europei ugualmente alla ricerca della chiave per lo sviluppo delle neonate tecnologie informatiche: l’Italia diede avvio a tutte queste iniziative e a molte altre, spinta dall’urgenza di poter usufruire di un proprio calcolatore elettronico.

Nonostante questi sforzi, la parola che emerge con una certa regolarità negli studi che trattano questo periodo è ‘ritardo’12. Un ritardo causato da motivi economici e

ideo-11 Nonostante infatti gli studi storici sulle tecnologie informatiche siano iniziati molto presto, se confronta-ti con i tempi evoluconfronta-tivi dei fenomeni che avevano come oggetto, la storia dell'informaconfronta-tica come disciplina a se stante ha purtroppo ancora un po' di strada da fare per riuscire a guadagnare lo spazio che le spetta nel mondo accademico e al di fuori di esso. «Un giovane professionista o ricercatore deve essere orienta-to al futuro, all’innovazione, allo sviluppo e poco conta cosa è staorienta-to fatorienta-to prima»: quesorienta-to sembra essere ancora il pensiero dominante nei corsi di informatica, che solo in alcuni atenei prevedono l'insegnamen-to della sl'insegnamen-toria della propria disciplina [Hénin 2019, p. 1]. A tutl'insegnamen-to ciò si aggiunge, nel caso specifico dei software, l’obiettiva difficoltà di indagare la storia di prodotti così ‘volatili’, le cui interfacce mutano ve-locemente senza che ne restino tracce facilmente consultabili.

12 Una volta completata, la CEP ricevette apprezzamenti anche al livello internazionale; lo statunitense Nel-son M. Blachman, tuttavia, affermò in un suo rapporto che il ritardo con cui la macchina fu terminata le impedì di suscitare maggiore impatto sul mercato dei calcolatori in Europa (Blachman, The state of digital

computer technology in Europe, 1961:

http://www.netaffair.org/documents/1961-blachman-the-state-of-digital-technology-in-europe.pdf). Proprio riguardo al ritardo nel completamento della CEP, però, è inte-ressante segnalare il dettagliato contributo di Giovanni Cignoni La 1a CEP, quella dimenticata [Cignoni

2014]. Attraverso una minuziosa ricostruzione storica e grazie all'esperienza di archeologia sperimentale maturata nell'ambito del progetto HMR – Hackerando la Macchina Ridotta (https://www.progettohmr.it/), Cignoni riporta alla luce la storia accantonata della Macchina Ridotta, il prototipo che avrebbe dovuto costituire solo un primo passo pratico verso la costruzione della CEP vera e propria. Come sottolineato nel contributo, invece, la MR fu un calcolatore pienamente funzionante, per

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logici13; un ritardo che, a ben vedere, potrebbe essere definito oggettivamente inevitabi-le e insito nel progetto stesso, intrapreso in un Paese che da poco era stato per metà sventrato dalle bombe e per metà dilaniato dalla guerra civile della lotta partigiana.

Nell’ottica di questo ritardo conclamato si inserisce anche l’interessante memoir di Mario Bolognani: Il lamento del software: viaggio sentimentale nella storia dell’industria infor-matica italiana (e alcune idee per il futuro). Come si intuisce già dal sottotitolo, si tratta di un racconto in chiave autobiografica in cui Bolognani ripercorre le principali tappe del-la propria carriera, a partire daldel-la sua prima assunzione presso del-la Olivetti come proget-tista di software (1967); in parallelo con la sua vicenda professionale, scorrono gli eventi che hanno maggiormente influenzato la storia del software italiano. Si tratta dunque di un testo fortemente personalizzato, senza eccessive velleità scientifiche; fornisce tutta-via una chiave originale e interessante per cominciare a indagare un ambito della storia dell'informatica che sembra passare tendenzialmente sotto traccia. Secondo Bolognani, al generale ritardo con cui l’informatica è penetrata nell’economia italiana si aggiunge l’aggravante di un diffuso svilimento della componente software. Fin dagli esordi, affer-ma Bolognani, lo sviluppo dei calcolatori elettronici italiani fu determinato, com'era

lo-quanto non potentissimo, e venne effettivamente impiegato per ricerche accademiche fin dal 1958, ben tre anni prima dell'inaugurazione ufficiale della sua erede. Tuttavia la sua natura di mero gradino verso la creazione della Calcolatrice, unita a diverse altre contingenze, impedirono al mondo accademico italia-no ed estero di apprezzare pienamente il valore di questa macchina, che fu presto smantellata per co-struire la CEP.

13 Mauro Picone, presidente dell'INAC (Istituto Nazionale per le Applicazioni del Calcolo), fu sicuramente uno dei personaggi più solerti nel tentativo di portare in Italia la nuova scienza dei calcolatori elettronici: strinse per esempio un accordo con Olivetti per inviare negli U.S.A. uno degli ingegneri dell'azienda, Mi-chele Canepa. Costui avrebbe imparato tutto ciò che c'era da sapere e, una volta rientrato in patria, avrebbe dato il via a un progetto di costruzione di un elaboratore, cofinanziato da INAC e Olivetti. Pur-troppo, la scarsità di fondi degli enti pubblici era un problema allora come oggi e, al ritorno di Canepa, Picone insistette affinché gli oneri economici ricadessero interamente sulla Olivetti. L'accordo sfumò e il progetto restò incompiuto, lasciando il know-how americano appena acquisito in mani esclusivamente private. [Celli-Mattaliano, Mauro Picone e i primi progetti per un calcolatore italiano, in CEP 2013, p. 9]

Dal punto di vista ideologico, inoltre, ferveva il dibattito fra coloro che volevano acquistare un calcolato-re americano, per poterne subito sfruttacalcolato-re le potenzialità ed effettuacalcolato-re contemporaneamente studi di in-gegneria inversa per arrivare con calma alla produzione in proprio; e coloro che vedevano in questa solu-zione un'intollerabile dipendenza dell'Italia da aziende estere e puntavano invece sulla formasolu-zione di giovani ingegneri italiani tramite viaggi di studio ed esperienze negli U.S.A., affinché il primo calcolatore usato in Italia fosse interamente italiano [ivi, p. 13].

