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Immuno-monitoraggio della Sepsi in Terapia Intensiva

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Academic year: 2021

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INDICE

Capitolo I

INTRODUZIONE……….………5 Epidemiologia………7 Fattori di Rischio………..……….………10 DEFINIZIONI………..15

STADIAZIONE DELLE SEPSI……….17

PATOGENESI……….18

Capitolo II

SEPSI: GENERALITÀ………..19 SIRS………..………..22 CARS………24

Capitolo III

LA RISPOSTA IMMUNITARIA NELLA SEPSI……….………27

La Risposta Immunitaria Innata nella Sepsi……….29

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Capitolo IV

MONITORAGGIO DELLA RISPOSTA IMMUNE………44

Monitoraggio cellulare………..…………..46

Capitolo V

IPOGAMMAGLOBULINEMIA NELLA SEPSI………66

Capitolo VI

STUDIO CLINICO……….76

Obiettivi………78

Popolazione………..79

Disegno dello Studio………81

SAPS II e SOFA……….83

Prelievo ed Analisi dei Campioni……….………..86

Misura dei Livelli delle Classi Immunoglobulinche Sieriche IgG, IgM, IgA…….86

Tecnica Nefelometrica: Cenni...……….87

RISULTATI……….88

Caratteristiche Demografiche e Cliniche……….88

PROFILO IMMUNOGLOBULINICO……….……….92

DISCUSSIONE…………..……….105

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I. INTRODUZIONE

Il concetto di sepsi è noto dai tempi di Ippocrate ma è stato solo del XIX secolo che William Osler ha riconosciuto che “fatta eccezione per poche occasioni, il paziente sembra morire più per la risposta del corpo all’infezione che per l’infezione”.

Negli anni è esistita sempre una grande confusione nella definizione della risposta infiammatoria all’infezione e diversi termini sono stati utilizzati intercambiabilmente: setticemia, sepsi, sindrome settica e shock settico. Nella pratica clinica “sepsi” è stato il termine utilizzato con più confusione. Nel 1991 l’American College of Chest Physicians (ACCP) e la Society of Critical Care Medicine (SCCM) si sono riuniti in una “Consensus Conference” allo scopo di definire la risposta infiammatoria sistemica all’infezione e nel 1992 hanno introdotto il concetto di “SINDROME DA RISPOSTA INFIAMMATORIA SISTEMICA” (SIRS) che fa riferimento alle conseguenze dell’attivazione della risposta immunitaria innata, indipendentemente dalle cause. Con il termine

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4 di SIRS si intende una risposta infiammatoria sistemica che può essere scatenata da una varietà di condizioni, sia infettive che non infettive. I segni della SIRS possono manifestarsi in assenza di infezione in pazienti con ustioni, pancreatiti e altri stati patologici.1

Con il termine di SEPSI invece viene identificata la condizione clinica caratterizzata dalla contemporanea presenza di SIRS e di infezione accertata o sospetta.

Con il termine di SEPSI SEVERA si intende una condizione di sepsi accompagnata da disfunzione d’organo acuta, includendo ipoperfusione e ipotensione.

Con il termine di SHOCK SETTICO infine si fa riferimento ad una condizione di sepsi con ipotensione o ipoperfusione tissutale persistente o refrattaria al trattamento nonostante un’adeguata fluidoterapia. 2

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5 Tab.1. Criteri diagnostici ACCP/SCCM.

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EPIDEMIOLOGIA

Attualmente sono stati effettuati degli studi sulla sepsi sia nei paesi più sviluppati che in quelli in via di sviluppo. In generale si può affermare che nei paesi più sviluppati si presenta approssimativamente nel 2% di tutte le ospedalizzazioni e tra il 6 e il 30% dei casi di tutti i pazienti di terapia intensiva, con delle variazioni sostanziali derivanti dalla tipologia di reparto (ad esempio ha una prevalenza maggiore nei pazienti di terapia intensiva con trauma rispetto a quelli di una terapia intensiva cardiologica).

Nei paesi più sviluppati l’incidenza di sepsi severa è stata riconosciuta tra i 50 e i 100 casi per 100,000 abitanti, riflettendo la percentuale dei pazienti che sviluppa disfunzione d’organo e che rientra nella definizione di quadri clinici più gravi, mentre l’incidenza della sepsi è da tre a quattro volte più alta. Negli USA uno studio su un’osservazione di 20 anni ha messo in evidenza un aumento dell’incidenza di sepsi nei pazienti ospedalizzati dell’8.7%. Attualmente si stima che solo negli USA ci sono più di 1,000,000 di casi di sepsi all’anno tra i pazienti ospedalizzati. 3

Gli studi riportano che circa il 30-35% di tutte le sepsi progredisce a sepsi grave o shock settico e circa il 70% dei pazienti con sepsi severa o shock

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7 settico necessita di trasferimento in Unità di Terapia Intensiva (UTI). In UTI la sepsi rappresenta una delle cause più frequenti di ricovero, con un’incidenza di sepsi grave e shock settico compresa tra il 7.5% e il 14.6%.4,5,6

La sepsi, per la sua natura aggressiva e multifattoriale, è una patologia con un alto indice di mortalità. Rappresenta l’11a causa di morte negli USA e la prima causa di morte nelle terapie intensive (circa il 50% entro i 6 mesi dalla diagnosi).6 Il rischio di morte aumenta all’aumentare della gravità clinica e all’aumentare del numero delle insufficienze d’organo. Lo studio Gi.Vi.Ti., condotto nel 2002, in 72 UTI italiane, riporta una mortalità intraospedaliera pari al 31.6% nella sepsi senza insufficienza d’organo, al 52.9% nella sepsi grave e al 79% nello shock settico.6

I dati italiani più recenti indicano un miglioramento della mortalità intraospedaliera dei pazienti con shock settico ricoverati in Terapia Intensiva dal 79% osservato nel 2002 al 59% osservato nel 2009. 7

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FATTORI DI RISCHIO

Gli organismi responsabili della sepsi sono evoluti negli anni. Originariamente è stata descritta come una condizione strettamente connessa ai batteri Gram-negativi. Questo perché la sepsi è stata considerata una risposta all’endotossina -una molecola ritenuta specifica dei batteri Gram-negativi. Alcuni degli studi iniziali, infatti, hanno evidenziato che i Gram-negativi erano tra le più comuni cause di sepsi. Le conoscenze attuali vedono tra le possibili cause qualsiasi microrganismo, anche di origine fungina o virale. Studi epidemiologici più recenti rivelano che i batteri Gram-positivi sono diventati la più comune causa negli ultimi 25 anni.8 Nelle stime più recenti negli USA ci sono circa 200,000 casi di sepsi da Gram-positivi all’anno contro circa 150,000 casi da Gram-negativi.

Mentre l’incidenza di sepsi da infezioni batteriche è aumentata consensualmente all’incremento dei casi di sepsi, quella di origine fungina è aumentata ad una velocità maggiore; questo evento potrebbe spiegare il generale aumento dei casi di sepsi da infezione nosocomiale o potrebbe rappresentare la conseguenza di terapie contro le infezioni batteriche,

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9 promuovendo il ruolo delle infezioni fungine. Se da un lato si è riscontrato questo aumento in generale di tutte le infezioni fungine , dall’altro è stato riscontrato uno shift dalla più comune Candida Albicans ad altre sottospecie come Torulopsis, Glabrata e Krusei. 9,10

Fig.1. Casi di sepsi severa in relazione all’agente causale (Adattato da Martin et al. New Engl J Med 2003;348:1546-1554).

La percentuale di infezioni polimicrobiche, così come il riscontro di batteri multi-resistenti quali Pseudomonas e stafilococchi meticillina-resistenti, è significativamente aumentata negli anni. 11

La sepsi tende a partire da fonti di infezione specifiche e consistenti. Le infezioni respiratorie rimangono invariabilmente le più comuni cause di sepsi,

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10 sepsi severa e shock settico; le altre in ordine di frequenza sono le infezioni genito-urinarie e le fonti addominali di infezione.11

Fig.2. Fonti di sepsi severa (adattato da Angus et al. Crit Care Med 2001;29:1303-10).

