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Effetto neuroprotettore dello Pterostilbene e del Resveratrolo di fronte ai danni prodotti da Ipossia-Riossigenazione

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U

NIVERSITÀ DI

P

ISA

Dipartimento di Farmacia

Corso di Laurea Magistrale in Farmacia Tesi di Laurea

Effetto neuroprotettore dello Pterostilbene e del Resveratrolo di fronte ai danni causati da Ipossia-Riossigenazione

Relatori

Prof.ssa Maria Caludia Gargini

Candidato Giulio Masini Anno Accademico 2016/2017

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INDICE

CAPITOLO 1

1.1 Ossigeno nella salute e nella malattia 1

1.1.1 Aspetti evolutivi 1

1.1.2 Aspetti storici 2

1.1.3 L’ossigeno e la medicina neonatale 2

1.2 Tossicità dell’ossigeno 5

1.3 Ruolo dell’ossigeno nell’uomo 6

1.4 Ipossia-Ischemia negli esseri umani 8

1.5 Patologie associate alla mancanza di ossigeno 10

1.6 Fisiopatologia della Encefalopatia Ipossico-Ischemica (HIE) perinatale 13

1.7 Polifenoli Naturali 16

1.7.1 Origine, classificazione e struttura chimica 14

1.7.2 Stilbeni 18

1.7.3 Biodisponibilità dei polifenoli 19

1.7.4 Proprietà terapeutiche dei polifenoli 20

1.7.5 Polifenoli e malattie cardiovascolari 22

1.7.6 Polifenoli e malattie neurodegenerative 23

1.7.7 Polifenoli e cancro 24

1.8 Resveratrolo e possibili effetti benefici 26

1.9 Pterostilbene, analogo del Resveratrolo, nella terapia del cancro 28 1.9.1 La biodisponibilità dello Pterostilbene rispetto al Resveratrolo 30

(3)

1.9.2 La tossicità dello Pterostilbene 33

1.9.3 Applicazioni biomediche dello Pterostilbene 35

1.9.4 Attività antiossidante e antinfiammatoria 36

1.9.5 Attività antitumorale 38

CAPITOLO 2

Scopo della ricerca 42

CAPITOLO 3

Materiali e metodi 43

3.1 Materiale utilizzato per la sperimentazione in vitro 43

3.1.1 Coltura cellulare 43

3.1.2 Mezzo di coltura 44

3.2 Sostanze e soluzioni utilizzate 45

3.3 Protocollo sperimentale 46

3.3.1 Scongelamento 46

3.3.2 Piastratura 47

3.4 Studio della vitalità e della proliferazione cellulare 49

3.5 Studio della citotossicità dello Pterostilbene 53

3.6 Studio della citotossicità del Resveratrolo 54

3.7 Modello di induzione di Ipossia-Riossigenazione 54

CAPITOLO 4

Esperimenti 58

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4.2 Stima delle concentrazioni non citotossiche dello Pterostilbene e del Resveratrolo nelle cellule PC12

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4.3 Effetto neuroprotettivo dello Pterostilbene e del Resveratrolo con concentrazioni non citotossiche in relazione ai danni associati a ipossia-riossigenazione

63

4.3.1 Effetto preventivo 64

4.3.2 Effetto terapeutico 67

4.4 Analisi dei dati 69

CAPITOLO 5

Risultati e discussione 70

5.1 Modello di induzione Ipossia-Riossigenazione 71

5.2 Studio della citotossicità dello Pterostilbene e del Resveratrolo 72 5.3 Effetto preventivo dello Pterostilbene e del Resveratrolo rispetto ai

danni indotti da processi di Ipossia-Riossigenazione

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5.4 Effetto terapeutico dello Pterostilbene e del Resveratrolo rispetto ai danni indotti da processi di Ipossia-Riossigenazione

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Introduzione

1.1 Ossigeno nella salute e nella malattia. 1.1.1 Aspetti evolutivi

L'ossigeno è il secondo elemento più abbondante nell'atmosfera.

4 miliardi di anni fa l'atmosfera terrestre conteneva solo una parte per milione di ossigeno. Come risultato della comparsa dei cianobatteri, che utilizzavano la fotosintesi per la produzione di energia, 2 miliardi di anni dopo la concentrazione di ossigeno nel terreno è salita all’ 1%. Contemporaneamente, le prime cellule eucariotiche cominciarono ad apparire e ad acquisire mitocondri come risultato del rapporto endosimbiotico con i proteobatteri (Margulis, 1993). L'aumento della produzione di ossigeno nei secoli fu causato della comparsa di organismi fotosintetici che diede luogo ad un progressivo adattamento alla vita aerobica dovuto ai vantaggi offerti dall'ossigeno come elemento che favoriva un maggiore uso dell'energia.

Infatti l'ossigeno è un accettore di elettroni che, rilasciato nel ciclo di Krebs dopo il passaggio attraverso la catena respiratoria, è in grado di aumentare l'efficienza nella produzione di energia di un fattore di x 16 volte superiore. Così, a livello cellulare, una molecola di glucosio metabolizzato attraverso la glicolisi anaerobica viene trasformato in piruvato e produce due molecole di adenosina trifosfato (ATP).

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Nei mitocondri, attraverso la fosforilazione ossidativa che favorisce l'accoppiamento del ciclo di Krebs alla catena respiratoria, gli elettroni si legano all'ossigeno dando luogo ad un potenziale transmembrana che utilizzando la ATP sintasi, porta ad un totale di a 31 molecole di ATP per ogni molecola di glucosio degradata in anidride carbonica e acqua (Kleidon e Lorenz, 2005). Detto ciò ci sono anche conseguenze negative causate dalla tossicità intrinseca dell’ossigeno perché, durante questo processo, non tutti gli elettroni vengono utilizzati nella catena di trasporto dell'ossigeno, alcuni, interagendo con le molecole di ossigeno, generano radicali liberi dell'ossigeno.

1.1.2 Aspetti storici

L'ossigeno è stato scoperto dal chimico svedese Carl Wilhelm Scheele nel 1773, ma il risultato non è stato pubblicato fino a quando il sacerdote e chimico amatoriale Joseph Priestley nel 1774 ha osservato che con il riscaldamento di ossido di mercurio veniva rilasciata una grande quantità di gas (Walt, 2006). Egli ha dimostrato che in un'atmosfera ricca di questo gas, una fiamma poteva brillare più intensamente e alcuni topi vivevano più a lungo in atmosfera di aria normale. Tuttavia, nessuno comprese la grande importanza di questa scoperta. Fu il chimico francese Antoine Laurent Lavoisier a dimostrare che l'ossigeno era un costituente dell'aria che respiriamo battezzandolo con un nome errato perché credeva che

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questa molecola fosse parte di tutti gli acidi, utilizzando il nome d'origine greco Oxus Geinomais, che significa "generatore di acido"

(George L. Sternbach, 2005).

Poco tempo dopo iniziò il suo utilizzo per scopi medici.

1.1.3 L'ossigeno e la medicina neonatale

Una delle prime descrizioni dell'uso di ossigeno nel neonato (RN) risale al 1780, quando Chaussier, francese, fece esperimenti con l’ossigeno per stabilire una respirazione normale in alcuni pazienti (Silverman, 1980). Intorno al 1890, Thomas Morgan Rotch, un pediatra pioniere americano, somministrò piccole dosi di ossigeno (2-3 volte al giorno) ai neonati prematuri come stimolante, spesso combinandolo con il brandy come secondo stimolante (Baker, 1996). Nel 1917 fu consigliata la somministrazione intragastrica di ossigeno, una pratica che continuò fino agli anni '50 (Sola et al, 2007).

Nel 1928, Flagg descrisse un metodo di rianimazione dei neonati asfissiati composto da intubazione e da somministrazione di inflazioni con pressione positiva intermittente utilizzando una miscela di ossigeno e anidride carbonica (Hollew, 1985).

L'ossigeno-terapia è stata introdotta negli USA negli anni '30 per migliorare l'assistenza respiratoria e ridurre il rischio di danno cerebrale derivante dalla mancanza di ossigeno nei neonati prematuri (Saugstad,

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2002). Tuttavia l'esposizione prolungata del neonato prematuro non è stata diffusa fino agli anni '40. Successivamente alcuni ricercatori statunitensi scoprirono che il modello di respirazione irregolare tipica della prematurità (respirazione periodica) diventava regolare con la somministrazione di ossigeno ad alte concentrazioni (Wilson et al, 1942); dall'altra parte un altro gruppo di ricercatori notò che il colore della pelle di un bambino prematuro non era un indicatore affidabile dello stato di ossigenazione e che rimaneva rosea anche se il livello di ossigeno nel sangue era relativamente basso (Smith e Kaplan, 1942.). Questi due fatti sono stati usati per estendere l'uso di ossigeno supplementare nei neonati prematuri al fine di migliorare il pattern respiratorio e l'ossigenazione, e ciò è stato favorito dalla comparsa di nuovi incubatori alla fine degli anni '40, in grado di mantenere alte concentrazioni ossigeno. Ci sono voluti alcuni anni per riconoscere la relazione causale tra retinopatia della prematurità (ROP), malattia polmonare cronica, e iperossia, innescando una polemica circa l'uso di ossigeno. È interessante che, per molti anni, la concentrazione di ossigeno somministrata e il monitoraggio di ossigeno nei neonati non sia mai stata misurata. Sono accadute molte cose nel corso degli ultimi 30-60 anni in questo campo e ci sono molte lacune che esistono ancora oggi. Sola e alcuni suoi collaboratori ritengono che, se l'ossigeno fosse stato scoperto nel corso degli ultimi 10-15 anni, le agenzie di controllo del farmaco avrebbero approvato il

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suo utilizzo, sotto restrizioni, e le sperimentazioni cliniche. (Sola et al, 2007.)

