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"La trasmissione del cognome paterno ai figli della coppia coniugata. L'impulso dell'Europa al superamento di una regola discriminatoria"

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INDICE

Introduzione

9

CAPITOLO 1: IL NOME DELLA PERSONA: CENNI

STORICI E INQUADRAMENTO

1. Alle origini del patronimico 11 1.1. Nome e predestinazione nelle Sacre Scritture 12 1.2.L'epoca romana tra “ patria potestas” e

attribuzione del patronimico 13

1.3. Il nome nell'Alto Medioevo e l'introduzione

dei primi cognomi 16

1.4. Inizio dell'epoca moderna: il nome

dell'individuo divenuto “soggetto” 18

1.5.La puissance paternelle del Code Napoléon 19

1.6. La patria potestà dal codice del 1942 alla

(2)

2. Il nome e il cognome nel diritto attuale 23

2.1. Il nome come diritto inviolabile dell'uomo 23

2.1.1. Il prenome: regole sull'attribuzione e sulla modifica 24

2.2. Il cognome 25

2.2.1. Il cognome del figlio “nato all'interno del matrimonio” 26

2.2.2. Il cognome del figlio “nato al di fuori del matrimonio 27

2.2.3. Il cognome del figlio “nato al di fuori del matrimonio” e non riconosciuto 28

2.2.4. Il cognome in caso di adozione di un minore 28

2.2.5. Il cognome in caso di adozione di un maggiore d'età 29

2.2.6. Il cognome in caso di adozione in casi particolari 29

2.2.7.Cambiamento del cognome per motivi inerenti alle vicende del rapporto di filiazione 30

3

.

Il concetto di “persona”: evoluzione storica 32

3.1. Il diritto all'identità personale 33

3.2 Diritto al nome tra esigenze privatistiche e pubblicistiche 36

4. Le grandi riforme del diritto di famiglia 37

4.1. La famiglia nella riforma del '75 37

4.2. La legge 54/2006 in tema di affidamento condiviso 41

(3)

4.3.1. La disparità di trattamento tra figli “legittimi” e figli “naturali” 43

4.3.2. Dal dualismo all'unicità dello stato giuridico del figlio 46

4.3.3. La riconoscibilità dei cosiddetti “ figli incestuosi ulteriore novità apportata dalla l. 219/2012 49

4.4. Procedura di cambiamento del cognome: semplificazioni 50

CAPITOLO 2: IL PATRONIMICO: CENNI DI

COMPARAZIONE

1. Impulsi europei al superamento delle discriminazioni nell'ambito dell'attribuzione del cognome 53

1.1 Il Familianname tedesco 55

1.2.La transmission du nom de famille: l'esperienza francese 60

1.3. L'esperienza spagnola 65

1.3.1. Premessa 65

1.3.2. “El nombre” 66

1.3.3. “El apellido” : cenni storici 66

1.3.4. L'attuale disciplina 68

(4)

CAPITOLO 3: IL PATRONIMICO IN ITALIA

1. Origini del problema: la disparità dei coniugi nel Codice

del 1942 e i suoi residui dopo la riforma del 1975 74

2. Il patronimico tra natura consuetudinaria e normativa:

l'orientamento a favore della consuetudine 76

2.1. ...l'orientamento a favore della natura normativa 78 3. Orientamento della giurisprudenza interna. Le principali

pronunce giurisprudenziali in tema di nome e cognome 80

3.1. Cognome materno e identità personale: Cassazione

Civile n. 27069/2011 80

3.2. Filiazione e cognome materno: Cassazione Civile n.

12670/2009 83

3.3. Diritto al nome come “bene della persona” : Tar Liguria

13/01/2012 n. 57 86

3.4. Disciplina interna in caso di trascrizione di un atto di

nascita di persone straniere: Corte d'Appello di Palermo decr.

14/11/2008 87

3.4.1. Riflessioni sulla compenetrazione del diritto

comunitario nell'ordinamento interno alla luce della sentenza

(5)

3.5. Minore e doppia nazionalità dei genitori: Tribunale di

Lamezia Terme, decreto 25 gennaio 2010 91

CAPITOLO 4: IL COGNOME NELLE FONTI

INTERNAZIONALI E NEL DIRITTO EUROPEO

1. Quadro normativo europeo e internazionale 95 1.1. La Convenzione Europea dei diritti dell'uomo 96 1.1.1. Diritto al rispetto della vita privata e familiare ed il

divieto di discriminazione: articoli 8 e 14 CEDU 97

1.2. La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea 99 1.3. La Corte Europea dei diritti dell'uomo 100 1.4. La Corte di Giustizia Europea e gli effetti delle sue

pronunce 103

1.5. Il Trattato CE, in particolare gli articoli 12 sul principio

di non discriminazione e 18 sulla libertà di circolazione e

soggiorno 105

1.6. La Convenzione di New York del 1979 sull'eliminazione

di ogni discriminazione nei confronti delle donne 107

1.7. Riflessioni conclusive: diritto al nome e diritto alla

(6)

2. La giurisprudenza europea in tema di cognome 110 2.1. Il Caso Garcia Avello deciso dalla Corte di Giustizia CE 2

ottobre 2003, n. C-148/02 110

2.1.1. La questione pregiudiziale affrontata nel caso

Garcia Avello 112

2.1.2. La presa di posizione della Corte di Giustizia nel caso

Garcia Avello 113

2.2. Il Caso Grunkin e Paul c. Standesamt Niebüll deciso

dalla Corte di Giustizia, 14 ottobre 2008, n. C-353/06 115

2.3. Pronunce della Corte Europea dei diritti dell'uomo tra

libertà di scelta del prenome o attribuzione del cognome e rifiuti delle autorità nazionali: i casi Guillot c. Francia e Salonen c. Finlandia, Johansson c. Finlandia, Baylac-Ferrer e Suarez c. Francia, Bijleveld c. Paesi Bassi e G.M.B. e K.M. c.

Svizzera,Stjerna c. Finlandia, Szokoloczy-Syllaba e Palffy De

Erdoed Szokoloczy-Syllaba c. Svizzera. 119

2.4. L'uguaglianza tra uomo e donna nei rapporti familiari: i

casi Burghartz c. Svizzera e Unal Tekeli c. Turchia 122

2.4.1. L' Affaire Burghartz c. Svizzera deciso dalla Corte

Europea dei Diritti dell' Uomo 22 febbraio 1994 123

2.4.2. L' Affaire Unal Tekeli c. Turchia deciso dalla Corte

(7)

3. La parità nell'attribuzione del cognome alla prole: il caso dei

coniugi Cusan-Fazzo 125

3.1. L'inizio di un lungo iter giudiziario 125

3.2. Corte Costituzionale, sentenza n. 61/2006 127

3.3. Corte Europea dei diritti dell'uomo: ricorso 77/2014 131

3.3.1. La Corte all'esame della ricevibilità del ricorso: persiste la qualità di “vittima”? 132

3.3.2. Il punto di arrivo di un lungo percorso: la decisione della Corte Europea sul caso Cusan-Fazzo 133

3.3.3. Considerazioni finali 135

CAPITOLO 5: L'ATTUALE SITUAZIONE ITALIANA: DAI

PROGETTI DI LEGGE VERSO L'APPROVAZIONE DI UNA

NUOVA NORMATIVA IN MATERIA

1. Progetti di riforma in materia di cognome dei coniugi e dei figli 137

1.1. Proposte di legge parlamentari della precedente legislatura 138

(8)

1.1.1. La proposta di legge: "Modifiche al codice civile e altre

disposizioni in materia di cognome dei coniugi e dei figli"

(1712/2008) 139

1.1.2. La proposta di legge: "Modifiche al codice civile in

materia di cognome dei coniugi e dei figli" (1053/2008) 143

1.2. I più recenti progetti di legge in materia di cognomi 144 1.2.1. La proposta di legge: "Modifiche al codice civile in

materia di cognome dei coniugi e dei figli" (1227/2014) 145

1.2.2. La proposta di legge: "Modifiche al codice civile e

altre disposizioni in materia di cognome dei coniugi e dei figli"

(1943/2014) 146

1.3. Problematiche riscontrate e stato attuale dei lavori 149 1.3.1. La nuova disciplina sul cognome approvata dalla

Camera dei Deputati il 24 settembre 2014 151

2. Conclusioni, prospettive e riflessioni 153

(9)

INTRODUZIONE

Il presente lavoro affronta l'annoso problema della diseguaglianza tra i coniugi riguardo all'attribuzione e trasmissione del cognome ai figli nati all'interno del matrimonio.

