• Non ci sono risultati.

La varietà albanese di Borgo Erizzo in Dalmazia nell’inchiesta di Ugo Pellis per l’Atlante Linguistico italiano

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "La varietà albanese di Borgo Erizzo in Dalmazia nell’inchiesta di Ugo Pellis per l’Atlante Linguistico italiano"

Copied!
22
0
0

Testo completo

(1)
(2)

econdo il piano programmatico dell’Atlante Linguistico Italiano, tra i punti della rete dell’ALI furono incluse numerose località di parlata alloglotta, allo scopo di rappresentare, accanto alle varietà romanze, anche quelle geneticamente non affini, ma comunque radicate sul territorio italiano. Com’è noto, la campagna di rilevamenti sul terreno fu affidata fino al 1943, anno della sua prematura scomparsa, a Ugo Pellis, rivelatosi un ec-cellente raccoglitore dotato di acutezza, perspicacia e notevoli doti percettive. Tra le inchieste alloglotte da lui eseguite figura quella di Borgo Èrizzo (in croato Arbanasi, in albanese Arbënesh), in provincia di Zara, piccolo borgo all’epoca appartenente al Regno d’Italia, ma popolato dal 1726 da albanesi di religione cattolica fuggiti dall’occupazione ottomana e provenienti in pre-valenza dai paesi di Šestani e Brisko, situati presso il lago di Scutari, in terri-torio montenegrino. In questa minuscola enclave albanese in territerri-torio dal-matico, sottoposta al duplice influsso dell’italiano/veneto di Zara e del croa-to dei paesi limitrofi, nei primi giorni di settembre del 1929 Pellis si cimentò in un’inchiesta linguisticamente complessa, nel corso della quale, tuttavia, la comunicazione tra l’informatore e il raccoglitore fu agevolata dalla diffusio-ne tra gli albanofoni dell’italiano e del dialetto vediffusio-neto di Zara; diffusio-ne risultò un rilievo parzialmente bilingue nel corso del quale per numerose entrate del questionario l’intervistato fu in grado di fornire due risposte distinte, una nella varietà albanese, e una in quella italiana (o veneta)1.

La varietà albanese di Borgo Èrizzo

in Dalmazia nell’inchiesta di Ugo Pellis

per l’Atlante Linguistico Italiano*

«Bollettino dell’Atlante Linguistico Italiano», III Serie, 32 (2008), pp. 15-35.

* Desidero ringraziare Tom Perović per avermi aiutato a recuperare alcuni testi indispensabili per questo lavoro e Giacomo Vuxani per le notizie in merito ai soggetti intervistati da Tagliavini e Pellis.

1Nel novembre dello stesso anno Pellis svolse un’inchiesta anche presso la comunità

italo-alba-nese di Villa Badessa, in provincia di Pescara (P. 628), una piccola frazione popolata nel 1743 da

F

EDERICA

C

UGNO

Torino

S

(3)

Nell’esplorazione di Borgo Èrizzo (P. 391), successiva a quella di Zara, Pellis si servì della sezione ridotta di Questionario (Bartoli et alii 1971) abi-tualmente impiegata nelle località alloglotte, comprendente una selezione delle voci della Parte Generale I e della Parte Generale II, per un totale com-plessivo di 775 domande2. Tale campionamento limitato, se da un lato con-sente un’analisi quasi esclusivamente fonetica e lessicale circoscritta a un ri-stretto numero di nomi e aggettivi, dall’altro si rivela assai interessante nel-l’ottica di un confronto con i materiali raccolti pochi anni prima da Weigand3e nel 1933 da Tagliavini. Quest’ultimo, infatti, dubitando di alcu-ne forme raccolte dal linguista tedesco alcu-nel 1911 4, condusse un’inchiesta analoga, ma assai più consistente5, che si tradusse principalmente in due studi: il saggio Penetrazione e adattamento delle voci italiane e croate nel

dialetto albanese di Borgo Èrizzo, apparso nel 1933, e la monografia

intito-lata Il dialetto albanese di Borgo Èrizzo presso Zara, pubblicata nel 19376. Dalle scarne annotazioni introduttive all’inchiesta dell’ALI (Massobrio et

alii, 1995:265), emergono gli aspetti essenziali della località indagata,

defi-profughi provenienti dall’Albania meridionale (cfr. Cugno, 1999 e 2004). Per gli altri punti italo-albanesi dell’ALI si rimanda a Cugno,1994.

2Tuttavia 67 entrate risultano senza risposta perché l’intervistato o non conosceva l’oggetto

relativo alla domanda o ne ignorava il nome.

3Risalenti al 1909 e ricavati dalla traduzione di diverse frasi tratte da un manuale scutarino e

dalla trascrizione di alcuni testi orali ad opera del sagrestano della chiesa di Borgo Èrizzo, Matteo Morović (cfr. Weigand, 1911).

4“La monografia del Weigand è stata sempre citata con lode dagli albanologi, quasi come

modello di ricerca sui dialetti albanesi. Pure, studiando questa monografia con cura, comparando i materiali raccolti dal Weigand nel 1909 con quelli da noi raccolti nel 1933, si osservano strane incomprensioni, cattive trascrizioni, errori talvolta strabilianti. […] Mi accorsi che al Weigand erano sfuggite particolarità importantissime dell’albanese di Borgo Èrizzo e che egli aveva con sicurezza ‘ritoccati’ i suoi materiali, quando delle forme gli parevano impossibili” (Tagliavini, 1937:17).

5L’inchiesta fu svolta da Tagliavini in due fasi successive nel corso della sua permanenza a

Zara in qualità di presidente di commissione per gli esami di stato ed ebbe come informatrice prin-cipale un’insegnante elementare di vent’anni, Lidia Vuxani, nativa di Borgo Èrizzo, che possedeva una perfetta padronanza sia del veneto di Zara sia dell’italiano letterario e una conoscenza scolasti-ca del croato. Il questionario usato nella prima fase, riscolasti-cavato da quello compilato per l’elicitazione dei dialetti ladini, opportunamente adattato al contesto geografico, economico e culturale di Borgo Èrizzo, era composto da circa 4000 voci e frasi. Nella seconda fase, svolta dopo una prima analisi del materiale raccolto, Tagliavini effettuò un controllo delle forme dubbie e una nuova raccolta di circa 700 voci giudicate interessanti, ricavate dagli studi precedenti. In questo secondo momento, per una grave malattia dell’informatrice principale, dovette affidarsi a due nuovi informatori: uno studente della scuola magistrale, fratello della prima informatrice e un giovane maestro, di famiglia per metà croata. Nel corso del suo soggiorno a Borgo Èrizzo Ugo Pellis ebbe modo di incontrare il padre di Lidia e Giorgio Vuxani, i due fratelli intervistati da Tagliavini, come risulta dalla foto che ritrae il dott. Giacomo Vuxani in compagnia di Simeone Stipcevich, informatore per l’ALI, ora con-servata presso l’Archivio dell’Istituto dell’Atlante Linguistico Italiano (cfr. Foto n. 706, P. 391).

6Nel 1961 è apparsa, a cura di Ajeti (1961), una monografia sulla varietà di Borgo Èrizzo,

impostata sul confronto con le parlate delle comunità montenegrine di Šestani e di Brisko.

(4)

nita un “borgo carsico dalmatico con popolazione agricola”7, dove “tutti parlano albanese e il dialetto veneto di Zara” e “molti conoscono anche il croato”. L’unica fonte selezionata, considerata “un ottimo informatore”, è un uomo di sessantacinque anni, Simeone Stipcevich (Stiepsa), di professione possidente, che “è orgoglioso di essere albanese; parla l’italiano (lingua, ma più dialetto veneto) e comprende il croato”. Dai tratti del repertorio lingui-stico dell’informatore scelto da Pellis deriva un quadro linguisticamente arti-colato della comunità di appartenenza, in cui, tra i codici a disposizione dei parlanti, il croato sembra quello meno praticato e per tale motivo fu escluso dalle varietà previste dall’inchiesta, che assunse quindi una struttura par-zialmente bilingue albanese/italiano. Pochi anni dopo, Tagliavini (1937:2 nota 1) fornì una descrizione differente e più dettagliata della situazione lin-guistica del borgo, dalla quale risultano predominanti due tipi di repertorio, sociolinguisticamente condizionati dall’età dei parlanti: “quasi tutti hanno per madrelingua l’albanese, ma non mi è stato possibile trovare una sola persona, anche fra i vecchi o le vecchie, che parlasse solo albanese. I vecchi parlano tutti anche il croato e il novanta per cento anche l’italiano (il veneto di Zara); la giovane generazione accanto all’albanese parla anche l’italiano e pochissimo il croato. Per trovare qualcuno che parli esclusivamente l’albane-se bisognerebbe limitarsi ai bimbi al di sotto dei l’albane-sei anni.” Pertanto, la diffu-sione capillare dell’italiano rispetto al croato segnalata da Pellis tra tutti gli albanofoni appare ridimensionata da Tagliavini a favore del secondo, alme-no presso la fascia di popolazione di età più avanzata, benché la percezione del raccoglitore dell’ALI possa essere stata in qualche misura distorta dal-l’italofilia dei borgherizzani da lui incontrati, accompagnata da una certa in-sofferenza per gli slavi (il suo informatore è infatti “italofilo di sentimenti; odia gli slavi”). Quando, dopo circa quarant’anni, Pellegrini (1977:272-273) ebbe modo di visitare la località, il quadro linguistico, senza dubbio influen-zato dalle vicende storico-politiche del secondo dopoguerra, appare ulterior-mente mutato: gli Albanesi di Arbanasi sono circa 3000, dei quali “la massi-ma parte continua a usare in famiglia la vecchia lingua accanto al croato” mentre una discreta conoscenza dell’italiano è ormai limitata alle persone anziane. Pertanto il croato, oltre a essere diventato il sistema linguistico per eccellenza della comunicazione extrafamiliare, è penetrato anche nell’ambito dell’uso strettamente familiare, che un tempo era appannaggio esclusivo del-l’albanese. Tuttavia la stima del linguista patavino pare eccessiva se

con-7Fin dal loro arrivo a Zara gli albanesi si dedicarono prevalentemente all’agricoltura grazie alle

terre loro distribuite dal Provveditore di Venezia, Niccolò Erizzo. Nel 1933, come riferisce Tagliavini e come si ricava dalle efficaci descrizioni di Marussi (2006), essi erano ancora soprattutto agricoltori e artigiani, anche se alcuni erano riusciti a occupare posizioni di rilievo nel settore

