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La Mediazione Civile e Commerciale - Analisi di casi concreti ed i rapporti con il Processo Civile

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Indice Sommario

Indice Sommario 1

Bibliografia_ 2

Giurisprudenza 3

Capitolo 1 – Obbiettivi del Progetto 4

Capitolo 2 – Breve ricognizione normativa in materia di mediazione 7

Capitolo 3 – La mediazione obbligatoria La concreta applicazione dell’istituto 10

3.1 Introduzione 10

3.2 La Mediazione nei diritti reali, nella divisione e nelle successioni ereditarie 11

- Nozione di diritto reale 11

- Divisione e successioni ereditarie 13

- Usucapione 24

3.4 Responsabilità medica e sanitaria 30

- L’originaria formulazione dell’art. 5. L’esclusione della responsabilità sanitaria 31

- L'introduzione della responsabilità sanitaria. Le modifiche ad opera del “Decreto del Fare” 33

- La mediazione in materia medico-sanitaria. Aspetti pratici 35

Capitolo 4 – Aspetto patologico. I rapporti con la realtà processuale 43

4.1 Premessa 43

4.2 La necessaria presenza delle parti 44

4.3 Usucapione. Trascrivibilità dell’accordo 54

4.4 La mediazione disposta dal giudice (c.d. delegata) 64

4.5 Utilizzo della CTU prodotta in mediazione 70

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Bibliografia

BARBERIO-DE MASI-SIROTI-GAUDENZI, “Rischio clinico e mediazione nel contenzioso sanitario”, Maggioli 2012, pagg.148-149.

BATTISTELLA-TROMMACCO, Mediazione ed usucapione: il punto sulla trascrizione dell'accordo conciliativo, articolo del 09/07/2014.

CARRESE, Il rituale medico ed il ruolo della mediazione, articolo del 02/09/2014.

CARRESE-CIMMINO, La mediazione in materia di responsabilità medica e sanitaria, Altalex Editore, 2014, pag.81.

CECCOBELLI, La mediazione: un treno in corsa non più arrestabile, in Altalex 01/11/2012. Commento al D.Lgs n.28/2010, in www.mondoadr.it

Consiglio Nazionale del Notariato, studio n. 205/2010.

DE VIRGILIIS, Mediazione in materia medica e sanitaria e compagnie di assicurazione: un rapporto difficile, in www.mondoadr.it

Documento della Consulta di biomedica onlus.

D‟URSO, La statistica dà ragione alla mediazione, in Il Sole 24Ore del 30 marzo 2015.

D‟URSO, Come consolidare le buone previsioni sulla Giustizia civile rafforzando la mediazione e le sanzioni per l‟abuso del processo, in Mondo ADR Rivista on-line.

D‟URSO, Come consolidare le buone previsioni sulla Giustizia civile rafforzando la mediazione e le sanzioni per l‟abuso del processo, cit.

GHISALBERTI, Mediazione: vantaggi e svantaggi, in Il Sole 24Ore del 10 febbraio 2012. Guida al Diritto Dossier n. 36/1 del 22 luglio 2013, A.C. 1248-A.

Cfr. la Relazione governativa al D.Lgs. n.28/2010, sub art. 5.

LUISO, Diritto processuale civile V - La Risoluzione non giurisdizione delle controversie, cit.

MARINARO, Se la mediazione fallisce la consulenza tecnica è riutilizzabile in giudizio, in Guida al diritto 20/03/2014.

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3 Giovanni Negri, in Il Sole 24 Ore del 4 febbraio 2012. Osservatorio Mediazione Civile n. 40/2013.

Osservatorio Mediazione Civile n. 2/2014.

THIERY, La mediazione in materia medica e sanitaria: le novità del DL Fare, inAltalex, 21settembre2013.

Giurisprudenza

Cass. n. 10435/2003; Cass. n. 7557/2003. Cass. Civ., Sez. II, 7 aprile 2015, n. 6925. Cass. Civ., SS.UU., n. 577/2008. Cass. Civ., Sez. II, 7 aprile 2015, n. 6925. Tribunale di Catania, ordinanza del 24-02-2012. Ordinanza 19 marzo 2014, del Tribunale di Firenze, cit. Tribunale di Monza, ordinanza 14-07-2015.

Tribunale di Palermo, ordinanza 16-07- 2014. Tribunale di Palermo, ordinanza 16-07-2014. Tribunale di Rimini, ordinanza 14-07-2014. Tribunale di Roma, ordinanza del 06-07-2011.

Tribunale di Roma, sez. V civ., decreti 22 luglio 2011 e 8 febbraio 2012. Tribunale di Roma, sez. V civ., decreti 22 luglio 2011 e 8 febbraio 2012. Tribunale di Roma, 17-03-2014.

Tribunale di Roma, 17-03-2014.

Tribunale di Roma, ordinanza 26-10-2015. Tribunale di Varese, ordinanza 20 dicembre 2011.

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Capitolo 1 – Obbiettivi del Progetto

Nel 2010, scorrendo le pagine del quotidiano Il Sole 24 Ore, appresi dell‟entrata in vigore, da lì a poco, dell‟istituto della “Mediazione Obbligatoria”.

Tralasciando per un momento la ricognizione normativa in materia di mediazione, che sarà oggetto di trattazione nel capitolo 2, quello che mi colpì nell‟immediato era il potenziale impatto dell‟Istituto sull‟iscrizione a ruolo della cause civili nelle varie materie c.d. obbligatorie.

Di fatto presentata come strumento deflattivo del carico giudiziario, la c.d. mediazione obbligatoria avrebbe dovuto ridurre drasticamente il lavoro degli uffici giudiziari.

Le proiezioni della prima ora si sono però rivelate troppo ottimistiche. Non hanno tenuto conto della moltitudine di variabili derivanti dall‟applicazione concreta dell‟istituto e dalla sua collocazione all‟interno dell‟ordinamento giuridico italiano.

Partendo dall‟esperienza personale, prima come tirocinante, poi come mediatore designato, obbiettivo del progetto è, appunto, sviscerare tutte le sfaccettature che caratterizzano l‟applicazione dell‟istituto della mediazione al fine di fornire al lettore gli strumenti necessari per valutarne la concreta operatività.

La prima parte sarà dedicata ad una breve ricognizione normativa in materia.

Dalla Direttiva 2008/52/CE, da dove tutto è “nato”, passando per la Legge del 18 giugno 2009, n. 69 con cui il Legislatore italiano conferisce delega al Governo per l‟emanazione di norme in materia di mediazione e di conciliazione delle controversie in ambito civile e commerciale tese al recepimento della stessa Direttiva europea, arrivando al D.Lgs. n. 28/2010, fulcro della normativa italiana in materia, “tacciato” di incostituzionalità dalla Corte costituzionale con la nota sentenza n. 272/2012 e riallineato con il dettato costituzionale dalla Legge 9 agosto 2013, n.98.

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Un percorso necessarie per inquadrare il contesto in cui si va a collocare l‟istituto. La trattazione proseguirà con il tentativo di delineare i tratti distintivi, le peculiarità e le difficoltà ricorrenti in sede di mediazione, limitatamente ad alcune delle materie in cui il procedimento di mediazione è obbligatorio.

Questa parte dell‟elaborato comincerà con l‟analisi generale delle singole materie ed in particolare dei criteri per stabilire quando un‟azione concerne tali materie, dei casi ricorrenti e delle peculiarità degli interessi coinvolti. Seguirà la trattazione di alcuni casi concreti.

Questa ricognizione, che rappresenta il cuore del progetto, fungerà poi da cartina di tornasole per l'analisi dei dati statistici forniti dal ministero in sede di conclusioni sull‟elaborato.

Nel Capitolo successivo, il quarto, verrà affrontato l'aspetto patologico della mediazione e cioè i rapporti con il processo civile in caso di esito negativo del procedimento di conciliativo.

La mediazione, oltre ad essere uno strumento alternativo di risoluzione delle controversie, è anche condizione prevista dal legislatore ai fini dell'accesso alla tutela giurisdizionale, limitatamente ad alcune materie.

E‟ necessario, quindi, che sia esperita prima della proposizione della domanda giudiziale, ma soprattutto che sia esperita correttamente e cioè che le parti si attengano a quanto previsto dalla normativa vigente in materia, pena l'improcedibilità della domanda giudiziale stessa.