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gico, principalmente da coloro che avevano competenze elettrotecniche: ciò permise di sviluppare col tempo macchine dalle buone prestazioni ma pose in secondo piano la programmazione del software necessario a farle girare, finendo per alimentare il pre-concetto secondo il quale il software è un componente subordinato all’hardware e, in quanto tale, necessita di minori sforzi di ricerca e progettazione.

In questo quadro multiforme si inseriscono gli eventi e le scelte che portarono all’automazione delle biblioteche italiane, e occorre rilevare come anche queste vicende siano state determinate tanto da ritardi burocratici e scientifici quanto da alcune singo-le, brillanti iniziative. In un articolo ormai piuttosto datato ma sempre puntuasingo-le, Clau-dio Leombroni delinea la storia dell’automazione bibliotecaria dando un segno a ciascun decennio [Leombroni 2003]. Gli anni ‘60 sono il decennio della razionalizzazione dei pro-cessi, e le prime applicazioni di gestione automatica delle informazioni vengono sfrutta-te unicamensfrutta-te con lo scopo di migliorare i sfrutta-tempi e i metodi del lavoro insfrutta-terno delle bi-blioteche (soprattutto catalogazione e acquisizioni). Gli anni ‘70 sono gli anni della con-nettività fra biblioteche: l’informatica serve allora per collegare le basi di dati delle principali biblioteche italiane e gettare le fondamenta per un servizio bibliotecario na-zionale14. Gli anni ‘80 segnano il punto di non ritorno per l’automazione bibliotecaria italiana: mentre prima il rapporto con l’informatica si era sviluppato soprattutto per iniziativa di alcune singole biblioteche, in base a esigenze e fondi contingenti, ora nasce e si sviluppa il Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN). Leombroni lo definisce il decennio delle dicotomie, e a ragion veduta: gli accesi dibattiti professionali scaturiti dapprima dalle scelte progettuali e poi dai ritardi nell’implementazione sfociarono in prese di po-sizione nette e divisioni ancora oggi non del tutto superate15. Con lo scopo di ottenere

14 Le due Biblioteche Nazionali Centrali si prodigarono in questi anni allo scopo di favorire la cooperazione bibliotecaria. A Roma, Angela Vinay progettava il futuro “sistema nazionale di informazione bibliografi-ca” cominciando a collaborare con i centri di calcolo della Corte di Cassazione e dell'Università di Roma. Contemporaneamente, a Firenze, si sta lavorando sull'automazione della Bibliografia Nazionale Italiana, in vista di un possibile sistema di catalogazione derivata. Nonostante gli sforzi di cooperazione siano co-minciati dunque negli anni '70, l'effettivo collegamento informatico fra biblioteche avverrà solo nel 1992, con la connessione della BNCR e della BNCF all'Indice SBN.

15 Nonostante il nome e la sua ormai piuttosto lunga vita, il Sistema Bibliotecario Nazionale non comprende ancora tutte le biblioteche pubbliche italiane. Intervenendo nel 2016 alla giornata di studi in occasione

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risultati in tempi brevi e di poter usufruire dei fondi stanziati dal neonato Ministero dei Beni Culturali, la realizzazione di SBN venne affidata nel 1985 alla Italsiel (Gruppo Fin-siel), che proponeva l’abbandono del protocollo aperto ISO/OSI a favore di un protocollo proprietario e che, alla fine, consegnò il prodotto finito con più di quattro anni di ritardo, nel 1992; ossia quando ormai il web era nato e il ‘nuovo’ SBN, che nei disegni origi -nari non poteva di certo prevedere l’architettura client-server, era già obsoleto16.

La progettazione di SBN portò alla luce la più grave mancanza dei bibliotecari italia-ni nei confronti dell’innovazione tecnologica: l’assenza di una riflessione comune e lun-gimirante che permettesse di percepire, anche solo nella fantasia, le potenzialità dei nuovi mezzi a disposizione e soprattutto le loro implicazioni sociali. Si distinsero in que-gli anni diversi paladini dell’informatizzazione delle biblioteche (una su tutti Angela Vi-nay, appassionata promotrice e progettista di SBN), ma furono personalità che, pur riu-scendo a ottenere importanti risultati di digitalizzazione, non riuscirono a far prevalere la propria visione d’avanguardia nelle coscienze della classe bibliotecaria italiana di quegli anni17.