(5)

18

8Con la recente pubblicazione dell’Atlasi Dialektologjik i Gjuhës Shqipe (ADGjSh) è possibile

conoscere l’attuale diffusione areale di tali tratti, tra cui, ad esempio, la conservazione nel ghego di /n/ intervocalica, rispetto all’esito rotacizzato del tosco (cfr. carta n. 129) e l’opposizione vo- (ghego) e va- (tosco) (cfr. carta n. 113).

frontata con i numeri del censimento del 1921 (2888 abitanti a Borgo Èrizzo dei quali circa 2200 di madre lingua albanese), poiché nel corso della guerra persero la vita circa 4000 cittadini di Zara e al termine del conflitto, in se-guito al passaggio del territorio della Dalmazia dallo stato italiano alla Fede-razione Iugoslava, tanti borgherizzani scelsero, come numerosissimi italiani dalmati, la via dell’esilio e, tra questi, molti trovarono rifugio in Italia. Da al-lora in poi l’influenza del croato è diventata predominante rispetto all’ap-porto romanzo, non più supportato da una nutrita presenza italiana, come si evince dall’esiguità numerica dell’attuale comunità albanese di Zara, com-posta da circa 500 persone, la cui competenza linguistica, accanto alla lingua d’origine usata esclusivamente nell’ambito familiare, si limita al croato.

L’allontanamento dalle terre degli avi, la conseguente interruzione del contatto con la lingua madre e l’inserimento in un contesto già linguistica-mente complesso hanno contribuito alla definizione dei caratteri della varie-tà albanese di Borgo Èrizzo, peraltro appartenente, data la provenienza geo-grafica dei coloni, al gruppo ghego dei dialetti albanesi e quindi connotata da alcuni dei tratti comuni alle varietà più settentrionali dell’albanese8. Se si considera che nel rilevamento di Pellis la percentuale di risposte albanesi è del 48% su un totale di 513 dialettali raccolti tra le risposte uniche, rispetto al 38% di forme romanze (venete e italiane) e al 14% di voci croate, è evi-dente che tra gli aspetti originali sviluppatisi in Dalmazia spicca, com’è com-prensibile dal quadro sociolinguistico tracciato sopra, una consistente pre-senza di prestiti, scaturita da circa due secoli di contatto con le altre varietà dotate di maggiore prestigio, che nel corso delle vicende storiche hanno go-duto del ruolo di lingue ufficiali dello stato e dell’amministrazione, veicolate anche dal sistema scolastico. L’arrivo degli albanesi a Zara coincise, infatti, con l’ultimo secolo di controllo veneziano sulla Dalmazia, iniziato nel 1420 e conclusosi nel 1797, poi seguito dalla breve parentesi di dominio napoleoni-co; a questo subentrò, dal 1815 fino al 1920, la dominazione austro-ungari-ca, durante la quale la minoranza albanese poté usufruire di proprie scuole, e il punto di riferimento per gli zaratini diventò Trieste, ancora soggetta all’Austria. Alla fine della prima guerra mondiale, con il trattato di Rapallo del 1920, Zara fu annessa, unica città della Dalmazia insieme alle isole di Làgosta, di Cherso e di Lussino, al Regno d’Italia, al quale era collegata per via marittima o aerea tramite Ancona e Trieste, perdendo così il tradizionale ruolo di centro amministrativo della regione. Quando gli albanesi giunsero a Zara, la lingua più diffusa era il cosiddetto veneto di Dalmazia, cioè la

(6)

varie-tà importata da Venezia da mercanti e funzionari, sostituitasi da secoli al-l’antico dalmatico e a sua volta sottoposta all’influenza delle parlate slave dei territori circostanti (cfr. Ursini, 1995 e 2002)9. Come poté constatare Tagliavini, rispetto a queste ultime gli albanesi, dediti in prevalenza all’agri-coltura, spesso impiegati come braccianti presso proprietà altrui, ebbero contatti soprattutto con la varietà štokava dei Croati dell’entroterra zaratino. In più, sotto l’impero austro-ungarico, si fece sentire anche l’influsso del te-desco, di cui restano tracce circoscritte ad alcuni ambiti semantici non solo nella varietà dialettale veneta e croata ma anche nella parlata albanese. Se si aggiunge l’apporto delle varietà standardizzate dell’italiano e del croato, vei-colate anche attraverso le scuole e le istituzioni, si può affermare che nei due secoli di vicinanza con i codici linguistici preesistenti e compresenti nel terri-torio zaratino, il rapporto tra questi e l’albanese fu generalmente di tipo di-glossico, essendo quest’ultimo escluso dall’uso ufficiale e relegato all’ambito familiare e ai rapporti con il vicinato di comune origine albanese.

La conseguenza più evidente di un quadro sociopolitico così complesso è stata una simbiosi culturale e linguistica tra gli albanesi e le popolazioni in-digene, riconoscibile, come si è detto, nel considerevole numero di prestiti ac-colti dalla parlata di Borgo Èrizzo. Secondo Tagliavini (1937) e Marussi (2006), il contatto con gli altri sistemi linguistici si intensificò dopo la secon-da metà del 1800, quando l’isolamento del borgo rispetto al mondo circo-stante e specialmente rispetto a Zara, rafforzato dalla prassi dell’endogamia durante il suo primo secolo di vita, fu interrotto dalla creazione di istituti amministrativi, economici e scolastici estesi al circondario di Zara che incre-mentarono le relazioni con gli ambienti cittadino e dell’entroterra10.

Rispetto alle voci elencate nel glossario di Tagliavini, l’inchiesta dell’ALI fornisce nuove interessanti testimonianze in merito ai dinamici rapporti di competizione e commistione tra i sistemi linguistici compresenti a Borgo Èrizzo, ricavabili dalle diverse tipologie di risposte del rilievo bilingue e dal

9La varietà veneta di Zara riflette sia tratti arcaici del veneziano sia tratti comuni con i tipi

veneti orientali, dovuti all’intensificarsi dei rapporti con Trieste, a seguito del distacco definitivo dal Veneto dopo il 1866 (cfr. Ursini, 1995). Tra i più cospicui si segnalano la caduta delle vocali atone finali, la sonorizzazione delle consonanti sorde intervocaliche, la presenza delle affricate dentali [ʦ] e [dz] in corrispondenza con le velari lat. K e G davanti a vocale anteriore, alcune realizzazioni di [u] per [o] e [i] per [e] in atonia (Ursini, 1989).

10Tra questi Marussi (2006) ricorda il Preparandjio (1867), cioè l’istituto magistrale croato,

l’Ospedale Provinciale (1885), il mercato (Pazar) e il Podere Erariale (1900). Inoltre nel 1896 fu inaugurata a Borgo Èrizzo la scuola elementare, con annesso asilo, finanziata dalla Lega Italiana, il cui scopo era diffondere la lingua italiana nelle province soggette all’Austria. Tuttavia, oltre all’inse-gnamento dell’italiano, nelle classi quarta e quinta erano previste anche due ore curricolari alla set-timana di albanese e di croato. Dopo una iniziale diffidenza, nel 1914 si registrò la massima affluen-za di scolari, ma l’anno successivo la scuola fu chiusa e solo pochi di essi continuarono a frequentare le scuole italiane o croate della città. Infine, con l’annessione di Zara all’Italia, nel 1921 la scuola

(7)

produttivo confronto con l’inchiesta coeva di Zara (P. 390) e con quella di poco successiva di Làgosta (P. 392) 11. Nello specifico, l’inventario dei termi-ni mutuati dal croato, già numerosissimi nel glossario del linguista patavino, può essere incrementato dalle seguenti voci, appartenenti a diversi ambiti se-mantici, in cui sono evidenti l’adeguamento alle norme accentuali dell’alba-nese, l’adattamento alle regole del sistema morfologico con l’adozione di morfermi di caso e di genere della lingua di arrivo e la sostituzione di suoni estranei all’albanese12: [murˈɡast] ‘grigio scuro’, cr. murgast ‘olivastro’; [mlaˈdeźi] ‘neo’, cr. madež; [ˈśkrapa] ‘masso’, cr. škràpa ‘crepaccio, fenditu-ra’, reg. ‘scoglio’; [poˈtoku] ‘fiume’, cr. pòtok ‘ruscello, rivo, torrente’; [ko-luˈdriʦa] ‘monaca’, cr. kòludrica; [śpaˈroɡu] m. ‘asparago’, cr. šparoga f.; [ˈσpara] ‘cercine’, cr. spara (Miotto 1984); [koʧiˈωʃi] ‘cocchiere’, cr. kočijaš; [kuˈćiʦa] ‘capanna’, cr. kùćica ‘casetta, casuccia’; [ˈśpuɡa] ‘spugna’, cr.

spu-ga; [paˈuku] ‘ragno’, cr. pauk; [ʧeˈkiʧi] ‘martello’, cr. čekić; [kotleˈniʦa]

‘cal-daione’ da connettere al cr. kòtao, kotla ‘caldaia’; [miˈʃalka] ‘mestone’, cr.

miješalica; [ˈuσtra] ‘lama’, cr. dial. ustra ‘rasoio’; [poˈliʦa] ‘rastrelliera per i

piatti’, cr. polica ‘scaffale, scansia’; [vərˈʧina] ‘vaso da notte’, cr. vrčina; [ˈstolku] ‘girello’, cr. stolak; [torˈboku] ‘zaino per i libri’ da collegare al cr.

torba ‘borsa del contadino’, termine diffuso con questo significato nel

vene-to-dalmata (Miotto 1984); [ʤuveˈɡia] ‘sposo’, cr. đuvegija; [ˈkuku] ‘anca’, cr.

kuk; [ˈkukiʦa] ‘rimpiattino’, cr. kukica ‘gancio, uncinetto’; [i ˈʧeɫət] ‘calvo,

pelato’ cr. ćelav.