1.2 Tossicità dell'ossigeno

La tossicità dell'ossigeno fu postulata da Priestley, ma fu descritta fino a 100 anni più tardi da Paul Bert. Pochi anni dopo, James Smith vide che l'esposizione al 75% di ossigeno induceva infiammazione polmonare. Le cause delle proprietà tossiche dell’ossigeno non furono note fino alla pubblicazione di Gershman e dei suoi collaboratori con la "teoria dei radicali liberi dell'ossigeno" (Gerschman et al, 1954), dove postulava che la tossicità dell’ossigeno era dovuta alla presenza di specie parzialmente ridotte di ossigeno, altamente reattive, mentre parallelamente si scopriva la loro presenza nei tessuti biologici. (Commoner et al, 1954.). Subito dopo si avviò l'ipotesi che i radicali dell’ossigeno potevano formarsi come effetti collaterali prodotti da reazioni enzimatiche "in vivo" e che erano responsabili del danno cellulare, mutagenesi, del cancro e dei processi degenerativi e di invecchiamento (Harman, 1956; Harman, 1981). Lo studio dei radicali liberi in organismi viventi entrò in una seconda fase quando McCord e Fridovich descrissero l'esistenza di enzimi antiossidanti in grado di neutralizzare l'azione dannosa dei radicali liberi. In particolare, questi autori descrivevano la superossido dismutasi e convinsero la maggior parte dei loro colleghi che i radicali liberi erano importanti in biologia (McCord e Fridovich, 1969). A partire da tale

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scoperta si seguì scoprendo tutto l'arsenale antiossidante enzimatico e non enzimatico degli esseri viventi; molti scienziati si ispirarono a questi primi studi e cominciarono a realizzare studi sui danni ossidativi causati dai radicali liberi sul DNA, proteine, lipidi e su altri componenti cellulari. Un terzo periodo iniziò con i primi rapporti sugli effetti biologici positivi dei radicali liberi. All'inizio del secolo, l'evidenza dimostrò che gli organismi viventi non solo si sono adattati a una convivenza ostile con i radicali liberi, ma in realtà, essi hanno sviluppato meccanismi per utilizzarli vantaggiosamente a proprio beneficio. Pertanto è stato dimostrato che i radicali liberi e i loro derivati prendono parte a importanti funzioni fisiologiche quali: regolazione del tono vascolare, dei sensori della tensione di ossigeno tissutale e alle funzioni di regolazione che dipendono dalla concentrazione di ossigeno, all’ amplificazione della trasduzione del segnale di vari recettori di membrana, tra cui il recettore antigenico dei linfociti, e alle risposte sotto forma di stress ossidativo che assicurano il mantenimento dell'omeostasi dello stato redox (Dröge, 2002).

1.3 Ruolo di ossigeno nell'uomo.

Il corpo umano richiede energia per svolgere le funzioni fisiologiche necessarie per la vita. Questa energia sotto forma di nutrienti e di ossigeno viene trasportata dal sangue a tutte le cellule del corpo. Il sangue scorre attraverso i vasi sanguigni che formano un circuito chiuso gestito

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dal cuore che permette al primo e alle sostanze nutritive ricche di ossigeno di raggiungere le cellule; inoltre questo stesso sangue, che trasporta detriti cellulari, può essere rinnovato.

L'ossigeno, necessario per la produzione di energia nelle cellule eucariotiche, partecipa alla produzione di ATP nella respirazione mitocondriale attraverso la fosforilazione ossidativa.

In questo processo gli elettroni rilasciati ciclo di Krebs si uniscono all'ossigeno, dando origine ad un potenziale transmembrana che utilizza ATP sintasi per la formazione di ATP (Kleidon e Lorenz, 2005).

L'essere umano ottiene il suo fabbisogno di ossigeno attraverso la respirazione, dove il sangue raccoglie l'ossigeno dall'aria che respiriamo. La percentuale di ossigeno nell'aria atmosferica è mantenuta a circa il 21%. La PO2 negli alveoli è di circa 100 mm Hg e la PO2 è la stessa nel sangue ossigenato. Nel liquido interstiziale, il fluido che bagna le cellule, la pO2 è di circa 40 mm Hg, la stessa che nel sangue venoso. Questa diminuzione della pO2 avviene a causa dell’O2 consumato dalle cellule. La PO2 nel fluido intracellulare ha un valore variabile in funzione al metabolismo cellulare, tra 5 e 40 mm Hg.

Questa omeostasi dell'ossigeno viene mantenuta negli organismi superiori da una stretta relazione tra il tasso di contribuzione e il consumo di ossigeno dei tessuti. La domanda di ossigeno tissutale è

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soddisfatta dal passaggio di ossigeno atmosferico al sangue attraverso la funzione polmonare (ventilazione e scambio di ossigeno alveolo-capillare) e la distribuzione di ossigeno legato all'emoglobina degli eritrociti e infine dalla sua liberazione a livello dei tessuti periferici a seguito di variazioni di pH e della differenza di tensione di ossigeno parziale tra loro e il sangue circolante.

Questa regolazione di ossigeno è molto importante poiché eccessive concentrazioni di ossigeno possono spiegare la presenza di specie parzialmente ridotte di ossigeno altamente reattive, specie reattive dell'ossigeno (ROS). Queste ROS possono interagire con diverse biomolecole come il materiale genetico (DNA), proteine, lipidi, o carboidrati, ed essere responsabili di danni delle cellule, di mutagenesi, del cancro e di processi degenerativi e di invecchiamento (Mena et al, 2009).

1.4 Ipossia-Ischemia negli esseri umani

L'ipossia è una condizione in cui un organismo o un particolare tessuto ha una disponibilità di ossigeno ridotta. Essa può essere causata da eventi di asfissia, anemia, avvelenamento (es CO) o diminuzione della pressione parziale atmosfera O2. Inoltre l'ischemia diminuisce il flusso di sangue totale o parziale di un determinato tessuto, dove sono compromesse non

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solo concentrazioni di O2, ma anche l'apporto di nutrienti e i livelli di CO2 dei tessuti.

I fenomeni di ipossia-ischemia (HI) che interessano il sistema nervoso hanno demograficamente alti tassi di mortalità: secondo le ultime statistiche complete questi fenomeni sono la terza causa di morte nella popolazione degli Stati Uniti, contando il 5,6% dei decessi nel 2007. Durante il periodo neonatale fino a 28 giorni dopo la nascita, l’ipossia intrauterina e l'anossia alla nascita sono la decima causa di morte con il 1,8% di tutti i decessi in questo periodo (Fatemi et al, 2009).

Nei periodi pre- e perinatale, l'ipossia nel feto e nel neonato può verificarsi a causa di malattie come la disfunzione placentare, anemia materna o eventi come il lavoro prolungato, parto prematuro e rianimazione cardio-respiratoria (Golan e Huleihel, 2006).

In relazione all'intensità e durata dell'evento, l'ipossia può causare l'encefalopatia; l’encefalopatia neonatale è definita come il frutto di episodi di ipossia-ischemia (HIE) che sono una condizione relativamente comune con un tasso di incidenza di tremila neonati. Si tratta di un funzionamento celebrale anormale causato da patologie a breve e a lungo termine, tra cui paralisi cerebrale, epilessia e schizofrenia che può portare a problemi cognitivi, dello sviluppo e del comportamento, e in alcuni casi alla morte (Kurinczuk et al, 2010; Northington et al, 2011).

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1.5 Patologie associate alla mancanza di ossigeno.

La mancanza di ossigeno e / o sostanze nutritive provoca un danno cellulare a causa di alterazioni nella struttura cellulare (modifiche del citoscheletro, delle proteine giunzionali e della membrana basale) e del metabolismo cellulare. Questi danni iniziano con una riduzione di livelli di ATP, con un aumento delle ROS e con delle alterazioni nei livelli intracellulari di calcio (Devarajan, 2005).

La mancanza di ossigeno può essere dovuta a (Pérez, 2010):

Ipossia Ipossica: scarsa ossigenazione del sangue arterioso dovuta a una

diminuzione di ossigeno nell'aria inspirata.

