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Analisi energetica nel processo produttivo della birra : il caso Carlsberg

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Academic year: 2021

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POLITECNICO DI MILANO

Scuola di Ingegneria Industriale

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Energetica

Dipartimento di Energia

ANALISI ENERGETICA NEL PROCESSO PRODUTTIVO DELLA

BIRRA: IL CASO CARLSBERG

Relatore: Ing. Marcello APRILE

Tesi di Laurea di:

Riccardo Pollastri, matricola 816220

Matteo Zambotto, matricola 821189

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III

Indice

Introduzione 1

1 Processo di produzione 5

1.1 Brewhouse 5

1.1.1 Macinatura del malto 5

1.1.2 Ammostamento 6

1.1.3 Separazione del mosto 6

1.1.4 Bollitura del mosto 7

1.1.5 Chiarificazione e raffreddamento del mosto 7

1.2 Fermentazione 8

1.2.1 Prima fermentazione 9

1.2.2 Maturazione 9

1.3 Imbottigliamento e metodi di pastorizzazione 10

1.4 Ripartizione dei consumi energetici 11

2 Stato dell’arte sul recupero energetico nei birrifici 13

2.1 Manutenzione periodica e corretto utilizzo dei macchinari 13

2.1.1 Motori e sistemi ad essi associati 13

2.1.2 Caldaie e distribuzione di vapore 14

2.1.3 Refrigerazione e raffreddamento 15

2.2 Ottimizzazione di processo 15

2.2.1 Ottimizzazione delle unità tecnologiche divise per processo 16 2.2.2 Ottimizzazione a livello di sistema attraverso la pinch analysis 19

2.3 Integrazione di calore da fonti rinnovabili 20

2.3.1 Integrazione di calore tramite cogenerazione 20

2.3.2 Integrazione di calore tramite solare termico 21 2.3.3 Integrazione di calore tramite sistemi a biogas o biomasse 21 2.4 Istituzione di un programma di gestione energetica 22

3 Impianto 23

3.1 Schema d’impianto 23

3.2 Scambiatore di preriscaldamento del mosto 23

3.3 Caldaia del mosto 25

3.4 Pfaduko (condensatore dell’evaporato) 25

3.5 Scambiatore di raffreddamento condensato 26

3.6 Whirlpool 26

3.7 Scambiatore di raffreddamento del mosto 26

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IV

4 Campagna di acquisizione dati 29

4.1 Pianificazione e svolgimento 29

4.2 Strumentazioni 31

4.3 Analisi dei dati monitorati 33

4.4 Osservazioni 34

5 Modello 37

5.1 Approccio modellistico 37

5.1.1 Scambiatore di calore atto al preriscaldamento 38

5.1.2 Caldaia di cottura del mosto 39

5.1.3 Pfaduko 42

5.1.4 Scambiatore di calore per il raffreddamento del mosto 46

5.1.5 Serbatoio di accumulo di acqua tecnica 47

5.2 Approccio numerico 50

5.2.1 Lo script principale 50

5.2.2 Il ciclo while e le handle function 51

5.2.3 La funzione ‘aggiornacontrolli’ 53

5.2.4 La funzione ‘derivatestati’ 55

5.2.5 La funzione ‘@eventi’ 60

5.2.6 La funzione ‘@derivate’ 61

5.3 Discrepanze con il caso reale 62

6 Taratura e validazione del modello 65

6.1 Calibrazione del modello 65

6.1.1 La fase di preriscaldamento 66

6.1.2 La fase di riscaldamento 71

6.1.3 La fase di ebollizione e pfaduko 71

6.1.4 La fase di raffreddamento 72

6.1.5 Il serbatoio di accumulo 74

6.2 Validazione del modello 76

6.2.1 Validazione della fase di preriscaldamento 76

6.2.2 Validazione della fase di riscaldamento 79

6.2.3 Validazione del pfaduko 80

6.2.4 Validazione del serbatoio di acqua tecnica 87

7 Ottimizzazione e valutazione energetica 89

7.1 Efficienza del recupero attuale 89

7.2 Ottimizzazione dell’impianto 91

7.3 Potenzialità di recupero 95

7.3.1 Integrazione di una macchina ad assorbimento 95

7.3.2 Pastorizzatore 99

(5)

V

Conclusioni 103

Nomenclatura 105

Bibliografia 107

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VII

Elenco delle figure

3 Sinottico parziale di impianto: il processo produttivo di cottura 24 4.1 Posizionamento delle sonde di temperatura e dei misuratori di portata 30 4.2 Temperature reali del nodo superiore del serbatoio durante ebollizione 35 5.1 Schematizzazione dello scambiatore di preriscaldamento 38

5.2 Schematizzazione della caldaia di cottura del mosto 40

5.3 Schematizzazione del pfaduko 43

5.4 Schematizzazione del serbatoio di accumulo durante carica e scarica 48 6.1 Andamento della portata di acqua entrante nel preriscaldatore. Caso 1 67 6.2 Andamento della portata di acqua entrante nel preriscaldatore. Caso 2 67 6.3 Andamento della temperatura di mosto entrante nel preriscaldatore. Caso 1 69 6.4 Andamento della temperatura di mosto entrante nel preriscaldatore. Caso 2 69

6.5 Confronto profili di temperatura nodo inferiore 70

6.6 Temperature di acqua e mosto in ingresso e uscita dal raffreddatore. Caso 1 73 6.7 Temperature di acqua e mosto in ingresso e uscita dal raffreddatore. Caso 2 73

6.8 Confronto profili di temperatura nodo superiore 75

6.9 Relazione tra le energie reali e simulate di preriscaldamento 77

6.10 Temperature reali e simulate a fine ricircolo 78

6.11 Relazione tra le energie reali e simulate di riscaldamento 80 6.12 Relazione tra le energie reali e simulate nell’accumulo. Caso 5 nodi 81 6.13 Confronto distribuzione media di temperatura nel serbatoio 82 6.14 Relazione tra le energie reali e simulate nell’accumulo. Caso 20 nodi 84 6.15 Portate reali e simulate di acqua transitanti nel pfaduko. Caso 1 85 6.16 Portate reali e simulate di acqua transitanti nel pfaduko. Caso 2 85

6.17 Temperature reali e simulate a fine evaporazione 86

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VIII

6.19 Temperature del serbatoio reali e simulate della quattordicesima cotta settimanale 87 6.20 Temperature del serbatoio reali e simulate della ventiseiesima cotta settimanale 88 7.1 Temperatura dell’acqua in uscita dal pfaduko senza modulazione di portata 93 7.2 Temperatura dell’acqua in uscita dal pfaduko con modulazione di portata 94