Vedremo come, nei casi di esito negativo delle procedure di mediazione, con conseguente proposizione di domanda giudiziale, il giudice sarà di volta in volta chiamato a constatare il rispetto di quelli che sono gli elementi essenziali dell'istituto, spesso non emergenti chiaramente dal dettato normativo, con necessaria opera di esegesi da parte sia della dottrina sia della giurisprudenza.

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In questo capitolo verranno, quindi, prese in esame le questioni interpretative su cui sia la dottrina, sia la giurisprudenza si sono soffermate maggiormente.

In particolare:

1. la presenza delle parti durante il procedimento di mediazione; 2. la c.d. mediazione delegata;

3. trascrivibilità dell'accordo di conciliazione in materia di usucapione; 4. l‟utilizzo della CTU prodotta in mediazione;

Nella fase finale della trattazione si darà spazio ad una riflessione sul percorso sopra descritto, sulle due facce dell''istituto della mediazione: l'istituto così com'è su "carta" e come si interfaccia con la realtà dei casi concreti.

A conclusione verranno illustrati i dati statistici relativi ai procedimenti di mediazione svolti presso l‟Organismo a cui lo scrivente è iscritto, comparati con le statistiche pubblicate dal ministero.

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Capitolo 2 – Breve Ricognizione Storico - Normativa in materia di Mediazione.

Lo scenario presente e futuro delle Mediazione in Italia è indissolubilmente legato alla Direttiva 2008/52/CE.

Il testo approvato il 23 aprile 2008 dal Parlamento europeo, compromesso tra le varie istanze dei Paesi membri, istituisce il ricorso alle procedure di conciliazione per la risoluzione delle controversie transfrontaliere in materia civile e commerciale. Ai fini del recepimento è stato previsto che gli Stati membri avrebbero dovuto eseguire la Direttiva all‟interno del proprio territorio entro i successivi 3 anni.

La direttiva è riferita alle “dispute transfrontaliere” in materia civile e commerciale, tuttavia prevede che gli Stati membri applichino le previsioni in essa contenute anche ai procedimenti di mediazione nazionali, tranne che per quei diritti e obbligazioni di cui le parti non possono disporre.

Il Legislatore italiano con la Legge 18 giugno 2009, n. 69conferisce delega al Governo per l‟emanazione di norme in materia di mediazione e di conciliazione delle controversie in ambito civile e commerciale tese al recepimento della Direttiva europea, introducendo un procedimento bifasico ove il ricorso al tentativo di mediazione possa costituire un filtro idoneo a comporre i conflitti prima del ricorso all‟autorità giudiziaria.

La delega in parola ha trovato attuazione con il Decreto Legislativo 4 marzo 2010, n. 28 che, rafforzando la Direttiva europea specialmente sotto l‟aspetto della obbligatorietà, introduce una serie coordinata di norme che si pongono l‟espresso obiettivo di facilitare la composizione amichevole ed extragiudiziale delle controversie, garantendo un‟equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario.

Rispetto alla definizione data dalla Direttiva europea scompare, quindi, il riferimento alla “base volontaria” dell‟accesso alla mediazione e la grande novità consiste nell'introduzione di una conciliazione obbligatoria, sia pure in alcune materie, ed

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amministrata da Organismi pubblici e privati, assoggettati a forme di controllo da parte del Ministero della giustizia.

Il Legislatore ha optato, dunque, per l‟obbligatorietà della mediazione inserendola nell‟ordinamento quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale in alcune materie a più elevata conflittualità.

L‟obbligatorietà della mediazione di cui all‟art. 5 D.lgs. N. 28/2010 è stata oggetto di varie contestazioni, che hanno dato vita ad un‟ampia ed articolata discussione sia in dottrina, sia in giurisprudenza.

Il Tribunale amministrativo regionale (TAR) per il Lazio, con ordinanza del 12 aprile 2011, ha sollevato, infatti, in riferimento agli artt. 24 e 77 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell‟art. 5, comma 1, primo, secondo e terzo periodo, e dell‟articolo 16, comma 1, del citato decreto, in quanto l‟istituto della mediazione è stato configurato “quale fase pre-processuale obbligatoria”1.

Alla Corte costituzionale sono poi pervenute altre ordinanze di rimessione da parte di altri giudici con cui hanno posto sostanzialmente le medesime questioni di legittimità costituzionale.

“In definitiva, alla stregua delle considerazioni fin qui esposte, deve essere dichiarata l‟illegittimità costituzionale dell‟art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost.".

Così dispone la sentenza n. 272/2012 della Corte Costituzionale contenente la dichiarazione di illegittimità costituzionale per eccesso di delega legislativa del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, nella parte in cui aveva previsto il carattere obbligatorio della mediazione.

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DI MARCO-SICCHETTI, La mediazione nei diritti reali, nella divisione e nelle successioni ereditarie, Altalex Editore, 2014.

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In sintesi il Governo, nello scrivere il d.lgs. 28/2010, non si era attenuto al mandato contenuto nella legge n. 69/2009, causando la suddetta pronuncia di incostituzionalità dell‟istituto.

Nel 2013, a poco più di 10 mesi dalla sentenza della Corte costituzionale, è il Governo Letta, con il c.d. Decreto del "fare" (decreto legge 21 giugno 2013, n. 69), artefice della reintroduzione della mediazione obbligatoria.

In particolare, con la Legge 9 agosto 2013, n.98, che ha convertito con modificazioni il D.L. 21 giugno 2013, n. 69, il legislatore ha introdotto importati misure nel settore, entrate in vigore il 20 settembre del medesimo anno.

L‟obbligatorietà della mediazione civile e commerciale torna, quindi, ad essere condizione di procedibilità in relazione a numerose controversie. Le materie sono state confermate le medesime del D.lgs. n. 28/2010 (condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e diffamazione a mezzo stampa o altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi bancari e finanziari) ad eccezione di quelle relative alla responsabilità per danno da circolazione stradale e dell'aggiunta delle cause relative alla responsabilità sanitaria, oltre che medica.

 Introduzione del c.d. primo incontro informativo o incontro filtro;

 costi contenuti nei casi in cui sia condizione obbligatoria di procedibilità o prescritta dal giudice;

 gratuità per i soggetti non abbienti che nel procedimento giudiziario avrebbero diritto al gratuito patrocinio;

 avvocati nominati mediatori di diritto;

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 novità sul verbale d‟accordo che, per essere omologato e divenire esecutivo, deve essere sottoscritto dagli avvocati.

Questa, in sintesi, è la nuova forma della mediazione civile.

Capitolo 3 - La mediazione obbligatoria. La concreta applicazione dell’istituto.

3.1 Introduzione

Nel presente capitolo è intenzione dello scrivente delineare i tratti distintivi, le peculiarità, le difficoltà ricorrenti in sede di mediazione, limitatamente alle materie in cui il tentativo di mediazione è obbligatorio.

La trattazione comincerà con una breve analisi generale delle singole materie, dei criteri per stabilire quando un‟azione concerne tali materie, dei casi ricorrenti e delle peculiarità degli interessi coinvolti, per poi proseguire con la disamina di alcuni casi concreti, frutto dell‟esperienza diretta sia come mediatore designato, sia come tirocinante.

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3.2 La Mediazione nei Diritti reali, nella divisione e nelle successioni ereditarie

“Soprattutto in materia di eredità e di divisioni, le parti sono legate da un pregresso rapporto di origine familiare, destinato a proiettarsi nel tempo in modo durevole. Merita quindi di essere salvaguardata la possibilità di conservazione del vincolo affettivo in essere, posto che la mediazione diversamente dalla statuizione giurisdizionale, può guardare anche all‟interesse (pubblico) alla pace sociale, favorendo il raggiungimento di una conciliazione che non distribuisce ragioni e torti, ma crea nuove prospettive di legame destinate a far sorgere dal pregresso rapporto disgregato nuovi orizzonti relazionali”2.

Tale assunto è esemplificativo sia dei limiti, sia delle potenzialità dell‟istituto della mediazione in tali materie. E‟ vero, quindi, che il mediatore non “distribuisce torti o ragioni”, ma è altrettanto vero che il mediatore stesso ha l‟opportunità di far convergere sia gli interessi economici, sia gli interessi sociale/familiari delle parti, favorendo la creazione di “nuove prospettive di legame”.

3.2.1 Nozione di diritto reale

Tra le materie elencate dall‟art. 5, D.lgs. 28/2010, quella dei diritti reali rappresenta la più ampia in termini di controversie che ne posso derivare, con conseguenti difficoltà interpretative relative alla sussistenza o meno della condizione di procedibilità.