Tra i dati epidemiologici dei pazienti bisogna sottolineare l’influenza che fattori quali età, sesso, razza e comorbidità hanno sull’outcome del paziente con sepsi, sepsi severa o shock settico:

Età

C’è una relazione diretta tra l’età del paziente e l’incidenza di sepsi. L’età mediana dei pazienti con sepsi severa in molti studi è compresa tra i 60 e i 65 anni. Le infezioni da Gram-negativi sono più comuni nei pazienti anziani che in quelli giovani. Escherichia Coli è riconosciuto come il più comune patogeno nei pazienti anziani con più di 65 anni, mentre Staphylococcus Aureus è il più frequente microrganismo tra i pazienti giovani.

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11 Le fonti di infezione più comuni variano per età (ad esempio le infezioni del tratto urinario sono più frequenti nei pazienti anziani che nei pazienti più giovani).

Razza

Studi epidemiologici hanno messo in evidenza un’incidenza maggiore nella popolazione nera, suggerendo una possibile predisposizione genetica. Un’alta prevalenza di patologie renali e diabete nella popolazione nera potrebbe spiegare l’alta incidenza di questi quadri clinici. I polimorfismi genetici etnia-specifici, coinvolti nella risposta dell’ospite all’infezione, potrebbero certamente predisporre alcuni gruppi razziali ad un’aumentata incidenza o a peggiori outcome dei pazienti con sepsi.

Sesso

Il sesso maschile è molto più suscettibile del femminile a sviluppare sepsi. In ogni caso non è chiaro se questa differenza possa essere dovuta all’alta prevalenza di comorbidità nell’uomo o al fatto che le donne siano protette contro le alterazioni infiammatorie che si verificano nella sepsi severa e shock settico.

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12 Comorbidità

Pazienti con sepsi severa e shock settico frequentemente evidenziano comorbidità che li predispongono alle infezioni e che potrebbero dare un contributo aggiuntivo alla mortalità. Angus et al. in un grande studio osservazionale sulla sepsi severa hanno notato che la presenza di una qualunque comorbidità nei pazienti si presentava nel 55.5% dei casi, e che le principali condizioni coesistenti erano le malattie polmonari croniche ostruttive (12.3%) e neoplasie non metastatiche (11.6%).12 Annane et al. hanno analizzato 8,251 casi di shock settico in 22 unità di terapia intensiva e in questa serie le più comuni morbidità erano rappresentate da: immunodeficienza (21.9%), malattie croniche polmonari (9.2%) e patologie ematologiche maligne (8.4%).11 Martin et al. in uno studio durato 22 anni hanno identificato 10,319,418 casi di sepsi e le più frequenti comorbidità erano: diabete (12.2%), ipertensione (7%), cancro (14.5%) e insufficienza cardiaca congestizia (8.6%).13

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DEFINIZIONI

“Infezione” e “sepsi” sono termini spesso utilizzati come sinonimi, mentre rappresentano due diverse entità.

L’infezione si definisce come una condizione patologica causata dall’invasione di un tessuto, o di un fluido, normalmente sterili, da parte di un microrganismo patogeno (batteri, funghi, virus, ecc.) o potenzialmente tale.

La SEPSI è la risposta dell’ospite a questa infezione ed è caratterizzata dal rilascio di numerosi mediatori e da una costellazione di sintomi e segni clinici e di laboratorio, che non sono in alcun modo specifici della sola sepsi. Sepsi è quindi uno stato clinico causato dall’interazione fra un agente infettivo (infezione) e l’organismo ospite (risposta sistemica all’infezione-SIRS). L’evoluzione clinica da sepsi a sepsi grave/shock settico può essere molto rapida (es. meninigite batterica) e la mortalità correlata aumenta in maniera esponenziale tra le diverse fasi: dal 10% nel caso di sepsi fino al 60% nel caso di shock settico.

La SIRS può essere scatenata da svariate condizioni, quali traumi, ustioni, interventi chirurgici ed è definita dalla presenza di due o più dei seguenti

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14 segni clinici e laboratoristici: febbre o ipotermia, tachicardia, tachipnea, stato mentale alterato, leucocitosi o leucopenia, iperglicemia, proteina C reattiva o procalcitonina elevate, edema.

La SEPSI SEVERA è una condizione patologica di sepsi complicata da almeno una disfunzione d’organo:

 Sistema nervoso centrale: confusione mentale, sopore, agitazione;

 Apparato respiratorio: dispnea o PaO2 <60mmHg o PaO2/FiO2<250;

 Apparato cardiocircolatorio: PAS<90mmHg o PAM<70mmHg;

 Emocoagulativo: piastrine <100,000/µl;

 Renale: diuresi<0,5mml/kg/h in 2h o creatinina>50% del valore basale;

 Epatico: bilirubina>4mg/dl;

 Sistema metabolico: lattato sierico>18mg/dl.

Lo SHOCK SETTICO infine è quella condizione definita da uno stato di insufficienza circolatoria acuta, caratterizzata da una persistente ipotensione arteriosa non attribuibile ad altre cause e refrattaria ad un’adeguata terapia fluidica. Per ipotensione si intende una pressione arteriosa media (PAM)<70mmHg o comunque una pressione arteriosa sistolica (PAS) ridotta di più di 40mmHg rispetto alla PAS basale del paziente; per refrattarietà alla terapia fluidica si intende l’infusione di più di 20ml/kg tra cristalloidi e colloidi sintetici.7

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STADIAZIONE DELLA SEPSI

Nel 2001 la International Sepsis Definitions Conference ha modificato il modello della SIRS e ha sviluppato un’estesa rivisitazione del concetto di sepsi rispetto a quanto era riportato in letteratura. Questa conferenza ha sviluppato il concetto di un sistema stadiativo per la sepsi basato su quattro caratteristiche riassunte nell’acronimo PIRO: con la lettera P si fa riferimento alla predisposizione, indicando condizioni di co-morbidità pre-esistenti che possano minare la sopravvivenza; con la lettera I si intende l’insulto o l’infezione, che riflette le conoscenze cliniche di come alcuni microrganismi patogeni siano più letali di altri; con la lettera R si fa riferimento alla risposta all’attacco da parte dell’infezione, includendo lo sviluppo di una SIRS; l’ultima lettera O fa riferimento alla disfunzione d’organo e include insufficienza d’organo.14

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PATOGENESI

La patogenesi della sindrome settica è criticamente dipendente dall’attivazione della risposta immunitaria innata. L’immunità innata gioca un ruolo diretto nello sviluppo della sepsi ed è anche cruciale per l’attivazione e la modulazione della tardiva risposta immunitaria adattativa antigene-specifica. Tutte le manifestazioni della sepsi e della risposta infiammatoria sistemica (SIRS) possono essere attribuite alle componenti della risposta immunitaria innata.

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II. SEPSI: GENERALITA’

Fig.3. Fisiopatologia della sepsi.

La sepsi rimane un problema critico (perché associato ad un’importante mortalità e morbidità nonostante il trattamento nei reparti di terapia intensiva) nel quale si verificano alterazioni nella funzione di diversi organi e sistemi. I pazienti settici presentano delle disfunzioni che minano la loro sopravvivenza. Inizialmente si pensava che la sepsi fosse rappresentata unicamente da una esagerata risposta infiammatoria con pazienti che non sopravvivevano a causa dei danni d’organo indotti dall’infiammazione (SIRS). Più recentemente è stata ipotizzata una sostanziale eterogeneità nella sepsi

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18 con alcuni pazienti che si presentano con una risposta immunitaria iper-stimolata e altri con un’immunosoppressione della stessa (CARS). Anche i cambiamenti cellulari rientrano nel tema dell’eterogeneicità della sepsi: alcune cellule come i neutrofili rimangono attivate per lungo tempo e altri cambiamenti cellulari vengono accelerati (come l’apoptosi dei linfociti). Si verificano dei cambiamenti anche nel metabolismo, richiedendo uno stretto e attento monitoraggio. 14

Bone et al. hanno proposto un nuovo disegno per spiegare la patogenesi del processo, considerando la complessità e la natura caotica della risposta alla sepsi. Questo network di eventi era visto come un complesso di interazioni innescate allo scopo di aiutare il corpo contro il grave assalto dell’infezione. Hanno mostrato, inoltre, che questo processo mentre da un lato nasce come supporto e aiuto all’ospite, dall’altro invece può potenzialmente causare vari danni d’organo che possono esitare poi nella morte del paziente. Hanno ipotizzato anche che possano esistere 5 stadi nella cascata di attivazione del processo settico che potrebbero portare ad una multipla disfunzione d’organo e alla morte, se non prontamente corretti. Lo stadio iniziale potrebbe essere rappresentato da una reazione locale al sito di infezione o di danno; questa risposta pro-infiammatoria avrebbe come scopo la limitazione del danno iniziale e la prevenzione della diffusione. La risposta potrebbe poi essere generata allo stadio 2 con la CARS, “sindrome da risposta