del trentennale di SBN, Paul Garbiele Weston, docente fra l'altro di Storia delle Biblioteche in età Moder-na, sottolineò: «Sono molte le biblioteche che, avendo optato in anni passati per soluzioni differenti, esterne ad SBN, per difficoltà tecniche ed organizzative, costi, diffidenza verso procedure ritenute poco flessibili, copertura bibliografica non totalmente adeguata alle esigenze dei propri lettori, un formato proprietario che avrebbe impedito lo scambio delle notizie a livello internazionale, hanno mantenuto nel tempo le distanze da SBN non lasciandosi coinvolgere e anzi facendo – del tutto rispettabilmente, e anzi opportunamente dal loro punto di vista – scelte in qualche modo alternative» (la citazione è riportata in [Turbanti 2016, p. 419]). Solo per elencare alcuni esempi, la Valle d'Aosta è completamente assente dall'Indice, così come la provincia di Trento (ma esiste invece il polo SBN di Bolzano, che pure non com -prende la biblioteca civica di Bolzano). In Friuli Venezia Giulia, che cito solo per ragioni di provenienza geografica e non perché sia l'unica regione in questa situazione, mancano all'appello tutte le biblioteche pubbliche medio piccole dell'Alto e Basso Friuli e della montagna pordenonese, oltre che l'intero sistema bibliotecario dell'Università di Udine (https://www.iccu.sbn.it/it/SBN/poli-e-biblioteche/).

16 La stessa rincorsa tecnologica avvenne qualche anno dopo, quando l’architettura di SBN venne rielabora-ta nell’ottica client-server: era già il tempo delle architetture web-based, e SBN era ancora una volrielabora-ta un pas-so indietro [Leombroni 2008, p. 269].

17 La mancanza di un vero e proprio dibattito nazionale che potesse cambiare la percezione che i biblioteca-ri avevano del propbiblioteca-rio lavoro è dovuta forse all'assenza, nell'immediato dopoguerra, di un'associazione forte che potesse stimolare e guidare il confronto, fornendo un punto di incontro fisico e ideologico. Le attività dell'Associazione Italiana per le Biblioteche (nata nel 1930) subirono infatti un arresto dal 1940 al 1945 e, in seguito, l'associazione venne ricostruita in ottica più democratica; un po' come ricominciare da capo. Era attivo in quegli anni anche il Comitato d'intesa tra i bibliotecari degli enti locali, nato nel 1949,

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Questa situazione portò con sé un’altra spiacevole conseguenza: la continua procra-stinazione dell’informatizzazione dei servizi diretti all’utente. Concentrandosi sul mi-glioramento dei processi interni, sulla connessione fra istituzioni, sull’implementazione di SBN, le più importanti biblioteche in Italia lavorarono per decenni senza elaborare e realizzare idee che aiutassero concretamente i loro utenti [Leombroni 2017, p. 128]. Il Servizio Bibliotecario Nazionale venne progettato da un team di bibliotecari tra il 1979 e il 1985 e venne concretamente realizzato tra il 1985 e il 1992; solo nel 1997 nacque l’OPAC SBN, ossia lo strumento che avrebbe poi permesso a chiunque avesse una con-nessione internet di cercare fra le risorse contenute nelle varie biblioteche aderenti. Si tratta di uno scarto di quasi vent’anni fra l'ideazione di un servizio e la sua distribuzio-ne alla collettività18.

A questo quadro problematico si affiancano tuttavia alcune esperienze positive: si possono contare infatti svariate iniziative locali, più o meno grandi, che attuarono piani lungimiranti in grado di fornire un vantaggio concreto ai cittadini19. Quello che mancò in quest’opera di rinnovamento dei servizi all’utente fu tuttavia un forte coordinamento centrale, attivo invece fin dal principio in altre esperienze europee20.

che svolgeva una funzione concorrente a quella dell'AIB (https://www.aib.it/aib/cen/crono.htm). 18 Nel 1979 si tenne a Roma la Conferenza nazionale delle biblioteche italiane per l'attuazione del sistema

biblioteca-rio nazionale (gli atti furono pubblicati quello stesso anno per i tipi di Palombi), che gettò le basi

ideologi-che per l'elaborazione dell'intero servizio, sviluppato poi negli anni a seguire. Le tappe successive sono riportate anche nella pagina dedicata a SBN sul sito dell'ICCU: il 1985 vide la creazione dei primi Poli bi-bliotecari, il 1992 il primo collegamento informatico fra di essi (https://www.iccu.sbn.it/it/SBN/).

19 Occorre ricordare infatti che il trampolino di lancio per l'effettiva progettazione di SBN venne fornito dal fermento di idee e proposte partito dalla Toscana: fu infatti la collaborazione fra Biblioteca Nazionale di Firenze, l'Istituto Universitario Europeo e Servizio Beni Librari della Regione Toscana a teorizzare le in-frastrutture che portarono alla realizzazione dello SNADOC (Servizio Nazionale di Accesso al Documen-to), in un certo senso il 'nonno' di SBN (Giordano, Verso la rete: dalla cooperazione toscana al progetto SBN, 2011: http://storia.bncf.firenze.sbn.it/presente-2/la-biblioteca-oggi/verso-la-rete-dalla-cooperazione-toscana-al-progetto-sbn/). Le biblioteche della provincia di Ravenna, a loro volta, cominciarono a proget-tare la condivisione del proprio sistema di gestione fin dal 1980

(http://www.bibliotecheromagna.it/main/index.php?id_pag=28).

20 Le biblioteche britanniche e statunitensi, per esempio, cominciarono il loro processo di digitalizzazione già dagli anni '50; poterono contare fin da subito su una forte tradizione di condivisione dei cataloghi e non da ultimo sulla presenza di un'adeguata infrastruttura di telecomunicazioni [Borgman 1997].

