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La Sicurezza nel Settore Lapideo. Sviluppo di un Sistema di Gestione secondo lo standard BS OHSAS 18001:2007.

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ERRITORIO E DELLE

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OSTRUZIONI

RELAZIONE PER IL CONSEGUIMENTO DELLA

LAUREA MAGISTRALE IN INGEGNERIA GESTIONALE

La Sicurezza nel Settore Lapideo

Sviluppo di un Sistema di Gestione secondo lo

standard BS OHSAS 18001:2007

RELATORI

IL CANDIDATO

Prof. Ing. Gionata Carmignani Andrea Potenza

Dipartimento di Ingegneria dell'Energia, andreapotenza@hotmail.it dei Sistemi, del Territorio e delle Costruzioni

Ing. Orlando Pandolfi

Studio di Ingegneria Pandolfi

Sessione di Laurea del 27/04/2016 Anno Accademico 2014/2015 Consultazione NON consentita

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SOMMARIO

Nel presente lavoro di tesi, risultato di uno stage di cinque mesi svolto presso lo Studio di Ingegneria Pandolfi, è descritta la struttura e, in particolare, l’approccio per processi impiegato nella gestione dei rischi presenti nelle attività di estrazione del marmo.

L’applicazione della stessa, adattabile con i dovuti accorgimenti a diverse realtà del settore, è stata messa in pratica durante l’implementazione di un Sistema di Gestione per la Sicurezza conforme allo standard BS OHSAS 18001:2007 per una cava a cielo aperto operante in un bacino marmifero apuano, grazie alla collaborazione con l’azienda cliente e ad una serie di sopralluoghi effettuati nel cantiere estrattivo.

Per facilitarne la comprensione e descrivere l’applicazione della metodologia di valutazione dei rischi a diversi livelli di dettaglio, nella presente trattazione è stato scelto di mostrare un focus su come viene gestita un processo standard del processo di coltivazione, il taglio al monte delle bancate, e il deployment dello stesso in attività specifiche, con particolare attenzione all’utilizzo della tagliatrice a catena dentata, un macchinario tanto impiegato, quanto storicamente fonte di incidenti più o meno gravi nel territorio.

ABSTRACT

This thesis is the result of a five months internship carried out at consulting engineering Studio Pandolfi. The objective is to describe the structure and, in particular, the PDCA approach used in the management of the risks presents in marble quarries.

The application of such framework, adaptable, with a necessary customization, to various firms which operates in the extraction sector, was tested during the implementation of an Organizational Health and Safety System, in compliance with BS OHSAS 18001:2007 standard, for an open sky quarry sited in the Apuan Alps, thanks to the collaboration with the company customer and after a lot of inspections carried out in the mining yard.

In order to facilitate the understanding and to describe the application of the risk management methodology at different detail levels, in this paper I have chosen to show a focus on how to manage a standard step in the exploitation cycle, the cut of the benches, and the deployment of this step in specific activities, with particular care of the use of chain saw, a machine as much used, as, historically, source of a lot of accidents in the district.

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INDICE DEGLI ARGOMENTI

1. INTRODUZIONE ... 9

1.1 Premessa ... 9

1.2 Obiettivi della tesi ... 10

1.3 Esperienza di stage e struttura dell’elaborato ... 11

PARTE I– ANALISI DEL CONTESTO ... 13

2. LA CAVA ... 13

2.1 Il mercato internazionale dei prodotti lapidei ... 13

2.2 I numeri e la struttura del settore lapideo italiano ... 14

2.3 Le cave nel comparto apuo-versiliese ... 17

2.4 Il marmo e le sue varietà ... 20

2.5 Le cave e le tipologie di coltivazione ... 22

3. LA SICUREZZA SUL LAVORO ... 24

3.1 La sicurezza nel settore estrattivo ... 24

3.2 I costi della non sicurezza ... 26

3.3 L’importanza della prevenzione ... 27

3.4 La sicurezza sul lavoro nella legislazione italiana ... 29

3.4.1 La gestione dei rischi nella legislazione cogente ... 29

3.4.2 Responsabilità della valutazione dei rischi ... 30

3.4.3 Il Documento di Valutazione dei Rischi ... 30

3.5 La legislazione nelle attività estrattive: il D.P.R. 128/59 e il D.lgs. 624/96 ... 32

4. I SISTEMI DI GESTIONE PER LA SICUREZZA ... 36

4.1 Obiettivi di un SGSL ... 36

4.2 L’OHSAS 18001:2007 ... 37

4.2.1 Storia dell’evoluzione dei SGSL ... 37

4.2.2 Contenuti dell’OHSAS 18001:2007 ... 38

4.2.3 Perché investire in un sistema OHSAS?... 40

4.2.4 Relazione tra OHSAS 18001 e D.lgs. 81/08 ... 41

4.3 Considerazioni sull’applicazione del sistema al settore estrattivo ... 43

4.3.1 Figure coinvolte ... 43

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PARTE II – PROGETTAZIONE DEL SISTEMA... 46

5. L’APPLICAZIONE DEL SGSL ALLA CAVA ... 46

5.1. Descrizione del contesto operativo ... 46

5.1.1 La cava ... 46

5.1.2 Il ciclo produttivo ... 47

5.1.3 La descrizione dei processi ... 49

5.2 Gli step per l’implementazione del Sistema ... 54

5.2.1 Pianificazione ... 55

5.2.2 Attuazione ... 56

5.2.3 Monitoraggio ... 57

5.2.4 Riesame ... 57

5.3 La struttura generale del sistema ... 58

5.3.1 Il Manuale ... 59

5.3.2 Ordini di servizio ... 60

5.3.3 Istruzioni tecniche ... 60

5.3.4 Documenti di Salute e Sicurezza Coordinati... 60

5.4 Il DSS ... 61

5.4.1 Obiettivo del DSS ... 61

5.4.2 Struttura del DSS ... 64

6. LA GESTIONE DEI RISCHI ... 68

6.1 Metodologia della gestione dei rischi ... 68

6.2 Identificazione dei pericoli ... 70

6.3 Valutazione dei rischi ... 72

6.3.1 Dati di ingresso per la valutazione dei rischi ... 72

6.3.2 Criteri per la valutazione dei rischi in modo quantitativo ... 74

6.3.3 Criteri per la valutazione dei rischi in modo qualitativo ... 74

6.4 Determinazione e attuazione delle misure di controllo dei rischi ... 76

6.5 Monitoraggio e riesame del processo ... 79

6.6 Risultati della gestione del rischio ... 80

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6

PARTE III – GESTIONE DI UN PROCESSO OPERATIVO ... 85

7. FOCUS SU UN PROCESSO: IL TAGLIO AL MONTE ... 85

7.1 Descrizione del processo ... 86

7.2 Descrizione delle attività presenti nel processo di taglio al monte ... 88

7.3 Valutazione del rischio ... 92

7.4 Misure di controllo ... 93

8. GESTIONE SISTEMICA DI UN’ATTIVITÀ CRITICA: L’UTILIZZO DELLA TAGLIATRICE A CATENA DENTATA ... 95

8.1 Descrizione della macchina ... 95

8.1.1 Funzionamento ... 95

8.1.2 Componenti principali ... 97

8.2 Pericoli causati dall’utilizzo della macchina ... 98

8.3 Misure per il raggiungimento del rischio residuo ... 99

8.3.1 Procedure, ordini di servizio e istruzioni scritte ... 99

8.3.2 Formazione, informazione e addestramento ... 99

8.3.3 Utilizzo dei DPI ... 99

8.4 Impiego della tagliatrice a catena nell’operazione di taglio al monte ... 101

9. CONCLUSIONI ... 103

10. GLOSSARIO ... 104

11. BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ... 106

12. RINGRAZIAMENTI... 111

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INDICE DI FIGURE, GRAFICI E TABELLE

Tabella 2.1: Commercio globale di materiali lapidei (import + export) ... 13

Tabella 2.2: Quote di mercato per valori di export nel settore lapideo, anno 2014 ... 13

Tabella 2.3: Composizione dell’export nel settore lapideo italiano, 2014 ... 14

Figura 2.1: Clusters produttivi italiani del lapideo suddivisi per forza lavoro ... 15

Grafico 2.1: Esportazione lavorati in pietra per clusters produttivi (Gennaio-Settembre 2014) ... 16

Figura 2.2 Posizionamento geografico del comparto apuo-versiliese ... 17

Figura 2.3: I ponti di Vara nel bacino carrarese di Fantiscritti ... 17

Tabella 2.4: Analisi SWOT del comprensorio apuo-versiliese ... 18

Figura 2.3: Lizzatura del Monolite, il più grande blocco estratto nelle Alpi Apuane (1929) ... 19