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IX

Elenco delle tabelle

A Andamento della produzione mondiale di birra dal 2008 al 2012 1 B Consumo di energia primaria e spese economiche dei birrifici americani nel 1994 2 1 Stima della percentuale di utilizzo di energia nei vari settori di un birrificio 11 5 Bilanci massici ed energetici del componente caldaia 41 6.1 Valori medi, massimi e minimi di portata reale di acqua nel preriscaldatore 66 6.2 Valori medi di temperatura reale di mosto entrante nel preriscaldatore 68 6.3 Coefficienti correttivi nell’analisi energetica del serbatoio di accumulo 83 7 Confronto tra le macchine ad assorbimento H2O - LiBr e NH3 - H2O 96

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XI

Sommario

La produzione di birra ricopre un importante ruolo nell’economia agroalimentare di diversi paesi a livello europeo e mondiale. Negli ultimi anni si è registrata una tendenza in crescita sia a livello di consumi sia di produzione che ha portato ad un’intensificazione della concorrenza a livello di mercato globale. A causa della volatilità dei prezzi dell’energia elettrica e gas naturale, i quali influenzano negativamente la previsione di guadagni futuri, il tema dell’efficienza energetica rappresenta un’ottima soluzione per ridurre i costi mantenendo inalterata la qualità del prodotto finale. Per raggiungere questo obbiettivo si ha la possibilità di adottare diversi interventi che si differenziano tra loro per il contributo di energia risparmiata e per l’investimento economico. Lo studio sviluppato ha l’obbiettivo di creare un modello matematico solido e flessibile attraverso il software di simulazione dinamica MatLab in grado di simulare il processo produttivo della fabbricazione di birra presso lo stabilimento di Carlserg® Italia di Induno Olona (VA) al fine di individuare e ottimizzare le eventuali inefficienze. La costruzione e la validazione di tale modello è stata affiancata ad una campagna di acquisizione dati con il fine di individuare sia i punti in cui fosse necessario eseguire manutenzione sia quelli nei quali non fosse garantito il corretto funzionamento dei macchinari. Una volta validato il modello l’attenzione viene posta sul tema dell’ottimizzazione di processo in modo tale che si riesca a sfruttare il massimo potenziale di energia che si ha a disposizione. L’approccio di ottimizzazione prevede lo sviluppo di parametri di riferimento attraverso il calcolo di minima energia termodinamicamente richiesta per il processo. Infine si presenta il possibile risparmio in termini di costo di energia elettrica e di combustibile che l’istallazione di nuove tecnologie potrebbe comportare. Dato che lo stabilimento in analisi rappresenta in linea di massima un caso standard di sito industriale adibito a birrificio nel panorama Carlsberg® se ne conclude che lo studio potrebbe essere esteso ad altri birrifici. Tale estensione prevedrà l’adozione di piccoli accorgimenti inerenti lo specifico stabilimento sotto esame e ne conseguirà che i diversi fattori che contribuiscono al recupero energetico nei birrifici possano avere un peso molto diverso da uno stabilimento all’altro.

Parole chiave: analisi energetica, efficienza energetica, processo produttivo della birra, recupero

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XII

Ringraziamenti

Innanzi tutto vorremmo ringraziare il nostro relatore: Ing. Marcello Aprile che, in questi otto mesi, ci ha seguito con pazienza, ci ha sapientemente consigliato e dato fiducia e senza il quale questo lavoro non avrebbe visto la luce. Un sentito grazie va anche agli Ingegneri Antoine Frein e Tommaso Toppi che con infinita disponibilità e dedizione di tempo ci hanno indirizzato sulla giusta via rispettivamente con accorgimenti riguardanti il modello matematico e la stesura della Tesi. Un ringraziamento va anche all’Ing. Matteo Zanchi che ha fatto da tramite con lo stabilimento Carlsberg® e ha supportato la campagna di acquisizione dati. Si ringrazia tutto il personale dello stabilimento di Carlsberg® Italia di Induno Olona, in particolare Stefano Carzaniga e l’Ing. Fabio Mazzocchi per la disponibilità e gentilezza mostrata nel fornirci i dati tecnici d’impianto e per il tempo dedicatoci.

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1

Introduzione

La produzione di bevande alcoliche ha radici molto antiche: i primi reperti archeologici di bevande derivate dalla fermentazione del succo d’uva risalgono a più di 7500 anni fa e le prime testimonianze riferite al processo di produzione del vino appartengono al periodo del regno di Udimu in Egitto, circa 5000 anni fa [1]. Nonostante ciò la bevanda che detiene il record di anzianità è la birra, le cui tracce vennero ritrovate tra reperti del 6000 a.C. appartenenti alla civiltà Babilonese. La birra è una bevanda apparentemente semplice composta da pochi ingredienti, ma sono necessari precisione e cura di ogni singolo passaggio affinché tali ingredienti si possano unire in perfetta armonia.

Le principali materie utilizzate sono l’acqua, il malto d’orzo, il luppolo e il lievito. Il processo di brewing, ovvero l’insieme delle attività che trasformano le materie prime in birra, ha inizio con l’estrazione e l’abbattimento dei carboidrati a partire dal malto d’orzo per ottenere una soluzione zuccherina chiamata mosto, la quale contiene il materiale nutritivo che servirà ad alimentare il lievito durante il passo successivo: la fermentazione anaerobica. In questo passaggio gli zuccheri semplici vengono consumati, viene rilasciata energia e prodotto etanolo. Il resto del processo, che verrà spiegato maggiormente in dettaglio nei capitoli seguenti, coinvolge scambi di calore, separazioni e filtrazioni che hanno un peso minore sulla composizione chimica del prodotto finale. Ai giorni nostri la produzione di bevande alcoliche rappresenta un significante contributo all’economia di diversi paesi e, come si può vedere nella Tabella A, la produzione di birra nel mondo ha visto un continuo incremento negli ultimi anni, arrivando ad un volume pari a 1951 Mhl nel 2012 [1s].