L’inchiesta dell’ALI consente di incrementare anche il numero di termini di origine veneta accolti dalla parlata albanese rispetto a quelli già segnalati da Tagliavini, come documenta la seguente serie di corrispondenze lessicali con il veneto zaratino 13e con il Dizionario del dialetto veneziano di Boerio del 185614, anche qui con i dovuti adeguamenti alla morfologia e alla foneti-ca della lingua di arrivo: [pantaˈɡana] ‘ratto’, ven. zar. [panteˈɡana]; [ˈśʧavat]

11La località, esplorata da Pellis alla fine di ottobre del 1932, presenta le seguenti

caratteristi-che: “È l’unico paese sull’omonima isola, la più meridionale dell’arcipelago dalmata; politicamente di tradizione ragusea, dal novembre 1918 è possesso italiano […]. Bilinguità croato-italiana quasi generale. Funzionari e immigrati dell’Italia meridionale.” La fonte selezionata è “bilingue, con lessi-co più abbondante nella parlata slava” (Massobrio et alii, 1995:266).

12Le forme tratte dai materiali dell’ALI sono state traslitterate in IPA, ma per i seguenti segni

introdotti da Pellis per segnalare specifiche sfumature di suono si è preferito mantenere la grafia ori-ginale in quanto funzionale all’analisi fonetica della parlata: [ś] e [ź] indicano delle sibilanti sorde e sonore il cui grado di palatalizzazione è intermedio rispettivamente tra [s] e [ʃ] e tra [z] e [ʒ]; [ω] rappresenta un’articolazione tra [ɔ] e [a], con ritrazione faucale della lingua; [σ] è “più stretto ed energico di [s], articolato come [ʦ], ma senza la chiusa dentale” della fricativa interdentale sorda [θ]; [ɫ] è «un [l] molto invertito» (cfr. Genre, 1978). Nelle citazioni da altre fonti si è conservata la grafia originale.

13Gli esempi riportati di seguito con l’indicazione ven.(eto) zar.(atino) sono tratti dai materiali

dell’ALI raccolti a Zara.

14Come ha sottolineato Ursini (1995:182), il Dizionario di Boerio “rappresenta un termine di

(8)

pl. ‘blatte della cucina’, ven. zar. [ˈśʧavi], Boerio schiavo; [koˈśata] ‘coscia’, ven. zar. [koˈśata], Boerio cossata; [ˈnapa]15 ‘cappa del camino’, ven. zar. [ˈnapa]; [bruśtoˈlini] ‘tostino del caffè’, ven. zar. [bruśtoˈliŋ], Boerio brustolin; [ˈkoɡma] ‘bricco’, ven. zar. e Boerio cògoma; [ˈʧikra] ‘ciotola’, ven. zar. e Boe-rio cicara ‘chicchera’; [ˈpirja] ‘imbuto’, ven. zar. e BoeBoe-rio piria; [feˈrali] ‘lan-ternino’, ven. zar. e Boerio feràl; [ˈʃkafi] m. ‘acquaio’, ven. zar. [ˈśkafa] f., Boerio scafa; [piˈteri] ‘vaso da fiori’, ven. zar. [piˈter]; [śtraˈmaʦi] ‘materasso’, ven. zar. [śtraˈmaʦo], Boerio stramazzo; [intiˈmela] ‘federa’, ven. zar. e Boerio

intimela; [kaveˈʦali] ‘capezzale’, ven. zar. [kaveˈʦal], Boerio cavazzal; [ˈśkuri]

‘imposta della finestra’, ven. zar. [ˈśkuro], Boerio scuro; [taˈpej] ‘tappeto’, ven. zar. [taˈpeto]16, Boerio tapeo; [ˈśkurja] ‘frusta’17, ven. zar. [ˈśkurja], Boe-rio scuria; [pontaˈpeti] ‘fermaglio’, ven. zar. 18e Boerio pontapèto; [muˈdantat] ‘mutande’, ven. zar. e Boerio mudande; [kaˈpoti] ‘pastrano’, ven. zar. e Boerio

capoto; [tiˈrakat] ‘bretelle’, ven. zar. [tiˈrake]; [kamiˈźoti] ‘gonnella’, Boerio camisoto; [pərˈśuti] ‘prosciutto’, ven. zar. [perˈśuto], Boerio persuto; [ˈśkufja]

‘cuffietta’, ven. zar. [śkuˈfjeta], Boerio scufia; [taˈbela] ‘lavagna’, ven. zar. e Boerio tabela; [marˈki e maˈdona] ‘testa o croce’, ven. zar. [ˈmarki e maˈdo-ne]19; [śkovaˈʦera] ‘cassetta della spazzatura’, ven. zar. [śko(v)aˈʦera], Boerio scoazzera.

Laddove non vi è convergenza tra le risposte di Zara e Borgo Èrizzo, per-ché nella varietà cittadina figurano talvolta tratti fonetici più vicini all’italia-no o altri lessotipi, l’impronta veneziana, come si è detto, è comunque dedu-cibile dalla coincidenza col Dizionario del dialetto veneziano di Boerio: [ˈpje-ta] ‘rimboccatura’, ven. zar. [riˈbal[ˈpje-ta], Boerio pieta20; [ˈśtuku] ‘soffitto’, ven. zar. [ˈteto], anticamente [śoˈfito], Boerio stuco ‘stucco’21; [kolˈmeɲa] ‘comi-gnolo’, Boerio colomègna; [ˈfoli] ‘mantice della carrozza’, Boerio folo; [korˈdela] ‘nastro’ ven. zar. [naśtro], Boerio cordela22; [kolaˈrina] ‘cravatta’, ven. zar. [kraˈvata], Boerio colarina; [ˈmoʧet] ‘abitino, scapolare’, ven. zar. confronto storicamente adeguato, perché dagli inizi dell’Ottocento la storia della Dalmazia si stacca da quella delle rive opposte dell’Adriatico e si allentano i rapporti con Venezia, fino ad allora intensi e multiformi”.

15Secondo l’informatore il termine è recentissimo. 16Ma Miotto (1984) per Zara riporta tapeo.

17A Borgo Èrizzo vale anche per ‘frusta della trottola’, per la quale si trova pure la variante

[kanˈʤia].

18Ma secondo l’informatore di Zara il termine è antiquato, sostituito dal più recente [ˈśpila]. 19Dall’effigie dei due versi delle monete circolanti durante la dominazione veneta, raffiguranti

la Madonna col bambino e il Leone di San Marco.

20Voce veneziana penetrata anche nell’albanese standard (pjetë ‘piega del vestito’) (Vicario,

1990).

21Presente anche nella colonia istroromena di Valdarsa (P. 372) con il medesimo slittamento

semantico, ricostruibile attraverso la voce stucheto, attestata da Miotto (1984) per Zara, il cui signi-ficato è ‘striscia di legno che si inchioda sulla travatura, per costruire il soffitto di una camera’.

22Termine veneziano accolto anche dall’albanese standard (kordhele ‘nastro, fettuccia’) (cfr.

(9)

[ˈśanto de ˈpeʦa] o [paˈʦjenʦa], Boerio mozzeta. Altri lessotipi rivelano invece un condizionamento della varietà triestina e veneto giuliana, dovuto all’in-tensificarsi dei rapporti con Trieste in seguito all’allontanamento definitivo dal Veneto: [ˈtrumba] ‘stivalone’ richiama il ven. giul. trumba (Rosamani 1999 [1966]) cioè ‘stivalone a tromba’, ‘tipo di stivale che fascia la gamba’, mentre la locuzione [korˈdoŋ de śaŋ franˈʦeśko] ‘girotondo’ risulta essere l’unica attestazione dell’ALI, nonostante i riscontri con Isola d’Istria e Pirano d’Istria (Rosamani1999 [1966]), ed è riconducibile a un’espressione triesti-na inserita all’interno di utriesti-na filastrocca cantata nel corso del gioco23.

Infine, tra le voci di origine romanza accolte dall’albanese di Borgo Èrizzo figura un numero cospicuo di lemmi privo di connotazione dialettale o even-tualmente riferibili, data la presenza di tratti come lo scempiamento delle consonanti lunghe intervocaliche, a un italiano di impronta regionale; termi-ni come [karabiˈnjeri] ‘carabitermi-niere’, [solˈdati] ‘soldato’, [ˈpulpiti] ‘pulpito’, [kataˈfalku] ‘catafalco’, [braʧaˈleti] ‘braccialetto’, [ˈʤesi] ‘gessetto’, [kwaˈder-ni] ‘quaderno’, [paˈlaʦi] ‘palazzo’, [ˈostja] ‘ostia’, [koˈlona] ‘colonna’, [po-deˈśtati] ‘il sindaco’, [ˈtubi] ‘scartoccio del lume’, [koˈleti] ‘colletto’, in parte correlati ad aspetti della vita sociale, culturale e religiosa dell’epoca, sono il risultato del contatto con l’italiano radicato in Dalmazia, come dimostra l’esistenza degli stessi presso la città di Zara (ALI). Secondo Ursini (1989) ciò può essere dovuto alla presenza di forme neutre, riconducibili sia al mo-dello ‘italiano’ che al momo-dello ‘veneto’, ma soprattutto, data la rilevanza del fenomeno riscontrato dalla studiosa a Làgosta, ma riferibile anche a Borgo Èrizzo, alla diffusione dell’italiano e quindi della varietà più propriamente toscaneggiante, avvenuta tramite la scuola e l’amministrazione pubblica, specialmente nel periodo tra le due guerre, a cui si aggiunse la presenza nell’area di funzionari e immigrati dell’Italia meridionale.

Sulla scorta degli esempi citati e soprattutto delle percentuali relative alla penetrazione degli elementi alloglotti nella varietà albanese (38% di forme italo-venete e 14% di quelle croate) è evidente che l’apporto dello slavo ri-sulta minore rispetto a quello romanzo24. La conclusione più ovvia sarebbe dunque quella di ammettere un contatto più stretto della comunità albanese con gli abitanti di Zara da cui deriverebbe un influsso del veneto e dell’ita-liano più rilevante rispetto a quello croato25. Tuttavia poiché è noto che

l’oc-23“Cordòn cordòn de San Francesco / la bela stela in mezo / la fa un salto / la fa un altro / la fa

la riverenza / la fa la penitenza / la varda in su / la varda in zò / la sera i oci e la basa chi che la vol” (cfr. www.tuttotrieste.net/varie/filastr/cordon.htm consultato il 29/06/09).