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Le vicende legate a SBN ebbero purtroppo un altro effetto collaterale. Poiché il siste-ma venne progettato su codici e protocolli proprietari, questa chiusura portò di fatto al blocco di qualsiasi concorrenza nel mercato italiano dei software per le biblioteche: chi voleva collegarsi al neonato SBN doveva affidarsi al software appositamente implemen-tato, abbandonando quello che aveva utilizzato fino ad allora21. Non si trattava di un vero e proprio monopolio poiché, negli anni di progettazione e creazione del sistema, le regioni Emilia Romagna, Lombardia e Piemonte collaborarono attivamente con l’ICCU e si affidarono ad alcune ditte locali per elaborare sistemi informatici destinati a dialoga-re con SBN, una volta completato. All’atto della sua nascita, quindi, il mercato italiano di software per le biblioteche era saldamente controllato da Italsiel, Celcoop (Emilia Roma-gna), Lombardia Informatica e CSI Piemonte. Come vedremo, questa situazione è sensi-bilmente migliorata negli anni, grazie alla graduale apertura di SBN e alla nascita di nuove aziende dedicate ai software per le biblioteche.

In questo contesto un po’ travagliato si inserisce lo sviluppo delle applicazioni soft-ware dedicate agli utenti: gli OPAC, che cominciarono a diffondersi nelle biblioteche pubbliche italiane a partire dagli anni Novanta22.

Dal punto di vista puramente strutturale, un OPAC si compone di tre parti:

• database: l’insieme di dati bibliografici afferenti alle pubblicazioni contenuti in biblioteca; costituisce il mare magnum entro cui pescare quando un utente compie una ricerca. Attualmente, gli OPAC italiani salvano i dati nel formato UNIMARC, lo standard di metadati bibliografici elaborato negli anni ‘70 e diffuso in tutti il mondo.

21 Durante la fase di realizzazione di SBN, i suoi organi di governo «scoraggiarono ogni tentativo di realiz -zare applicativi per microelaboratori capaci di interoperare anche a basso livello con il SBN» [Leombruni 2003, p. 191]. Chi desiderava entrare nella rete, perciò, non poteva stringere accordi con aziende di soft-ware locali ma doveva rivolgersi esclusivamente all'ICCU e al softsoft-ware progettato appositamente per SBN.

22 Le università italiane, invece, si erano approcciate già da tempo ai primi OPAC, intuendo la portata del cambiamento nella ricerca bibliografica di cui professori e studenti avrebbero usufruito grazie a questo nuovo strumento [Frigimelica-Marchitelli 2012, p. 27].

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• modulo di ricerca: costituito dal motore di ricerca e dagli strumenti a esso ne-cessari per completare i suoi compiti (inverted index, ...). Uno dei motori di ricerca più utilizzati dai software per le biblioteche in Italia è Apache Lucene.

• interfaccia: la porzione di software con cui l’utente interagisce direttamente e che gli permette di raggiungere i suoi scopi di ricerca.

A prescindere dalla futura innovazione tecnologica, si può supporre che queste tre com-ponenti resteranno per lungo tempo tasselli imprescindibili di un OPAC: vale a dire, l’utente avrà sempre bisogno di un’interfaccia con cui lavorare, che a sua volta chiederà le informazioni a un motore di ricerca, che le andrà a cercare in un insieme ordinato di dati. Questo accadrebbe anche se l’interfaccia fosse un androide che contiene nella pro-pria memoria l’intero database della biblioteca, strutturato tramite triple RDF e aggior-nato in tempo reale tramite wi-fi.

Ciò che cambierà saranno probabilmente le tecnologie che permettono di imple-mentare queste tre componenti. Forse, in un futuro lontano, gli attuali database relazio-nali si trasformeranno in triplestore di linked data, e di conseguenza i motori di ricerca non si fonderanno più solo sulla ricerca testuale ma anche sull’identificazione di rela-zioni esistenti con i termini inseriti dall’utente23; le interfacce, attualmente ancora mol-to legate a concetti bibliografici sempre meno familiari agli utenti, potrebbero evolvere fino a presentare all’utente risultati sempre più soddisfacenti attraverso poche intera-zioni.

23 Già da diversi anni l'ICCU si sta approfondendo le possibilità offerte dai Linked Open Data, per applicarli all'Indice SBN. Risale al 2014 la collaborazione con il laboratorio VAST-LAB di Prato (afferente all'Univer-sità di Firenze), nata con lo scopo di convertire in LOD un set di record estratti da SBN, per poi creare un prototipo di interfaccia per l'interrogazione di questi dati. Il progetto, coordinato dal Gruppo di lavoro Linked Open Data SBN, sta attualmente concentrando i propri sforzi sulla mappatura di Edit 16, il censi-mento nazionale delle cinquecentine italiane (https://www.iccu.sbn.it/it/attivita-servizi/gruppi-di-lavoro-e-commissioni/pagina_0005.html). Nel 2015, inoltre, è stata stipulata la convenzione fra l'ICCU e il Polo Digitale degli Istituti Culturali di Napoli, per creare «un sistema di gestione semantica integrato con la fonte descrittiva rappresentata dal catalogo collettivo, in grado di accompagnare l’ICCU nel complesso processo della produzione e del mantenimento in Linked Open Data della base bibliografica di Indice» (https://www.iccu.sbn.it/it/attivita-servizi/attivita-nazionali/pagina_0007.html).

