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Shortfall Deviation Risk: Un'alternativa ai tradizionali modelli di misurazione del rischio di mercato

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN BANCA, FINANZA AZIENDALE E

MERCATI FINANZIARI

Tesi di Laurea

SHORTFALL DEVIATION RISK:

Un’alternativa ai tradizionali modelli di

misurazione dei rischi di mercato

Relatore:

Candidato:

Prof. Riccardo Cambini

Giuseppe Farruggia

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Alla mia famiglia

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Indice

Introduzione ... 4

CAPITOLO 1 ... 6

1.1 Cos’è il market risk? ... 6

1.2 La crisi finanziaria: gli effetti sul market risk ... 9

1.3 Il rischio di mercato secondo Basilea ... 13

1.4 La gestione dei rischi e i modelli di misurazione del market risk ... 25

CAPITOLO 2 ... 36

2.1 I modelli di misurazione del rischio prima del VAR e ES ... 36

2.2 I principali modelli di misurazione del rischio: VAR e ES ... 42

2.2.1 Value At Risk ... 42

2.2.1.1 L’approccio varianza/covarianza (o approccio parametrico) ... 46

2.2.1.2. La simulazione storica ... 64

2.2.1.3. La simulazione Monte Carlo ... 68

2.2.2 Expected shortfall ... 74

2.2.2.1 Expected shortfall ... 78

CAPITOLO 3 ... 82

3.1 Shortfall Deviation Risk ... 82

CAPITOLO 4 ... 97

4.1 Studio numerico su un portafoglio azionario: Value At Risk, Expected Shortfall e Shortfall Deviation Risk ... 97

Conclusioni ... 107

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Introduzione

La crisi finanziaria ha evidenziato come le misure regolamentari delle Autorità di Vigilanza fossero inadeguate, in quanto non sono riuscite a far fronte a un’improvvisa crescita dei rischi finanziari. Il crollo dei subprimes mortgages ha

messo a nudo sia i limiti del sistema regolamentare sia l’incapacità delle banche di gestire e misurare i rischi, provocando danni catastrofici come il fallimento della Lehman Brothers, facendo crollare non soltanto i mercati statunitensi, ma anche quelli europei.

Nell’ultimo decennio i regulators hanno imposto obblighi stringenti alle banche

soprattutto in termini di adeguatezza patrimoniale a fronte dei rischi assunti, in particolar modo il rischio di mercato.

Nel tempo si sono affinate varie tecniche di misurazione del market risk; infatti in letteratura sono numerose le tecniche di misurazione che si sono sviluppate con l’obiettivo di poter rappresentare il più possibile la realtà, ovvero poter quantificare

al meglio la potenziale perdita di un portafoglio titoli.

Attualmente l’AdV utilizza come misura del rischio il VaR, ma l’ottica di Basilea IV è quella di sostituire questa misura di rischio con l’Expected Shortfall, poiché il VaR presenta importanti limiti quali la subadditività che l’ES superara.

In questa sede si delineeranno le principali norme di regolamentazioni del rischio di mercato; verranno spiegati gli effetti della crisi finanziari e poi si analizzerà come si costruisce un modello di misurazione del rischio e illustreremo i principali modelli: VaR e ES.

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Infine si analizzerà nel dettaglio lo Shortfall Deviation Risk, una tecnica di misurazione del rischio ideata da Brutti Righi e Ceretta, proponendola come un’alternativa più che valida ai tradizionali modelli VaR ed ES, in quanto prende

in considerazione sia l’ES sia la Shortfall deviation, ovvero la dispersione delle perdite eccedenti la misura del VAR. Così facendo si determinerà una misura più vicina alla realtà e una misura più grande dell’ES, che permette alle banche di

determinare un requisito patrimoniale maggiore per far fronte alle potenziali perdite.

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CAPITOLO 1

1.1 Cos’è il market risk?

Il rischio finanziario è la prospettiva di una perdita o guadagno finanziario, dovuto a variazioni impreviste nei fattori di rischio sottostanti. Una particolare forma di rischio finanziario è il rischio di mercato ovvero il rischio di perdita (o guadagno) derivante da variazioni impreviste dei prezzi di mercato (ad esempio, prezzi di security) o tassi di mercato (ad esempio, tassi di interesse o di cambio)1. I rischi di

mercato, a loro volta, possono essere classificati in rischi di tasso di interesse, rischi di patrimonio netto, rischi di cambio, rischi sui prezzi delle commodity e così via, a seconda che il fattore di rischio sia un tasso di interesse, un prezzo azionario. Resti e Sironi hanno classificato cinque principali categorie di rischi di mercato2:

Rischio di cambio: quando il valore di mercato delle posizioni assunte è sensibile a variazioni dei tassi di cambio (è questo il caso delle attività e passività finanziarie denominate in valuta estera e dei contratti derivati il cui valore dipende dal tasso di cambio ( currency swap, currency future ecc.);

Rischio di interesse: quando il valore di mercato delle posizioni assunte è sensibile a variazioni dei tassi d’interesse (come accade per i titoli obbligazionari e per svariati contratti derivati, come i forward rate agreeement, interest rate future, interest rate swap, cap, floor, collare ecc.);

1 K.DOWD, The Risk Measuring Revolution, in Measuring Market Risk, 2002

2 Resti A., Sironi A., Rischio e valore nelle banche. Misura, regolamentazione, gestione, Milano, Egea, 2008

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Rischio azionario: quando il valore delle posizioni assunte è sensibile all’andamento dei mercati azionari (titoli azionari, stock-index future, stock option

ecc.);

Rischio merci: quando il valore delle posizioni assunte è sensibile a variazioni dei prezzi delle commodity (acquisti/vendite a pronti e a termine di merci, commodity swap, commodity future, commodity option ecc.);

Rischio di volatilità: quando il valore delle posizioni assunte è sensibile a variazioni delle volatilità di una delle variabili considerate sopra.

I rischi di mercato si distinguono da altre forme di rischio finanziario, in particolare dal rischio di credito (o il rischio di perdita derivante dal fallimento di una controparte a effettuare un pagamento promesso) e dal rischio operativo (o il rischio di perdita derivante dai guasti di Sistemi interni o persone che operano in esse).

I rischi di mercato si sono incrementati soprattutto nell’ultimo trentennio, in seguito alla nascita e alla diffusione di due fenomeni:

1) la cartolarizzazione (securitization) che ha portato alla progressiva sostituzione di attività illiquide (prestiti, mutui) con attività dotate di un mercato secondario liquido e quindi di un prezzo. Questo processo ha portato alla diffusione di alcuni criteri di misurazione al mercato

(market-to-market) delle singole posizioni detenute dagli intermediari finanziari e

dunque l’immediata evidenziazione dei profitti e delle perdite connessi alle

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2) La notevole e progressiva crescita del mercato degli strumenti finanziari derivati, il cui principale profilo di rischio per gli intermediari finanziari che li negoziano è appunto rappresentato dalla variazione del relativo valore di mercato causato da variazioni dei prezzi delle attività sottostanti e/o dalle condizioni di volatilità degli stessi.

La recente crisi finanziaria 2008-2009 ha portato le autorità finanziarie internazionali a rivedere le normative vigenti, in quanto le banche non sono state in grado di soddisfare le perdite di mercato, poiché il capitale non era sufficiente per coprire le perdite impreviste in eventi avversi estremi3. Il quadro attuale, che

stabilisce il value at risk (VAR) come misura ufficiale del rischio di mercato, ha mostrato i suoi limiti, in particolare in presenza di condizioni estreme negative di mercato. Il Basel Committee Banking Supervision (BCBS) ha così iniziato a riesaminare i pilastri dell'accordo di Basilea, concentrandosi sul rafforzamento dei requisiti patrimoniali per il trading book, che rappresentava una fonte importante di perdite durante la crisi. In particolare, il BCBS ha introdotto lo stressed value at

risk (SVAR) che consiste nell'implementazione di diversi modelli parametrici VaR

per tener conto di molteplici fonti di rischio.