24Per le le forme venete e italiane diffusesi in albanese in seguito ai contatti con Venezia e con

l’Italia si rimanda rispettivamente a Vicario (1990) e Helbig (1904).

25Inoltre, secondo Chiarioni (1985:148) “a prescindere da poche decine di vocaboli, negli anni

tra le due guerre la quasi totalità degli zaratini ignorava completamente le parlate slave; e nemmeno si curava di apprenderle: forse per un’istintiva reazione di rigetto, o forse più ancora per orgoglio cittadino”.

(10)

cupazione principale degli albanesi di Borgo Èrizzo era l’agricoltura, le rela-zioni con le popolarela-zioni indigene si svilupparono specialmente in contesti ru-rali e quindi in prevalenza con i croati dell’entroterra; di conseguenza è pos-sibile che numerose voci romanze penetrate nell’albanese non siano il risul-tato di un contatto diretto con il veneto zaratino, ma vi siano giunte attraver-so una mediazione slava, come si può dedurre anche da indizi di natura lin-guistica. Tra questi figurano in prima istanza le convergenze lessicali con forme venete e italiane ampiamente diffuse nei dialetti croati dell’area dal-matica documentate da Miotto (1984), come pantagâna, nãpa, fèral, piter,

škürija, paršut e pŕšut, pijëta, curdëla, oćalîn, lumbrëla26e špigëta, e da Mu-sić (1978), il quale opera anche una dettagliata classificazione per ambiti se-mantici, in cui è possibile rintracciare la maggior parte delle forme romanze riscontrate a Borgo Èrizzo: kalàmar e lâpis tra i termini inerenti alla scuola;

kálež, katàfālk e lùmīn tra quelli relativi alla chiesa e alla religione; pòdeštāt

tra quelli del linguaggio dell’amministrazione; bòtilja, boca, bòcūn, bronzīn,

bruštùlīn, čikara, kôgūma, pîrlija tra quelli riguardanti gli arnesi da cucina e

le stoviglie; bîž, kùkumār, sàlāta, selen tra i vegetali usati in cucina; štuk,

škafa, kandàljēr, napa, škanj tra i termini dell’edilizia, dell’architettura e

della mobilia; intìmela, tràmac, vèlēnca tra quelli relativi alla biancheria;

brùškīn e patina tra gli oggetti di uso quotidiano; mùdānte, kolàrīn, tìrake, frkàdela, trece, pantàpet tra la terminologia relativa all’abbigliamento e

al-l’acconciatura. La presenza di una mediazione slava è altresì suggerita da peculiari tratti fonetici ricorrenti, riscontrabili, ad esempio, in un nutrito nu-mero di voci romanze accolte dall’albanese di Borgo Èrizzo, caratterizzate dall’esito [ω] da [a] tonica romanza, tipico delle varietà croate dell’entroter-ra dalmatico e delle isole circostanti (cfr. [poˈσωda] ‘coltello’, ven. zar. [le poˈsade], Boerio possada ‘posata’27; [ɡrataˈkωʧi] m. ‘grattugia’, ven. zar. [ɡra-taˈkaźa], Boerio gratacasa f.; [baˈlωnʦa] o [baˈlωnʧa] ‘bilancia, stadera’, ven. zar. balanza28; [ˈpωpa] ‘papa’, ven. zar. papa; [ˈwωźat] ‘vasi’, ven. zar. [ˈvaźo] sing.; [ˈkωri] ‘carro’, ven. zar. [ˈkaro]; [ˈfrωtri] ‘frate’, ven. zar. [ˈfra-te]). Infatti nell’inchiesta di Làgosta, in prevalenza bilingue italiano (vene-to)/croato, figurano numerose attestazioni di tale fenomeno (cfr. [la ˈbωrba] ‘barba’), la cui evidenza è ancora maggiore nelle risposte doppie, per la con-temporanea presenza della speculare forma romanza (cfr. [ˈpapa/ˈpωpa] ‘pa-pa’, [ˈfrate/ˈfrωtar] ‘frate’, [ˈvazo/ˈvωz] ‘vaso’, [saˈlame/saˈlωm] ‘salame’,

[ˈkar-26A Zara si trovano [oˈʧaj] e [omˈbrela].

27Anche nella colonia istroromena di Valdarsa (ALI P. 372) si trova [poˈʃωda] col significato di

‘coltello’.

28La voce era diffusa anche in albanese (cfr. pallancë), ora sostituita da peshorë, ma ancora

testimoniata dal verbo balancoj ‘bilanciare’, e rientra nel gruppo di termini appartenenti al lessico commerciale accolti dall’albanese in seguito alle relazioni economiche e politico-militari con Venezia

(11)

ta/ˈkωrta] ‘carta’, [ˈlapis/ˈlωpes] ‘matita’, [podeˈsta/ˈpotestωt] ‘sindaco’) 29. Inoltre a Borgo Èrizzo il medesimo tratto compare in termini mutuati dal croato, come [koʧiˈωʃi] ‘cocchiere’ dal cr. kočijaš, e in altri di origine albane-se quali [ˈbωri] ‘erba’ (alb. bar), [ˈdωrδa] ‘pera’ (alb. dardhë), con un pro-cesso per certi versi parallelo a quello individuato da Ajeti (1961) in un’area ghega settentrionale corrispondente alle parlate scutarine da cui provengono gli antenati dei borgherizzani.

La mediazione slava è infine certa per i termini connotati dall’innalza-mento di [o] > [u], realizzatosi in modo sistematico nei suffissi [-on], [-ol], [-or], ravvisabile nei prestiti veneti come [porˈtuni] ‘portone’, ven. zar. [porˈtom] e cr. portun (reg.); [tiˈmuni] ‘timone’, ven. zar. [tiˈmon]; [ɡaˈrofuli] ‘garofano’, ven. zar. [ɡaˈrofolo]; [trumˈbeta] ‘trombetta’, ven. zar. [tromˈbeta]; [koˈlur] ‘colore’, ven. zar. [koˈlor]; [boˈʦuni] ‘boccia dell’acqua’, ven. zar. [boˈʦom], Boerio bozzon; [ˈkulmi] ‘tetto’, Boerio colmo; [bolˈduni] ‘salsiccia’, Boerio boldon ‘sanguinaccio’; [śkarˈpjuni] ‘scorpione’, ven. zar. [śkarˈpjom]. Un’evoluzione analoga è infatti riscontrabile tra le forme romanze accolte dal croato di Làgosta (cfr. [ˈkotola/ˈkotula] ‘gonnella’, [linˈʦwolo/linˈʦun] ‘lenzuolo’) e fra le analoghe voci del croato dialettale registrate da Miotto (1984).

Come risulta dagli ambiti onomasiologici interessati dai prestiti, la sim-biosi linguistica fu il risultato di una fusione culturale, manifestatasi nell’ac-quisizione, da parte dei profughi albanesi, di elementi della cultura materiale veneta e croata, per i quali spesso mancava la terminologia corrispondente nella varietà importata dalla madrepatria. La prima, seppure giunta spesso per mediazione slava, si rileva in modo più evidente nel settore del vestiario, del mobilio domestico, della scuola, degli alimenti, della religione, la seconda negli ambiti agricolo e artigianale (utensili e nomi di piante e animali). Inve-ce il lessico albanese si conserva più diffusamente all’interno della termino-logia di base relativa ai numeri, ai giorni della settimana, alle stagioni, ai pa-sti e ai colori, alle parti del corpo umano e ad animali, frutti e ortaggi più co-muni. Infine, nel settore dei giochi infantili, per altro sensibilmente influen-zato dal lessico romanzo (cfr. [ˈorba maˈria] ‘mosca cieca’, [ˈkuɲi] ‘lippa’ lett. ‘cuneo’, [ˈtrilja] ‘filetto’, [baˈluɲət] ‘bolle di sapone’, [ˈfreɲat] ‘palline, biglie’ ven. zar. [ˈfreɲe] riconducibile al veneziano (P. 273) [ˈfraɲa] 30), alla voce ‘te-sta o croce’ Pellis raccoglie il prestito tedesco [me śpiˈlat] ‘giocare’, dal ted.

spielen, ancora attestato in epoca recente dal dizionario di Krstić (1987), che

esula dai normali ambiti interessati da tedeschismi quali i gerghi burocrati-co-amministrativo e militare, la terminologia scientifico-tecnica e relativa

al-29Un esito analogo si riscontra assai frequentemente nei prestiti veneti della parlata istroromena

di Valdarsa (ALI P. 372), specialmente nella varietà della frazione più isolata di Briani.

30Da fragna ‘terracotta’, cioè il materiale di alcune palline adoperate nel gioco delle biglie.

(12)

l’economia domestica, alla moda e alla culinaria (Chiarioni 1985). La voce appare inoltre limitata alla varietà di Borgo Èrizzo, benché i prestiti dal te-desco abbraccino generalmente tutte le varietà comprese nelle province au-stroungariche di quest’area31come nel caso dell’alb. [kumˈpiri] ‘patata’ e cr. kumpîr, dal ted. Grundbirne ‘patata’32.