Tabella A: Andamento della produzione di birra a livello mondiale. Fonte Bath Report

CONTINENTI PRODUZIONE BIRRA (milioni di hl) Variazione 2012/2008 Pro capite Litri/anno 2008 2009 2010 2011 20212 Europa 585 554 548 550 545 -6,8% 73 America 543 545 558 565 571 +5,2% 61 Asia 577 598 631 680 688 +19,2% 17 Africa 92 99 104 112 125 +35,9% 11 Oceania 22 22 22 22 22 - 59 TOTALE 1819 1818 1863 1929 1951 +7,3% 28

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2

I birrifici consumano il 4% dell’energia relativa ad industrie nel settore alimentare, che diventa il 40% se si considerano aziende specializzate nella produzione di bevande. Di tutta l’energia primaria consumata, una percentuale pari al 60% è attribuibile all’utilizzo di gas naturale e carbone, mentre il 36% di essa è ascrivibile al consumo di energia elettrica. Tale dato comprende anche le perdite associate a tale vettore energetico che, nonostante ricopra più di un terzo circa dell’energia primaria totale, rappresenta la voce di costo più consistente nel settore della produzione della birra [2]. Come si evince dalla Tabella B, nel 1994 le industrie americane specializzate nella fabbricazione di bevande a base di malto hanno speso un totale di 221 milioni di dollari di energia primaria. Si nota che il 56% della spesa totale è da attribuire all’energia elettrica nonostante il consumo netto, compreso le perdite, di tale vettore rappresentasse il 36% del totale [3].

Tabella B: Consumo di energia primaria e spese economiche affrontate dai birrifici americani nel 1994.

Fonte EIA, 1997

Il continuo incremento dei volumi prodotti ha necessariamente portato, negli anni, ad una costante evoluzione delle tecnologie utilizzate in tale processo ed ad un sempre maggior interesse nell’aspetto energetico, con l’obbiettivo di ridurre i costi di produzione e l’impatto ambientale. In particolare, negli ultimi anni, si sono sviluppate tecnologie che minimizzassero la quantità di evaporato nella fase di ebollizione del mosto. L’azienda Carlsberg® rappresenta una realtà all’avanguardia in tal senso e, da sempre, pone un’attenzione particolare sul tema del risparmio energetico e sulla sostenibilità ambientale. Si è dunque resa disponibile ad approfondire il tema dello sviluppo di nuovi sistemi votati al recupero di energia.

Il seguente studio si pone quindi l’obbiettivo di creare e validare, tramite l’acquisizione di dati sperimentali, un modello matematico in grado di simulare il processo di cottura del mosto, così da

Consumi Spesa TJ (%) M$ (%) Elettricità netta 8,44 12% 123 56% Perdite elettriche 16,88 24% - - Olio combustibile 0 0% 0,5 0% Gas naturale 23,21 33% 59 27% Carbone 17,935 25% 28 13% Altri combustibili 4,22 6% 11 5% TOTALE 70,685 100% 221 100%

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3 poter svolgere analisi energetiche mirate all’ottimizzazione dell’impianto già esistente e a valutare la possibile integrazione di macchine che possano contribuire al recupero energetico nel processo. Per perseguire tali obbiettivi si è fatto ricorso a diversi strumenti di supporto alle considerazioni finali. Lo sviluppo di un modello matematico che simulasse il comportamento reale dei singoli componenti, facenti parte del processo produttivo dello stabilimento di Carlsberg® Italia presso Induno Olona (VA), è stato svolto grazie all’utilizzo dell’ambiente di programmazione MatLab. MatLab (abbreviazione di MATrix LAboratory) è risultato uno strumento di calcolo sufficientemente flessibile e potente per la simulazione del caso in esame. Il linguaggio di programmazione associato è abbastanza intuitivo ed è specializzato nell’ambito del calcolo numerico. Data anche la possibilità offerta dall’ambiente di simulazione, si è fatto ricorso a grafici che rappresentassero l’evoluzione temporale delle variabili di interesse. Tale lavoro di costruzione di un modello di simulazione è stato affiancato ad una campagna di acquisizione dati presso lo stesso stabilimento, in modo tale da confrontare i risultati simulati con quelli reali. Durante il periodo di acquisizione dati di circa un mese e mezzo (dal 22/10/2015 al 09/12/2015), sono state monitorate temperature e portate dei fluidi rilevanti e, a partire da queste grandezze, si sono potute calcolare indirettamente le potenze termiche coinvolte nei vari processi. I tempi di campionamento degli strumenti utilizzati sono stati di un minuto e di dieci secondi rispettivamente per le misure di temperatura e portata. Tali intervalli temporali sono risultati sufficientemente brevi e quindi in grado di poter ricostruire le dinamiche del sistema: aspetto molto importante in quanto il processo analizzato è di tipo batch, ovvero caratterizzato dall’accensione, lo spegnimento, il carico e lo scarico dei componenti coinvolti che rende il processo tutt’altro che continuo. Inoltre alcune grandezze di interesse sono state reperite dai server Carlsberg® come ad esempio: le tempistiche di processo, le masse di mosto ed alcune altre temperature rilevanti. L’analisi di tali dati ha permesso sia una taratura che una validazione del modello costruito. L’ottimizzazione del processo è passata attraverso la simulazione di casi in cui fossero eliminati i malfunzionamenti, precedentemente implementati per la validazione, riscontrati dall’analisi dei dati monitorati e registrati dalle sonde installate. La bontà di tale modifiche è valutata attraverso l’analisi di un indicatore energetico: il COP equivalente, espresso come il rapporto tra l’energia termica recuperata ed i consumi elettrici addizionali correlati al recupero. Lo studio si conclude proponendo un paio di soluzioni per l’integrazione del calore di scarto che l’istallazione di nuove macchine potrebbe recuperare in toto o in buona parte. Viene valutato quindi il possibile risparmio in termini di costo di energia elettrica e di combustibile che l’istallazione di nuove tecnologie potrebbe comportare.

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Capitolo 1

Processo di produzione

Il seguente capitolo presenta, una breve ma esaustiva descrizione dell’intero processo di produzione della birra partendo dalle materie prime fino a giungere al prodotto finale. In tale processo sono identificabili tre principali settori: la brewhouse (ammostamento e bollitura), la fermentazione e l’imbottigliamento. Infine si illustra come il fabbisogno energetico venga ripartito tra i vari settori della filiera di produzione.

1.1 Brewhouse

La Brewhouse comprende tutti i passaggi necessari per ottenere, dalle materie prime, la soluzione di mosto luppolato che subirà il processo di fermentazione trasformandosi in birra. Questa sezione presenta il più elevato consumo energetico in quanto comprende processi come la bollitura e il raffreddamento del mosto.