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Questa evoluzione degli OPAC tuttavia si preannuncia lunga e complessa. Occorre fare i conti con la relativa stagnazione del mercato di software per le biblioteche di cui abbiamo parlato sopra; ma anche con altre considerazioni, provenienti dagli ambiti di ricerca più strettamente biblioteconomici. Negli anni passati, infatti, gli organi bibliote-cari più rilevanti a livello internazionale si sono interrogati sulle possibilità che i Linked Open Data avrebbero potuto offrire agli OPAC del futuro. Da questa riflessione sono nati Resource Description and Access (RDA), lo standard americano per la descrizione delle risorse bibliografiche, BibFrame, un nuovo modo di intendere la creazione e la trasmis-sione di dati bibliografici sotto forma di linked data, e IFLA Library Reference Model (LRM), un modello concettuale che, sulla base dei precedenti Functional Requirements for Bibliographic Records (FRBR), riconsidera le entità bibliografiche con cui i bibliote-cari lavorano quotidianamente24. Dopo svariati anni di elaborazione, queste novità sono state pubblicate perché il mondo bibliotecario le possa studiare e, volendo, applicare: sebbene infatti RDA e BibFrame siano state elaborate negli U.S.A. da un ente governati-vo, anch’essi come IFLA LRM aspirano a essere considerati standard di respiro interna-zionale, per quanto la loro diffusione nel mondo, probabilmente, non sarà del tutto pri-va di ostacoli e battute d'arresto. Come è già accaduto in situazioni simili, infatti, sarà difficile che altre nazioni, specie se dotate di una solida tradizione catalografica, accetti-no RDA così com’è stato elaborati dagli Stati Uniti. Più probabilmente verrà dato il via a una serie di personalizzazioni nazionali di RDA, che richiederanno diverso tempo per essere elaborate e pubblicate25. L'insieme di tutti questi nuovi standard da approfondire,

24 Gli standard RDA e BibFrame sono stati elaborati dalla Library of Congress (U.S.A.); il modello LRM, inve-ce, nasce in seno all'International Federation of Library Associations and Institutions, l'organizzazione mondiale delle biblioteche. L'IFLA era già stata promotrice dell'elaborazione di FRBR.

25 La Francia, per esempio, sta già elaborando le nuove regole di catalogazione nazionali RDA-FR https://www.transition-bibliographique.fr/rda-fr/regles-publiees/. Per quanto riguarda l'Italia, la sua solida tradizione catalografica poggia attualmente sulle Regole italiane di catalogazione (REICAT), pubblica-te nel 2009 a cura dell'Istituto Centrale per il Catalogo Unico e aggiornapubblica-te online (http://norme.iccu.sbn.it/index.php?title=Reicat). Attualmente, la Commissione per il mantenimento, l’aggiornamento e la diffusione delle Regole Italiane di Catalogazione, nata in seno all'ICCU, è impegnata ad analizzare «gli standard e gli strumenti internazionali al fine di esaminarne le novità maggiormente significative per armonizzare la normativa nazionale»

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studiare, rielaborare costituisce quindi già di per sé un ammontare considerevole di la-voro biblioteconomico da svolgere; e per quanto il miglioramento catalogo sia il fine ul-timo di tutti questi documenti, non sarà di certo un fine veloce da raggiungere, conside-rando che il mondo bibliotecario impiegherà del tempo a 'digerire' queste numerose no-vità.

Dal punto di vista delle interfacce, invece, gli OPAC sono stati i protagonisti di forse fin troppa evoluzione: in pochi anni, i software più avanzati sono passati da interfacce molto semplici e scarne (una maschera di ricerca e qualche altro campo per impostare dei filtri) a homepage sempre più ricche di contenuti, nelle quali la maschera di ricerca, sempre più semplificata, rischia talvolta di perdersi visivamente fra altre proposte: se-gnalazione di eventi, link ai contenuti digitali, statistiche di prestiti, avvisi all’utenza. Questa sgargiante presentazione iniziale fa spesso supporre all’utente un servizio di ri-cerca funzionale e moderno, alla pari con le potenzialità offerte da altre esperienze di ricerca per parole chiave. Spesso tuttavia non è così: con buona probabilità, il sistema di ricerca sarà intollerante agli errori di battitura e, qualora ne individui uno, potrebbe suggerire correzioni a dir poco fantasiose26. Inoltre, i risultati della ricerca vengono dif-ferenziati in base all’edizione, ossia creando risultati separati per le diverse edizioni di una stessa opera. Un criterio che, anno dopo anno, diventa sempre più lontano dal modo di pensare degli utenti non specializzati e crea le situazioni di impasse simili a quella raccontata nell’introduzione, in cui gli studenti alle prime armi col catalogo, avendo cercato Harry Potter e la pietra filosofale, non sono riusciti a cogliere autonoma-mente perché il sistema abbia restituito cinque risultati separati per quello che, in modo molto semplicistico ma alquanto diffuso, può essere definito come “sempre lo stesso li-bro”.

Come avremo modo di approfondire più avanti, le migliorie da apportare ai catalo-ghi sarebbero molte e diversificate, e potrebbero trascorrere ancora diversi anni prima

26 In data 1° agosto 2019, ho lanciato una ricerca volutamente erronea su BiblioEst, il catalogo della biblio-teca presso cui lavoro (https://www.biblioest.it/SebinaOpac/.do): cercando “allevamento canne” anziché “allevamento cane”, il sistema mi ha restituito zero risultati e il suggerimento “Forse cercavi allevamento cannin”. Una volta cliccato su questo suggerimento piuttosto improbabile, il sistema ha presentato la scheda di Enciclopedia del gatto, Aniwa Publishing 2003.