Ipossia Circolatoria: insufficiente apporto di sangue ai tessuti.

Ipossia Anemica: riduzione dei livelli di emoglobina emoglobina e da ciò

una ridotta capacità di trasportare ossigeno.

Ipossia Istotossica: incapacità dei tessuti di prendere ossigeno.

P.E.: avvelenamento da cianuro, stati ipermetabolici, emoglobinopatie, marcata ipotensione, etc.

Le cause per cui si verifica l'ipossia sono molto varie.

Essa può essere causata da adattamento fisiologico in altezza, da una malattia polmonare cronica, dalla stessa patologia tumorale dove la rapida crescita del tumore non è accompagnata da uno sviluppo vascolare

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perchè si generano aree di ipossia all'interno della massa tumorale, da shock sanguinamento, da anemia, da insufficienza cardiaca, da ictus, da malattia infiammatoria intestinale o insufficienza renale acuta che si traducono in necrosi tubulare acuta (Carmelo, 2006).

Il grado di danno causato da ipossia dipende dalla durata e intensità. A sua volta, influenzerà anche il tipo, l'adattabilità e lo stato in cui sono colpite le cellule. Ad esempio, differenti tessuti hanno differenti capacità di resistere all'ischemia. I neuroni, in generale, sono in grado di sopportare fino a 5 minuti. Il miocardio, gli epatociti e l'epitelio tubulare renale da 30 minuti a 2 ore. Invece, i fibroblasti, l'epidermide e muscoli scheletrici possono resistere molte ore in ipossia ischemica.

Dopo una breve ischemia seguita da riperfusione, è possibile ripristinare l'indennità strutturale e funzionale della cellula. Tuttavia, quando l'ischemia è totale ciò può portare alla morte dei tessuti e a danni irreversibili, ed alle volte è fatale.

In condizioni di ipossia, una serie di risposte fisiologiche sono attivate per adattarsi alle nuove condizioni. Alcuni cambiamenti fisiologici influenzano differenti livelli nel sistema cardiorespiratorio, nei sistemi metabolici muscolari, nell’espressione genica e sangue (Rusko, 1996; Levine, 2002). Questi meccanismi di compensazione comprendono principalmente una maggiore ventilazione, la frequenza cardiaca e la

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diuresi renale, fenomeni che sono inclusi nella "acclimatazione" (Banchero, 1987).

Dopo l'ipossia, l'ATP subisce una rapida metabolizzazione. L'abbassamento di ATP durante l'ischemia altera la struttura del citoscheletro e le unioni intercellulari (Molitoris, 2004). Ma dopo la riossigenazione, con l'aumento della pressione di ossigeno e l'aumento di nutrienti, possono essere recuperate le sintesi di ATP (Devarajan, 2005). Un cambiamento si osserva anche nella distribuzione di calcio, con un aumento della concentrazione citosolica di calcio (Vanderklish e Bahr, 2000). L'aumento della concentrazione intracitoplasmatica di calcio induce un'attivazione di alcuni enzimi calcio-dipendenti compresi proteina chinasi, fosfatasi e proteasi, quali calpaina e endonucleasi, fosforilazione di fosfolipasi A2 (Kribben et al, 1994).

L'accumulo di queste molecole danno luogo all'apertura di pori nella membrana mitocondriale, alterando la funzione mitocondriale che può innescare la morte cellulare per apoptosi (Logue et al, 2005).

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Figura 1: schema che mostra i meccanismi del danno cellulare in condizioni ischemiche.

1.6 Fisiopatologia della Encefalopatia Ipossico-Ischemica (HIE) perinatale.

L'encefalopatia ipossico-ischemica (HIE) perinatale è una sindrome con una vasta gamma di caratteristiche cliniche, con disturbi neurologici che appaiono durante le prime 24 ore dopo la nascita, in cui vi è stato un evento acuto di ipossia (parziale mancanza di ossigeno) e ischemia

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(riduzione parziale o totale del flusso di sangue, quindi di fornitura di ossigeno e nutrienti) nel cervello del neonato (Saugstad et al, 2006). Il danno ipossico-ischemico è un processo complesso che si svolge in più fasi.

L'assenza o la riduzione della microcircolazione cerebrale produce l’attivazione del metabolismo anaerobico con conseguente accumulo di lattato, di protoni e di radicali liberi che compromette l'integrità delle cellule.

In questa fase acuta un numero di neuroni può morire per necrosi cellulare. Dopo riperfusione, si svolge un parziale recupero del metabolismo ossidativo del cervello (fase latente), ma dopo questo, il metabolismo può peggiorare di nuovo (fase di fallimento). È in questa ultima fase che si verifica la morte per necrosi ed apoptosi dei neuroni (Perlman, 2006; Perlman et al, 2010) .

Il passaggio dal feto alla vita neonatale è una cosa molto importante per la vita, in questo stato di transizione si hanno grandi cambiamenti fisiologici, rapidi e complessi. Di solito questi cambiamenti si verificano spontaneamente, ma circa il 10% di tutti i neonati richiedono un certo tipo di supporto respiratorio e circa l’1% richiede la rianimazione (Perlman et al, 2010).

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Nel cervello il neonato ha alcune peculiarità che lo rende vulnerabile. In primo luogo, il processo di rapida crescita coinvolge un alto tasso metabolico e di utilizzo di ossigeno, ed è per questo che il cervello è meno resistente a ipoglicemia e ipossia-ischemia; inoltre, i meccanismi di assorbimento del glucosio sono ancora immaturi per cui l'ipoglicemia è particolarmente dannosa (Volpe, 2011).

Le cellule gliali hanno un accentuato metabolismo del ferro, quindi la relativa mancanza di antiossidanti le rende molto sensibili agli effetti dei radicali liberi (Volpe, 2011).

La plasticità del cervello in via di sviluppo si basa in gran parte su processi apoptotici controllati che predispone la predominanza di fattori pro-apoptotici dopo situazioni di danno cerebrale. (Du Plessis e Volpe, 2002). Infine, il flusso sanguigno celebrale (FSC) del neonato ha una più limitata autoregolazione rispetto alle età successive e questa limitazione è tanto maggiore quanto minore è l'età gestazionale (Martínez, 2006).

Il FSC dipende anche dalla normale attività endoteliale che si perde rapidamente durante l'ipossia moderata (Martínez, 2006).

La circolazione cerebrale è terminale, la distribuzione del sangue non è completa e l'accoppiamento metabolismo-microcircolazione è difficile, con grandi differenze regionali (Martínez, 2006). Questa variazione

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geografica determina anche che le diverse aree del cervello neonatale mostrino diverse vulnerabilità rispetto all’ asfissia (Ferriero, 2004). Nel 2010, i casi di HIE sono stati circa 1,15 milioni di neonati. Con 287.000 di morti, circa 233.000 casi di neonati hanno avuto bisogno di cure per tutta la vita; essi hanno sofferto di gravi e moderate complicazioni che anno portato a conseguenti disabilità permanenti dove si è visto interessato il sistema nervoso centrale, dove si sono avute sia paralisi cerebrali, con o senza ritardo mentale, sia disturbi di apprendimento ed epilessia. (Martínez, 2006; Lee et al, 2010).

Nei paesi sviluppati, l'incidenza scende a circa il 2 per 1.000 neonati, e ne soffre fino al 60% dei neonati prematuri con meno di 30 settimane di gestazione (Lee et al, 2010).

1.7 Polifenoli Naturali

1.7.1 Origine, classificazione e struttura chimica

I composti fenolici, comunemente chiamati polifenoli, sono metaboliti secondari delle piante che condividono la caratteristica di avere nella loro struttura chimica una o più unità fenoliche (un anello aromatico con almeno un gruppo ossidrile) (Dai e Mumper, 2010). Sono stati descritti 8000 diversi composti fenolici.

Sotto questa denominazione sono raggruppati dai grandi polimeri polifenolici che vanno dai tannini a molecole semplici come gli acidi

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fenolici, che contenendo unicamente un gruppo fenolico non dovrebbero considerarsi polifenoli in senso stretto (Bravo, 1998; Harborne, 1989; Take-Carneiro et al, 2013).

Questi composti sono ampiamente distribuiti nel regno vegetale, per lo più in forma glicosilata (Tsao, 2010). In realtà, essi sono essenziali per la fisiologia vegetale, perché sono coinvolti nella difesa contro diversi tipi di stress come l'esposizione alla luce ultravioletta, l'aggressione di agenti patogeni, parassiti o predatori, bassa fertilità del suolo, temperature estreme o siccità (Bravo, 1998).

In pratica si trovano in tutti gli alimenti vegetali (verdure, frutta, noci, cereali ...) e nelle bevande da essi derivati, tè, vino, birra, cacao, caffè ...), e sono responsabili delle loro molte caratteristiche organolettiche e proprietà biologiche (Dai e Mumper, 2010).

