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Il ruolo delle risorse intangibili in banca: la disclosure sull'intellectual capital

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U

NIVERSITÀ

D

EGLI

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TUDI

D

I

P

ISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Banca, Finanza Aziendale e Mercati Finanziari

T

ESI

D

I

L

AUREA

M

AGISTRALE

Il ruolo delle risorse intangibili in banca:

la disclosure sull’intellectual capital

RELATORE CANDIDATO

Prof.ssa Paola Ferretti Andrea Cosentino

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INDICE

Introduzione ... 5

CAPITOLO 1 - CAPITALE INTELLETTUALE (CI) E CORPORATE SOCIAL RESPONSIBILITY (CSR): FATTORI CRUCIALI DEL SUCCESSO DELLE BANCHE 1.1. La crescente importanza delle risorse intangibili nel settore bancario ... 7

1.2. Il concetto di Capitale Intellettuale ... 13

1.3. Le componenti del Capitale Intellettuale ... 16

1.3.1. Il capitale umano ... 16

1.3.2. Il capitale strutturale ... 17

1.3.3. Il capitale relazionale ... 18

1.4. Il valore aggiunto del Capitale Intellettuale nelle banche ... 21

1.5. Il concetto di Corporate Social Responsibility ... 24

1.6. La rilevanza della Corporate Social Responsibility quale parte integrante fondamentale dell’attività bancaria ... 28

1.7. Alcuni studi empirici sull’interazione fra Capitale Intellettuale e Corporate Social Responsibility ... 31

CAPITOLO 2 - LA DISCLOSURE DEL CAPITALE INTELLETTUALE 2.1. I sistemi di misurazione e di reporting del Capitale Intellettuale: Dai modelli pionieristici ai modelli avanzati ... 37

2.2. La “rivoluzione” del reporting integrato ... 50

2.3. La dichiarazione di carattere non finanziario sancita dalla Direttiva UE 2014/95 ... 55

2.4. Le principali teorie sulla disclosure del Capitale Intellettuale ... 59

2.5. La disclosure del Capitale Intellettuale in ambito bancario: Una rassegna della letteratura ... 63

CAPITOLO 3 - UN’ANALISI EMPIRICA SULLA DISCLOSURE DEL CAPITALE INTELLETTUALE NEL SETTORE BANCARIO ITALIANO 3.1. Le caratteristiche della ricerca ... 73

3.1.1. La selezione del campione ... 73

3.1.2. Content analysis e applicazione di un modello ad hoc per il settore bancario ... 75

(4)

3.1.3. Analisi e discussione dei risultati della ricerca ... 79

3.2. Le prospettive future sulla disclosure del Capitale Intellettuale ... 95

Conclusioni ... 97

Appendice ... 100

Riferimenti bibliografici ... 139

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5

Introduzione

Il presente lavoro si è posto come obiettivo principale quello di esaminare il ruolo rivestito dalle risorse intangibili nel settore bancario, concentrandosi, in particolare, sull’Intellectual Capital (o Capitale Intellettuale) e sulla sua disclosure in tale ambito, cercando, da ultimo, di analizzarne il livello in un campione di banche italiane. Il tema è di grande attualità e non può affatto passare inosservato; infatti, i notevoli cambiamenti verificatisi, negli ultimi anni, nel settore bancario hanno accresciuto la rilevanza delle risorse intangibili, tanto da porle quali nuovi principali drivers per la creazione del valore e da cui le banche non possono ormai prescindere. Tra queste, il Capitale Intellettuale (CI) rappresenta la risorsa dominante nell’attuale knowledge economy. Per le banche, esso si configura quale fattore cruciale di innovazione e di competitività, in grado di rinforzarne la sopravvivenza in un ambiente estremamente mutevole (qual è, appunto, quello bancario).

Un’adeguata disclosure del capitale intellettuale risulta, poi, fondamentale, poiché concorre a promuovere la credibilità, l’immagine e la reputazione delle banche, contribuendo, inoltre, a consolidare i legami di fiducia instaurati con i diversi stakeholders.

In sintesi, il lavoro è strutturato come segue. Innanzitutto, la trattazione viene suddivisa in tre capitoli. Il primo capitolo è articolato in sette sezioni. La prima sezione introduce il tema delle risorse intangibili, sottolineandone la crescente importanza soprattutto per il settore bancario. Le successive tre sezioni si soffermano, rispettivamente, sul concetto di capitale intellettuale, sulle sue tre componenti (capitale umano, capitale strutturale e capitale relazionale) e sul suo fondamentale valore per le banche. Dopo aver esposto il concetto di corporate social responsibility (quinta sezione), ed evidenziato la sua rilevanza in ambito bancario (sesta sezione), il capitolo si conclude con una disamina di alcuni studi empirici aventi ad oggetto l’interazione e i mutui collegamenti

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esistenti fra capitale intellettuale e corporate social responsibility (ultima sezione).

Il secondo capitolo affronta il tema della disclosure del capitale intellettuale. Esso consta di cinque sezioni. Nella prima sezione, vengono esposti i principali sistemi di misurazione e di reporting del capitale intellettuale (dai modelli pionieristici a quelli avanzati). La seconda e la terza sezione, invece, si soffermano, rispettivamente, sul reporting integrato e sulla dichiarazione di carattere non finanziario (sancita dalla Direttiva UE 2014/95), quali potenziali strumenti per comunicare informazioni inerenti al capitale intellettuale. La trattazione prosegue esponendo le principali teorie sulla disclosure del capitale intellettuale, ovvero stakeholder theory, legitimacy theory e signalling theory (quarta sezione). Al termine del capitolo, viene fornita una rassegna della letteratura riguardante la disclosure del capitale intellettuale in ambito bancario (ultima sezione).

Nel terzo, ed ultimo, capitolo, infine, viene condotta un’analisi empirica volta ad esaminare il livello di disclosure del capitale intellettuale presente all’interno di alcuni documenti pubblicati da due banche italiane. Il capitolo è composto da due sezioni. La prima sezione descrive le caratteristiche della ricerca. Dapprima, vengono descritti il periodo d’analisi, le fonti informative raccolte per condurre l’analisi, il campione oggetto di studio, nonché l’approccio metodologico adottato e il framework utilizzato per la ricerca delle informazioni; successivamente, vengono riportati e analizzati, nel dettaglio, i risultati ottenuti, da cui, poi, vengono tratte le principali conclusioni. Si riportano, inoltre, alcune limitazioni presentate dallo studio.

Nella seconda sezione, infine, si tenta di tracciare le prospettive future sulla disclosure del capitale intellettuale.

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7

CAPITOLO 1 -

CAPITALE INTELLETTUALE (CI) E

CORPORATE

SOCIAL

RESPONSIBILITY

(CSR):

FATTORI CRUCIALI DEL SUCCESSO DELLE

BANCHE

1.1. La crescente importanza delle risorse intangibili nel settore

bancario

Dagli inizi del XXI secolo, è ormai ampiamente riconosciuto, in ambito economico, il ruolo rivestito dalle risorse intangibili, anche dette immateriali o invisibili, quali fattori essenziali per la competitività delle aziende, e soprattutto delle banche, oltre che fonte della capacità di generare reddito o valore per esse e per i soggetti che partecipano alla loro attività.