Sulla base di una regola inveterata, il cognome attribuito ai figli nati da genitori coniugati è, automaticamente, quello paterno, anche nell'ipotesi in cui vi sia una concorde volontà contraria da parte dei genitori.

A livello sociale, questa regola è vista, ormai, come anacronistica e non conforme al principio di parità dei coniugi.

In questi ultimi anni, molte sono state le questioni di legittimità costituzionale sollevate di fronte alla Consulta, che ha sì censurato la regola sul piano giuridico ma, l'ha mantenuta intatta nella disciplina interna.

Nel tempo è divenuto solamente possibile per la madre aggiungere il proprio cognome a quello paterno (d.p.R. n. 396/2000).

La pronuncia della Corte Europea del 7 gennaio 2014, comunemente nota come sentenza Cusan-Fazzo c. Italia, ha condannato l'Italia esortandola ad adottare riforme allo scopo di rendere la normativa e la prassi interne compatibili con i principi enunciati nell' articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare dell'individuo ) e 14 ( divieto di attuare qualsiasi discriminazione, tra le quali quella basata sul sesso, rilevante in questo caso) della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo.

All'indomani della pronuncia in questione, sono stati molti i disegni di legge presentati da entrambi i rami del Parlamento.

Nel luglio 2014, la proposta di legge che introduce la libertà di scelta del cognome per i figli, arrivata in Aula della Camera per esser discussa, ha trovato la resistenza di alcuni gruppi di opposizione e di alcuni deputati di

(10)

maggioranza. La proposta è stata rinviata in Commissione per apportare modifiche che potessero appianare le divergenze delle forze politiche. Il 24 settembre 2014, il disegno di legge unificato riguardante le modifiche al codice civile in materia di cognome dei coniugi e dei figli è stato approvato dalla Camera dei Deputati in attesa di passare in votazione al Senato.

Ho deciso di approfondire tale argomento, che mi ha appassionata molto, in quanto ritengo fermamente che questa, sia una regola discriminatoria, ingiusta e diacronica rispetto ai principi che permeano le società moderne quali quello di uguaglianza, di parità tra uomo e donna, diritto alla vita privata e alla libera scelta dei membri della famiglia, senza alcuna ingerenza di tipo pubblicistico, su decisioni che appartengono alla loro autonomia decisionale.

Il nostro lavoro prenderà le mosse da una panoramica storico-culturale delle origini del patronimico fino ad arrivare all'analisi della disciplina del nome, nella sua ampia accezione, nell'attuale normativa.

Si prenderanno in considerazione le più grandi riforme del diritto di famiglia che hanno influito sulla disciplina del cognome e sarà fatto un lavoro di comparazione con le normative dei più grandi Paesi europei. Successivamente si analizzeranno pronunce giurisprudenziali in tema di nome e cognome sia dell'ordinamento interno che a livello comunitario per arrivare infine all'analisi della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo 2014, che ha reso di estrema attualità l’argomento del presente lavoro.

Infatti, a seguito della sentenza della Corte Europea, l' Italia ha l'occasione, finalmente, di potersi allineare alla normativa degli altri Stati dell'Unione e poter, in questo modo, eliminare un aspetto, quale quello del cognome, residuo della antica società patriarcale che in Italia permeava molti aspetti della società e in particolar modo della famiglia.

(11)

CAPITOLO 1

Il nome della persona: cenni storici e

inquadramento

SOMMARIO: 1 Alle origini del patronimico. - 1.1. Nome e predestinazione nelle Sacre scritture. – 1.2. L'epoca romana tra patria potestas e attribuzione del patronimico. - 1.3. Il nome nell'Alto Medioevo e l'introduzione dei primi cognomi. - 1.4. Inizio dell'epoca moderna: il nome dell'individuo divenuto “soggetto”. - 1.5. La puissance paternelle del Code Napoléon. - 1.6. La patria potestà dal codice del 1942 alla riforma del diritto di famiglia. - 2. Nome e cognome nel diritto attuale. - 2.1. ll nome come diritto inviolabile dell'uomo. - 2.1.1. Il prenome: regole sull'attribuzione e sulla modifica. - 2.2. Il cognome . - 2.2.1. Il cognome del figlio “nato all'interno del matrimonio”. - 2.2.2. Il cognome del figlio “nato al di fuori del matrimonio. - 2.2.3. Il cognome del figlio “nato al di fuori del matrimonio” e non riconosciuto. - 2.2.4. Il cognome in caso di adozione di un minore. - 2.2.5. Il cognome in caso di adozione di un maggiore d'età. - 2.2.6. Il cognome in caso di adozione in casi particolari. - 2.2.7. Cambiamento del cognome per motivi inerenti alle vicende del rapporto di filiazione. - 3. Il concetto di “persona”: evoluzione storica. - 3.1. Il diritto all'identità personale. - 4. Le grandi riforme del diritto di famiglia. - 4.1. La famiglia nella riforma del '75. - 4.2. La legge 54/2006 in tema di affidamento condiviso. - 4.3. L'unicità dello stato di filiazione: l. 219/2012. - 4.3.1. La disparità di trattamento tra figli “legittimi” e figli “naturali”. - 4.3.2. Dal dualismo all'unicità dello stato giuridico del figlio. - 4.3.3. La riconoscibilità dei cosiddetti “ figli incestuosi”: ulteriore novità apportata dalla l. 219/2012. - 4.4. Procedura di cambiamento del cognome: semplificazioni.

1. ALLE ORIGINI DEL PATRONIMICO

Il nome, quale simbolo della persona ha assunto nell'evoluzione storica, culturale e sociale, varie sfaccettature e diverse funzioni.

(12)

Il nostro lavoro inizia con il ripercorrere le varie fasi storiche in cui il nome ha cambiato la sua connotazione e approfondisce i diversi contesti storici e culturali in cui si sono affermati tali mutamenti.

1.1. NOME E PREDESTINAZIONE NELLE SACRE SCRITTURE

Il nome, nel comune linguaggio e nell'accezione puramente giuridica, comprende il nome personale o prenome e il cognome, anche detto nome di famiglia, che permette di distinguere una persona all'interno della società da tutti gli altri individui.

Il nome, inteso nella sua accezione più ampia, ha una storia antica e sono doverosi alcuni cenni storico-letterari sull'argomento.

Il nome della persona, nelle Sacre Scritture, si credeva rappresentasse una predestinazione legata alla persona che lo possedeva inoltre, avere un nome, voleva dire “significare qualcosa” (Rt 4,14).1 Si pensava che il nome

che i genitori davano al nascituro esprimesse qualcosa delle aspettative che riponevano nel figlio.

In tutta la storia biblica l' imposizione di un nome da parte di Dio (o di Gesù),invece, stava ad indicare l'elezione o la nomina ad una funzione determinata.

Si credeva,inoltre, che se una persona fosse stata a conoscenza del nome di un altro individuo,questa poteva esercitare un influsso su di essa.

Di grande interesse era il mutamento del nome, che avveniva secondo un disegno imperscrutabile che arrivava dall'Alto e che ritroviamo nel Vecchio Testamento: “ non ti chiamerai più Abram ma ti chiamerai Abramo perchè Padre di una moltitudine ti renderò”2 (Gn. 17,5) Il cambiamento del nome

si realizzava nel momento in cui gli uomini entravano in una nuova

1 D.Ziino, Diritti della persona e diritto al (pre)nome, riferimenti storico-letterari e considerazioni giuridiche, in Giustizia Civile, 2004, pagg. 355 ss.

2 D.Ziino, Diritti della persona e diritto al (pre)nome, riferimenti storico-letterari e considerazioni giuridiche, in Giustizia Civile, 2004, pagg. 355 ss.

(13)

condizione, avevano bisogno di un altro nome ed, in questo caso,la modifica del nome indicava l'ingresso di Abramo in un nuovo ordine di Provvidenza, cioè in un rapporto di Alleanza con Dio.3

La cancellazione del nome di un individuo dal ricordo e dalla storia era, invece, il peggior castigo che potesse capitare ad un uomo.

1.2. L'EPOCA ROMANA TRA PATRIA POTESTAS E ATTRIBUZIONE DEL PATRONIMICO

Secondo l'insegnamento di Gaio, nelle sue Institutiones, la patria potestas nasce come istituto tipicamente romano, del tutto sconosciuto agli altri popoli dell'antichità.

La patria potestas del diritto romano classico rientra nel novero dei rapporti assoluti di matrice familiare e porta con sé la necessità di regolare i rapporti del pater familias con gli altri membri della familia.