I composti fenolici sono stati classificati in base a diversi criteri quali la loro origine, la loro funzione biologica o per la loro struttura chimica (Tsao, 2010). Per semplificare lo studio sono stati classificati in base al numero di anelli fenolici e degli elementi strutturali che li uniscono (Dai e Mumper, 2010; Manach et al, 2004).

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1.7.2 Stilbeni

Stilbeni sono caratterizzati chimicamente come contenenti due anelli fenolici collegati da un legame etilenico, dove è più comune la configurazione trans (Riviere et al, 2012) (Figura 2).

Nelle piante, gli stilbeni agiscono come fitoalessine, antifungini, ossia come composti antimicrobici sintetizzati in risposta a infezioni batteriche o alla luce ultravioletta (Pandey e Rizvi, 2009). Nella dieta umana, gli stilbeni si trovano in bassa quantità. Il più rappresentativo di questo gruppo è un composto fenolico, il Resveratrolo (RESV), che esiste in alimenti sia in forma cis che in forma trans e per lo più in forma glicosilata (trans-piceide).

Il RESV lo si trova in più di settanta specie vegetali ed è presente in abbondanza nelle arachidi, nella buccia dei frutti rossi e dell’uva, e ciò e quello che contribuisce notevolmente alla esistenza di RESV nel succo d'uva e nel vino rosso. Tuttavia, il suo contenuto è molto basso.

Infatti, l'esistenza di RESV nel succo d'uva è appena rilevabile e nella maggior parte dei vini rossi la sua presenza è bassa e imprevedibile. La presenza di quest’ultimo è dovuta alla la sintesi di questa fitoalessina che deve essere indotta ed è variabile a seconda del tipo di uva e dell'area geografica della coltivazione (Tome-Carneiro et al, 2013).

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Figura 2: struttura chimica di uno stilbene

1.7.3 Biodisponibilità dei polifenoli

La capacità dei polifenoli di esercitare effetti biologici dipende dalla loro biodisponibilità (Scalbert e Williamson, 2000).

Come il termine di biodisponibilità si intende: "La frazione di una dose di un farmaco somministrato che raggiunge la circolazione sistemica nella sua forma inalterata, quindi che risulta disponibile ad accedere al suo target terapeutico." (Flórez et al, 2008; Visioli et al, 2011)

La biodisponibilità dei polifenoli dipende dalla via di somministrazione utilizzata.

Se la somministrazione è orale, la biodisponibilità varia tra i vari polifenoli, essendo, di solito, piuttosto bassa. In realtà, è molto raro che superi una concentrazione ≥ 10 micron nei tessuti. La biodisponibilità di un farmaco dipende da diversi fattori che influenzano l'assorbimento e

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il metabolismo di primo passaggio e quindi il fattore principale che influenza è la struttura chimica del composto (grado di glicosilazione, struttura di base, coniugazione con altri polifenoli, peso molecolare, grado di polimerizzazione e solubilità) (Bravo, 1998; Visioli et al, 2011). In generale, il metabolismo dei polifenoli avviene tramite una sequenza di reazioni comune a tutti che è la disintossicazione metabolica, che subiscono gli xenobiotici con il fine di incrementare la loro idrofilia e facilitare la loro rimozione urinaria o biliare (Manach et al, 2004).

1.7.4 Proprietà terapeutiche dei polifenoli

I polifenoli sono composti con la capacità antiossidante più abbondante nella dieta. Nonostante la loro ampia distribuzione, non si è mai fatta attenzione sui loro effetti benefici sulla salute fino agli anni 90. Il principale fattore responsabile di questo fatto è la varietà e la complessità delle loro strutture chimiche (D'Archivio et al, 2007; Dai e Mumper, 2010).

Poiché posseggono queste proprietà antiossidanti, i polifenoli hanno effetti benefici nella prevenzione e nel trattamento associato al danno ossidativo in diverse malattie quali, malattie neurodegenerative e cardiovascolari croniche, sindrome metabolica, diabete, varie malattie infiammatorie, invecchiamento e nella prevenzione delle malattie e nel trattamento del cancro (D'Archivio et al, 2007; Scalbert et al, 2005).

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Tuttavia nuovi risultati suggeriscono che oltre alle loro capacità antiossidanti, i polifenoli agiscono attraverso una varietà di meccanismi di azione indipendenti da esse (D'Archivio et al, 2007).

Tra questi vi sono: l'inibizione di vari enzimi come la telomerasi (Naasani et al, 2003), ciclossigenasi, (Hussain, 2011; O'Leary et al, 2004 2005) e lipossigenasi (Sadik et al, 2003; Schewe et al, 2001).; (Hou et al, 2004) la modulazione delle vie di trasduzione del segnale; l’interazione con i recettori cellulari (Chalopin et al 2010; Pastore et al, 2012); l’alterazione della regolazione del ciclo cellulare (Gokbulut et al, 2013) e della funzione delle piastrine (Murphy et al, 2003). A causa di questa varietà di effetti biologici i polifenoli hanno ricevuto particolare attenzione negli ultimi dieci anni come potenziali agenti terapeutici (D'Archivio et al, 2007). D'altra parte, a causa della grande varietà di modelli sperimentali e delle concentrazioni usate, sono descritti sia gli effetti protettivi come antiossidanti, sia effetti pro-ossidanti dato che hanno la capacità di portare a processi di morte cellulare, che è di grande interesse potenziale in patologie come il cancro (Elbling et al, 2005; Lambert et al, 2005). Anche se le proprietà terapeutiche dei polifenoli possono essere incoraggianti in varie patologie, non bisogna essere soggetti ad illusione precoce. Attualmente la maggior parte degli studi per valutare le proprietà terapeutiche dei polifenoli è venuto da studi in vitro o in modelli animali

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in cui sono state utilizzate concentrazioni troppo alte per l'uso umano. Nonostante ciò questi studi hanno gettato delle basi e in realtà si sta lavorando sui polifenoli con una funzione terapeutica per l’uso umano (Asensi et al, 2011).

1.7.5 Polifenoli e le malattie cardiovascolari

Le malattie cardiovascolari (CVD), le malattie a carico delle coronarie e l'infarto del miocardio sono una delle principali cause di morte nei paesi sviluppati.

Anche se i fattori di rischio che favoriscono lo sviluppo delle CVD includono fattori genetici hanno un ruolo importante anche la dieta, il peso e stile di vita (sedentarietà, diete ad alto contenuto di grassi, fumo ) (Jones, 1999; OMS, 2013; Pereira et al, 2012).

Nel 1992, fu coniato il termine "paradosso francese” per riferirsi al fatto che l'incidenza della malattia cardiovascolare nella popolazione francese era inferiore del 40% rispetto al resto d'Europa, nonostante in Francia venisse consumata una dieta ricca di grassi saturi. Questo è stato spiegato dal consumo moderato (rispetto ad altri paesi) di vino rosso, ricco di polifenoli, come RESV (Criqui e Ringel, 1994; Renaud e De Lorgeril, 1992). Infatti, l'associazione tra consumo di cibo, bevande ricche di polifenoli e bassa incidenza di malattia cardiovascolare è stata successivamente dimostrata in diversi studi epidemiologici (Dohadwala

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e Vita, 2009; Iqbal et al, 2008; Joshipura et al, 2001; Lichtenstein et al, 2006; Mursu et al, 2008).

Successivamente a questi, altri studi sperimentali condotti negli esseri umani e negli animali hanno mostrato che gli effetti biologici esercitati da polifenoli nella prevenzione delle CVD sono: l'induzione di difese antiossidanti (Rein et al, 2000; Stein et al, 1999; Wan et al, 2001).; diminuzione della pressione arteriosa (Desch et al 2010; Erlund et al, 2008; Grassi et al, 2005; Park ed altri, 2004; Taubert et al, 2007a; Taubert et al, 2007b.); il miglioramento della disfunzione endoteliale (Engler et al, 2004;. Heiss et al, 2005; Papamichael et al, 2004; Wang et al, 2008; Keevil et al, 2000; Pearson et al, 2002; Rein et al, 2000b); inibizione dell'ossidazione delle lipoproteine a bassa densità (LDL) e aumento delle lipoproteine ad alta densità (HDL) (Mathur et al, 2002; Wan et al, 2001); riduzione la risposta infiammatoria (Fraga et al 2010; Mao et al, 2002; Pandey e Rizvi, 2009; Vauzour et al, 2010).

1.7.6 Polifenoli e malattie neurodegenerative

Le malattie neurodegenerative come l'Alzheimer, la demenza e il morbo di Parkinson, sono un gruppo eterogeneo di disturbi cognitivi che colpisce il sistema nervoso centrale, compreso il cervello, midollo spinale e nervi periferici (Ullah e Khan, 2008). La prevalenza di questo tipo di condizioni legate all'età, è aumentata negli ultimi anni a causa

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dell'invecchiamento della popolazione (Lau e Breteler 2006; Sosa-Ortiz et al, 2012).