1.1.1 Macinatura del malto

Il primo processo a cui viene sottoposto il malto d’orzo è la macinatura, ovvero la rottura del guscio che ricopre il chicco, così da rendere l’amido presente al suo interno più accessibile agli enzimi del malto. Esistono diverse tecniche di macinatura legate anche alle diverse tipologie di ammostamento. La tecnica più diffusa è quella della macinatura a secco che sfrutta rulli o piccoli magli per sgranare il malto che successivamente verrà separato dalle bucce tramite dei setacci oscillanti. Un altro metodo consiste nella macinatura a umido; in tale processo il malto viene umidificato con acqua o vapore così da favorire la rimozione dei gusci. I chicchi vengono fatti passare attraverso rulli che ne spremono il contenuto, il quale viene filtrato per rimuovere le bucce. La maggior facilità di estrazione di questa seconda tecnica è dovuta all’assorbimento di acqua da parte dei gusci ed al loro conseguente aumento di volume del 10-20%. È molto importante che la temperatura del chicco non superi i 40 °C altrimenti si rischierebbe di danneggiare gli enzimi presenti al suo interno. Infine esiste la tecnica della macinatura bagnata, simile alla macinatura a

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6

umido, prevede di mantenere l’orzo in acqua calda a 30-50 °C per un tempo che varia tra i 10 e i 30 minuti a seconda della tipologia del seme, in modo da aumentarne il contenuto d’acqua e da poter favorire la spremitura del chicco dai gusci. L’acqua assorbita in questo procedimento contribuisce già in parte al processo di ammostamentoche avrà luogo subito dopo.

1.1.2 Ammostamento

L’orzo separato dai gusci viene mescolato con acqua: questa idratazione permette l’attivazione degli enzimi e la trasformazione in malto, ovvero in grani che hanno subito il processo di germinazione. In questa fase viene utilizzata acqua deaerata per minimizzare l’ossigenazione del composto, tipicamente si impiegano tra i 2 e i 4 hl ogni 100 kg di malto. Manipolando il profilo di temperatura, tipicamente tra 35-75 °C, ed il tempo di residenza ad una specifica temperatura, si può agire su alcune caratteristiche che avrà il prodotto finito quali: il contenuto alcolico, la quantità di schiuma, il colore e la torbidità.

Esistono due metodi di ammostamento: l’infusione e la decozione. Il primo consiste nel portare l’intera soluzione attraverso i vari step di temperatura: riscaldando gradualmente se si segue il metodo tedesco o riscaldando tutta la soluzione subito ad alta temperatura e poi raffreddandolo mano a mano, secondo il metodo inglese. L’infusione presenta il vantaggio di essere facilmente automatizzata e di aver un consumo energetico inferiore del 20-30% rispetto alla decozione [4]. La tecnica di decozione prevede che parte della soluzione venga trasferita in un bollitore dove viene portata ad una temperatura per poi essere ritrasferita nel serbatoio iniziale in modo da portare l’intera soluzione all’intervallo di temperatura desiderato. Si possono avere fino a tre cicli di bollitura ma ad oggi si preferisce usarne massimo due.

1.1.3 Separazione del mosto

Durante questo processo tutte la parti insolubili (trebbie) vengono separate dal mosto tramite un processo di filtrazione. L’efficienza di estrazione, calcolata come il rapporto in massa tra il mosto ottenuto e la soluzione proveniente dall’ammostamento, è un indice di interesse in quanto denota quanta birra potrà essere prodotta a partire da una certa quantità di malto d’orzo. La filtrazione può essere attuata tramite dei lauter tun o dei mash filter. Il lauter tun consiste in una botte di acciaio cromo-nichel che presenta un falso fondo a 10-20 millimetri da quello reale; la superficie di questo strato è per il 15% forata, per permettere il passaggio del mosto. L’intero vaso viene riempito prima con acqua calda e poi viene immessa la soluzione proveniente dall’ammostamento, a questo punto

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Processo di produzione

7 le trebbie vengono fatte decantare per 20-30 minuti così da formare uno strato filtrante. Il mosto viene quindi pompato attraverso il falso fondo e depurato delle parti insolubili, quindi tramite dei condotti di deflusso, viene convogliato verso il bollitore. I mash filter sono macchine pneumatiche che presentano diverse camere separate tra loro da elastomeri in polipropilene al cui interno sono posizionati dei filtri anch’essi in polipropilene. La soluzione viene introdotta nelle camere e poi compressa sui filtri che trattengono le trebbie; con le tecnologie attuali, al termine dell’operazione più dell’80% del mosto solubile viene recuperato.

1.1.4 Bollitura del mosto

La fase di bollitura coinvolge una vasta gamma di reazioni chimiche che andranno a produrre il brodo nutritivo per la fermentazione alcolica dei lieviti. In particolare in questo passaggio si ottiene: la sterilizzazione del mosto, la coagulazione delle proteine dei grani, l’arresto dell’attività enzimatica, l’evaporazione delle componenti volatili, la formazione di ioni di metallo e lipidi che contribuiranno a caratterizzare il colore e il sapore della birra. Questo è anche il passaggio nel quale viene introdotto un altro ingrediente base, il luppolo, dal quale vengono estratte sostanze che danno il caratteristico sapore amaro alla bevanda. Il luppolo può essere sostituito da estratti di luppolo, i quali riducono i tempi di cottura e hanno il vantaggio di non dover essere rimossi alla fine del processo. La tecnica tradizionale di bollitura è quella ad alta temperatura, che consiste nel portare il mosto a temperature di 130-140 °C attraverso vari step, solitamente tre, e poi mantenerlo in tali condizioni per brevi periodi di tempo: dai 3 ai 5 minuti. Alle tradizionali tecniche di bollitura si sono andate via via affiancando nuove soluzioni che mirano al risparmio energetico, come: i bollitori a bassa pressione, statici o dinamici, che permettono di portare ad ebollizione il mosto a temperature dell’ordine dei 100 °C oppure affiancare al bollitore colonne di strippaggio per la rimozione delle componenti volatili indesiderate, così da non dover necessariamente raggiungere l’ebollizione. Questa fase del processo risulta per la maggior parte dei casi la più energivora, e perciò la più predisposta ad interventi di recupero energetico.