3 A.Burchi, D. Martelli, Measuring Market Risk in the light of Basel III: New Evidence From Fronter Markets, in Handbook of frontier Markets: Evidence from Middle East North Africa

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1.2 La crisi finanziaria: gli effetti sul market risk

La grave crisi finanziaria che ha scosso e, che continua a scuotere l’economia

mondiale, può essere considerata tra le peggiori a partire dal secondo dopoguerra. Il fallimento di diversi intermediari finanziari, tra i quali spicca Lehman Brothers, e i difficoltosi salvataggi di colossi finanziari, come ad esempio Bank of America, American International Group (AIG), Citigroup, Fannie Mae e Freddie Mac, hanno messo a dura prova la stabilità del sistema finanziario statunitense e di altri paesi.

Le economie mondiali sono chiamate a fronteggiare una sfida senza precedenti per la riduzione dell’instabilità finanziaria e l’impatto sull’economia reale delle

irrazionali scelte di creazione, trasferimento e moltiplicazione del rischio di credito e rischio di mercato degli intermediari per il sostegno finanziario al mercato immobiliare statunitense il quale mostra i primi segnali di cedimento nel 2006 4. La bolla speculativa continuava a crescere in maniera pressoché continua, a causa della crescita degli immobili durante la cosiddetta stagione del “credito facile” e del sistematico ricorso all’indebitamento.

Spinte da logiche di profitto a breve termine, le banche hanno dimenticato che l’attività di intermediazione presuppone capacità di gestione dei rischi e non il loro

sistematico trasferimento al mercato.

L’utilizzo della securitisation e dei derivati trasferisce all’esterno il rischio di credito sui prestiti alla clientela, provocando l’ampliarsi dei subprime mortgages,

molto rischiosi a causa di criteri di screening e monitoring poco rigorosi.

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Tutto ciò ha determinato un aumento esponenziale del rischio di credito e del rischio di mercato, quindi, la creazione di strumenti finanziari di incerto valore che a più riprese hanno reso più rischioso il sistema finanziario.

I Rischi di Mercato sono quelli che, dal punto di vista operativo, hanno mostrato la maggiore variabilità: in alcuni contesti essi erano ritenuti importanti già dagli anni 70’ (USA e Gran Bretagna), infatti nei sistemi anglosassoni hanno da sempre

costituito un punto di osservazione anche perché per quelle banche quel tipo di attività era fonte di elevati guadagni. In contesti come quello italiano, dove le banche hanno una prevalente attività creditizia il problema invece non è stato così sentito, ma nel momento in cui le banche dei vari Paesi si sono aperte al contesto internazionale allora i Rischi di Mercato hanno iniziato a pesare.

Nel panorama europeo, il problema primario riguardante il market risk è derivato dall’eccessiva discrezionalità “offerta” dalla vigilanza, e a tal proposito, occorre

sottolineare che i Rischi di Mercato sono stati disciplinati per la prima volta nel’93 inserendo una metodologia standard per il calcolo dei requisiti patrimoniali a fronte dei medesimi. Inoltre, Basilea II lascia sostanzialmente inalterata quest’ultima regolamentazione.

Per quanto riguarda i modelli evoluti (VaR), nei periodi di elevata volatilità, gli approcci più complessi comportano un impegno di capitale maggiore dovuto al maggiore rischio che i modelli stessi rilevano con estrema rapidità. Al contrario, le metodologie di stima più semplici, parametrico e simulazione storica, hanno comportato uno scarso accantonamento di capitale che ha prodotto una non totale copertura delle perdite del trading book per i rischi di mercato.

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Nella fase più profonda della crisi, le perdite connesse all’assunzione di rischi non adeguatamente coperti da capitale sono state tra le principali determinanti del dissesto di molti intermediari internazionali, in primo luogo delle grandi banche di investimento.

Numerose banche hanno subito, durante la crisi, perdite rilevanti sulle attività finanziarie inserite nel portafoglio di negoziazione. Queste perdite, dovute tra l’altro all’improvviso crollo della liquidità del mercato su cui venivano scambiati

i titoli e a causa di eventi inattesi di default o di migrazione (downgrading) a una classe di rating inferiore, sono emerse in tutta la loro crudeltà dato che le attività del trading book dovevano essere riportate in bilancio al “fair value”, risentendo

inevitabilmente del crollo dei mercati.

Con la crisi è risultato evidente come i requisiti patrimoniali sui rischi di mercato, calcolati secondo le regole di Basilea II, siano risultati pesantemente insufficienti ad assorbire queste perdite; ciò è valso in modo particolare per gli intermediari che ai fini di vigilanza si avvalevano di modelli interni e non della metodologia standardizzata per calcolare il requisito patrimoniale. Da qui le critiche mosse ai modelli VaR (uso di serie storiche recenti; non rispetto dell’assioma di

sub-additività; ipotesi di normalità delle distribuzioni; modesta considerazione della liquidità).

Resti e Sironi riconducono a due i fattori che hanno determinato problemi nella misurazione dei rischi di mercato durante la crisi finanziaria (Resti, Sironi, 2011): • la scarsa “memoria” dei modelli VaR, i cui parametri vengono costantemente aggiornati nel tempo per tenere conto delle condizioni

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correnti e, dunque, risultano sì maggiormente reattivi a fronte di mutamenti nel contesto di mercato, ma anche più svelti nel dimenticare i gravi episodi di crisi verificatisi in passato. In particolare, negli anni antecedenti la crisi, la presenza di mercati ampi, ordinati e liquidi aveva indotto le banche a calibrare i propri modelli in maniera relativamente ottimistica, non consentendo loro di anticipare correttamente la forte instabilità e illiquidità manifestatesi all’improvviso durante le fasi più concitate della crisi; ciò ha

fatto sì che al peggiorare delle condizioni di mercato anche i requisiti patrimoniali dettati dai modelli siano risultati marcatamente volatili e abbiano chiesto alle banche un consistente aumento di risorse patrimoniali (in una fase in cui il capitale veniva peraltro eroso da forti perdite);

• Classificazione di strumenti finanziari, il cui principale rischio è quello di credito (e cioè il default di crediti cartolarizzati), nel portafoglio di trading al fine di beneficiare di un arbitraggio regolamentare, poiché se classificate nel banking book, avrebbero dato origine ad un requisito patrimoniale ben più consistente; ciò è stato vero, in particolare, per le banche dotate di un modello per i rischi di mercato validato dalle autorità, che hanno artificialmente spostato esposizioni creditizie dal banking book al trading book per beneficiare del minore requisito di capitale dovuto su quest’ultimo.

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1.3 Il rischio di mercato secondo Basilea

I rischi di mercato derivano dagli effetti delle variazioni dei prezzi o degli altri fattori di mercato sul valore delle posizioni (o interi portafogli) scritte sui libri dell’intermediario, sia che siano detenute nel trading book, sia che risultino dall’operatività commerciale e dalle scelte strategiche: banking book.

TRADING BOOK: Insieme delle posizioni in strumenti finanziari e materie prime assunte in proprio, con l’intento di beneficiare nel breve periodo di differenze tra

prezzo di acquisto e di vendita (o di costruire una copertura a fronte di altri elementi dello stesso portafoglio) o detenute in vista di una prossima cessione o per svolgere negoziazioni con la clientela. La sua composizione può essere modificata sensibilmente nel breve periodo.

BANKING BOOK: Include le operazioni che, pur insistendo sulle stesse variabili di mercato, sono assunte con finalità diverse (investimenti di medio-lungo termine). La sua composizione tende a restare stabile e richiede un monitoraggio meno frequente.

Questa ripartizione del bilancio bancario è voluta dalla vigilanza perché a seconda che l’attività toccata, dal relativo fattore di rischio, faccia parte del Trading Book

o del Banking Book la vigilanza prevede discipline diverse5.