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anti-19 infiammatoria compensatoria”, allo scopo di mantenere il bilancio immunologico. Il terzo stadio si verificherebbe quando la SIRS (sindrome da risposta infiammatoria sistemica) diventa vigorosa e predomina sulla CARS; da ciò deriverebbe la progressiva disfunzione endoteliale, l’aumentata permeabilità microvascolare e coagulopatia con l’attivazione del sistema del complemento. Il quarto stadio sarebbe caratterizzato prevalentemente dalla CARS, quando la risposta compensatoria anti-infiammatoria diventa eccessiva portando a immunosoppressione o immunoparalisi. Una risposta CARS esagerata potrebbe rendere l’individuo suscettibile a infezioni nosocomiali e secondarie che possono riattivare la cascata della sepsi. Il quinto stadio sarebbe segnato dalla multipla disfunzione d’organo che rappresenta il risultato finale di un inappropriato bilancio del sistema immune, causato da una disregolazione tra la riposta SIRS e CARS.15

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20 Fig.5. Differenti risposte alla sepsi in tre ipotetici pazienti: la maggiore intensità della risposta anti-infiammatoria (CARS) rispetto alla risposta pro-infiammatoria (SIRS) è il fattore determinante la morte in molti pazienti settici (adattato da Hotchkiss et al. N Engl J Med 2003;348(2):47).

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SIRS

Con il termine di SIRS si fa riferimento ad una risposta infiammatoria sistemica indipendentemente dalla natura dello stimolo che l’ha provocata e potrebbe essere vista come la conseguenza di un’ampia varietà di insulti che inducono anche più di una delle seguenti manifestazioni cliniche: temperatura corporea (>38°C o <36°C), frequenza cardiaca (>90 bpm), tachipnea (manifestata attraverso una frequenza respiratoria >20 atti respiratori al minuto) o iperventilazione (con una pCO2<32mmHg), un’alterazione della conta leucocitaria (>12,000 cu mm oppure <4,000 cu mm) o il riscontro di più del 10% di neutrofili immaturi. Potrebbe essere inoltre correlata ad un gran numero di cause patologiche non infettive come pancreatiti, ischemia, traumi multipli, danno tissutale, shock emorragico, danno d’organo immuno-mediato e somministrazione esogena di alcuni mediatori scatenanti il processo infiammatorio come TNF e altre citochine.

Una complicazione molto frequente della SIRS è lo sviluppo di una disfunzione d’organo sistemica, comprendendo alcune condizioni cliniche

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22 come danno polmonare acuto, shock, insufficienza renale e sindrome da disfunzione d’organo multipla (MODS).

Quando la SIRS è il risultato di un processo infettivo diagnosticato, è chiamata SEPSI. Clinicamente infatti la sepsi è definita come la risposta infiammatoria sistemica alla presenza di un’infezione.16

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CARS

L’acronimo CARS indica una sindrome da risposta anti-infiammatoria compensatoria ed è stato coniato nel 1996 da Bone et al.2 Come il suo precursore SIRS, la CARS è un complesso di pattern di riposte immunologiciche (non ancora chiaramente definite) ad un’infezione grave. La differenza è che mentre la SIRS rappresenta una sindrome pro-infiammatoria che cerca di eliminare gli organismi infettivi tramite l’attivazione del sistema immunitario, la CARS è una deattivazione sistemica della risposta immunitaria che ha lo scopo di ristorare l’omeostasi dopo uno stato infiammatorio. Negli anni è emerso chiaramente che la CARS non è semplicemente una cessazione della SIRS, ma può verificarsi anche indipendentemente dalla presenza di una SIRS.17

Questo concetto di auto-immunosoppressione non è del tutto nuovo, infatti è stato presente negli anni in un’ampia letteratura medica soprattutto nell’ambito della chirurgia e del management delle ustioni. In questo campo sono state ampiamente dimostrate le correlazioni tra il danno tissutale

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24 massivo (che poteva verificarsi come conseguenza di un trauma o di un ustione ad esempio) e la maggior suscettibilità dei pazienti alle infezioni. E’ stata da subito riconosciuta un’anergia di questi pazienti, che indica la disfunzione linfocitaria. Molti ricercatori hanno eseguito studi negli anni ’70 e ’80 per individuare la causa di quest’alterazione immunitaria.18,19,20 Negli anni successivi molto è emerso circa il meccanismo della risposta anti-infiammatoria del corpo ed è diventato chiaro come l’immunosoppressione della sepsi (descritta da Bon et al.2) sia un’altra forma di quella precedentemente descritta. Il termine CARS attualmente è utilizzato per indicare la soppressione della risposta immunitaria che è causata da diversi condizioni cliniche gravi come la sepsi, il trauma, le ustioni e i danni tissutali.

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III. LA RISPOSTA IMMUNITARIA NELLA SEPSI

Fig.6. Schema delle componenti della risposta immunitaria.

Con una migliore conoscenza circa la complessità della fisiopatologia della sepsi, è attualmente riconosciuto che gli eventi immunologici anti-infiammatori si sviluppano durante il decorso clinico della sepsi o successivamente ad esso. In aggiunta va ricordato che la risposta infiammatoria è essenziale per il ripristino dell’omeostasi immune dopo una stimolazione come ad esempio un’infezione, e che questo stato anti-infiammatorio potrebbe esitare in uno stato immunosoppressivo e successivamente in morte a causa dell’incapacità di fronteggiare infezioni secondarie nel periodo post-settico. Le proprietà immuno-soppressive della risposta immune settica sono diventate sempre più evidenti con i continui risultati ottenuti nei reparti di terapia intensiva, come ad esempio il riscontro

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26 di molte morti dovute alla sepsi che non si verificano acutamente ma dopo una permanenza protratta in ospedale.7

I termini utilizzati per descrivere gli eventi anti-infiammatori che si verificano durante la sepsi includono “immuno-soppressione sepsi-indotta”, “immunoparalisi” e “sindrome da risposta anti-infiammatoria compensatoria”(CARS).

Questi termini riflettono la presenza di anergia, deattivazione dei monociti e aumentato rischio di infezioni secondarie tra i pazienti con sepsi.

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LA RISPOSTA IMMUNITARIA INNATA NELLA SEPSI

Il sistema immunitaro innato rappresenta la prima linea di difesa contro patogeni che invadono l’ospite. La sua eccezionale abilità nel rispondere rapidamente ad un ampio range di microrganismi è essenziale per la sopravvivenza. Contiene e combatte l’infezione al punto di ingresso, segnala il pericolo agli altri sistemi e fornisce il tempo necessario alle cellule T e B per diventare efficienti.

In termini evoluzionistici, la risposta immune innata ha conferito un vantaggio in termini di sopravvivenza agli ominidi ancestrali rispetto agli altri primati. Nonostante le componenti molecolari e cellulari del sistema immune innato differiscano lievemente tra le specie dei mammiferi, la risposta immunitaria umana alle componenti microbiche è sicuramente quella più sensibile. Lo svantaggio di questa vigorosa risposta è l’aumentata suscettibilità all’infiammazione sistemica e allo shock. La risposta immunitaria è scatenata dall’attivazione di cellule equipaggiate per l’attacco dei patogeni o di loro componenti specifiche, quali le cellule della linea dei macrofagi/monociti, cellule Natural Killer (NK), cellule dendritiche e cellule

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28 endoteliali. Le cellule attivate secernono mediatori dell’infiammazione incluse citochine (tra cui le più importanti sono il Tumor Necrosis Factor (TNF-α), interleuchine (come IL-1 e IL-6), chemochine (come IL-8), prostaglandine ed istamina. Questi mediatori agiscono sulle cellule endoteliali vascolari causando vasodilatazione ossido nitrico-mediata, aumentata permeabilità vascolare e reclutamento di neutrofili nel tessuto. La cascata coagulativa è attivata localmente con una up-regulation del fattore tissutale endoteliale e riduzione della trombomodulina e dei suoi prodotti anti-trombotici (come la proteina C attivata).