Le malattie neurodegenerative hanno un'eziologia multifattoriale e ciò suggerisce che l'uso di prodotti con più bersagli terapeutici, come i polifenoli, potrebbe essere utile nel trattamento di questi disturbi (Ullah e Khan, 2008). In realtà, i polifenoli hanno un grande potenziale come agenti neuroprotettivi per la loro capacità di modulare i processi di segnalazione delle cellule, la proliferazione cellulare, apoptosi, la differenziazione cellulare e l'equilibrio redox (Singh et al, 2008).

Il consumo regolare di cibi ricchi di polifenoli è associato ad una riduzione del 50% il rischio di demenza, ad un mantenimento della funzione cognitiva (Letenneur et al, 2007. Commenges et al, 2000; Morris et al, 2006), ad una insorgenza ritardata di Alzheimer (Dai et al, 2006) e ad unariduzione del rischio di Parkinson (Aquilano et al, 2008). Inoltre, il consumo moderato di vino rosso riduce l'incidenza di alcune malattie neurologiche come il morbo di Alzheimer (Başlı et al, 2012).

1.7.7 Polifenoli e cancro

Il cancro è una malattia causata da una alterazione nel controllo della crescita delle cellule, in cui la sua induzione e il suo sviluppo sono dovuti direttamente o indirettamente da fattori ambientali, chimici, fisici, metabolici e fattori genetici.

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Ci sono prove epidemiologiche che dimostrano che ad una dieta ricca di frutta e verdura, quindi ricca di polifenoli, sembra essere associata ad una ridotta incidenza dei tumori umani più comuni: polmone, del colon, melanoma e cancro della mammella.

Questo suggerisce che questi composti possono essere efficaci e promettenti nella prevenzione e nel trattamento del cancro a causa della loro sicurezza e della bassa tossicità (Neuhouser, 2004). L'interesse per lo studio dei polifenoli come composti anti-cancro risiede nella loro potente azione antiossidante, azione che si vede esercitata su una varietà di funzioni biologiche connesse alla modulazione di oncogenesi e alla progressione del tumore (Fresco et al, 2006). Pertanto, negli ultimi anni, sono stati sviluppati e studiati una serie di polifenoli in vitro e in vivo per determinare la capacità antitumorali (Dai e Mumper, 2010).

L'interesse per lo studio di polifenoli come composti anti-cancro non sta solo nel suo effetto preventivo anche perché è stato dimostrato che agiscono a diversi livelli dell’oncogenesi e della progressione tumorale. Attualmente, la combinazione di agenti con differenti meccanismi d'azione e bersagli terapeutici specifici, sono considerati più promettenti ed efficaci nel trattamento del cancro che l'uso di un singolo agente chemioterapico (Mitsiades et al, 2011). Infatti, il successo di molte terapie mirate è dovuto alla loro efficacia quando usati in combinazione con la

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chemioterapia o radioterapia convenzionale, dato che in questo modo può essere combattuto il meccanismo di resistenza del tumore al trattamento (Sawyers, 2007).

Tuttavia, anche se queste combinazioni sono efficaci in modelli preclinici, i risultati di studi clinici non sono stati incoraggianti. Ciò suggerisce che le cellule tumorali trattate con farmaci specifici, si sono adattate per bloccare questi obiettivi specifici attraverso meccanismi alternativi di sopravvivenza.

Questo è lo scenario dove polifenoli naturali possono contribuire in modo significativo a migliorare l'efficacia del trattamento del cancro (Asensi et al, 2011).

1.8 Resveratrolo e possibili effetti benefici.

Resveratrolo (RESV) fornisce una protezione contro varie malattie, comprese quelle che sono mediate da processi di ipossia in diversi organi. Questa azione di protezione e di prevenzione avviene grazie alla sua azione su obiettivi diversi, infatti, non vi è molta polemica circa l'effetto reale di questo polifenolo, ma in generale si può dire che il RESV protegge contro il danno ischemico interferendo con l'omeostasi mitocondriale, l'inibizione della apoptosi e l'infiammazione, fornendo un effetto neuroprotettivo nei confronti dell'ischemia migliorando il metabolismo energetico del cervello e diminuendo lo stress ossidativo

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attraverso una inibizione dell'attività della xantina ossidasi e della prevenzione della produzione di radicali. Inoltre, il RESV riduce l'effetto di invecchiamento e migliora l'effetto cardioprotettivo (Zheng et al, 2015).

Tra i possibili obiettivi su cui il RESV partecipa possiamo citare:

 regolazione del fattore Nrf2 e il suo ruolo nella produzione di ROS mitocondriale dopo ischemia cerebrale (Narayanan et al, 2015).  diminuzione significativa dell'espressione di TLR4 e NF-kB, che è in

grado di ridurre i livelli di mieloperossidasi (Li et al, 2014).  azione a livello di MMP-9 (Wei Wang et al, 2014).

 inibizione dell'espressione di HIF-1α e VEGF (Zhang et al, 2014).  attivazione di AMPK e SIRT1 (Wang et al, 2013).

 soppressione dell'espressione di IL-1β di TNF-α e conseguente partecipazione alla soppressione dell’infiammazione (Shin et al, 2010).

 azione a livello di VDAC1, che impedisce l'apertura del poro mitocondriale interferendo sulla permeabilità e provocando l'apoptosi dei cardiomiociti (Liao et al, 2015).

È stato osservato che il RESV come integratore nutrizionale è in grado di produrre un lungo periodo di precondizionamento contro ischemia-riperfusione del miocardio, che agendo sulla biogenesi mitocondriale,

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riduce lo stress ossidativo e l'infiltrazione leucocitaria (Yeh et al, 2014). Pertanto, RESV è proposto come agente terapeutico contro i danni cellulari provocati dai fenomeni ipossia-riossigenazione.

1.9 Pterostilbene, analogo del Resveratrolo, nella terapia del cancro

Lo Pterostilbene (PTER) (3,5-dimetossi-4'-hydroxystilbene) è un polifenolo naturale appartenente alla famiglia degli stilbeni. Anche se inizialmente isolato dal durame (tronco cuore) di sandalo rosso (Sandalinus Pterocarpus) (Spath e Schlager, 1940), lo si trova anche in altre piante dello stesso genere come il marsupio Pterocarpus (kino indiana), un albero nativo India, Nepal e Sri Lanka, il cui legno massello è stato utilizzato nella medicina tradizionale per le sue proprietà medicinali (Maurya et al, 2004).

Lo PTER lo si ritrova anche nelle foglie di Vitis Vinifera (Langcake et al, 1979), nella frutta come mirtilli (Rimando et al, 2004), in alcuni tipi di uve, tra cui le varietà Chardonnay e Gamay (Adrian et al, 2000b) quando vengono infettati da funghi e nelle varietà sane e immature di Pinot Nero e Gamay (Pezet e Pont, 1988). Tuttavia, lo PTER non è stato trovato in alcun vino rosso (Adrian et al, 2000a). Un'altra pianta dove è stato scoperto questo polifenolo è il Tessmanii Guibourtia, una pianta trovata in Africa centrale utilizzata nella medicina popolare (Fuendjiep et al, 2002).

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Inoltre è interessante come lo PTER sia stato identificato in una bevanda medicinale indiana, la darakchasava, usato come cardiotonico e nel trattamento di altre malattie, il cui ingrediente principale sono le foglie di vitis vinifera (Paul et al, 1999).

Lo PTER sotto molti aspetti, chimici, fisiologici e farmacologici assomiglia ad un altro polifenolo della famiglia degli stilbeni, il RESV. Chimicamente, PTER è un analogo strutturale del RESV (contenente due gruppi metossilici, anziché idrossile in posizione 3 e 5 del secondo anello), tuttavia, lo PTER mantiene le proprietà strutturali del RESV responsabili della sua capacità antiossidante e antitumorale (gruppo ossidrile in posizione 4 e configurazione trans) (Stivala et al, 2001)

(Figura 3). Fisiologicamente, entrambi sono fitoalessine. Farmacologicamente, entrambi hanno attività antiossidante, anti-invecchiamento, anti-infiammatoria, anti-tumorale, antidiabetica, effetti cardioprotettivi e neuroprotettivi (Kapetanovic et al 2011; Lin et al, 2009). PTER e RESV possono coesistere come isomeri geometrici: cis e trans, ma normalmente sono presenti in natura prevalentemente in forma trans, che, come detto antecedentemente, è responsabile della sua azione antiossidante e della capacità antitumorale. Entrambi gli isomeri di entrambi i composti possono esistere in forma libera o legata al glucosio (Estrela et al, 2013).

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Figura 3: struttura chimica del RESV vs. PTER

1.9.1 La biodisponibilità dello Pterostilbene rispetto al Resveratrolo

La bassa disponibilità e la rapida metabolizzazione sono dei fattori limitanti la bioattività dei polifenoli. Infatti, nonostante alcune eccezioni, i polifenoli nella loro forma nativa sono biologicamente più attivi rispetto ai loro metaboliti (Asensi et al, 2011).