Soggetti del rapporto non erano il pater ed i filii familias, ma il pater e tutti gli altri soggetti dell'ordinamento tenuti a rispettare i suoi poteri sui filii e sugli altri discendenti. Le facoltà peculiari del pater familias erano: lo ius vitae ac necis, lo ius vendendi, lo ius noxae dandi e lo ius exponendi. Il “ diritto di vita e di morte” era costituito dalla possibilità offerta dal diritto del pater familias di uccidere la propria prole se lo ritenesse necessario o opportuno; questa facoltà trovò scarsissimo esercizio sin dal periodo arcaico ma, anche se avversato da più parti, lo ius vitae ac necis rimase una prerogativa del pater familias sino al periodo postclassico, quando, per influenza della nascente religiosità cristiana, venne abolito e, agli inizi del IV secolo, Costantino la punì come crimen homicidii.

Lo ius noxae dandi consisteva nella facoltà del pater di procedere alla

3 D.Ziino, Diritti della persona e diritto al (pre)nome, riferimenti storico-letterari e considerazioni giuridiche, in Giustizia Civile, 2004, pag. 355 ss.

(14)

consegna del filius al soggetto contro cui quest'ultimo avesse eventualmente commesso un illecito privato, noxa, al fine di evitare per sé qualsiasi forma di responsabilità. Tramite questa facoltà, il filius consegnato all'offeso (oppure al pater di questi) si ritrovava ad essere sottoposto alla patria potestas della vittima, che poteva esercitare su di lui qualsiasi facoltà concessa al pater familias.

Lo ius vendendi, invece, consisteva nella facoltà per il pater di alienare un proprio filius ad altro pater familias, rendendolo così liber in causa mancipii di quest'ultimo.

Lo ius exponendi, infine, si sostanziava nella facoltà di abbandonare i propri figli neonati in un luogo pubblico, perchè morissero di inedia oppure fossero raccolti e allevati da un altro soggetto, il cosiddetto nutritor.

In definitiva, il filius in potestate era equiparato ad un mero oggetto giuridico, privo di qualsiasi capacità, sul quale il pater poteva esercitare tutte le facoltà sopra dette. 4

Erano filii familias, innanzitutto, coloro che nascevano da matrimonio legittimo5, coloro i quali, mediante la nascita, cadevano sotto la patria

potestas del proprio padre sui iuris.6

Nel caso in cui il padre era a sua volta filius familias, i nati cadevano sotto la patria potestas dell'avo paterno.7

4 AA.VV, Il diritto di famiglia nella dottrina e nella giurisprudenza. Trattato teorico pratico. La filiazione. La potestà dei genitori. Gli istituti di protezione del minore, a cura di G.Autorino Stanzione, volume quarto, 2011, Giappichelli

5 M. Marrone, Manuale di diritto privato romano, 2004, Torino, pagg.143 ss. :” ...per la costituzione del matrimonio non si esigeva alcun rito: sol che vi fossero i requisiti di validità, era sufficiente che tra due persone di sesso diverso si stabilisse convivenza, con la volontà di vivere come marito e moglie. Questo atteggiamento soggettivo era detto “ affectio maritalis”. In difetto, non vi sarebbe stato matrimonio ma concubinato. […] Il matrimonio romano era rigorosamente monogamico: non era concepibile che alcuno nutrisse affectio maritalis contemporaneamente nei confronti di due persone diverse”.

6 M. Marrone, Manuale di diritto privato romano, 2004, Torino, pagg 150 ss.

7 M. Marrone, Manuale di diritto privato romano, 2004, Torino, pag.151: “ Filii familias si diveniva anche per adozione: poteva trattarsi o di adrogatio o di adoptio in senso stretto. L' adrogatio era l'adozione di un sui iuris, l' adoptio in senso stretto, l'adozione di un alieni iuris.”

(15)

Il pater famillias aveva un potere assoluto e centrale all'interno della famiglia e della società e questo si nota anche dalla onomastica. A partire dalla fine dell'età repubblicana (lex Iulia municipalis, 45 a.C.), infatti, il nome di un cittadino romano, maschio e libero di nascita (detto ingenuus), era composto ufficialmente da tria nomina: praenomen, nomen, cognomen, cui si aggiungevano le indicazioni del patronimico e della tribù di appartenenza.

Il praenomen, indicava, in origine, il nome personale di un cittadino romano; a partire dal III sec. a.C., poi, si affermò l'uso di utilizzarne un numero ristretto e in forma abbreviata.

Il nomen (anche detto gentilizio) indicava la famiglia di appartenenza di un individuo e designava tutti i membri di una stessa gens, uomini, donne, liberti. Questo si trasmetteva dal padre ai figli, anche alle figlie femmine, che lo conservavano una volta sposate.

Per quanto riguarda il patronimico, i cittadini romani, uomini o donne, nati da genitori liberi, indicavano il loro status giuridico inserendo a seguito del gentilizio, il praenomen del padre, abbreviato, in caso genitivo, seguito dal sostantivo filius-filia.

Ogni cittadino romano, per fini politici e censitari, inoltre, veniva ascritto ad una tribù, che, in origine, consisteva in una porzione di territorio romano che costituiva una delle unità di voto dei comizi tributi; successivamente, la tribù perse la sua connotazione territoriale e finì per essere un segno distintivo tra coloro che possedevano la cittadinanza e coloro che non la possedevano.

Il cognomen, originariamente, era un soprannome non ufficiale, che aveva lo scopo di distinguere meglio le persone. Esso poteva richiamare le caratteristiche fisiche, caratteriali (ad esempio modestus) , poteva avere carattere bene augurale (felix ).

(16)

dall'età di Silla, per poi generalizzarsi ed essere usato regolarmente tra la fine della Repubblica e la metà del I sec. d. C.

In merito alla onomastica femminile, il nome di una donna ingenua, era costituito dal gentilizio paterno declinato al femminile, che poteva talvolta essere seguito da un cognomen. Il gentilizio paterno, veniva poi conservato anche una volta sposata.8

Come abbiamo appena visto, il patronimico ha radici profonde che risalgono ad una società, quella romana, basata sulla preminenza maschile del pater, nucleo centrale della famiglia e della società.

1.3. IL NOME NELL'ALTO MEDIOEVO E L'INTRODUZIONE DEI PRIMI COGNOMI

Passando all'Alto Medioevo si può notare che in tutti i paesi romanici i primi stanziamenti e le invasioni delle popolazioni germaniche hanno avuto un forte impatto sull'onomastica dei luoghi e delle persone.

I popoli che più hanno lasciato una traccia in tal senso sono i Longobardi e i Franchi.

Presso varie stirpi un ruolo importante riveste la solenne imposizione del nome e il complesso rito del conferimento della personalità al nuovo nato che in pratica rappresenta il riconoscimento da parte del padre.

Da questo momento l'individuo ha più valore , anche nel senso materiale, perchè, ad esempio, l'uccisione di un uomo senza nome veniva considerata meno grave di quella di un uomo dotato di un proprio nome di riconoscimento.

Le scelte del nome non sono casuali: le regole dell'allitterazione e della ripetizione possono assecondare la necessità di trasmettere oralmente,

8 S. Faccini, Lezione 2, Fonti antiche. Modulo:epigrafia latina (lezione 2), Università di Ferrara, 2011/2012, in www. Unife.it

(17)

magari in versi, le genealogie.

Con la conversione cristiana si ebbero delle variazioni e l'imposizione del nome si legò strettamente con l'iniziazione battesimale o con la confermazione. In questo momento, al nome unico non se ne aggiunse altro, essendo sufficiente l'indicazione sottintesa della natio.

Successivamente, con il tramite della tradizione dotta dei grammatici e della comunità di studio e lingua, nella “Enciclopedia di Isidoro da Siviglia” (m. 636), si classificano i Propria Nomina nelle quattro specie di Praenomen, Nomen, Cognomen, Agnomen.

Con l'inizio del secondo millennio dell'era volgare, si ha un incremento della mobilità delle persone come viene dimostrato dal moltiplicarsi, nelle carte, dell'indicazione di provenienza, di conseguenza, all'interno dei gruppi sociali e degli agglomerati urbani, l'incremento demografico pone problemi ai quali il sistema del nome unico ormai non dà un'adeguata risposta. Come si è affermato: “Nel XI secolo, in tutta l'Europa Cristiana, l'onomastica è sfinita: i nomi adempiono ormai male alla loro funzione di distinguere gli individui, giacchè troppi di essi si ripetono.”9

Il formarsi dei cognomi soprattutto nelle città fu conseguenza dello svilupparsi dei comuni, e, da una recente indagine Venezia viene confermata come primo luogo dove sorsero.

