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Ecografia renale in corso di patologie infettive nel cane

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Scienze Veterinarie

Scuola di Specializzazione in Patologia e clinica degli animali d'affezione

Ecografia renale nelle patologie infettive

nel cane

Candidata: Dr.ssa Rachele Maurri Relatore: Prof.ssa Simonetta Citi

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INDICE

Riassunto...5

INTRODUZIONE ………...………6

PARTE GENERALE ………..…………...……….7

1) Patologie infettive che coinvolgono i reni ……….…………...….…7

Malattie batteriche ………...……….…..………...……7 Setticemia ...8 Leptospirosi ...9 Brucellosi ...10 Borreliosi ...11 Bartonellosi ...12 Ehrlichiosi/anaplasmosi...13

Ehrlichiosi monocitica del cane ...14

Anaplasmosi ...15

Rickettsiosi...23

Malattie virali...27

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Malattie da protozoi...29 Leishmaniosi...29 Toxoplasmosi...32 Malattie da miceti...36 Aspergillosi...36 Criptococcosi...36 Coccidioidomicosi...37 Malattie da elminti...38 Filariosi...38 Dioctophyma renale...41

2) Quadro ecografico dei reni sani...43

3) Quadro ecografico dei reni con patologie infettive...46

Malattie batteriche ………...………….…..…...……...……47 Setticemia ...47 Leptospirosi ...47 Brucellosi ...49 Borreliosi ...49 Bartonellosi ...50 Ehrlichiosi/anaplasmosi... 50 Rickettsiosi...50 Malattie virali...51

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Adenovirus canino di tipo 1... 51 Malattie da protozoi...52 Leishmaniosi...52 Toxoplasmosi...52 Malattie da miceti...53 Aspergillosi...53 Criptococcosi...53 Coccidioidomicosi...53 Malattie da elminti...54 Filariosi...54 Dioctophyma renale...54

PARTE SPECIALE ………..…………...……….55 Scopo del lavoro………...… 55

Materiali e metodi………. 56

Risultati………. 59

Discussione………... 81

Conclusioni………..…... 102

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Riassunto

Parole chiave: ecografia, reni, malattie infettive, cane

L'ecografia renale è un importante ausilio diagnostico in corso di patologie renali e non solo. In questa tesi si sono studiate le malattie infettive del cane che possono coinvolgere i reni, osservando l'aspetto ecografico dei reni in corso di tali patologie. Sono stati raccolti 126 casi di cani pervenuti all'Ospedale Didattico Veterinario del Dipartimento di Scienze Veterinarie dell'Università di Pisa dal gennaio 2010 all'ottobre 2014 e risultati positivi a diverse malattie infettive. Di ognuno è stato esaminato l'aspetto ecografico dei reni.

Non tutti i cani presentavano anomalie a livello ecografico; di quelli che le presentavano, si è classificata ogni lesione e si sono ricercati elementi tipici di ogni patologia.

E' risultato che spesso le lesioni istologiche presenti nei reni in corso di ogni malattia infettiva potevano avere un riscontro nell'aspetto ecografico dei reni, sebbene non sia semplice classificare e determinare elementi tipici. Gli studi presenti in letteratura riguardo all'ecografia renale in corso di patologie infettive non sono molti, è quindi auspicabile un maggiore i

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INTRODUZIONE

Le infezioni delle vie urinarie nel cane e nel gatto sono piuttosto comuni. In questa tesi prenderemo in considerazione le patologie infettive che coinvolgono i reni e ne individueremo i rilievi ecografici, al fine di definire meglio parametri diagnostici più o meno specifici per varie malattie.

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PARTE GENERALE

1) Patologie infettive che coinvolgono i reni

Gli agenti patogeni di diverse malattie infettive possono colonizzare i reni attraverso la via ascendente dalle basse vie urinarie, per via ematogena o per trauma diretto.

Le infezioni più comuni che coinvolgono il tratto urinario sono di origine prevalentemente batterica, meno comunemente sono causate da virus, miceti, protozoi ed elminti (Bartges & Polzin, 2011).

Alcuni microrganismi determinano vasculiti (per es. Adenovirus di tipo 1, Rickettsia

rickettsii, Coronavirus felino), altri causano un danno renale indiretto, legato alla

risposta immunitaria dell'ospite, attraverso la formazione e deposizione di immunocomplessi con conseguenti glomerulonefriti (es. Leishmania sp., Dirofilaria

sp., Babesia sp., Ehrlichia sp., Borrelia sp.).

Malattie batteriche

Setticemia

Il batterio più comunemente ritrovato in corso di setticemia e conseguente infezione ematogena dei reni è Escherichia coli. Tuttavia sono stati isolati anche altri batteri, principalmente Staphylococcus spp., Streptococcus spp., Proteus spp., Enterococcus spp., Klebsiella spp. e Pseusomonas spp. Questi batteri causano nefrite e pielonefrite,

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fino a provocare insufficienza renale acuta (Acute Kidney Injury, AKI) e possono giungere ai reni anche per via ascendente dalle vie urinarie inferiori.

L'infezione a livello renale e la pielonefrite sono favorite da anomalie strutturali e/o anatomiche delle vie urinarie dell'ospite, cateterizzazioni o altre manovre non del tutto sterili, problemi della minzione, diminuzione della risposta immunitaria come può avvenire in caso di patologie sistemiche, es. diabete mellito, iperadrenocorticismo, oppure per somministrazione di corticosteroidi (Bartges & Polzin, 2011).

Leptospirosi

Eziologia ed epidemiologia

La leptospirosi del cane è una zoonosi sostenuta da Leptospira interrogans, batterio appartenente all'ordine Spirochetales. La malattia può essere causata da diverse sierovarianti del batterio, principalmente L. i. icterohaemorrhagiae e L. i. canicola, meno frequentemente dalle sierovarianti bratislava, pomona, bataviae e

grippotyphosa.

Essendo dotate di scarsa resistenza nell'ambiente esterno, le leptospire colonizzano ospiti "di mantenimento", nei quali l'infezione ha carattere "endemico" ed è caratterizzata da alta recettività dell'ospite, bassa patogenicità del batterio, prolungata leptospiruria e conseguente elevata possibilità di trasmissione dell'infezione. Ogni sierovariante ha uno o più ospiti di mantenimento: nel caso di L. interrogans

icterohaemorrhagiae, questo è rappresentato principalmente da Roditori, mentre L. interrogans canicola si ritrova in cane e suino. La trasmissione a ospiti diversi da

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quelli di mantenimento, detti "accidentali", determina in questi una malattia ben più grave, a carattere "sporadico", con elevata patogenicità e mortalità per l'ospite.

Patogenesi e segni clinici

L. interrogans icterohaemorrhagiae è l'agente eziologico del cosiddetto Weil canino,una sindrome ittero-emorragica acuta, analoga all'affezione dell'uomo

(chiamata, appunto, sindrome di Weil). Il contagio avviene tramite contatto indiretto, per ingestione di acqua o alimenti contaminati da urine di roditori o - meno frequentemente - cani infetti, oppure per penetrazione delle leptospire attraverso soluzioni di continuo della cute nel caso in cui il cane s'immerga in acque particolarmente contaminate. Il periodo d'incubazione è di 5-9 giorni; in concomitanza con la fase di leptospiremia compaiono improvvisamente i primi sintomi: febbre elevata, abbattimento, anoressia, iperemia congiuntivale, in certi casi poliuria e polidipsia. L'arrivo delle leptospire a livello epatico, che in genere coincide con l'abbassamento della temperatura (II-VII giorno), determina lesioni degenerative degli epatociti e infiltrazione infiammatoria dei capillari, che si manifestano con ittero da lieve a intenso. In quest'ultimo caso le mucose assumono una caratteristica tonalità giallo-arancio, per presenza di congestione dei vasi periferici. A livello degli endoteli vasali, infatti, si verificano lesioni degenerative che portano a emorragie.

Anche i reni sono precocemente coinvolti: le leptospire determinano necrosi tubulare diffusa ed edema interstiziale, che clinicamente portano a insufficienza renale acuta con oliguria e ipostenuria o, in casi più gravi, anuria più o meno prolungata. Il quadro renale può cronicizzare: in questo caso si osservano fibrosi e nefrite interstiziali.