Questo processo di innovazione finanziaria, ossia la scomparsa della tradizionale distinzione tra attività bancarie e non bancarie ha comportato un allontanamento,

5Bankitalia, Recepimento della nuova regolamentazione prudenziale internazionale sui requisiti

patrimoniali sui rischi di mercato, Roma, 2006

Basel Committee, Guidilenes for computing capital for incremental risk in the trading book,2009

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da parte dei tradizionali istituti bancari, dall’attività core, trasformandosi così in nuove imprese di servizi finanziari, confrontandosi con nuove linee di business e nuovi rischi. L’attività bancaria è stata sempre un’attività connessa all’assunzione, alla gestione, all’intermediazione di rischio, nelle sue molteplici forme. L’attenzione alla gestione integrata dei rischi bancari è cresciuta tuttavia in misura estremamente significativa negli ultimi anni per l’effetto congiunto della

trasformazione del contesto in cui le banche si sono trovate ad operare e della graduale modifica stessa delle varie attività da esse svolte6. Vi sono almeno tre

fenomeni, fra loro connessi, che meritano di essere sottolineati. Il primo elemento è rappresentato dall’incremento della volatilità dei mercati finanziari, causato

anche dalla crescente integrazione tra gli stessi. Tale fenomeno ha avuto un duplice effetto: da un lato, ha posto in evidenza la rilevanza dei rischi da sempre tradizionalmente assunti dalle banche nella loro attività di trasformazione delle scadenze del passivo e dell’attivo (con particolare riferimento al rischio di variazioni di interesse); dall’altro, ha generato una nuova domanda di strumenti per la copertura del rischio da parte degli investitori (anche retail) contribuendo così a sviluppare una nuova area di attività per le banche. In secondo luogo, è bene ricordare il cambiamento del contesto competitivo, caratterizzato da un rilevante aumento della concorrenza nella tradizionale attività di intermediazione creditizia a causa sia della riduzione dei vincoli di vigilanza strutturale a livello domestico, sia dall’abbattimento di numerose barriere che difendevano il mercato nazionale

dalla concorrenza internazionale e infine a causa del processo di

6 Saita F., Il risk management in banca: performance corrette per il rischio e allocazione del capitale, pagg. 9-10, Milano, Egea, 2000

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disintermediazione che ha portato a un più frequente accesso diretto, da parte di soggetti finanziatori e soggetti finanziati, al mercato dei capitali. Tutto ciò ha portato ad una graduale riduzione dei margini di profitto derivanti dall’attiva

bancaria caratteristica (prestiti e depositi) che ha spinto gli intermediari ad incrementare i rischi assunti sia nelle attività suddette sia tramite lo sviluppo di nuove aree di attività, principalmente servizi di investimento e in particolare negoziazione in conto proprio e la gestione per conto terzi di strumenti finanziari accrescendo così il grado di esposizione ai rischi di mercato. In alcuni casi, tale situazione ha portato anche l’assunzione di comportamenti eccessivamente

imprudenti da parte di alcuni intermediari, determinando situazione di crisi, che hanno ulteriormente accresciuto la sensibilità degli operatori verso le modalità di controllo preventivo dei rischi assunti dagli intermediari. Quest’ultimo elemento

appena analizzato, si lega indissolubilmente con il terzo fattore, ovvero il cambiamento dell’atteggiamento delle autorità di vigilanza, sia sotto il profilo

degli obbiettivi perseguiti che degli strumenti utilizzati. Per quanto concerne gli obbiettivi, infatti si è realizzato un riequilibrio fra l’importanza attribuita all’efficienza del sistema finanziario rispetto al tradizionale obiettivo di stabilità

degli intermediari; per quanto riguarda invece gli strumenti utilizzati, si è assistito al progressivo abbandono degli strumenti di vigilanza strutturale a favore di strumenti di vigilanza prudenziale. I due fenomeni si sono rinforzati a vicenda: se da un lato la riduzione dei vincoli strutturali è stata in alcuni casi la scintilla che ha riacceso un forte processo concorrenziale, dall’altro la maggiore rischiosità degli

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progressivamente gli strumenti di vigilanza prudenziale volte a prevenire possibili fenomeni di dissesto.

Il requisito patrimoniale a fronte dei rischi di mercato, che le banche e i gruppi bancari sono tenuti a rispettare in via continuativa, risulta dalla somma dei seguenti requisiti:

a) con riferimento al portafoglio di negoziazione di vigilanza: • Rischio di posizione

• Rischio di regolamento • Rischio di concentrazione b) con riferimento all’intero bilancio:

• Rischio di cambio

• Rischio di posizione su merci

Il rischio di posizione esprime il rischio che deriva dall'oscillazione del prezzo dei valori mobiliari per fattori attinenti all'andamento dei mercati e alla situazione della società emittente. Il rischio di posizione è calcolato con riferimento al portafoglio di negoziazione di vigilanza della banca e comprende due distinti elementi: a) il rischio generico, che si riferisce al rischio di perdite causate da un andamento sfavorevole dei prezzi della generalità degli strumenti finanziari negoziati. Ad esempio, per i titoli di debito questo rischio dipende da una avversa variazione del livello dei tassi di interesse; per i titoli di capitale da uno sfavorevole movimento generale del mercato; b) il rischio specifico, che consiste nel rischio di perdite causate da una sfavorevole variazione del prezzo degli strumenti finanziari negoziati dovuta a fattori connessi con la situazione dell'emittente. Per quanto

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riguarda invece il rischio di regolamento, dal documento Bankitalia si evince che le transazioni in strumenti finanziari, valute e merci non ancora regolate dopo la loro data di scadenza espongono l’intermediario finanziario al rischio di perdita

derivante dal mancato regolamento della transazione. Tale perdita è connessa: • per le transazioni per le quali è previsto il regolamento di tipo “consegna

contro pagamento” (DVP) o viceversa, alla differenza fra il prezzo a

termine fissato contrattualmente e il fair value degli strumenti finanziari, delle valute o delle merci da ricevere (consegnare);

• per le transazioni per le quali non è previsto il regolamento di tipo DVP ma per le quali il contante può essere pagato prima di ricevere il sottostante, ovvero il sottostante è ceduto prima di ricevere il contante (cd. operazioni non DVP o a consegna libera), al fair value degli strumenti finanziari, delle valute o delle merci trasferite alla controparte per i quali non è stato ricevuto il corrispettivo, oppure al contante pagato senza ricevere il sottostante. Infine per quanto riguarda l’ultima categoria dei rischi ascrivibili al trading book,

le Istruzioni di Vigilanza in materia di concentrazione dei rischi dispongono che le banche sono tenute all'osservanza di un limite quantitativo inderogabile (limite individuale di fido), rapportato al patrimonio di vigilanza, per le posizioni di rischio nei confronti dei clienti. Le attività di rischio che rientrano nel portafoglio di negoziazione di vigilanza della banca non sono prese in considerazione ai fini del rispetto della disciplina.

Per quanto riguarda i rischi relativi all’intero bilancio, invece, si fa riferimento al rischio di cambio e rischio di posizione su merci. Il primo rappresenta il rischio di

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subire perdite per effetto di avverse variazioni dei corsi delle divise estere su tutte le posizioni detenute dalla banca indipendentemente dal portafoglio di allocazione (trading e banking book); il secondo invece, fa riferimento alle possibili perdite derivanti da variazioni di prezzo delle merci.

La metodologia utilizzata per la definizione dei requisiti patrimoniali si fonda sul c.d. "approccio a blocchi" (building-block approach), secondo il quale si identificano requisiti di capitale separati per i diversi tipi di rischio.

La valutazione dell'esposizione ai rischi di mercato derivante dall'operatività in opzioni riveste un'importanza particolare, in considerazione del peculiare profilo di rischio che presentano tali strumenti. La disciplina prevede metodologie differenti, caratterizzate da tecniche con gradi di complessità crescente, a seconda della tipologia di operatività in opzioni del singolo intermediario.

I requisiti patrimoniali previsti dalla presente disciplina costituiscono una prescrizione prudenziale avente carattere minimale, data l'impossibilità di prevedere appieno le variazioni dei corsi dei titoli e delle valute e, in generale, l'evoluzione dei mercati.

Il rispetto di tali requisiti non è quindi sufficiente: è necessario che all'osservanza delle regole prudenziali si affianchino procedure e sistemi di controllo che assicurino una gestione sana e prudente dei rischi di mercato.

Oltre la metodologia standard, che risulta molto restrittiva per il calcolo dei requisiti patrimoniali è stata introdotta una metodologia interna (“Value at risk” o “Valore a rischio”) che per essere utilizzata dagli intermediari necessita il rispetto

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In relazione alla disciplina dei modelli interni, il documento di Banca D’Italia si esprime in questo modo: La regolamentazione internazionale consente alle banche di calcolare i requisiti a fronte del rischio di posizione in titoli del portafoglio di negoziazione di vigilanza, del rischio di posizione su merci e del rischio di cambio dell'intero portafoglio, in alternativa alla metodologia standardizzata, sulle basi di propri modelli interni, purché questi soddisfino talune condizioni e siano esplicitamente riconosciuti dall'Autorità di vigilanza nazionale.