Tabella 2.5: Classificazione dei principali metodi di coltivazione nelle cave a cielo aperto ... 23

Figura 2.4: Immagini di cave a cielo aperto delle differenti tipologie ... 23

Figura 3.1: Risultati dei tre principali studi sulla distribuzione di infortuni in azienda ... 28

Figura 3.2 Timeline della legislazione cogente nel settore estrattivo ... 32

Figura 4.2: Schema di implementazione di un SGSL secondo la logica PDCA ... 38

Grafico 4.1: Relazione tra implementazione di un SGSL OHSAS e performance aziendali ... 41

Tabella 4 1: Figure previste dall'OHSAS 18001:2007 e dalla legislazione vigente ... 44

Figura 5.1: Immagine della cava di interesse e classificazione in base al tipo di coltivazione ... 46

Figura 5.2: Rappresentazione schematica di input e output di un processo ... 47

Figura 5.3: Mappatura dei processi dell’azienda ... 48

Figura 5.4: Step seguiti per l’implementazione del Sistema ... 54

Tabella 5.1: Struttura complessiva del SGSL impostato ... 58

Figura 5.5: Piramide documentale del Sistema ... 59

Tabella 5.2 Posizionamento all’interno del Sistema e struttura del DSS ... 64

Tabella 6.1 Struttura della gestione dei rischi all’interno del DSS ... 68

Figura 6.1: Schema del processo di gestione dei rischi conforme alla norma OHSAS 18001:2007 .. 69

Figura 6.2: Fattori chiave considerati per l’identificazione dei pericoli ... 71

Figura 6.3: Riduzione del rischio e raggiungimento del rischio residuo ... 74

Tabella 6.2: Scala delle Probabilità ... 75

Tabella 6.3: Scala della Magnitudo ... 75

Tabella 6.4: Matrice di valutazione del rischio ... 76

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Figura 6.4: Schede fattori di rischio e scheda personale per addetto ... 80

Tabella 6.6: Posizionamento nel DSS delle schede dei fattori di rischio per il ciclo lavorativo ... 81

Figura 6.5: Metodologia della gestione dei rischi per i processi produttivi ... 82

Figura 6.6: Esempio scheda di processo ... 83

Figura 6.7: Esempio scheda di attività ... 84

Tabella 7.1: Posizionamento nel DSS delle schede di processo ... 85

Tabella 7.2: Fasi del processo di taglio al monte ... 87

Tabella 7.3: Scomposizione del processo di taglio al monte in attività operative ... 88

Tabella 7.4: Valutazione dei rischi delle attività svolte nel processo di taglio al monte ... 92

Tabella 7.5: Valutazione del rischio complessivo del processo di taglio al monte ... 92

Tabella 7.6: Misure di controllo relative alla valutazione dei rischi per il taglio al monte ... 93

Tabella 7.7: Scheda del processo di taglio al monte ... 94

Tabella 8.1: Posizionamento nel DSS delle schede di attività ... 95

Figura 8.1: Tagliatrice a catena dentata utilizzata nella cava ... 96

Tabella 8.2: DPI utilizzati in cava e nella operazione di taglio con tagliatrice a catena ... 100

Tabella 8.3: Scheda di attività di taglio con tagliatrice a catena ... 103

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1. INTRODUZIONE

1.1 Premessa

Gli incidenti sono spesso la conseguenza diretta di attività svolte in assenza delle adeguate condizioni di sicurezza. Il management è responsabile tanto della creazione e del mantenimento dell’ambiente di lavoro nel quale si svolgono i processi aziendali, quanto della gestione dei lavoratori e del loro comportamento; un buon sistema di sicurezza e salute, prevede, infatti, la trasmissione di un’adeguata formazione e informazione, lo sviluppo di un sistema di comunicazione tra le persone e la diffusione della consapevolezza che gli incidenti non sono eventi inevitabili, ma spesso hanno una causa ben precisa e identificabile. Far acquisire questo concetto ai lavoratori è il primo passo per introdurre in azienda una cultura della sicurezza.

L’attuazione di un sistema di gestione basato sulla prevenzione deve essere guidata da un forte commitment da parte della direzione aziendale e può essere incentivata, allo stesso tempo, da motivazioni di carattere morale, legale ed economico.

I fattori etico-morali riguardano la cura verso i propri dipendenti, con particolare attenzione alle innumerevoli problematiche che possono ripercuotersi sugli stessi sotto forma di infortuni sul posto di lavoro, peggioramento delle condizioni di salute e perdita di tranquillità durante le proprie attività.

Gli aspetti legali sono strettamente collegati alla responsabilità sociale dell’impresa nei confronti dei propri dipendenti, regolata dal D.lgs. 231/01 e dal relativo sistema sanzionatorio, per mezzo del quale i responsabili possono subire processi penali per rispondere dei fatti avvenuti.

Infine, un ulteriore fattore che gioca un ruolo chiave nella scelta di adottare un SGSL è quello economico: non sono infatti da trascurare le perdite che possono emergere dal verificarsi di un incidente con l’insorgenza di costi di tipo diretto e indiretto, dei quali solo una piccola percentuale viene abitualmente coperta dalle polizze assicurative.

Il settore estrattivo, nello specifico, presenta innumerevoli fattori di rischio, a causa della natura stessa delle operazioni svolte e della particolarità del luogo di lavoro nel quale vengono effettuate. L’implementazione di un sistema efficace e intuitivo all’interno di una cava di marmo può portare diversi vantaggi, sia in termini di sicurezza e salute di coloro che vi operano, sia per quel che riguarda le performance dei processi eseguiti. Attualmente, i SGSL non sono particolarmente diffusi nel mondo del lapideo tuttavia, a causa della crescente esigenza di tenere sotto controllo le normative vigenti e di regolamentare l’utilizzo dei sempre più tecnologici macchinari impiegati, la tendenza a dotarsi di un sistema certificato per la sicurezza è in crescita costante negli ultimi anni.

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1.2 Obiettivi della tesi

Il progetto di tesi mira a sviluppare una struttura sistemica dotata di una metodologia che permetta di individuare e gestire efficacemente le numerose problematiche di sicurezza presenti in un settore fortemente esposto a rischi di diverso tipo come quello lapideo.

A tal proposito, in occasione della richiesta di un cliente di implementare un sistema di gestione per la salute e la sicurezza in linea con quanto previsto dalla norma BS OHSAS 18001:2007, è stato progettato con lo stesso un modello innovativo per il settore e potenzialmente adattabile, con i dovuti accorgimenti, a numerose aziende che si occupano di coltivazione delle cave di marmo. La struttura è stata pensata per essere facilmente comprensibile e utilizzabile a tutti i livelli dell’organigramma aziendale, dal datore di lavoro ai dipendenti impegnati in cantiere.

Grazie alla logica seguita, il sistema permette infatti di dettagliare a livello di singola attività e, di conseguenza, di lavoratore impiegato per la stessa, i fattori di rischio presenti nel cantiere al fine di renderne più immediata la gestione.

Oltre agli elementi richiesti dall’OHSAS 18001:2007, il SGSL è tenuto a rispettare tutti gli adempimenti previsti per il settore estrattivo, annoverando tra i documenti tutto quanto stabilito dalla legislazione in vigore, ed in particolare dal D.lgs. 81/08, D.lgs. 624/96 e D.P.R. 128/59.

Vista la periodica evoluzione delle norme cogenti e lo sviluppo continuo di buone prassi, la struttura documentale è stata progettata per essere modulare e aperta all’introduzione di tali cambiamenti: il Documento di Salute e Sicurezza, elemento centrale dell’intero sistema, è composto, per rispondere a tale esigenze, da gruppi di schede integrabili e modificabili in maniera indipendente l’una dall’altra.

La particolarità di tale struttura consente, inoltre, la possibilità di dotare ciascuno delle informazioni necessarie di cui ha bisogno per la gestione dei rischi ai quali è esposto, consegnando al singolo lavoratore un documento riassuntivo con specifici riferimenti alle schede di sistema che interessano la sua mansione.

In un settore regolato dalla presenza contemporanea di leggi vigenti e parzialmente abrogate oltre che dai provvedimenti temporanei delle Aziende Sanitarie Locali nei quali evince una mancanza di coordinamento tra gli Enti Preposti, il sistema si pone l’obiettivo di diventare il punto di riferimento per guidare l’organizzazione rispondendo alla duplice esigenza di proteggere i propri lavoratori e rispettare tutti gli adempimenti previsti in termine di salute e sicurezza sul posto di lavoro.