Infatti, nell’economia moderna, sempre più complessa e globalizzata, nota come knowledge economy, o economia di conoscenza, i principali value drivers su cui le aziende stanno focalizzando la loro attenzione sono proprio le risorse intangibili1. Basti pensare che recenti studi dimostrano che il peso di tali risorse rispetto al valore complessivo delle imprese è aumentato, negli ultimi trent’anni, in maniera costante, passando dal 20% del 1980 al 70-80% di oggi2. Oggi più che mai il successo di un’azienda e la sua capacità di generare valore non sono misurabili solo, o esclusivamente, attraverso parametri economici e patrimoniali, ma, soprattutto, dalle sue capacità di garantire contestuali performance organizzative, competitive, sociali e ambientali. Analogamente, la sua strategia di crescita sostenibile è sempre più funzione dello sviluppo armonico di fattori intangibili3.

1 Cfr. Forte W. et al., Measuring the intellectual capital of Italian listed companies, Journal of

Intellectual Capital, Vol. 18, No. 4, 2017, p. 710.

2 Zambon S., Girella L., La rivoluzione del reporting integrato e il ruolo del NIBR in Italia,

Associazione Professionale italiana Consulenti di management (APCO), Rivista bimestrale No. 5, dicembre 2016, pp. 2-3.

3 Chiarello G., Intangibles, sostenibilità, performance, creazione di valore, Associazione

Professionale italiana Consulenti di management (APCO), Rivista bimestrale No. 5, dicembre 2016, p. 5.

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Detto ciò, per quanto attiene all’aspetto definitorio, è bene precisare, sin d’ora, che l’identificazione degli elementi che afferiscono all’area dell’immaterialità risulta alquanto complicata. Generalmente, le risorse intangibili sono definite in senso negativo, ossia come quegli elementi che non hanno il carattere della tangibilità, né natura finanziaria. Da ciò, si evince come le risorse intangibili costituiscano un complesso molto eterogeneo. Alcune di esse, infatti, sono sedimentate all’interno delle aziende, in particolare nelle banche, e qui ci si riferisce alla conoscenza, alle competenze, alle routine organizzative, alle procedure operative, etc.; altre, quali, ad esempio, le relazioni che la banca instaura con gli stakeholders, l’immagine aziendale, piuttosto che la motivazione del personale, sono basate, invece, sulla fiducia che soggetti esterni ed interni alla banca nutrono nei confronti della stessa. Talvolta, la loro creazione è il frutto di scelte consapevoli da parte della banca (basti pensare alla formazione del personale), in molti altri casi, viceversa, esse si generano in modo spontaneo e incidentale e ciò, nel complesso, contribuisce a rendere le risorse intangibili

firm-specific, in quanto, appunto, intrinsecamente legate alla banca4.

La definizione di risorse intangibili si è notevolmente ampliata nel corso del tempo. Infatti, da una visione meramente normativa, con la tradizionale rappresentazione delle immobilizzazioni immateriali nel bilancio d’esercizio, si è giunti, in seguito, ad una visione più allargata che ricomprende negli intangibili anche risorse decisamente immateriali, spesso non separabili o autonomamente cedibili, quali la leadership, la customer satisfaction, la rete di alleanze, la reputazione, etc.

Le risorse intangibili rappresentano quelle componenti del sistema aziendale a cui, nella maggior parte dei casi, si attribuisce la responsabilità di performance più o meno positive (o negative) per tutti gli stakeholder, ma di cui spesso non esiste misurazione o rappresentazione né ad uso del management né di altri attori, a parte quelle la cui valorizzazione è prevista da norme contabili a livello internazionale5.

4 Cfr. Chiucchi M.S., Sistemi di misurazione e di reporting del capitale intellettuale: Criticità e

prospettive, G. Giappichelli Editore, Torino, 2004, pp. 9-12.

5 Previati D., Vezzani P., Il capitale intellettuale nella gestione bancaria: Stato dell’arte e

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Esse sono rappresentate da tutti quegli assets, a disposizione dell’azienda, che non sono relativi a risorse fisiche e tangibili, che contribuiscono a determinarne il vantaggio competitivo e ad accrescerne il valore, ma che spesso non sono valorizzati singolarmente dal punto di vista economico e finanziario6.

Tali risorse derivano dalle risorse umane che, attraverso i loro sforzi all’interno dell’organizzazione, creano una struttura interna di conoscenza, che rappresenta, in diverse situazioni, il più alto valore organizzativo, anche se esse generalmente non sono misurate in contabilità a causa di restrizioni legali o contabili7.

Di seguito, viene fornita una loro rappresentazione grafica all’interno delle risorse aziendali [v. Figura 1.1].

Figura 1.1 – Una classificazione sintetica delle risorse aziendali

Fonte: Capuano P., La valutazione del capitale intellettuale in banca: Un’analisi empirica sulle

banche italiane quotate, Impresa Progetto - Electronic Journal of Management, No. 1, 2010, p. 4.

6 Lazzari M. et al., La valorizzazione degli asset intangibili nei piani aziendali: Il caso Image

Line, Amministrazione & Finanza, No. 11, 2016, p. 1.

7 Osinski M. et al., Methods of evaluation of intangible assets and intellectual capital, Journal of

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Il presente schema indica come le risorse intangibili possano essere suddivise in:

- intellectual properties, ovvero le risorse più facilmente identificabili e monetizzabili, la cui proprietà è difesa da tutele legali, quali, ad esempio, i brevetti, i marchi registrati, i diritti di copyright posseduti;

- intellectual assets, cioè gli asset intangibili propri dell’azienda, direttamente controllabili e da questa inscindibili, che, a volte, rientrano nell’avviamento, come i software applicativi o il know-how implementato; - intellectual capital, che identifica tutte le altre risorse, decisamente più

intangibili, di cui dispone l’azienda, spesso non adeguatamente misurate e non riflesse nei tradizionali bilanci, ma che concorrono alla formazione del capitale economico dell’azienda. In tal caso, ci si riferisce alla lealtà, alla reputazione sociale e ambientale, ai rapporti di partnership, alle relazioni con gli stakeholder, etc.

Il World Intellectual Capital/Assets Initiative (WICI) afferma che gli intangibili sono risorse non fisiche, che, siano esse a sé stanti o congiunte ad altre risorse tangibili o intangibili, possono generare, direttamente o indirettamente, un effetto positivo o negativo sul valore dell’organizzazione nel breve, medio e lungo termine.

A riguardo, un’organizzazione può avere risorse intangibili positive che consentono alla stessa di differenziarsi e di conseguire potenzialmente un vantaggio competitivo a lungo termine, ma può anche avere risorse intangibili negative (delle volte conosciute anche come passività intangibili), cioè intangibili che possono avere un impatto negativo sostanziale sul valore di un’organizzazione (per es. una cattiva reputazione dell’organizzazione, la carenza nella leadership o nella qualità della gestione)8.

Sulla consapevolezza del fondamentale ruolo assunto nel tempo dalle risorse intangibili, si è registrata, negli anni, una significativa convergenza di differenti filoni di ricerca, fra i quali meritano di essere menzionati i seguenti:

8 World Intellectual Capital/Assets Initiative (WICI), WICI Intangibles Reporting Framework

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• la teoria del capitale umano, che riconosce nelle risorse intangibili una fonte essenziale di ricchezza e di reddito;

• il total quality approach, che, quale metodologia di sviluppo della qualità dei prodotti/servizi, mira a coinvolgere tutte le risorse umane, e non solamente il management, in un’ottica di miglioramento continuo orientata alla customer care;

• la visione dell’azienda competence based o resource based, che pone al centro dell’attenzione le core competences dell’azienda, cioè le capacità, le conoscenze e le distintive qualità professionali possedute che ne costituiscono la base della competitività;

• le teorie sulla learning organization, intesa come incorporazione della conoscenza nelle cd. routine, che sottolineano la necessità per le organizzazioni di modificarsi continuamente per adattarsi alle trasformazioni in atto nel contesto in cui operano;

• la concezione dell’azienda incentrata sulla creazione di conoscenza, che rappresenta il catalizzatore delle varie risorse intangibili;

• la prospettiva del people value, che, sviluppando la teoria sul capitale umano, la visione competence based e quella sulla creazione di conoscenza, mette in risalto la capacità di attrarre e trattenere risorse professionali di qualità e dotate di talento9.