Il legislatore in questo caso ha stabilito, come elemento per individuare le controversie soggette all‟obbligatorietà del tentativo, il tipo di diritto.

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DI MARCO-SICCHETTI, La mediazione nei diritti reali, nella divisione e nelle successioni ereditarie, cit., pag. 87.

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Occorre preliminarmente affermare che rimangono escluse dall‟obbligo della mediazione le controversie relative a contratti che abbiano ad oggetto diritti reali (azioni reali e personali).

In secondo luogo, occorre chiarire che l‟obbligatorietà riguarda i diritti reali sui beni sia immobili, sia mobili in quanto, come sostenuto dalla dottrina maggioritaria, la terminologia usata dal legislatore non consente di fare differenze in tal senso3.

Da ciò consegue che la parte interessata sarà tenuta a dare avvio ad una procedura di mediazione in via preliminare rispetto all‟azione processuale quando la controversia:

 riguardi la proprietà agraria, fondiaria, rurale ed industriale;

 riguardi la proprietà di beni mobili, immobili, mobili registrati, materiali/immateriali;

 abbia ad oggetto i modi di acquisto della proprietà quali occupazione, invenzione accessione, usucapione e negozi traslativi della proprietà;

 abbia ad oggetto la tutela della proprietà con riferimento all‟azione di rivendicazione, negatoria, di regolamento di confini, per apposizione di termini, di enunciazione:

 riguardi i diritti reali di godimento quali superficie, enfiteusi, usufrutto, uso e abitazione, servitù;

 abbia ad oggetto la contitolarità di diritti reali di godimento quale la comunione;

 riguardi la multiproprietà (pag.91 mediazione).

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LUISO, Diritto processuale civile V - La Risoluzione non giurisdizione delle controversie, Milano, 2013, pag. 68.

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Il tentativo di mediazione va esperito preliminarmente anche nel caso in cui la controversia abbia ad oggetto il possesso, nei limiti previsti dall‟art. 5, comma IV, lett. c), D.Lgs. n. 28/2010, e cioè solo dopo che siano stati pronunciati i provvedimenti di cui all‟art. 703, comma 3, c.p.c.

Sono escluse, invece, dall‟area dell‟obbligatorietà, le azioni aventi ad oggetto i diritti in relazione ai quali è rilevante la titolarità di un diritto reale, così come chiarito dalla Cassazione chiamata a pronunciarsi sulla questione nell‟ottica della competenza del giudice di pace.

3.2.2 Divisione e successioni ereditarie.

Le statistiche nazionali fornite dal ministero ci mostrano l‟alto tasso di conflittualità in tali materie. In particolare le controversie in materia di divisione e successioni ereditarie. Ciò probabilmente si spiega con il fatto che il “mattone” ha rappresentato per decenni un investimento sicuro per gli italiani portando ad acquistare sia immobili adibiti ad abitazioni principale ma anche seconde case, fondi commerciali ecc. Attualmente, invece, la situazione sembra essersi ribaltata. La crisi del mercato immobiliare e la tassazione sugli immobili sono fattori che disincentivano gl‟investimenti in tale settore, portando spesso i proprietari degli immobili stessi, che siano fondi commerciali o unità abitative destinate alla locazione, a situazione di in gestibilità del patrimonio immobiliare.

Casi ricorrenti di istanze di mediazione riguardano la successione dell‟unico bene immobile del de cuius, nel caso di specie genitore/nonno degli eredi, uno dei quali convivente del de cuius stesso.

Altra ipotesi ricorrente riguarda la pratica, abbastanza diffusa, con cui l‟anziano parente, al momento di tirare le somme della propria esistenza e del proprio patrimonio, dona

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l‟immobile al figlio o al nipote a condizione che quest‟ultimo lo assista moralmente e materialmente negli ultimi anni della sua vita, proprio a causa del maggiore bisogno che potrebbe avere. In gergo tecnico questa si definisce donazione modale, perché impone al beneficiario un onere.

Con il decesso del donante, possono, quindi, crearsi rivalità tra gli eredi legittimi, con contestazioni relative alla proporzionalità delle quote. Accade, quindi, che venga rimesso tutto in discussione, anche le donazioni ricevute, con l‟istante che promuove “azione di riduzione” e “collazione”, due necessari rimedi processuali per verificare che tutti gli eredi abbiano avuto la loro giusta quota del patrimonio del defunto.

Rilevante è poi la funzione del notaio ai fini dell‟efficacia dell‟eventuale accordo.

Analizziamo ora, attentamente, le due ipotesi sopracitate ed i vari risvolti pratici, partendo dell‟azione di divisione.

Molto spesso, a seguito di successione e divisione ereditaria avente ad oggetto un unico bene immobile del de cuius, si è in presenza di più eredi, uno dei quali è frequente che utilizzi in maniera esclusiva l‟immobile stesso, già da prima dell‟apertura della successione.

Gli eredi si ritrovano, quindi, in una situazione di comproprietà, di comunione del bene immobile, con l‟utilizzo in maniera esclusiva, dell‟immobile stesso, da parte di un singolo comunista. A complicare la fattispecie interviene la ricorrente ipotesi che l‟immobile sia difficilmente frazionabile in più parti.

L‟istante propone, quindi, istanza di mediazione finalizzata alla divisione immobiliare. Questa ipotesi ha in comune con l‟azione di riduzione e la collazione, che approfondiremo successivamente, l‟assistenza da parte del figlio/parente del defunto negli ultimi anni della propria vita, con conseguenze sulla vita del figlio/parente sia economiche, nel caso in cui abbia dovuto provvedere a eventuali cure mediche, assistenza domiciliare del de cuius, sia sociali, con limitazione della propria vita privata e familiare in funzione dell‟assistenza del de cuius stesso.

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Come noto tali “conseguenze” non hanno rilevanza giuridica ed in caso di domanda giudiziale per ottenere la divisione immobiliare non potrebbero essere opposte dal convenuto.

E‟ in questi casi, invece, che la mediazione può esprimere a pieno le proprie doti di strumento di risoluzione alternativo delle controversie. Il confronto diretto tra le parti, con l‟opera di moderazione del mediatore e dei rispettivi legali, può favorire lo sviluppo di varie soluzioni alla controversia, dando rilevanza ai quegli aspetti “morali” che in sede giudiziale non potrebbero emergere.

L‟assenza del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato consente alle parti di addivenire a diverse soluzioni. Infatti le parti possono anche regolare rapporti giuridico patrimoniali estranei alla lite, purché si tratti di diritti disponibili. Anche la più semplice delle soluzioni, quale la liquidazione della quota di proprietà dell‟istante da parte del chiamato che utilizza già esclusivamente l‟immobile, spesso impraticabile per le capacità reddituale del chiamato stesso e le condizioni economiche in cui versa, potrebbe, comunque, tener conto delle ipotetiche spese sostenute dal figlio/parente convivente del de cuius per il sostentamento e l‟assistenza dello stesso, con revisione della stima dell‟immobile ridotta nella misura della cifra concordata dalle parti.

Com‟ è noto l‟accordo altro non è che un contratto con il quale le parti regolano i loro rapporti mettendo fine alla controversia. In mediazione l‟accordo non deve essere necessariamente transattivo, pertanto potrebbe mancare delle reciproche concessioni. L'accordo è, dunque, un atto di autonomia privata ed ha forza di legge tra le parti a sensi art. 1372 cc.

E‟ possibile che le parti si accordino, per esempio, stipulando un contratto di locazione oppure accordandosi per una vendita con riservato dominio o per la concessione di un termine, alla parte che attualmente utilizza l‟immobile, entro il quale essa si impegna a trovare un‟altra soluzione abitativa onde rilasciare l‟immobile, successivamente verrà messo sul mercato.

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Veniamo ora all‟altra ipotesi ricorrente in mediazione, riguardante l‟azione di riduzione e/o la collazione. Come già accennato ad inizio paragrafo tutto nasce da una donazione modale, effettuata dal de cuius in favore di un figlio/nipote. All‟atto dell‟apertura della successione gli altri eredi legittimi spesso pretendono che bene donato sia imputato al complesso di beni che compongono l‟asse ereditario.

Ebbene, in caso di tali contestazioni, quanto può valere effettivamente il “peso” che, a fronte della donazione, il donatario abbia sostenuto nel prestare l‟assistenza materiale e morale al parente donante?