Le presenti istruzioni delineano una procedura che subordina il riconoscimento da parte della Banca d'Italia alla verifica di una serie di criteri, qualitativi e quantitativi, finalizzati ad accertare che il modello sia adeguatamente conosciuto e seguito dall'alta direzione della banca e possieda le caratteristiche minime necessarie per valutare correttamente il livello di esposizione giornaliera al rischio. I modelli interni per il calcolo dei requisiti patrimoniali a fronte dei rischi di mercato si basano sul controllo quotidiano dell'esposizione al rischio, calcolata attraverso un approccio fondato su procedure statistiche (approccio del "valore a rischio", VaR). La Banca d'Italia si attende che la metodologia VaR sia integrata con altre forme di misurazione e controllo dei rischi (ad esempio, analisi di sensitività, limiti parametrici basati su stime degli effetti di variazioni dei prezzi di mercato sul valore delle posizioni ecc.) e che il vertice della banca sia consapevole delle principali ipotesi e dei limiti impliciti del modello.

Si definisce "valore a rischio (VaR)", misura della perdita potenziale massima che risulterebbe da una variazione di prezzo avente una certa probabilità, lungo un determinato orizzonte temporale.

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Le banche che utilizzano il modello interno devono soddisfare un requisito patrimoniale corrispondente al maggiore tra i due importi seguenti:

1) la misura del "valore a rischio" (VaR) del giorno precedente sommata, ove del caso, al requisito aggiuntivo per il rischio di default;

2) la media delle misure del VaR giornaliero nei 60 giorni operativi precedenti, moltiplicata per un fattore non inferiore a 3, eventualmente maggiorato sulla base dei risultati dei test retrospettivi e sommata, ove del caso, al requisito aggiuntivo per il rischio di default.

Per poter calcolare, tramite il modello, il requisito patrimoniale a fronte del rischio specifico su titoli di debito e su titoli di capitale le banche devono dimostrare che il modello sia in grado di:

• spiegare la variazione storica dei prezzi nel portafoglio; • riflettere la concentrazione del portafoglio;

• resistere a una situazione sfavorevole;

• valutare adeguatamente il rischio base con riferimento ai singoli nomi; • valutare adeguatamente il rischio di evento;

• essere convalidato da test retrospettivi volti a verificare che il rischio specifico sia valutato in modo adeguato.

Laddove la banca sia esposta a rischio di eventi a bassa probabilità ed elevato impatto (non rilevati nel calcolo del VaR che prevede un periodo di detenzione di 10 giorni e un intervallo di confidenza del 99%), essa provvede affinché tali eventi siano valutati adeguatamente attraverso ulteriori misure, quali ad esempio prove di stress. I risultati di tali misure devono essere considerati a fini gestionali interni.

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Relativamente al rischio di default, per la componente di tale rischio non compresa nel calcolo del VaR, è previsto un requisito aggiuntivo che può essere calcolato secondo i seguenti metodi:

a) mediante una metodologia analoga a quella prevista nell’ambito della disciplina sul rischio di credito: in particolare considerando un periodo di detenzione di 1 anno ed un intervallo di confidenza pari al 99,9%;

b) mediante una procedura sviluppata internamente, che sia coerente con gli standard di robustezza statistica previsti dalla disciplina sul rischio di credito e che nel definire il periodo di detenzione e l’intervallo di

confidenza tenga opportunamente conto del livello di liquidità, di concentrazione, di copertura e di opzionalità del portafoglio, sotto l’ipotesi di un livello costante di rischio. In particolare:

• ove il calcolo del requisito aggiuntivo sia effettuato con procedura separata rispetto al calcolo del VaR non è previsto un moltiplicatore, l’importo viene sommato al requisito da modello interno e non è

sottoposto ad un test retrospettivo regolamentare, fermo restando l’obbligo per la banca di valutare internamente l’adeguatezza del

calcolo;

• qualora, invece, il requisito aggiuntivo sia calcolato all’interno della procedura per il calcolo del VaR, esso verrà sottoposto al moltiplicatore di 3 e soggetto ai test retrospettivi regolamentari. Analiticamente il requisito patrimoniale calcolato con il modello interno è calcolato secondo la seguente formula:

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22 𝐶𝑡 = max [𝑉𝑎𝑅𝐺𝑆𝑡−1; 𝛽 1 60∑ 𝑉𝑎𝑅𝐺𝑆𝑡−1 60 𝑖=1 ] + 𝑅𝐷 dove:

𝐶𝑡 è il requisito patrimoniale al giorno t;

𝑉𝑎𝑅𝐺𝑆𝑡−1 è il valore a rischio calcolato secondo il modello interno per il

portafoglio detenuto al giorno t-i e relativo al rischio generico e specifico (idiosincratico, di evento e la parte eventualmente colta del rischio di default); 𝛽 rappresenta il fattore moltiplicativo pari a 3, eventualmente maggiorato in seguito alle risultanze dei test retrospettivi o da parte della Banca d’Italia a fronte

di inadeguatezze del modello;

𝑅𝐷 è la porzione di rischio di default non considerata nel modello interno

(VaRGS).

Il calcolo del VaR deve essere effettuato su base giornaliera e deve prevedere un intervallo di confidenza unilaterale del 99 per cento e un periodo di detenzione pari a 10 giorni.

Inoltre, il periodo storico di osservazione deve riferirsi ad almeno un anno precedente, tranne nel caso in cui un aumento improvviso e significativo delle volatilità dei prezzi giustifichi un periodo di osservazione più breve. Per le banche che impiegano sistemi di ponderazione, il ritardo medio ponderato delle osservazioni non può essere inferiore a sei mesi.

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Le serie di dati utilizzate devono essere aggiornate con frequenza almeno trimestrale. Le banche procedono ad aggiornamenti più frequenti ogniqualvolta le condizioni di mercato mutino in maniera sostanziale.

Per il calcolo del VaR, le banche possono utilizzare correlazioni empiriche nell'ambito della stessa categoria di rischio e fra categorie di rischio distinte. La Banca d'Italia accerta che il metodo di misurazione delle correlazioni della banca sia corretto e applicato in maniera esaustiva.

Il calcolo del VaR deve essere effettuato su base giornaliera e deve prevedere un intervallo di confidenza unilaterale del 99 per cento e un periodo di detenzione pari a 10 giorni.

Le banche che utilizzano i modelli interni devono disporre di un rigoroso e completo programma di prove di stress per l'individuazione di eventi o fattori che potrebbero incidere gravemente sulla posizione di una banca. Tali test rappresentano un elemento chiave nella valutazione dell'adeguatezza patrimoniale. Gli scenari di stress devono contemplare un'ampia gamma di fattori in grado di generare perdite e guadagni straordinari nei portafogli di negoziazione o di rendere particolarmente difficoltoso il controllo dei rischi. La definizione degli scenari dovrà in particolare tenere conto della illiquidità dei mercati in condizioni di stress, del rischio di concentrazione, delle situazioni di mercato con comportamenti fortemente omogenei, dei rischi di evento, della non-linearità dei prodotti, delle posizioni "deep out-of-the-money", delle posizioni soggette a discontinuità nei prezzi e di altri rischi che non siano adeguatamente colti dai modelli VaR. Gli

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shock applicati devono riflettere la natura dei portafogli e il tempo che potrebbe essere necessario per coprire o gestire i rischi in condizioni di mercato estreme. Le prove di stress devono essere di natura sia quantitativa sia qualitativa e contemplare tanto il rischio di mercato quanto gli effetti di liquidità generati da turbative di mercato. I criteri quantitativi individuano plausibili scenari di stress cui le banche possono trovarsi esposte. I criteri qualitativi mettono in risalto due obiettivi delle prove di stress:

a) la valutazione della capacità del patrimonio di vigilanza della banca di assorbire ingenti perdite potenziali;

b) l'individuazione delle misure che la banca può intraprendere per ridurre il rischio e preservare il patrimonio.

I risultati delle prove di stress sono comunicati regolarmente all'alta direzione e, periodicamente, al consiglio di amministrazione.