Tutto ciò riguarda sicuramente le aziende, in generale, ma può essere esteso indubbiamente anche al mondo delle banche. Trattandosi, infatti, di aziende di servizi molto complesse che operano, per una cospicua parte, attraverso risorse umane dotate di elevate professionalità e i cui processi operativi comportano un rilevante impegno nell’elaborazione e trasmissione di informazioni, le banche sembrano, anzi, poste al centro delle tematiche appena considerate10.

Infatti, i considerevoli cambiamenti verificatisi, negli ultimi anni, nel settore bancario, tra i quali si possono annoverare la crescente rilevanza dell’innovazione,

9 Querci F., Il bilancio del capitale intellettuale nelle imprese bancarie: Il caso delle banche

spagnole, Rivista bancaria - Minerva bancaria, Vol. 62, Fasc. 1-2, 2006, p. 28.

10 Rebora G., Gli asset intangibili. Il capitale intellettuale e il valore della banca: I risultati di una

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il processo di globalizzazione dell’economia e il conseguente intensificarsi dei competitors, le esigenze delle sempre più numerose categorie di stakeholders, nonché la crescente varietà e variabilità dei bisogni espressi dai clienti, hanno condotto ad un rimodellamento del settore che ha modificato profondamente il modo di essere e di operare delle banche: nuove strategie commerciali (ad esempio, il passaggio dalle attività in bilancio a quelle fuori bilancio, o il crescente coinvolgimento nei mercati dei capitali), nuovi modelli e modi di fare business (e-banking, mobile banking, la forte diffusione delle tecnologie di informazione), nuove forme di organizzazione (ovvero subappalto, outsourcing, alleanze strategiche) e le numerose fusioni e acquisizioni che interessano il settore11.

I mutamenti considerati, quindi, hanno accresciuto la rilevanza delle risorse invisibili (cognitive e intangibili), quali fattori critici per il successo delle banche e in grado di garantire potenzialmente differenziali competitivi, sostenibili e duraturi. È essenziale, allora, esser dotati della capacità critica di sviluppare, saper gestire, misurare e controllare il flusso di conoscenza e gli intangibili, in quanto queste preziose risorse giocano un ruolo dominante per le banche, in termini di innovazione e di competizione, in un settore, qual è, appunto, quello bancario, a forte conoscenza intensiva.

Pertanto, le banche non possono permettersi di ignorare gli intangibili, che costituiscono, oramai, i nuovi principali driver per la creazione del valore, né sotto il profilo gestionale e organizzativo, né tanto meno sotto quello comunicazionale12.

11 Mention A., Exploring voluntary reporting of intellectual capital in the banking sector, Journal

of Management Control, Vol. 22, No. 3, 2011, p. 283.

12 Nardo M.T., Veltri S., Bilancio sociale e bilancio del capitale intellettuale: Quali relazioni?,

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1.2. Il concetto di Capitale Intellettuale

La rilevanza assunta dalle risorse intangibili, quali determinanti essenziali della performance aziendale, ha comportato l’esigenza di avere informazioni che ne possano consentire la gestione, al fine di creare valore, ed anche quella di comunicare agli stakeholder l’entità e la peculiarità di quegli intangibles che influenzano le prospettive future dell’azienda. Ed è proprio in questo contesto che si inserisce e si diffonde il concetto di Capitale Intellettuale (CI), la risorsa dominante nell’attuale economia basata sulla conoscenza13.

In generale, con tale termine ci si riferisce alla somma di tutte le risorse intellettuali o conoscitive che possono essere utilizzate per generare ricchezza e dare all’azienda un vantaggio competitivo14.

Infatti, in uno scenario in cui emerge il costante bisogno delle organizzazioni di offrire prodotti e servizi migliori, è proprio il capitale intellettuale a costituire un fattore essenziale di innovazione15, la cui valutazione può essere considerata un’opportunità sia per visualizzare che per capire in che modo questo influenzi la performance finanziaria dell’organizzazione16.

È possibile affermare, comunque, che non esiste, a tutt’oggi, una definizione di capitale intellettuale univocamente riconosciuta a livello internazionale, nonostante, appunto, la sua importanza ai fini della realizzazione degli obiettivi organizzativi17. Sono presenti, però, alcuni aspetti ampiamente, anche se non totalmente, condivisi dalla dottrina, come quello in base al quale il capitale intellettuale viene fatto rientrare nella più ampia categoria delle risorse intangibili, concependolo come quel complesso di attività immateriali che derivano

13 Cabrita M.R. et al., Competitiveness and disclosure of intellectual capital: An empirical

research in Portuguese banks, Journal of Intellectual Capital, Vol. 18, No. 3, 2017, p. 487.

14 Cinquini L. et al., Analyzing intellectual capital information in sustainability reports: Some

empirical evidence, Journal of Intellectual Capital, Vol. 13, No. 4, 2012, p. 537.

17 Si veda Bhasin M., Measurement and disclosure of intellectual capital in a developing country:

An exploratory study, Australian Journal of Business and Management Research, Vol. 2, No. 8,

2012, pp. 63-75.

16 Si veda Giuliani M., Marasca S., Construction and valuation of intellectual capital: A case

study, Journal of Intellectual Capital, Vol. 12, No. 3, 2011, pp. 377-391.

17 De Villiers C, Sharma U., A critical reflection on the future of financial, intellectual capital,

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dall’accumulo delle conoscenze, competenze, informazioni dell’organizzazione o dalle dinamiche relazionali esistenti tra la stessa e il contesto nel quale opera18. La molteplicità delle definizioni sul capitale intellettuale dimostra che si tratta di un concetto in divenire, mutevole nello spazio e nel tempo, difficilmente inquadrabile, quindi, in termini rigidi e statici. Pur essendo tante le definizioni proposte e le classificazioni ad esse associate, le differenze esistenti sono prevalentemente, ma non esclusivamente, di tipo formale e non sostanziale19. Una notevole diffusione di studi sul tema si è avuta, dalla seconda metà degli anni Novanta, a partire da quello ad opera del gruppo svedese Skandia, che rappresenta il primo tentativo di applicazione empirica del concetto di capitale intellettuale nella gestione d’azienda. In questo caso, partendo dal presupposto che il valore scaturisce da due tipologie di capitale, quello finanziario e quello intellettuale, ci si concentra proprio sul secondo effettuando una prima separazione tra capitale umano (o capitale pensante) e capitale strutturale (o capitale non pensante). Al capitale umano sono riconducibili le competenze e le relazioni instaurate dalle risorse umane in azienda, mentre il capitale strutturale comprende il capitale rappresentato dai clienti e quello relativo all’innovazione e ai processi; quest’ultimo, unitamente alla cultura aziendale, identifica la dimensione organizzativa del capitale strutturale, che include gli asset intangibili, le proprietà intellettuali ed il know-how codificato in azienda20.

Da ciò, si arriva alla nota tripartizione del capitale intellettuale in capitale umano, capitale organizzativo e capitale relazionale (che include non solo i clienti ma tutte le tipologie di interlocutori), che rappresenta la schematizzazione più diffusa del concetto di capitale intellettuale e costituisce, altresì, la base su cui poggiano i successivi studi sul tema21.

Da un punto di vista contabile, diversi autori discutono sul fatto che il capitale intellettuale di un’azienda possa essere considerato come un significativo “valore

18 Capuano P., La valutazione del capitale intellettuale in banca: Un’analisi empirica sulle banche

italiane quotate, op. cit., pp. 5-6.