In sede giudiziale, l‟attore avrebbe a sostegno della propria pretesa la dottrina e giurisprudenza prevalente, secondo cui la previsione dell‟obbligo di assistenza nella donazione modale rappresenta una mera clausola di stile, prevista più per forma che per sostanza. Merita, comunque, accennare ad una recente ed interessante sentenza della Cassazione4. La pronunzia chiarisce come la limitazione modale, che ha per effetto quello di decrementare il contenuto economico della liberalità, sia rilevante non soltanto ai fini dell'adempimento dell'obbligazione collatizia, una volta apertasi la successione, ma anche in riferimento all'imputazione ex se. Tale operazione, infatti, da effettuarsi dopo la riunione fittizia di cui all'art. 556 c.c. è prodromica alla verifica della eventuale lesione della porzione legittima.

A prescindere da quelle che potrebbero essere le strategie processuali delle parti, lo strumento della mediazione rappresenta, a parere delle scrivente, la via più semplice per cercare il riconoscimento delle spese sostenute dal donatario per l‟assistenza prestata al defunto donante, ai fini dei calcoli tra quanto è stato dato e quanto è stato ottenuto dagli eredi.

Anche in tale ipotesi, il confronto diretto tra le parti potrebbe favorire un accordo conciliativo improntato al riconoscimento della donazione modale ai fini delle calcolo del valore della massa ereditaria. La mediazione rappresenta l‟opportunità, per il

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beneficiario della donazione, di documentare le spese sostenute per il mantenimento del

de cuius, ma soprattutto rappresenta l‟opportunità per esternare i sacrifici personali

affrontati per assistere il de cuius stesso, nella maggior parte dei casi totalmente infermo e necessitante di assistenza 24h su 24h.

Si accennava poi, sia nel presente paragrafo, sia in altri parti dell‟elaborato, al ruolo del notaio all‟interno del procedimento di mediazione. E‟ in in questa sede che si rende opportuna una trattazione più esaustiva dell‟argomento.

L'art. 11 del D.lgs., n. 28/2010, nel disciplinare la fase finale del procedimento di mediazione, menziona la figura del pubblico ufficiale. Tale articolo prevede che l'esito del procedimento di mediazione venga, in ogni caso, documentato in un processo verbale, sottoscritto dalle parti e dal mediatore il quale certifica l'autografia della sottoscrizione apposta dalle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. Aggiunge poi che è necessaria, "l'autenticazione" da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato, nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo amichevole di conciliazione soggetto a trascrizione ex art. 2643 c.c. (in via interpretativa, per coerenza di sistema, possiamo dire che l'autentica del pubblico ufficiale si rende necessaria, non solo nel caso espressamente previsto dalla norma, ma in ogni caso in cui con l'accordo si concludono negozi soggetti a pubblicità in pubblici registri, immobiliari e commerciali, per il cui accesso è richiesta quella forma qualificata).

Alla luce del dispositivo dell‟art. 11 del D.Lgs. n. 28/2010, il Consiglio Nazionale del Notariato, con lo studio 205/2010, ha ritenuto opportuno chiarire che l'intervento del notaio nel procedimento di mediazione può esplicarsi in tre modalità:

a) esclusivamente in qualità di pubblico ufficiale chiamato ad autenticare il verbale di conciliazione da trascriversi, nel qual caso il suo intervento è disciplinato dalla legge notarile;

b) esclusivamente nel ruolo di mediatore, nel qual caso sarà tenuto ad osservare la disciplina del decreto citato ed il regolamento dell'organismo di mediazione. In tal caso

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la condotta del notaio, ferme restando le responsabilità professionale e deontologica, non è rilevante autonomamente sul piano disciplinare;

c) nella duplice veste di notaio e di mediatore.

In questa sede è opportuno soffermarsi solo sull‟ipotesi a), con un breve accenno all‟ipotesi c).

Il ruolo del notaio, quindi, successivamente alla stesura del verbale di conciliazione, potrà ricoprire due ipotesi.

Abbiamo già detto che l'accordo di conciliazione ha natura di "negozio giuridico" e, ai sensi dell'art. 2 del D.lgs. n. 28/2010, ha ad oggetto "diritti disponibili"; altro non è, perciò, che un "contratto".

Il notaio interverrà, quindi, ad autenticare o a rogare tale "accordo-contratto". Nell‟espletare tale compito dovrà, pertanto, svolgere tutte le attività ed applicare tutte le norme, sia di natura formale sia sostanziale, che è tenuto ad osservare nell'esercizio della propria attività, ed in particolare:

 attività di tipo istruttorio;

 controllo di legalità e adeguamento della volontà delle parti;

 attività di tecnica redazionale dell'accordo, nel rispetto di tutte le normative speciali imposte a seconda del contenuto, della causa, dell'oggetto o degli effetti dell'accordo.

E' evidente che l'attività del notaio si atteggerà in modo diverso a seconda del contenuto dell'accordo stesso, ad esempio a seconda che l'accordo amichevole contenga già un negozio traslativo, costitutivo o modificativo di diritti ovvero contenga solo un obbligo a contrarre.

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Sulla base delle attività sopra elencate, un ipotetico catalogo dei precetti che il notaio deve osservare qualora sia chiamato ad autenticare o a rogare, accordi di conciliazione raggiunti nell'ambito del procedimento di cui al D.lgs. n. 28/2010, avrebbe il seguente contenuto:

1) verifica dell'accordo, cioè che esso sia intervenuto su diritti "disponibili" e che non sia in violazione di norme imperative o di ordine pubblico. A garanzia sono chiamati anche i legali delle parti al momento della sottoscrizione del verbale;

2) verifica del rispetto delle "forme" previste dalla legge, a titolo esemplificativo la necessità di atto pubblico con i testimoni per le donazioni, patti di famiglia;

3) verifica della capacità delle parti e della loro legittimazione a disporre dei beni oggetto di accordo;

4) verifica del rispetto delle norme in materia di rappresentanza volontaria, legale od organica delle parti;

5) verifica della necessità di applicare normative speciali dettate per la particolare condizione dei soggetti intervenuti (stranieri che non conoscono la lingua italiana, non vedenti, muti, non udenti ecc.);

6) verifica del rispetto di tutte le normative dettate per il bene che forma oggetto dell'accordo ed in considerazione degli effetti prodotti dall'accordo stesso. Ad esempio qualora con l'accordo si trasferisca o si costituisca un diritto reale su un bene immobile dovranno essere rispettate tutte le relative normative speciali (urbanistiche, catastali, fiscali);

7) aver sempre chiara la distinzione netta fra la mera "certificazione" del mediatore e "l'autenticazione" del pubblico ufficiale necessaria ai fini della pubblicità dell'accordo e la, conseguente, caratteristica strutturale che per poter accedere ai pubblici registri l'accordo deve essere sottoposto al controllo di legalità tipico dell'attività notarile e le sottoscrizioni delle parti devono essere autenticate dal pubblico ufficiale. Come in ogni

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atto notarile, le firme delle parti (di tutte le parti) devono essere autenticate in calce all'accordo, a margine dei fogli intermedi e degli allegati. Pare evidente in questa ottica l'inidoneità dello strumento del mero "deposito" dell'accordo agli atti del notaio (ai sensi dell'art. 1, n. 1 lettera b del r.d.l. n. 1666/1937 e 61 della Legge Notarile), in quanto con quel mezzo non si raggiunge la necessaria "autenticità" delle sottoscrizioni delle parti, salvo che il deposito avvenga ad opera di tutte le parti dell'accordo ed il contenuto dell'accordo stesso sia riprodotto nel verbale notarile di deposito sottoscritto da tutte le parti5. In tale ultima ipotesi, infatti, il verbale assume la natura di vero e proprio atto pubblico di ripetizione;

8) assumere la responsabilità per i successivi adempimenti fiscali e di pubblicità nei pubblici registri, come di consueto.

Qualora, invece, il Notaio intervenga nel doppio ruolo di mediatore e di pubblico ufficiale autenticante, il verbale verrà sottoscritto (con doppia valenza) una sola volta dinanzi al notaio.

Ha destato iniziali perplessità, risolte poi in senso positivo dalla dottrina prevalente, tale figura bifronte del mediatore – notaio, esaminata in relazione al disposto dell‟art. 14 del D.Lgs. n. 28/2010, ove è statuito il divieto per il mediatore di assumere diritti o obblighi connessi direttamente o indirettamente con gli affari trattati, fatta eccezione per quelli strettamente inerenti alla prestazione dell'opera o del servizio, nonché l‟ulteriore divieto di percepire compensi direttamente dalle parti.