Infatti da molti documenti, fin dall'anno 819, emerge la presenza di un secondo distintivo oltre al nome proprio degli individui; tale sistema divenne romanico per forza propria. Addirittura, nel 200, si raggiunse la formula veneziana tipica del trimembre, composta di nome, cognome e soprannome per dare maggiore specificazione.

I cognomi, su studi fatti per il territorio fiorentino, evolvono da patronimici a designazioni collettive della famiglia dal secolo XI al XIV.

Il sistema “nome più cognome “ comincia ad affermarsi; la scelta del prenome è libera anche se comunque non casuale in quanto vi è allusione

(18)

ad un'individualità determinata, si ha un'evocazione di un certo ambiente o un simbolismo fonetico mentre il cognome è un attributo dato all'individuo dalla società. 10

1.4. INIZIO DELL'EPOCA MODERNA: IL NOME DELL'INDIVIDUO DIVENUTO “SOGGETTO”

Con l'inizio dell'epoca moderna, quando l'ordinamento tende a diventare Stato, l'individuo diviene presto “soggetto” e quindi vi è la necessità di maggior certezza nell'individuazione dei soggetti al fine di evitare che si provochino ambiguità sulla validità degli atti o affinchè si abbia, nel diritto penale, più cautela nei confronti dei responsabili.

In questo ambito storico (1500-1600 d.C.) il nome di battesimo sarà solitamente quello d'un santo dalle cui azioni il neofita possa trarre esempio e ne possa avere protezione. Il cambiamento del nome è legittimo purchè non sia fraudolento o a pregiudizio di altri.

Il cognome, allo stesso tempo, diviene sempre più istituzionalizzato e cominciano a “nascere” i primi registri del cosiddetto stato civile che, per assumere legittimità, dovevano possedere le caratteristiche di regolarità ed uniformità di tenuta.

La regolare tenuta dei libri di battezzati e dei matrimoni è ordinata con il Concilio di Trento e viene reso obbligatorio dal Rituale del 1614 che aggiunge anche i registri dei confermati, dei morti, allo stato delle anime.11

Nella storia della letteratura e dell'epica vi sono esempi di chi, per salvarsi, muta il proprio nome. Ad esempio Ulisse che, a Polifemo che gli chiede il suo nome, risponde dicendo che “Nessuno” è il suo nome, così salvandosi dai Ciclopi.

10 E.Spagnesi, Nome (storia) [XXVIII, 1978] , in Enciclopedia del diritto 11 E.Spagnesi, Nome (storia) [XXVIII, 1978] , in Enciclopedia del diritto

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Lo stesso Shakespeare fa cambiare il nome ai protagonisti delle sue opere: in King Lear, in As you like it, in Twelfh Night.12

Ritornando alle riflessioni storico-metodologiche si farà riferimento, in particolare, alla figura della persona e al mutamento della sua posizione da oggetto a soggetto autonomo di titolarità e che ha assunto, nel tempo, il ruolo di protagonista.

A seguito dell'Illuminismo e della Rivoluzione Francese, nel campo legislativo fece seguito il Codice Napoleonico che innovò il diritto privato e influenzò le codificazioni degli altri Stati dell'Europa Continentale.

Il diritto privato infatti venne concepito come “diritto del privato” come tutela dei diritti fondamentali,il soggetto viene preso in considerazione come il naturale titolare di un potere che lo stesso Stato deve garantire. Il Codice Napoleonico, i codici civili preunitari che ne sono scaturiti ed il Codice Civile del 1865 non contemplavano in maniera esplicita il diritto al nome. La vera e propria tutela è stata introdotta dal vigente Codice Civile (artt. 6 7 8) e dalla Costituzione.13

1.5. LA PUISSANCE PATERNELLE DEL CODE NAPOLEON

Passando ad analizzare la società nel diritto francese postrivoluzionario, si nota che la potestà si caratterizzava quale istituto completamente concentrato nella definizione dei poteri paterni e la figura del figlio veniva ridotta a poco più di un bene giuridico cui competeva il solo diritto alla sopravvivenza.

Questa impostazione dell'istituto è sicuramente dovuta alla struttura generale del Code Civil, figlio della borghesia dell'epoca e tutto incentrato

12 D.Ziino, Diritti della persona e diritto al (pre)nome, riferimenti storico-letterari e considerazioni giuridiche, in Giustizia Civile, 2004, pagg. 355 ss.

13 D.Ziino, Diritti della persona e diritto al (pre)nome, riferimenti storico-letterari e considerazioni giuridiche, in Giustizia Civile, 2004, pagg. 355 ss.

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sull'affermazione del diritto di proprietà.

Secondo la puissance paternelle del Code Napoléon, il figlio è assimilato ad un bene del patrimonio paterno e l'istituto è funzionalizzato alla salvaguardia dei beni familiari; era istituto naturalmente connesso alla sola famiglia legittima, spettando esclusivamente al padre legittimo nell'esercizio del governo della famiglia e, l'articolo 203 Code Napoléon, che ne definiva il contenuto, era di conseguenza, collocato tra le disposizioni dedicate ai doveri dei coniugi.

I successivi articoli 374 e seguenti del Code Napoléon definivano concretamente le modalità attraverso le quali il padre avrebbe dovuto educare il figlio. Prima espressione della puissance paternelle era costituito dal droit de garde, cioè dal diritto di sorveglianza, in virtù del quale il figlio non poteva abbandonare la casa paterna senza il consenso del genitore se non per l'arruolamento volontario nell'esercito dopo il diciottesimo anno di età.

Un altro attributo conferito al padre dalla puissance era il droit de correction che consisteva nel potere di chiedere all'autorità giudiziaria di incarcerare il figlio che avesse avuto comportamenti tali da ingenerare nel padre dei gravi motivi.14

Anche in questo caso, la figura paterna si ripercuote anche sulla onomastica. Con riguardo al nome da attribuire ai figli, nella letteratura francese si era posto l'accento sulla mancanza di una norma esplicita del Code Napoléon a tal riguardo. Ma nessun dubbio si aveva sulla trasmissione del patronimico ai figli legittimi: l'antico costume è rimasto in vigore per il semplice fatto che il diritto non ha posto deroghe.

L'interpretazione sistematica di alcune norme del Codice napoleonico dimostra, infatti, che il principio è dato per presupposto. Lo si deduce

14 AA.VV, Il diritto di famiglia nella dottrina e nella giurisprudenza. Trattato teorico pratico. La filiazione. La potestà dei genitori. Gli istituti di protezione del minore, a cura di G.Autorino Stanzione, volume quarto, 2011, Giappichelli

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dall'articolo 57 Code Napoléon ove si prende in considerazione il solo problema dell'attribuzione del prenome al neonato nell'atto di nascita e dall'articolo 321 il quale afferma che l'uso del nome del padre, insieme con il tractatus e la fama, rappresentavano elementi costitutivi del possesso di stato. 15

Alla luce della descrizione della puissance paternelle sembra non esser cambiato niente, o quasi, dai tempi della patria potestas romana, nonostante il passare dei secoli, segno delle profonde radici della tradizione che vedeva la figura maschile in posizione di supremazia.

1.6. LA PATRIA POTESTA' DAL CODICE DEL 1942 ALLA RIFORMA DEL DIRITTO DI FAMIGLIA

Negli ultimi due secoli, si sono succeduti grandi avvenimenti storici e si sono imposti regimi totalitaristi che hanno permeato ed influenzato ogni aspetto della vita sociale, valori e tradizioni compresi.

Infatti, in Italia, il libro primo del Codice Civile, dedicato alle persone, entrato in vigore nel 1939, è figlio non solo della particolare stagione del diritto di famiglia europeo, ma anche dello Stato fascista che era ancora impegnato ad affermare la propria ideologia.

Ne nasce, infatti, una patria potestà volta a garantire l'unità e la solidità della famiglia legittima, affidando il compito ad una figura che concentrasse in sè ogni forma di potere: questo soggetto forte viene individuato per ossequio alla tradizione, nella figura maschile che è allo stesso tempo padre, marito e capo della famiglia.

Il padre aveva l'obbligo di educare i figli con valori che fossero conformi ai principi della morale e al sentimento nazionale fascista.

L'impostazione che si era data all'istituto sembrava indissolubilmente

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legata al regime fascista, ma, nonostante la caduta di esso, sopravvive e supera immutata anche l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana e la decisa affermazione di principi ad essa assolutamente antitetici come quello dell'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi (art. 29, comma 2, Costituzione) o del diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori dal matrimonio (art.30 Costituzione). Solo all'inizio degli anni '70 la prospettiva della centralità del pater familias comincia a venir meno, dal momento che i Tribunali per i minorenni vengono resi autonomi e cominciano ad impostare la loro azione nella direzione della tutela degli interessi della prole.