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1.3 Esperienza di stage e struttura dell’elaborato

Durante la mia permanenza di cinque mesi presso lo Studio Pandolfi di Carrara (MS), l’attività principale svolta è stata quella di sviluppare, assieme ad un’azienda cliente di estrazione del marmo, un Sistema per la Salute e Sicurezza dei Lavoratori in accordo sia con la norma BS OHSAS 18001:2007 che con la legislazione vigente nel settore.

Lo studio si occupa, da oltre 20 anni, di consulenza per il settore lapideo a livello strategico e di sicurezza, collaborando con numerose aziende sia a livello locale nel territorio delle Alpi Apuane che in ambiente nazionale e internazionale fornendo servizi a diverse cave operanti in Europa, Africa, Asia e America Centrale.

La crescente attenzione verso gli aspetti di sicurezza e salute dei lavoratori, unita al proliferare di norme, linee guida e best practices da seguire nelle attività di cantiere, ha reso quasi necessario lo sviluppo di sistemi ad hoc in grado di guidare le organizzazioni verso un miglioramento in questi termini.

La tesi svolta descrive la progettazione di uno dei suddetti sistemi, progettato nella sua interezza e attualmente in fase di certificazione.

L’elaborato è stato suddiviso in tre sezioni, di seguito descritte, da un lato per permettere una comprensione a 360° del problema e dall’altro per effettuare un parallelismo con il percorso compiuto a partire dall’inizio della mia esperienza di stage, che mi ha permesso di analizzare un settore nelle sue particolarità e specificità partendo da una conoscenza piuttosto limitata dell’ambito di applicazione.

La Parte I ha lo scopo di prendere contatto con il contesto nel quale ho effettivamente operato. Pertanto, in quest’ottica, è stata condotta un’analisi sul mercato del lapideo in Italia e, in maniera più dettagliata, nella provincia di Massa-Carrara, dove il marmo svolge un ruolo primario a livello economico e occupazionale.

Inoltre, sono state passate in rassegna le modalità di coltivazione più adottate, le tipologie di materiale presenti nel comprensorio apuo-versiliese e la conformazione geografica dei bacini. Parallelamente, viene analizzato il tema dell’importanza di una cultura della sicurezza, con le relative implicazioni di carattere legislativo a livello generale e, nello specifico, con riferimento al settore estrattivo e al D.lgs. 624/96.

Accanto a quanto previsto dalla legge, è stato descritto lo standard OHSAS 18001:2007, preso a riferimento nell’applicazione reale, mostrando i contenuti necessari di un SGSL conforme allo stesso e le divergenze rispetto al vigente D.lgs. 81/08, alle quali prestare particolare attenzione durante l’effettiva progettazione del sistema.

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La Parte II ha l’obiettivo di descrivere l’applicazione al caso reale e, in particolare, la progettazione del sistema richiesto dall’azienda cliente. Dapprima, viene descritta la cava nella quale è stata implementato il SGSL, con riferimento alle particolarità del ciclo produttivo, la mappatura completa dello stesso e una descrizione sintetica dei processi presenti nel cantiere. In seguito, sono riportati gli step necessari all’implementazione e la struttura generale del sistema con riferimento ai documenti prodotti, incluso il Manuale e le relative procedure.

Tra questi, viene messo in evidenza il Documento di Salute e di Sicurezza, punto cardine dell’intero sistema di prevenzione, entrando maggiormente nel dettaglio per quel che riguarda obiettivi, forma e contenuti.

Il passaggio chiave del DSS è rappresentato dalla gestione dei rischi, e per questo motivo è stato scelto di presentare un ulteriore focus su questa attività, mostrandone la metodologia utilizzata e i documenti prodotti, sotto forma di specifiche schede relative a fattori di rischio, da consegnare al personale. In questa fase si ha la maggior innovazione del sistema progettato, dotando lo stesso delle caratteristiche di modularità, flessibilità e integrabilità.

La Parte III descrive nei particolari la trattazione di un singolo processo, mettendo l’accento sul tipo di approccio per processi adottato nel sistema. In quest’ultima sezione, si scompone infatti il ciclo produttivo dapprima in processi e in seguito in attività singole riferite allo specifico lavoratore, con un’analisi dettagliata sul taglio al monte e l’utilizzo, in quel processo, della tagliatrice a catena dentata.

Con questi focus, si vuole mostrare ciò che un singolo operatore recepisce dell’intero sistema: a fronte di una progettazione lunga e laboriosa, il sistema risulta estremamente semplice da comprendere e utilizzare, essendo in grado di dotare ciascuno di tutto e solo ciò di cui ha effettivamente bisogno per svolgere i propri compiti in condizioni di sicurezza.

A scopo esemplificativo, sono presentati i risultati di tale approfondimento, mostrando le schede effettivamente consegnate al personale interessato dal processo e dall’attività analizzata.

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2. LA CAVA

2.1 Il mercato internazionale dei prodotti lapidei

A livello globale, nell’anno 2014, sono state commerciate circa 86 milioni di tonnellate di materiali lapidei di marmo e granito, per un valore complessivo superiore ai 20 miliardi di euro, in costante crescita a partire dal 2011 nonostante un calo in termini di quantità.

2011 2012 2013 2014 Var% 2014/2013

Valore (milioni di €) 18.820,9 21.472,6 22.437,0 22.856,6 1,87

Quantità (milioni di tonn.) 95,4 96,1 80,0 85,9 7,38

Valore medio unitario (€/tonn.) 197,35 223,44 280,46 266,08 -5,13

Tabella 2.1: Commercio globale di materiali lapidei (import + export) Fonte: Global Trade Atlas

L’attore principale sulla scena internazionale è la Cina, che possiede oltre un terzo della quota di mercato complessiva. Alle spalle del colosso asiatico, l’Italia rappresenta con il 13,5% il secondo produttore mondiale di pietre ornamentali, davanti alla Turchia e l’India; considerando solamente i lavorati in marmo, la quota di mercato italiana sale al 21,2%. Cina, Italia, Turchia e India, insieme, costituiscono più del 70% delle esportazioni mondiali di marmo e granito.

Paese Quota di mercato

Cina 35,8% Italia 13,5% Turchia 12,1% India 10,8% Brasile 7,0% Spagna 4,4% Grecia 2,0% Egitto 1,8% Iran 1,8% Portogallo 1,7%

Tabella 2.2: Quote di mercato per valori di export nel settore lapideo, anno 2014 Fonte: Rielaborazione dati raccolti da Global Trade Atlas

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2.2 I numeri e la struttura del settore lapideo italiano

La voce trainante del mercato italiano, che nel 2014 ha esportato 4.194.035 tonnellate di materiali grezzi e lavorati per un valore complessivo di 1.940.861.130 €, è rappresentata dal marmo.

Tipologia di prodotti Tonnellate Valore in €

Dato assoluto % sul totale Dato assoluto % sul totale

Marmo blocchi e lastre 1.373.067 32,7 331.035.435 17,1

Granito blocchi e lastre 136.388 3,2 35.846.130 1,8

Marmo lavorati 891.933 21,3 935.810.659 48,2

Granito lavorati 569.790 13,6 534.623.450 27,5

Altre pietre lavorati 131.960 3,1 31.242.450 1,6

Granulati e polveri 1.076.132 25,7 63.112.249 3,3

Ardesia grezza 3.793 0,1 1.652.026 0,1

Ardesia lavorata 9.224 0,2 6.747.366 0,3

Pietra pomice 1.749 0,1 791.365 0,1

Totale 4.194.035 100 1.940.861.130 100

Tabella 2.3: Composizione dell’export nel settore lapideo italiano, 2014 Fonte: Rielaborazione dati ISTAT

Secondo gli ultimi dati ISTAT, il settore lapideo italiano, comprensivo dei comparti estrattivo e di lavorazione, conta 10.968 aziende e 54.201 addetti, con una media di 5 addetti per azienda e con l’88% delle aziende che conta meno di 10 addetti. La produzione annuale è di circa 9 milioni di tonnellate di pietra ornamentale, con un fatturato medio di 3,6 miliardi di euro.

La lavorazione, in particolare, rappresenta da sola il 90% delle imprese (9.614) per un totale di 46.380 addetti. Rispetto al periodo pre-crisi (2007), si è assistito ad un calo del 7% per quel che riguarda il numero di aziende di lavorazione e del 15% in termini di addetti: un risultato non positivo ma comunque in linea con il trend generale e non peggiore, ad esempio, del settore delle costruzioni che ha avuto una variazione negativa del 17%. Stiamo altresì assistendo ad un aumento della produzione, contemporaneo tuttavia alla diminuzione del numero di cave: questo fenomeno si spiega nella concentrazione degli impianti che tendono ad assumere sempre di più le dimensioni di attività industriali.