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che ciascuna azienda di software per le biblioteche civiche stabilisca un piano d’azione che permetta di traghettare l’esperienza utente dall’era di una ricerca tendenzialmente ancora legata al document retrieval a una vera occasione di information retrieval. Ritengo tuttavia che, nello scegliere da che parte cominciare nel processo di innovazione degli OPAC, l’esperienza utente possa costituire al contempo il punto di partenza e l’obiettivo finale. Analizzare il rapporto quotidiano che l’utente ha con la ricerca per parole chiave può aiutare a individuare le aspettative che l’utente può nutrire nei confronti dell’OPAC in quanto sistema di ricerca; l’obiettivo è di rendere l’esperienza utente sugli OPAC il più possibile naturale ed efficace.

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2. B

IBLIOTECHE

E

SOFTWARE

Per delineare il quadro attuale degli OPAC delle biblioteche civiche, è stata svolta un’indagine sui cataloghi delle biblioteche comunali dei capoluoghi di provincia italiani. Sono state considerate dunque le 107 città che fungono da capoluogo di provincia o han-no un ruolo equiparabile (i capoluoghi delle Province Autohan-nome, le Città Metropolitane, i capoluoghi dei Consorzi Regionali e delle Unioni Territoriali Intercomunali). Una volta creato l’elenco di città, per ciascuna di esse è stata individuata la biblioteca comunale oppure, in sua mancanza, la biblioteca che svolge la funzione di biblioteca pubblica di stampo anglosassone27. Le grandi città dotate di più biblioteche comunali non hanno co-stituito un’eccezione nella raccolta dati: nella maggioranza dei casi, infatti, le singole bi-blioteche cittadine condividevano un unico catalogo, che è quindi stato considerato come l’OPAC della città. L'unica eccezione è rappresentata dalla provincia di Barletta-Andria-Trani, in cui le tre città dell’intitolazione sono giuridicamente equiparate (non esiste dunque un unico capoluogo) ma le loro tre biblioteche non condividono l’OPAC: sono stati riportati perciò gli URL dei due OPAC individuati (uno per la biblioteca Barlet-ta, l’altro per quelle di Andria e di Trani). A livello statistico tuttavia questa situazione non ha costituito una vera e propria anomalia, poiché entrambi gli OPAC sono forniti dalla stessa azienda (Almaviva spa) e quindi la copertura software per i tre capoluoghi della provincia è stata considerata in modo univoco.

27 Sono state dunque considerate in questa ricerca anche: la Biblioteca Statale di Gorizia e quella di Cremona; la Biblioteca Regionale di Aosta; le biblioteche provinciali delle città meridionali in cui manca una bi -blioteca comunale vera e propria (alcune città di Abruzzo, Campania, Basilicata, Puglia, segnalate nella tabella in Appendice).

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Per ciascuna biblioteca cittadina è stato individuato l’OPAC di riferimento, attraver-so i link indicati nelle pagine istituzionali della biblioteca. Una volta trovato l’OPAC, ne sono stati annotati l’URL, l’azienda produttrice e l’eventuale nome del software utilizza-to. La raccolta dati è stata completata con un campo di note, usato soprattutto per se-gnalare se l’OPAC considerato viene condiviso anche con un’istituzione universitaria; questo dato è sembrato interessante poiché un simile OPAC deve rispondere ai bisogni e alle richieste di due gruppi di utenti piuttosto diversi. La tabella con i dati raccolti è consultabile in Appendice.

L’indagine ha portato alla luce una situazione già riscontrabile in via intuitiva: la netta prevalenza di Sebina e Sebina NEXT, i software della DM Cultura.

Azienda di software N° di biblioteche

DM Cultura 53 Comperio 13 Nexus IT 11 Almaviva 5 CSI Piemonte 5 Ex Libris 4 Lombardia Informatica 4 CG Soluzioni Informatiche 2 CS 2 Inera 2 altri software 6

I numeri riportati fanno riferimento a ciascuna singola biblioteca. Ciò significa che 53 fra le biblioteche considerate in questa indagine utilizzano software della DM Cultura, e non che la DM Cultura abbia in piedi 53 progetti diversi presso biblioteche comunali: molte biblioteche condividono infatti un unico OPAC della DM28. Lo stesso accade per le

28 E d’altra parte questa ricerca, per i motivi già spiegati sopra, non considera invece le commissioni che un’azienda può avere presso sistemi bibliotecari che non comprendono la biblioteca di un capoluogo di

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altre aziende in testa alla classifica. Nella riga ‘altri software’ sono confluite tutte le bi-blioteche che si appoggiano ad aziende di software che compaiono solo una volta nell'elenco.

La scelta di basare questa indagine sul punto di vista delle biblioteche cittadine e non su quello dei poli o dei sistemi bibliotecari deriva non tanto dalla volontà di appro-fondire il successo o la fortuna di un software rispetto a un altro, quanto piuttosto dal desiderio di scattare una fotografia della situazione attuale delle biblioteche pubbliche italiane, rappresentate in questa ricerca dalle biblioteche comunali dei capoluoghi di provincia. L’intento dunque era quello di rispondere a una simile domanda: “Dati 107 punti che coprono l’Italia in modo tendenzialmente omogeneo, quale software si incon-tra in ciascuno di essi?”

Vediamo dunque di conoscere più a fondo le principali aziende che attualmente ga-rantiscono l’incontro fra i cittadini italiani e le loro biblioteche.