19 Chiucchi M.S., Sistemi di misurazione e di reporting del capitale intellettuale: Criticità e

prospettive, op. cit., p. 79.

20 Si veda Edvinsson L., Malone M.S., Intellectual capital: The proven way to establish your

company’s real value by measuring its hidden brain power, Piatkus, London, 1997.

21 Puntillo P., Il valore aggiunto del capitale intellettuale nelle aziende bancarie italiane.

Un’analisi empirica, Rivista italiana di ragioneria e di economia aziendale, Vol. 114, Fasc. 7/8/9,

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nascosto”, non catturato dai tradizionali bilanci e definito come la differenza fra il valore dei suoi asset netti tangibili (o valore di libro) e la sua capitalizzazione di mercato (o valore di mercato)22. Tale differenza, però, risulta alquanto problematica, poiché, in verità, il valore di mercato spesso fluttua per ragioni che hanno poco o niente a che fare con l’azienda23; inoltre, non aiuterebbe nel riconoscimento delle specifiche sottocategorie del capitale intellettuale, tanto da presentarsi piuttosto riduttiva nel voler dare un significato allo stesso24.

Da un punto di vista extra-contabile, invece, diversi studiosi tentano di formulare una propria definizione sul tema. Per esempio, con capitale intellettuale si può intendere tutte le risorse fisiche e non monetarie che sono parzialmente o totalmente controllate dalle organizzazioni e che contribuiscono alla creazione di valore; o l’insieme di asset intangibili che non appaiono in bilancio ma che permettono all’azienda di funzionare; talvolta anche la conoscenza che può essere convertita in profitto, piuttosto che la capacità di trasformare gli asset invisibili in risorse che creano benessere a livello non solo d’impresa ma di nazione25.

Esso prende la forma di brand, marchi, brevetti, relazioni con i clienti, capitale umano, ricerca e sviluppo26; in sostanza, è la somma di tutte le tipologie di conoscenza, suscettibili di generare benefici futuri, che un’azienda utilizza per condurre il suo business27.

Da tutte queste definizioni emerge come il capitale intellettuale sia un concetto multidimensionale28, molto complesso e poliedrico che abbraccia tutti gli intangibili29.

22 Forte W. et al., Measuring the intellectual capital of Italian listed companies, op. cit., p. 711.

23 Cinquini L. et al., Analyzing intellectual capital information in sustainability reports: Some

empirical evidence, op. cit., p. 538.

24 Si veda Striukova L. et al., Corporate reporting of intellectual capital: Evidence from UK

companies, British Accounting Review, Vol. 40, No. 4, 2008, pp. 297-313.

25 Si veda, in merito, Capuano P., La valutazione del capitale intellettuale in banca: Un’analisi

empirica sulle banche italiane quotate, op. cit., p. 6.

26 Si veda Dženopoljac V. et al., Intellectual capital and financial performance in the Serbian ICT

industry, Journal of Intellectual Capital, Vol. 17, No. 2, 2016, pp. 373-396.

27 Si rimanda a Zeghal D., Maaloul A., Analysing value added as an indicator of intellectual

capital and its consequences on company performance, Journal of Intellectual Capital, Vol. 11,

No. 1, 2010, pp. 39-60.

28 Mention A., Exploring voluntary reporting of intellectual capital in the banking sector, op. cit.,

p. 281.

29 Zambon S., Affrontare la successione nella prospettiva del valore. Dagli aspetti personali ai

profili aziendali e giuridici, Progettare il futuro - Creazione di valore nella successione aziendale,

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1.3. Le componenti del Capitale Intellettuale

Si può affermare che, sotto l’aspetto qualitativo, il capitale intellettuale può essere articolato in tre raggruppamenti (o categorie). In letteratura, le denominazioni utilizzate per riferirsi a tali categorie sono diverse, ma il loro contenuto risulta pressoché analogo. L’articolazione più nota e diffusa del capitale intellettuale, cui già si accennava in precedenza, consiste nella seguente tripartizione: capitale umano, capitale organizzativo e capitale relazionale.

1.3.1. Il capitale umano

Il capitale umano, come si è già avuto modo di osservare, è costituito dalle conoscenze, capacità, competenze e abilità possedute dalle risorse umane e che rappresentano la base dell’attività che svolgono in una certa organizzazione. Il capitale umano non è di proprietà delle aziende trattandosi di capitale “preso in prestito” dai dipendenti. Esso rappresenta la primaria fonte dell’idiosincrasia delle aziende30. Alcuni lo considerano il più importante componente del capitale intellettuale31; altri addirittura come l’asset più prezioso per le aziende in quanto evidenzia la capacità organizzativa nei processi decisionali e nell’allocazione delle risorse32. Esso include know-how, atteggiamenti, valori, attitudini, capacità, motivazioni, ma anche caratteristiche individuali, quali la lealtà, la versatilità, la flessibilità, l’agilità intellettuale, la capacità creativa, nonché la destrezza e l’esperienza del personale33.

30 Cabrita M.R. et al., Competitiveness and disclosure of intellectual capital: An empirical

research in Portuguese banks, op. cit., p. 489.

31 Si veda, a riguardo, Ghosh S.K., Maji S.G., The Impact of Intellectual Capital on Bank Risk:

Evidence from Indian Banking Sector, IUP Journal of Financial Risk Management, Vol. 11, No. 3,

2014, pp. 18-38.

32 Si veda Guthrie J. et al., Reflections and projections: A decade of intellectual capital accounting

research, The British Accounting Review, Vol. 44, No. 2, 2012, pp. 68-82.

33 Osinski M. et al., Methods of evaluation of intangible assets and intellectual capital, op. cit., p.

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La creazione di conoscenza condivisa all’interno dell’organizzazione e il mantenimento del vantaggio competitivo deriva dall’abilità di convertire la conoscenza tacita ed individuale, componente essenziale, appunto, del capitale umano, in capitale strutturale34; così facendo, si rafforza il legame esistente tra capitale umano e azienda e si incentivano i dipendenti a rimanere all’interno della stessa allo scopo ultimo di creare valore (a tal proposito, ad esempio, possono essere proposte gratificazioni monetarie o piani di coinvolgimento del personale in progetti che mirino ad accrescerne le competenze)35.

1.3.2. Il capitale strutturale

Il capitale strutturale (o organizzativo), altra preziosa categoria del capitale intellettuale, è costituito dalla conoscenza che è stata codificata in appositi elementi, quali, ad esempio, i database, sì da renderla condivisibile e trasmissibile, nel tempo e nello spazio, consentendo al sapere del singolo di uscire dalla sfera individuale per diventare bene dell’organizzazione. Del capitale strutturale fanno parte anche i meccanismi operativi, la struttura organizzativa e la cultura aziendale, elementi ritenuti espressivi della conoscenza che si è sedimentata, nel corso degli anni, all’interno dell’organizzazione36 e che supportano i dipendenti nella loro ricerca della performance intellettuale ottimale37.

Una struttura organizzativa efficace ed efficiente e procedure operative ben collaudate e di alta qualità costituiscono, infatti, fattori chiave per la creazione di valore, poiché rappresentano punti di forza difficili da imitare, essendo legati alla specifica realtà aziendale e al suo peculiare modus operandi.

34 Si veda Shih K. et al., Assessing the quality gap of intellectual capital in banks, Total Quality

Management & Business Excellence, Vol. 22, No. 3, 2011, pp. 289-303.

35 Chiucchi M.S., Sistemi di misurazione e di reporting del capitale intellettuale: Criticità e

prospettive, op. cit., p. 80.