Secondo il Consiglio Nazionale del Notariato, non incorre nel divieto il notaio che sia al contempo mediatore, tenuto anche conto del carattere meramente eventuale dell‟attività di autenticazione, ben diversa dalla mera certificazione dell‟autografia delle sottoscrizioni in sede di conferimento dell‟incarico, e dell‟obbligo di prestazione del ministero, di cui all‟art. 27 l. not.

5

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Il notaio, in quanto mediatore, sarà tenuto, di concerto con le parti, alla redazione dell'accordo verbale e alla certificazione dell'autografia delle sottoscrizioni o della impossibilità a sottoscrivere ai sensi dell‟art. 11 del suddetto decreto. Successivamente il notaio potrà essere liberamente scelto dalle stesse parti come pubblico ufficiale, per consentire all‟accordo di ottenere la pubblicità nei registri immobiliari.

Il Consiglio del Notariato ha precisato, inoltre, che il divieto rivolto al mediatore di percepire compensi direttamente dalle parti, deve riferirsi al notaio in quanto mediatore e non al notaio considerato nell'esercizio delle funzioni a lui proprie. Conseguentemente, le indennità dovute per il procedimento di mediazione dovranno essere versate all'organismo di mediazione, mentre le spese e gli onorari per l'autentica o per la traduzione in atto pubblico dell'accordo saranno dovute al notaio.

In conseguenza, il notaio, nell‟ipotesi in cui svolga contemporaneamente le funzioni di mediatore e pubblico ufficiale autenticante, sarà dominus di tutta la procedura di conciliazione, e potrà interamente gestirla a partire dalla designazione e fino all‟autenticazione.

Compiuta tale ricognizione sul ruolo del notaio all'interno del procedimento di mediazione, è opportuno soffermarsi su alcuni aspetti pratici, frutto dell'esperienza diretta dello scrivente.

Riprendendo la riflessione fatta pocanzi, in merito alla differenza tra verbale ed accordo, che vede il primo quale atto meramente procedimentale riconducibile al mediatore ed il secondo quale negozio tra le parti, riconducibile unicamente alla loro volontà, l'atto che il notaio eventualmente autenticherà sarà l'accordo e non anche il verbale. Il notaio è chiamato ad autenticare solo le firme delle parti apposte in calce all'accordo.

Per i motivi sopra esposti è preferibile, quindi, che l'accordo rimanga allegato al verbale. Di seguito un esempio di verbale di conciliazione con accordo in allegato, recante la formula “l'accordo costituisce parte integrante del presente processo verbale.

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VERBALE DI CONCILIAZIONE

Incontro del 18/03/2015 Prot. n. /2015

Sono presenti:

Parte A (parte che ha attivato la procedura)

(omissis)

Parte B (parte che ha aderito alla procedura)

(omissis)

Conciliatore (omissis)

PREMESSO CHE

E' insorta tra le parti una controversia sul seguente oggetto:

“Divisione Immobiliare” come letteralmente riportato nell'istanza di mediazione. Le ragioni della pretesa sono le seguenti, come riportato nella medesima istanza di mediazione: “La Sig.ra (omissis) è comproprietaria

con la sig.ra (omissis) dell'immobile sito in (omissis).

La Sig.ra (omissis) decideva nel mese di giugno 2014 di vendere il predetto immobile manifestando la propria intenzione agli altri comproprietari. La Sig.ra (omissis) tuttavia rifiutava di prestare il proprio consenso alla vendita. Stante l'impossibilità di proseguire la comunione, sull'immobile si rende necessario intraprendere azione giudiziale di divisione previo giudizio di mediazione”.

Dopo lunga discussione le parti raggiungono un accordo il cui testo è riportato nell'allegato A facente parte integrante del presente processo verbale di conciliazione.

Parte A

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Abbiamo elencato i precetti che il notaio deve osservare quando gli si richiede di autenticare o rogare un accordo di conciliazione, osservando che in sostanza egli è chiamato a svolgere un‟analisi preliminare circa la validità dell'accordo sotto il profilo formale e sostanziale così come confezionato dalle parti.

Nel caso in cui tale analisi abbia esito positivo il pubblico ufficiale procede alternativamente all'autentica in calce dell'accordo o al negozio di ripetizione con

expressio causae, volta a richiamare in premessa l'accordo ripetuto per creare il necessario

collegamento per godere dei benefici fiscali di cui si dirà nei prossimi paragrafi. L'esito negativo, invece, può concretizzarsi in due ipotesi:

 l'accordo è affetto da una nullità sanabile, nello specifico, da una nullità formale, afferente per esempio alla mancanza delle menzioni urbanistiche, oppure è affetto da annullabilità convalidabile, come per esempio la mancanza del consenso del coniuge in caso di comunione legale ex art.184 c.c.;

 l'accordo è affetto da nullità parziale.

Nel primo caso il notaio provvederà a redigere negozio di ripetizione sanando i vizi dell'accordo.

Nella seconda ipotesi, invece, sarà chiamato ad effettuare un‟ulteriore analisi per accertare che la clausola nulla non vada ad incidere su aspetti sostanziali dell'accordo, né sia inscindibile dal contenuto dell'accordo stesso, e che le parti avrebbero comunque raggiunto l'accordo in assenza di essa. Solo dopo aver esaurito, con esito positivo, questa seconda trance di verifiche il Notaio provvederà alla ripetizione del negozio senza riportarvi la clausola nulla.

Alla luce di tali osservazioni, si comprende l'importanza dell'obbligo dell'assistenza legale in mediazione, che è stato oggetto di riforma rispetto alla formulazione iniziale del

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D.Lgs. n. 28/2010. I legali sono, infatti, investiti dell'importante compito di evitare di addivenire ad un accordo affetto da un nullità tale da impedirne l'autentica o la ripetizione da parte del notaio, con la conseguenza di vanificare l'intero procedimento di mediazione.

3.2.3 Usucapione.

Come vedremo nelle successive parti del presente elaborato, quello dell‟usucapione è stato uno dei tempi più dibattuti della precedente versione del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28. In particolare giurisprudenza e dottrina si sono soffermate sulla trascrivibilità dell‟accordo di mediazione nei Registri Immobiliari e sull‟obbligatorietà del tentativo di conciliazione in materia di usucapione.

In questa fase è intenzione delle scrivente individuare ed approfondire i criteri, gli indicatori che spingono le parti, in lite tra loro in merito all‟usucapione della proprietà di un bene e/o diritto reale su di esso, a preferire la via della mediazione piuttosto che quella giudiziale.

Fondamentale, ai fini della suddetta analisi, è il ruolo del notaio in mediazione.

Partiamo, come di consueto, dall‟esperienza pratica. Proprio in virtù della giurisprudenza ondivaga in materia, in particolare in merito alla trascrivibilità dell‟accordo di conciliazione nei Registri Immobiliari, tra le parti e i rispettivi legali si era diffusa, ante riforma (c.d. Decreto del fare), una diffidenza nei confronti dell‟istituto della mediazione quale valida alternativa alla via giudiziale per l‟accertamento dell‟usucapione. Come vedremo nel proseguo dell‟elaborato, le varie Conservatorie dei Registri Immobiliari su tutto il territorio italiano si sono sempre opposte alla trascrivibilità dell‟accordo di conciliazione, anche se omologato dal Presidente del Tribunale e con firme autenticate da un pubblico ufficiale, così come previsto dall‟originaria formulazione del D.Lgs. n.

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28/2010 (art. 11). La giurisprudenza in prevalenza ha avallato tale prassi dei Conservatori ingenerando nelle parti e nei legali la convinzione che la mediazione non fosse una strada percorribile ai fini del riconoscimento dell‟usucapione.

La casistica presso l‟Organismo di mediazione dello scrivente, infatti, riporta una dato totalmente negativo ante-riforma ex D.L. n. 69/2013. Di fatto, nonostante spesso a monte ci fosse già la volontà del potenziale usucapito (parte chiamata) di riconoscere i presupposti dell‟usucapione in favore dell‟usucapente, i procedimenti si sono sempre chiusi o con un verbale negativo o con un verbale di mancata adesione.