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Tale processo, unito all’evoluzione tecnologica dei metodi di coltivazione, porta inevitabilmente ad un decremento del numero di addetti, sia per la cava di per sé che per l’indotto: dal 1970 è infatti più che raddoppiata la produzione per addetto in tonnellate.

Focalizzando l’attenzione sulla struttura dell’industria lapidea italiana, emerge un’organizzazione in clusters produttivi, che ha generato nei vari comparti importanti spillovers di conoscenza: le aziende produttrici di tecnologia per la pietra dotano infatti il settore lapideo italiano dei migliori strumenti per divenire e rimanere l’eccellenza mondiale nella lavorazione artistica e nelle finiture e assorbono quotidianamente dal settore lapideo stesso le informazioni utili per rimanere sulla frontiera dell’innovazione.

Figura 2.1: Clusters produttivi italiani del lapideo suddivisi per forza lavoro Fonte: Indagine congiunturale sul settore lapideo 2014, Internazionale Marmi e Macchine

Tali distretti industriali sono aggregazioni d’imprese, soprattutto di piccole e medie dimensioni, tutte coinvolte a diversi livelli nello stesso ciclo o filiera produttiva. Questo tipo di organizzazione permette di scomporre il ciclo di produzione in diverse fasi, ciascuna delle quali è affidata a determinate imprese indipendenti ma inserite in una rete locale di relazioni geografiche e

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commerciali con le altre realtà del distretto; ciò permette contemporaneamente un’alta flessibilità organizzativa e lo sviluppo di economie di scala tali da rendere il prodotto finito molto competitivo, anche rispetto a quello d’imprese di grandi dimensioni.

La formazione dei clusters presenta dunque una serie di vantaggi, favorendo in particolare: - sviluppo di attività complementari al settore principale di specializzazione;

- scambio di conoscenza e input innovativo e tecnologico; - sperimentazione e diffusione delle innovazioni;

- sviluppo di attività di servizio specializzate;

- formazione di un mercato del lavoro specializzato che permette alle imprese di diminuire i costi di formazione ed addestramento del personale e del reperimento stesso del personale;

- creazione di infrastrutture di trasporto comuni; - rapporti di fiducia tra operatori economici; - vantaggi di tipo immateriale.

Nei distretti non c’è solo cooperazione, ma anche competizione tra imprese che producono lo stesso bene o che si posizionano nello stesso segmento della filiera produttiva. Come sottolineato da Porter, nei clusters la competizione è il motore dello sviluppo poiché tali imprese sono spinte a modificare, ricercare e innovare per mantenere e incrementare la propria quota di mercato.

Grafico 2.1: Esportazione lavorati in pietra per clusters produttivi (Gennaio-Settembre 2014) Fonte: Rielaborazione dati Osservatorio Fillea “Grandi imprese e lavoro” 2015

31,67 31,06 6,41 3,56 2,61 1,96 1,74 1,63 0,74 0,35 0,15 18,12

Comprensorio apuo-versiliese (MS-LU-SP) Distretto veneto (VR-PD-VI)

Comprensorio lombardo (MI-BG-BS) Distretto di Custonaci (TP) Distretto delle pietre trentine (TN)

Monti Ausoni-Tiburtina (Travertino Romano) (FR-RM) Comprensorio della Pietra Naturale dell'Alto Adige (BZ) Comprensorio del Verbano-Cusio-Ossola (VB) Distretto lapideo pugliese (BA-FG-LE-BT) Comprensorio della pietra di Luserna (CN-TO) Distretto Marmi di Orosei (NU)

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2.3 Le cave nel comparto apuo-versiliese

Il comprensorio marmifero apuo-versiliese, che si estende per le province di Massa-Carrara, Lucca e La Spezia, risulta essere, assieme al distretto

veneto di Verona, Vicenza e Padova, il principale hub italiano nel settore lapideo: le due zone suddette costituiscono insieme il 63% dell’export dei lavorati in pietra naturale che dall’Italia vengono venduti in tutto il mondo.

Le Alpi Apuane sono note in tutto il mondo per le famose cave di marmo: qui si estraggono mediamente ogni anno 1,5 milioni di tonnellate di marmi bianchi che hanno fatto la storia di grandi imprese industriali e sono utilizzati per gli

impieghi più vari. L’incidenza dell’export sul fatturato delle aziende apuane sfiora mediamente il 50% decretando l’importanza di tale comprensorio sullo scenario internazionale; il principale mercato di sbocco è quello nordamericano, ma risultano in trend fortemente positivo gli scambi commerciali con i paesi arabi.

Negli ultimi anni si sta assistendo ad un incremento nell’esportazione di lastre e blocchi grezzi; per quel che riguarda i lavorati, si può riscontrare una flessione in termini di quantità, ma un aumento di valore complessivo dell’export. Per entrambe le tipologie di prodotti, è infatti sensibile la crescita dei valore medi unitari iniziata a partire dal 2009, causata dal forte aumento della domanda internazionale di marmo ad opera di paesi emergenti.

Figura 2.3: I ponti di Vara nel bacino carrarese di Fantiscritti

Figura 2.2 Posizionamento geografico del comparto apuo-versiliese

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Punti di forza

Punti di debolezza

- Disponibilità di materia prima di elevata qualità

- Presenza nel territorio di numerose aziende produttrici di macchinari

- Posizione geografica e facilità dell’export via mare

- Condizioni climatiche favorevoli - Esperienza secolare nel lavoro di cava

- Scarsa responsabilità sociale di impresa - Fragilità del territorio

- Difficoltà di accesso a fonti di finanziamento - Limitato sviluppo della catena logistica a valle

nel territorio: laboratori di trasformazione del marmo in calo

Opportunità

Minacce

- Export in Paesi emergenti

- Ulteriore innovazione tecnologica con maggiore collaborazione tra cave e produttori di macchinari

- Trasformazione del prodotto finito in loco con creazione di maggior valore aggiunto

- Problematiche ambientali locali - Concorrenti esteri con minori costi di

produzione

Tabella 2.4: Analisi SWOT del comprensorio apuo-versiliese

Fonte: Rielaborazione dei dati contenuti nel report annuale della Internazionale Marmi e Macchine 2014

Il territorio e l’economia di Massa-Carrara sono inevitabilmente da sempre collegati all’industria del marmo. A livello di indotto, possiamo identificare entro i confini provinciali:

- attività di estrazione vera e propria (100 imprese e circa 1000 addetti);

- imprese specializzate nella trasformazione del marmo, comprendente: segherie, laboratori artigianali, gestione dei detriti e produzione del carbonato di calcio (500 imprese e 2950 addetti); - aziende che producono macchinari e utensili (55 imprese e 380 addetti);

- attività ausiliarie: organizzazioni di fiere, consulenti, turismo collegato al marmo, attività commerciali legate al trasporto (2180 addetti);

- attività riconducibili ai redditi generati dal settore lapideo, che versa nelle casse comunali circa 30 milioni di euro annui (5650 lavoratori).

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Considerate tutte le attività elencate, si evince che nel settore marmo, direttamente o indirettamente, sono occupati 13.180 lavoratori, il 17,1% del totale, e questo produce il 22,2 % del valore aggiunto prodotto nella provincia: ciò significa che un quinto dell’economia locale dipende da questa risorsa naturale.

Il territorio carrarese ospita tre differenti bacini estrattivi: il bacino di Torano, il bacino di Fantiscritti e il bacino di Colonnata. In ciascuno di questi sono attive circa trenta cave accumunate, oltre che dalla zona geografica, dalla varietà di marmo prodotto dipendente dalle caratteristiche geologiche e morfologiche del terreno. Grazie alla vicinanza tra i vari cantieri, questi sono stati resi accessibili da una rete stradale comunale percorribile dai camion che ha preso il posto delle cosiddette vie di lizza. Fino a metà Novecento, infatti, i blocchi di marmo venivano trasportati a valle legati su travi di legno attraversando le strade che dal piazzale di cava portavano in città. Durante la seconda guerra mondiale le attività estrattive furono interrotte, e si decise di ricominciare nel 1946 al termine della guerra. Tuttavia, le vie di lizza erano danneggiate dai bombardamenti e una loro eventuale restaurazione venne considerata meno economica di un investimento in nuove tecnologie, in grado di permettere la costruzione di strade camionabili che arrivassero alle cave. La lizzatura resistette soltanto nelle cave più alte, dove con le tecnologie dell'epoca era impossibile costruire strade e non si ritenne troppo dispendioso continuare ad utilizzare questo metodo nei confronti del trasporto su camion. A partire dal 1950 la maggior parte delle cave sopra i mille metri fu però, nel tempo, smantellata o abbandonata e la lizzatura scomparve definitivamente negli anni Sessanta, quando oramai le strade e i camion avevano raggiunto tutti i bacini marmiferi ancora attivi.