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All'esame emato-biochimico si rilevano trombocitopenia, leucocitosi, aumento dei livelli degli enzimi epatici principalmente di colestasi (Bartges & Polzin, 2011), notevole iperazotemia. Le urine appaiono torbide, da giallo carico a color marsala per elevata bilirubinuria, presentano albuminuria, glicosuria, talvolta lieve ematuria e un sedimento attivo con urinocoltura negativa.

A livello dell'apparato digerente si possono osservare lievi vomito e diarrea talvolta emorragica.

L'evoluzione della malattia è generalmente tumultuosa e rapida e porta spesso a morte in 8-10 giorni, nonostante l'intervento tempestivo con antibiotici specifici. Tuttavia esistono forme anitteriche, ben più miti, che passano quasi sempre non diagnosticate.

L. interrogans canicola è responsabile, invece, della malattia di Stoccarda, anch'essa a

elevata mortalità (60-70%) (Farina, Scatozza, & al., 1998). Gli organi maggiormente colpiti, a differenza di quanto avviene nella precedente sindrome, sono i reni e, in conseguenza della grave uremia, l'apparato digerente.

I sintomi iniziali sono analoghi alla sindrome ittero-emorragica (febbre elevata, abbattimento, anoressia, congestione congiuntivale), ma presto compare vomito (causato da gastrite), sempre più frequente, vischioso, giallo per la presenza di bile o rosso-brunastro per la presenza di sangue. Alla gastrite si unisce la stomatite, che si esplicita con piccole lesioni erosive che divengono ulcere a livello della mucosa orale e sulla lingua, con conseguente scialorrea e alitosi. Inoltre, frequentemente sia ha gastroenterite acuta, che si evidenzia, oltre che con il vomito, con ripetute scariche di diarrea emorragica e di odore fetido. Accompagnati a questi sintomi si osservano oliguria o anuria.

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In seguito, generalmente, dopo circa 7 giorni, sopraggiunge la morte; tuttavia, come per la sindrome di Weil, anche per quella di Stoccarda esiste la possibilità di cronicizzazione.

Essendo il cane l'ospite di mantenimento, L. interrogans canicola provoca spesso anche sindromi subcliniche, raramente diagnosticate, nelle quali però si ha un'elevata e prolungata (anche 2 anni) leptospiruria, con conseguente aumentata capacità di diffusione della malattia.

Diagnosi

In caso di sospetta leptospirosi per segni clinici conclamati, è opportuno inviare al laboratorio un campione di sangue durante la fase febbrile e uno di urine. Sul sedimento urinario si può eseguire un esame a fresco, con osservazione al microscopio ottico a campo scuro (si evidenziano batteri di forma spirillare in movimento, oppure IFI. L'esame diagnostico di riferimento, però, è la microagglutinazione su piastra di Martin e Pettit (MAT), da eseguire su un campione di siero prelevato in fase acuta e su uno della fase convalescente: l'aumento del titolo anticorpale tra il primo e il secondo campione deve essere di almeno 4 volte, sebbene titoli di 1:800 siano di per sé significativi.

Altri metodi diagnostici sono l'isolamento su terreno di coltura (da urine o sangue intero) e la PCR (su urine o sangue).

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Terapia e profilassi

Il farmaco d'elezione per la terapia della leptospirosi è la doxiciclina, da somministrare in dosi di 5 mg/Kg PO ogni 12 ore per 3 settimane: è un antibiotico che non necessita di adeguamento in caso di coinvolgimento renale, dato che viene escreta prevalentemente con le feci. In caso di vomito, uremia e coinvolgimento epatico è invece opportuno somministrare penicillina, ampicillina (22 mg/Kg ogni 12 ore) o amoxicillina (22 mg/Kg ogni 8 ore) per via endovenosa, da sostituire in seguito con doxiciclina per via orale.

Oltre alla terapia antibiotica è opportuno un trattamento di sostegno con fluidoterapia. Fortunatamente, l'utilizzo dei vaccini attualmente ha ridotto di molto la presenza della leptospirosi, tuttavia, in caso d'infezione con sierotipi non coperti dal vaccino o di mancata o non adeguata vaccinazione, la malattia si può ancora osservare in molte parti del mondo.

Brucellosi

Eziologia ed epidemiologia

La brucellosi è una zoonosi diffusa in vari Paesi del mondo e colpisce principalmente bovini e ovi-caprini. Le specie più diffuse sono B. abortus e B. melitensis, presenti sempre meno in Italia, dove sempre più regioni risultano ufficialmente indenni (I.Z.S. Abruzzo e Molise).

Nel cane la malattia può essere sostenuta da Brucella canis (presente in Nord e Sud America, Germania, Repubblica Ceca ma non in Italia), B. suis, B. abortus e B.

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melitensis. Questi sono batteri Gram-negativi, di forma bacillare o coccobacillare

molto piccoli, immobili e asporigeni.

L'infezione può avvenire per via digerente, attraverso l'ingestione di materiale contaminato (soprattutto aborti), per via genitale, oculo-congiuntivale o tramite trasfusioni di sangue infetto.

Patogenesi e segni clinici

Giunte nell'organismo, le brucelle si moltiplicano nella sede d'ingresso e poi raggiungono vari organi attraverso il torrente circolatorio. I batteri si ritrovano anche nelle secrezioni salivari e oculo-congiuntivali, nelle feci e soprattutto nelle urine, dove possono rimanere anche per 12-18 mesi. Gli organi principalmente colpiti sono l'epididimo e i testicoli nel maschio e l'utero nelle femmine gravide: si hanno quindi orchite ed epididimite nel maschio e aborto nella femmina e ipofecondità o sterilità in entrambi i sessi. Inoltre, in cani infetti sono state osservate anche discospondilite, meningoencefalite e uveite. Non mancano, infine, soggetti asintomatici, particolarmente pericolosi dal punto di vista epidemiologico.

A livello renale l'infezione può giungere, raramente, per via ascendente, dando nefrite interstiziale acuta (Ghanei, Miladipour, Nasrollahi, & Homayuni, 2009) o per stimolazione cronica della risposta immunitaria, con conseguente glomerulonefrite membranoproliferativa e glomerulosclerosi per deposizione di immunocomplessi. In Medicina Umana Sono stati riportati casi d'insufficienza renale con proteinuria e oliguria (Ghanei, Miladipour, Nasrollahi, & Homayuni, 2009), (Dagli, Dokur, Guzeldag, & Ozmen, 2011), (Ceylan, et al., 2009).

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Diagnosi

La diagnosi di brucellosi può avvenire attraverso colture da campioni di sangue, seme, urina, aborti, ma più utilizzato è il test di screening di agglutinazione rapida con rosa bengala (Rose Bengal Test), da confermare con il test di immunodiffusione in gel di agar (AGID), più specifico. Nella diagnosi sierologica bisogna considerare che la sieroconversione è lenta, può avvenire in 1-3 mesi.

Terapia e profilassi

La terapia della brucellosi è complessa e richiede molto tempo per essere efficace e, trattandosi di una zoonosi, se diagnosticata in un allevamento, la scelta dovrebbe essere l'isolamento e l'eutanasia. Se si sceglie la via della terapia, è opportuno somministrare associazioni di antibiotici. Tra queste sono risultate efficaci associazioni di tetracicline e diidrostreptomicina o gentamicina, ma quest'ultima, essendo nefrotossica, richiede l'accertamento sulla funzionalità renale del soggetto da trattare. Per eliminare l'infezione sono necessari fino a tre cicli di terapia per 4 settimane a distanza di 1-2 mesi l'uno dall'altro (Ettinger & Feldman, 2011). Per monitorare l'efficacia del trattamento è opportuno eseguire gli esami sierologici al termine di ogni ciclo.

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Borreliosi

Eziologia ed epidemiologia

La borreliosi, detta anche malattia di Lyme, è una zoonosi, sostenuta da Borrelia

burgdorferi, batterio spiraliforme appartenente alla famiglia Spirochetaceae, che si

manifesta principalmente nel cane e nell'uomo.

La malattia viene trasmessa da artropodi vettori, soprattutto zecche dei generi Ixodes,

Dermacentor, Ambylomma, Rhipicephalus e Haemaphysalis, nelle quali le borrelie

colonizzano generalmente l'intestino, più raramente altri organi tra cui ghiandole salivari e ovaio: in quest'ultimo caso è possibile la trasmissione transovarica a zecche di generazioni successive. In Europa il principale vettore di B. burgdorferi è Ixodes

ricinus, presente in tutti i suoi stadi da marzo alla fine di novembre. Larve e ninfe si

questa zecca parassitano varie specie animali, tra cui ovini, bovini, lagomorfi, cervi, caprioli, volpi, roditori, gatti. Da questi ospiti serbatoio è possibile la trasmissione al cane a all'uomo anche tramite artropodi ematofagi diversi da I. ricinus, come alcune mosche e zanzare, che si comportano da vettori passivi, stando a quanto finora dimostrato (Farina, Scatozza, & al., 1998).