Da questo momento in poi l'oggetto immediato di protezione non è più soltanto la famiglia e la sua unità ma l'interessi dei figli.

Dopo questa fase, si giunge alla l. 19 maggio 1975, n. 151,con la quale si chiude una prima fase di incisive riforme del Diritto di famiglia. Ciò che risulta, all'indomani della riforma, è un Diritto di famiglia finalmente costituzionalizzato attraverso una serie di direttive che incidono su ogni istituto cardine del primo libro del codice, dal matrimonio alla potestà. La l. n. 151/1975, formalizzando quanto già avvertito a livello sociale, iscrive nel codice il principio dell'uguaglianza tra i coniugi (art. 143 c.c.) , il principio del governo congiunto della famiglia in luogo della potestà maritale (art. 144 c.c.), il principio attraverso il quale i genitori devono prestare una educazione che tenga conto innanzitutto delle naturali inclinazioni della prole e cancella ogni riferimento ai paralizzanti principi della morale fascista.

Il nuovo ruolo assegnato al minore si traduce nel definitivo tramonto della precedente concezione che considerava la potestà quale vero e proprio diritto soggettivo attribuito ai genitori; oggi, il figlio minore è riconosciuto quale persona a tutti gli effetti e non solo quale bene personale dei genitori.

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La potestà, divenuta alla luce della riforma, “responsabilità genitoriale”, implica l'espletamento di un dovere discrezionale poiché guidato dalle capacità, aspirazioni e inclinazioni naturali dei figli minori (art. 315-bis). Ad ogni modo, questo lodevole disegno iniziale non è stato perseguito sempre con coerenza e , difatti, accanto a profonde innovazioni, si possono notare anche notevoli stasi che non collimano con il nuovo impianto generale della disciplina.16

2. IL NOME E IL COGNOME NEL DIRITTO ATTUALE

2.1. IL NOME COME DIRITTO INVIOLABILE DELL'UOMO

Dal punto di vista giuridico, il nome, nell'attuale normativa, è costituito da prenome o nome di battesimo e dal cognome o nome patronimico che ha per funzione quella di identificare un essere umano e per distinguerlo da tutti gli altri suoi simili.

Il diritto al nome rientra tra i diritti inviolabili dell'uomo (art. 2 Costituzione) e contribuisce a tutelare la personalità dell'individuo ed è anche strettamente connesso ad altri diritti inviolabili quali quello all'immagine, all'identità personale e sessuale.

In quanto appartenente alla categoria dei diritti inviolabili, il diritto al nome ha valenza sia nei confronti dei pubblici poteri sia nei confronti del potere privato e la loro caratteristica è l'originalità, l'indisponibilità, l'imprescrittibilità, l'intrasmissibilità.

Il nome, a differenza degli altri mezzi d'identificazione della persona quale il genoma personale ovvero l'insieme delle informazioni genetiche

16 AA.VV, Il diritto di famiglia nella dottrina e nella giurisprudenza. Trattato teorico pratico. La filiazione. La potestà dei genitori. Gli istituti di protezione del minore, a cura di G.Autorino Stanzione, volume quarto, 2011, Giappichelli

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caratteristiche di ciascun individuo appartenente ad una specie di esseri viventi, serve per individuare un dato sociale, esprimendo precisamente le coordinate sociali fondamentali di ciascun individuo. 17

2.1.1. IL PRENOME: REGOLE SULL'ATTRIBUZIONE E SULLA MODIFICA

Secondo il disposto dell'articolo 6, primo comma , codice civile:”Ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito”, mentre al secondo comma viene precisato che il nome comprende tanto il prenome, comunemente detto nome,nome proprio o nome di battesimo ed il cognome, a volte detto nome di famiglia.

L'attribuzione del prenome avviene sempre mediante atto di conferimento compiuto da determinati soggetti o da un pubblico organo, quale l'Ufficiale di Stato Civile (artt.70-72 r.d. n. 1238/1939).

Il prenome ha la funzione di distinguere un soggetto dagli altri componenti del suo gruppo familiare che possiedono lo stesso cognome.

La scelta del prenome non è totalmente libera, infatti l'articolo 72 primo comma del r.d. 1238/1939 proibisce ai genitori di attribuire: lo stesso nome del padre, di un fratello, di una sorella viventi, un cognome come nome, nomi ridicoli o vergognosi o contrari all'ordine pubblico o al buon senso o ancora, che siano contrari al sentimento religioso o nazionale o costituenti determinazioni geografiche.

In seguito ad alcune modifiche apportate al r.d. 1238/1939, la legge n. 935/1966 non ha più vietato di attribuire prenomi stranieri.

Prima della riforma del diritto di famiglia, il potere di scelta del prenome al

17 Sul nome si v. Breccia, Il diritto al nome, nel Commentario Scialoja e Branca; Macioce, Profili del diritto al nome civile e commerciale, Padova, 1984; Nuzzo, Nome( dir.vigente), in Enc.dir., XXV; Coviello, Il nome della persona, in Dir.fam.e pers., 1986, 278 ss.; De Cupis, Nome e cognome, NDI, XI; Alpa e Ansaldo, Le persone fisiche, in Comm. Schlesinger, Milano 1996, 279

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neonato spettava solo al padre o, in caso di suo impedimento, alla madre. A seguito della riforma del 1975 il potere di scelta del nome del nascituro spetta congiuntamente ad entrambi i genitori e, in caso di contrasto tra gli stessi, trova applicazione l'articolo 316, terzo comma , del codice civile, con il ricorso al giudice.

Dal combinato disposto delle disposizioni dell'ordinamento civile (artt. 67, 70, 71, 72, 167 ss. r.d. 1238/1939) e di quelle del codice civile (art. 316 ss.) si evince che la scelta del prenome è un potere-dovere, una estrinsecazione della potestà genitoriale.

L'attribuzione del prenome e il conferimento dello stesso spetta congiuntamente ai genitori (artt. 316, 317 bis codice civile), attenendo la scelta all'ambito della potestà esercitata dagli stessi.

2.2. IL COGNOME

L'originaria attribuzione del cognome è una vicenda che viene sottratta alla volontà dell'interessato dato che consegue direttamente alla costituzione del rapporto di filiazione.

Le regole sull'attribuzione del cognome, infatti, variano a seconda che la persona alla quale deve essere attribuito il cognome sia un figlio nato da genitori coniugati oppure nato fuori dal matrimonio 18 e in quest’ultimo

caso a seconda che esso sia stato riconosciuto da uno o da entrambi i genitori o non riconosciuto.

18 Con la riforma della filiazione del 2012, i termini legittimo e naturale caratterizzanti la natura del figlio, sono stati eliminati, di conseguenza, per comodità espositiva saranno utilizzate le espressioni “figlio nato nel matrimonio” o “figlio nato al di fuori del matrimonio”.

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2.2.1. IL COGNOME DEL FIGLIO “NATO ALL'INTERNO DEL MATRIMONIO”

Al figlio “di genitori coniugati”, viene attribuito in modo automatico il cognome del padre, poiché esso esprime, secondo la tradizione, la sua appartenenza alla famiglia.

Non vi è alcuna norma che contenga esplicitamente tale regola né nel codice civile né nel r.d. 1238/1939.

L'unico riferimento in proposito, anche se indiretto, è contenuto nell'articolo 237 secondo comma, codice civile in tema di possesso di stato.

Tra i fattori che lo sostanziano si menziona la circostanza che il figlio abbia sempre portato il cognome del padre.

Nel dibattito giuridico il patronimico ha sempre sollevato molti dubbi circa la sua collocazione e natura. Come illustreremo più ampiamente nel prosieguo,infatti, esistono due diverse concezioni secondo le quali:

a) l'attribuzione del cognome deriva da una consuetudine che trova origine nella concezione della società patriarcale quale era quella che precedeva la riforma del diritto di famiglia;

b) la regola di attribuzione del cognome si deduce dalla lettura sistematica delle disposizioni del codice afferenti al cognome, di conseguenza, si tratterebbe di una norma implicita.19

L'automatismo dell'attribuzione del cognome paterno, sia esso di natura consuetudinaria o normativa, non ha mai sollevato alcun tipo di problema fin tanto che la società italiana si reggeva sui principi della famiglia di stampo patriarcale. Dal momento in cui si sono cominciati ad affermare i

19 Questa opinione è alla base di alcune pronunce giurisprudenziali in tema di nome, cognome e identità della persona. Si veda ad esempio: Corte Costituzionale, pronuncia n. 61/2006 in Giurisprudenza costituzionale, 2006, 1578, con note di Niccolai, Il cognome familiare tra marito e moglie. Come è difficile pensare le relazioni tra i sessi fuori dallo schema dell'uguaglianza; di Palici, di Suni, Il nome di famiglia: la Corte Costituzionale si tira anocra una volta indietro ma non convince.