36 Previati D., Vezzani P., Il capitale intellettuale nella gestione bancaria: Stato dell’arte e

prospettive di ricerca, op. cit., p. 110.

37 Mouritsen J., Roslender R., Critical intellectual capital, Critical Perspectives on Accounting,

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Il capitale strutturale è un asset strategico che permette la creazione di ricchezza solo grazie al fondamentale contributo del capitale umano attraverso un circolo virtuoso che migliora entrambe le componenti, presupponendo, però, che vi sia la piena disponibilità dei singoli a condividere il proprio sapere, altrimenti anche la migliore struttura rischia di non funzionare come dovrebbe. Esso include al suo interno un set di infrastrutture, sistemi informativi, database, brevetti, marchi, routine amministrative e procedimenti che rappresentano il potenziale intellettuale nell’organizzazione38. Questo capitale risulta meno volatile di quello umano ed è ciò che l’organizzazione può assorbire dai suoi dipendenti e che rimane di proprietà della stessa anche quando questi smettono di lavorare39.

1.3.3. Il capitale relazionale

Il capitale relazionale, infine, va a identificare la totalità dei rapporti instaurati dall’azienda, ed il relativo valore in essi incorporato, con tutti i suoi principali stakeholder40. È quell’asset che residua nelle relazioni e reti sociali fra gli individui, la comunità e la società in generale41. La proprietà degli asset, in questo caso, è condivisa con gli stakeholder e non è, quindi, dell’azienda, proprio come il capitale umano. È necessario, pertanto, riconoscere tale condivisione per evitare il rischio di creare difficili rapporti con i vari portatori di interesse e di disperdere, di conseguenza, il prezioso patrimonio di conoscenze accumulato nel tempo42.

Esso si riferisce non solo alle relazioni instaurate dall’organizzazione con terze parti, ma anche alla percezione che queste terze parti hanno nei riguardi dell’organizzazione. Sono proprio queste relazioni che producono una forma

38 Cfr. Cabrita M.R., Competitiveness and disclosure of intellectual capital: An empirical research

in Portuguese banks, op. cit., p. 489.

39 Osinski M. et al., Methods of evaluation of intangible assets and intellectual capital, op. cit., p.

471.

40 Veltri S., Nardo M.T., The Intangible Global Report: An integrated corporate communication

framework, Corporate Communications: An International Journal, Vol. 18, No. 1, 2013, p. 31.

41 De Villiers C., Sharma U., A critical reflection on the future of financial, intellectual capital,

sustainability and integrated reporting, op. cit., p. 3.

42 Cfr. Chiucchi M.S., Sistemi di misurazione e di reporting del capitale intellettuale: Criticità e

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19

superiore di conoscenza basata sul coordinamento e l’interazione del sapere posseduto da ognuno degli attori coinvolti nelle stesse43.

Analizzando il capitale intellettuale, possiamo considerare che l’input è rappresentato dalla conoscenza, l’esperienza e le competenze dei dipendenti; questo input viene trasformato dai processi riflessi nel capitale strutturale e relazionale (il know-how di un’azienda combinato con la sua immagine e le relazioni con l’ambiente esterno); l’output, infine, è il valore aggiunto per gli stakeholder e l’azienda stessa44.

Nella tripartizione, appena illustrata, si evince come il capitale intellettuale debba essere osservato non soltanto sotto l’aspetto statico, analizzando singolarmente le sue componenti, ma anche, e soprattutto, sotto quello dinamico. Pertanto, al fine di creare le condizioni per condurre ad un incremento del capitale intellettuale, è essenziale sviluppare incessanti relazioni tra i diversi elementi componenti le diverse categorie [v. Figura 1.2].

Figura 1.2 – Le relazioni fra le componenti del Capitale Intellettuale

Fonte: World Intellectual Capital/Assets Initiative (WICI), WICI Intangibles Reporting

Framework (WIRF), op. cit., p. 16.

43 Si veda Abeysekera I., Intellectual capital disclosing between a developing and developed

nation, Journal of Intellectual Capital, Vol. 8, No. 2, 2007, pp. 329-345.

44 Dicu R., The transparency in the reporting of intellectual capital: Between the management

responsibility and the stakeholders’requirements, Annals of Faculty of Economics, University of

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Il capitale intellettuale, infatti, è un fenomeno di interrelazioni e di interazioni, dove ogni componente possiede un piccolo valore se considerata a sé stante, ma, considerato nel complesso, esso rappresenta un grande valore per l’organizzazione45. Tuttavia, è necessario considerare gli effetti di sinergia e di interconnessione (e non la mera sommatoria dei singoli valori creati) non solo fra le categorie del capitale intellettuale, appena descritte, ma anche quelli esistenti tra queste e le restanti componenti del capitale complessivo dell’organizzazione (ovvero capitale finanziario e capitale materiale), per capire effettivamente quali possano essere i circuiti virtuosi della creazione totale di valore per la specifica entità considerata46.

Il carattere dinamico del capitale intellettuale, tra l’altro, viene anche ribadito dal World Intellectual Capital/Assets Initiative (WICI), che definisce, appunto, quest’ultimo come uno stock di intangibili interni ed esterni, propri di un’organizzazione, che sono dinamicamente interrelati al fine di trasformare un set di risorse tangibili (materiali), finanziarie ed umane in un sistema capace di creare valore per gli stakeholder, mediante il raggiungimento di vantaggi competitivi sostenibili47.

Si può, quindi, affermare che senza capitale intellettuale, oramai, non è possibile differenziare le aziende, in quanto non è possibile ottenere vantaggio competitivo. È diventato un prisma tramite il quale valutare il successo dell’organizzazione48.

45 Si veda Cabrita M.R., Intellectual capital as a phenomenon of interrelationships, International

Journal of Business and Systems Research, Vol. 3, No. 2, 2009, pp. 229-256.

46 Capuano P., La valutazione del capitale intellettuale in banca: Un’analisi empirica sulle banche

italiane quotate, op. cit., pp. 8-9.

47 World Intellectual Capital/Assets Initiative (WICI), WICI Intangibles Reporting Framework

(WIRF), op. cit., p. 12.

48 Sulkowski L., Fijalkowska J., Corporate Social Responsibility and intellectual capital

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1.4. Il valore aggiunto del Capitale Intellettuale nelle banche

L’interesse sul tema del capitale intellettuale risulta particolarmente adatto in ambito bancario per alcuni aspetti generali che contraddistinguono tale settore e tra i quali è bene citare almeno i seguenti:

o l’elevata interazione con la clientela (comunque realizzata, attraverso persone o tecnologie self-service);

o la natura fiduciaria del rapporto con gli stakeholder e la conseguente reputazione, come base del vantaggio competitivo;

o l’essenziale componente informativa nei processi produttivi e distributivi; o la rilevanza della componente di servizio e assistenza nelle politiche

competitive;

o la natura relazionale di lunga durata con la clientela;

o la necessità del rapido adeguamento dei comportamenti delle persone alla luce delle innovazioni di processo/prodotto49.

Nonostante questi aspetti, non esiste, ad oggi, molta letteratura, soprattutto empirica, finalizzata ad esplorare le possibilità di applicazione dell’approccio del capitale intellettuale in questo settore, specialmente in Italia50. La banca opera utilizzando diverse risorse umane come input del suo processo produttivo che possiamo, in prima battuta, classificare in risorse tangibili e intangibili.

Tuttavia, nel caso della banca, tra le risorse di input, il capitale intellettuale riveste un ruolo strategico cruciale e rappresenta una risorsa chiave, in quanto la capacità di innovare, di sviluppare e capitalizzare conoscenze e relazioni consente alle banche di affrontare un ambiente estremamente mutevole, cercando, al contempo, di gestire in modo proattivo le eventuali avversità emerse51.