Diversa è invece la situazione (con un consistente aumento dei verbali di accordo) dopo che il Legislatore è intervenuto, nuovamente, in materia con il D.L 21 giugno 2013 n. 69 convertito in legge 9 agosto 2013 n. 98, introducendo nell‟ordinamento il comma 12-bis all‟art. 2643 c.c. (argomento su cui ci soffermeremo in seguito), che in sintesi consente alle parti di un procedimento di mediazione, avente ad oggetto la domanda di usucapione di un bene, di accordarsi davanti al mediatore e successivamente di trascrivere l‟accordo, a condizione che lo stesso sia autenticato da pubblico ufficiale a ciò autorizzato.

Alla luce a questa novità normativa, quindi, le potenzialità dell‟Istituto della mediazione di risoluzione delle controversie in materia di usucapione sono, finalmente, emerse anche se l‟intervento delle Legislatore non ha fatto totale chiarezza su tutte le questioni interpretative sollevate dalla giurisprudenza precedente.

In particolare, come vedremo meglio nel proseguo della trattazione, rimane aperta la questione della differenza tra usucapione giudiziale o stragiudiziale, inerente alla soluzione del conflitto di interessi tra usucapente e terzi.

In questa fase dell‟elaborato è sufficiente osservare che, nell‟usucapione accertata giudizialmente, il contenuto del diritto oggetto di usucapione prescinde dalla posizione soggettiva dell‟usucapito ed è valorizzato unicamente dal possesso protratto per un certo tempo e dagli altri requisiti di volta in volta richiesti dalla legge. Effetto tipico della

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sentenza accertativa dell‟usucapione è l‟effetto liberatorio, legato alla retroattività dell‟usucapione ed alla c.d. usucapio libertatis.

Diversamente, in caso di accordo conciliativo accertativo, il diritto dell‟usucapente, quanto meno ai fini dell‟opponibilità ai terzi, è legato alla posizione giuridica dell‟usucapito: l‟usucapente, per far valere il diritto accertato nei confronti dei terzi, non potrà disinteressarsi delle trascrizioni ed iscrizioni pubblicate nei confronti dell‟usucapito, in quanto a lui opponibili secondo il meccanismo dell‟art. 2644 c.c. Quindi, in merito alla natura del verbale di conciliazione che accerta l‟intervenuta usucapione, tale verbale potrà avere la natura di un accordo accertativo e la sua pubblicità, ex n. 12-bis dell‟art. 2643 cod. civ. avrà gli effetti di cui all‟art. 2644 c.c. laddove sia rispettato il principio della continuità delle trascrizioni. Potrà essere oggetto di un accordo accertativo e la sua pubblicità, ex n. 12-bis dell‟art. 2643 c.c., avrà meri effetti prenotativi, ai sensi dell‟art. 2650 c.c., laddove il soggetto usucapito che ha sottoscritto l‟accordo non risulti legittimato in base ad un titolo debitamente trascritto nei registri immobiliari.

Pertanto, in conclusione, l‟accertamento giudiziale dell‟usucapione rimane la sola strada percorribile allorché le parti vogliano dare visibilità alla nuova situazione giuridica e contestualmente renderla opponibile ai terzi, quale acquisto a titolo originario.

Tornando all‟esperienza diretta dello scrivente è interessante notare come, con la suddetta riforma, si sia registrato un aumento delle istanze e dei verbali di accordo in materia di usucapione.

Fondamentale ai fini dell‟esito positivo della mediazione, oltre alla garanzia inerente all‟opponibilità a terzi dell‟accertamento dell‟usucapione, è sicuramente il confronto tra alternativa giudiziale o stragiudiziale in relazione ai tempi ed ai costi delle rispettive ipotesi.

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Come già accennato, nella maggior parte delle ipotesi, già in sede di primo incontro informativo, emerge la volontà del potenziale usucapito (parte chiamata) di riconoscere i presupposti dell‟usucapione in favore dell‟usucapente.

Il conflitto tra le parti in questi casi prescinde dalla volontà delle parti stesse. Infatti, sono frequenti i casi in cui è pacifico, per “la parte chiamata”, l‟utilizzo del bene, immobile nel caso di specie, oggetto di controversia ad opera della “parte istante” potenziale usucapente, in virtù di disposizioni testamentarie, rinunce all‟eredità o atti di compravendita.

Il conflitto in questi casi nasce, spesso e volentieri, da un errore o del professionista incaricato di redigere l‟atto e/o riportare al catasto le modifiche/volture disposte nei vari negozi, o del pubblico ufficiale nel riportare le diposizioni di atti precedenti, generandosi così una discrasia tra realtà fattuale e realtà emergente dagli atti trascritti presso i Registri Immobiliari e/o conservati al Catasto.

In sede di incontro informativo, quindi, le parti, una volta espressa la concorde volontà di accertare i presupposti dell‟usucapione, si interrogano su quale opzione, tra azione giudiziale e proseguimento del procedimento di mediazione, sia la più conveniente in termini sia di costi sia di tempistiche.

La mediazione, dal punto di vista dei tempi, non può andare oltre i 3 mesi dal primo incontro informativo, anche se lo “sforamento” di tale termine rileva, secondo la dottrina maggioritaria, solo in caso di mancato accordo o di accordo non rispettato nel momento in cui una delle parti ne pretende l‟esecuzione. Per quanto riguarda i costi, oltre al credito di imposta, fino a € 500,00 in caso di accordo, riconosciuto a ciascuna parte, l‟art. 17, commi 2 e 3, del D.Lgs. n. 28/2010 dispone che tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall‟imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura. La norma altresì prevede che il verbale di accordo sia esente dall‟imposta di registro entro il limite di valore di € 50.000,00 (altrimenti l‟imposta è dovuta per la parte eccedente). Sono da aggiungere le spese dovute al notaio per il suo intervento necessario, di cui parleremo in seguito.

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L‟accertamento giudiziale dei presupposti dell‟usucapione, nei casi di specie, invece, ha dei tempi sicuramente più lunghi anche in caso di eventuale contumacia dell‟usucapito (non avrebbe alcun interesse a costituirsi in giudizio). In merito ai costi, invece, si devono conteggiare contributo unificato, spese inerenti al procedimento e imposta di registro.

L‟alternativa in sede di primo incontro, quindi, è tra un verbale negativo con conseguente proposizione della domanda giudiziale o la prosecuzione del procedimento di mediazione con redazione del processo verbale e dell‟accordo in cui si accertano i presupposti dell‟usucapione, con successivo intervento del notaio.

Come accennato all‟inizio del paragrafo, fondamentale è la figura del notaio ed il ruolo che esso è chiamato a svolgere nella procedura di conciliazione.

Il notaio che procederà all‟autentica dovrà per obbligo del suo ministero e per dovere professionale di assistenza alle parti, procedere nella valutazione dell‟atto posto in essere, esercitare il controllo sulla corretta identificazione dei soggetti dell‟accordo conciliativo, effettuare gli accertamenti ipotecari e catastali nel ventennio.

Di conseguenza, le dichiarazioni richieste dalla normativa urbanistica all‟interno dell‟atto dovranno essere rese non dal c.d. “usucapito”, al quale per definizione è stato sottratto il possesso per un tempo significativo del bene stesso, ma dovranno essere rese, come conseguenza logica, dal soggetto usucapente. La medesima cosa vale per quanto riguarda la dichiarazione di conformità catastale oggettiva, richiesta per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità ex art. 19 del D.L. n. 78/2010 convertito in Legge n. 122/2010.

Riprendendo l‟esame dei casi concreti, se in sede di primo incontro le parti decidessero di proseguire davanti al mediatore entrando nella fase centrale della mediazione, un eventuale verbale di rinvio riporterebbe quanto segue:

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VERBALE DI RINVIO CON RICHIESTA DI PROSECUZIONE A SEGUITO DEL PRIMO INCONTRO DI MEDIAZIONE

(ex art.8, comma 1, D.Lgs. 28/2010)

Incontro del……… Prot. n. …../2014

Sono presenti:

Parte A (parte che ha attivato la procedura)

(omissis)

Parte B (parte che ha aderito alla procedura)

(omissis)

Conciliatore (omissis)

Oggetto della controversia è stato:

”USUCAPIONE DA PARTE DEL RICORRENTE DELLA PROPRIETA‟ ESCLUSIVA DELL'IMMOBILE SITO IN ………….. DISTINTO AL CATASTO FABBRICATI NEL FOGLIO………….” come letteralmente riportato nell'istanza di mediazione.