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principi di parità tra i sessi, introdotti dalla Costituzione italiana e affermati dalla riforma del diritto di famiglia del 1975 e da Convenzioni di stampo comunitario ed internazionale, sono andate crescendo critiche e problemi circa la sua attribuzione.

La regola sul cognome del figlio “nato all'interno del matrimonio” contiene, infatti, un'evidente disparità di trattamento tra i coniugi potendo, solo il padre, trasmettere al figlio il proprio cognome.

La Corte Costituzionale ha tuttavia respinto il dubbio sollevato in ordine alla legittimità costituzionale della regola alla luce dell'art. 29 Costituzione , nelle sentenze n. 176 e 586 del 198820: ha infatti ritenuto necessario che,

a tutela dell'unità familiare, la legge indichi un criterio atto a stabilire preventivamente il cognome dei figli legittimi; la scelta di tale criterio è compito del legislatore; e il criterio oggi vigente appare razionale rispetto allo scopo indicato.21

2.2.2. IL COGNOME DEL FIGLIO “NATO AL DI FUORI DAL MATRIMONIO”

Se il figlio è nato da “genitori non coniugati”, nato fuori dal matrimonio, il cognome attribuitogli è quello del genitore che lo riconosce per primo e, se lo riconoscono contemporaneamente, gli viene attribuito il cognome del padre, secondo una regola che somiglia a quella per la filiazione nata “all'interno del matrimonio” (art. 262, primo comma , codice civile).22

20 Corte Costituzionale, 11-02-1988 n. 176 FI, 1988, I, 1811, e Corte Costituzionale, 19-05-1988 n. 586 GC, 1988, I, 1649, commentate da Di Cicco, Disciplina del cognome e principi costituzionali, Rass. DC, 1991, 191 ss.; precedentemente v. Id., La normativa sul cognome, cit., in particolare 965 ss.

21 Sul tema si veda Zanetti Vitali, Cognome e appartenenza del figlio alla famiglia legittima, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 1975 pagg. 496

22 Si v. cfr. Arena, Riconoscimento del figlio naturale, consenso del genitore che già riconobbe il figlio, cognome del figlio riconosciuto, in Lo stato civile italiano,1975, fasc. 10, pp. 623; Lombardi, Assunzione del cognome paterno da parte dei figli naturali ex art. 262 c.c., in Foro nap., 1976, pp. 87 ss.; Dogliotti, Sul riconoscimento del figlio naturale: poteri del genitore, interesse del minore, ruolo del genitore minorile, in Foro

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2.2.3. IL COGNOME DEL FIGLIO NATO “ AL DI FUORI DEL MATRIMONIO” E NON RICONOSCIUTO

Se si tratta di un figlio nato da “genitori non coniugati” non riconosciuto da nessuno dei due, l'attribuzione originaria del cognome consegue ad una scelta libera da parte dell'Ufficiale di Stato Civile.

Sarà un cognome di fantasia e dovrà rispondere ai requisiti già indicati dall'articolo 72 del r.d. 1238/1939 : è vietato imporre al bambino cognomi ridicoli, o vergognosi, o contrari all'ordine pubblico o al buon costume, o contrari al sentimento religioso o nazionale, o costituenti denominazioni geografiche, o tali da rivelare la nascita “illegittima”, o aventi importanza storica, o appartenenti a famiglie illustri o anche solo localmente note. Nel caso in cui questi divieti vengano violati, il Pubblico Ministero o qualunque persona interessata può ricorrere al Tribunale con le forme stabilite per il procedimento di rettificazione degli atti dello Stato Civile (artt. 165 ss. r.d. 1238/1939).

2.2.4. IL COGNOME IN CASO DI ADOZIONE DI UN MINORE

In caso di adozione di un minore d'età, questi assumendo la posizione di figlio “nato nel matrimonio” (espressione che ha sostituito quella di “legittimo” eliminata con la riforma della filiazione) assume e trasmette il cognome degli adottanti (art. 27, primo comma l. n. 183 del 1984).

Se l'adozione è disposta nei confronti della moglie separata, ai sensi dell'articolo 25, quinto comma , l'adottato assume il cognome della famiglia di lei (art. 27, secondo comma, l. n. 183/1984).

italiano 1980, fasc. 3 pp. 819 e Id , In tema di attribuzione del cognome al figlio naturale, in Giustizia Civile, 1983, 1883

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2.2.5. IL COGNOME IN CASO DI ADOZIONE DI UN MAGGIORE D'ETA'

Se avviene adozione di una persona maggiore d'età l'adottato acquista il diritto di anteporre il cognome dell'adottante al proprio (art. 299 codice civile, primo comma).

Nel caso in cui l'adottato sia figlio non riconosciuto dai propri genitori, questi assume il cognome dell'adottante e lo mantiene anche qualora venga riconosciuto dopo l'adozione dai propri genitori. Solo nell'eventualità in cui l'adozione venga revocata, il figlio può assumere il cognome dei genitori che lo hanno riconosciuto (art. 299 codice civile, secondo comma). Nell'ipotesi in cui il figlio, successivamente adottato, venga riconosciuto dai suoi “genitori non coniugati” , questi assume il cognome dell'adottante (art. 299 codice civile, secondo comma).23

2.2.6. IL COGNOME IN CASO DI ADOZIONE IN CASI PARTICOLARI

Si parla di adozione in casi particolari quando l'adozione è ammessa nonostante non ricorrano le condizioni di cui al primo comma dell'articolo 7, l. n. 184/1983, ossia la previa dichiarazione dello stato di adottabilità. I minori non dichiarati adottabili possono tuttavia esser adottati:

a) da persone unite al minore, orfano di padre e di madre, da vincolo di parentela fino al sesto grado o da rapporto stabile e duraturo preesistente alla perdita dei genitori;

23 Si v. Scolaro, Sulla questione del cognome del figlio naturale adottato “ in casi particolari” o quale persona maggiore di età, in Il diritto di famiglia e delle persone,1987, fasc. 1, pp. 362

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b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell'altro coniuge;

c)quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo. La legge di riforma dell'adozione all'articolo 55 fa rinvio all'articolo 299 del codice civile per cui “L'adottato assume il cognome dell'adottante e lo antepone al proprio”.24

2.2.7. IL CAMBIAMENTO DEL COGNOME PER MOTIVI INERENTI ALLE VICENDE DEL RAPPORTO DI FILIAZIONE

Vi sono casi in cui la legge prevede che il cognome originariamente attribuito possa o debba essere sostituito in relazione a vicende concernenti il rapporto di filiazione.

Nel caso di figli nati “ al di fuori del matrimonio”, in cui il figlio sia stato riconosciuto dalla sola madre e ne porta, per questo, il cognome, può aggiungervi quello del padre oppure sostituirlo con questo,quando il padre lo riconosca tardivamente oppure in seguito alla dichiarazione giudiziale di paternità naturale (art. 262, secondo comma, codice civile).

La scelta del figlio può essere contenuta nella dichiarazione di assenso di cui all'articolo 250, secondo comma , codice civile; altrimenti si ricorrerà alla procedura per la rettificazione degli atti dello Stato Civile.

Se la dichiarazione o il riconoscimento intervengono durante la minore età del figlio, la scelta sull'assunzione del cognome del padre,dato che non può ovviamente essere presa autonomamente dal minore, spetta al Tribunale per i minorenni, che decide seguendo il criterio del rispetto dell'interesse del minore (art. 262, terzo comma , codice civile); la decisione viene presa con decreto motivato reclamabile con ricorso alla

24 G. Manera, Ancora sul cognome dei minori riconosciuti da un solo genitore naturale e poi adottati con adozione in casi particolari, in Giust. mer. 1993, pg. 46

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Corte d'Appello, sez. per i minorenni.

Il figlio, cui sia stata negata dal giudice minorile l'attribuzione del cognome paterno, può compiere autonomamente una diversa scelta, una volta raggiunta la maggiore età.

Come avremo modo di approfondire nel secondo capitolo, nel paragrafo che tratta l'orientamento della giurisprudenza interna in merito a casi di attribuzione di nome e cognome, la Corte Costituzionale25 ha dichiarato

l'illegittimità costituzionale dell'articolo 262 del codice civile, nella parte in cui non prevede che il figlio naturale, nell'assumere il cognome del genitore che lo ha riconosciuto, possa ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a mantenere, anteponendolo o, a sua scelta, aggiungendolo a questo, il cognome precedentemente attribuitogli con atto formalmente legittimo, ove tale cognome sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale.