Nella Sepsi Sistemica la risposta infiammatoria locale diventa diffusa. Si ha vasodilatazione sistemica con conseguente ipotensione e riduzione della disponibilità di ossigeno; l’attivazione endoteliale e l’apoptosi portano inoltre ad una perdita dell’integrità vascolare che esita in edema ed essudati proteici. La coagulazione intravasale disseminata (CID) provoca fenomeni microtrombotici nei piccoli vasi, deplezione dei fattori della coagulazione e coagulopatia. L’attivazione dei neutrofili, l’effetto dell’ossido nitrico a livello tissutale, le alterazioni citochine indotte portano ad una produzione delle specie reattive dell’ossigeno (ROS). L’effetto cumulativo di questi cambiamenti porta ad un’aumentata severità della sepsi, con disfunzioni multi-organo e peggioramento della mortalità.

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29 Attivazione della Risposta Immunitaria Innata

Nel tempo le conoscenze circa l’attivazione del sistema immunitario sono cambiate; si è passati dalla semplice discriminazione tra epitopi “self” e “nonself” alla possibilità di apprezzare l’importanza di specifici segnali cellulari di pericolo durante l’innesco, la conduzione e la modulazione della risposta immunitaria. Questi segnali di pericolo possono derivare da fonti endogene, che indicano la presenza di un danno tissutale (prodotti derivanti dalla lisi cellulare, dall’attivazione della cascata coagulativa o del complemento), oppure da fonti esogene (molecole di superficie del microrganismo o materiale genetico). E’ opportuno notare che entrambi questi due tipi di segnali possono scatenare la risposta immunitaria, spiegando quindi le similitudini tra la Sindrome Settica e la SIRS che si presenta secondariamente ad eventi non infettivi, come ad esempio nel trauma, nelle ustioni o nella pancreatite.

Il riconoscimento di questi segnali di pericolo microbici richiede un sistema di recettori che sia sensibile ai componenti strutturali del microrganismo, di modo che quest’ultimo non possa utilizzare la sua variabilità genetica per sfuggire all’individuazione.

I componenti che permettono ai microrganismi di scatenare la risposta immunitaria sono definiti PAMPs, ovvero patterns molecolari associati al

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30 patogeno. Tipicamente i PAMPs includono il lipopolisaccaride (LPS) e il peptidoglicano della parete cellulare dei batteri Gram-negativi e flagellina batterica e DNA o RNA dei batteri Gram-positivi.

Fig.8. PAMPs e recettori associati.

Recettori Toll-Like

I recettori Toll-like (TLR) sono i principali recettori dei PAMPs del sistema immunitario innato e hanno ottenuto questo nome per la somiglianza con i recettori Toll che inizialmente furono identificati nel moscerino Drosophila. Sono stati identificati almeno undici tipi differenti di TRL nei mammiferi; il primo ad essere identificato è stato TRL4 in grado di legarsi e riconoscere l’endotossina batterica, il più potente stimolante della risposta immunitaria innata. Alcuni tipi di TRL sono capaci di interagire con il ligando batterico da soli, ma in molti casi la risposta dipende dall’interazione con svariate e

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31 differenti molecole di superficie. Esiste una differente localizzazione subcellulare dei diversi TRL; ad esempio TRL2 e TRL4 sono espressi sulla superficie cellulare dove più facilmente possono incontrare materiale proveniente dalle pareti batteriche, TRL3 e TRL9 sono invece localizzati dentro gli endosomi dove più facilmente possono incontrare i loro ligandi ovvero i prodotti della lisi dei microrganismi fagocitati. All’inizio l’innesco della risposta immune da parte di un ristretto numero di recettori e ligandi potrebbe sembrare un meccanismo non molto raffinato, in ogni caso la maggior parte dei microrganismi presenta più di un ligando TRL ed è per questo che microrganismi con differenti pattern molecolari possono determinare una differente attivazione dei TRL con una conseguente diversa risposta alle varie classi di patogeni.

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32 Tab.2. Vari tipi di recettori TRL.

Il segnale TRL

La comprensione del meccanismo del segnale attraverso il quale il legame TRL porta all’attivazione della cellula e alla secrezione dei mediatori dell’infiammazione è migliorata negli ultimi anni. Il prodotto finale della trasduzione del segnale intracellulare è l’attivazione di fattori di trascrizione che migrano nel nucleo e modulano la trascrizione dei geni target. Il

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33 principale fattore di trascrizione nell’infiammazione è il fattore nucleare κB (NFκB) che regola positivamente la trascrizione dei geni per la sintesi dei mediatori dell’infiammazione come TNFα, IL e Ciclossigenasi (COX)-2; inoltre i fattori di trascrizione sotto la regolazione TRL inducono la trascrizione di geni pro-apoptotici, anti-apoptotici e anche anti-infiammatori. In ogni caso le modalità attraverso le quali si producono gli effetti della modulazione di queste differenti vie non sono ancora ben conosciute. Quasi tutti i segnali TRL derivano da una via comune mediata da una molecola adattatrice, il fattore di differenziazione mieloide (MyD)-88. I vari mediatori del segnale sono stati identificati e rappresentano il target delle future terapie di immunomodulazione. Myd-88 recluta una kinasi, (IRAK-4) associata al recettore per IL-1 e facilita la fosforilazione di IRAK-1, la quale a sua volta si associa al fattore associato al recettore del TNF (TRAF-6) allo scopo di attivare il complesso TAB che lega la proteina TAK-1, che infine esalta l’attività del complesso kinasi (IKK) e inibitore di NFκB (IκB). NFκB è tenuta inattiva nel citoplasma dal suo inibitore IκB. Il complesso IKK fosforila IκB, portando alla sua degradazione e al rilascio di NFκB libera che può spostarsi nel nucleo; lì subisce una fosforilazione e si associa ad altri regolatori per attivare la trascrizione di geni infiammatori. TRL3 e TRL4 possono accedere alla trascrizione di geni infiammatori attraverso una via diversa ed indipendente da MyD-88 utilizzando le molecole adattatrici contenenti il dominio per il

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34 recettore toll/IL-1 inducente l’interferone β (TRIF) e la molecola adattatrice legata al TRIF (TRAM). Questa via porta ad un’attivazione più lenta di NFκB ed anche ad una trascrizione genica per gli interferoni di tipo 1 attraverso fattori di trascrizioni differenti, i fattori di regolazione dell’interferone (IRF-3). L’attivazione TRL può scatenare una rapida e vigorosa risposta infiammatoria e il segnale TRL è soggetto a regolazione a diversi livelli. Alcune molecole regolatorie sono costitutivamente espresse nei tessuti e nel plasma mentre altre sono indotte dall’attivazione del segnale TRL e forniscono una regolazione negativa attraverso meccanismi di feedback. Esiste un feedback negativo attraverso il quale la via del segnale stessa con il gene dell’inibizione di IκB vanno sotto il controllo diretto della sequenza promotrice legata a NFκB perciò l’attivazione di NFκB si traduce in un incremento della concentrazione di IκB e nella successiva riduzione degli effetti di NFκB.

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RISPOSTA IMMUNE ADATTATIVA NELLA SEPSI

Linfociti T

Per la loro capacità di interagire non solo con le cellule del sistema immunitario innato ma anche con altre cellule della risposta adattativa, i linfociti T svolgono un ruolo importante sia come effettori che come regolatori della risposta immunitaria. Questo è stato confermato attraverso il riscontro di un’aumentata mortalità, di una riduzione della clearance batterica e di un’alterazione nella risposta immune pro-infiammatoria dopo un attacco settico polimicrobico in cavie, in caso di riduzione del livelli di linfociti T e B.22 Esistono diverse evidenze che la risposta immune mediata dai linfociti possa essere disfunzionale nella sepsi severa e che possa svolgere un ruolo chiave nello sviluppo di uno stato di immunoparalisi dei pazienti. Una marcata riduzione del numero di linfociti è stata più volte osservata nella sepsi e questa linfopenia è stata correlata con lo sviluppo di infezioni nosocomiali nei pazienti settici. Durante la fase di immunoparalisi si assiste ad uno shift dei linfociti T verso una risposta immunitaria di tipo Th2. Diversi

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36 studi hanno infatti dimostrato ridotti livelli di citochine Th1 (incluse TNF-α, INF-γ e IL-2) e livelli aumentati di citochine Th2 (soprattutto IL-4).23

Fig.10. Alterazioni dei linfociti T nella sepsi e relativi outcome.