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2.4 Il marmo e le sue varietà

Tra le pietre ornamentali sono classificate diverse pietre naturali utilizzate nell’ambito della costruzione, soprattutto a fini decorativi.

Quelle più comunemente destinate all’impiego commerciale sono i calcari, sia sedimentari che metamorfosati, i graniti, le arenarie, le ardesie e gli scisti: a tutti questi materiali, impiegati a scopo ornamentale, viene dato il nome di marmo.

Geologicamente, il marmo è una roccia metamorfica, derivante cioè dalla trasformazione di rocce preesistenti e dalla ricristallizzazione di rocce sedimentari e carbonatiche sotto l’azione di elevate pressioni o temperatura.

Ogni regione e ogni produttore dispone di propri nomi commerciali per la varietà locale di rocce: in Italia e non solo, i bacini delle Alpi Apuane e, in particolare, della zona di Carrara, sono conosciuti per la produzione di marmo pregiato.

Il marmo può essere caratterizzato da diversi tipi di grana, da fine a molto grossa, e arriva a contenere fino al 99,5% di calcite; eventuali impurezze possono essere disperse o raggruppate in venature. Il colore è molto variabile e dipende dalla qualità e dalla quantità dei minerali accessori. Il Marmo di Carrara è rappresentato da un’ampia gamma di qualità, differenti tra loro in base a caratteristiche cromatiche e strutturali che, in linea di massima, si possono raggruppare in sette varietà principali: il Bianco, lo Statuario, il Venato, l’Arabescato, il Calacata, il Bardiglio e il Cipollino.

Il Bianco è il più classico e conosciuto tra i marmi di Carrara: la sua caratteristica principale è quella di contenere solo limitatissime quantità di impurità, rappresentate da pirite microcristallina, che non alterano il colore naturale della calcite che lo costituisce.

Lo Statuario è il marmo più pregiato in assoluto e fin dai Romani è stato utilizzato in scultura per la sua colorazione bianco avorio e la particolare tessitura cristallina che ben si adatta al lavoro di scalpello; è un materiale molto raro e la maggior parte dei giacimenti che nel passato hanno fornito questo tipo di marmo per celebri sculture sono ad oggi esauriti.

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Il Venato è un marmo piuttosto comune e, come suggerisce il nome, la sua principale caratteristica è quella di presentare delle venature di colore grigio che attraversano una pasta di fondo bianca o, più spesso, anch’essa leggermente grigiastra.

L’Arabescato presenta venature grigie ma, a differenza del Venato, queste disegnano sulla pasta di fondo una specie di trama, come un arabesco, da cui deriva il nome della roccia.

Il Calacata presenta invece venature di colore giallo-crema su una pasta di fondo bianca o color avorio; la colorazione delle vene è dovuta alla presenza nella tessitura della roccia di minutissimi cristalli di mica bianca o muscovite: questo marmo è considerato di gran pregio e la sua reperibilità è piuttosto limitata.

Il Bardiglio è costituito da una pasta di fondo di colore grigio a causa della diffusa presenza nella tessitura della roccia di impurità, rappresentate da finissimi cristalli di pirite.

Il Cipollino è chiamato così perché caratterizzato da striature marcate di colore grigio-verdastro che rimandano alla struttura interna di una cipolla. La maggior parte di questo marmo si trova nei bacini marmiferi apuani, in quelli carraresi è presente la variante Zerbino.

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2.5 Le cave e le tipologie di coltivazione

Con il termine cava si intende generalmente qualsiasi sito in cui viene svolta un’attività di estrazione di rocce o minerali. A prescindere dagli aspetti artigianali, comunque radicati da secoli e fortemente significativi nel settore, una cava può apparire come un complesso industriale organizzato allo scopo di sfruttare economicamente, coltivare, un giacimento, in superficie o a piccola profondità.

Nelle legislazioni minerarie, principalmente allo scopo di distinguere i concetti di cava e miniera, è stata imposta una definizione fondata esclusivamente sul tipo di materiale estratto. In particolare, in Italia, fa testo a riguardo il R.D. 29 luglio 1927 n°1443, che classifica come cave le coltivazioni di materiali litoidi, ossia simili a pietre, e delle torbe.

Oltre alla suddetta distinzione, tuttavia, le cave si distinguono tra loro anche per il metodo di coltivazione adottato per lo sfruttamento del giacimento. In particolare, possiamo identificare: - “cave a cielo aperto” o “cave a giorno”, in cui il giacimento si trova in superficie o affiora

completamente. A loro volta, rientrano in questa tipologia:

- cave di pianura, in cui tutte le lavorazioni vengono effettuate ad una quota inferiore al livello

del terreno pianeggiante che delimita l’area di coltivazione.

Le più diffuse sono le cave a fossa, i cui lavori si sviluppano lungo gradoni discendenti e la superficie si amplia verso l’esterno e verso il basso.

- cave di collina, che riguardano rilievi poco elevati e si ampliano grazie all’arretramento del

pendio;

- cave di monte, sviluppate lungo rilievi generalmente caratterizzati da una pendenza

significativa. Una caratteristica peculiare di queste cave è la difficile accessibilità e la conseguente necessità delle cosiddette strade di arroccamento, spesso tortuose ed impegnative, utilizzate per raggiungere i piazzali.

Tra le cave di monte, si possono annoverare:

- cave di versante, che rappresentano il tipo più comune e sono così chiamate perché si

sviluppano lungo i versanti della montagna disegnando in genere una geometria a gradini, ognuno dei quali può costituire uno o più fronti di escavazione. La coltivazione avviene per arretramento dei gradini fino al limite dell’area sfruttabile, partendo dal più alto e procedendo verso il basso;

- cave culminali, aperte lungo i crinali delle montagne, e, a differenza delle prime, beneficiano

di condizioni morfologiche particolarmente favorevoli non avendo alcun lato limitato da pareti rocciose;

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- cave in sotterraneo, riguardano lo sfruttamento di giacimenti non prossimi alle superfici e

procedono grazie alla costruzione di sale sotterranee e cunicoli in direzione dell’ammasso da estrarre.

Cave di pianura Cave a fossa

Cave di collina

Cave di monte

Cave di versante

Cave culminali

Cave pedemontane

Tabella 2.5: Classificazione dei principali metodi di coltivazione nelle cave a cielo aperto

Cava di pianura Trubka Udačnaja, situata nella Sacha-Jakuzia, in Russia.

Cava collinare nella zona dei Monti Berici (VI)

Cava di monte nel bacino estrattivo delle Alpi Apuane (MS) Figura 2.4: Immagini di cave a cielo aperto delle differenti tipologie

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3. LA SICUREZZA SUL LAVORO

3.1 La sicurezza nel settore estrattivo

A livello generale, le denunce di infortunio ricevute dall’INAIL in Italia, pur in costante calo negli ultimi anni, sono superiori alle 2000 al giorno e, tra queste, circa 3 rappresentano casi mortali: interpretando questi dati, ci si rende conto di quanta strada ci sia ancora da fare per raggiungere l’obiettivo di avere luoghi di lavoro protetti e sicuri.

L’innovazione tecnologica dei macchinari ha a tal proposito giocato negli anni un ruolo fondamentale per abbattere il fenomeno infortunistico, ma ciò non può bastare se non viene accompagnata da un’evoluzione dei metodi di lavoro. In questo senso, un ausilio è rappresentato dall’introduzione di modelli organizzativi, comunemente noti come Sistemi di Gestione per la Sicurezza dei Lavoratori (SGSL), utili a sostenere un percorso di miglioramento consapevole, continuo e duraturo della performance di prevenzione.

Ciò si sta sviluppando, non senza difficoltà, anche tra le aziende che si occupano di estrazione del marmo e, più in generale, all’interno di vari comparti del settore lapideo.