Nel caso del RESV, oltre a presentare un assorbimento intestinale basso dopo somministrazione orale, è ampiamente e rapidamente metabolizzato in vivo (Kapetanovic et al, 2011). Il RESV nell'intestino subisce glucuronidazione (Kuhnle et al, 2000), solfatazione e idrogenazione dovuta dal microbiota intestinale (Walle, 2004). Dopo essere stato assorbito, subisce reazioni metaboliche nel fegato (De Santi

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et al, 2000), pertanto i suoi metaboliti principali che si trovano nel plasma sono il glucuronide e il solfato. Questa coniugazione colpisce soprattutto gli ossigeni di posizioni 3 e 4 'degli anelli aromatici (Wang et al, 2004). È più favorita in posizione 3 e meno favorita quando la molecola ha una configurazione trans (Aumont et al, 2001).

Allo stesso modo i principali metaboliti dello PTER sono il glucuronide e il solfato, rilevati nel plasma e nelle urine. Infatti, dopo somministrazione orale, sono stati identificati nelle urine del topo nove metaboliti PTER: PTER glucuronide, PTER solfato, PTER glucuronide demetilato, PTER solfato demetilato, PTER mono-idrossilato, PTER glucuronide mono-idrossilati e PTER solfato-monoidrossi (Remsberg et al, 2008; Shao et al, 2010).

Lo PTER mostra una migliore profilo farmacocinetico rispetto al RESV. La differenza principale tra il RESV e lo PTER è la struttura chimica. Mentre PTER contiene due gruppi metossilici nelle posizioni 3 e 5 ed una sola ossidrile in posizione 4 ', il RESV contiene tre gruppi ossidrilici

(Figura 3). I due gruppi metossilici rendono lo PTER più lipofilo aumentando la sua biodisponibilità orale (Estrela et al, 2013). Inoltre, a causa della presenza del gruppo metossi in posizione 3, lo PTER non può essere glucuronidato o solfatato in questa posizione in modo e ciò porta ad una durata più lunga rispetto al RESV avente più posizioni disponibili per essere coniugato (Dellinger et al, 2013).

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È stato osservato che, dopo somministrazione endovenosa, sia lo PTER che il RESV raggiungono la massima concentrazione dopo 5 min. Tuttavia, mentre lo PTER richiede 480 minuti per scomparire completamente, il RESV richiede solo 60 minuti.

Attraverso il calcolo di questi si denota che il tempo di dimezzamento della concentrazione di entrambi i polifenoli nel plasma è per lo PTER di 77,9 minuti mentre per il RESV di 14.4 minuti: lo PTER ha un’emivita 7 volte più lunga rispetto al RESV (Ferrer et al, 2005). Dati simili sono stati ottenuti in studi successivi confermando che lo PTER presenta migliori caratteristiche farmacocinetiche rispetto al RESV (Lin et al, 2009; Remsberg et al, 2008).

Per quanto riguarda la biodisponibilità orale di entrambi i polifenoli, risulta essere maggiore per lo PTER (80%) che per il RESV (20%) (Kapetanovic et al, 2011). Questo studio ha anche osservato che dopo la somministrazione orale di PTER si trovano alti livelli plasmatici di PTER e PTER solfato e più bassi livelli di PTER glucuronide, rispetto ai livelli plasmatici di RESV e dei suoi metaboliti. Tuttavia, in entrambi i casi si osserva una concentrazione plasmatica più elevata dei metaboliti dei composti nella sua forma nativa. Inoltre, dopo la somministrazione di PTER, non fu rilevato il RESV, escludendo la possibilità che il PTER fosse un profarmaco del RESV.

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Pertanto lo PTER a causa della sua miglior farmacocinetica è una buona alternativa al RESV nella prevenzione e nel trattamento di varie malattie, perché, a dosi equimolari, l'attività biologica in vivo di PTER dovrebbe essere più elevata (Kapetanovic et al, 2011). Infatti in studi in vitro lo PTER mostra una più potente attività farmacologica rispetto al RESV (Billack et al, 2008; Chakraborty et al 2010; Ferrer et al, 2005).

1.9.2 Tossicità dello Pterostilbene

Nel giugno 2011, la società ChromaDex® (industria farmaceutica specializzata nella ricerca, sviluppo e vendita di prodotti naturali) ha ottenuto lo status di GRAS (generalmente riconosciuto come sicuro), "generalmente riconosciuto come sicuro" da parte della FDA (Food and Drug Administration) per il composto pTeroPure®, forma commerciale di PTER (www.fda.gov). Un composto per raggiungere tale status deve essere sottoposto ad un ampio studio delle sue caratteristiche tossicologiche, gli usi e la sicurezza da parte di un gruppo indipendente di esperti che ha come obbiettivo la verifica che il composto è sicuro per l'uso in bevande e prodotti alimentari. La dose giornaliera è consentito

per pTeroPure fino 30mg / kg

(https://chromadex.com/NewsEventDetail.aspx?Aid=510).

Una delle prove su cui si è basata la FDA per l'approvazione di questo composto è stata pubblicata da Ruiz et al, nel 2009 (Ruiz et al, 2009).

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In questo studio è stato valutata la tossicità di alte dosi di PTER per 28 giorni di somministrazione orale, mescolato con il cibo, in topi. Le dosi somministrate erano 30, 300 e 3000 mg / kg al giorno. Estrapolando queste dosi dai topi agli esseri umani, equivalgono a 5, 50 500 volte in più rispetto al il consumo medio stimato, rispettivamente, per questo polifenolo (25mg / die) negli esseri umani. Con nessuna di queste dosi è stata osservata mortalità durante tutta la durata dell'esperimento. Inoltre, non ci è stata una significativa alterazione del peso degli animali né variazioni significative nei parametri biochimici.

Pertanto questo studio dimostra che la somministrazione orale giornaliera di dosi elevate di PTER non è tossica.

Di recente (settembre 2012) è stato concluso uno studio clinico condotto presso il Medical Center della Università del Mississippi (USA) il cui obiettivo era quello di valutare l'effetto di PTER sui livelli di colesterolo, la pressione sanguigna e lo stress ossidativo (Effetto di Pterostilbene il colesterolo, pressione sanguigna e lo stress ossidativo; www.clinicaltrials.gov). I risultati di questo studio dimostrano che lo PTER abbassa la pressione del sangue per una dose orale di 125 mg due volte al giorno, cioè 250 mg / giorno (equivalente a 30 mg / kg topo / giorno) per 6-8 settimane. Inoltre, da questa prova si è concluso che la somministrazione orale fino a 250 mg / giorno di PTER a lungo termine è sicuro nell'uomo (Riche et al, 2013).

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La tossicità dello PTER dopo somministrazione endovenosa è stata solamente valutata in topi. In uno studio, effettuato da Priego e dai suoi collaboratori (Priego et al, 2008), in cui lo PTER è stato somministrato insieme alla chemioterapia standard per il trattamento di cancro del colon nei topi con xenotrapianti, sono stati somministrati dosi di 20 e 30 mg / kg al giorno. Queste dosi sono state somministrate per 23 giorni e nessuna ha mostrato una tossicità sistemica ne organo specifica, per cui sono da considerarsi farmacologicamente sicuri.

1.9.3 Applicazioni biomediche dello Pterostilbene

Lo PTER, essendo un analogo strutturale del RESV, mostra molte delle proprietà farmacologiche ma possiede anche delle proprie (2010).

Tra gli effetti farmacologici dello PTER si elencano la prevenzione e il trattamento di una vasta gamma di malattie come il cancro (Billack et al, 2008; Ferrer et al, 2005; Pan et al, 2007; Pan et al, 2009. Priego et al, 2008; Remsberg et al, 2008; Rimando e Suh 2008; Suh et al, 2007), la dislipidemia (Rimando et al, 2005), il diabete (Amarnath Satheesh e Pari., 2006; Manickam et al, 1997), le malattie cardiovascolari (Paul et al, 1999), le malattie neurodegenerative (Meng et al, 2008) e del dolore (Remsberg et al, 2008). Inoltre ha proprietà antibatteriche (Pastorková et al, 2013), antifungine e antivirali (Gastaminza et al, 2010) (Jeandet et al, 2002 Kingsbury et al, 2012.). Lo PTER è un potente antiossidante (Amorati et

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al, 2004 Remsberg et al, 2008; Rimando et al, 2002) e antiinfiammatorio (Hougee et al, 2005; Pan et al, 2008; Remsberg et al, 2008), ha anche la capacità di mitigare gli effetti dell’età in soggetti sani (Joseph et al, 2008).