Patogenesi e segni clinici

La zecca infetta l'ospite attraverso il rigurgito di materiale intestinale dopo la puntura o, più raramente, tramite la puntura stessa, con le secrezioni salivari. Una volta giunta nell'organismo, B. burgdorferi determina un'infezione persistente rimanendo negli spazi intercellulari per periodi molto lunghi (anche tutta la vita dell'animale). Solo in alcuni casi i microrganismi diffondono dal sito d'inculo attraverso il tessuto connettivo

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alle articolazioni, e talvolta ai reni, al cuore e al sistema nervoso, rimanendo extracellulari. I meccanismi con cui s'instaura l'infezione non sono ancora del tutto noti, tuttavia è noto che si formano immunocomplessi che vanno in circolo e si depositano in vari distretti circolatori, determinando artrite, glomerulonefrite, miocardite, uniti a sintomi come febbre e anoressia che insorgono generalmente 3-5 mesi dopo l'adesione della zecca. La malattia si sviluppa raramente e solo in alcuni cani si osserva glomerulonefrite, che istologicamente si presenta come membranoproliferativa, membranosa, mesangioproliferativa, e/o essudativa (Hutton, Goldstein, Njaa, Atwater, Chang, & Simpson, 2008) e determina proteinuria. In uno studio è stato visto che tra questi soggetti sembrano più predisposti Labrador e Golden Retriever (Dambach, Smith, Lewis, & Van Winkle, 1997).

Diagnosi

La diagnosi di borreliosi non è semplice, infatti molti cani sieropositivi risultano asintomatici e in caso di positività in cani malati non è certo che la patologia sia realmente dovuta al batterio. L'esposizione a zecche può dare un sospetto di diagnosi, che va accertato con esami sierologici: vengono utilizzati test ELISA, IFI e Western blotting (Littman, Goldstein, Labato, Lappin, & Moore, 2006).

Terapia e profilassi

L'antibiotico d'elezione per la terapia della borreliosi è la doxiciclina, da somministrare alla dose di 5 mg/Kg ogni 12 ore o 10 mg/Kg ogni 24 ore per 30 giorni; in caso di refrattarietà a questo antibiotico, possono essere utilizzati tetracicline, ampicillina,

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amoxicillina, alcune cefalosporine di terza generazione per via endovenosa o eritromicina e derivati. Il miglioramento clinico si ha già dopo 24-48 ore di terapia. Per la prevenzione, oltre all'utilizzo di antiparassitari contro gli ectoparassiti, esiste la possibilità di vaccinazione con vaccini inattivati (Littman, Goldstein, Labato, Lappin, & Moore, 2006).

Bartonellosi

Eziologia ed epidemiologia

La bartonellosi è considerata una zoonosi emergente; è causata da batteri Gram-negativi, appartenenti al genere Bartonella, che possono infettare l'uomo e molti mammiferi domestici e selvatici, localizzandosi all'interno dei globuli rossi e determinando una batteriemia persistente di lunga durata (Ettinger & Feldman, 2011), che rende possibile la trasmissione attraverso vettori artropodi ematofagi.

Le specie in grado d'infettare il cane sono Bartonella henslae, B. clarridge, B.

elizabethae e B. vinsonii subsp. berkhoffii.

Patogenesi e segni clinici

I meccanismi patogenetici non sono ancora ben conosciuti, ma le bartonelle riescono a evadere le difese immunitarie entrando all'interno degli eritrociti e delle cellule endoteliali (Bartges & Polzin, 2011).

I sintomi clinici osservabili, non sempre presenti, sono linfoadenopatia, endocardite, miocardite, epatite, vasculite, uveite, poliartropatia, granulomatosi, sindromi

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neurologiche e altre sindromi ricollegabili a una stimolazione immunitaria cronica (Bartges & Polzin, 2011) (Bo & al., 2005).

Diagnosi

Per la diagnosi di bartonellosi occorre effettuare delle colture cellulari a partire da campioni si sangue, su cui effettuare la PCR: è stato visto, infatti, che è raro trovare microrganismi direttamente nei campioni presi dai pazienti. La procedura diagnostica, quindi, prevede la semina del campione su un terreno cellulare di coltura specifico (Bartonella alpha-Proteobacteria growth medium, BAPGM). La PCR viene eseguita sia sul DNA estratto direttamente dal campione, sia su quello prelevato dalla coltura, sia sul materiale prelevato dalla coltura.

Terapia e profilassi

Non sono ancora stati definiti dei protocolli terapeutici, ma gli antibiotici più efficaci sembrano essere i macrolidi (azitromicina, claritromicina); in alcuni casi hanno avuto successo anche i fluorochinoloni, da soli o in associazione con amoxicillina (Ettinger & Feldman, 2011). La terapia non deve durare meno di due settimane.

Ehrlichiosi / anaplasmosi

Ehrlichia e Anaplasma sono due generi appartenenti alla famiglia Anaplasmataceae,

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artropodi o trematodi e che si mantengono in natura infettando animali selvatici che fungono da ospiti serbatoio.

Ehrlichiosi monocitica del cane

Eziologia ed epidemiologia

L'agente eziologico dell'ehrlichiosi monocitica del cane è Ehrlichia canis, diffusa in molte aree del mondo (Europa, Asia, America, Africa) e trasmessa dalla zecca

Rhipicephalus sanguineus, nella quale avviene la trasmissione trans-stadiale ma non

quella transovarica.

Ospiti serbatoio sono lo sciacallo, la volpe e il coyote. Può essere infettato anche l'uomo.

Patogenesi e segni clinici

Quando la zecca aderisce al cane, nell'arco di 48 ore E. canis entra nell'organismo dell'ospite, infettando i monociti circolanti, all'interno dei quali si moltiplica formando aggregati detti "morule". I segni clinici compaiono da 8 a 20 giorni dopo l'infezione: si osservano febbre, anoressia, depressione, perdita di peso, linfoadenopatia generalizzata e splenomegalia. Possono inoltre comparire scolo nasale e oculare, edema periferico, più raramente petecchie ed ecchimosi. Se i microrganismi giungono a livello delle meningi, la flogosi e le emorragie possono provocare segni neurologici tra cui atassia, convulsioni, segni vestibolari, iperestesia e deficit dei nervi cranici.

Da 1 a 4 settimane dopo l'infezione si possono osservare trombocitopenia e talvolta lieve leucopenia e anemia, oltre a una proteinuria transitoria con valori di PU/CU

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(Proteine Urinarie/Creatinina Urinaria) fino a 23 (limite minimo <1), specchio di una glomerulonefrite immunomediata, che si risolve generalmente entro 6 settimane dall'infezione. In uno studio sono state rilevate le lesioni istologiche a livello renale: si sono osservati infiltrati linfocitari e plasmocitari perivenulari e interstiziali principalmente a livello della corticale, con lesioni glomerulari minime o assenti (Codner, et al., 1992). In Medicina Veterinaria è riportato anche un caso di amiloidosi renale, dovuta probabilmente a cronicizzazione dell'ehrlichiosi (Luckschander, Kleiter, & Willmann, 2003).

Diagnosi

La diagnosi di ehrlichiosi può essere citologica, osservando al microscopio uno striscio di sangue: la presenza di morule all'interno dei monociti è indice d'infezione; tuttavia la conferma si ha con esami sierologici, in particolare IFI (immunofluorescenza indiretta) o, più raramente, ELISA, con cui si possono individuare gli anticorpi tra una e tre settimane dopo l'infezione.

Terapia

L'antibiotico d'elezione per il trattamento dell'ehrlichiosi è la doxiciclina, al dosaggio di 10 mg/Kg per 28 giorni (Neer, Breitschwerdt, Greene, & Lappin, 2002). Altri farmaci che possono avere efficacia sono cloramfenicolo, imidocarb dipropionato ed enrofloxacina. In caso di disidratazione o anemia è, inoltre, opportuno somministrare fluidoterapia endovenosa ed eventualmente trasfusioni di plasma o sangue intero.