1.1.5

Chiarificazione e raffreddamento del mosto

Finita la bollitura è necessario rimuovere i cosiddetti trub (insieme di proteine coagulate, luppolo sedimentato e altre particelle che si depositano durante la cottura) affinché non ostruiscano lo scambiatore di calore utilizzato per il raffreddamento del mosto. Inoltre la presenza di trub durante la fermentazione ne riduce l’efficacia in quanto il lievito viene stimolato a sedimentare, portando

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così ad avere un colore scuro, un sapore grezzo e una schiuma poco stabile nel prodotto finale. Come prima operazione viene recuperato il luppolo esausto, il quale può contenere da 5 a 6 l di mosto per kg di luppolo. La separazione avviene tramite settaccio, quindi il luppolo viene lavato con acqua calda e strizzato per recuperare quanto più mosto possibile. La restante parte del trub è composta da: materiale proteico 40-70%, acidi del luppolo 10-20%, polifenoli 8%, carboidrati 7-10%, acidi grassi 1-2% e piccole percentuali di minerali [5]. Il contenuto di tali particelle deve essere ridotto da un valore tipico iniziale di 40-80 g/hl ad un valore di 10 g/hl [4].

Esistono diverse tecniche di rimozione, la più facile è la sedimentazione che consiste nel porre il mosto in una cisterna e aspettare 0,5-2 h affinché tutte le particelle si depositino sul fondo, questa tecnica permette anche al mosto di raggiungere la temperatura congeniale alla fermentazione per scambio termico con l’ambiente senza dover ricorrere a un fluido refrigerante. Un metodo più efficiente consiste nell’utilizzo di una centrifuga: un vaso cilindrico nel quale il mosto viene pompato tangenzialmente, la rotazione provoca un sedimentazione delle particelle che formano un cono sul fondo, mentre il mosto chiarificato viene prelevato sui lati. Questo metodo riduce sicuramente i tempi e diminuisce la quantità persa di mosto, gli svantaggi che si possono riscontrare sono l’elevato consumo di energia elettrica, il rumore e i relativamente elevati costi di manutenzione. Una volta ripulito dal trub il mosto deve essere raffreddato, la temperatura alla quale deve essere portato dipende dalla tipologia di birra che si sta producendo: il range può variare dai 6 °C per le lager fino a 25 °C per le ale [6]. Il raffreddamento può avvenire con aria, tramite colonne di strippaggio o con acqua/glicole in scambiatori a piastre. Alcuni birrifici preferiscono aerare il mosto prima di raffreddarlo per eliminare i composti volatili indesiderati. Al termine del processo è possibile attuare un’ulteriore filtrazione per rimuovere eventuali sedimenti formatisi.

1.2 Fermentazione

In questa fase avvengono tutte le reazioni chimiche che modificano la struttura del mosto trasformandolo in birra. Il processo si divide in due fasi: la prima fermentazione e la maturazione, anche chiamata seconda fermentazione; entrambe si realizzano in serbatoi in acciaio cromo-nichel. Per rimuovere il calore generato durante la fermentazione si può ricorrere all’utilizzo di giacche termiche, oppure posizionare i tini in celle frigorifere.

Il raffreddamento dei serbatoi può essere diretto o indiretto: nel primo caso il calore viene sottratto tramite l’evaporazione di ammoniaca, mentre nel secondo caso si usa dell’acqua glicolata come fluido termovettore intermedio. Prima dell’introduzione del lievito, per facilitare l’attivazione del

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Processo di produzione

9 processo di fermentazione, è necessario aerare il mosto e dare inizio ad una degradazione aerobica dei carboidrati.

1.2.1 Prima fermentazione

Durante la prima fermentazione avviene la degradazione dei carboidrati, la formazione di alcoli superiori, esteri, acidi organici e dichetoni vicinali più altre sostanze minori che non influenzano le caratteristiche del prodotto. I carboidrati rappresentano circa il 90% del contenuto solido del mosto; di questi gli zuccheri fermentabili sono circa l’80% e consistono in glucosio, fruttosio, saccarosio, maltosio e malto triosio. Durante la loro degradazione rilasciano etanolo e anidride carbonica. Il primo zucchero che viene consumato è il glucosio che agisce da inibitore per tutti gli altri zuccheri, infatti un’elevata presenza di glucosio estende i tempi di fermentazione [7]. É necessaria una conoscenza dettagliata della composizione degli zuccheri e del ruolo che hanno nella crescita del lievito utilizzato. L’interazione del lievito con gli amminoacidi presenti nel mosto porta alla formazione di componenti volatili chiamati alcoli superiori. Se ne possono distinguere 35 tipi, ma i più interessanti sono gli alcoli superiori alifatici, che donano alla birra un aroma ‘alcolico’ e una sensazione di calore al palato, e gli alcoli aromatici che donano un retrogusto dolciastro. Come prodotto intermedio della sintesi degli alcoli superiori si ottiene il dichetone vicinale: un chetone con l’aggiunta di due gruppi carbonile, il quale dà un aroma burroso alla bevanda.

La crescita del lievito porta anche alla sinterizzazione degli esteri i quali donano un tono fruttato alla birra. La loro produzione però è condizionata da diverse variabili quali: la temperatura, la pressione, la disponibilità di carbonio, la presenza di composti di azoto, acidi grassi e ossigeno. Infine, a seguito della biosintesi degli amminoacidi e della metabolizzazione dei carboidrati, vengono estratti acidi organici dal malto e dal luppolo presenti nel mosto e la loro presenza influenza direttamente il sapore e il pH della birra.

1.2.2 Maturazione

La seconda fermentazione solitamente avviene in un altro serbatoio per permettere una prima rimozione delle componenti che si sono depositate durante il primo periodo. Gli scopi di questa seconda fase sono: la sedimentazione dei lieviti, la saturazione della birra da parte dell’anidride carbonica per donare frizzantezza al prodotto, l’estrazione dal lievito delle ultime componenti utili a dare corpo alla birra e l’eliminazione degli aromi indesiderati. Inoltre è possibile aggiustare

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colore e amarezza, se necessario, con l’aggiunta di prodotti coloranti (es. caramello) e derivati del luppolo.

Giunto a termine il periodo di maturazione, che varia a seconda della tipologia di birra, la bevanda subirà un'altra serie di filtrazioni per garantire la corretta limpidezza e rimuovere i residui solidi della fermentazione prima di essere trasferita al reparto d’imbottigliamento.

1.3 Imbottigliamento e metodi di pastorizzazione

In questo reparto si svolgono due principali attività: la pastorizzazione e il confezionamento. La pastorizzazione è quel processo che serve per eliminare qualsiasi traccia di attività microbiologica ancora presente nella birra, così da consentirne una più lunga conservazione. Il confezionamento può avvenire in bottiglie, lattine o barili; a prescindere dal metodo utilizzato ogni recipiente dovrà essere lavato e sterilizzato al fine di rimuovere qualsiasi impurità che possa danneggiare il prodotto.