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1.4 La gestione dei rischi e i modelli di misurazione del market risk

La teoria e la pratica della gestione dei rischi, incluse le tecniche di misurazione dei rischi, si sono sviluppati enormemente dal lavoro pionieristico di Harry Markowitz negli anni Cinquanta. La teoria si è sviluppata a tal punto che la gestione e misurazione dei rischi è ora considerata una sub-area distinta della teoria della finanza e viene sempre più insegnato come un argomento distinto nei programmi di master e MBA più avanzati in finanza7.

Un fattore che ha determinato il rapido sviluppo della gestione dei rischi è stato l'elevato livello di instabilità nell'ambiente economico in cui le imprese hanno operato. Un ambiente volatile espone le imprese a un maggiore rischio finanziario e quindi offre un incentivo alle imprese a trovare nuove e migliori modalità di gestione di questo rischio. La volatilità dell'ambiente economico si riflette in vari fattori:

Volatilità del mercato azionario: I mercati azionari sono sempre stati volatili, ma talvolta in maniera molto esagerata: per esempio, il 19 ottobre 1987, il Dow Jones è sceso del 23% e nel processo ha abbattuto oltre 1 trilioni di $ di capitale; E dal 21 luglio al 31 agosto 1998, il Dow Jones ha perso il 18% del suo valore. Altri mercati azionari occidentali hanno sperimentato cadute simili, e alcuni paesi asiatici hanno subito conseguenze peggiori (ad esempio, il mercato azionario sudcoreano ha perso più della metà del suo valore nel corso del 1997).

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Volatilità dei tassi di cambio: I tassi di cambio sono stati volatili fin dalla scomposizione del sistema BrettonWoods di tassi di cambio fissi all'inizio degli anni '70. Anche le crisi occasionali di cambio hanno portato a cambiamenti improvvisi e significativi, tra cui, tra le altre, le svalutazioni del mese di settembre 1992, i problemi del peso nel 1994, i problemi di valuta orientale del 1997-98, la crisi del rublo 1998 e Brasile nel 1999.

Volatilità dei tassi di interesse: Ci sono state delle grandi oscillazioni dei tassi di interesse, con i relativi effetti sui costi di finanziamento, sui flussi di cassa aziendali e sui valori patrimoniali. Ad esempio, il tasso Fed Funds, un buon indicatore dei tassi di mercato a breve termine negli Stati Uniti, è quasi raddoppiato nel 1994.

Volatilità del mercato delle materie prime: I mercati delle materie prime sono notevolmente volatili e i prezzi delle materie prime spesso attraversano lunghi periodi di stabilità apparente e poi salgono improvvisamente con enormi importi: per esempio, nel 1990 il prezzo del petrolio greggio del Texas Occidentale è salito da poco più di 15 dollari al barile a circa 40 dollari al barile. Alcuni prezzi delle materie prime (Ad esempio, i prezzi dell'energia elettrica) mostrano anche una volatilità estremamente pronunciata quotidianamente e persino di un'ora all'ora. A seguito della crisi del 2008, la previsione del rischio è emersa come una preoccupazione chiave del settore. Le misure di rischio statistiche sono destinate a svolgere un ruolo molto più importante nella politica e nel risk management delle istituzioni finanziarie che prima della crisi. Quindi, una comprensione dei modelli di previsione del rischio, ovvero il potenziale per i diversi modelli di previsione

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del rischio sottostanti per fornire risultati incoerenti, è di notevole interesse sia per i responsabili politici che per i professionisti. Per quale motivo il modello di rischio è importante? I modelli di rischio svolgono un ruolo fondamentale nel processo di regolamentazione e sono direttamente incorporati nei regolamenti di Basilea e quindi utilizzati per determinare il capitale bancario. Mentre il loro utilizzo per scopi macro-prudenziali non è così chiaro, ci sono alcune proposte del settore accademico e pubblico per l'utilizzo di questi modelli per l'impostazione del capitale bancario e dei sovrapprezzi per il rischio sistemico. Quindi, l'output di questi modelli ha un impatto reale economico. Per questi motivi, è importante capire in che misura i decisori possano fare affidamento sui modelli di rischio e quando l'utilizzo non è consigliabile8.

I modelli di misurazione del rischio sono dei frameworks che ci permettono di determinare i valori degli outputs (ad esempio, prezzi degli attivi, i ratios di copertura, VaR,) basandosi su postulati che determinano tali output9. Ci sono tre

tipi principali di modelli:

a) I più importanti sono i modelli "fondamentali", che sono sistemi formali che legano gli output agli input basandosi su ipotesi dei processi dinamici e sulle interrelazioni tra variabili. Alcuni esempi sono: i modelli Black-Scholes per la determinazione delle opzioni, che collega il prezzo dell'opzione al prezzo sottostante e allo strike price, basandosi sull’assunzione che il prezzo delle attività segua una distribuzione

8J. DANIELSSON, K. R. JAMES, M. VALENZUELA, I. ZER, Model risk of risk models in

Journal of Financial Stability, 2016.

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normale; poi vi sono i modelli parametrici VaR dove la distribuzione di probabilità dei rendimenti è la normale gaussiana.

b) La seconda classe di modelli sono quelli "descrittivi", che sono più superficiali, ma spesso intuitivi e più facili da utilizzare, e che possiamo considerare come una semplificazione dei modelli fondamentali. Un esempio è un modello sui prezzi delle obbligazioni, basato su ipotesi che riguardano le oscillazioni dei rendimenti; un modello che sfugge alle complessità del regime a medio-luogo termine, focalizzando, semplicemente, l’attenzione sui rendimenti. Entrambi i modelli

fondamentali e descrittivi tentano di spiegare la causa e l'effetto.

c) La terza classe di modelli sono i modelli statistici dove si cerca di ottenere una regressione lineare tra le variabili statistiche più adatte, ovvero tra le variabili che sono maggiormente correlate.

Un modello è solo una rappresentazione di qualcosa e non dovrebbe mai essere scambiato per ciò che rappresenta. Nelle parole eloquenti di Emanuel Derman:

 . . . Anche il modello più bello è solo un modello dei fenomeni, e non la realtà. Un modello è solo un giocattolo, anche se occasionalmente è perfetto, in tal caso viene definito come teoria. Un buon giocattolo scientifico non può fare tutto e non dovrebbe nemmeno provare a essere totalmente realistico. Dovrebbe rappresentare nel modo più naturale possibile le variabili più essenziali del sistema e le loro relazioni, così da determinare la causa e l'effetto. Un buon giocattolo non riproduce ogni caratteristica dell'oggetto reale; invece, illustra per il pubblico destinatario

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le qualità dell'oggetto più importante per loro. Un treno giocattolo per bambini fa rumori e le luci lampeggiano; Un treno giocattolo per adulti potrebbe contenere un motore a vapore in miniatura. Allo stesso modo, dei buoni modelli dovrebbero mirare a fare soltanto alcune cose importanti. (Derman (1997, p. 85)).

Il modo migliore per capire come i modelli possano essere sbagliati è capire come sono costruiti: dopo tutto, un modello è solo un motore; e la chiave per comprendere qualsiasi motore è scomporlo in ogni sua parte, conoscere i suoi componenti, riassemblarlo, e sperare che funzioni correttamente. Per capire un modello finanziario, dobbiamo quindi conoscere i dadi e i bulloni finanziari. Derman suggerisce che dovremmo:

• Capire i titoli interessati e i mercati in cui vengono negoziati.

• Isolare le variabili più importanti e separare le variabili causali (o variabili esogene) dalle variabili causate (o endogene).

• Decidere quali variabili esogene sono deterministiche e stocastiche o casuali, decidere come modellare le variabili esogene e decidere come le variabili esogene influenzino quelle endogene.

• Decidere quali variabili siano misurabili o meno; Decidere come misurare le prime e valutare se e come le variabili non misurabili possano essere proxy o risolte implicitamente da altre variabili.

• Considerate come il modello possa essere risolto e cercare le soluzioni più semplici possibili. È necessario considerare i possibili vantaggi e svantaggi nell’utilizzare approssimazioni anziché soluzioni esatte.

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• Programmare il modello, tenendo conto delle considerazioni di programmazione, del tempo di calcolo e così via.

• Testare più volte il modello.