Il settore ha vissuto dalla seconda metà del Novecento una rapida evoluzione tecnologica che ha portato un discreto grado di automazione laddove, meno di mezzo secolo fa, era esclusivamente impiegato il lavoro manuale. Pur essendo sensibilmente diminuito il numero di incidenti, la pericolosità del lavoro di cava rimane una questione molto attuale a causa della struttura intrinseca del luogo in cui si svolge e delle modalità di utilizzo dei macchinari che devono essere impiegati. Le attività estrattive riportano, non a caso, uno dei più alti indici di infortunio: secondo i dati raccolti dall’European Agency for Safety and Health at Work, il numero di vittime in cava rapportato al personale impiegato è doppio rispetto a quanto riscontrato nei cantieri edili e addirittura tredici volte superiore allo stesso indicatore riguardante le aziende manifatturiere.

Dai recenti dati presentati nel Marzo 2016 durante la conferenza dell’ASL Toscana Nord-Ovest, emerge come a livello regionale negli ultimi dieci anni si sia assistito ad un calo del 60% degli infortuni, a fronte di una diminuzione del 10% del numero di addetti impiegati. Se confrontiamo quest’ultimo dato con il contemporaneo aumento della produzione, si delinea tuttavia uno scenario nel quale al lavoratore è richiesto un impegno notevole in termini di produttività portandolo, di conseguenza, a maggiori livelli di stress e stanchezza fisica. Ciò è riscontrato dall’analisi dei recenti incidenti, avvenuti il più delle volte per errori umani in situazioni standard, con presenza di personale esperto e senza particolari condizioni di contorno differenti dalla normalità. Il rischio maggiore del

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lavoro di cava è rappresentato dall’imprevisto, ossia dall’improvviso manifestarsi di particolari pericoli o criticità, ignorate e mai affrontate in precedenza.

Il problema principale consiste quindi nell’effettuare un’indicazione esaustiva dei fattori di rischio presenti nello specifico cantiere: una potenziale causa di infortunio o malattia professionale non identificata, non può ovviamente essere trattata nel modo corretto. Il rischio connesso deve essere valutato e gestito in maniera efficace per pervenire ad una situazione di rischio minimizzato, detto

rischio residuo, attraverso l’impiego di dispositivi di protezione individuali e collettivi, mediante la

redazione di apposita documentazione sotto forma di procedure, ordini di servizio o istruzioni tecniche e grazie alla somministrazione di formazione, informazione e addestramento ai lavoratori impegnati nelle varie attività.

Purtroppo, a livello italiano, nonostante la quantità di personale occupato in tale settore, si riscontra una notevole difficoltà nel reperire informazioni dettagliate in grado di facilitare un’efficace azione di prevenzione.

Quanto fornito prima dal Corpo delle Miniere, ed in seguito dalle Regione e dalle Provincie, non è sufficiente a sostenere uno studio di dettaglio volto ad analizzare la catena di eventi causali dei diversi incidenti; le uniche statistiche reperibili risultano infatti quelle presenti sulla Banca Dati dell’INAIL, le quali forniscono tuttavia un dato di carattere quantitativo troppo generale da rendere possibile un approfondimento esaustivo post-incidente che potrebbe risultare prezioso per impostare un’azione di prevenzione mirata.

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3.2 I costi della non sicurezza

Il verificarsi di un infortunio rappresenta da un lato un evento doloroso e tragico per colui che lo subisce e per i propri cari, dall’altro una fonte di oneri economici e problemi penali a carico delle aziende. Oltre agli aspetti inerenti la salute dei lavoratori, non è infatti da sottovalutare il ritorno economico degli investimenti in sicurezza: secondo quanto riportato dall’International Labour

Organization, ogni anno infortuni e malattie professionali portano a un decremento di oltre il 4%

del PIL globale, mentre a livello europeo i dati si attestano tra il 2,5% e il 3,8%. In Italia, l’INAIL ha più volte stimato il costo economico complessivo degli infortuni arrivando a identificare valori annui fino a 45 miliardi di €, corrispondenti al 3% del Prodotto Interno Lordo del nostro Paese. A differenza di quanto pensato nell’immaginario collettivo, in media soltanto il 22% di questi costi è coperto da polizze assicurative, mentre la restante parte rimane a carico dell’organizzazione o dei singoli lavoratori, a seconda delle responsabilità.

Il problema della salvaguardia della salute e della sicurezza sul lavoro rappresenta dunque senza dubbio un fattore di importanza strategica per un’azienda e per le conseguenze che può avere sul suo business. I numeri riportati si possono spiegare ascrivendo i costi della cosiddetta non sicurezza secondo diverse voci, dirette e indirette. Per questo tipo di costi è riscontrato statisticamente una sorta di effetto iceberg: secondo uno studio sperimentale dell’HSE, tali oneri sono solitamente sottostimati delle aziende da otto a trentaquattro volte tanto rispetto al loro effettivo insorgere. In particolare, i costi diretti possono riguardare:

- perdite di produzione;

- necessità di sostituzione di impianti, macchinari o attrezzature; - costi per l’eventuale assunzione di personale sostitutivo; - spese legali e aumento del premio assicurativo.

I costi indiretti, e difficilmente quantificabili a livello monetario, più comuni si presentano solitamente sotto forma di:

- danno di immagine;

- diminuzione del senso di appartenenza del personale; - insoddisfazione del cliente per eventuali disservizi.

Se consideriamo soltanto i costi relativi agli infortuni, inoltre, è bene tenere conto di come si trascurino tutti quelli causati dagli altri eventi pericolosi e dai cosiddetti mancati incidenti avvenuti all’interno del cantiere.

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3.3 L’importanza della prevenzione

Una buona prevenzione parte anche e soprattutto dall’identificazione e gestione dei mancati incidenti, e i dati statistici confermano tale logica.

A livello sperimentale, è infatti rispettata la proporzione proposta sin dal 1931 dallo specialista americano Heinrich nella sua pubblicazione Industrial accident prevention, il primo testo disponibile sulle pratiche di salute e sicurezza.

In tale modello, si considera:

- l’incidente come evento che altera il normale andamento dell’attività lavorativa e determina danni materiali ad attrezzature e impianti;

- l’infortunio come evento occorso al lavoratore per causa violenta da cui deriva morte, inabilità permanente o temporanea al lavoro;

-

il near miss come evento che, in circostanze differenti, avrebbe potuto determinare un incidente o un infortunio

.

Egli, studiando un campione di 75.000 casi, notò come meno del 10% sono causa di infortunio e calcolò una proporzione, nota come Triangolo di Heinrich o Teoria del domino, secondo la quale per ogni infortunio grave si riscontrano circa 29 infortuni minori e 300 incidenti senza infortuni. Tale teoria è stata confermata, almeno a livello di indice di grandezza, da numerosi altri test, tra i quali si ricordano quello di Frank Bird (1969), Tye&Pearson (1975) e, nel recente 2013, uno studio condotto dall’HSE Accident Prevention Advisory Unit su industrie di costruzioni, prodotti alimentari e trasporti. A livello italiano, anche l’INAIL ha effettuato un’analisi a riguardo nell’ambito del

Programma Leonardo riscontrando dati molto simili che non fanno che rafforzare questa tendenza.

Dall’insieme dei dati raccolti, emergono tre considerazioni da tenere a mente: - gli incidenti che creano infortuni sono solo una piccola parte del totale; - c’è una forte relazione statistica tra i vari tipi di incidente;

- gli incidenti senza infortuni avrebbero, a livello probabilistico, potuto causarne uno o più. Alla luce di ciò e non esclusa la, pur remota, probabilità che il primo incidente di una certa tipologia possa causare un infortunio mortale o di grave entità, è fortemente raccomandato tenere traccia e ricercare le cause della miriade di infortuni lievi e quasi incidenti che avvengono quotidianamente e costituiscono la base di un iceberg che, spesso e colpevolmente, emerge in maniera tardiva solo in caso di conseguenze significative

I near miss, da definizione, non determinano danni a cose e persone ma non per questo devono essere sottovalutati: al contrario, dovrebbero suonare come un campanello d’allarme e

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un’occasione fortuita per aprire gli occhi al fine di evitare il ripetersi, con conseguenze più gravi, dei comportamenti e delle cause che li hanno scaturiti.