49 Previati D., Vezzani P., Il capitale intellettuale nella gestione bancaria: Stato dell’arte e

prospettive di ricerca, op. cit., p. 105.

50 Puntillo P., Il valore aggiunto del capitale intellettuale nelle aziende bancarie italiane.

Un’analisi empirica, op. cit., p. 305.

51 Querci F., Il bilancio del capitale intellettuale nelle imprese bancarie: Il caso delle banche

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Anche se il capitale fisico è essenziale per le banche per operare, è evidente che è il capitale intellettuale a determinare la qualità dei servizi forniti ai clienti52. È bene considerare che le attività svolte dalle banche hanno sempre richiesto profili di conoscenza ed istruzione superiori a quelli richiesti in altri settori economici; infatti, queste possono essere definite knowledge e intellectual intensive, in considerazione, appunto, degli elevati livelli di investimenti in R&S, istruzione, formazione, oltre che per il fatto che le aziende bancarie impiegano una quota rilevante di knowledge workers tra gli occupati e, di conseguenza, si trovano ad avere investimenti in conoscenza più elevati degli investimenti in capitale fisico. Quindi, le banche non solo devono integrare sistematicamente forza lavoro, attività finanziarie e altri beni tangibili, ma anche migliorare la loro capacità nella gestione del capitale intellettuale per sostenere con successo le loro operazioni e i manager dovrebbero identificare i modi opportuni per farlo53.

Nella gestione bancaria, poi, il valore del capitale intellettuale è alimentato dal legame naturale esistente tra il patrimonio di relazioni con i clienti, lentamente accumulato nel tempo, e le qualità professionali e umane delle persone che, ai vari livelli della banca, interagiscono con i clienti. Da ciò, emerge come il capitale umano sia un fattore decisivo per il vantaggio competitivo delle banche. Infatti, un aumento degli investimenti in capitale umano, e ciò vale soprattutto se quest’ultimo risulta difficilmente sostituibile, migliora la performance delle banche, evita l’obsolescenza, assicura la crescita e lo sviluppo del personale e determina, di conseguenza, una migliore allocazione delle risorse, producendo effetti sinergici grazie all’interazione con il capitale fisico in un circolo virtuoso che si autoalimenta di continuo54.

Per quel che attiene, poi, al capitale strutturale (o organizzativo), è bene notare come, nel comparto bancario, esso ricopra un ruolo particolare derivante dall’elevato grado di regolamentazione cui è sottoposto il settore, che comporta, congiuntamente alla complessità della gestione e alle dimensioni dell’attività, un

52 Gigante G., Previati D., Intellectual Capital and banking’s performance. Some empirical

evidence from the Italian Banking System, Annual Meeting 2009 - The European Association of

University Teachers of Banking and Finance, September 2009, p. 4.

53 Si veda Shih K. et al., Assessing knowledge creation and intellectual capital in banking

industry, Journal of Intellectual Capital, Vol. 1, No. 1, 2010, pp. 74-89.

54 Cfr. Puntillo P., Il valore aggiunto del capitale intellettuale nelle aziende bancarie italiane.

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elevato investimento in termini di processi e procedure, negli strumenti di comunicazione, nell’ambito dell’Information Technology, nei database della conoscenza e in quelli dei clienti, nei sistemi di certificazione della qualità, etc. Si può affermare, dunque, che a maggiori investimenti in capitale organizzativo corrispondono un miglioramento del servizio, una maggiore efficienza e un contenimento dei disagi per la clientela, che si traducono potenzialmente in una fonte di differenziazione nella complessa arena competitiva.

Riguardo, invece, al capitale relazionale, è noto come in banca assumano una posizione di rilievo la conoscenza e l’esperienza del personale, elementi fondamentali ai fini dell’interazione diretta col cliente e con tutti gli altri stakeholder. Ed è proprio qui che l’elemento fiduciario - asset prezioso, e al tempo stesso facilmente deteriorabile, che si fonda sulla reputazione di professionalità, correttezza e affidabilità che la banca è stata capace di sviluppare nel tempo - costituisce un fattore di sopravvivenza per la banca medesima, che determina, altresì, il tasso di retention, il turnover della clientela, l’anzianità dei rapporti accesi, piuttosto che la reputazione di mercato o il tasso dei reclami55.

La reputazione è, quindi, connaturata al settore bancario e può essere concepita come un elemento bivalente, poiché, da una parte, rappresenta una componente influenzata dal capitale umano e strutturale, dall’altra, è uno strumento per migliorare i risultati economici che guidano le scelte strategiche in materia di capitale umano e strutturale56.

55 Cfr. Previati D., Vezzani P., Il capitale intellettuale nella gestione bancaria: Stato dell’arte e

prospettive di ricerca, op. cit., pp. 109-110.

56 Capuano P., La valutazione del capitale intellettuale in banca: Un’analisi empirica sulle banche

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1.5. Il concetto di Corporate Social Responsibility

La crescente complessità ambientale e la richiesta di maggiori informazioni sulle performance, intese nella loro globalità, hanno spinto l’azienda a dare un peso sempre più rilevante alla dimensione della Corporate Social Responsibility57. Oggi, per Corporate Social Responsibility (CSR), o Responsabilità Sociale delle Imprese (RSI), si può intendere, in generale, l’impegno dell’impresa a comportarsi in modo etico e corretto, andando oltre il semplice rispetto della legge ed investendo maggiormente in capitale umano, nell’ambiente e nelle relazioni con gli stakeholder.

Molti accademici ritengono che la Corporate Social Responsibility (d’ora in poi CSR) sia una delle conseguenze della globalizzazione, che ha intensificato le interazioni sociali fra Paesi e che, conseguentemente, ha condotto verso una maggiore competizione e ad un contemporaneo incremento delle opportunità e dei rischi58. La CSR, però, è un concetto che, finora, non ha avuto una definizione univoca; essa si è evoluta, nel tempo, passando dalla responsabilità sociale d’impresa (cioè l’obbligo di operare per il miglioramento sociale) alla risposta sociale d’impresa (cioè la capacità di un’organizzazione di rispondere ad una pressione sociale) fino a giungere alla rettitudine sociale d’impresa (cioè la correttezza morale nelle azioni intraprese e nelle politiche adottate)59.

Nel Libro Verde, pubblicato dalla Commissione Europea nel 2001, la CSR viene definita come l’integrazione delle preoccupazioni di carattere sociale ed ecologico delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate, attraverso un processo volontario di autoregolamentazione60.

57 Nardo M.T., Veltri S., Bilancio sociale e bilancio del capitale intellettuale: Quali relazioni?, op.

cit., 2008, p. 247.

58 Branswijck D., Corporate Social Responsibility + Intellectual Capital = Integrated Reporting?,

Proceedings of the 4th European Conference on Intellectual Capital (ECIC), Arcada University of Applied Sciences, Helsinki, 23-24 April 2012, p. 75.

59 Nardo M.T., Veltri S., On the plausibility of an integrated approach to disclose social and

intangible issues, Social Responsibility Journal, Vol. 10, No. 3, 2014, p. 418.

60 Si veda, in merito, Commissione Europea (CE), Libro Verde - Promuovere un quadro europeo

per la responsabilità sociale delle imprese, Bruxelles, 18 luglio 2001. Si consulti

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25

Successivamente, la stessa Commissione Europea riesamina e supera, dopo dieci anni, la nozione espressa nel precedente Libro Verde e offre una nuova definizione di CSR, identificandola nella responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società, impostazione questa che modifica profondamente gli orientamenti sino ad allora seguiti61.