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Nel caso in cui la trombocitopenia non risponda alla doxiciclina, si possono associare glucocorticoidi a dosi immunosoppressive per una settimana (Codner, et al., 1992).

Anaplasmosi

Eziologia ed epidemiologia

L'anaplasmosi, in passato detta "ehrlichiosi granulocitica" del cane, è un'altra zoonosi presente in molte aree del mondo, causata dal batterio Anaplasma phagocytophilum, che ha come ospiti, oltre al cane e all'uomo, anche cervi, roditori, coyoti; come ospiti serbatoio sono stati finora individuati molti piccoli mammiferi come topi, ratti, scoiattoli americani, arvicole, topi ragno, oltre a cervi e alcune specie di Uccelli. Il vettore è la zecca Ixodes ricinus, nella quale avviene, come per E. canis, la trasmissione trans-stadiale ma non transovarica.

Dato che I. ricinus è anche il vettore di B. burgdorferi, possono coesistere anaplasmosi e borreliosi.

Patogenesi e segni clinici

Come per E. canis, dopo l'attacco della zecca al cane devono trascorrere 24-48 ore prima che sia trasmesso A. phagocytophilum. Quando il batterio raggiunge il torrente circolatorio entra all'interno dei granulociti, soprattutto neutrofili, dove - come E. canis - forma delle morule.

La malattia è più o meno evidente in base al ceppo di A. phagocytophilum coinvolto; in certi casi è in forma subclinica.

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Dopo un periodo d'incubazione di 1-2 settimane si possono manifestare segni aspecifici, tra cui febbre, anoressia, depressione, iperemia della sclera. Possono verificarsi zoppia, riluttanza al movimento, rigidità; tosse non produttiva poco frequente, lievi linfoadenomegalia e splenomegalia. In alcuni cani è stata diagnosticata una poliartrite neutrofilica. Si possono osservare anche diarrea, vomito e polidipsia e - raramente - segni neurologici (presenti più frequentemente nell'uomo). A livello renale si può osservare una glomerulonefrite immunomediata. Avendo effetto immunosoppressivo, l'anaplasmosi può indurre una maggiore suscettibilità ad altre infezioni.

Reperti di laboratorio sono trombocitopenia, linfopenia, eosinopenia e lieve anemia non rigenerativa.

L'infezione sembra autolimitante, infatti non sono stati finora riportati casi di cani con malattia cronica (>30 giorni); i meccanismi con cui il batterio si mantiene nell'organismo devono ancora essere studiati più approfonditamente; per ora è noto che sopravvive nei neutrofili inibendo la fusione fagosoma-lisosoma e inibendo l'apoptosi dei neutrofili stessi.

Diagnosi

La diagnosi di anaplasmosi, come di ehrlichiosi, può essere citologica, attraverso l'osservazione al microscopio di morule all'interno dei granulociti; l'assenza di queste, tuttavia, non è segno di assenza d'infezione. Il test sierologico più utilizzato è l'IFI, che deve però essere svolto su siero acuto e convalescente (dopo 10-14 giorni), dato che l'esposizione fino a 8-10 mesi prima può dare positività. La diagnosi non è sempre

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sicura, tuttavia, per la cross-reattività con Anaplasma platys; per questo motivo, per diagnosticare la malattia acuta, si può utilizzare la PCR su sangue intero.

Terapia

La terapia d'elezione dell'anaplasmosi è la doxiciclina a 5 mg/Kg ogni 12 ore per almeno 2 settimane. La maggior parte dei cani mostra un rapido recupero,con un miglioramento già 12-48 ore dall'inizio del trattamento.

Rickettsiosi

Eziologia ed epidemiologia

Il genere Rickettsia comprende piccoli batteri coccobacillari, parassiti intracellulari obbligati, appartenenti alla famiglia Rickettsiaceae, dello stesso ordine (Rickettsiales) di Ehrlichia e Anaplasma (fam. Anaplasmataceae). Esistono diverse specie di Rickettsie, diverse a seconda dell'area geografica e non tutte patogene, classificate, in base alle caratteristiche antigeniche, in due gruppi: "Spotted Fever Group" (SFG) e "TyphusGroup". Al primo gruppo appartengono le due principali specie, Rickettsia

rickettsii, presente in America (settentrionale, centrale e meridionale) e talvolta anche

in Europa, responsabile della "Febbre bottonosa delle Montagne Rocciose ("Rocky Mountain spotted fever") e Rickettsia conorii subsp. conorii, presente nel sud Europa e in Africa settentrionale, responsabile della "Febbre bottonosa del Mediterraneo". Entrambe le malattie sono zoonosi e hanno come ospiti - finora individuati - cane, gatto e uomo.

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La trasmissione avviene attraverso artropodi vettori, che possono essere zecche, acari, cimici, mosche o pulci. In particolare, R. conorii subsp. conorii R. rickettsii sono veicolate dalle zecche Rhipicephalus sanguineus, Ixodes ricinus, Ambylomma sp.,

Dermacentor sp.

Patogenesi e segni clinici

Dopo l'adesione della zecca all'ospite, occorre un periodo che varia dalle 4 alle 24 ore perché le rickettsie si attivino e divengano virulente. Il periodo d'incubazione è di 2-14 giorni (in media 7 giorni); il primo sintomo è la febbre, che si manifesta 2-3 giorni dopo l'attacco della zecca. Si osservano poi sintomi aspecifici come febbre, letargia, anoressia, linfoadenomegalia, talvolta vomito e diarrea.

Le rickettsie, entrate nell'organismo dell'ospite, si replicano nelle cellule endoteliali dei piccoli vasi sanguigni provocando vasculiti e conseguenti vasocostrizione e maggiore permeabilità vascolare. In conseguenza di ciò si sviluppano edemi (per il passaggio di fluidi nel liquido interstiziale) ed emorragie microvascolari, che determinano trombocitopenia e, in casi più gravi, CID (coagulazione intravasale disseminata). Gli edemi ed eritemi si manifestano alle estremità, comprese labbra, muso, scroto, pinne auricolari; il continuo danno tissutale in queste regioni può portare, in certi casi, fino a necrosi e gangrena.

L'edema può verificarsi anche a livello cerebrale, determinando sintomi neurologici tra cui atassia, stupor, iperestesia, opistotono, convulsioni. A livello oculare si hanno spesso congiuntivite, secrezioni muco-purulente, uveite, ifema, emorragie dell'iride e della retina, edema della retina.

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Altri segni clinici sono dispnea, tosse (dovute a edema polmonare), aritmie (per possibili miocarditi), epatomegalia, ittero, mialgia, artralgia.

A causa dell'ipotensione dovuta al meccanismo patogenetico delle rickettsie, si ha, inoltre, una ridotta perfusione renale, che può condurre a insufficienza renale acuta con oliguria o anuria, sia in Medicina Veterinaria sia in Umana (Montasser, et al., 2011).

Diagnosi

La diagnosi di rickettsiosi avviene principalmente attraverso l'immunofluorescenza indiretta (IFI), preferibilmente su siero acuto e convalescente, a causa dell'insorgenza acuta dei sintomi e del tempo necessario allo sviluppo degli anticorpi (7-10 giorni). Esistono cross-reazioni tra le diverse specie di Rickettsia, quindi non è sempre sicuro che la specie individuata con l'IFI sia realmente quella coinvolta nell'infezione.

Altri test utilizzabili per la diagnosi sono l'ELISA e la PCR; quest'ultima, però, ha una scarsa sensibilità se fatta su campioni ematici, a causa della scarsa presenza dei microrganismi nel sangue.

Terapia

La terapia d'elezione è la doxiciclina per almeno 7 giorni, da effettuare appena si ha il sospetto della malattia: un ritardo nella terapia, infatti, è stato associato a una maggior gravità e mortalità della malattia. Generalmente, in caso di rickettsiosi, si ha una rapida risposta alla terapia, con defervescenza nell'arco di 12-24 ore. In caso di disidratazione

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e shock, inoltre, si rende necessaria una terapia di supporto con fluidi endovenosi ed eventualmente sangue o emoderivati.

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Malattie virali

Adenovirus canino di tipo 1

Prima dell'avvento della vaccinazione, l'Adenovirus canino di tipo 1 (CAV-1), responsabile dell'epatite infettiva del cane, era molto diffuso in Italia, in vari Paesi europei, in Nord America e in Australia (Bo & al., 2005) e sono stati segnalati focolai anche in anni piuttosto recenti, sia in Italia, nel 2004 (Decaro, Camero, Greco, & al., 2004), sia altrove, anche in associazione ad altri agenti infettivi (virus del Cimurro, Coronavirus canino, Bordetella bronchiseptica).