Le risposte doppie dell’inchiesta dell’ALI, con le quali la fonte ha inteso distinguere la varietà albanese da quella romanza mediante una duplice tra-duzione dello stimolo del questionario, rappresentano il 22% del totale e si rivelano uno strumento utile per valutare la complessità delle dinamiche di commistione e di sovrapposizione tra i codici in contatto a Borgo Èrizzo. In effetti l’83% delle risposte doppie rientra realmente in tale tipologia, in quanto la prima voce è riconducibile all’albanese e la seconda all’italiano/ veneto. Ma nei 19 casi del tipo romanzo/romanzo (corrispondenti all’11% delle risposte doppie), laddove la fonte fornisce due termini identici o che so-no varianti fonetiche della medesima base lessicale, per cui la forma ritenuta albanese è in realtà un prestito, dal veneto o dall’italiano, adattata al sistema fonetico e morfologico della lingua d’arrivo (cfr. ad esempio [ˈkali] / [ˈkalo] ‘callo’, [koˈśata] / [koˈśata] ‘coscia’, [ˈfjaŋku] / [ˈfjaŋko] ‘fianco’) affiorano i primi segnali di difficoltà del parlante nel distinguere i codici del repertorio. Rappresenta invece un caso singolare la coppia [ˈvinta]33/ [fren] ‘freno’, in cui il primo termine, diffuso con la medesima accezione in altre località dell’ALI come Veglia ([la ˈvida]), Fiume ([la ˈvinte]), Valdarsa Briani ([ˈvinta]), proveniente dall’it. vite o più probabilmente dal ven. vida o vide ‘vite’, avrebbe assunto in quest’area il significato più generico di ‘freno’ sulla scorta di quello più specifico di ‘martinicca del carro’, in virtù della partico-lare meccanica di quest’ultima, costituita da un “freno a ceppi, azionato a mano, mediante una vite con manovella per l’azionamento” (Pellegrini e Marcato 1988).

L’incertezza del parlante nell’attribuzione dei lessemi agli effettivi codici di riferimento si manifesta in altre dieci serie di risposte (corrispondenti al 6% del totale), in cui il lemma ritenuto albanese, accostato alla rispettiva forma romanza, si rivela un prestito dal croato, come, ad esempio, [ʃkropˈniʦa] / [ˈpila] ‘pila dell’acqua benedetta’ (cr. škròpionica), [vərˈʧina] / [buˈkal de ˈnote] o [ˈvazo] ‘vaso da notte’ (cr. vrčina), [ˈźiɫa] / [ˈvena] ‘vena’ (cr. žila), [ˈdɫani] / [ˈpalma] ‘palma della mano’ (cr. dlan), [ˈklepʦi] / [baˈtoʧo]34‘battaglio della campana’ (cr. klepac, -pca), [kapaˈrani] / [ɟaˈketa] ‘giacca’ (cr. kaparan).

31Come è stato rilevato da Ursini (2002:362-363).

32Prestito diffuso anche presso le varietà albanesi della Macedonia e del Kosovo e in alcune zone

dello stato albanese situate lungo i confini nordorientali (cfr. carta n. 385 patat/e, -ja dell’ADGjSh).

33Tagliavini raccoglie vid, -a ‘vite’.

(13)

Altrettanto interessanti, nell’ottica delle dinamiche di sostituzione o so-vrapposizione dei codici del repertorio, sono i 17 casi in cui la prima rispo-sta, albanese, veneta o croata, è seguita da una variante appartenente quasi sempre a un altro sistema linguistico (cfr. [ˈσωti] (cr. sat, alb. sahat) e ven. [leˈroj] ‘orologio’; alb. [ʧaˈrapi] e it. [ˈkalʦa] ‘calza’ qualificato come ‘recen-te’; ven. [ˈśkurja] e alb. [kanˈʤia] ‘frusta’; ven. [ˈmula] e cr. [ˈmazɡa] ‘mula’; cr. [peˈʧurka] e alb. [koˈpurδa] ‘fungo’; ven. [ˈɡoti]35e cr. [ɡaσˈtarea], segna-lato in disuso36, ‘bicchiere’; ven. [puˈtina] e ven. [ˈpjaula] ‘bambola’; cr. [ˈśtupʦi] e alb. [ˈdruja] (alb. dru) ‘albero’), a cui può corrispondere anche una differenza di significato: alb. [ˈterʧət] ‘calzoni di stoffa spessa di lana’37 e ven. [braˈɡeśat] ‘calzoni’; cr. [poσˈtea] ‘coperta di produzione domestica’, da connettere al cr. pòstelja ‘letto’, e alb. [vəˈlenʦa] ‘coperta’; ven. [ˈpjaʦa] ‘piazza’ e cr. [ˈkõmpa] ‘la piazza del mercato degli ortaggi di Zara’ (dal cr.

kompa a sua volta dal ven. campo); ven. [ˈkωri] ‘carro’ e alb. [ˈʧerri] ‘il carro

morlacco’; ven. [kraˈvata] e [kolaˈrina] ‘cravatta’ di due diverse fogge; it. [ˈstilo] e alb. [ˈθika] ‘pugnale’, ma il secondo è più precisamente un coltello ricurvo, come si desume dal disegno che accompagna il dialettale (cfr. alb.

thikë ‘coltello’). A tale proposito, si può notare che mentre la specializzazione

semantica ha favorito la sopravvivenza di entrambe le voci, ancora attestate in Krstić (1987) 38, tra le coppie sinonimiche si è conservato soltanto uno dei due termini (cioè leròj, çarap, mazga, peçurka, goti, pjaula, stupci).

Risultano parimenti significative, nella prospettiva della sovrapposizione linguistica tra le diverse varietà del repertorio, le seguenti espressioni miste: il ridondante [ˈlakna kaˈpuʦ] ‘cavolo cappuccio’, dall’alb. gh. lakën, -a ‘cavo-lo’ e ven. capuzzo ‘cavolo cappuccio’; [ˈlule te śaŋ anˈdonit] ‘giglio’, dall’alb.

lule ‘fiore’, modellato sulla locuzione [fjor de śant-anˈtonjo] attestata anche

nelle località istriane dell’ALI (cfr. alb. Ndon ‘Antonio’); [ˈvori ɡoˈditum] [ˈvori ɡoˈditun]39 ‘tomba’, lett. ‘tomba costruita’ dall’alb. varr, -i ‘tomba’ e dal cr. goditi ‘costruire’; [ʧuś-toˈvare] ‘portare a cavalluccio’ dal ven. zar. [porˈtar a ʧuˈʧuś] 40‘portare a cavalluccio’ e dal cr. tòvar ‘carico, soma’ e tò-variti ‘caricare’; [koˈlur ˈinit] ‘grigio chiaro’ lett. ‘colore della cenere’ (ven. ko-lor e alb. hi, -ri ‘cenere’); [koˈlur ˈʧieɫit] ‘celeste’ lett. ‘coko-lore del cielo’ (alb. qell, -i); [ˈlulet te śtupʦit] ‘fiori degli alberi’ (alb. lule ‘fiore’ e cr. stup ‘palo,

colonna’, nel čakavo sett. ‘albero’). Infine, dall’esame comparato tra

l’inchie-35Cfr. alb. gotë fem. a sua volta dal ven. goto. 36Ma il termine è vivo nel significato di ‘vetro’, ‘vetri’.

37Tagliavini (s.v.) afferma che “ora si dice per ogni sorta di calzoni, ma primitivamente si

dice-va solo di quelli di lana’.

38Ad eccezione di [kolaˈrina] e di [ˈstilo] caduti in disuso insieme agli oggetti designati. 39A tal proposito Tagliavini (1937:32) rileva “il mutamento di n in m in finale assoluta nei

par-ticipi in -un”.

40In Miotto (1984) cius è il grido usato per incitare l’asino o il cavallo.

(14)

sta di Pellis, quella di poco successiva di Tagliavini e la raccolta lessicale di Krstić (1987) emergono altri indizi sintomatici della fluidità della situazione linguistica di Borgo Èrizzo in merito ai rapporti di forza tra i codici in con-tatto nei primi anni del secolo scorso. Infatti voci indigene che, ancora atte-state nel 1929, nell’indagine posteriore sembrerebbero già scomparse, come [fəɫˈʧiɲt] ‘mascella’ (alb. fulqi, -ri, pl. -nj, njtë) sostituita dal cr. vilits, -a o [ˈvjesta] ‘autunno’ (alb. vjeshtë, -a) dall’it. autuñ, sono ancora segnalate vi-tali da Krstić (1987), a differenza di [ˈmuɫza] ‘stomaco’ (alb. müllëz, -za) rimpiazzata già all’epoca di Tagliavini dal cr. štunk, -u e menzionata da Krstić (1987). Al contrario, l’alb. [ˈdjepi] ‘culla’ (alb. djep, -i) e il cr. koling, -a ‘culla’, raccolti rispettivamente da Pellis e Tagliavini, sono considerati da Krstić varianti, così come risultano ancora coesistenti [ˈvorbza], diminutivo dell’alb. vorbë, e il ven. zar. brontzi, -ni ‘pentola, pignatta’.

Come già rilevato da altri studi (Tagliavini 1937; Ajeti 1961; Topalli 2006), rispetto all’albanese della madrepatria, la varietà di Borgo Èrizzo oscilla, dal punto di vista fonetico, tra la conservazione di tratti arcaici e l’adozione di altri, più recenti, formatisi in Dalmazia; pertanto, in tale pro-spettiva, i materiali scrupolosamente raccolti da Pellis risultano assai utili per riprendere alcune questioni di fonetica storica su cui si sono soffermati Tagliavini e Ajeti. In prima istanza, alla luce delle testimonianze dell’ALI, va senz’altro ridimensionata la critica, rivolta a Weigand da Tagliavini, di aver ritoccato le forme raccolte, ripristinando una laterale velare in ogni voce in cui sarebbe stata etimologica, cioè proveniente da una laterale dentale in po-sizione intervocalica41. Dall’inchiesta di Pellis risulta infatti una presenza ancora notevole della velare, rispetto alla diffusione della realizzazione den-tale riscontrata da Tagliavini. Nello specifico, tra le convergenze lessicali del-le due inchieste, Pellis registra una lateradel-le velare, laddove Tagliavini (T.) segnala la perdita del tratto velare, nei seguenti casi: [ˈbaɫa] (T. bal, -a) ‘fronte’, [ˈśkaɫat] ‘scala, gradino, scala a pioli’ (T. škal, -a), [ˈtreŋɡuɫa] ‘tego-la’ e (T. treŋɡul, -a), [ˈkumbuɫa] ‘susina’ (T. kumbul, -a), [ˈkuŋɡuɫi] ‘zucca’

(T. kungul, -i / -a), [ˈenʤuɫi] raccolto alla voce ‘presepe’, ma propriamente ‘angelo’ (T. enğul, -i), [ˈʧieɫi] ‘cielo’ (T. čεl, -i), [ˈyeɫat] ‘stelle’ (T. ǖel, -i pl. ǖel, -a). Inoltre le concordanze tra le due inchieste rispetto alla conservazione

dell’articolazione originaria sono assai sporadiche: [ˈσjetuɫa] ‘ascella’, [ˈtikuɫa] ‘mattone’, [ˈmoɫa] ‘la mela’ ‘mele’42, [ˈboɫa] ‘serpente’, [ˈdieɫi] ‘sole’43,

41“Il Weigand scrive poi regolarmente ł dove è etimologico. Si deve a udito finissimo o a

«ritoc-co» ulteriore? Io sono propenso a pensare al ritocco, perché i parlanti non hanno assolutamante coscienza di una differenza tra l e ł” (Tagliavini, 1937:18).