Per anni la CSR e il suo significato sono stati oggetto di dibattito per numerosi studiosi. Il concetto principale di CSR consisterebbe nel riflettere gli obblighi di un’azienda verso i suoi stakeholder interni (azionisti, dipendenti, etc.) e stakeholder esterni (clienti, ambiente, comunità, etc.)62.

La CSR è composta da ogni attività intrapresa dall’azienda che contribuisce al benessere della società in generale, proteggendo e venendo incontro agli interessi di tutti gli stakeholder che hanno un impatto su di essa. Investire in CSR, poi, conduce ad un’espansione delle relazioni aziendali e ciò genera una riduzione dei costi di transazione e, al contempo, aumenta le opportunità e i premi di prezzo, rafforzando, inoltre, i rapporti instaurati con i propri stakeholder interni (i dipendenti)63. Essa rappresenta il modo col quale i business models, le strategie e le pratiche aziendali impattano sugli stakeholder e sull’ambiente64 e può essere intesa anche come un set completo di politiche, pratiche e programmi che sono integrati all’interno delle operazioni, della catena di fornitura e dei processi decisionali aziendali e che, di solito, include elementi relativi all’etica del business, agli investimenti nella comunità, alle tematiche ambientali, ai diritti umani, al mercato, così come al posto di lavoro65.

Insomma, definire la CSR risulta difficile proprio perché il concetto è un ampio e complesso fenomeno66. Da ciò, si evince chiaramente come la CSR sia legata al

61 Si rimanda a Commissione Europea (CE), Comunicazione della Commissione al Parlamento

Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni - Strategia rinnovata dell’UE per il periodo 2011-14 in materia di responsabilità sociale delle imprese, Bruxelles, 25 ottobre 2011. Si consulti www.europarl.europa.eu/.

62 Si veda Orlitzky M. et al., Strategic corporate social responsibility and environmental

sustainability, Business & Society, Vol. 50, No. 1, 2011, pp. 6-27.

63 Si veda, in merito, Freeman R.E., Strategic management: A stakeholder approach, Cambridge

University Press, 2010.

64 Si veda Surroca J. et al., Corporate responsibility and financial performance: The role of

intangible resources, Strategic Management Journal, Vol. 31, No. 5, 2010, pp. 463-490.

65 Sulkowski L., Fijalkowska J., Corporate Social Responsibility and intellectual capital

interaction and voluntary disclosure, op. cit., p. 62.

66 Lin C. et al., An integrated model to explain how corporate social responsibility affects

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concetto di durata nel tempo dell’impresa e al rapporto con tutti i suoi stakeholder (economici e non) con i quali interagisce e che possono condizionarne la sopravvivenza, rappresentando, perciò, un fattore critico di successo capace di influire positivamente sul profitto di lungo periodo.

Pertanto, per l’impresa la CSR non rappresenta solo un impegno economico, ma una vera strategia che tiene conto, nelle scelte aziendali, di considerazioni etiche, sociali e ambientali. La CSR, dunque, rappresenta una competenza strategica core per il business, poiché l’orientamento alla sostenibilità, creando, appunto, valore di lungo periodo, pone in una condizione di vantaggio competitivo. Le società che si distinguono in questo ambito, infatti, sono, in media, caratterizzate da performance migliori e da un profilo di rischio sotto controllo e, tendenzialmente, in riduzione. Le aziende, con le proprie strutture operative ed appositi referenti, sono impegnate a difendere il valore reputazionale generato da un comportamento socialmente responsabile, e ad ascoltare i vari stakeholder in seguito alla crescente richiesta di trasparenza circa l’implementazione di azioni di sostenibilità nel business. L’impegno nella sostenibilità viene richiesto, ormai, in misura sempre maggiore da parte del mercato; non più solo una nicchia di investitori, ma anche i maggiori fondi pensione internazionali stanno integrando l’analisi di sostenibilità nelle proprie decisioni di investimento67.

Nel corso degli anni, diversi ricercatori hanno provato ad indagare empiricamente la relazione esistente fra CSR e performance finanziaria dell’azienda, per cercare di capire se le aziende fossero indotte a scommettere sulla CSR e quali fossero, di conseguenza, i costi da sostenere o il valore generato a riguardo.

L’impatto sulla performance finanziaria aziendale della CSR, infatti, influenzerà le decisioni di finanziamento sulle attività sociali: se la CSR impatta positivamente sulla performance, le aziende saranno più disposte a destinare maggiori risorse alle attività sociali per realizzare una migliore performance finanziaria; se, viceversa, essa la influenza negativamente, le aziende saranno più caute riguardo alle attività sociali e potrebbero adottare un approccio più conservativo nei confronti delle stesse.

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Tutti questi studi sono risultati inconclusivi e non hanno, quindi, fornito un disegno chiaro, pervenendo, infatti, a risultati diversi; la maggior parte degli studi ha mostrato una relazione positiva, alcuni ne hanno segnalato una negativa e altri ancora hanno mostrato un impatto misto e/o neutrale della CSR sulla performance finanziaria d’azienda68.

I promotori della CSR ritengono che essa conduca all’ottenimento di importanti benefici, quali, ad esempio, una rinforzata immagine e reputazione aziendale, una crescente performance finanziaria, vendite crescenti, etc. Gli oppositori, d’altra parte, sostengono, invece, che la CSR porti via del tempo prezioso ai manager all’interno dell’azienda e che conduca anche ad uno svantaggio economico dovuto all’incremento dei costi69.

Alcuni studiosi hanno provato a fornire una possibile spiegazione a questi risultati misti sostenendo che il più grande gap nella ricerca sulla CSR risieda nell’assenza di una singola e concorde definizione di tale termine tra i vari ricercatori. Infatti, anche se è da oltre quattro decenni che è emerso tale concetto, non c’è ancora un framework chiaro per definirlo, il che causa un’errata interpretazione dei risultati di ricerca70. La responsabilità sociale, poi, implica un approccio multi-stakeholder nella gestione strategica dell’impresa - che tenga conto delle diverse, e, a volte, discordanti, aspettative dei molteplici stakeholder - attraverso la ricerca di un loro corretto ed equo bilanciamento, conciliando ed integrando così le proprie competenze e capacità economiche con quelle di natura sociale ed ambientale. C’è la convinzione che un approccio positivo alla responsabilità sociale, e la sua adozione tra gli asset strategici dell’azienda stessa, costituisca un valore aggiunto per le organizzazioni in termini di redditività, credibilità e reputazione71.

68 Khurshid M.K. et al., Impact of corporate social responsibility on financial performance: The

role of intellectual capital, City University Research Journal - Special Issue AIC Malaysia, 2017,

p. 248.

69 Branswijck D., Corporate Social Responsibility + Intellectual Capital = Integrated Reporting?,

op. cit., p. 76.

70 Taneja S.S. et al., Researches in Corporate Social Responsibility: A review of shifting focus,

paradigms, and methodologies, Journal of Business Ethics, Vol. 101, No. 3, 2011, pp. 343-364.

71 Sella M., Responsabilità sociale: La nuova frontiera dell’impresa bancaria, Convegno ABI -

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1.6. La rilevanza della Corporate Social Responsibility quale

parte integrante fondamentale dell’attività bancaria

La Corporate Social Responsibility (CSR), essendo valida per tutte le organizzazioni, e cambiando di natura a seconda del tipo di impresa, risulta una tematica da affrontare sempre con grande attenzione. Tutto questo vale, perciò, anche per le banche, viste, come in realtà sono, alla stregua di ogni altra impresa. I legami fra CSR e istituti di credito, tuttavia, sono ancora più complessi di quelli intercorrenti fra la stessa CSR ed altre tipologie d’impresa. Infatti, il sistema finanziario, e bancario in particolare, è fortemente coinvolto in questo nuovo modo di “essere impresa”, in quanto le sue attività e il suo delicato ruolo di intermediazione e di allocazione delle risorse, fungendo da motore dell’economia e dello sviluppo, provocano impatti significativi, diretti o indiretti a seconda del grado di responsabilità e coinvolgimento con cui tali attività vengono svolte, sulle dinamiche sociali della comunità.