Linfociti B

I linfociti B sono una popolazione eterogenea di cellule con differenti proprietà funzionali e fenotipiche. La maggior parte delle cellule B vengono classificate come cellule B2 convenzionali, includendo le cellule B follicolari che sono caratterizzate da un’elevata espressione di CD23 e bassa espressione di CD21 e le cellule B marginali che esprimono elevati livelli di CD21. La sottopopolazione B-1, che rappresenta una minoranza dei linfociti B, è classificata in B-1a e B-1b in base all’espressione di CD5 sulla superficie

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37 cellulare. Le cellule B-1a hanno un’origine esclusivamente fetale e sono caratterizzate dall’espressione di CD5 (CD5+), da bassa espressione di CD23, dalla capacità sia di produrre anticorpi e IL-10 che di inibire le cellule T. Le cellule B-1b non esprimono CD5, esprimono bassi livelli di CD23 e rispondono a particolari antigeni e polisaccaridi.

Le cellule B giocano un ruolo centrale sia nella risposta immune adattativa che innata attraverso differenti meccanismi, incluso la produzione di anticorpi e la presentazione degli antigeni ai linfociti T. L’interazione dei diversi prodotti batterici con le cellule B potrebbe causare la loro attivazione e la loro secrezione di citochine. Il ruolo dei linfociti B nella patogenesi della sepsi non è stato ancora ben chiarito ma è stato suggerito che queste cellule potrebbero contribuire allo shift verso l’immunosoppressione osservato durante la sepsi. I pazienti con shock settico hanno una severa riduzione dei linfociti B circolanti, questa linfopenia colpisce le cellule B eterogeneamente con una marcata riduzione di CD19+CD23+ e CD19+CD5+ e livelli normali di cellule B CD19+CD69+. Inoltre è stata osservata una differente distribuzione delle popolazioni di linfociti B tra i pazienti con shock settico sopravvissuti e non sopravvissuti. La percentuale di linfociti B CD19+CD23+ sembra essere un biomarker per la prognosi dell’outcome dei pazienti con shock settico.

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38 Meccanismi attraverso i quali la sepsi induce immunosoppressione

Molti studi hanno esaminato i livelli di citochine nella sepsi sia in pazienti che in sperimentazioni animali. Questi hanno dimostrato un marcato aumento dei livelli di citochine pro-infiammatorie come IL-1, IL-6 e TNF-α. Nei pazienti con sepsi non è stato osservato un persistente aumento sistemico delle citochine pro-infiammatorie; mentre le citochine anti-infiammatorie, incluse IL-4, IL-10, IL-13 e TGF-β (transforming growth factor-beta), sono più frequentemente riscontrate e tipicamente aumentate fino ad alti livelli e per una lunga durata di tempo. Queste citochine anti-infiammatorie hanno la capacità di inibire la sintesi di IL-1, TNF-α ed altre principali citochine pro-infiammatorie. Tra tutte le citochine anti-infiammatorie IL-10 è stata la più studiata e agisce come un potente inibitore della produzione di citochine pro-infiammatorie da parte delle cellule mononucleate.

IL-10 esercita anche un ampio range di effetti anti-infiammatori, inclusa l’inibizione dell’espressione delle molecole del complesso maggiore di istocompatibilità di classe II (MHC-II) da parte dei monociti, la down-regulation dell’espressione del recettore per il TNF, l’inibizione dell’attività battericida dei macrofagi e l’inattivazione dei fattori di trascrizione pro-infiammatori più importanti (NFκB) dopo la stimolazione da parte dell’endotossina. In diversi studi sulla sepsi IL-10 è stata trovata a dosaggi elevati, che sembrano essere correlati con una prognosi infausta. I livelli di

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IL-39 10 rimagono elevati fino a 15 giorni dopo l’innesco dello shock settico nei pazienti che non sopravvivono alla sepsi. Altre evidenze sul ruolo dannoso della risposta anti-infiammatoria nella sepsi provengono da studi condotti sulle caspasi, proteasi aspartato-cisteina coinvolte nell’apoptosi e nei processi infiammatori delle citochine. Alcuni studi importanti hanno evidenziato il ruolo di una caspasi anti-infiammatoria, caspasi 12; in particolare hanno scoperto che individui che sintetizzano una forma lunga della caspasi-12 sono iporesponsivi all’endotossina ed hanno un’alta frequenza di sespi.24

Apoptosi

Molti studi hanno dimostrato che l’apoptosi gioca un ruolo importante nel mediare immuno-soppressione indotta dalla sepsi. In aggiunta al contributo dato dalla riduzione delle cellule dendritiche, l’apoptosi è il primo meccanismo di morte delle cellule linfocitarie durante la sepsi.25

In studi su autopsie, la milza e il colon sono stati individuati come i due organi che esibiscono il maggior numero di cellule morte con l’apoptosi come principale meccanismo di perdita di linfociti. Nello specifico, è stata riscontrata una profonda deplezione di cellule B e cellule T CD4+ nella milza dei pazienti settici che invece non è stata riscontrata nei paziente critici non settici. Dal momento che i linfociti producono citochine pro-infiammatorie,

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40 attivano i macrofagi e producono anticorpi, la perdita dei linfociti nella sepsi potrebbe contribuire all’immunosoppressione sepsi-indotta. Inoltre i pazienti sottoposti a cure intensive che presentano una riduzione della conta linfocitaria che dura più di tre giorni sono esposti ad un rischio enormemente più elevato di sviluppare infezioni nosocomiali.26,27,28 Si pensa che la perdita apoptotica dei linfociti T contribuisca allo sviluppo di anergia, che è definita come l’assenza di risposta al test cutaneo effettuato con antigeni derivanti dai microbi dei quali ci si potrebbe aspettare una precedente esposizione. Questo indebolimento dell’ipersensibilità ritardata è comunemente presente in sepsi e riflette il difetto monocitario di processazione dell’antigene ed il difetto nella secrezione delle citochine delle cellule T in risposta a specifici antigeni. L’anergia è stata identificata come marker di sepsi e mortalità nei pazienti chirurgici.

Le cellule apoptotiche stesse modulano la risposta infiammatoria nella sepsi. E’ stato dimostrato che la presenza di cellule apoptotiche durante l’attivazione monocitaria aumenti la loro secrezione di IL-10 e TGF-β da un lato e dall’altro riduca la secrezione di TNF-α, IL-1 e IL-12. Questo shift da citochine pro-infiammatorie a citochine anti-infiammatorie in risposta all’endotossina, indebolisce ulteriormente la risposta dell’ospite al patogeno.

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41 I recettori toll-like e la tolleranza all’endotossina

Polimorfismi nel recettori toll-like sono stati associati ad una aumentato rischio di infezione. Mutazioni del TRL4 e CD14 che formano il principale complesso recettoriale per LPS sono state studiate a proposito del loro ruolo nell’influenzare la responsività all’endotossina. I polimorfismi a singolo nucleotide (SNPs) identificati in TRL4 e CD14 sono stati associati ad un fenotipo iporesponsivo.

La tolleranza all’endotossina è il fenomeno attraverso il quale una cellula sviluppa ridotta responsività all’endotossina dopo ripetute esposizioni a LPS. Il significato clinico dell’iporesponsività è legato al riscontro che bassi livelli di TNF-α stimolato dall’endotossina sono associati a peggiori outcome dei pazienti in unità di terapia intensiva, necessitando di una degenza più lunga, di più giorni di ventilazione meccanica e presentando rischi più alti di infezione e conta leucocitaria aumentata. Inoltre il fenomeno della tolleranza all’endotossina/TRL è considerato come una fattore che aumenta la suscettibilità alla reinfezione nei pazienti con sepsi severa.29,30

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42

IV. MONITORAGGIO DELLA RISPOSTA IMMUNE

Sono stati effettuati un gran numero di studi sulla misurazione delle concentrazioni plasmatiche dei vari mediatori, ma nessuno di questi è stato consensualmente accettato. Sono state messe in evidenza numerose correlazioni tra elevati livelli di alcune citochine circolanti e outcome avversi, ma nessuna viene routinariamente utilizzata per monitorare e stadiare il paziente. Questo vale in particolar modo per TNF-α, IL-6 e IL-8 che sono state molto studiate nell’ultimo ventennio ma che non hanno fornito ancora dei risultati chiari. Un’alternativa per la stadiazione e monitoraggio di questi pazienti potrebbe essere la stratificazione degli stessi in base alla riduzione dei livelli di questi mediatori pro-infiammatori e al riscontro di aumentate concentrazioni di mediatori anti-infiammatori (che potrebbero rappresentare anche un’indicazione per l’inizio di una terapia immuno-stimolante). E’ stato studiato che IL-10 e IL-10/TNF-α ratio sono, tra tutte le citochine studiate, le più potenti predittrici di mortalità nei pazienti con sepsi severa ed è stato evidenziato (nei pazienti che poi non sono sopravvissuti) che i livelli di IL-10 rimanevano elevati fino a 15 giorni dopo l’innesco dello shock settico.31 Né i

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43 valori di TNF-α, né quelli di TGF-β si sono mostrati ugualmente utili come fattori prognostici favorevoli o sfavorevoli in questi pazienti.