1.9.4 Attività antiossidante e antinfiammatoria

È stato dimostrato che un'esposizione al PTER in vitro è paragonabile a quella dell'attività antiossidante di RESV. Il primo studio è stato condotto a questo proposito da Rimando (Rimando et al, 2002), e ha mostrato che la capacità dello PTER di eliminare i radicali liberi del perossido era molto simile al quella del RESV. Tuttavia, lo PTER mostrato un'attività anti-infiammatoria moderata rispetto al RESV, poiché quest'ultimo è in grado di inibire fortemente l'attività di entrambe le isoforme delle cicloossigenasi (COX) COX-1 e COX-2, mentre lo PTER lo fa in una forma più debole. Studi più recenti confermano che la capacità antiossidante dello PTER sembra essere dipendente dalla concentrazione (Remsberg et al, 2008).

In un altro studio dove è stata studiata l'attività antiossidante dei cis e transderivati degli idrossistilbeni, tra cui PTER e RESV, è stato dimostrato che questi composti si comportano come deboli antiossidanti, essendo maggiore l'attività degli isomeri trans rispetto ai cis (Amorati et al, 2004).

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Per quanto riguarda gli studi in vivo lo PTER aumenta l'attività del superossido dismutasi, catalasi, glutatione (GSH) e GSH GSH S-transferasi ridotto nei ratti con diabete mellito di tipo II indotta da streptozotocina e nicotinamide. Inoltre normalizza i livelli di perossidazione lipidica che sono aumentati nei ratti con questa malattia (Amarnath Satheesh e Pari, 2006). Questo studio indica quindi che lo PTER ha anche attività antiossidante in vivo.

Altri studi suggeriscono che ci possa essere un collegamento tra la struttura chimica e l'effetto antiossidante. Infatti, lo stilbene con un gruppo ossidrile al 4'-posizione mostra una maggiore attività antiossidante (Hasiah et al, 2011). Inoltre si è visto che il RESV nel sangue neutralizza ROS e linfoblasti isolati e lo PTER neutralizza la ROS extracellulare. Questi ultimi sono responsabili del danno ai tessuti durante l'infiammazione cronica e lo PTER contribuisce all'azione antinfiammatoria (Perecko et al, 2008).

Un numero crescente di studi sostiene che i polifenoli, tra cui lo PTER, oltre ad avere un'azione antiossidante diretta, mostrano un'azione indiretta che è biologicamente più importante. Infatti è stato osservato che regolano fattori di trascrizione quali NF-kB, AP-1, o Nrf2 e cambiamenti di acetilazione. Questo, tra le altre cose, attiva indirettamente la difesa cellulare antiossidante (Sies, 2010; Stevenson e Hurst, 2007).

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Per quanto riguarda l'azione antinfiammatoria dello PTER, nello studio di Rimando (Rimando et al, 2002), è stato osservato che lo PTER inibisce la sintesi delle prostaglandine e ciò è legato all’attività chemiopreventiva per il cancro in possesso di questo polifenolo. Ciò è stato confermato da uno studio in un modello in vitro, che ha dimostrato la capacità dello PTER di inibire la produzione di prostaglandina E2 (Remsberg et al, 2008). Nello stesso studio è stato dimostrato che lo PTER è in grado di ridurre i livelli di TNF-alfa e delle citochine coinvolte nell'infiammazione sistemica e il cui incremento sono connesse malattie cardiovascolari e cancro. Lo PTER è anche coinvolto nella diminuzione dell’espressione di iNOS (ossido di azoto sintasi inducibile) e COX-2, geni coinvolti nel processo infiammatorio (Pan et al, 2008).

1.9.5 Attività antitumorale

Non ci sono attualmente molte informazioni sui meccanismi cellulari con cui i polifenoli naturali interferiscono nella carcinogenesi, la crescita del tumore e delle metastasi. I polifenoli, tra cui lo PTER, possono essere efficaci, come è stato detto nei punti precedenti, nella prevenzione e nel trattamento del cancro a causa della loro funzione antiossidante e anti-infiammatoria, così come i loro effetti sui bersagli specifici nel processo di morte e di proliferazione cellulare, sull'angiogenesi e sui meccanismi di chemio e radioresistenza (Asensi et al 2011; Estrela et al, 2013).

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Nel caso dello PTER, ci sono prove abbondanti che dimostrano il suo potenziale per il trattamento e la prevenzione del cancro del colon, della mammella, del fegato, del polmone, della pelle (tra cui il melanoma), del pancreas, della prostata, dello stomaco, della vescica e la leucemia in vitro e / o in vivo (McCormack e McFadden, 2012).

In questo contesto, Wang (Wang et al, 2012) ha riferito che lo PTER inibisce la crescita delle cellule di due linee di cancro al seno (uno positivo e uno negativo per il recettore degli estrogeni) inducendo contemporaneamente l'apoptosi, per fermare il ciclo cellulare, e l'autofagia (come meccanismo citoprotettivo). L'induzione dell’apoptosi da PTER in questo tipo di cancro è stata confermata da altri studi in vitro (Alosi et al, 2010; Moon et al, 2013). Lo PTER inibisce anche la crescita cellulare inducendo apoptosi nel polmone (Schneider et al, 2010) e in vitro (Chakraborty et al, 2010), il cancro della prostata, il pancreas (McCormack et al, 2012), il melanoma (Ferrer et al, 2005) e del cancro del colon in vivo e in vitro (Priego et al, 2008). Secondo questi studi, l'apoptosi indotta dallo PTER è dovuta principalmente alla attivazione della via intrinseca. In particolare lo PTER diminuisce l'espressione di proteine antiapoptotiche quali Bcl-2 e Bcl-XL e aumenta l'espressione di proteine proapoptotica Bax, Bad, Bid, e l'enzima MnSOD. Tutto questo si traduce in depolarizzazione mitocondriale e aumento dell'attività delle caspasi e del PARP. Inoltre lo PTER può indurre la morte cellulare per

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apoptosi attivando contemporaneamente la via estrinseca. Lo PTER attiva la via estrinseca aumentando l'espressione del ligando Fas. Questa sovrapposizione è stata riscontrata, per esempio, in vitro in linee cellulari dello stomaco (Pan et al, 2007) e in linee tumorali leucemiche (Tolomeo et al, 2005). In questo studio, inoltre si mostra che lo PTER può essere utile nel trattamento di neoplasie ematologiche resistenti al trattamento. In un uno studio di cellule umane di vescica sensibili e resistenti alla terapia antitumorale, lo PTER inibisce la crescita cellulare attraverso un'induzione dell'autofagia mediata per inibizione di mTOR e l'attivazione della via / ERK MAPK, e successivamente l'apoptosi (Chen et al, 2010b). Questo dimostra che lo PTER può portare alla morte cellulare in modi diversi. Tuttavia, mentre alcuni studi hanno suggerito, come Chen ed i suoi collaboratori, che lo PTER induce autofagia in diversi tipi di linee cellulari tumorali, e queste osservazioni si basano sull'accumulo di LC3- II e autofagosomi (Chakraborty et al, 2010; Chen et al, 2010b; Wang et al, 2012), non è sufficiente a dimostrare la morte autofagica delle cellule. Pertanto, in aggiunta, si deve valutare che analizzando i livelli di p62 / SQSTM1 il flusso autofagico non viene alterato (Klionsky et al, 2008; Mizushima e Yoshimori, 2007).

Lo PTER possiede un'azione regolatrice sul ciclo cellulare. Questo polifenolo ha la capacità di indurre l'arresto del ciclo e di inibire le proteine del ciclo cellulare, come cicline A, B e D, chinasi ciclina

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dipendente (CDK2, CDK4 e CDK6) e proteine regolatrici, come pRb. Al contrario, aumenta l'espressione di inibitori p16 come CDK, p21, p27 e p53 (Chen et al, 2010b; Pan et al, 2007; Tolomeo et al, 2005).

Inoltre, lo PTER in vitro, inibisce gli effetti proliferativi di leptina (ormone coinvolto nell'obesità) nelle cellule tumorali del seno sia positivi che negativi per il recettore degli estrogeni. Questa riduzione della proliferazione è dovuta all'inibizione della via di segnalazione JAK / STAT3 la cui attivazione costitutiva è coinvolta nella carcinogenesi e in questo caso, nello sviluppo del cancro al seno correlato all’obesità suggerendo quindi una potenziale applicazione terapeutica dello PTER in questo tipo di tumore (McCormack et al, 2011).

In merito ai sistemi di metabolismo, è stato osservato che lo PTER inibisce la isoforma CYP1A1, la superfamiglia del citocromo P450 che è coinvolto nell'attivazione di procarcinogeni chimici (Mikstacka et al, 2007). Ciò implica che lo PTER riduce il rischio di mutagenesi e quindi di cancro.

Lo PTER regola anche molteplici percorsi legati alla capacità metastatica delle cellule tumorali del seno (Chakraborty et al 2010; Pan et al, 2011b.), fegato (Pan et al, 2009), melanoma (Ferrer et al, 2005). Infatti, questi studi dimostrano che lo PTER inibisce la migrazione e l'adesione delle cellule in vitro e riduce la comparsa di metastasi in vivo e la neoangiogenesi.