Le cause che determinano un incidente possono essere molteplici e risulta impossibile presentarne una lista esaustiva; tuttavia, queste possono essere suddivise in tre macro-categorie:

- unsafe actions (azioni svolte non in condizioni di sicurezza), che possono riguardare sia i

comportamenti del personale (mancanza di un permesso per svolgere una determinata attività, accesso ai luoghi non autorizzati, assunzione di droghe o alcool, etc.), sia l’interazione con altre risorse (assenza di protezioni individuali, utilizzo errato di un macchinario, etc.);

- unsafe conditions (condizioni non sicure), che riguardano prevalentemente la predisposizione

dell’ambiente di lavoro e delle attività svolte al suo interno (rumore eccessivo, mancanza di segnaletica, condizioni meteo, assenza di protezioni sui macchinari);

- cause indirette, che insorgono sia a livello sociale (mancanza di comunicazione all’interno dei team, differenti metodologie di lavoro, etc.) che per mancanze dal management (assenza di procedure, limitati investimenti in sicurezza, carenza di formazione, etc.).

Piramide di Heinrich (1931)

Frank Bird (1969)

HSE Accident Prevention Advisory Unit (2013)

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3.4 La sicurezza sul lavoro nella legislazione italiana

3.4.1 La gestione dei rischi nella legislazione cogente

Il Datore di Lavoro, in quanto titolare del rapporto di lavoro, è obbligato sin dal 1942, ai sensi dell’art.

2087 del Codice Civile, ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Allo stesso spetta quindi il compito di individuare tutte le misure di prevenzione e protezione che di volta in volta si rendono necessarie per garantire la tutela della salute dei propri lavoratori.

Tale articolo costituisce il vero e proprio presupposto delle misure generali di tutela, elencate in un primo momento nell’art.3 del D.lgs. 626/1994, e successivamente riportate, con modifiche, nell’art.15 del D.lgs. 81/2008.

Il D.lgs. 626/1994 ha rappresentato a livello italiano il primo complesso organico di norme in materia di sicurezza sul lavoro, emanato al fine di recepire i nuovi indirizzi della Comunità Europea, espressi nella direttiva quadro 89/391/CEE, con i quali veniva inaugurata una nuova stagione normativa volta a garantire maggiori livelli di sicurezza in un mondo del lavoro ancora caratterizzato da un enorme numero di infortuni. Con questo intervento legislativo la rete delle misure volte alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori diviene, per la prima volta, una sorta di sistema nervoso dell’azienda, destinato a permeare in ogni settore, ogni aspetto, ogni momento della sua organizzazione.

Il D.lgs. 626/1994 introduce in particolare tre nuovi strumenti: la programmazione della sicurezza, la procedimentalizzazione dei relativi obblighi e la partecipazione dei lavoratori.

Il Documento di Valutazione dei Rischi costituisce senza dubbio la novità più significativa introdotta dal D.lgs. 626/1994 ponendosi come elemento cardine attorno al quale ruota tutto il nuovo sistema di prevenzione.

Il decreto responsabilizza il Datore di Lavoro prevedendo, per la prima volta, un preciso obbligo di procedere all’individuazione e valutazione di tutti i rischi collegati all’attività lavorativa, quale presupposto e punto di partenza dell’intero sistema di prevenzione da attuare in azienda.

La legge deve essere calata nel caso specifico di ogni singola azienda e modellata in base alle sue particolari caratteristiche sfruttando le specifiche conoscenze che solo il Datore di Lavoro può avere della propria realtà produttiva.

Si assiste al passaggio dalla vecchia logica prevenzionistica, che riversava sull’impresa un numero elevatissimo di prescrizioni astratte, ad un nuovo modello di sicurezza fondato essenzialmente sull’elaborazione interna all’azienda delle norme di sicurezza.

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L’art.15 del D.lgs. 81/2008 conserva, in linea di massima, l’impostazione dell’art.4 del D.lgs.

626/1994, mantenendo fermi anche i principi cardine in esso enunciati, creando così una sorta di

continuità normativa tra le due disposizioni e lasciandone pressoché immutata la filosofia prevenzionistica. Anche nel D.lgs. 81/2008, la valutazione dei rischi figura al primo posto, venendo indicata con la lettera a dell’elencazione delle misure generali di tutela. Ciò conferma ulteriormente la particolare importanza attribuita dal legislatore a tale adempimento ai fini del conseguimento degli obiettivi di tutela. Le disposizioni del Testo Unico che si occupano di valutazione dei rischi sono gli artt.17, 28 e 29.

3.4.2 Responsabilità della valutazione dei rischi

L’art.16 del D.lgs. 81/2008 prevede la possibilità per il Datore di Lavoro di operare una delega di funzioni in materia di sicurezza sul lavoro nei confronti di altri soggetti in possesso di specifici requisiti, ammessa, secondo la norma, in tutti i casi in cui la legge espressamente non la escluda. Tale delega non è tuttavia concessa su una serie di punti: l’art.17 del D.lgs. 81/2008, equipollente dell’art.1 del D.lgs. 626/1994, annovera espressamente tra gli obblighi del Datore di Lavoro non delegabili quello di effettuare una valutazione di tutti i rischi connessi all’attività lavorativa producendo il relativo documento, oltre alla nomina del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione. La conseguenza è una netta responsabilizzazione e valorizzazione del ruolo del Datore di Lavoro, al quale spetta stimolare una sempre maggiore partecipazione all’attività prevenzionale di tutti i soggetti direttamente coinvolti nel processo produttivo.

3.4.3 Il Documento di Valutazione dei Rischi

L’art.28 del D.lgs. 81/2008, denominato Oggetto della valutazione dei rischi, prescrive che il Datore di Lavoro debba procedere alla valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Per la prima volta, tale valutazione deve essere elaborata a priori e non sulla base delle esperienze negative passate. Quella in vigore dal 1994 rappresentava infatti una valutazione di tipo scientifico, effettuata al momento dell’avvio dell’attività aziendale sulla base della conoscenze tecnologiche acquisite e tendente all’eliminazione del rischio alla fonte o alla sua riduzione al minimo.

Con il Testo Unico quest’obbligo è stato riconfigurato verso una programmazione della prevenzione, che abbia come obiettivo preciso la sicurezza dei lavoratori.

La dottrina ha per questo descritto la valutazione dei rischi quale azione preventiva e ricorrente nella vita dell’impresa, che dovrà riguardare tutti i rischi direttamente o indirettamente ricollegabili all’attività lavorativa.

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Il punto di partenza della valutazione è costituito dall’identificazione di tutti i fattori di rischio, intesi come situazioni che potenzialmente possano causare un danno ai lavoratori. Devono essere oggetto di valutazione non soltanto i pericoli legati a fattori più strettamente tecnici, ma anche quelli connessi alle modalità di lavoro, alla concreta gestione aziendale nonché tutti quelli derivanti dalle più svariate azioni umane.

Secondo la norma, il Documento di Valutazione dei Rischi deve obbligatoriamente contenere: - una relazione sulla valutazione di tutti i rischi, con specificazione dei criteri adottati per la stessa; - l’indicazione delle misure di prevenzione e protezione attuate e dei dispositivi di protezione

individuali adottati a seguito della valutazione;

- il programma delle misure per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza; - l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare;

- l’indicazione del nominativo del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza e del Medico Competente che ha partecipato alla valutazione dei rischi;

- l’individuazione delle mansioni che espongono i lavoratori a rischi specifici e che, pertanto, richiedono riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza, adeguata formazione e addestramento.

Con la redazione di tale documento, la legge viene calata nella specificità di ogni singola azienda, dovendo costituire il risultato critico dell’attività di valutazione svolta in precedenza.

Una volta redatto, il Documento di Valutazione dei Rischi non dovrà considerarsi fisso e immutabile ma essere, anzi, mantenuto costantemente aggiornato e pertinente alle condizioni di svolgimento dell’attività lavorativa, al fine di garantire nel tempo il miglioramento dei livelli di sicurezza consentiti dal progresso tecnologico. Il documento deve avere dunque un carattere dinamico e rimanere sempre aperto e aggiornabile. Il Datore di Lavoro è inoltre tenuto ad allineare il proprio assetto produttivo e organizzativo ai livelli prevenzionali su cui si attesta il progresso scientifico e tecnologico, applicando la miglior tecnologia disponibile. Anche la Corte di giustizia europea, nella causa C-49/00, con la sentenza del 15/11/2001, ha ulteriormente fatto luce sul rapporto tra obbligo di sicurezza ed acquisizioni scientifiche specificando che i rischi professionali che devono essere

oggetto di valutazione da parte dei datori di lavoro non sono stabiliti una volta per tutte ma si evolvono costantemente in funzione, in particolare, del progressivo sviluppo delle condizioni di lavoro e delle ricerche scientifiche in materia di rischi professionali.

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3.5 La legislazione nelle attività estrattive: il D.P.R. 128/59 e il D.lgs. 624/96

Il primo testo di legge specifico per le attività estrattive fu il Decreto del Presidente della Repubblica

n°128, emanato nel 1959 e comprendente ben 693 articoli.