DM Cultura (http://www.dmcultura.it/)

Costituita nel 2017 come società a sé stante, la DM Cultura vanta in realtà più di 30 anni di esperienza nel settore dei software per biblioteca. Si potrebbe infatti considera-re la nipote della Celcoop, l’azienda romagnola che negli anni ‘80 collaborò attivamente con la Italsiel nel realizzare e diffondere il Servizio Bibliotecario Nazionale. A seguito della liquidazione coatta della Celcoop dei primi anni ‘9029, sembra che il know how aziendale sia confluito nella Akros Informatica spa30, che nel 2004 venne a sua volta in-corporata nella Data Management, azienda che già da anni si occupava di informatica

provincia, come ad esempio un sistema bibliotecario di ateneo oppure un sistema di biblioteche speciali. 29 Secondo il decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, 2 aprile 1993. Pubblicato in

Gazzet-ta Ufficiale. Serie Generale, n. 89 (17 aprile 1993)

https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?

atto.dataPubblicazioneGazzetta=1993-04-17&atto.codiceRedazionale=093A2327&elenco30giorni=false 30 Almeno a giudicare dall'abbondanza dei CV di programmatori e progettisti di software che dichiarano di

aver lavorato dapprima alla Celcoop e, da metà anni '90, alla Akros (è sufficiente una breve ricerca su Google con le parole chiave “akros celcoop ravenna” per trovare svariati profili siffatti). Questo senza contare chi dichiara apertamente di aver lavorato per «Akros Informatica [...] ex Celcoop» (https://www.icbagnacavallo.edu.it/attachments/article/544/curriculum%20vitae%20Benini

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per la pubblica amministrazione31. Col tempo la Data Management si è trasformata in un gruppo societario, di cui la divisione culturale fa parte dal 2017, essendosi costituita come società distinta.

Nascita: 2017, Italia Dipendenti: 51-20032

Software OPAC: Sebina / SebinaYOU

per dispositivo mobile: app sviluppata appositamente

Comperio (https://www.comperio.it/)

Nata nel 2008 a seguito dell’unione fra e-Portal Technologies e SpazioPiù Multime-dia, anche questa società può contare in effetti sull’esperienza pluridecennale delle so-cietà che l’hanno costituita, attive a tempo pieno nel campo dei software per bibliote-che.

Nascita: 2008, Italia Dipendenti: 10

Software OPAC: Discovery NG

per dispositivo mobile: design responsive

Nexus IT (http://www.nexusfi.it/)

Azienda fiorentina che si occupa di software per i beni culturali fin dalla sua fonda-zione.

Nascita: 1989, Italia Dipendenti: 10

Software OPAC: EasyWeb e OpenWeb

31 http://www1.adnkronos.com/Archivio/AdnAgenzia/2004/03/09/Economia/Finanza/DATA-MANAGEMENT-INCORPORA-AKROS-E-ASPERIENCE_131700.php

32 Questo e i successivi dati sul numero di dipendenti sono stati ricavati dai siti ufficiali delle aziende, dai loro profili ufficiali su LinkedIn oppure dalle corrispettive pagine Wikipedia. Qualche dato tuttavia po-trebbe risultare un po' vago indicando, per esempio, che i dipendenti di un'azienda sono più di 10 e meno di 50; nonostante questa vaghezza, tuttavia, il dato è sembrato comunque utile a inquadrare le caratteri-stiche dell'azienda e a confrontarla con le altre.

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per dispositivo mobile: design responsive

Almaviva (https://www.almaviva.it/it_IT/)

Colosso societario nato nel 2005 dall'unione di Cos e Finsiel, il gruppo che per decen-ni si è occupato di informatizzazione nella pubblica ammidecen-nistrazione e che controllava anche Italsiel, la ‘madre’ di SBN; nel 2007 Finsiel è stata completamente assorbita da Al-maviva33. Nei primi anni di attività, Almaviva ha collaborato con l’Istituto Centrale per il Catalogo Unico (ICCU) nel mantenimento di SBN e nella realizzazione del portale Inter-net Culturale34. Entrambi i progetti sono ora curati da altre aziende (rispettivamente Inera e Gruppo M.E.T.A.)

Nascita: 2005, Italia Dipendenti: 50.000

Software OPAC: SBN Web

per dispositivo mobile: design responsive

CSI Piemonte (http://www.csipiemonte.it/web/it/)

Il Consorzio Piemontese per il Trattamento Automatico dell'Informazione (poi Con-sorzio per il Sistema Informativo) nacque per iniziativa della Regione e degli Atenei to-rinesi, con lo scopo di costituire nel tempo un punto di riferimento per la gestione dell'informazione digitale nella pubblica amministrazione piemontese; nel giro di pochi anni aderirono anche la Provincia e il Comune di Torino e attualmente ne fanno parte tutte le province piemontesi, svariati comuni, aziende sanitarie e ospedaliere e altre as-sociazioni. Già nel corso degli anni '80 furono attivate piattaforme di condivisione dei dati per le segreterie universitarie, la protezione civile, la sanità pubblica e, in collabo-razione con l'ICCU, anche per le biblioteche. Attualmente il consorzio continua ad occu-parsi a tutto tondo dell'informatica nella pubblica amministrazione regionale.