Tra le banche cresce la consapevolezza che la responsabilità sociale d’impresa è sempre più parte integrante dell’attività e che, fornendo un adeguato slancio e impulso alla stessa, si possano conseguire notevoli benefici. Le banche la concepiscono come un’ulteriore leva di innovazione e di sviluppo per competere al meglio sul mercato nel medio-lungo periodo ed anche come una grande opportunità per migliorare il governo proattivo dei rischi, sia integrando variabili sociali, ambientali e di governance nel business, sia ascoltando le varie esigenze dei propri interlocutori al fine ultimo di accrescere la creazione di valore complessivo72.

Il mondo bancario è da oltre dieci anni molto attivo sulla responsabilità sociale d’impresa. L’attenzione rivolta ai temi ESG (Environmental, Social, Governance), ovvero ai temi ambientali, sociali e di governance, infatti, è ampiamente diffusa in tale ambito, tant’è vero che le banche li inseriscono all’interno della loro strategia, al fine di gestire meglio impatti, rischi e opportunità connessi al proprio business.

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Nell’ambito di tale strategia, all’interno delle banche, è ormai frequente la presenza di un presidio rivolto proprio alla CSR, che, nella maggioranza dei casi, si sostanzia in un’apposita unità dedicata, con riconosciuta autonomia e visibilità pari a quella di tutte le altre principali funzioni organizzative con le quali questa interagisce, in maniera trasversale, allo scopo di integrare con successo i fattori ambientali, sociali e di governance nelle attività tipiche della banca73.

Secondo Giancarlo Durante, Direttore Centrale e Responsabile della Direzione Sindacale e del Lavoro dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI), la responsabilità sociale d’impresa può rappresentare un importante contributo per esprimere quotidianamente il valore di civiltà delle imprese, un valore globale che, per essere tale, deve meglio integrare le dimensioni economiche, ambientali e sociali. Però, l’integrazione della CSR nel business deve essere sostanziale, non formale; quindi, deve entrare in strategie, processi, operazioni e nelle relazioni quotidiane con gli interlocutori.

Il mondo bancario, tra l’altro, ha già dichiarato di voler sostenere l’ambizioso progetto rappresentato dai cd. SDGs (Sustainable Development Goals), ovvero i diciassette obiettivi per lo sviluppo sostenibile previsti, nel 2015, dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite74. Secondo Durante, infatti, le banche italiane sono pronte a rispondere a tale appello e useranno la propria creatività per la ricerca di soluzioni concrete e innovative alle sfide dello sviluppo sostenibile75.

Il ruolo di attore di primo piano del mondo creditizio nelle politiche di responsabilità sociale d’impresa viene confermato dal fatto che nel 2017 hanno pubblicato in forma volontaria un documento contenente informazioni non finanziarie, in particolare sui temi ambientali, sociali e di governance, banche che rappresentano l’87% del settore, a testimonianza della volontà di rendere trasparenti tali informazioni, rivolte a un pubblico sempre più ampio e a beneficio

dell’intera comunità di riferimento76.

73 Razzi S., Recanati G., La Corporate Social Responsibility in banca, ABI Lab, 16 maggio 2014.

Si veda https://www.abilab.it/.

74 Per maggiori dettagli e approfondimenti sul tema, si consulti https://www.aics.gov.it/.

75 Padovan F., La sostenibilità fa bene al business, 25 novembre 2016. A riguardo, si consulti

http://www.bancaforte.it/.

76 Associazione Bancaria Italiana (ABI), Banche sempre più attive per lo sviluppo sostenibile, 11

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Da quanto detto, si può, quindi, affermare che il tema della responsabilità sociale è certamente cresciuto di rilevanza, nella sensibilità del mondo bancario e, senz’altro, in quella dei suoi interlocutori.

Il nuovo modo di “essere impresa” deve essere interiorizzato nel management, nei dipendenti, negli stakeholder, nella convinzione che, oggi, il successo e l’innovazione dell’impresa si basa, congiuntamente alle prestazioni economiche, sulla capacità dell’impresa di intercettare le domande della società anche sotto il profilo della responsabilità sociale ed ambientale. L’obiettivo delle imprese bancarie, quale segmento attivo e propulsivo dell’intera comunità, risulta, allora, quello di migliorare sempre più i rapporti ed il clima di fiducia instaurati con i propri stakeholder.

È necessario, pertanto, che le banche siano in grado di creare e sviluppare innovativi schemi di gestione e una nuova cultura imprenditoriale capace di esprimere una visione che non guardi soltanto al giorno per giorno, ma sappia progettare il futuro, in un’ottica di ben più ampio respiro77.

77 Cfr. Sella M., Responsabilità sociale: La nuova frontiera dell’impresa bancaria, op. cit., pp.

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1.7. Alcuni

studi empirici sull’interazione fra Capitale

Intellettuale e Corporate Social Responsibility

Da quanto visto, è emerso come Capitale Intellettuale (d’ora in poi CI) e Corporate Social Responsibility (d’ora in poi CSR) siano entrambi elementi fondamentali nella gestione delle aziende, soprattutto di quelle bancarie, nonché fattori cruciali per il loro successo. Per diverso tempo, tali concetti si sono sviluppati in modo parallelo, indipendentemente l’uno dall’altro, anche se è doveroso segnalare che essi presentano mutui collegamenti. Infatti, la prossimità, o talvolta anche la sovrapposizione, di alcune loro principali aree fa sì che la convergenza e l’interazione di tali elementi rappresenti un aspetto molto interessante su cui dibattere78. In realtà, c’è chi considera CI e CSR la stessa cosa, proprio come se fossero due facce della stessa medaglia79.

Comunque, quando si decide di sviluppare una strategia che mira ad incrementare il CI si dovrebbero considerare non solo tutte le componenti dello stesso, ma, soprattutto, si dovrebbe includere anche il contributo delle azioni di CSR nella formulazione della strategia scelta. Ciascun investimento in attività di CSR, di conseguenza, non dovrebbe essere considerato in isolamento, ma in relazione ai suoi effetti indotti su alcune rilevanti risorse intangibili, quali, ad esempio, le competenze dei dipendenti, la cultura, la reputazione aziendale80.

La crescente importanza delle risorse intangibili e la continua attenzione rivolta alle attività di CSR ha posto, quindi, una nuova sfida al mondo aziendale: operare congiuntamente sia al rispetto dei principi di sostenibilità che allo sviluppo del CI. Secondo la maggioranza degli esperti e degli studiosi in materia, si può affermare che l’integrazione e il collegamento delle due differenti prospettive, ovvero CI e CSR, trovi la sua teorica giustificazione all’interno della nota Resource Based View theory (RBV), ovvero la visione teorica basata sulle risorse. La RBV, infatti, trova i suoi fondamenti teorici proprio nelle caratteristiche delle singole risorse,

78 Sulkowski L., Fijalkowska J., Corporate Social Responsibility and intellectual capital

interaction and voluntary disclosure, op. cit., p. 63.

79 Si veda, in proposito, Sumita T., Intellectual Assets & Management Reporting, METI, 2005.

80 Nardo M.T., Veltri S., On the plausibility of an integrated approach to disclose social and

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