Tale testo è rimasto in vigore nella sua interezza fino al 1996 quando, a seguito del D.lgs. 626/94 del 1994 emesso per regolamentare la sicurezza sui luoghi di lavoro e recepito in attuazione di alcune direttive dell'Unione Europea, fu prodotto uno specifico decreto relativo alle attività estrattive: il

Decreto legislativo n°624.

Il D.lgs. 624/96 ha a sua volta recepito le direttive comunitarie 92/91/CEE, relativa alla sicurezza e salute dei lavoratori nelle industrie estrattive per trivellazione, e 92/104/CEE, relativa alla sicurezza e salute dei lavoratori nelle industrie estrattive a cielo aperto o sotterranee.

Questo testo può essere visto da un lato come una personalizzazione del generico D.lgs. 626/94, dall’altro come un radicale aggiornamento dell’ormai superato D.P.R.128/59.

Molti articoli del vecchio decreto rimangono comunque tutt’oggi in vigore come, in particolare, quelli relativi all’impiego degli esplosivi in cava; gli articoli del D.P.R. 128/59 abrogati e sostituiti dal

D.lgs. 624/96 sono invece elencati all'art.103 di quest’ultimo.

L’ultimo step legislativo avviene con la svolta del 2008, quando il D.lgs. 626/1994 viene completamente trasfuso nel cosiddetto Testo Unico per la Sicurezza sul Lavoro, il D.lgs. 81/08, a sua volta successivamente integrato dal D.lgs. 106/09 recante disposizioni integrative e correttive. Per le misure specifiche relativamente alle attività estrattive, tuttavia, rimane valido accanto al Testo

Unico, quanto prescritto nel D.lgs. 624/96 e gli articoli non abrogati del D.P.R. 128/59.

Ciò, se da un lato non crea particolari problemi per quel che riguarda i due decreti specifici, se non quello di identificare gli articoli ancora in vigore del vecchio testo, è fonte invece di parecchia confusione allineare in maniera corretta ed esaustiva le disposizioni specifiche per il settore con quanto prescritto dal Testo Unico.

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A complicare ulteriormente il quadro, va aggiunta la presenza di una serie di provvedimenti e linee guida emesse dagli organi di vigilanza nella figura delle ASL locali che, spesso, risultano differenti e contrastanti a seconda delle zone amministrative di interesse, in assenza di una linea guida valida a livello nazionale.

I decreti legislativi italiani, per quanto riguarda le attività estrattive, richiedono infatti da parte degli Enti Pubblici preposti quali Regione e Province, verifiche sia del progetto di coltivazione, inclusa un’autorizzazione prima di iniziare le attività, sia dei vari documenti previsti dalle leggi. Inoltre, è prevista un’azione di vigilanza sull’applicazione di quanto in progetto e sul rispetto delle normative tecniche vigenti durante il ciclo produttivo. Data la continua evoluzione tecnica e culturale in atto nel comparto, tale azioni dovrebbero essere impostate con un approccio costruttivo che, superata la mera visione sanzionatoria, favoriscano il progresso verso sempre più elevati livelli di gestione in sicurezza.

Il Documento di Valutazione dei Rischi, di cui all'art.28 del D.lgs. 81/08 e, precedentemente, all’art.4 del D.lgs. 626/94, prende il nome per le attività estrattive di Documento di Salute e Sicurezza (DSS). Così come il DVR, anche il DSS è preparato dal Datore di Lavoro, il quale:

- annualmente attesta che i luoghi di lavoro, le attrezzature e gli impianti sono progettati, utilizzati e mantenuti in efficienza in modo sicuro;

- indica la valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori e le misure adottate per gli elementi indicati all'art.10 del D.lgs. 624/96.

Lo scopo di tale documento resta invariato, così come le responsabilità; tuttavia si ha una maggiore indicazione sui contenuti minimi che esso deve contenere.

In particolare, nel testo dell’articolo, riportato integralmente di seguito, è richiesto che siano trattati una serie di aspetti indicati in un’apposita checklist.

Le misure generali per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, oltre a quelle previste dall'art.3 del decreto legislativo n°626 del 1994 (ora art.15 del nuovo Testo Unico D.lgs. 81/2008), sono le seguenti:

a) i luoghi di lavoro devono essere progettati, realizzati, attrezzati, resi operativi, utilizzati e mantenuti in efficienza in modo da permettere ai lavoratori di espletare le mansioni loro affidate senza compromettere la salute e la sicurezza propria e degli altri lavoratori;

b) i posti di lavoro devono essere progettati e costruiti secondo criteri ergonomici, tenendo conto della necessità che i lavoratori abbiano una visione d'insieme delle operazioni che si svolgono sul loro posto di lavoro;

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c) i lavori comportanti rischi particolari devono essere affidati soltanto a personale competente ed effettuati conformemente alle istruzioni impartite;

d) devono essere fornite attrezzature adeguate di pronto soccorso;

e) devono essere svolte adeguate esercitazioni di sicurezza ad intervalli regolari;

f) i luoghi di lavoro devono essere progettati ed organizzati in modo da impedire l'innesco e la propagazione di incendi e che siano possibili operazioni antincendio rapide ed efficaci;

g) i luoghi di lavoro devono essere dotati di adeguati dispositivi per combattere gli incendi e, ove necessario, di rivelatori d'incendio e sistemi d'allarme;

h) i dispositivi di lotta contro gli incendi devono essere indicati con segnaletica conforme alla normativa vigente, apposta in modo durevole nei punti appropriati, e quelli non automatici devono essere facilmente accessibili, di semplice impiego e protetti contro i rischi di deterioramento; i) i luoghi di lavoro devono essere dotati di mezzi o sistemi adeguati di estinzione o di intervento per interrompere gli incendi, con riferimento alle specifiche caratteristiche dell'impianto riguardanti il materiale estratto o trattato; gli estintori portatili o carrellati devono essere di tipo approvato ed in numero adeguato, ubicati in luoghi facilmente accessibili, segnalati e collocati in posizioni tali da consentirne l'immediato uso;

l) per attività condotte per perforazione, ove necessario, determinate attrezzature devono poter essere azionate per comando a distanza a partire da apposite postazioni; tali attrezzature devono includere i sistemi di isolamento e le valvole di scarico di pozzi, impianti e condotte;

m) ove necessario, occorre indicare i punti sicuri di raduno, tenere un ruolino d'appello e adottare le opportune disposizioni per il suo funzionamento;

n) le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate devono essere verificate periodicamente. In base all'art.6 per il settore estrattivo il documento di valutazione dei rischi - "DVR" -di cui agli articoli 17 e 28 del D.lgs. 81/2008 prende il nome di Documento di Sicurezza e Salute in appresso denominato "DSS", che va trasmesso all'autorità di vigilanza:

a) prima dell'inizio delle attività;

b) in occasione di aggiornamento del DSS.

Il DSS deve contenere la valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori in relazione all'attività svolta e la conseguente individuazione delle misure e modalità operative, indicando in particolare le soluzioni adottate, o l'assenza di rischio, per ciascuno dei seguenti elementi:

a) protezione contro gli incendi, le esplosioni e le atmosfere esplosive o nocive; b) mezzi di evacuazione e salvataggio;

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d) sorveglianza sanitaria;

e) programma per l'ispezione sistematica, la manutenzione e la prova di attrezzature, della strumentazione e degli impianti meccanici, elettrici ed elettromeccanici;

f) manutenzione del materiale di sicurezza;

g) utilizzazione e manutenzione dei recipienti a pressione; h) uso e manutenzione dei mezzi di trasporto;

i) esercitazioni di sicurezza; l) aree di deposito;

m) stabilità dei fronti; n) armature di sostegno; o) modalità della ventilazione;

p) zone a rischio di sprigionamenti istantanei di gas, di colpi di massiccio e di irruzioni di acqua; q) evacuazione del personale;

r) organizzazione del servizio di salvataggio;

s) impiego di adeguate attrezzature di sicurezza per prevenire rischi di eruzione dei pozzi, misure di controllo del fango di perforazione e misure di emergenza in caso di eruzioni;

t) dispositivi di sicurezza e cautele operative in perforazione con fluidi diversi dal fango; u) impiego dell'uso di esplosivo;

v) eventuale programma di attività simultanee; z) criteri per l'addestramento in caso di emergenza; aa) misure specifiche per impianti modulari; bb) comandi a distanza in caso di emergenza; cc) indicazione dei punti sicuri di raduno; dd) disponibilità della camera iperbarica;

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