Bisogna tuttavia tener conto che il valore del monitoraggio di un singolo mediatore (o di pochi mediatori) per inquadrare lo stato immunologico del paziente settico rimane discutibile in quanto può fornire solo una visione parziale del disturbo; in aggiunta, l’individuazione dell’aspetto dominante il quadro settico (risposta pro-infiammatoria vs risposta anti-infiammatoria), attraverso le varie misurazioni nel siero, rimane quasi impossibile dato che entrambi i tipi di risposta sono attivati durante lo shock settico.

Un’utile alternativa potrebbe essere rappresentata dall’utilizzo di un ampio gruppo di marker piuttosto che un singolo parametro, permettendo così un miglior inquadramento dei profili pro-/anti-infiammatori.

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44

MONITORAGGIO CELLULARE

Cellule Dendritiche

Le Cellule Dendritiche (DC) sono cellule APC (antigen presenting cells) specializzate nella cattura degli antigeni (Ag). Le cellule dendritiche possono internalizzare l’Ag e processarlo per la sua presentazione ai linfociti T oppure mantenerlo disponibile ai linfociti B in forma nativa sulla loro superficie, giocando un ruolo essenziale nell’immunità adattativa e nell’innesco della risposta immunitaria. In aggiunta sono un’importante fonte di citochine subito dopo l’attacco microbico in modo tale da indirizzare la successiva risposta delle cellule T in tipo 1, in tipo 2 o nel fenotipo regolatorio. La sepsi oltre alla loro deplezione, riduce la loro capacità di innescare le risposte mediate dalle citochine contribuendo all’immunosoppressione attraverso la riduzione della sintesi di IL-12 o la ridotta capacità di attivare cellule T.

Monociti

Durante l’infezione i monociti sono uno dei principali effettori dell’immunità innata. Monociti e macrofagi fagocitano i microbi e rappresentano una fonte di mediatori dell’infiammazione che, a loro volta, attivano e reclutano altre

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45 cellule del sistema immunitario innato. Possono inoltre esercitare effetti diretti anti-microbici attraverso l’attività battericida e la risposta immunitaria adattativa attivata attraverso le cellule APC. I monociti dei pazienti con sepsi da un lato perdono la loro abilità di montare una risposta infiammatoria dopo stimolazione da parte di prodotti batterici e dall’altro lato aumentano la loro produzione di mediatori dell’anti-infiammazione. Un’altra caratteristica dei monociti nella sepsi è la riduzione dell’espressione delle molecole di superficie dell’HLA-DR (human leukocyte antigen-DR).

Il sistema HLA è localizzato nella regione centromerica del braccio corto del cromosoma 6 (banda 6p21.3). Il sistema HLA-DR appartiene al sistema HLA di classe II che è costitutivamente espresso sulla superficie delle APC (monociti, macrofagi, cellule dendritiche e linfociti B). L’espressione dell’HLA-DR dipende da un unico fattore di trascrizione, CIITA (class II transactivator). Le molecole classiche del sistema HLA di classe II sono coinvolte nella presentazione dell’antigene ai linfociti CD4+. Le APC internalizzano l’antigene circolante e dopo la degradazione di quest’ultimo negli endosomi, si fondono con delle vescicole che contengono HLA di classe II, permettendo il loro legame. A questo punto si assiste alla traslocazione del complesso peptide-HLA II sulla superficie della cellula dove può interagire con il recettore delle cellule T associato alla cellula T (TCR), permettendo l’attivazione del linfocita CD4+ e l’iniziazione della risposta immune adattativa.

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46 HLA-DR come Marker della Funzione Immune

Nell’evoluzione della sepsi, da una fase di risposta infiammatoria sistemica ad una fase di risposta anti-infiammatoria, vengono attivati diversi meccanismi compensatori e, tra tutti, la deattivazione monocitaria è caratterizzata da un’incapacità a produrre citochine infiammatorie e da un’alterazione nel meccanismo di presentazione dell’antigene da parte dei monociti a causa della riduzione dell’HLA-DR. Bassi livelli dell’espressione di HLA-DR sembrano associati all’alterazione della funzione dei monociti. mHLA-DR caratterizza il fenotipo dei monociti circolanti e rappresenta il punto di legame tra l’immunità innata e quella adattativa. I livelli di espressione dell’HLA-DR sono considerati come riflesso della funzionalità del sistema immune.

Bassi livelli di HLA-DR sono infatti correlati con la perdita dell’attività dei monociti come la capacità di produrre citochine pro-infiammatorie e di indurre la risposta delle cellule T antigene specifica. Nella maggior parte degli studi in cui si evidenziano livelli bassi di HLA-DR, si riscontrano dei peggiori outcome dei pazienti.32

In uno studio prospettico di 93 pazienti con shock settico, valori persistentemente bassi di monociti HLA-DR, definiti come <30% almeno 3-4 giorni dopo l’ammissione in un reparto di terapia intensiva, sono risultati associati alla mortalità e sono stati considerati come predittori migliori

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47 rispetto agli score che valutano le disfunzioni d’organo come SOFA (sequential organ failure assessment).33

I livelli di espressione di HLA-DR sembrano essere negativamente correlati con gli score SOFA, SAPS II e con variabili biologiche come la procalcitonina (PCT).34

Studi osservazionali sull’espressione di HLA-DR durante la sepsi hanno mostrato che dopo un iniziale decremento, l’espressione cambia in due modi diversi: pazienti che presentano uno spontaneo aumento dell’espressione di HLA-DR, raggiungendo livelli affiancabili al gruppo di controllo, hanno un outcome favorevole; pazienti che mantengono bassi livelli di mHLA-DR sviluppano infezioni secondarie. I ricercatori sono interessati all’utilizzo di mHLA-DR come predittore di outcome in due modi: o misurando HLA-DR in alcuni giorni oppure confrontando l’espressione di mHLA di diversi giorni.

Il maggior vantaggio della misurazione delle molecole di superficie come HLA-DR sta nel fatto che il loro livello di espressione è il risultato della somma degli effetti di diversi mediatori, tutti i quali sono regolati durante la sepsi.

In aggiunta, valori bassi di HLA-DR possono eventualmente essere utilizzati per identificare quei pazienti con immuno-paralisi persistente e potrebbero fornire informazioni diagnostiche.

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48 L’utilità clinica di identificare pazienti con bassa espressione di HLA-DR è limitata da una serie di questioni irrisolte. In primo luogo rimane incerto se la ridotta espressione dell’MHC di classe II attualmente porti o sia semplicemente associato all’immunosoppressione indotta dalla sepsi. In secondo luogo, il beneficio di trattare pazienti settici con citochine infiammatorie non è stato ancora dimostrato.

Sono stati fatti dei tentativi di ripristinare la funzione macrofagica attraverso il trattamento con citochine infiammatorie. Due piccoli studi hanno valutato l’uso di INF-γ nei pazienti con sepsi e con bassi livelli di HLA-DR, il risultato è stato che l’utilizzo di INF-γ ha aumentato i livelli di HLA-DR e ha ripristinato la loro capacità di produrre TNF-α e IL-6.

Bisogna ricordare che il fattore stimolante colonie di macrofagi dei granulociti (GM-CSF) è una citochina che stimola un aumento dell’espressione di HLA-DR sui monociti portando ad un aumento della produzione di citochine infiammatorie. La down-regulation del recettore GM-CSF sui monociti settici è stata recentemente dimostrata e potrebbe parzialmente dare una spiegazione alla deattivazione dei monociti che si verifica nella sepsi.