Esistono principalmente due tecniche di pastorizzazione: a tunnel o a flash. La prima prevede di far passare ogni singola bottiglia in un tunnel nel quale viene lavata con degli spruzzi d’acqua che la portano gradualmente alla temperatura di 60 °C, temperatura necessaria affinché la pastorizzazione abbia effetto, e poi successivamente la raffreddano per riportarla ad una temperatura ambiente nel tratto di uscita. La pastorizzazione a flash viene svolta in scambiatori di calore nei quali la birra viene velocemente portata a temperature elevate per un breve periodo di tempo e poi rapidamente raffreddata. Al contrario di quella a tunnel, questa tecnica viene utilizzata prima del confezionamento e porta diversi vantaggi: occupa meno spazio ed significativamente meno energivora. Di contro presenta degli elevati costi addizionali dovuti ad una filtrazione sterile della birra che è necessariamente richiesta e potrebbe restituire un prodotto con scadenza più breve se confezionato con materiali non adeguatamente sterilizzati [8].

Un approccio alternativo si basa unicamente sull’utilizzo di filtrazioni sterili [6], ma si ritiene che tale tecnologia consumi più energia di quella che viene risparmiata [9].

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Processo di produzione

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1.4 Ripartizione dei consumi energetici

Come illustrato, un birrificio rappresenta una realtà articolata che comprende differenti ambiti produttivi. La Tabella 1 mostra come sono ripartiti i consumi di energia elettrica e di energia termica nei diversi usi [10]. L’energia termica viene in genere fornita ai processi produttivi sotto forma di vapore (8-18 bar) [11].

Tabella 1: Stima della percentuale di utilizzo di energia nei vari settori di un birrificio.

Fonte Sorrel, 2000 Energia termica Brewhouse 30-60% Packaging 20-30% Riscaldamento ambienti <10% Utilities 15-20% Energia elettrica Refrigerazione 30-40% Packaging 15-35% Compressione di aria 10% Brewhouse 5-10%

Macchine associate alla caldaia 6%

Illuminazione 10-30%

Altro 10-30%

Da essa si nota quali siano i settori che richiedano il maggior quantitativo di energia termica ed elettrica e su quali puntare maggiormente l’attenzione al fine di cercare di ridurre di qualche punto percentuale il consumo di tali vettori energetici portando un risparmio economico più o meno considerevole per il birrificio in esame. In particolare il consumo maggiore di energia elettrica si verifica nel reparto di refrigerazione a causa della sviluppata tecnica di utilizzo di chiller che comporta un consumo considerevole di elettricità. A causa dei processi di riscaldamento e bollitura, il settore più termicamente energivoro risulta essere quello di trasformazione delle materie prime in prodotto finito, cioè quello della brewhouse. È proprio in questi due reparti che, a seguito dello sviluppo del modello, lo studio seguente si propone di intervenire.

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Capitolo 2

Stato dell’arte sul recupero energetico nei birrifici

In questa sezione si espone il più alto livello di sviluppo e conoscenza finora raggiunto nel campo d’indagine scientifico del recupero energetico negli stabilimenti alimentari adibiti alla produzione di birra. Di seguito si presentano le quattro macro-aree di intervento ordinate in base ad un criterio di priorità di intervento e alla facilità di attuazione.

2.1 Manutenzione periodica e corretto utilizzo dei macchinari

Le seguenti misure adottate per ridurre i consumi dei vettori energetici non interferiscono con i processi inerenti alla produzione di birra ma allo stesso tempo possono avere un effetto significativo ed immediato sul risparmio energetico. Il peso del singolo accorgimento adottato potrebbe risultare molto piccolo in confronto al consumo totale a differenza invece della somma dei pesi dei singoli accorgimenti, la quale può influire significativamente a fronte di un investimento contenuto. Non è trascurata l’attenzione sui sistemi di controllo e monitoraggio i quali possono ridurre i tempi necessari per svolgere operazioni complesse, possono migliorare la qualità e la consistenza del prodotto ed ottimizzare il processo. Si consiglia il loro utilizzo in ogni processo ma in particolar modo su quelli di fabbricazione del prodotto e di raffreddamento; necessitano di strumenti di misura, automazione nel funzionamento del processo e di informazioni dinamiche di feed-back per il controllo ed il monitoraggio continuo.

2.1.1 Motori e sistemi ad essi associati

Per ridurre i consumi energetici in questo settore ci sono diversi interventi da adottare. Si può citare, come esempi, l’adozione di equipaggiamenti (motori, pompe, compressori) dimensionati opportunamente in modo tale da evitare perdite inutili. Come esposto in United States Industrial Electric Motor Systems Market Opportunities Assessment [12], l’adozione di una corretta taglia di motori può portare ad un risparmio fino al 1,2% di energia elettrica consumata e l’idonea corrispondenza tra la curva di carico e la taglia della pompa può ridurre fino al 4% il consumo di

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energia di pompaggio nei birrifici americani. Si consiglia ove possibile di utilizzare componenti ad alta efficienza che permettono il funzionamento a temperature inferiori, riducendo le vibrazioni e l’usura di cuscinetti e dell’isolamento. Infine l’adozione di variatori di velocità o azionamenti a velocità regolabile soddisfano maggiormente i requisiti di carico migliorando il risparmio di energia in caso di riduzione della domanda [2].

2.1.2 Caldaie e distribuzione di vapore

Per i componenti come le caldaie, risulta centrale il tema della riduzione del consumo del vettore energetico ‘combustibile’. Per raggiungere tale scopo, l’istituzione di un programma basato sul funzionamento alle massime prestazioni potrebbe comportare risparmi considerevoli ed il monitoraggio della composizione dei gas esausti potrebbe rilevare la temperatura di fiamma ottimale. Per quanto riguarda la pulizia, è dimostrato che l’utilizzo di trattamenti chimici per eliminare le incrostazioni comporta un risparmio di combustibile [13]. Una soluzione interessante potrebbe essere anche quella di utilizzare il vapore generatodall’espansione dell’acqua di lavaggio della caldaia; le possibili applicazioni potrebbero essere il preriscaldamento dell’acqua di alimentazione o il riscaldamento degli ambienti, comportando una riduzione del consumo di combustibile. Inoltre l’utilizzo di un economizzatore potrebbe recuperare il calore contenuto nei gas di scarico per preriscaldare o l’acqua di alimentazione o l’aria; occorre comunque porre attenzione sulla possibile formazione di condense acide. Come regola del pollice si può assumere che ridurre la temperatura dei gas esausti di 20-25 °C comporta un punto percentuale di combustibile risparmiato [13],[14].