Un’altra vicenda destinata ad incidere sul cognome del figlio era rappresentata dalla legittimazione per susseguente matrimonio del figlio nato da “genitori non coniugati”, istituto rivolto a porre “rimedio” agli svantaggi che comportava la posizione di figlio “naturale” e in particolare ad acquistare tutti i diritti riconosciuti al figlio “legittimo”. Questi assumeva il cognome del padre, a somiglianza del figlio “nato nel matrimonio”, qualunque cognome portasse in precedenza.

Attualmente questo profilo è divenuto irrilevante perché l'istituto della legittimazione per susseguente matrimonio (disciplinato dagli artt. 280-290 codice civile) è stato abrogato dopo che la legge 219/2012 ha cancellato ogni differenza di stato tra i figli, siano essi nati o meno da “genitori coniugati”.

25 Corte cost, 23 luglio 1996, n. 297, in Nuove leggi civ. comm., 1997, 637 con nota di Ebene, Corte Costituzionale 23 luglio 1996, n. 297 ( Riconoscimento del figlio naturale e conservazione del cognome originariamente attribuito); in Giurisprudenza costituzionale 1996, 2479, con nota di Ferrando, Diritto all'identità personale e cognome del figlio naturale

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3. IL CONCETTO DI PERSONA: EVOLUZIONE STORICA

Man mano che il concetto di persona si è evoluto, passando dall'essere identificato come mero “oggetto” e arrivando ad esser riconosciuto quale individuo munito di intelletto e sentimenti, anche “il nome” si è adattato a tali sfaccettature.

La rilevanza del nome segue di pari passo l'evoluzione del concetto di “persona”.

Dapprima infatti, il nome rappresentava lo strumento con il quale venivano distinti i diversi individui nella società. Con la nuova visione della “persona” anche il nome è divenuto un diritto inviolabile dell'uomo che ne rappresenta l'identità personale e, in quanto tale, è garantito da leggi e Convenzioni.

Il concetto di persona, storicamente, ha subito un lungo processo di cambiamenti sostanziali nei suoi contenuti giuridici, dando luogo a definizioni sempre differenti con riferimento anche al contesto storico e politico nel quale sono stati formulati.

Nella storia del pensiero, il concetto di “persona” si è affinato e si è avvertita la necessità di distinguerlo dal concetto di individuo, con il quale era confuso, intendendo quest'ultimo come sinonimo di singolarità fisica, come il polo materiale dell'uomo e valido a renderlo diverso dagli altri. Successivamente il concetto di persona si è arricchito anche del “polo spirituale” costituito da intelligenza, volontà, amore.

Su ispirazione delle correnti illuministiche e della rivoluzione francese, venne elaborato, nel campo legislativo, il Codice Napoleonico (1804) che innovò radicalmente il diritto privato e al quale si ispirarono le successive codificazioni approvate negli altri Stati Europei.

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Il diritto privato viene concepito come diritto del privato, come tutela dei diritti fondamentali che l'ordinamento giuridico riconosce al singolo individuo in quanto già spettanti per diritto di natura.

Il soggetto si pone, adesso, al centro dell'attenzione del legislatore. Viene preso in considerazione non già come subiectum, come sottoposto al potere dello Stato, ma come il titolare di un potere che lo Stato deve garantirgli e soggetto è la persona fisica, l'individuo.

3.1. IL DIRITTO ALL'IDENTITA' PERSONALE

Con l'affermarsi del primato della persona nelle Costituzioni moderne, in virtù del quale l'uomo è il fine ultimo dell'ordinamento e non uno strumento per la realizzazione di obiettivi ad esso superiori, si è avvertita l'esigenza di tutelare nuove forme di diritti propri della persona, sia come individuo, sia in quanto appartenente a categorie sociali o titolari di uno status come per i lavoratori subordinati o i minori o ancora i consumatori e le categorie protette.

In questo quadro, il nome non è più soltanto un mezzo d'identificazione della persona ma, come si ricava dall'articolo 6 primo comma codice civile, è anche oggetto di un diritto di chi lo porta, in quanto rappresenta un elemento simbolico che ne sintetizza la personalità.

Il diritto all'identità personale è, in primo luogo, il diritto di cui gode ciascun soggetto, anche collettivo, a che venga riconosciuta o comunque non distorta la sua immagine ideale, cioè quell'insieme di convinzioni politiche, filosofiche, morali, etiche e religiose che lo caratterizzano e che integrano il suo patrimonio culturale così come manifestato nella società in cui vive ed opera.

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un'attenzione crescente alla elaborazione di un'ampia casistica di tutela del nome inteso non solo come elemento di identificazione della persona ma anche come espressione della personalità in senso sociale e morale dell'individuo; a partire dalla fine degli anni '70 infatti non si parla più del consueto diritto al nome ma si crea una nuova “etichetta” alla quale si applicano comunque le stesse disposizioni dettate dall'articolo 6 del codice civile e seguenti: il diritto all'identità personale.

Nella storia della giurisprudenza italiana e comunitaria vi sono state diverse, importanti, sentenze che hanno difeso il diritto all'identità personale con riferimento al cognome assegnato ai figli,soprattutto nati fuori dal matrimonio, e le loro possibili modifiche.

Le più significative degli ultimi anni sono le sentenze di Cassazione Civile, n. 27069/201126 e la n. 14232/201327 alla cui base si è posto l'interesse

del minore con riguardo al diritto del medesimo di poter mantenere l'identità personale che fino a quel momento ha posseduto nell'ambiente in cui ha vissuto.

Il cognome, elemento fondamentale dell'identità personale, non va concepito solo come semplice e neutro elemento identificativo di un dato essere vivente, quanto piuttosto quale momento caratterizzante in ambito sociale il singolo individuo.

Per questo deve essere considerato nell'ambito della tutela dei valori fondamentali della persona e, specialmente, nella prospettiva della protezione della sua identità.

Vi è un passaggio, dunque, da una concezione del cognome quale mero segno di identificazione della discendenza familiare ad una visione che lo inquadra tra gli elementi costitutivi del diritto soggettivo all'identità

26 Cassazione Civile, sez, I, 15 dicembre 2011, n. 27069, in Famiglia e diritto 2/2012, con commento di V. Carbone, Conflitto sul cognome del minore che vive con la madre tra il patronimico e il doppio cognome

27 Cassazione Civile, sez. IV, 5 giugno 2013,n. 14232. in Famiglia e diritto 11/2013, con commento di M.Silvana Forte, La disciplina del cognome del figlio nato fuori dal matrimonio

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personale, intesa come un bene a sé, indipendente dallo status familiare. La disciplina del cognome dei figli nati al “di fuori del matrimonio” viene regolata dall'articolo 262 codice civile, già richiamato; nel caso in cui non vi sia stato il contemporaneo riconoscimento da parte del padre, viene riconosciuta legittima l'applicazione del cognome della madre, qualora sia stata la prima a effettuare il riconoscimento del nato.

L'uso e l'inserimento del minore nel contesto sociale con il cognome materno, rende impossibile applicare, successivamente al riconoscimento paterno, automaticamente la stessa regola adottata per i figli “nati all'interno del matrimonio”, cioè l'attribuzione del solo cognome del padre. Nel caso di tardivo riconoscimento del figlio “naturale” si crea uno spazio di tempo in cui il minore vive e ha rapporti con un cognome che lo identifica.

In tale ipotesi emerge la funzione del cognome nel nostro ordinamento, non solo quella pubblicistica, tesa ad offrire una tutela della famiglia consentendo ai suoi membri di essere identificati come appartenenti a un determinato nucleo familiare, ma assolve alla importante funzione di natura privatistica che è quella di essere uno strumento identificativo della persona.

La protezione dell'identità personale trova il suo nucleo centrale nella tutela del nome, che viene considerato, quindi, come simbolo emblematico della identità personale di un individuo, come aspetto meritevole di protezione della personalità umana.28

28 Così, si veda sentenza Cassazione Civile n. 27069/2011, in Famiglia e diritto 2/2012 con commento di V. Carbone, Conflitto sul cognome del minore che vive con la madre tra il patronimico e il doppio cognome

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3.2. DIRITTO AL NOME TRA ESIGENZE PRIVATISTICHE E PUBBLICISTICHE

Il nome, quindi, ha la importante funzione: a livello pubblicistico, di individuazione dei soggetti all'interno di una moltitudine ma, negli ordinamenti più evoluti , più sensibili ai valori sostanziali della persona umana, si è introdotto anche il principio privatistico di tutela del nome in quanto diritto della persona e come componente del diritto all'identità personale.