• Implementare il modello e valutare le sue performance.

Un modello, per definizione, è altamente semplificato e non dobbiamo aspettarci che darà una risposta perfetta. Ci si aspetta un certo grado di errore e possiamo pensare a questo rischio di errore come forma di rischio modello. Tuttavia, il termine "rischio modello" è più sottile di quanto sembri: dobbiamo tener presente che non tutti gli errori sono dovuti all'inadeguatezza del modello (ad esempio, i metodi di simulazione generano generalmente errori a causa della variazione del campionamento) e modelli che sono teoricamente difettosi o inadeguati possono talvolta produrre risultati molto buoni (ad esempio, semplici modelli di determinazione del prezzo delle opzioni spesso funzionano bene anche quando alcune ipotesi sono considerate invalide). Uno dei principali motivi dell’utilizzo dei modelli finanziari è la determinazione dei prezzi (ad esempio i modelli di pricing delle opzioni), gli indici di copertura greca (cioè, opzione deltas, gamma, ecc.) o le misure di rischio come VaR o ETL (expected tail loss). Ma qualunque sia il risultato, il rischio del modello nei modelli finanziari si riduce sempre all'errore di prezzo. Questo è evidente quando l'output è di per sé un prezzo, ma è ugualmente vero anche per gli altri output. Se stiamo stimando i ratio di copertura, dobbiamo stimare i prezzi degli strumenti per valori di parametri diversi e prendiamo il ratio di copertura dalle differenze tra questi prezzi rispetto alle

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differenze nei valori dei parametri. Allo stesso modo, se dobbiamo stimare VaR o ETL, dobbiamo stimare il valore o il prezzo del portafoglio alla fine del periodo di partecipazione come passaggio intermedio. Quindi qualunque sia la produzione che stiamo cercando, dobbiamo ancora valutare il prezzo attuale o futuro degli strumenti in questione: il rischio di modello si riduce sempre al rischio di prezzo. Tenuto conto degli importi investiti in modelli di misurazione dei rischi, si potrebbe ipotizzare che i modelli utilizzati dalle banche siano efficienti, ma in realtà il riscontro dei dati non è particolarmente rassicurante. Uno studio di Berkowitz e O'Brien (2001) esamina i modelli VaR utilizzati da sei principali istituzioni finanziarie statunitensi. I loro risultati indicano che questi modelli tendono ad essere troppo conservatori e, in alcuni casi, estremamente imprecisi: le banche talvolta hanno subito grandi perdite molto più grandi dei loro modelli previsti, il che suggerisce che questi modelli siano scarsi per affrontare code o rischi estremi. I loro risultati indicano inoltre che i modelli bancari hanno difficoltà nell’esaminare la volatilità.

Nella determinazione del rischio del modello è opportuno concentrarsi sul livello di disaccordo tra i vari modelli introducendo un nuovo metodo che indichiamo risk

ratio10. Ciò comporta l'applicazione di una serie di comuni metodologie di previsione del rischio per il calcolo del rischio di previsione effettuando il rapporto tra il massimo e il minimo delle previsioni di rischio calcolate. Ciò fornisce un modo sintetico per la determinazione del rischio del modello, poiché se i modelli in questione hanno superato alcuni criteri di valutazione dei modelli utilizzati dalle

10J. DANIELSSON, K. R. JAMES, M. VALENZUELA, I. ZER, Model risk of risk models in

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autorità e dalle istituzioni finanziarie, possono essere considerati come dei buoni modelli di previsione del rischio. Se il rischio è preveduto soltanto da modelli ottimali, il rapporto di rischio dovrebbe essere prossimo a 1. Se il rapporto di rischio è molto diverso da 1, vuol dire che vi sono dei modelli che non sono ottimali, e il rapporto fornisce una misura del rischio del modello. I cinque modelli di previsione del rischio più utilizzati sono: simulazione storica, media mobile in peso esponenziale, normale GARCH, Student-t GARCH e teoria estrema del valore. Inoltre, includiamo i modelli ibridi identificati in letteratura come qualità elevata: sia la teoria dei valori estremi, sia la simulazione storica applicata ai dati filtrati GARCH, sotto le ipotesi di distribuzioni normali, di Student-t e di errore. Prima di applicare la metodologia del risk ratio sulle misure di rischio di mercato, occorre definire che il Value-at-Risk (VaR) è stato il blocco principale delle regolazioni del rischio di mercato sin dalla sua prima incorporazione nel Basel Accords nel 1996; Di conseguenza, il rischio di modello di VaR è il punto di partenza. Inoltre, consideriamo il rischio di modello dell’expected shortfall (ES), dato che il comitato di Basilea (2013, 2014) ha proposto di sostituire il VaR con ES nei regolamenti sui rischi di mercato. Proponiamo quindi una configurazione generale per la classificazione dei modelli di rischio sistemico (SRM), fornendo una lente per analizzare i modelli più comuni di rischio sistemico basati sul mercato. La notevole perdita attesa marginale (MES) (Acharya et al., 2010), il valore condizionato a rischio (CoVaR) (Adrian e Brunnermeier, 2011), SRISK (Brownlees e Engle, 2015; Acharya et al., 2012) Risk (IMF, 2009) e il metodo di valore Shapley di BIS (Tarashevet al., 2010) rientrano nella nostra classificazione.

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Mentre sono destinati a scopi diversi, queste misure e le tecniche di regolazione dei rischi di mercato sono strettamente correlate; entrambi dipendono elementariamente dal VaR, suggerendo che il rischio modello di VaR probabilmente passerà attraverso SRM a dati di mercato. Si potrebbe applicare il rapporto di rischio ai vari SRM basati su dati di mercato, ma data la loro origine comune, ci aspettiamo che i risultati siano fondamentalmente gli stessi, e nell'interesse della brevità ci concentriamo su due SRM: MES e CoVaR. Il set di dati è composto da grossi istituti finanziari negoziati su NYSE, AMEX e NASDAQ dai settori bancario, assicurativo, immobiliare e commerciale in un periodo di campionamento compreso tra il 1970 e il 2012. Riteniamo che, in media, il rischio di modello sia abbastanza basso, indicando che in situazioni tipiche i responsabili delle decisioni non devono essere troppo preoccupati per la scelta del modello o il rischio di modello. Tuttavia, la situazione cambia quando si guardano le singole azioni e periodi di stress nei mercati finanziari. Il rischio di modello è significativamente maggiore quando un singolo stock è soggetto a shock idiosincratici o quando i mercati finanziari sono sottolineati. Nessuno dei modelli prevede sistematicamente previsioni più basse o più alte, e i grandi rapporti di rischio non sono guidati dall'inserimento di un particolare modello.

Diversi risultati empirici delineano che la gestione del rischio interno è una delle principali determinanti del rischio del modello, nonché la politica macroprudenziale e microprudenziale. Tali risultati sono, quindi, di notevole importanza per i responsabili politici e per i responsabili dei rischi, che avranno una migliore comprensione dell'affidabilità dei modelli di rischio e sapranno come

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comprendere meglio il problema delle misurazioni contrastanti dello stesso rischio sottostante. In ultima analisi, una migliore comprensione del rischio di modello dovrebbe portare a politiche più robuste e alla ripartizione degli asset. Sospettiamo che il problema del rischio del modello sia aumentato per due motivi. La prima è la bassa frequenza delle crisi finanziarie reali. Sviluppare un modello per catturare il rischio durante le crisi è abbastanza impegnativo, in quanto gli eventi di interesse effettivi non sono stati quasi mai verificati durante il periodo di osservazione. Tale modello richiede forti assunzioni sui processi stocastici che regolano i prezzi di mercato che potrebbero non essere affidabili quando l'economia entra in una crisi. In secondo luogo, i modelli statistici comuni assumono che gli eventi estremamente esogeni-estremi arrivino ai mercati dall'esterno, come un asteroide, e il comportamento dei partecipanti al mercato non ha nulla a che fare con la crisi. Tuttavia, come sostenuto da Danielsson e Shin (2003) e da Brunnermeir e Sannikov (2014), il rischio è veramente endogeno, creato dall'interazione tra i partecipanti al mercato e dalla loro voglia di escludere i sistemi di controllo del rischio. È importante riconoscere che l'output dei modelli di previsione del rischio è utilizzato come input in decisioni costose, siano esse allocazioni di portafoglio o l'ammontare del capitale detenuto.