L'infezione avviene per inalazione o ingestione di materiale contaminato, per contatto diretto o indiretto. Il virus replica dapprima nelle tonsille e nelle placche di Peyer, quindi diffonde ai linfonodi regionali; segue una viremia, attraverso cui il virus raggiunge vari distretti dell'organismo, in particolare fegato,occhi e reni (Farina, Scatozza, & al., 1998).

La replicazione del virus a livello degli epatociti e degli endoteli vascolari determina epatite acuta ed emorragie generalizzate; a livello oculare, l'infezione delle cellule endoteliali della cornea e la successiva deposizione d'immunocomplessi dopo lo sviluppo dell'immunità, determina uveite anteriore, nota come "occhio blu" per il tipico aspetto.

A livello renale, il virus replica nell'endotelio capillare glomerulare e nelle cellule mesangiali causando degenerazione e necrosi endoteliale e mesangiale, distruzione delle cellule dell'epitelio viscerale, degenerazione dell'epitelio del tubulo prossimale e proteinuria. (Bartges & Polzin, 2011). Nell'arco di 7-10 giorni dall'infezione, la

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risposta immunitaria determina formazione di immunocomplessi virus-anticorpo circolanti, che, depositandosi a livello mesangiale e sub-endoteliale, determinano una glomerulonefrite membranoproliferativa. A 10-14 giorni dall'infezione il CAV-1 si localizza nell'epitelio dei tubuli renali, determinando nefrite interstiziale focale, proteinuria transitoria e viruria; quest'ultima può persistere anche per 6-9 mesi. 30-40 giorni dopo l'infezione, glomerulonefrite e nefrite interstiziale si osservano ancora ma non appaiono progressive: il CAV-1 non è stato associato a una cronicizzazione della patologia renale, a differenza di quanto avviene per il fegato, dove l'epatite può divenire cronica.

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Malattie da protozoi

Leishmaniosi

Data la grande complessità di questa malattia, in questa sede non se ne tratterà per esteso ogni aspetto, limitandosi a descriverne i punti salienti.

Eziologia ed epidemiologia

La leishmaniosi è una malattia molto complessa, zoonosica, a diffusione mondiale ma particolarmente presente in Europa e soprattutto in Italia.

I protozoi responsabili della leishmaniosi sono Leishmania infantum e - meno importante in Europa e nel cane - L. tropica. Il ciclo biologico di questi microrganismi prevede due ospiti: un vertebrato (il cane) e un insetto vettore. All'interno del cane, la leishmania si presenta sottoforma di amastigote, cellula con nucleo e cinetoplasto, priva di flagello, che si localizza nelle cellule mononucleari fagocitarie. Nel vettore, invece, si trova, all'interno dell'apparato digerente, sottoforma di promastigote, di forma ovale e dotata di flagello.

I vettori di L. infantum sono flebotomi, principalmente dei generi Phlebotomus e

Lutzomya.

Patogenesi e segni clinici

La trasmissione della malattia avviene con la "puntura" del flebotomo, che, per compiere il pasto ematico, raschia la superficie cutanea con l'apparato buccale,

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attraverso cui si fanno strada i promastigoti: questi raggiungono la cute dell'ospite e vengono attaccati dalle cellule fagocitarie. Le leishmanie si replicano all'interno dei macrofagi fino a distruggerli e, in caso di progressione dell'infezione, raggiungono vari distretti dell'organismo.

Lo sviluppo della malattia dipende dal tipo di risposta immune prevalente nell'ospite: è stato visto che l'immunità cellulomediata con prevalenza di attività dei linfociti Th1 è correlata con una protezione dall'infezione; quando invece prevale la risposta umorale, con prevalenza di linfociti Th2, si ha la progressione della patologia, con formazione di immunocomplessi e conseguenti danni legati alla loro deposizione.

Il periodo d'incubazione è molto variabile, da 3 mesi a 7 anni, e la trasmissione è legata al periodo di attività del flebotomo, nei mesi primaverili-estivi, principalmente nelle ore serali e notturne. Questo fa sì che il riscontro della malattia avvenga raramente in cani di età inferiore ai 6 mesi.

I sintomi sono molto numerosi ed eterogenei. Nell'80% dei casi si hanno sintomi cutanei, tra cui alopecia, ipercheratosi, onicogrifosi, desquamazione, dermatite ulcerativa, nodulare o pustolosa. Nel 70% dei pazienti si osserva linfoadenopatia e nel 40% sintomi più generici, come febbre, apatia, dimagrimento e atrofia muscolare. Si osservano, inoltre, segni oculari, tra cui blefarite, congiuntivite, cheratite secca, uveite, che possono condurre a glaucoma e anche cecità.

In una percentuale di soggetti variabile dal 30 al 50% si ha coinvolgimento renale. L'alterazione renale più frequente è la glomerulonefrite membranoproliferativa o mesangioproliferativa, ma sono possibili altre forme di glomerulonefrite, oppure nefriti interstiziali con infiltrati di macrofagi e linfo-plasmacellulari (Silva Junior, Barros, & Daher Ede, 2014) o deposizione di sostanza amiloide (Poli, Abramo,

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Mancianti, Nigro, Pieri, & Bionda, 1991). Queste alterazioni determinano proteinuria e in certi casi sindrome nefrosica e insufficienza renale. Inoltre, la perdita di antitrombina III da parte dei reni compromessi può provocare nel paziente uno stato d'ipercoagulabilità del sangue e conseguente rischio di trombosi vascolare: uno studio riporta un caso di trombosi nella vena cava caudale, a livello dell'incrocio con l'arteria renale destra (Font & Closa, 1997).

Tra i sintomi si osservano, inoltre, diarrea con possibile melena e vomito, in conseguenza del danno renale o secondari a colite.

Diagnosi

La diagnosi di leishmaniosi si basa su vari elementi, dai sintomi alle analisi di laboratorio (tipicamente si ha ipergammaglobulinemia, nell'8% dei casi), ma le metodiche più utilizzate per avere la conferma sono l'IFI e la PCR. La prima permette d'individuare gli anticorpi IgG anti-Leishmania e non necessariamente, in caso di positività, indica infezione; la seconda, effettuata su sangue, linfonodi, midollo osseo, permette d'individuare il DNA dei parassiti che sono presenti nel cane. In certi casi viene fatto un controllo crociato con PCR su campioni di linfonodo, sangue e congiuntiva dello stesso soggetto.

Terapia e profilassi

La terapia della leishmaniosi è un argomento molto complesso e studiato; esistono linee guida (Oliva, et al., 2010), che indicano quali farmaci utilizzare nelle diverse

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situazioni possibili. I farmaci più utilizzati sono l'antimoniato di N-metilglucamina, l'allopurinolo e - più raramente - l'amfotericina B.

Importante è la profilassi con antiparassitari esterni, repellenti, che impediscano il contatto con i flebotomi e la conseguente trasmissione della malattia.

Toxoplasmosi

Eziologia ed epidemiologia

La toxoplasmosi è una zoonosi provocata dal protozoo Toxoplasma gondii, appartenente al phylum Apicomplexa, che ha come ospite definitivo il gatto e i felidi selvatici e come ospiti intermedi tutti i vertebrati a sangue caldo (compreso il gatto). L'ospite definitivo espelle con le feci le oocisti; queste sporulano nell'ambiente esterno, con opportune umidità e temperatura, nell'arco di 1-5 giorni, quando contengono sporozoiti infettanti. L'ospite intermedio s'infetta ingerendo alimenti o acqua contaminati e al suo interno, penetrate negli enterociti, le oocisti si schiudono: gli sporozoiti si dividono per scissione binaria in "tachizoiti", forme a rapida replicazione, che si diffondono nell'organismo moltiplicandosi all'interno delle cellule e distruggendole. I tachizoiti, successivamente, s'incistano in vari tessuti, principalmente nel SNC, nei muscoli, nel fegato e in altri organi viscerali. Le cisti producono al loro interno "bradizoiti", forme a lenta replicazione e rimangono quiescenti finché le difese immunitarie dell'ospite sono efficienti e possono rimanere in sede per tutta la vita dell'ospite.