La funzione pubblicistica emerge all'interno del regio decreto del '39, specialmente nella parte in cui si prevedeva l'intervento del P.M., o nel riferimento a forme di appartenenza, o all'interesse pubblico.

Il diritto al nome può rappresentare sia il diritto di utilizzare il prenome e il cognome come disciplinato all'articolo 6 del codice civile, sia come diritto di impedire che terzi ne possano far uso senza autorizzazione e che possa recare al titolare conseguenze pregiudizievoli (art. 7 codice civile).

Per dissuadere da questo ultimo tipo di iniziativa, il codice civile predispone le azioni di reclamo e di usurpazione esperibili nei casi rispettivamente in cui ad un soggetto sia contestato l'utilizzo del proprio nome e nel caso in cui, terzi, facciano uso indebito di nome altrui.

In questi casi viene applicata la tutela inibitoria attraverso la quale si avrà la cessazione del fatto lesivo ed una tutela risarcitoria che può consistere anche nella pubblicazione della sentenza quale forma di reintegrazione. E' evidente, come sia nelle pronunce giurisprudenziali che nella disciplina codicistica, emerga lo sforzo di bilanciare la tutela privatistica del diritto irrinunciabile al proprio nome, alla propria personalità, con la tutela degli interessi pubblicistici, affinchè il nome non crei confusione nei rapporti giuridici.

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4. LE GRANDI RIFORME DEL DIRITTO DI FAMIGLIA

Di seguito ci occuperemo delle tre riforme che hanno profondamente modificato la famiglia: la riforma del Diritto di Famiglia del 1975, l'affidamento condiviso apportato dalla l. n. 54/2006, la riforma della filiazione del 2012 e le modifiche apportate all'ordinamento di Stato Civile riguardo alla procedura di modifica del nome nella sua ampia accezione. Queste riforme tendono ad allineare la disciplina della famiglia con i cambiamenti sociali e culturali che la attraversano e toccano per molti aspetti il tema che è oggetto del presente lavoro.

4.1. LA FAMIGLIA NELLA RIFORMA DEL '75

Il modello di famiglia nella mente del legislatore del '42 era fondato su una struttura gerarchica e su una rigida distinzione e attribuzione dell'autorità nella figura del marito-padre che rappresentava il “capo della famiglia”.

Con l'avvento della Costituzione e l'affermazione del principio dell'uguaglianza giuridica tra uomo e donna, tale modello ha iniziato a indebolirsi e sul piano sociale si è diffusa una concezione dei rapporti interni sempre più distante da quella regolata nel codice.

Altro elemento determinante alla riforma del Diritto di Famiglia è stata l' introduzione, anche in Italia, del divorzio (già presente in Francia sin dal Codice civile del 1804) introdotto con la legge Fortuna Baslini del 1 dicembre 1970, n. 898.

Tali cambiamenti sono stati recepiti dalla riforma del '75 che ha, così, modificato sostanzialmente la disciplina del Diritto di Famiglia, modificando

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e integrando alcuni articoli del codice civile.

Si è passati, in questo modo, dal concetto “tolemaico” della famiglia patriarcale a quello “ copernicano” della famiglia nucleare, la quale ruota più intorno ai singoli che alla coppia.29

Il matrimonio, dopo la Novella, attribuisce pari diritti al marito e alla moglie e le nuove norme in tema di potestà parentale conferiscono pari poteri alla madre e al padre.

L'articolo 316 del codice civile “sana” la frattura che esisteva tra titolarità ed esercizio delle potestà rispetto alla figura materna parificando completamente la sua posizione a quella paterna: anche nel rapporto genitori-figli si afferma, quindi, il principio della guida diarchica della famiglia.

Il passaggio dalla patria potestà alla potestà di entrambi i genitori è stato definito uno dei punti fondamentali dell'intera riforma del Diritto di Famiglia.

L'esercizio della potestà è fondato sull'accordo che, in questo caso non rispecchia la natura tecnica-giuridica del termine, bensì si tratta di un compromesso, anche tacito, tra le diverse visioni dei genitori nell'interesse dei figli.

La regola dell'accordo o della contitolarità offre anche una nuova lettura, più vicina al pensiero costituzionale, dei doveri discendenti dalla potestà: prima della riforma, infatti, sulla madre, mera esecutrice di direttive altrui, tali doveri gravavano in forma semplice, in quanto riflesso di scelte che erano operate esclusivamente dal padre, e così essa era tenuta alla semplice sua esecuzione, senza possibilità alcuna di vagliare il concreto interesse del minore.

Alla luce di tale riforma, essendo anche la madre titolare dell'ufficio, i doveri nascenti dalla potestà, di ordine tanto personale quanto

29 V.Carbone, La disciplina Italiana del cognome dei figli nati dal matrimonio, in Famiglia e diritto, 2014 fasc. 3, pp. 212 – 220

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patrimoniale, ricadono nella sua sfera giuridica in quanto funzionalizzati alla protezione del minore, obiettivo che anche la figura materna è chiamata a perseguire e del cui mancato raggiungimento anch'essa dovrà eventualmente rispondere.

La tutela dell'interesse del minore, oggi preminente, deve permeare le scelte che lo coinvolgono. Questo superprincipio trova conferma nelle convenzioni internazionali quali la Convenzione di New York del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo, poi ratificata con legge 176/1991 e nella Convenzione europea di Strasburgo del 25 gennaio 1996, sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, successivamente ratificata con la legge 77 del 2003.

L'obiettivo primario della tutela della personalità del minore viene a condizionare ogni scelta in materia di disciplina dei rapporti familiari, perchè ne è, ormai, il centro.

Per quanto riguarda la disciplina del nome, le modifiche apportate dalla riforma del '75 non hanno intaccato la regola in base alla quale con il matrimonio la moglie assume il cognome del marito.

Il nuovo articolo 143-bis, infatti, dispone che la consorte “aggiunge al proprio cognome quello del marito” che differisce dalla formula del testo abrogato dell'articolo 144 codice civile (“ne assume il cognome”) solo per l'uso del verbo “aggiungere” che rende chiaro il fatto che il matrimonio non fa perdere alla donna il suo cognome precedente e che può anteporlo a quello trasmesso dal marito.

In altri ordinamenti, come vedremo, vengono effettuate scelte diverse e più paritarie quali la scelta di un cognome familiare comune e concordato oppure il mantenimento del proprio cognome.30

Da tutte le modifiche sopra riportate si nota chiaramente, il deciso mutamento dell'angolazione sotto cui viene osservata dall'ordinamento

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l'esperienza familiare: non è più una struttura di tipo gerarchico ,investita di funzioni pubblicistiche e dove l'unico interesse è quello della trasmissione di patrimoni bensì una comunità di affetti, di valori, nella quale è centrale l'attitudine a contribuire allo sviluppo e potenziamento della personalità dei suoi membri. La famiglia è diventata una comunità in cui la saldezza dei vincoli non è affidata a sanzioni penali o civili ma all'impegno morale dei membri stessi alla ricerca di un accordo ma che viene visto “ forse più fragile e precario rispetto a quello imperativistico del capo della famiglia ma solo in grado di garantire ad entrambi i coniugi e all'intera famiglia una più elevata forma di dignità.”31

La famiglia considerata, oggi, come valore da tutelare, alla stregua degli articoli 2, 3, 29 della Costituzione, avente come unico scopo quello di sviluppare la personalità dei singoli appartenenti al gruppo, ha condotto ad un fenomeno di “privatizzazione” e “ funzionalizzazione” del diritto familiare nel senso della preminenza degli interessi dei singoli rispetto alla comunità familiare e della ricerca di un equilibrio tra esigenze individuali e bisogni comuni.

Accanto al modello legale disciplinato all'interno del codice civile, ormai, si impongono una molteplicità di modelli di relazioni familiari (come le coppie di fatto, le famiglie monogenitoriali, le famiglie ricomposte) che emergono dall'evolversi dei costumi e della società e che pretendono di essere disciplinati.

La situazione è complicata dal fatto che questi nuovi modelli sono sempre in aumento e sempre meno istituzionalizzati, nel senso del moltiplicarsi delle convivenze stabili, con figli nati al di fuori del matrimonio.

Nel momento attuale le relazioni familiari non possono essere sottratte alle mutevoli vicende della volontà dei privati la cui conseguenza è il definitivo travolgimento degli status tradizionali.

31 E. Quadri, Il diritto di famiglia:evoluzione storica e prospettive di riforma, in Diritto e Giurisprudenza, 2003, pgg. 267-277

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