Per quanto riguarda la rete di distribuzione del vapore, gli accorgimenti da adottare sono il miglioramento dell’isolamento e la riparazione delle perdite. All’isolante è richiesta una bassa capacità termica, una buona stabilità dimensionale al variare della temperatura e una buona resistenza all’assorbimento dell’acqua e alla combustione. L’adozione di un programma di ispezione e manutenzione per i tubi permette di rilevare con prontezza le eventuali perdite dato che anche un foro di dimensioni ridotte potrebbe portare, alla lunga, a consumi non trascurabili. Infine la manutenzione periodica degli scaricatori di condensa, elementi che rimuovono il vapore condensato e i gas incondensabili senza perdere vapore utile, accoppiata con un monitoraggio automatico, comporta un risparmio notevole con una spesa contenuta aumentando del 5% il recupero rispetto alla sola manutenzione [15].

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Stato dell’arte sul recupero energetico nei birrifici

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2.1.3 Refrigerazione e raffreddamento

Il metodo più economico per ridurre i consumi in questo settore è quello di migliorare il funzionamento e la manutenzione del sistema di raffreddamento attraverso il settaggio delle corrette pressioni, il mantenimento dell’idoneo livello di refrigerante e la pulizia di condensatori ed evaporatori [16]. Occorre, dunque, minimizzare le differenze tra le condizioni di condensazione e quelle di evaporazione. Il condensatore richiede un refrigerante con temperatura e pressione di condensazione più basse possibili in modo tale da diminuire la richiesta di potenza e aumentare il potere refrigerante in uscita. Per quanto riguarda invece l’evaporatore, aumentare la temperatura e la pressione, diminuisce la potenza assorbita dal compressore. Se la temperatura di evaporazione aumenta di un grado, il consumo di energia elettrica si riduce del 3% [15].

Un ulteriore intervento potrebbe essere quello di modificare e migliorare il progetto dei sistemi di raffreddamento sostituendo quelli a circuito aperto con quelli a circuito chiuso che semplificano ed aumentano l’efficienza del processo [13]. Per quanto riguarda i sistemi che utilizzano ammoniaca come refrigerante, essi vanno analizzati caso per caso in quanto potrebbero allungare la vita utile del componente e risparmiare energia elettrica ma comporterebbero elevati investimenti iniziali ed un pericolo di fuoriuscita [17]. Infine l’isolamento delle linee di raffreddamento potrebbe essere un’ottima soluzione qualora non fossero già isolate, altrimenti la conseguente rivalutazione e miglioramento dell’isolante potrebbe portare a costi elevati.

2.2 Ottimizzazione di processo

Questa soluzione può essere divisa concettualmente in due parti: la prima riguarda l’ottimizzazione della singola unità scegliendo la tecnologia più efficiente in condizioni ideali. La seconda si occupa dell’integrazione di processo effettuando un’analisi a livello di sistema attraverso la pinch analysis. Il metodo consiste nel prendere in considerazione tutte le fonti di energia, termica e frigorifera, presenti nel ciclo produttivo valutando i possibili punti di accoppiamento tra i flussi energetici a disposizione. L’analisi si basa sulla minima energia termodinamicamente richiesta dal singolo processo.

Il cambio di tecnologia, con unità più efficienti, risulta prioritario nei confronti dell’analisi a livello di sistema, in quanto comporta una variazione nelle prestazioni dei componenti che risulta più energeticamente interessante rispetto all’integrazione di processo.

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2.2.1 Ottimizzazione delle unità tecnologiche divise per processo

Un calo della domanda di energia richiesta rispecchia un miglioramento ed un efficientamento tecnologico. L’intensità energetica, intesa come il consumo specifico di energia, può essere misurata con diversi fattori siano essi fisici od economici ed essa dipende fortemente dalla taglia del birrificio. Rapportandosi all’energia specifica consumata risulta che più grande è l’impianto e minore sarà il consumo specifico misurato [2]. Nei paragrafi seguenti si elencano le tecnologie specifiche atte al miglioramento dell’efficienza energetica nel settore di produzione della birra divise per processo. I processi produttivi sui quali si è puntata la lente di ingrandimento sono quello dell’ammostamento, di bollitura e raffreddamento e di lavorazione della birra quale prodotto finito. L’analisi non sviluppa il tema relativo alle tecnologie di recupero energetico nel settore della fermentazione in quanto conveniente solo per piccoli birrifici e nonostante ciò di scarsa diffusione anche per essi [2].

Ammostamento

Nel processo di ammostamento gli accorgimenti che si possono adottare per il risparmio energetico sono il recupero di calore di scarto e l’utilizzo di filtri a compressione. Nel primo caso il calore di scarto può essere recuperato dal mosto stesso o da un serbatoio di acqua calda ed utilizzato per il preriscaldamento del mosto o addirittura per la pastorizzazione. Generalmente i serbatoi convenzionali necessitano l’apporto di alcune modifiche per garantire il recupero di questo calore [18]. Nel secondo caso i filtri a compressione, invece che i filtri a piastre, riducono i costi di pulizia poiché puliti ad aria e non ad acqua, aumentano la resa e riducono i consumi di acqua. I produttori affermano che questi filtri sono responsabili di una riduzione della quantità di ‘grani spenti’, composti solidi dai quali è ancora possibile recuperare estratto di malto, e del ciclo di lavoro aumentando la possibilità di produrre più cotte di mosto al giorno [19].

Bollitura e raffreddamento

La bollitura del mosto ed il consequenziale raffreddamento rappresentano i processi più energivori nella produzione della birra, dunque interventi mirati e ragionevoli potrebbe portare a delle riduzioni di consumo significative. Il calore sprigionato dalla bollitura del mosto, ad alto contenuto energetico, può essere recuperato o con condensatori a spruzzo o con scambiatori di calore [10]. Il calore proveniente dai vapori può essere asservito al preriscaldamento del mosto mentre il calore proveniente dalle condense di vapore per la produzione di acqua calda per la pulizia o lavaggio dei fusti o per il riscaldamento degli ambienti. La quota di energia recuperabile dal processo di bollitura risulta essere quantitativamente interessante indipendentemente dallo specifico caso studio

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Stato dell’arte sul recupero energetico nei birrifici

17 preso in esame. Alcuni sistemi riescono a recuperare più del 60% dell’energia richiesta per la bollitura del mosto [10].