42Nell’inchiesta dell’ALI anche alla voce ‘rotella del ginocchio’ [ˈmoɫa e ˈɡyɲit], calco del veneto

pomo del zenocio.

(15)

[ˈvjetuɫa] ‘sopracciglio’44. Infine la persistenza del medesimo suono nel 1929 è documentata da altre voci albanesi trascurate da Tagliavini, come [ˈmuɫza] ‘stomaco’, [σuˈɫupat] ‘basette’, [fəɫˈʧiɲt] ‘mascella’, [ˈśpatuɫa] ‘scapola’ e [ˈtuɫa] ‘mattone’, nonché dalla sua penetrazione nei prestiti, come [σaˈɫωta] ‘lattuga’, [i ˈʧeɫət] ‘calvo’ e [ˈźiɫa] ‘vena’ e ‘radice’. Poiché non vi è ragione di dubitare della correttezza metodologica di Tagliavini, che, a suo dire, visse per un certo periodo di tempo a stretto contatto con la comunità oggetto d’indagine e evitò, nella prima fase di inchiesta, il confronto con i materiali raccolti da altri, così come cercò successivamente conferma, anche presso al-tri informatori, delle forme che gli parevano dubbie, si può concludere che le differenze di articolazione registrate negli anni precedenti sia da Weigand sia da Pellis non siano dovute a errori di trascrizione o a manipolazione dei ma-teriali, ma allo iato temporale che separa le inchieste, dilatato dall’età degli informatori scelti, un uomo di sessantacinque anni per Pellis e una ventenne per Tagliavini. In conclusione, le tre inchieste hanno fotografato momenti di-versi di un mutamento fonetico in atto, cioè la trasformazione della laterale velare in dentale, di cui i materiali di Pellis rappresentano la fase intermedia 45, marcata da una rilevante variabilità interna, accentuata dall’assenza di uno standard di riferimento.

Le accurate trascrizioni di Pellis contribuiscono anche a confermare la presenza di una specifica realizzazione della sibilante sonora riscontrata da Tagliavini (1937:24) e indicata con il segno ŝ: “Accanto a θcorrispondente a

θ dell’albanese, il nostro dialetto ha anche un θ< s […] la differenza fra i

due θè minima, ma pure in qualche parola è sensibile; nel secondo caso ab-biamo a che fare piuttosto con un gelispeltes s”. Il medesimo suono, trascrit-to con σ, è già avvertito nel 1929 da Pellis e viene definito (cfr. Genre 1978:79) “più stretto ed energico di s, articolato come ts, ma senza la chiusa dentale” della fricativa interdentale sorda θ; infatti “più il lembo arcuato su-periore della lingua si protende tra la fessura dentale e più chiara è la carat-teristica del suono θ; più si ritira ed eleva lungo gli incisivi superiori, e più si avvicina a σ”. Si tratta dunque di una variante allofonica di [s], la cui inci-denza è comunque notevole, come dimostrano sia le molteplici concordanze tra le due inchieste esaminate ([ˈσjetuɫa] ‘ascella’, [tryˈeσa] ‘tavola’, [ˈσkutat] ‘sottana’, [uˈnaza e marˈteσeσ] ‘fede’, lett. ‘anello del matrimonio’, [ɡaσˈtare] ‘vetro’, [σamˈpuni] ‘sapone’, [ˈpuσi] ‘pozzo’, [ˈθaσi] ‘sacco’, [biσˈkupi] ‘vesco-vo’ dal cr. biskup, [ˈmoσti] ‘ponte’ dal cr. most), sia le numerose attestazioni rilevabili nel glossario di Tagliavini, tra cui peŝ ‘cinque’, ŝoš, -a ‘vaglio’,

44Tagliavini riporta vεtuɫ, -a ‘sopracciglio o palpebra’ (gh. vetull, -a).

45Lo stesso fenomeno è riscontrabile in altre varietà albanesi staccatesi dalla madrepatria,

rap-presentando una deriva generale riscontrabile soprattutto in contesti alloglotti in cui tale suono non è presente.

(16)

peŝłˈɛt ‘cinquanta’, ŝiŝ, -a ‘scopa’, ŝy ‘occhio’, alle quali si aggiungono quelle

dell’ALI: [σuˈɫupat] ‘basette’, [ˈσωti] ‘orologio’, [σaˈkiʦa] ‘scure, accetta’, [ˈσunσia] ‘pipa’, [ˈkσula] ‘berretto nazionale’, [ˈʃiσa] ‘scopettina’, [ˈσita] ‘staccio’, [poˈσωda] ‘coltello’, [ˈuσtra] ‘lama’, [ˈσtieɲi] ‘stoppino’, [σaˈlami] ‘salame’, [poσˈtea] ‘coperta’, [ˈσtolku] ‘cestino da bambini’, [ˈσpara] ‘cercine’ e il morfema del genitivo singolare femminile [-eσ]. Come già rilevato da Ta-gliavini e confermato anche dagli esempi di Pellis46, il fenomeno riguarde-rebbe solo termini albanesi e croati, poiché il lieve grado di palatalizzazione di [s] dei temini importati dal veneto zaratino, registrato con molta precisio-ne da Pellis, avrebbe impedito l’estendersi della variante allofonica alle for-me romanze, favorendo invece il passaggio a [ʃ]. Alla luce di tali nuove do-cumentazioni è da escludere che il suono ŝ /σsia da attribuire, come ha affer-mato Ajeti (1961), a un difetto di pronuncia dell’informatrice del linguista patavino, che peraltro sostenne di non essersi limitato alla testimonianza di un’unica fonte, ma di aver compiuto una verifica presso altri membri della comunità47; si tratta invece di un tratto tipico delle varietà croate penetrato attraverso i prestiti, come si può rilevare dalla sua diffusione anche nella va-rietà di Làgosta (ALI).

È evidente che la finezza percettiva di Pellis, non influenzata né da cono-scenze pregresse né da una sicura padronanza del sistema linguistico in esa-me, gli permise di cogliere delle sfumature di articolazione sfuggite ad altri. Ad esempio, egli registra la serie di sibilanti sorda e sonora, rese mente con [ś] e [ź], il cui grado di palatalizzazione è intermedio rispettiva-mente tra [s] e [ʃ] e tra [z] e [ʒ], secondo un’abitudine articolatoria tipica del veneto zaratino e dei dialetti veneti in generale, riscontrabile, come si è visto, specialmente nei prestiti romanzi (cfr. [kamiˈźoti] ‘gonnella’, Boerio

ca-misoto), ma estesa anche alle voci albanesi ([ˈvjeśta] ‘autunno’, alb. vjeshtë;

[ˈveśi] ‘orecchio’, alb. vesh; [ˈśpatuɫa] ‘scapola’, alb. shpatullë; [ruśi] ‘uva’, alb. rrush; [kəˈmiśa] ‘camicia’, alb. këmishë; [ˈɡoźda] ‘chiodo’, alb. gozhda ‘chiodo’) pur con qualche oscillazione (cfr. [ˈmiśi] ‘carne’, ma [ˈmiʃi i ˈδamvε] ‘gengiva’ lett. ‘carne dei denti’, alb. mish), e croate ([źut] ‘giallo’, cr. žût; [ˈźiɫa] ‘vena’, cr. žila; [mlaˈdeźi] ‘neo’, cr. madež; [kroˈźati] ‘panciotto’, cr.

krožat, -i ‘giustacuore’, dal ven. crosato ‘farsetto’). Tuttavia, come

documen-ta il più recente vocabolario di Krstić (1987), che tende comunque a unifor-mare i suoni al modello della varietà albanese standard, rispetto alla

situa-46L’unica attestazione in una voce veneta riguarda [poˈσωda] per la quale si è però ipotizzata

una mediazione slava.

47“Che questo mutamento non sia recente mi è attestato da persone anziane di Borgo Èrizzo,

come il dr. Vuxani; egli mi assicura che anche 25 anni fa si pronunciava allo stesso modo. È eviden-te che il W. ha creduto che si trattasse di un difetto di pronuncia del suo informatore e non ne ha

(17)

zione del 1929, in seguito alla riduzione della forza numerica e del prestigio del modello romanzo, si è verificato un ritorno generalizzato alla pronuncia fricativa palatale sia nei prestiti (shkur e përshut), sia nelle voci di origine al-banese (gozhd, -a).