Le ragioni della pretesa sono le seguenti, come riportato nella suddetta istanza: “IL RICORRENTE DA CIRCA 50 ANNI HA POSSEDUTO L'IMMOBILE COME UNICO PROPRIETARIO, COME DA ACCORDI CON GLI ALRI COMPROPRIETARI COME RISULTA DAGLI ATTI DI DISPOSIZIONE SUCCEDUTISI NEL TEMPO”.

Richiesta di prosecuzione del procedimento di mediazione

La parte istante ha avanzato istanza di mediazione civile al fine accertare in suo favore l‟intervenuta usucapione relativamente all‟immobile in oggetto (all. 1, visure ipocatastali aggiornate). A sostegno di tale domanda la parte istante dichiara che l‟immobile allo stato attuale è formalmente di proprietà della parte chiamata, come da visure ipocatastali che egli ha prodotto, ma che tuttavia lo stesso istante ha esercitato sul medesimo bene il possesso pubblico, continuato ed indisturbato uti dominus a far data dal ……… senza che alcuno abbia mai contestato in alcun modo tale possesso.

La parte chiamata ha dichiarato di essere a conoscenza dell‟esercizio da parte dell‟istante del sopraindicato possesso nelle predette modalità e di volerlo/non volerlo contestare per i seguenti motivi ……… …… . All‟esito del procedimento di mediazione, nel corso del quale sono state illustrate dettagliatamente le rispettive posizioni ed interessi, le parti si danno reciprocamente atto che in effetti il possesso è stato esercitato mediante ……… ed in particolare mediante …. ……… così come si evince anche dalla seguente documentazione prodotta dalla parte istante ……… e che è stata esaminata dalla parte chiamata. Dopo ampia discussione le parti dichiarano di voler procedere ulteriormente con la procedura di mediazione, accettando il regolamento del presente Organismo di Mediazione e, consapevoli dell'applicazione delle Tariffe per la determinazione dell'indennità di mediazione, chiedono un rinvio. Le parti manifestano, quindi, l‟intenzione di addivenire ad accordo di mediazione che accerti l‟intervenuta usucapione. Il Mediatore rinvia ad altro incontro per consentire la predisposizione dell‟accordo e la convocazione del pubblico ufficiale autorizzato all‟autenticazione delle sottoscrizioni delle parti ex art. 84bis D.L. 69/2013.

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3.3 Responsabilità medica e sanitaria

Le controversie in materia di responsabilità medica “traggono origine da rapporti particolarmente conflittuali, rispetto ai quali, anche per la natura della lite, è quindi particolarmente più fertile il terreno della composizione stragiudiziale (responsabilità medica e diffamazione a mezzo stampa). Tali controversie appaiono più facilmente mediabili e sono inoltre caratterizzate da una complessità che può essere più facilmente dipanata in ambito stragiudiziale”6

Da tale estratto, combinato con l‟elevato numero di controversie pendenti di fronte all‟autorità giudiziaria nella materia de qua, si ricava la ratio della previsione del tentativo obbligatoria di conciliazione in ambito medico: livello alto di conflittualità ma alla stesso tempo coinvolgimento di interessi delle parti più facilmente mediabili in via stragiudiziali.

Originariamente il D.Lgs n. 28/2010 elencava, tra le materie c.d. obbligatorie, la responsabilità medica. Successivamente il Legislatore è intervenuto con D.L. n. 98/2013, convertito con la L. n. 98/2013, stabilendo che la mediazione è obbligatoria, oltre che nei casi di responsabilità medica, anche nei casi di responsabilità sanitaria intesa come la responsabilità degli esercenti professioni sanitarie ossia per quelle controversie aventi ad oggetto il risarcimento del danno derivante da rapporti instaurati tra paziente e struttura sanitaria pubblica o privata. Il legislatore prende atto dell‟evoluzione giurisprudenziale in materia e della sostanziale equiparazione, sotto il profilo della responsabilità nei confronti del paziente, fra la prestazione del medico e quella della struttura sanitaria, sul presupposto che il rapporto che si instaura tra il paziente e la struttura sanitaria (pubblica o privata) deve qualificarsi alla stregua di un contratto d‟opera professionale. Pertanto, anche la responsabilità dell‟ente ospedaliero o clinico, dovendo considerarsi come disciplinata dalle norme che regolano la responsabilità

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professionale medica, è stata correlata alla disposizione di cui all‟art. 2236 c.c. (Responsabilità del prestatore d‟opera).7

Ai fini della sussistenza o meno della condizione di procedibilità, in relazione alla disponibilità/indisponibilità del diritto (ex art. 2 D. Lgs. n. 28/2010), in materia medico-sanitaria l‟ambito della mediazione obbligatoria è circoscritto alle controversie aventi ad oggetto il “risarcimento del danno” derivante appunto da responsabilità medico sanitaria.

3.3.1 L’originaria formulazione dell’art. 5. L’esclusione della responsabilità sanitaria.

In dottrina si è discusso molto sulla volontà del legislatore di riferirsi esclusivamente alla responsabilità medica, non menzionando la c.d. responsabilità sanitaria che presenta conflittualità analoghe alla prima.

La responsabilità sanitaria si riferisce alla responsabilità dell‟ente presso cui il medico ha operato, responsabilità che sorge in capo all‟ente in seguito al ricovero del paziente eventualmente danneggiato e si fonda sul c.d. contratto atipico di spedalità dal quale deriva direttamente in capo alla struttura medesima una duplice obbligazione8:

 garantire l‟erogazione della prestazione medica, in particolare diagnosi e cura, attraverso i sanitari che operano all‟interno della struttura (art. 1128 c.c.);

7

THIERY, La mediazione in materia medica e sanitaria: le novità del DL Fare, in Altalex, 21 settembre 2013.

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 adempiere a tutte le prestazioni c.d. accessorie, connesse con l‟obbligazione principale, come ad esempio l‟obbligo di fornire idoneo personale ausiliario-infermieristico, apprestare idonei locali per la degenza ecc. (art. 1218 c.c.). Alla luce della originaria formulazione dell‟art. 5, in relazione alla procedibilità della domanda giudiziale in materia di responsabilità sanitaria si ponevano le seguenti questioni:

1) quanto alla responsabilità sanitaria in senso stretto, in riferimento esclusivamente a prestazioni accessorie, era plausibile ritenere che il paziente danneggiato, in quanto tenuto ad agire contro l‟ente ospedaliero e non anche contro il medico, non poteva considerarsi obbligato a esperire il tentativo di mediazione.

Parte della dottrina, quindi, sosteneva tale posizione in forza del principio ubi lex voluit,

ubi noluit tacuit, in forza del quale, qualora la legge indichi espressamente a quali

fattispecie si applica un determinato istituto, va esclusa la possibilità che tale istituto possa applicarsi anche a fattispecie non richiamate.

Un „altra corrente dottrinale (maggioritaria), di contro, sosteneva la non conformità di tale interpretazione ai canoni di eguaglianza di emanazione costituzionale (art. 3 Cost.). Infatti, il cittadino-utente, di fronte all‟istanza di tutela dello stesso bene di riferimento, la condizione personale, sarebbe incorso in una disparita di trattamento a secondo dal soggetto responsabile, ente ospedaliero o medico.9

2) la seconda questione riguarda il caso in cui sorgesse controversia in materia di responsabilità medica vera e propria, suscettibile di generare obbligazioni risarcitorie sia in capo ai medici coinvolti direttamente, sia in capo all'ente-struttura presso cui i medici hanno operato. Il danneggiato se intendeva agire nei confronti del medico stesso, doveva preliminarmente esperire un tentativo di conciliazione ex art. 5 D.lgs. n.28/2010.

9

BARBERIO-DE MASI-SIROTI-GAUDENZI, “Rischio clinico e mediazione nel contenzioso sanitario”, Maggioli 2012, pagg.148-149.

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Nel caso in cui, invece, avesse voluto attivare azione giudiziale nei confronti sia del medico, sia dell'ente, ovvero esclusivamente nei confronti dell'ente.

Anche qui dottrina e giurisprudenza si sono diverse. Da una parte si è sostenuto che la responsabilità dell'ente non ricadesse nell'obbligatorietà del tentativo di conciliazione in quanto fattispecie diversa dalla responsabilità medica citata espressamente dal D.Lgs. n. 28/2010, dall'altra si è ritenuto invece coerente la sussistenza dell'obbligo in capo al danneggiato, di coinvolgere nella procedura di mediazione tutti i soggetti destinati ad essere convenuti in sede giudiziale.