Nel gatto avviene, oltre al ciclo descritto, anche un altro tipo di ciclo, in quanto ospite definitivo: le oocisti ingerite, con l'azione dei succhi gastrici, si aprono liberando gli

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sporozoiti, che entrano nelle cellule intestinali e si differenziano in gametociti maschili e femminili, che danno origine dopo la fase di zigote, alle oocisti: queste vengono espulse con le feci.

Le vie d'infezione, quindi, sono, come detto, l'ingestione di alimenti o acqua contaminati da oocisti, ma anche di l'ingestione di tessuti di animali contenenti cisti; inoltre, quando una femmina s'infetta per la prima volta in gravidanza, i tachizoiti possono raggiungere la placenta e infettare il feto.

Patogenesi e segni clinici

Nel cane, come detto sopra, si ha il ciclo extraintestinale, con diffusione dei tachizoiti a vari organi e loro successivo incistamento. I segni clinici rilevabili sono segni neurologici, neuromuscolari, oculari, respiratori, gastroenterici e - raramente - cutanei e possono essere conseguenza di interessamento di singoli organi o d'infezione generalizzata. Quest'ultima si osserva soprattutto nei cani sotto l'anno di età e si presenta con febbre, tonsillite, dispnea, diarrea, vomito, talvolta ittero per necrosi epatica.

Tra i segni neurologici e muscolari si osservano deficit dei nervi cranici, tremori, atassia, paresi o paralisi, paraparesi o tetraparesi, talvolta tetraplegia.

I segni oculari riportati sono retinite, uveite anteriore, iridociclite, iperplasia dell'epitelio ciliare e neurite ottica.

Le rare manifestazioni cutanee comprendono alopecia, noduli cutanei e dermatite pustolosa.

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Esistono anche manifestazioni renali: in alcuni casi sono state riscontrate nefromegalia e insufficienza renale (Bartges & Polzin, 2011).

Diagnosi

La diagnosi di toxoplasmosi nel cane viene fatta individuando i bradizoiti e i bradizoiti nei tessuti (più difficile) o tramite sierologia, con IFI o agglutinazione diretta (DAT), ricercando anticorpi IgM (in fase acuta) e IgG. Tuttavia bisogna considerare che non sempre una malattia clinicamente manifesta corrisponde a titoli elevati e, viceversa, si possono trovare titoli elevati in caso di malattia asintomatica.

Terapia

La terapia d'elezione per la toxoplasmosi prevede la somministrazione di clindamicina a 10 mg/Kg PO ogni 12 ore; generalmente i sintomi regrediscono nell'arco di 24-48 ore. In alternativa si può utilizzare l'associazione trimethoprim-sulfadiazina a 15 mg/Kg PO ogni 12 ore.

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Malattie da miceti

Aspergillosi

L'infezione da funghi del genere Aspergillus sp. avviene per inalazione di spore dall'ambiente esterno o generalmente si localizza a livello nasale e può diffondere al SNC dando segni neurologici. In alcuni casi si può avere infezione generalizzata che non si localizza a livello nasale ma determina discospondilite, osteomielite e linfoadenomegalia a livello toracico, oltre a dare un coinvolgimento renale con pielonefrite.

Le alterazioni rilevabili nelle analisi di laboratorio sono anemia, leucocitosi, iperglobulinemia, iperazotemia, ipercalcemia, e ipoalbuminemia (Schultz, Johnson, Wisner, Brown, Byrne, & Sykes, 2008).

La diagnosi può essere fatta con esame colturale da tamponi nasali, con esami sierologici (doppia diffusione in gel di agar, immunoelettroforesi, ELISA), citologia e istologia su biopsie.

La terapia sistemica prevede l'uso di Fluconazolo viene impiegato nel cane alla dose a 2,5-5 mg/kg PO ogni 12 ore per almeno 10 settimane oppure Itraconazolo a 5 mg/kg PO ogni 12 ore per 10 settimane. Bisogna tenere presente, però, che questi farmaci possono essere epatotossici e dati i tempi di trattamento si rende opportuno monitorare la funzionalità epatica del paziente (De Lorenzi, 2006).

Criptococcosi

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per contiguità dalle cavità nasali al SNC, attraverso l'aria inspirata nei polmoni e per via ematica. La malattia, quindi, può essere localizzata a livello nasale o generalizzata. In quest'ultimo caso gli organi maggiormente colpiti sono cute, SNC e occhi, con conseguenti lesioni dermatologiche, segni neurologici e oculari; talvolta sono coinvolti i reni, con nefromegalia e insufficienza renale; in letteratura è riportato un caso di pielonefrite in corso di criptococcosi sistemica in un cane (Newman, Langston, & Scase, Cryptococcal pyelonephritis in a dog, 2003).

La diagnosi può essere fatta tramite citologia su scolo nasale, aspirato di lezioni cutanee, umor acqueo o liquido cefalorachidiano e, talvolta, urine. Al microscopio ottico, previa colorazione di tipo Romanowsky o di altri tipi, il micete si presenta come una struttura rotonda di diametro da 3 a 8 μm, dotata di una capsula, più o meno spessa, che non assume la colorazione. In alcuni campi si può osservare la gemmazione, che è tipicamente a "lacrima", singola e a base stretta; attornio a queste formazioni si sviluppa generalmente una flogosi granulomatosa, con macrofagi che talvolta presentano i microrganismi all'interno del citoplasma.

In alternativa, la diagnosi può essere fatta con esame colturale oppure con il test di agglutinazione su lattice per l’antigene capsulare (Serum Latex Cryptococcal Antigen

Agglutination Test, LCAT), test molto sensibile che può essere eseguito su siero, urine o

liquido cefalorachidiano.

La terapia efficace contro la criptococcosi è a base di Fluconazolo o Itraconazolo.

Coccidioidomicosi

Un'altra micosi che può avvenire in forma generalizzata è la coccidioidomicosi, infezione da miceti del genere Coccidioides sp., che avviene per inalazione di spore

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dall'ambiente esterno e si può diffondere a cute, ossa, cuore, occhi, SNC e reni (Graupmann-Kuzma, Valentine, Shubitz, Dial, Watrous, & Tornquist, 2008). A livello renale si può avere glomerulonefrite immunomediata (Bartges & Polzin, 2011).

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Malattie da elminti

Filariosi

Eziologia ed epidemiologia

Dirofilaria immitis è il nematode responsabile della filariosi cardiopolmonare del cane;

è diffuso in tutto il mondo, in particolare nelle aree a clima caldo e temperato e ha come ospiti definitivi il cane e altri canidi e, raramente, il gatto e come ospiti intermedi vari generi di zanzare (Aedes, Culex, Anopheles spp.).

Gli adulti, che possono misurare anche 30 cm di lunghezza e 1,5 mm di diametro, si localizzano nelle arterie polmonari e, se in grande quantità, nel ventricolo destro del cuore, dove possono rimanere per molto tempo, anche 7 anni. Le femmine e i maschi si accoppiano e danno origine a larve dette "microfilarie" (lunghe circa 0,5 mm), che vengono rilasciate nel sangue dove possono rimanere anche 3 anni. Il ciclo continua quando una zanzara punge l'ospite e s'infesta con le microfilarie presenti nel sangue. All'interno della zanzara, le microfilarie maturano fino allo stadio di larve L3 nell'arco di 2 settimane e raggiungono le ghiandole salivari: quando la zanzara punge un ospite sano, inocula nel suo sangue le larve L3, che rimangono per qualche settimana nel sottocute, dove maturano in L4, quindi migrano nei muscoli toracici e addominali e maturano in L5 nell'arco di 6-9 settimane. Le L5 raggiungono quindi il torrente circolatorio e le arterie polmonari, dove in 2-3 mesi divengono adulti.

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Patogenesi e segni clinici

Molti cani infestati sono asintomatici: i segni clinici dipendono dal numero di parassiti, dall'interazione ospite-parassita e dalla risposta immunitaria dell'ospite. I danni maggiori non derivano tanto dall'ostruzione dei vasi sanguigni, quanto dall'ipertrofia villosa che si verifica nelle cellule muscolari lisce della tonaca media e intima delle arterie polmonari a causa del trauma, di sostanze tossiche prodotte dai parassiti e dalla risposta immunitaria. Si hanno, quindi, flogosi vascolare, danno endoteliale e fibrosi, che portano a una maggiore permeabilità vascolare, con conseguente edema perivascolare. La presenza di parassiti morti, inoltre, può causare trombosi e tromboembolismi (Kitagawa, Sasaky, Ishiara, & Kawakami, 1990).