Il valore predittivo dei bassi livelli di HLA-DR rimane pertanto ancora controverso. Monneret et al. hanno eseguito una studio su 86 pazienti con shock settico (tasso di mortalià globale 29% al 28°giorno).33 E’ stata

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49 riscontrata una significativa differenza nell’espressione di HLA-DR tra i pazienti sopravvissuti e non sopravvissuti (43% contro 18%) al 3°-4° giorno con un valore soglia del 30%. Mentre il ruolo predittivo di mortalità di HLA-DR è stato confermato nei pazienti settici in UTI a differenti tempi,35,36 invece studi su una popolazione UTI più ampia hanno riportato che HLA-DR ad un particolare time point non era un marker predittivo di out come.37 Questi studi presentano tuttavia un importante limite: risulta difficile confrontare i risultati ottenuti sia per l’omogeneità del campione (gravità, numero dei pazienti), sia per la lunghezza del monitoraggio, che per le diverse tecniche di misurazione di HLA-DR (che non sono tutte sovrapponibili). In conclusione sembra che comunque il ruolo predittivo per le infezioni nosocomiali di HLA-DR nella sepsi sia ben accettato e che riguardo alla mortalità, sembra esserci una tendenza generale nell’accettare il ruolo di HLA come marker predittivo ma è evidente la necessità di studi addizionali per la conferma di questi risultati.

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50 Fig.11. Misurazione di HLA-DR tramite la citometria di flusso.

Neutrofili

I neutrofili sono una componente cellulare critica dell’immunità innata contro un’estesa varietà di patogeni, inclusi batteri e funghi. Molti aspetti della funzione neutrofila sono disregolati durante la sepsi, nella quale possiamo riscontrare una conta neutrofila aumentata, normale o ridotta. La neutropenia è sempre messa in relazione con outcome peggiori. Nei pazienti con sepsi sono stati individuati neutrofili circolanti con elevati livelli di espressione di marker di attivazione sulla loro superficie cellulare, inclusi CD11b, ICAM-1, MPO e CD66b.

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51 Sono stati riscontrati alti livelli di adesione dei neutrofili all’endotelio vascolare e questo spiega il contributo che la sepsi stessa può dare alla riduzione della conta dei neutrofili circolanti. I neutrofili adesi alla parete vascolare sembrano indurre danno endoteliale,38 formando aggregati di leucociti che potrebbero portare a trombosi microvascolare. La compromissione dell’immunità dell’ospite insieme ad un aumentato danno endoteliale potrebbero minare l’outcome di questi pazienti. Ad ogni modo durante la sepsi gli effetti benefici dei neutrofili devono essere messi a confronto con il potenziale distruttivo dei neutrofili attivati, dal momento che è stato dimostrato che questi ultimi possono mediare un danno polmonare e una multipla disfunzione d’organo.

Espressione di CD64

I granulociti neutrofili esprimono il loro recettore Fcy, conosciuto con il nome di antigene CD64 prevalentemente quando sono attivati. Questo rende l’antigene suddetto un potenziale biomarker per infezione e sepsi. I dati disponibili circa lo studio dei livelli di CD64 come marker di sepsi hanno mostrato un’alta sensibilità (86%) e specificità (87%)38 anche se la qualità metodologica di questi studi è discutibile.

L’espressione dell’antigene CD64 sui neutrofili è stata studiata per diversi anni e presenta diverse caratteristiche che la rendono adatta all’applicazione

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52 clinica: l’espressione di CD64 sui neutrofili non attivati è bassa mentre dopo l’attivazione è significativamente indotta nell’arco di poche ore. Una volta scomparso lo stimolo lesivo, l’espressione di CD64 ritorna ai livelli basali in pochi giorni, inoltre i livelli di CD64 sono relativamente stabili dopo la raccolta del campione di sangue e la prova è semplice e richiede solo piccoli volumi del campione stesso. L’attivazione di CD64 rappresenta un processo fisiologico che gioca un ruolo chiave nella risposta immunitaria innata: i neutrofili che agiscono come fagociti.

L’antigene CD64 è il recettore ad alta affinità per la catena pesante del frammento Fcy delle IgG e può legare IgG1 e IgG3 monomeriche. La fagocitosi dei batteri o di altri microrganismi è mediata dal recettore FcyRI. Al contrario dei monociti nei quali l’antigene CD64 è costitutivamente espresso, nei neutrofili c’è un tasso estremamente basso di espressione del CD64 sulla membrana cellulare, approssimativamente 1000 molecole per cellula. L’espressione di CD64 dei neutrofili aumenta dopo l’attivazione di questi ultimi da parte di citochine infiammatorie nell’arco di 4-6 ore e può raggiungere valori anche 10 volte superiori quelli normali, permettendo una buona discriminazione tra i neutrofili attivati e i rimanenti neutrofili.39,40

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53 Cellule NK

Le cellule Natural Killer (NK) sono linfociti che classicamente vengono considerati come parte del sistema immunitario innato. Rappresentano una piccola parte (4-15%) dei linfociti nel sangue. La loro funzione è regolata da una molteplicità di recettori attivatori o inibitori. La loro naturale citotossicità è controllata da recettori citotossici naturali e la loro citotossicità anticorpo-dipendente è legata al coinvolgimento di CD16/Fcy RIIIa.41 Esistono diverse evidenze che le cellule NK possano essere coinvolte in una funzione chiave nella sepsi. Le cellule NK hanno un ruolo maggiore nella difesa dell’ospite contro le infezioni virali (in particolare herpes virus,42 virus dell’influenza,43 hantavirus44) attraverso una citotossicità diretta contro le cellule infettate dal virus e attraverso una precoce produzione di citochine che possono controllare la replicazione virale, come INF-γ. Le cellule NK partecipano inoltre alle risposte dell’ospite ad altri tipi di infezione come quelle causate dai batteri intracellulari, batteri piogeni, funghi e protozoi.45,46

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54 Fig.12. La funzione delle cellule NK nelle infezioni batteriche.

Come tutti i principali e più precoci produttori di INF-γ nella sepsi, queste cellule sono equipaggiate di molti sensori innati per i DAMPS (damage-associated molecular-pattern molecules) e per i PAMPs (pathogen-(damage-associated molecular-pattern molecules). Spesso le cellule NK sono reclutate insieme ad altre cellule del sistema immune come cellule dendritiche, monociti, macrofagi e neutrofili, i quali oltre ad essere fondamentali per l’attivazione delle cellule NK in risposta all’attacco di diversi patogeni (attraverso il contatto diretto o la secrezione di citochine), partecipano anche allo sviluppo della successiva risposta immunitaria. In diversi studi è stato documentato un possibile ruolo predittivo delle cellule NK nei pazienti con sepsi. Una conta assoluta di cellule NK significativamente alta è stata riscontrata nei pazienti non sopravvissuti. Il ruolo prognostico delle cellule NK (linfociti

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CD3-55 CD16+CD56+) nella sepsi severa è stato dimostrato dall’evidenza della correlazione tra alti livelli di queste cellule nel sangue e mortalità.47

Linfociti T

Studi recenti hanno suggerito che numerose sottopopolazioni di linfociti T regolatori come CD4+CD25+, cellule T NK e cellule T CD8+ hanno la capacità di attivare la soppressione della risposta immunitaria e potrebbero anche essere un’importante componente della disfunzione immunitaria nella sepsi.

Nel 1995 Sakaguchi et al. hanno dimostrato in modelli animali il vasto significato di un sottogruppo di cellule T CD4+CD25+ (definendole cellule Treg) nel combattere l’autoimmunità. In generale esistono due tipi di cellule T regolatorie che intervengono nell’immunità. Le prime ad apparire spontaneamente sono le cellule T CD4+CD25+Foxp3+ che derivano dal timo e che sono state ampiamente studiate per il loro ruolo nell’autoimmunità. Il secondo gruppo comprende una popolazione di cellule Treg che si sviluppa dall’attivazione e dalla differenziazione delle cellule T mature CD4+CD25- in periferia; queste cellule Treg sono anche chiamate cellule Treg adattative o indotte.48,49

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56 Fig.13. Caratteristiche e principali differenze dei linfociti Treg nativi e indotti.

Attualmente è ben riconosciuto che le cellule Treg CD4+CD25+ giocano un ruolo importante nel mantenimento della tolleranza ad antigeni sia self che non-self attraverso la soppressione della risposta delle cellule T aggressive.50,51,52 La funzione primaria delle cellule Treg avviene al sito di infiammazione dove esse stesse modulano la reazione immune attraverso tre principali meccanismi:

-eliminazione diretta delle cellule citotossiche attraverso il contatto cellula-cellula;

-inibizione della produzione di citochine da parte delle cellule citotossiche, in particolare IL-2 e TNF-α.

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57 -secrezione diretta di citochine immunomodulatorie, in particolare TGF-β e IL-10.