Un ulteriore fenomeno di cui è possibile seguire l’evoluzione diacronica tramite il confronto tra le due inchieste è la trasformazione della fricativa in-terdentale [δ], diventata [d], o [ɫ] e poi [l], o del tutto scomparsa davanti a [m] e [n]. Sotto questo aspetto l’inchiesta dell’ALI mostra uno stadio conser-vativo, in cui l’elemento fricativo è ancora percepito in [ˈɡarδi] ‘siepe’ rispet-to a gard, -i di Tagliavini, ma è ormai scomparso in [liˈvada] ‘prarispet-to’ (cfr. T.

livad, -i); anche gli esiti in [ɫ] o [l] sono ancora sporadici nell’ALI ([ˈpiɫi]

‘conno della donna’, da alb. pidhi; [arˈɫia], [ˈrrɫia] ‘vite’, da ardhi, cfr. T. rłi),

mentre risultano assai più diffusi tra le voci raccolte nel 1933 da Tagliavini, come kapurla ‘funghi’ (ALI [koˈpurδat]), lamb e łamb ‘dente’ (ALI [ˈδambi] ‘dente’ e [δamˈbari] ‘dente molare’), ul, -a ‘strada’ (ALI [ˈuδa] e [uδˈkryci] ‘bivio’), liet ‘dieci’ (ALI [ˈδiet], [δet] ‘dieci’ e [i ˈδieti] ‘decimo’), triɫét ‘trenta’

(ALI [triδˈɛt]), katrɫét ‘quaranta’ (ALI [katerδˈɛt]), peŝɫét ‘cinquanta’ (ALI

[pesδˈɛt]), ïaʃɫét ‘sessanta’ (ALI [ʤaʃtδˈɛt]), ʃtatɫét ‘settanta’ (ALI [ʃtatδˈɛt]), tɛtɫét ‘ottanta’ (ALI [tetδˈɛt]), nantɫét ‘novanta’ (ALI [nântδˈɛt]). Infine, nella

serie dei numerali da undici a diciannove (con la tipica struttura ‘balcanica’ ‘uno su dieci’, ‘due su dieci’ ecc.) nel 1929 la realizzazione con la fricativa interdentale è ancora indicata come variante rispetto a quella senza [δ], l’unica registrata nel 1933 (cfr. [ɲim[δ]ˈɛt], T. ñimét ‘undici’; [dym[δ]ˈɛt], T.

dümét ‘dodici’; [trem[δ]ˈɛt], T. tremét ‘tredici’; [katerm[δ]ˈɛt], T. katrmét

‘quattordici’; [pesm[δ]ˈɛt], T. peŝmét; [ʤaʃtm[δ]ˈɛt], T. gjašmét ‘sedici’; [ʃtatm[δ]ˈɛt], T. štatmét ‘diciassette’; [tetm[δ]ˈɛt], T. tɛtmɛt ‘diciotto’; [nantm[δ]ˈɛt], T. nantmét ‘diciannove’). Considerato che, come documentano le voci dell’ALI, gli esempi relativi ai mutamenti subiti da [δ] sono ancora piuttosto sporadici all’inizio del secolo scorso, risulta difficile inserire questo tratto tra quelli ereditati dalla comune matrice ghega prima dell’allontana-mento dalla madrepatria, come invece sostiene Topalli (2006), mentre sa-rebbe più esatto ritenerlo uno sviluppo autonomo più recente, iniziato in Dalmazia e condizionato dall’assenza di tale suono nelle varietà con cui gli albanesi entrarono in stretto contatto.

Premesso che tra i segni adoperati da Pellis in tutti i suoi rilievi non ne esiste uno univoco per indicare la vocale indistinta [ə] 48, nell’inchiesta di Borgo Èrizzo tale suono viene solitamente indicato con una [e] attenuata ([ˈkater] ‘quattro’) o, più raramente, con un puntino corrispondente a una vocale evanescente ([ˈo·na e ˈbyθes] ‘natica’, [m·nˈdaʃi] ‘seta’) 49. Quindi,

ben-48Cfr. a tal proposito Genre (1970).

49Nel corso del presente lavoro i due segni sono sempre stati resi con [ə].

(18)

ché la caduta della vocale centralizzata e delle vocali atone in generale in po-sizione protonica e postonica sia un tratto tipico delle varietà gheghe setten-trionali e in particolare dello scutarino, essa non appare ancora molto pro-nunciata nell’inchiesta dell’ALI, dove figurano ancora, ad esempio, [kəˈnata] e [kəmˈbôna] ‘campana’, [ˈʃpija] e [ʃtəˈpia] accanto a [ˈkσula] ‘berretto nazio-nale’ (alb. kësulë). Invece, nell’indagine di Tagliavini, tale tratto è assai più diffuso, specialmente laddove, in luogo dell’indistinta o delle altre vocali ca-dute, appaiono consonanti sillabiche peculiari delle varietà slave, come di-mostra il confronto tra le risposte comuni alle due inchieste (cfr. [kərśanˈdet] ‘natale’, T. kršandét; [ʧerˈśia] ‘ciliegia’, T. črŝi, -a). Si noti infine che in altri

casi nel 1933 si registra anche il passaggio dell’indistinta a [i] o [u]: [ləˈkura e ˈbukəs] ‘crosta del pane’,T. likur, -a, [ʤəɫˈpana] ‘ago’, T. ʤuɫpan, -a,

anco-ra assente nelle inchieste dell’ALI. Invece la tanco-rasformazione della vocale [y] in [u] o [i], definita sporadica da Tagliavini, è ancora meno frequente tra i dialettali raccolti da Pellis, dove figurano, ad esempio, [ˈbryli] ‘braccio’, ‘go-mito’ pl. [dy ˈbryla], ma anche [ˈbrula]50, e [fyˈtyr] ‘viso’, raccolto come va-riante più rara di [ˈfaʧea] (cfr. T. fitur).

Fra i tratti già manifestatisi prima del distacco dalla madrepatria va an-noverato il passaggio delle consonanti occlusive palatali [c] e [ɟ] alle affrica-te postaveolari [ʧ] e [ʤ], tipico dello scutarino e di buona paraffrica-te dei dialetti gheghi settentrionali, come documentano anche numerose voci dell’inchiesta dell’ALI (cfr. [ʤaʃt] ‘sei’, [i ˈʤaʃti] ‘sesto’, [ɲi ʧind] ‘cento’, [kuʧ] ‘rosso’, [ˈzoʤet], pl. di zog [ˈʧereka] ‘chierica de’ preti’ dall’it. chierica, ma [ˈkryci] ‘croce’) 51, benché nelle traduzioni di ‘cane’, ‘gallo’ e ‘foglia’ Pellis avverta ancora un’articolazione intermedia tra l’affricata e l’occlusiva. Invece la ca-duta di [h], che nelle varietà della madrepatria è condizionata dal contesto fonetico52, a Borgo Èrizzo si realizza in maniera generalizzata, come risulta da [peˈari] ‘catino da tavola’ (alb. pehari), [baˈeri] ‘fionda’ (alb. bahe, -ja), [kra] ‘braccio’ (alb. krahë), [koˈlur ˈinit] ‘color della cenere’ (cfr. hi, -ri ‘cene-re’) e [e ˈânea] ‘lunedì’ (alb. e hënë). Infine debolissime tracce delle vocali nasali, peculiari delle varietà gheghe, la cui scomparsa è di solito indicata co-me un tratto innovativo di Borgo Èrizzo, si incontrano ancora specialco-mente nella realizzazione di [a] e saltuariamente di [o] prima di una consonante nasale (cfr. [ˈâna] ‘luna’ (ma T. an-a), [e ˈânea] (T. e anea) ‘lunedì’, [nânt] ‘nove’, [nântˈδet] ‘novanta’, [ˈkrâni i rωδ] ‘pettine rado’, [ˈdônət] ‘tenaglie’).

Come risulta da questo breve esame critico, l’inchiesta dell’ALI può esse-re considerata una fotografia piuttosto fedele dell’articolata e complessa

si-50Per Tagliavini esiste solo brul, -i ‘gomito’, pl. brulńet e brula.

51Si noti che la regola non vale nei casi di continuazione dai nessi [ɡl-] e [kl-] (cfr. [ˈɡya]

‘lin-gua’ e [ˈgyɲi] ‘ginocchio’).

52Per l’esatta diffusione areale di tale fenomeno nei dialetti albanesi in relazione ai differenti

(19)

32

tuazione linguistica di Borgo Èrizzo all’inizio del secolo scorso. Nonostante i limiti derivanti dal ricorso a un unico informatore, l’applicazione del metodo di trascrizione impressionistico per ovviare a eventuali errori nella resa di parlate sconosciute ha consentito a Pellis di riprodurre con precisione i tratti fonetici della varietà albanese dei primi secoli del ’900 e dai dati raccolti ri-sulta con assoluta evidenza il condizionamento lessicale e fonetico dei codici linguistici più prestigiosi rispetto ai quali la lingua dei coloni si trovava in condizione di subalternità. Nello specifico risultano evidenti il ruolo svolto dalla varietà cittadina di Zara e dalle parlate croate circostanti nella caratte-rizzazione del lessico albanese, attraverso cui si è realizzata anche la diffu-sione di particolari abitudini fonetiche, anche se, in una situazione linguisti-ca così eterogenea, riesce spesso difficile distinguere tra processi paralleli e veri e propri condizionamenti esterni. Tuttavia, come si è cercato di dimo-strare, la notevole venetizzazione e italianizzazione del lessico di Borgo Èriz-zo va senz’altro letta come il risultato di un contatto più stretto con le varietà croate della Dalmazia, a loro volta già profondamente romanizzate.

Il Questionario dell’ALI, sia pure impiegato in una versione ridotta, è sultato uno strumento adeguato sia a far emergere nuovi elementi lessicali ri-spetto ai repertori preesistenti sia a rappresentare, attraverso la struttura dell’inchiesta doppia, la flessibilità e la variabilità legate a un contesto multi-lingue. Il valore documentario dei materiali analizzati è duplice: essi rappre-sentano un tassello significativo della storia linguistica e culturale della co-munità, collocabile tra i dati raccolti e pubblicati da Weigand nel 1909 e quelli contenuti negli studi di Tagliavini, dagli anni ’30 del secolo scorso, in un periodo storico caratterizzato da eventi i cui riflessi sul piano linguistico furono determinanti. In seconda istanza essi forniscono ulteriori elementi per la storia della lingua albanese, che, a causa dell’esiguità delle testimonianze scritte, trova nelle varietà della diaspora significativi termini di confronto per stabilire cronologia e diffusione di specifici fenomeni linguistici. Benché sull’attuale situazione linguistica di Borgo Èrizzo manchino indagini accura-te e compleaccura-te, come risulta anche dall’Atlasi Dialektologjik i gjuhës shqipe, pubblicato di recente, dove i rari riferimenti alla varietà del luogo sono rica-vati dal saggio di Ajeti del 1961 e non da inchieste svolte sul campo, gli evi-denti segnali di debolezza e di cedimento rispetto a codici più prestigiosi ri-scontrati già nei primi anni del Novecento, uniti all’attuale esiguità numerica della comunità albanofona, inducono a supporre che la vitalità del dialetto albanese sia ormai inevitabilmente compromessa, anche per l’assenza di for-me di tutela istituzionale e di organismi che operino in tal senso.

(20)

33

BIBLIOGRAFIA

AA.VV. (1980), Fjalor i gjuhës së sotme shqipe, Tiranë, Akademia e Shkencave e Shqipërisë.