L' ipertensione polmonare porta ad aumento progressivo del postcarico e dilatazione del ventricolo destro, talvolta con ipertrofia compensatoria delle pareti del ventricolo destro stesso, che conduce a insufficienza cardiaca congestizia destra.

Oltre alle lesioni cardiache e vascolari, chiave di questa patologia, vengono riportate in letteratura anche lesioni a livello renale, indotte da antigeni parassitari e dalla formazione e deposizione di immunocomplessi, che provocano una glomerulonefrite membranoproliferativa e diverse alterazioni istologiche, tra cui vacuolizzazione e ispessimento della membrana basale glomerulare, proliferazione del mesangio (Paes-de-Almeida, Ferreira, Labarthe, Caldas, & McCall, 2003), (Aresu, et al., 2007) . L'insufficienza cardiaca congestizia, inoltre, può portare, indirettamente, a una ridotta perfusione renale e a una ridotta filtrazione glomerulare.

Tra i sintomi clinici riportati si hanno dimagrimento, affaticabilità, letargia, tosse,dispnea, ascite (Bartges & Polzin, 2011).

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Diagnosi

La diagnosi può avvenire individuando le microfilarie su strisci di sangue, oppure con la ricerca di antigeni parassitari attraverso test ELISA disponibili come "snap test" per una risposta rapida. Anche la diagnostica per immagini è importante: con la radiologia toracicaè possibile osservare le lesioni a livello cardiaco e polmonare, all'ecocardiografia si possono osservare i parassiti adulti nell'arteria polmonare e talvolta nel ventricolo destro.

Terapia e profilassi

La terapia medica è complessa e prevede l'utilizzo di vari farmaci, adulticidi e microfilaricidi. Bisogna considerare che la terapia adulticida può essere pericolosa, perché, come detto sopra, i parassiti morti possono dare tromboembolismi: prima e dopo la terapia adulticida, che viene effettuata prevalentemente con melarsomina, si somministrano farmaci anticoagulanti (eparina) e antiaggreganti piastrinici (acido acetilsalicilico). La terapia microfilaricida prevede la somministrazione di ivermectina o milbemicina ossima. In base ai sintomi del paziente, inoltre, occorre una terapia di sostegno adeguata.

Più importante della terapia è la prevenzione, che risulta molto efficace, attraverso ivermectina, selamectina, milbemicina ossima o moxidectina, da somminitrate una volta al mese per via orale o, nel caso della moxidectina, una volta all'anno come farmaco in iniezione sottocutanea a rilascio prolungato.

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Dioctophyma renale

Eziologia ed epidemiologia

Dioctophyma renale è un nematode, appartenente all'ordine Ascaridida, noto anche

come "verme gigante dei reni" per le sue dimensioni: i maschi sono lunghi 20-40 cm long e hanno un diametro di 5-6 mm, le femmine possono raggiungere 1 metro di lunghezza e un diametro di 12 mm.

Questo parassita ha come ospiti definitivi il cane e il gatto e altri carnivori e come ospiti intermedi i vermi acquatici della sottoclasse Oligochaeta. Gli adulti si localizzano nei reni dell'ospite definitivo e le femmine producono uova che si ritrovano nelle urine. Espulse nell'ambiente esterno, in acqua, le uova maturano in un tempo variabile da 2 a 10 settimane e possono rimanere infettanti per mesi. Quando un verme acquatico ingerisce le uova, queste si sviluppano fino allo stadio di larva L3. Nel caso in cui dei pesci, crostacei, rane o altri anfibi (che si comportano da ospiti paratenici) ingeriscano i vermi infestati, le larve L3 s'incistano nei loro tessuti. Il cane s'infesta ingerendo i vermi acquatici o gli ospiti paratenici con le L3 incistate: rilasciate nello stomaco, le larve ingerite migrano fino al fegato, dove nell'arco di 2 mesi divengono adulti, dopodiché migrano fino ai reni attraverso la cavità peritoneale. Generalmente è interessato il rene destro, probabilmente per la maggior vicinanza al fegato; in caso d'infestazione massiva, però, può essere coinvolto anche il rene sinistro. Gli adulti possono vivere anche 5 anni all'interno dei reni, nutrendosi di tessuto renale e sangue (Junquera, 2014).

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Patogenesi e segni clinici

La maggior parte dei cani infestati è asintomatica. Tuttavia, Dioctophyma renale determina un importante danno al rene in cui si localizza: i tessuti distrutti vengono sostituiti da tessuto connettivo, con conseguente fibrosi; dato che generalmente viene infestato un solo rene, l'altro riesce a compensare e non è sempre presente insufficienza renale: è più probabile che questa si verifichi quando sono infestati entrambi i reni; in questo caso si possono verificare nefrite, ematuria, coliche renali (se i parassiti raggiungono l'uretra). I vermi possono anche rimanere nella cavità peritoneale, provocando peritonite, epatite e ascite.

Diagnosi

La diagnosi prevede l'uso dell'ecografia per visualizzare i vermi adulti all'interno dei reni (Soler, Cardoso, Teixeira, & Agut, 2008); talvolta si possono trovare le uova dei parassiti nelle urine, ma la produzione è intermittente e non sempre l'infestazione è causata da maschi e femmine.

Terapia

La terapia medica comprende ivermectina contro gli adulti e fenbendazolo contro le larve; il trattamento più efficace, tuttavia, è la rimozione degli adulti per via chirurgica (Ferreira, Medeiros, July, & Raso, Dioctophyma renale in a dog, clinical diagnosis and surgical treatment, 2010).

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2) Quadro ecografico dei reni sani

L'ecografia è un metodo molto utilizzato per la diagnostica di patologie renali e risulta utile non solo per evidenziare lesioni, ma anche per procedure diagnostiche interventistiche, come la biopsia renale.

Ecograficamente, i parametri che si considerano per la valutazione dei reni sono: forma, dimensioni, posizione ed ecogenicità.

La forma è ovale o tendente alla forma di fagiolo nel cane; il profilo è normalmente regolare.

Le dimensioni dei reni variano in base al peso del cane: in uno studio condotto da Barr e altri sono messi in relazione i limiti minimi, massimi e per la lunghezza con il peso dell'individuo (cfr. tabella 1) (Barr, Holt, & Gibbs, 1990).

Uno studio più recente (Mareschal, D'Anjou, Moreau, Alexander, & Beauregard, 2007) ha messo in relazione la lunghezza del rene con il diametro dell'aorta (misurato a livello del rene, alla sua massima distensione), considerando come parametro normale il rapporto tra le due misure (Lunghezza rene/ diametro aorta), che deve essere compreso tra 5,5 e 9,1.

Peso del cane (Kg) Lunghezza minima reni (cm) Lunghezza massima reni (cm) Lunghezza media reni (cm) 0-4 3,2 3,3 3,2 5-9 3,2 5,2 4,4 10-14 4,8 6,4 5,6 15-19 5 6,7 6 20-24 5,2 8 6,5

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25-29 5,3 7,8 6,9 30-34 6,1 8,7 7,2 35-39 6,6 9,3 7,6 40-44 6,3 8,4 7,6 45-49 7,6 9,1 8,5 50-59 7,5 10,6 9,1 60-69 8,3 9,8 9 70-99 8,6 10,1 9,4

Tabella 1 Lunghezza del rene in relazione al peso del cane (Barr, Holt, & Gibbs, 1990)

Per quanto riguarda la posizione, il rene destro è generalmente più craniale e dorsale rispetto al sinistro, soprattutto nel cane. Esiste la possibilità che masse occupanti spazio determinano uno spostamento di uno o entrambi i reni in posizioni diverse. L'ecogenicità del rene in generale è inferiore rispetto a quella di fegato e milza. In particolare, la corticale è ipo- o isoecogena rispetto al fegato (ma in alcuni cani può essere iperecogena) (Penninck & D'Anjou, 2008) e ipoecogena rispetto alla milza; nel gatto è iperecogena a causa dell'accumulo di lipidi. La midollare è normalmente ipoecogena rispetto alla corticale e appare distinta in segmenti per la presenza di linee ecogeniche corrispondenti ai bordi dei vasi interlobari; si continua poi nella cresta renale, che è in contatto con la pelvi o bacinetto. Alla giunzione tra corticale e midollare si possono osservare delle doppie linee iperecogene, corrispondenti alle pareti delle arterie arcuate. La giunzione cortico-midollare, normalmente, è perfettamente definita; può presentare, fisiologicamente, due particolari modificazioni: il medullary rim sign e l'halo sign.