33 Finsiel, in Dizionario di Economia e Finanza, Treccani 2012 http://www.treccani.it/enciclopedia/finsiel 34 Manutenzione SBN: https://www.iccu.sbn.it/it/eventi-novita/novita/Avviso-di-aggiudicazione/

Arricchimento del portale Internet Culturale: https://www.almaviva.it/it_IT/news/show-news? id=155665f1-55f9-42d0-9ee5-1ed11c4f4a3b

(30)

Nascita: 1977, Italia Dipendenti: 1.200

Software OPAC: [utilizzato per librinlinea.it, non sembra avere un nome a sé stante] per dispositivo mobile: design responsive

Ex Libris (https://www.exlibrisgroup.com/it/)

Società israeliana nata nel 1986, si è sempre occupata a tempo pieno di informatizza-zione dei servizi bibliotecari, con particolare atteninformatizza-zione per il mondo accademico. Nel 2013 è stata acquisita da ProQuest, mantenendo però il proprio nome nell’indicazione del copyright dei suoi prodotti.

Nascita: 1986, Israele Dipendenti: 501-1000

Software OPAC: Aleph e Primo

per dispositivo mobile: design responsive; non sembra esistere un'app specifica per i servizi OPAC, ma Ex Libris promuove lo sviluppo di app dedicate da parte dei propri utenti

Lombardia Informatica (https://www.lispa.it/wps/portal/LISPA/Home)

Nata nel 1981, è il corrispettivo lombardo di CSI in Piemonte. A differenza del con-sorzio piemontese, si tratta di un'azienda di proprietà pubblica che fa capo direttamen-te alla Regione Lombardia. Anche questa azienda si occupa di ogni aspetto dell'informa-tica per la pubblica amministrazione, con particolare attenzione verso l'ambito sanita-rio. A partire dagli anni '80 ha collaborato con l'ICCU nella progettazione embrionale di SBN.

Nascita: 1981, Italia Dipendenti: 450

Software OPAC: VuFind (software open source)

per dispositivo mobile: [il design non è responsive; non è stata trovata un'app dispo-nibile per dispositivi Android]

(31)

CG Soluzioni Informatiche (http://www.cgsi.it/)

Azienda friulana che, nel corso della propria attività di consulenza informatica e progettazione di software, si è via via specializzata nei sistemi informativi per la cultu-ra, con particolare attenzione alle biblioteche.

Nascita: 1997, Italia Dipendenti: 10

Software OPAC: BiblioWin

per dispositivo mobile: design responsive e app

CS (http://www.cs.erasmo.it/)

Azienda piemontese che vanta quasi 40 anni di esperienza nei sistemi informativi per i beni culturali.

Nascita: 1981, Italia Dipendenti: 10

Software OPAC: ErasmoNet per dispositivo mobile: app

Inera (https://www.inera.it/)

Azienda pisana che si occupa di consulenza informatica e di sviluppo applicazioni per i beni culturali, con particolare attenzione per i musei. In tempi recentissimi, si è occupata del rinnovamento dell'OPAC SBN, dotandolo anche di una app35. Lavorando per conto dell'ICCU, ha sviluppato SBNWeb, un gestionale che l'ICCU offre gratuitamente alle biblioteche che ne facciano richiesta e che dovranno tuttavia provvedere alle spese della gestione locale36.

Nascita: 2001, Italia Dipendenti: 10-50

35 https://www.inera.it/portfolio-posts/opac/ 36 https://www.inera.it/portfolio-posts/sbn-web/

(32)

Software OPAC: SBN Web per dispositivo mobile: app

Questa breve presentazione ha lo scopo di inquadrare la tipologia delle aziende di soft-ware che si incontrano più di frequente in una biblioteca pubblica medio-grande.

È quasi inevitabile notare alcune particolarità:

• la differenza di grandezza delle aziende in campo . Da un lato DM Cultura, con ol-tre 50 dipendenti, dall'altro Comperio o Nexus IT, con una decina di dipendenti ciascuna; senza poi contare i colossi come Almaviva ed Ex Libris. Sembra dunque che la partita per i software per biblioteche pubbliche in Italia si giochi indistin-tamente fra società piccole e medio-grandi. Gli interlocutori più piccoli, infatti, non si pongono sempre in una posizione subordinata, ma contribuiscono attiva-mente a innalzare il livello generale dell'offerta37.

• la netta preponderanza di DM Cultura . L'indubbia qualità del software proposto da quest'azienda spiega il suo utilizzo da parte di quasi la metà delle biblioteche considerate in questo studio; tuttavia, la DM non è l'unica azienda a garantire un certo standard. La sua grande diffusione potrebbe forse avere una spiegazione ag-giuntiva, considerando cioè la DM come l'effettiva discendente della Celcoop di Ravenna e, come tale, dotata di un punto di vista più esperto e dunque privilegia-to sui processi dell'informatica per le biblioteche italiane. Anche CSI Piemonte e Lombardia Informatica godono di questa prospettiva storica ma sono maggior-mente vincolate alla propria regione: CSI nasce come consorzio di enti pubblici; LI appartiene alla Regione Lombardia. Dalle poche informazioni ricavabili al

ri37 I prodotti di Nexus IT e CS (ciascuna con circa 10 dipendenti) sono due dei pochi in Italia che garantisco -no il massimo livello di conformità al protocollo SBNMARC, certificato dall'ICCU (https://www.iccu.sbn.it/it/SBN/certificazione-di-conformita-al-protocollo-sbnmarc/gli-applicativi-che-hanno-ottenuto-la-certificazione-di-conformita-al-protocollo-sbnmarc/index.html).

Comperio (circa 10 dipendenti) è il secondo software più usato nella nostra graduatoria; pur non trattan -dosi di una classifica assoluta, poiché sono state considerate solo le biblioteche pubbliche dei capoluoghi di provincia, il risultato contribuisce a presentare questa azienda come una delle più significative nel pa -norama dei software per biblioteche, seguita a breve distanza da Nexus IT.

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