Le metodologie di maggior rischio di successo del mercato, sono state originariamente progettate per la gestione quotidiana del rischio di mercato negli istituti finanziari. A nostro avviso, si dovrebbe fare attenzione quando si utilizza lo stesso kit di strumenti statistici per il lavoro più impegnativo di identificazione del rischio sistemico e di coda.

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Un confronto tra i modelli bancari con un semplice modello univariato GARCH indica che quest'ultimo riesce a fornire una copertura approssimativamente comparabile delle perdite elevate, ma tende anche a produrre VaR bassi. Questi risultati suggeriscono che i modelli strutturali delle banche incarnano così tante approssimazioni e altre implementazioni compromettono l’efficienza di modelli molto più semplici come quelli di GARCH. I modelli strutturati e implementati dalle banche potrebbero essere più efficienti soltanto se creassero modelli più semplici di GARCH.

Questi risultati suggeriscono che la regolamentazione di Basilea sull'approccio dei modelli interni alla regolamentazione dell'adeguatezza patrimoniale sia controproducente. I modelli delle banche potrebbero essere troppo conservatori in parte perché i regolamenti richiedono che i VaR sub-portafoglio siano più elevati a fini di adeguatezza patrimoniale: ciò ignorerebbe i vantaggi derivanti dalla diversificazione che sorgono quando i sub-portafogli si combinano e producono così una stima del VaR troppo conservatrice (cioè eccessivamente elevati).

Vi sono delle difficoltà nella stima delle fluttuazioni di volatilità, in quanto le normative di Basilea richiedono che le stime di VaR riflettano la volatilità del mercato per un periodo di almeno un anno e ciò impedisce loro di rispondere a grandi cambiamenti improvvisi di volatilità del mercato.

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CAPITOLO 2

2.1 I modelli di misurazione del rischio prima del VAR e ES

Per comprendere i recenti sviluppi della misurazione del rischio, è necessario apprezzare gli strumenti più tradizionali di misura del rischio: la Gap Analysis, l’analisi della duration, l’analisi degli scenari e la teoria del portafoglio11.

Un approccio comune è la Gap Analysis, inizialmente sviluppata dalle istituzioni finanziarie per dare un'idea semplice, seppur grezza, dell'esposizione al rischio di tasso d'interesse. L'analisi del gap comincia con la scelta di un orizzonte appropriato, ad esempio 1 anno, 2 anni ecc… In seguito, si determina, quindi, quanto il portafoglio di attività o passività si rivaluta entro tale periodo e gli importi in questione ci daranno le attività (asset) le passività (liabilities) sensibili al tasso di interesse. Il gap è la differenza tra rate-sensitive asset e rate-sensitive liabilities. L’esposizione ai tassi d'interesse è data dalla variazione del reddito da interessi

netti che si determina in risposta a una variazione dei tassi di interesse. Questo a sua volta si assume sia uguale agli intervalli di tempo derivanti dalla variazione del tasso di interesse:

∆NII = (GAP)∆r

Dove ∆NII è la variazione del margine di interesse e ∆r è la variazione dei tassi di

interesse.

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L'analisi del gap è abbastanza semplice da svolgere, ma ha le sue limitazioni: si applica solo al rischio di tasso di interesse a livello di bilancio; guarda l'impatto dei tassi di interesse sui redditi, piuttosto che sui valori patrimoniali o passivi; i risultati possono essere sensibili alla scelta del periodo di orizzonte temporale.

Analisi della duration

Un'altra metodologia tradizionalmente utilizzata dagli istituti finanziari per la misurazione dei rischi di tasso d'interesse è l'analisi della duration. La (Macaulay) Duration D di un’obbligazione (o di qualsiasi altra security a reddito fisso) può essere definita come la media ponderata delle scadenze dei cash flows delle obbligazioni, dove i pesi sono il valore attuale di ogni flusso di cassa rispetto al valore attuale di tutti i flussi di cassa:

D =∑ [𝑖 ∗ 𝑃𝑉𝐶𝐹𝑖]

𝑛

𝑖=1

∑𝑛𝑖=1𝑃𝑉𝐶𝐹𝑖

Dove il 𝑃𝑉𝐶𝐹𝑖 è il valore attuale del flusso di cassa del periodo i, scontato al rispettivo rendimento periodo appropriato. La Duration è utile perché fornisce una indicazione approssimativa della sensibilità di un prezzo del titolo ad una variazione del rendimento:

% 𝐕𝐚𝐫𝐢𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐩𝐫𝐞𝐳𝐳𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐭𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 ≈ −𝐃 × ∆𝐲 (𝟏 + 𝐲)

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dove y è il rendimento e ∆y la variazione del rendimento. Maggiore è la duration, maggiori sono le variazioni dei prezzi dei titoli in risposta a una variazione del rendimento. L'approccio della duration è molto utile perché è facile da calcolare e perché la duration di un portafoglio titoli è una media ponderata semplice delle duration dei singoli titoli in quel portafoglio. È anche più preciso della Gap Analysis perché guarda le variazioni dei valori di attività (o passività), piuttosto che solo le variazioni del reddito netto.

Tuttavia, gli approcci della duration hanno limitazioni simili all'analisi dei gap: ignorano i rischi diversi dal rischio di tasso di interesse; Essi sono grezzi, e nonostante vari raffinamenti per migliorare la precisione, approcci basati sulla duration sono ancora imprecisi rispetto ad approcci più recenti di analisi a reddito fisso (ad esempio, modelli HJM). Inoltre, la ragione principale dell'utilizzo di approcci di duration, ovvero la loro facilità di calcolo (comparativa), non ha più importanza, dal momento che modelli più sofisticati possono essere ora programmati in computer per dare rapidamente agli utenti una risposta più precisa.

Analisi degli scenari

Un terzo approccio è l'analisi dello scenario in cui vengono scelti scenari diversi e analizzati per vedere se vi sono perdite o guadagni in ognuno di esso. Per eseguire l'analisi dello scenario, si seleziona una serie di scenari che descrivono come le variabili rilevanti (ad es. Prezzi azionari, tassi di interesse, tassi di cambio, ecc.) possano evolversi in un orizzonte temporale. Si analizza come i cash flows o i valori contabili delle attività e delle passività si sviluppano in ogni scenario e si utilizzano i risultati per visualizzare la nostra esposizione.

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L'analisi degli scenari non è facile da eseguire. Molte cose dipendono dalla capacità dell’analista di individuare gli scenari "giusti" e ci sono relativamente poche regole che guidano tale selezione. Bisogna assicurarsi che gli scenari che esaminiamo siano ragionevoli e che non implichino ipotesi contraddittorie o eccessivamente improbabili, pertanto è necessario studiare attraverso le interrelazioni tra le variabili coinvolte. È utile che si abbiano tutti gli scenari principali coperti. L'analisi di scenario non dice neanche la probabilità dei diversi scenari, quindi è molto importante il giudizio dell’analista nella valutazione dei vari scenari. In ultima analisi, i risultati delle analisi di scenario sono altamente soggettive e dipendono in larga misura dall'abilità o altrimenti dell'analista.