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Il medullary rim sign è una banda iperecogena all'interno della midollare, a livello della giunzione cortico-midollare, che può non essere fisiologico e corrispondere, in questo caso, a mineralizzazioni, necrosi, congestione, emorragia e si può osservare in vari processi patologici (necrosi tubulare, nefrocalcinosi, leptospirosi, nefriti interstiziali croniche).

L'halo sign si presenta come un'area iperecogena tra giunzione cortico-midollare e

medullary rim sign, corrispondente alla parte più esterna della midollare renale.

La pelvi renale può essere talvolta visualizzata, soprattutto in animali sottoposti a fluidoterapia endovenosa o a diuretici; in questo caso lo spessore non deve superare i 2 mm. Intorno alla pelvi si trova il seno renale, iperecogeno a causa della presenza di lipidi.

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3) Quadro ecografico dei reni con patologie infettive

L'aspetto ecografico dei reni in corso di malattie infettive non è generalmente patognomonico, ma può aiutare a confermare o escludere sospetti di diagnosi.

I parametri ecografici da valutare nello studio dei reni sono: - Forma

- Dimensioni - Posizione - Ecogenicità

- Ecogenicità della corticale - Ecogenicità della midollare

- Aspetto della giunzione cortico-midollare - Rapporto cortico-midollare

- Presenza/assenza di mineralizzazioni - Presenza/assenza di cisti o microcisti - Presenza/assenza di pielectasia

- Presenza/assenza di versamento perirenale o subcapsulare.

Di seguito saranno esaminati i quadri ecografici renali in caso di coinvolgimento nel contesto delle malattie infettive di cui al capitolo 1.

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Malattie batteriche

Setticemia

Una generica setticemia può provocare nefrite e pielonefrite, fino a determinare insufficienza renale acuta (Acute Kidney Injury, AKI).

Leptospirosi

L'aspetto ecografico dei reni in corso di leptospirosi è generalmente suggestivo di nefropatia acuta, per nefrite interstiziale diffusa.

In letteratura sono riportate nefromegalia, pielectasia, iperecogenicità della corticale, versamento perirenale (Holloway & O' Brien, 2007) e presenza di una banda iperecogena a livello della midollare. Quest'ultimo rilievo è stato finora associato soltanto a casi di leptospirosi (Forrest, O'Brien, Tremelling, Steinberg, Cooley, & Kerlin, 1998), potrebbe quindi essere considerato un segno patognomonico. E' stato visto che alla necroscopia, i reni presentano congestione dei vasi sottocapsulari, corticale pallida, con venature rosse e disseminata di foci bianchi distanti 1 mm tra loro; la midollare, in sezione sagittale, si presenta congesta, di colore dal rosso-porpora al rosso scuro-nero: quest'area, istologicamente associata a emorragia, congestione, edema e necrosi, corrisponde alla banda iperecogena vista in ecografia (figura 2).

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Figura 1 Rene di cane affetto da leptospirosi (per gentile concessione del Dipartimento di Clinica Veterinaria - Università di Pisa)

Figura 2 Rene di cane con leptospirosi (da Forrest, L. J., O'Brien, R. T., et al., 1994, Sonographic renal findings in 20 dogs with leptospirosis. Veterinary

radiology and ultrasound , 39 (4), 337-340). La freccia bianca il versamento

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Brucellosi

Raramente, nella brucellosi si possono osservare lesioni renali dovute a glomerulonefrite da immunocomplessi o all'azione dei microrganismi stessi. In letteratura non si trovano studi specifici sull'ecografia renale in corso di brucellosi, soltanto in uno studio in campo umano è riportato un aspetto normale dei reni se pur in presenza d'insufficienza renale acuta (Ghanei, Miladipour, Nasrollahi, & Homayuni, 2009). Gli aspetti ecografici del coinvolgimento renale da Brucella sp. nel cane non sono ancora noti, forse anche per la rarità dell'infezione a livello delle alte vie urinarie.

Borreliosi

La nefropatia da malattia di Lyme è caratterizzata da glomerulonefrite membranoproliferativa, glomerulonefrite membranosa, glomerulonefrite mesangioproliferativa, glomerulonefrite essudativa (Hutton, Goldstein, Njaa, Atwater, Chang, & Simpson, 2008) o amiloidosi, come riportato in uno studio retrospettivo (Dambach, Smith, Lewis, & Van Winkle, 1997).

In letteratura non si trovano studi riguardanti l'ecografia renale in corso di borreliosi, ma, date le lesioni istologiche, si può presupporre un aspetto da nefropatia acuta, con lesioni parenchimali diffuse e possibili nefromegalia e iperecogenicità di corticale e midollare.

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Bartonellosi

Anche in caso di bartonellosi non ci sono studi di Medicina Veterinaria che riportino l'ecografia renale; tuttavia, in campo umano, è stato riportato un caso di microascessi renali in un bambino: queste lesioni non erano visibili all'ecografia, ma soltanto alla TC (Salehi, Custodio, & Rathore, 2010).

Ehrlichiosi / anaplasmosi

Le lesioni renali in corso di ehrlichiosi sono visibili solo istologicamente e sono di entità minima, se non in un caso riportato, nel quale si è osservata amiloidosi. In letteratura non ci sono studi relativi all'ecografia renale in corso di ehrlichiosi o anaplasmosi, in ogni modo, se l'ehrlichiosi può avere una cronicizzazione, a livello renale si potranno eventualmente riscontrare alterazioni da nefropatia cronica.

Rickettsiosi

In alcuni casi di rickettsiosi, sia in campo umano sia veterinario, si è riscontrata insufficienza renale acuta. In letteratura non si trovano studi mirati all'ecografia renale in corso di rickettsiosi, ma ci si può attendere un aspetto da nefropatia acuta, con lesioni diffuse e aumento dell'ecogenicità del parenchima renale.

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Malattie virali

Adenovirus canino di tipo 1

L'Adenovirus canino di tipo 1 determina glomerulonefrite e nefrite interstiziale focale. Non ci sono studi relativi all'ecografia in corso di epatite infettiva del cane, forse per la scarsa presenza della malattia in seguito alla scoperta della vaccinazione. Come per altre malattie che determinano danni renali acuti, si potrà, in ogni modo, presupporre un aspetto ecografico renale tipico di nefropatia acuta.

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Malattie da protozoi

Leishmaniosi

Sebbene le lesioni istologiche provocate da Leishmania infantum siano molto studiate e ormai conosciute, non è semplice definire l'aspetto ecografico dei reni in corso di leishmaniosi: in letteratura non si trovano, infatti, articoli mirati allo studio ecografico dei reni in cani affetti da questa patologia. In ogni modo, dato che il decorso della leishmaniosi è tendenzialmente cronico, il quadro ecografico dei reni potrà attendersi da nefropatia cronica.

Toxoplasmosi

Il coinvolgimento renale in corso di toxoplasmosi non è frequente, sebbene in alcuni casi sia stata notata nefromegalia (Bartges & Polzin, 2011). Non ci sono, tuttavia, studi relativi all'ecografia renale in soggetti con toxoplasmosi.

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Malattie da miceti

Aspergillosi

L'aspergillosi generalizzata può determinare pielonefrite e ascessi renali. In letteratura si trova uno studio che segnala un aspetto ecografico dei reni comprendente forma irregolare , con o senza masse, pielectasia e presenza di materiale corpuscolato nel bacinetto renale (Schultz, Johnson, Wisner, Brown, Byrne, & Sykes, 2008). Uno studio di Medicina Umana riporta la presenza di lesioni ipoecogene corrispondenti ad ascessi renali (Metta, et al., 2010).

Criptococcosi

In letteratura mancano studi che riguardino l'aspetto ecografico dei reni in cani affetti da criptococcosi sistemica, tuttavia esiste lavoro che riporta un caso di pielonefrite in un cane (Newman, Langston, & Scase, Cryptococcal pyelonephritis in a dog, 2003): sebbene non sia presente un'ecografia, ci si attenderanno dei reni con pielectasia con contenuto ipoecogeno del bacinetto.

Coccidioidomicosi

Forse per la rarità della patologia, soprattutto a livello renale, non ci sono studi che riportino l'aspetto ecografico dei reni in corso di coccidioidomicosi sistemica nel cane.

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