Quest'ultima corrente dottrinale ha ritenuto insufficiente l'omessa menzione nel sopra citato art. 5, comma1, della responsabilità sanitaria a fondamento dell'estromissione dal campo di operatività della mediazione delle controversie di cui sopra. Secondo tale orientamento il giudizio che si instaurerà è rivolto comunque all'accertamento della sussistenza o meno della responsabilità del medico che ha avuto in cura il paziente, anche nell'ipotesi in cui il professionista sia destinato a rimanervi estraneo. L'oggetto dell'accertamento giudiziale verte, quindi, sull'indagine della responsabilità del medico facendo rientrare la fattispecie nella materia della responsabilità medica e quindi nell'alveo dell'applicabilità della mediazione obbligatoria

3.3.2 L'introduzione della responsabilità sanitaria. Le modifiche ad opera del “Decreto del Fare”.

Come noto, con l'entrata in vigore del c.d. Decreto del Fare di cui al D.L. n. 69/2013, il legislatore ha provveduto a ripristinare l'obbligatorietà della mediazione nelle materie indicate dall'art. 5 del D.lgs. n. 28/2010.

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In sede di conversione del decreto legge ad opera della legge n. 98/2013, la disposizione è stata emendata aggiungendo l'ipotesi di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria.

Il testo novellato parla, quindi, di "responsabilità medica e sanitaria".

Con la sopra citata modifica sembrerebbe che il legislatore abbia risolto la discrasia normativa tra le due fattispecie risarcitorie, medica e sanitaria appunto. In realtà, stando ai documenti dei lavori preparatori parlamentari, la responsabilità sanitaria cui fa riferimento l'art. 5, sarebbe inerente, non tanto alla responsabilità delle strutture sanitarie e per le c.d. Prestazioni accessorie, ma piuttosto alla responsabilità di altri professionisti, oltre i medici, che svolgono attività di carattere sanitario in senso lato.

Dai lavori preparatori emerge infatti che "la mediazione obbligatoria già prevista per le controversie relative al risarcimento del danno derivante da responsabilità medica, è da intendersi estesa alle controversie in tema di responsabilità sanitaria, intesa come la responsabilità degli esercenti professioni sanitarie"10.

Legittima è comunque anche un'altra lettura dell'art. 5 alla luce dei documenti parlamentari sopra riportati e cioè quella che vede dietro il concetto di responsabilità sanitaria sia la responsabilità delle strutture sanitarie sia dei professionisti non medici. Alla luce delle questioni dibattute in dottrina, così come trattate nel paragrafo precedente, è quest'ultima l'interpretazione ermeneutica preferibile.

Ad oggi, quindi, il paziente danneggiato ai fini della proposizione di domanda giudiziale di risarcimento nei confronti del presunto responsabile sia esso medico oppure a struttura sanitaria o ancora un professionista non medico, sarà in ogni caso preliminarmente obbligato ad attivare un procedimento di mediazione ex art.5, comma 1, D.lgs. n. 28/2010.

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3.3.3 La mediazione in materia medico-sanitaria. Aspetti pratici.

Chiarito l'ambito di operatività della mediazione in materia medico – sanitaria è opportuno continuare l'analisi di tale argomento approfondendo gli aspetti più pratici della procedura di mediazione applicata a controversie in tale settore.

Innanzitutto, stante la complessità degli argomenti spesso trattati durante questo tipo di controversie diventa fondamentale la competenza del mediatore, necessaria ai fini della comprensione dei termini della vertenza, comprensione propedeutica all'instaurazione di un rapporto di fiducia con le parti.

La necessaria competenza dei mediatori trova il proprio fondamento normativo nell'art. 16, comma 2, D.lgs. n. 28/2010 che regola gli organismi di mediazione. Da tale disposizione che demanda al Ministero della Giustizia "l‟istituzione di separate sezioni del registro per la trattazione degli affari che richiedono specifiche competenze anche in materia di consumo e internazionali", si desume che il criterio adottato dal legislatore per dare attuazione al principio della professionalità degli organismi di cui all'art. 60.2, lett. b), della legge delega, è anzitutto quello di prevedere che tali organismi debbano possedere, attraverso i loro mediatori, una specifica competenza nelle materie trattate non solo con riferimento a quelle espressamente menzionate nel citato articolo 16, consumo e internazionali, ma anche nelle altre materie11.

Facendo riferimento all'esperienza diretta come tirocinante in casi di mediazione in tale settore è opportuno soffermarsi su un aspetto pratico fondamentale in tali controversie e cioè il rapporto, la relazione, medico-paziente.

Un rapporto particolare caratterizzato dagli specifici ruoli che rivestono i protagonisti. Da una parte il paziente, che si rivolge al medico per cercare una risposta terapeutica alla

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CARRESE-CIMMINO, La mediazione in materia di responsabilità medica e sanitaria, Altalex Editore, 2014, pag.81.

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sua malattia, e dall'altra il medico, che con professionalità e secondo gli obblighi giuridici e morali, imposti dalla sua professione, deve cercare di curare il malato.

Tale relazione si è evoluta nel tempo. Originariamente tale rapporto era, infatti, caratterizzato da un forte sbilanciamento nei confronti del medico, figura dotata di un'autorità assoluta nei confronti del paziente tale da indurlo a rimettersi totalmente alle sue decisioni, alle sue scelte riguardanti la propria salute.

Nel corso del tempo, complici le profonde trasformazioni sociali dovute al progresso scientifico e tecnologico in campo medico ed il riconoscimento giuridico e sociale dei principi di libertà e autonomia dei pazienti, tale impostazione del rapporto medico paziente è stata messa in crisi.

In particolare dal 1973, con l'emanazione della Carta dei diritti del paziente da parte dell'American Hospital Association, dove viene sancito il diritto del malato in cura ad essere informato e partecipe delle decisioni terapeutiche che lo riguardano, al paziente oggi viene riconosciuta un'autonomia decisionale.

Si è passati, quindi, da una relazione verticale, ad una relazione orizzontale medico-paziente12. Tuttavia la condizione del paziente come soggetto bisognoso di cure non consente alla relazione di svilupparsi su un piano sostanzialmente paritario. In virtù di ciò il rapporto medico-paziente, in continua evoluzione, si trova ancora alla ricerca di un equilibrio tra le aspettative ed esigenze degli attori di questa relazione.

Relazione che altro non si può definire se non complessa. Cercando di analizzarla infatti si può affermare che il paziente tende a trasferire, almeno in una prima fase del rapporto, il proprio potere a favore del sanitario, ossia di quel soggetto che decide sulla sua sorte.

La visita, quale momento di profondo scambio e di profonda intimità, segna un momento fondamentale del rapporto medico paziente, una sorta di punto di non

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ritorno. Attraverso la visita la sofferenza del paziente trova un sollievo, una condivisione da parte del medico. Dopo la visita, due individui, fino a quel momento, praticamente sconosciuti, divengono uniti dall‟intento di produrre un cambiamento psicofisico nel senso della guarigione. Nel momento in cui il paziente acconsente ad essere visitato vi è, invero, un implicito riconoscimento del ruolo del medico come colui che è autorizzato a visitare il suo corpo a porre domande, intime, a volte, invasive, poter dare consigli, poter prescrivere una terapia13.

“Questo rituale necessita di rinnovarsi continuamente al fine di confermare il patto tra medico e paziente che dovrebbe sempre di più, in base anche a quanto disposto dai recenti codici deontologici, avvicinarsi ad una alleanza terapeutica.

In questa importante fase di cambiamento il paziente necessita di appuntamenti e incontri connotati da una forte ritualità; ritualità che grazie alla ripetitività da cui è caratterizzata, riesce ad infondere sicurezza in questo momento estremamente delicato. Purtroppo recentemente la medicina ha sostituito, quasi completamente, il contatto fisico con il corpo del paziente, con l‟esame di referti, la lettura delle “immagini”, l‟osservazione di dati su un monitor, ecc.

La prescrizione di numerosi esami diagnostici, anche in ottica di medicina difensiva, ha preso il posto dell‟ascolto profondo del paziente e dei suo stati d‟animo, quali la paura (che la sua vita non sarà più la stessa), l‟angoscia, delle sue aspettative e speranze di guarigione.

In questa complessa dinamica relazionale, in cui sono messi in gioco il vissuto e la sofferenza del paziente, la professionalità e la credibilità del medico, l‟ordine che caratterizza i rituali di cui sopra può venire meno”14.

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