AA.VV. (1984), Fjalor i shqipës së sotme, Tiranë, Akademia e Shkencave e Shqipë-risë.

ADGjSh = Gjinari J., Beci B., Shkurtaj Gj., Gosturani Xh. (2007-2008), Atlasi

Dia-lektologjik i Gjuhës Shqipe, Vëll. I (2007) e II (2008), Akademia e Shkencave e

Shqipërisë, Università degli Studi di Napoli L’Orientale.

ALI = AA.VV. (1995-), Atlante Linguistico Italiano, Voll. I-VII, Roma, Istituto Poli-grafico e Zecca dello Stato.

AJETII. (1961), Istorijski Razvitak gegijskog govora Arbanasa kod Zadra, Sarajevo,

Naučno društvo nr Bosne i Hercegovine.

BARTOLI M. et alii (1971), Questionario. I, a - TESTO, Supplemento al Bollettino

dell’Atlante Linguistico Italiano, n. 3, Torino.

BIDWELLC.E. (1967), “Colonial Venetian and Serbo-Croatian in the Eastern Adriatic: A Case Study of Language in Conctat”, in General Linguistics, 7, New York, pp. 13-30.

BOERIOG. (1856), Dizionario del dialetto veneziano, Venezia, Cecchini.

CHIARIONIT. (1984), “Come si parlava a Zara”, in Guida ai dialetti veneti, VI, Pa-dova, Cleup, pp. 159-189.

CHIARIONIT. (1985), “Come si parlava a Zara”, in Guida ai dialetti veneti, VII,

Pa-dova, Cleup, pp. 127-153.

CUGNOF. (1994), “Osservazioni sui Punti albanesi dell’Atlante Linguistico Italiano”,

in Bollettino dell’Atlante Linguistico Italiano, III Serie, n. 18, Torino, pp. 73-92. CUGNOF. (1999), “La parlata italo-albanese di Villa Badessa: concordanze

linguisti-che con la madrepatria”, in Bollettino dell’Atlante Linguistico Italiano, III Serie, n. 23, Torino, pp. 1-20.

CUGNOF. (2004), “La sensibilità linguistica del parlante in una comunità bilingue: il caso di Villa Badessa”, in Bollettino dell’Atlante Linguistico Italiano, III Serie, n. 28, Torino, pp. 1-15.

DEANOVIĆ M., JERNEJ J. (19949), Vocabolario croato-italiano. Hrvatsko-talijanski

rječnik, Zagreb, Školska knjiga.

DEANOVIĆ M., JERNEJ J. (200214), Vocabolario italiano-croato. Talijansko-hrvatski

rječnik, Zagreb, Školska knjiga.

DEMIRAJSh. (1985), Gramatikë historike e gjuhës shqipe, Tiranë, Shtëpia botuese “8 nëntori”.

GENREA. (1970), “L’inchiesta di Ugo Pellis per l’ALI a Prali (TO)”, in Bollettino

dell’Atlante Linguistico Italiano, n. 17-18, Torino, pp. 18-32.

GENREA. (1978), “Tavola di unificazione dei segni di trascrizione fonetica di Ugo Pellis”, in Bollettino dell’Atlante Linguistico Italiano, III serie, n. 2, Torino, pp. 57-86.

(21)

34

GENRE A., MASSOBRIO L. (1990), “Ugo Pellis e l’Atlante Linguistico Italiano”, in

Friûl di soreli jevât, Gorizia, Società Filologica Friulana, pp. 291-297.

GJINARIJ. (1989), Dialektet e gjuhës shqipe, Tiranë, Akademia e shkencave e Shqi-përisë.

HELBIGR. (1904), “Die italienische Elemente im Albanesischen”, in G. Weigand (a

cura di), Jahresbericht des Instituts für rumänische Sprache an der Universität

Leipzig, X, Leipzig, pp. 1-137.

KOVAČEC A. (2002), “Arbanasi-Albanisch”, in Wieser Enzyklopädie des

europäi-schen Ostens, Band 10, Klagenfurt, Wieser Verlag, pp. 67-70.

KRSTIĆK. (1987), Rječnik govora zadarskih Arbanasa, Zadar, Arbanasi, Mjesna Za-jednica Arbanasi.

LEKAF., SIMONIZ. (1996), Dizionario albanese italiano. Fjalor shqip italisht, Tira-në, Çabej-Besa.

MANZINIG., ROCCHIL. (1995), Dizionario storico fraseologico etimologico del

dialet-to di Capodistria, Collana degli atti, n. 12, Trieste-Rovigno, Centro di ricerche

storiche.

MARUSSIB. (2006), La Borgo Èrizzo della Zara di un tempo, Roma, Il Calamo. MASSOBRIOL. et alii (a cura di) (1995), Verbali delle inchieste, Voll. I-II, Roma,

Isti-tuto Poligrafico e Zecca dello Stato.

MASSOBRIOL. (2008), “Ugo Pellis e l’Atlante Linguistico Italiano”, in Ce fastu?,

So-cietà Filologica Friulana “Graziadio I. Ascoli”, LXXXIV, 2, Udine, pp. 263-269. METZELTINM. (1988), “Veneziano e italiano in Dalmazia”, in Lexicon der

Romani-stischen Linguistik, IV, Tübingen, Narr, pp. 551-569.

MIOTTOL. (1984), Vocabolario del dialetto veneto-dalmata, Trieste, Lint.

MUSIĆS. (1978), “I romanismi nelle Bocche di Cattaro nord-occidentali”, in

Bolletti-no dell’Atlante Linguistico Mediterraneo, 20, pp. 11-117.

PELLEGRINIG.B. (1976), Carta dei dialetti italiani, Pisa, Pacini.

PELLEGRINI G.B. (1977), Introduzione allo studio della lingua albanese, Padova, Istituto di Glottologia, Seminario di Filologia balcanica.

PELLEGRINIG.B., MARCATOC. (1988), Terminologia agricola friulana, Udine, Società Filologica Friulana.

PELLIZZERA. e G. (1992), Vocabolario del dialetto di Rovigno d’Istria, Trieste-Rovi-gno, Unione italiana di Fiume-Università popolare di Trieste.

PINGUENTINIG. (1969), Nuovo Dizionario del dialetto triestino, Bologna, Cappelli.

REITERN. (1992), “Die Slavismen in Borgo Èrizzo und die Gradation der

Homoglos-sie”, in Beiträge zur sprachlichen, literarischen und kulturellen Vielfalt in den

Philologien, Stuttgart, Franz Steiner Verlag, pp. 123-134.

ROSAMANIE. (1999 [1966]), Vocabolario giuliano, Trieste, Lint.

TAGLIAVINI C. (1933), “Penetrazione e adattamento delle voci italiane e croate nel dialetto albanese di Borgo Èrizzo (Zara)”, in Atti del III Congresso Internazionale

dei Linguisti, Roma, Istituto per l’Europa orientale, pp. 1-30.

TAGLIAVINIC. (1937), L’albanese di Dalmazia. Contributi alla conoscenza del

dia-letto ghego di Borgo Èrizzo presso Zara, Biblioteca dell’Archivum Romanicum,

Serie II: Linguistica, vol. 22.

TOPALLIK. (2006), “Për kronologjinë e disa dukurive fonetike në të folmen e

arbë-neshëve të Zarës”, in Studime Filologjike, Tirana, n. 3-4, pp. 133-141. TOSOF. (2008), Le minoranze linguistiche in Italia, Bologna, Il Mulino.

(22)

35

URSINIF. (1989), “Varietà linguistiche a confronto in un questionario dell’ALI (Là-gosta/Lastovo, Dalmazia)”, in G.L. Borgato e A. Zamboni (a cura di),

Dialettolo-gia e varia linguistica per Manlio Cortelazzo, Padova, Unipress, pp. 357-367.

URSINIF. (1995), “Sistemi linguistici in competizione sulla costa adriatica orientale:

il veneto-dalmata tra gli idiomi romanzi e non romanzi dell’area balcanica in età moderna”, in E. Banfi et alii (a cura di), Italia settentrionale: crocevia di idiomi

romanzi, Tübingen, Niemeyer, pp. 357-367.

URSINIF. (2002), La Dalmazia e l’Istria, in M. Cortelazzo et alii (a cura di), I

dialet-ti italiani: Storia, struttura, uso, Torino, UTET, pp. 357-374.

VICARIOF. (1990), “Elementi veneti in albanese”, in M. Cortelazzo (a cura di),

Gui-da ai dialetti veneti, XII, Padova, Cluep, pp. 33-45.

WEIGANDG. (1911), “Der gegische Dialekt von Borgo Erizzo bei Zara in Dalmatien”, in Jahresbericht des Instituts für rumänische Sprache an der Universität Leipzig, XVII-XVIII, Leipzig, pp. 177-239.

Riferimenti

Documenti correlati

Per stimolare l’informazione alle Aziende sono apprezzate dalla Camera ogni genere di iniziative organizzate dai Representative quali: meeting, convegni, b2b… La Camera si rende

è invitata alla commemorazione della medaglia d’Oro al Valor Civile,. Vice Questore

Egli è stato oggetto dell’attentato delle Brigate Rosse perché costituiva per le stesse - con il suo lavoro infaticabile ed intelligente aveva infatti scavato

La tabella seguente riporta le numerosità rilevate negli anni dalle LAC rispetto a quanto riportato dall’ISTAT con le differenze in valori assoluti (Diff C-I; comune – istat);

Analizzando alcune versioni della Divina Commedia in russo (con particolare attenzione a quella, assai di- scussa, di A. Iljušin del 1995), Natal’ja Popova-Rogova mette in

Nel caso n ≥ 3 tutte le dimostrazioni sfruttano la teoria dell'omologia e la teoria della comologia (si veda [8], [4]), entrambe rami della topologia algebrica.. Nell'ipotesi che X ⊂

do l’Austria e cercando anche di farle da mediatrice con l’Italia e la Russia, mirava a conquistare un ruolo complessivamente egemone nell’impero otto- mano. Le élites

In questo contributo sono stati analizzati alcuni sostituti eufemistici di nomi di malattie nella lingua albanese, intrecciando i metodi di analisi