Le cellule Treg vengono riconosciute facilmente attraverso l’espressione del regolatore trascrizionale Foxp3, un membro della famiglia dei fattori di trascrizione forkhead che sembra essere un gene importante per lo sviluppo e funzione delle cellule Treg. Mutazioni spontanee o sperimentali del gene Foxp3, infatti, aboliscono la funzione Treg, portando a disordini linfoproliferativi severi. 53,54,55 Inoltre il livello di espressione di Foxp3 potrebbe essere correlato con l’estesa attività soppressiva dei Treg.56

Le cellule Treg sono caratterizzate dall’avere costituitivamente un’ampia espressione sulla loro superficie della catena IL-2Rα (CD25) e di altri marker di superficie, incluso l’antigene 4 associato al CTL (CD152) (CTLa-4) e il recettore per il gene legato alla famiglia del TNF indotto dai glucocorticoidi (GITR). GITR è un membro della superfamiglia dei recettori TNF ed è di solito espresso ad alti livelli sulla superficie dei linfociti Treg CD4+CD25+. E’ espresso a bassi livelli sugli altri linfociti T effettori CD4+CD25- e CD8+CD25-, ma aumenta dopo attivazione.57

La distinzione delle cellule T dagli altri sottoinsiemi di cellule T regolatorie o effettrici presuppone un lavoro impegnativo di laboratorio; questo potrebbe essere in parte dovuto alla difficoltà nel distinguere le cellule Treg dalle

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58 cellule T convenzionali CD25+ soprattutto nel sangue periferico umano, dove più del 20% delle cellule T CD4+ possono esprimere CD25. Recentemente alcuni studi hanno riportato che CD127 (IL-7R), espresso principalmente sui linfociti T CD4+ attivati, può essere d’ausilio nella discriminazione tra linfociti Treg e altre cellule T effettrici.

Grazie alla sua espressione sulla superficie cellulare, CD127 fornisce una flessibile alternativa al fattore di trascrizione Foxp3 per identificare e isolare le cellule Treg umane nelle indagini convenzionali.58,59

Nonstante le cellule T CD4+CD25+ comprendano solo una piccola parte della popolazione dei linfociti T, in realtà sembrano possedere importanti capacità regolatorie sull’attivazione cellulare che le rendono degli importanti protagonisti dell’inibizione della risposta immune nella sepsi.

Monneret et al. hanno effettuato il primo studio focalizzando l’attenzione sul ruolo dei Treg nella sepsi, mostrando un’alta percentuale di cellule Treg circolanti nei campioni ematici dei pazienti in shock settico.60 Come conseguenza dell’innesco di quest’ultimo è stato evidenziato un aumento progressivo dei livelli di cellule T CD4+CD25+ rispetto ai livelli delle stesse cellule nei casi controllo. Nei pazienti settici un significativo aumento del linfociti T CD4+CD25+ era anche CD45RO+ e CD69-, suggerendo che queste cellule non fossero state attivate recentemente dalla sepsi ma che

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59 verosimilmente esistessero in natura cellule Treg. Inoltre è stata riscontrata un’alta percentuale di cellule T CD4+CD25+ nel gruppo dei pazienti non sopravvissuti se confrontati con il gruppo dei pazienti sopravvissuti (38±5% contro 24±3% rispettivamente). Gli autori hanno concluso che la prolungata presenza di cellule T CD4+CD25+ porti ad una severa immunoparalisi e che sia pertanto associata ad una cattiva prognosi.

Un anno dopo lo stesso gruppo (Monneret et al.) ha dimostrato che l’aumentata proporzione del sottoinsieme CD25+ tra i linfociti T CD4+ non sia dovuta ad una proliferazione delle cellule Treg ma ad una deplezione selettiva di cellule T CD4+CD25-.61

Quindi hanno concluso che nonostante un iniziale moderato decremento, le cellule Treg tendevano a rimanere nei range di normalità durante lo shock settico dal momento che erano solo lievemente colpite da fenomeni di morte cellulare. Al contario i livelli di CD4+CD25- erano drammaticamente ridotti fino al 6° giorno di sepsi.

Linfociti B

Le citochine pro-infiammatorie possono anche essere responsabili di un aumento della conta di cellule B. Una famiglia di linfociti B (conosciuta come cellule B1, che sono incapaci di differenziarsi nelle cellule B mature), presenti prevalentemente nella cavità peritoneale e pleurale, possono produrre

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60 Immunoglobuline M (IgM) e IL-10 e modulare la risposta infiammatoria sistemica. Studi su cavie hanno evidenziato la presenza di una popolazione di cellule B effettrici che proteggono dalla sepsi polimicrobica.62 Queste cellule, definite come attivatori della risposta innata, dipendono dai recettori per i PAMPs e producono fattori stimolanti colonie di macrofagi-granulociti. La loro delezione altera la clearance batterica, scatena una tempesta di citochine e può condurre allo shock settico.

In diversi studi è stata posta attenzione sul ruolo e l’importanza della componente cellulare B nell’iniziale risposta immune all’infezione.

Monserrat et al. hanno studiato 52 pazienti con shock settico che erano stati ammessi nel reparto di terapia intensiva, valutando il numero e la distribuzione delle cellule B e in particolare la loro espressione di antigeni di attivazione/redistribuzione (CD69, CD23, CD5), di antigeni di costimolazione (CD80, CD86, CD40) e di regolazione di morte cellulare programmata (CD95) in tempi ben precisi del follow-up (giorni 3, 7, 14 e 28). Si trattava di pazienti con diagnosi di shock settico che avevano un’evidenza clinica di infezione, definita come la presenza di una fonte di infezione nota. Hanno osservato (nell’arco di 24h) una precoce e sostenuta riduzione delle cellule B circolanti, che era associata ad una significativa redistribuzione della sottoclasse di linfociti B, se confrontata con soggetti sani. Le cellule B CD19+CD23+ (cellule B regolatorie attivate) avevano livelli più bassi nei pazienti non sopravvissuti

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61 che in quelli sopravvissuti nel corso dei 7 giorni di follow-up; mentre le cellule B CD19+CD69+ (cellule B precocemente attivate) e l’espressione degli antigeni critici sulle cellule B (CD80, una molecola di co-stimolazione delle celluleT, e CD95, un marker di suscettibilità all’apoptosi) erano più alti nei non sopravvissuti. Inoltre la linfopenia e l’aumentata espressione di CD80 persisteva nei sopravvissuti per tutti i 28 giorni della durata dell’osservazione. Gli autori hanno concluso che nei pazienti con shock settico la componente delle cellule B circolanti era precocemente e profondamente alterata in termini sia quantitativi che qualitativi e che c’era una stretta relazione tra queste alterazioni e l’outcome dei pazienti.42

In particolare, il numero di linfociti B CD19+CD23+ circolanti sembra essere un valido predittore di mortalità nei pazienti con shock settico all’ammissione (sensitività del 90.9% nel predire il rischio di morte).63

Lo studio di Monserrat e colleghi evidenzia ancora una volta che l’immunosoppressione è comune anche nei primi stadi della sepsi e che i pazienti settici costituiscono una popolazione complessa ed eterogenea che richiede un monitoraggio specifico e l’individuazione di approcci terapeutici.

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62 Immunoglubuline

Si tratta di molecole glicoproteiche ad attività anticorpale, prodotte da linfociti B in risposta a una stimolazione antigenica: la figura cellulare finale della serie di trasformazioni a cui va incontro il linfocita B è la plasmacellula in grado di secernere gli anticorpi maturi, che rappresentano le molecole effettrici dell’immunità umorale.

Tipi di immunoglobuline

Vengono riconosciute 5 classi di immunoglobuline: IgG, IgA, IgM, IgD e IgE, distinguibili in base alla struttura della molecola e identificabili nella pratica clinica in base al diverso peso molecolare tramite l’elettroforesi. Le classi IgG e IgA vengono a loro volta suddivise in sottoclassi (IgG1, IgG2 e IgA1, IgA2 ecc).

La molecola delle immunoglobuline è composta da due catene leggere (L) identiche di 214 amminoacidi (peso molecolare 22 kDa) e da due catene pesanti (H) di 450 amminoacidi (peso molecolare 55 kDa). I due tipi di catene sono tra loro legati da ponti disolfuro. Il trattamento con l’enzima papaina scinde la molecola in due frammenti FAB (Fragment Antigen Binding) o frammento che lega l’antigene, deputato al legame con l’antigene e in un frammento cristallizzabile, Fc (crystalizable fragment). Le immunoglobuline appartenenti a una stessa classe (di stesso isotipo) presentano frammenti Fc

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