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Alcuni dei meccanismi coinvolti sono l'inibizione della MMP-9, inibizione della via di trasduzione del segnale di p38, la diminuzione livelli di VEGFR, la diminuzione del' espressione di VCAM-1, l’inibizione di NF-kB, AP -1, proteina chinasi C, o PI3K / Akt e MAPK.

Questi dati dimostrano in modo significativo gli effetti benefici dello PTER nel trattamento e nella prevenzione del cancro.

CAPITOLO 2 Scopo della ricerca

Lo scopo generale di questo lavoro è stato quello di studiare il possibile ruolo protettivo del Pterostilbene e del Resveratrolo contro i danni neuronali indotti da processi di ipossia - riossigenazione che causano

l’Encefalopatia Ipossico Ischemica (HIE)

A tal fine, abbiamo fissato i seguenti obiettivi:

1. Messa a punto di un modello in vitro per lo studio dell’ipossia - riossigenazione su cellule neuronali.

2. Determinazione della dose non citotossica dello Pterostilbene e del Resveratrolo su questo modello cellulare.

3. Studio del ruolo neuroprotettivo contro i danni associati ipossia - riossigenazione in un modello in vitro.

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4. Analisi del possibile ruolo come agente di prevenzione e / o agente terapeutico.

CAPITOLO 3 Materiali e Metodi

3.1 Materiale utilizzato per la sperimentazione in vitro. 3.1.1 Coltura cellulare

Per effettuare i test in vitro è stata utilizzata la linea cellulare PC12, che è una linea cellulare clonale derivata da un feocromocitoma di ratto. Questo modello è stato utilizzato in questi studi poiché è un derivato delle cellule della cresta neurale, come i neuroni simpatici (Greene e Rein 1977). In condizioni normali le PC12 mostrano il fenotipo caratteristico delle cellule cromaffini, cellule neuroendocrine che si trovano nella midollare surrenale e nei gangli del sistema nervoso autonomo, con la presenza di granuli di cromo e la funzione di sintesi, stoccaggio e rilascio di catecolamine (Greene e Rein 1977).

Sotto l'azione del fattore di crescita nervoso (NGF), le cellule PC12 si differenziano in un fenotipo neuronale, con l'estensione dei neuriti, formazione di vescicole sinaptiche e eccitabilità elettrica. (Biales, Dichter et al 1976; Greene e Tischler, 1976; Greene e Rein 1977).

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La linea cellulare PC12 è stata ottenuta dalla American Type Culture Collection (ATCC).

Questo tipo di cellula indifferenziata dei neuroni cresce in modalità di sospensione cellulare formando aggregati.; per la coltivazione di queste cellule è stato utilizzato un mezzo completo. Sia la preparazione del supporto come la manipolazione delle cellule è stata eseguita asetticamente usando cabine a flusso verticale.

Le cellule sono state coltivate a 37 ° C in atmosfera umidificata con 5% di CO2. Per la messa in coltura, le cellule furono state raccolte in un tubo, centrifugate a 500 g per 5 minuti ed è stata eseguita una diluizione ¼ diluizione della cultura con mezzo completo fresco. Per gli esperimenti, 0,2 x 10^6 sono stati seminati in un'area di piastre di coltura 2 cm^2 utilizzando 6 pozzetti (NUNC) in 2 ml di mezzo completo.

3.1.2 Mezzo di coltura

Per la coltura delle cellule PC12 è stato utilizzato come mezzo base di crescita DMEM Medium (Sigma Aldrich®). Per fornire alle cellule il giusto apporto proteico ed evitare eventuali contaminazioni batteriche e fungine, il mezzo è stato arricchito con le seguenti sostanze:

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 Miscela di penicillina (100 g/mL) e streptomicina (100 μg/mL) all’1% (Sigma Aldrich®).

Il mezzo di coltura così ottenuto è stato conservato in frigorifero per non più di 4 settimane e riscaldato al momento dell’utilizzo in bagno termostatato fino alla temperatura di circa 37°C.

3.2 Sostanze e soluzioni utilizzate

Negli esperimenti sono state utilizzate le seguenti sostanze:

Resveratrolo

Il Resveratrolo, peso molecolare 228.6 g / mol, è stato ottenuto da Sigma-AldrichTrading House. Una soluzione madre in DMSO (dimetilsolfossido) ad una concentrazione di 0.0666M da cui sono state preparate le soluzioni con concentrazioni in studio (0-1000μM).

Pterostilbene

Lo Pterostilbene, peso molecolare 256,296 g / mol, è stato ottenuto da Sigma-Aldrich Trading House. Una soluzione madre in DMSO (dimetilsolfossido) ad una concentrazione di 0.0666M da cui sono state preparate le soluzioni con concentrazioni in studio (0-1000μM).

DMSO

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Tripsina-EDTA

Tripsina-EDTA soluzione 1X (Sigma Aldrich®)

PBS

Phosphate Buffered Saline (PBS) (Sigma Aldrich®), come soluzione tampone stoccata a temperatura compresa tra 2-8°C

3.3 Protocollo sperimentale

La prima parte degli esperimenti è stata svolta sotto una cappa a flusso laminare, resa sterile con raggi UV per ridurre al minimo il rischio di contaminazione; per ciascuna procedura, inoltre, sono stati utilizzati sia strumenti asettici sottoposti a processo di sterilizzazione che materiale plastico monouso pre-sterilizzato. Per garantire la riproducibilità degli esperimenti è stato inoltre necessario attenersi a metodiche sperimentali validate e ripetibili.

3.3.1 Scongelamento

Lo scongelamento è un processo che deve essere eseguito molto velocemente per evitare che il DMSO a temperatura ambiente danneggi le cellule; una volta prelevato il criotubo dal dewar, si pone subito in ghiaccio e poi lo si immerge nel bagnomaria in modo da scongelare rapidamente la sospensione. A scongelamento avvenuto, si trasferisce il contenuto del criotubo in un falcone e vi si aggiungono circa 5-6 mL di

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mezzo di coltura precedentemente riscaldato a 37°C agitando continuamente per disperdere in modo uniforme le cellule nel nuovo mezzo; si centrifuga quindi la sospensione ottenuta per 5 minuti a 1100 rpm, si aspira il surnatante e si risospende il pellet in 3-4 mL di mezzo di coltura fresco.

La nuova sospensione viene infine trasferita in una fiasca da 75 cm2 (T75) e posta in incubatore a 37°C e 5% di CO2.

Nei giorni successivi allo scongelamento, fin quando le cellule non raggiungono la confluenza desiderata, il mezzo di coltura esaurito viene sostituito con quello nuovo ed eventuali residui o cellule morte in sospensione vengono asportati mediante lavaggi con PBS.

3.3.2 Piastratura

Le cellule crescono all’interno della fiasca fino ad occupare l’intera superficie disponibile e quando raggiungono una confluenza pari a circa l’80% possono essere staccate, contate e poi seminate nella piastra; per questo tipo di procedura sperimentale si utilizzano piastre adatte da 6. La piastratura è un protocollo che permette di ottenere un numero stabilito di cellule all’interno dei vari pozzetti, ciascuno dei quali viene poi trattato con le soluzioni delle sostanze a concentrazioni differenti secondo un planner prestabilito, così da confrontare l’effetto dei diversi trattamenti sullo stesso numero di cellule. Per staccare le cellule dalla base della fiasca

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si aspira il mezzo di coltura vecchio, si esegue un lavaggio con circa 5 mL di PBS e si aggiungono 3 mL di una soluzione di tripsina/EDTA; la tripsina è un enzima in grado di degradare le membrane cellulari e di staccare le cellule, che trovandosi sotto forma di aggregati permette l’eliminazione di questi ultimi mentre l’EDTA aumenta l’attività dell’enzima stesso chelando calcio e magnesio dalla superficie delle cellule. La fiasca viene posta per qualche minuto in incubatore prima di procedere al controllo dello stato di adesione cellulare al microscopio ottico; una volta che le cellule si sono staccate, si aggiungono 7-8 mL di mezzo di coltura per neutralizzare l’azione proteolitica della tripsina, evitando così sia un eventuale danneggiamento delle membrane cellulari sia la possibile formazione di nuovi agglomerati di cellule (cluster) dovuti ad una parziale fusione delle membrane. Successivamente, si trasferisce la sospensione cellulare in una provetta graduata da 15 ml (falcon) da cui vine prelevata un’aliquota per il conteggio cellulare.

Al termine della procedura, la piastra viene riposta nell’incubatore per consentire l’adesione delle cellule ai pozzetti seminati, mentre la sospensione cellulare in eccesso viene nuovamente trasferita in fiasca così da permettere alle cellule di crescere e di raggiungere nuovamente la confluenza per impostare eventuali nuovi esperimenti nei giorni successivi.

Riferimenti

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