Teoria del portafoglio

Un approccio un po' diverso per la misurazione del rischio è fornito dalla teoria del portafoglio. La teoria del portafoglio inizia dalla premessa che gli investitori scelgano tra portafogli in base ai loro rendimenti attesi da una parte e alla deviazione standard (o varianza) del loro rendimenti dall'altra. La deviazione standard del rendimento di un portafoglio può essere considerata come la misura di rischio del portafoglio. Tra le altre cose, un investitore vuole un portafoglio il cui rendimento ha un elevato valore atteso e una scarsa deviazione standard. Questi obiettivi implicano che l'investitore scelga un portafoglio che massimizza il rendimento atteso data la deviazione standard del portafoglio o, in alternativa, minimizza la deviazione standard per ogni dato rendimento atteso. Un portafoglio che soddisfa queste condizioni è efficiente, ed un investitore razionale sceglierà sempre un portafoglio efficiente. Di fronte a una decisione di investimento,

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l'investitore deve pertanto determinare l'insieme di portafogli efficienti ed escludere il resto. Alcuni portafogli efficienti avranno più rischio di altri, ma quelli più rischiosi avranno anche maggiori rendimenti attesi. Di fronte all'insieme dei portafogli efficienti, l'investitore sceglie un particolare portafoglio sulla base del suo compromesso preferito tra rischio e rendimento atteso. Un investitore che è molto avverso al rischio sceglierà un portafoglio sicuro con una scarsa deviazione standard e un basso rendimento atteso; viceversa un investitore che è meno avverso al rischio sceglierà un portafoglio più rischioso con un rendimento più elevato. Una delle principali considerazioni della teoria del portafoglio è che il rischio di una singola attività non è la deviazione standard del rendimento di quella stessa attività, ma piuttosto la misura con cui tale asset contribuisce al rischio complessivo del portafoglio. Un asset potrebbe essere molto rischioso (vale a dire avere una deviazione standard elevata) quando viene considerato da solo e tuttavia presenta un rendimento correlato ai rendimenti ad altre attività del nostro portafoglio in modo tale che l'inserimento della nuova attività non aggiunga nulla alla Deviazione standard complessiva del portafoglio. L'inserimento del nuovo asset all’interno del portafoglio sarebbe quindi priva di rischi, anche se l'attività

detenuta da sola sarebbe ancora rischiosa. La morale della storia è che la misura in cui un nuovo asset contribuisce al rischio di portafoglio dipende dalla correlazione o dalla covarianza del suo rendimento con i rendimenti delle altre attività del nostro portafoglio - oppure, se si preferisce, il beta, che è uguale alla covarianza tra il rendimento dell'attività i e il rendimento del portafoglio, rp, diviso la Varianza del rendimento del portafoglio. Minore è la correlazione meno l’asset contribuisce al

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rischio complessivo. Infatti, se la correlazione è sufficientemente negativa, compenserà i rischi esistenti e ridurrà la deviazione standard del portafoglio. La teoria del portafoglio fornisce un quadro utile per gestire più rischi e tenere conto di come questi rischi interagiscano tra di loro. È pertanto di uso evidente e, in effetti, è ampiamente utilizzato da gestori di portafogli, gestori di fondi comuni e altri investitori. Tuttavia, tende ad affrontare problemi sui dati. Il rendimento privo di rischi e il rendimento atteso del mercato non sono troppo difficili da stimare, ma la stima dei beta è spesso più problematica. Ogni beta è specifico non solo per il singolo asset a cui appartiene, ma anche per il nostro portafoglio attuale. Per stimare correttamente un coefficiente beta, sono necessari dati sui rendimenti della nuova attività e sui rendimenti a tutte le risorse esistenti ed è necessario un set di dati sufficientemente ampio per rendere affidabili le nostre tecniche di stima statistica. Il beta dipende anche dal nostro portafoglio esistente e dobbiamo, in teoria, riconsiderare tutti i beta ogni volta che cambia il nostro portafoglio. L'utilizzo dell'approccio del portafoglio può richiedere una considerevole quantità di dati e una notevole quantità di lavoro.

In pratica, gli utenti spesso desiderano evitare questo onere, e in ogni caso mancano talvolta i dati per valutare accuratamente i punteggi in primo luogo. I praticanti sono poi tentati di cercare una “scorciatoia” e lavorare con beta valutati su un ipotetico portafoglio di mercato. Questo li porta a prendere in considerazione il beta per un asset, come se l'asset avesse solo un singolo beta. Tuttavia, questa “short-cut” ci dà buone risposte soltanto se il beta stimato contro il portafoglio

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effettivamente, ma in pratica raramente si sa quale sia il beta effettivo del portafoglio di mercato. Se i due portafogli sono sufficientemente diversi, il beta "vero" (cioè il beta del portafoglio reale) potrebbe essere molto diverso da quello ipotetico.

2.2 I principali modelli di misurazione: VAR e ES 2.2.1 Value At Risk

Il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria è stato costituito nel dicembre 1974 dai Governatori delle banche centrali dei paesi appartenenti al G-101 ed è stata stabilita la sede della segreteria presso la Banca dei Regolamenti Internazionali, a Basilea in Svizzera. Lo scopo principale del comitato era, ed è tuttora, quello di incrementare la collaborazione internazionale in tema di supervisione sul sistema bancario, per giungere ad una effettiva vigilanza sovranazionale. Il primo lavoro di un certo respiro ha riguardato l’individuazione di requisiti standard di adeguatezza patrimoniale delle banche per quanto riguarda il rischio di credito. L’accordo ha subito negli anni successivi una serie di critiche, tra le quali la più

importante per questo lavoro, ovvero quella di non contemplare i rischi di mercato, che avevano assunto negli anni successivi alla pubblicazione un’importanza sempre più rilevante all’interno del sistema bancario, tale da spingere molti istituti, specialmente statunitensi, a studiare modelli specifici per il calcolo di tali rischi. I modelli basati sul VaR, sviluppato nei primi anni novanta da alcune delle maggiori banche statunitensi, ma reso popolare nella versione della banca J.P. Morgan è diventato gradualmente lo standard operativo del settore, tanto da indirizzare lo

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stesso Comitato di Basilea verso l’approvazione del suo utilizzo in alternativa ad un più semplice metodo standard, per l’applicazione dei requisiti patrimoniali a fronte dei rischi di mercato. Infatti, dopo un primo lavoro ai fini di consultazione del 1993, si è riunito un comitato di studio che nel 1994 ha effettuato un test empirico affidando ad una serie di banche il calcolo del VaR di un identico portafoglio di prova secondo i loro modelli interni. Questo lavoro è servito al comitato per analizzare le principali caratteristiche dei modelli, dei dati e dei metodi di verifica dei risultati, che sono stati commentati e pubblicati nel 1995 insieme alla proposta ufficiale di emendamento all’accordo del 1988 per

incorporare i rischi di mercato. Nel gennaio dell’anno successivo si è giunti all’approvazione ufficiale dell’emendamento e alla sua pubblicazione, insieme ad alcuni documenti di approfondimento. Data la complessità e la sostanziale novità dell’approccio basato sul VaR per il calcolo del rischio di mercato, soprattutto in

ambito europeo e per le banche di medie e piccole dimensioni, l’emendamento ha previsto due metodi alternativi per il calcolo del patrimonio di vigilanza a fronte dei rischi di mercato: un metodo standard, denominato “a blocchi”, e un modello interno basato sul VaR12.

La misurazione del rischio di mercato tramite il modello del VaR, si pone l’obbiettivo di stimare, per ogni singola posizione e per l’intero portafoglio, l’ammontare che può essere perduto con una certa probabilità con riferimento ad

un determinato orizzonte temporale. Dal punto di vista applicativo, la determinazione dell’esposizione al rischio secondo il modello VaR richiede una

12F. BAZZANA, I modelli interni per la valutazione del rischio di mercato secondo l’approccio

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stima della distribuzione di probabilità delle variazioni di valore del portafoglio di negoziazione dell’intermediario. L’applicazione di tale metodologia richiede inoltre l’assunzione di alcune ipotesi riguardanti:

1. l’orizzonte temporale di riferimento;

2. la numerosità del campione di osservazioni; 3. la forma della distribuzione di probabilità; 4. l’ammontare di massima perdita probabile.

Per quanto riguarda il primo punto, l’applicazione di tale modello presuppone la specificazione dell’orizzonte temporale a cui riferire la valutazione del rischio ed all’interno del quale si valuta la variazione del prezzo (giorno, settimana, mese, ecc.). Ovviamente tale scelta influenza l’ammontare di rischio assegnato a ciascuna attività: ad esempio l’esposizione stimata in un intervallo giornaliero

risulterà essere abbastanza diversa da quella stimata attraverso un intervallo settimanale o mensile.

Il secondo punto, ovvero la numerosità del campione di osservazioni, fa riferimento alla durata del campione di analisi con riferimento al quale calcolare i rendimenti di periodo e quindi analizzare le caratteristiche della loro distribuzione di frequenza. La scelta di una differente durata campionaria modifica infatti la forma della distribuzione e quindi la valutazione del rischio. Si tratta in questo caso di scegliere il numero di osservazioni passate che occorre includere nell’analisi, la

frequenza di revisione dei dati, il peso da assegnare alle singole osservazioni distribuite nel tempo.

Riferimenti

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