Si può ottenere un risparmio di energia attraverso la bollitura in sovrappressione. Con la convenzionale bollitura atmosferica le temperature massime raggiunte sono nell’ordine dei 100 °C, in quanto la densità del mosto è approssimabile a quella dell’acqua. Se il mosto viene compresso a pochi decimi di bar di sovrappressione la temperatura massima può arrivare tra i 102 °C e i 108 °C il che comporta un tasso di evaporazione ed un costo di evaporazione minore rispetto alla bollitura atmosferica così come una minore produzione di acqua di servizio. Per ottenere la compressione di vapore si può agire per via meccanica o per via termica. Per entrambe le strategie applicative il vapore di mosto viene espanso ed il condensato recuperato in un serbatoio. Tali sistemi funzionano in maniera adeguata e corretta se il processo risulta continuo per lunghi periodi. Nella compressione termica di vapore una parte di esso viene compresso ad alta pressione e riutilizzato [18]; l’adozione di questa strategia tecnologica è associata a macchinari meno costosi ma soggetti a pressioni più elevate e alla possibilità di ritorno del condensato nell’impianto di vapore. La possibilità di contaminazione associata comporta l’accoppiamento con una tecnologia di purificazione del vapore condensato. Nella strategia di ri-compressione meccanica di vapore il contenuto energetico del calore prodotto è più elevato di quello associato all’energia elettrica per ri-comprimere il vapore [18]. In questo caso la richiesta di energia elettrica è maggiore rispetto alla compressione termica in quanto occorre al funzionamento del compressore e della pompa di circolazione.

Un’ulteriore possibilità di bollitura è quella che utilizza un sistema di bollitura esterno: il cosiddetto sistema di bollitura Merlin. La tecnologia consiste nell’affiancare due serbatoi, uno di whirpool ed un altro di forma conica riscaldato, nel quale avviene la bollitura. Il mosto si trasferisce continuamente da un serbatoio all’altro permettendo l’evaporazione del film superficiale di liquido. L’aumento di superficie ed esposizione al calore riduce il tasso di evaporazione convenzionale dall’8% al 4% riducendo considerevolmente la richiesta di combustibile [20].

La possibilità di riduzione del consumo di combustibile è anche dall’utilizzo di sistemi di strippaggio. Questa tecnologia divide la bollitura in due fasi: nella prima si raggiunge la temperatura di ebollizione senza significativa evaporazione, nella seconda fase, dopo il processo di chiarificazione e prima di quello di raffreddamento ci si affida al processo di stripping. Nella colonna di stripping si utilizza un flusso di vapore che condensa e si ferma il processo fino a quando il mosto non ha ottenuto i livelli di contenuto di volatili pari a quelli che si ottengono nel

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processo tradizionale. Il tasso di evaporazione ottenuta è del 2% [21] e, oltre al risparmio di combustibile, si riduce anche il tempo di bollitura [22].

Alcuni birrifici, per ridurre gli scarti di prodotto e i costi legati al lavaggio e all’acqua di scarto, hanno virato sulla produzione di birra ad alta densità. Questa filosofia permette di risparmiare considerevolmente energia in quanto dopo filtrazione il mosto viene diluito con acqua fino a raggiungere un livello di alcol desiderato. Questa soluzione però ha notevole influenza sulle caratteristiche del prodotto finale, sulla stabilità della schiuma, sintomo di qualità, ed infine ha influenza sui lieviti [19].

Il raffreddamento del mosto può rappresentare una delle misure di recupero più significative nei birrifici. Normalmente esso è raffreddato da scambiatori a piastre entrando ad una temperatura tra i 96 °C e i 99 °C ed uscendo tra i 5 °C e i 9 °C per le birre a bassa fermentazione e tra i 15 °C e i 18 °C per quelle ad alta fermentazione. L’acqua calda prodotta da questo raffreddamento può raggiungere gli 85 °C e può essere usata per l’ammostamento successivo [23]. Il fabbisogno di energia in ingresso è inferiore negli scambiatori multistadio, raffreddati ad acqua e glicole, rispetto a quelli a singolo stadio raffreddati ad acqua [24].

Tecnologie inerenti la lavorazione della birra

In questa sezione vengono presentati i possibili interventi tecnologici che possono essere applicati alla lavorazione del prodotto finale che tecnicamente è considerato tale solo dopo la fermentazione dove il mosto si trasforma in birra.

La microfiltrazione adibita a scopi di sterilizzazione e chiarificazione può rappresentare una valida alternativa alla pastorizzazione in quanto si riducono i costi di smaltimento con l’utilizzo di membrane le quali possono sostituire i filtri per le farine fossili. Ad oggi non si hanno riscontri sull’utilizzo di microfiltrazione nei birrifici ed essa potrebbe consumare più di quanto recuperi [25]. Il concetto di recupero di calore nel pastorizzatore può essere sviluppato in termini di utilizzo di pompe di calore o scambiatori per sfruttare la potenza termica contenuta dall’acqua di scarto [10]. Convenzionalmente tutti i moderni pastorizzatori usano una forma di recupero di calore interna, ma la pompa di calore può essere accoppiata e associata alle richieste di riscaldamento e raffreddamento del lava bottiglie.

È ormai riconosciuto il minor consumo di energia attribuibile ad un pastorizzatore flash rispetto ad uno a tunnel. Questa vantaggiosa tecnologia è utilizzata in sistemi in linea dopo il riempimento ed ha il compito di scaldare per breve tempo il liquido ad alte temperature per raffreddarlo velocemente in modo da garantire una sterilizzazione ed una durata delle caratteristiche del

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19 prodotto superiori ad un anno. Il pastorizzatore flash richiede meno spazio, meno fluido refrigerante e meno elettricità del pastorizzatore a tunnel il quale comporta maggiori costi di investimento e di manutenzione ma risulta essere quello più idoneo per la produzione di birra in bottiglie di vetro.

2.2.2 Ottimizzazione a livello di sistema attraverso la pinch analysis

La metodologia della pinch analysis prevede l’interazione e la connessione dei flussi termici e dei flussi frigoriferi del processo in un modo che esso sia termodinamicamente ottimale. L’integrazione di processo garantisce l’idoneità dei componenti in termini di taglia, funzionalità e capacità. Tale analisi individua e corregge il vincolo limitante le prestazioni in un processo di fabbricazione [26] in questo caso rappresentato dal ΔTmin. Ciò che è necessario è la costruzione delle curve composite di riscaldamento e raffreddamento che rappresentano la domanda di energia termica e i profili di disponibilità del processo nel suo complesso. Qualora le si disegnasse su un grafico in cui sull’asse delle ascisse ci fosse la temperatura e su quello delle ordinate l’entalpia, esse mostrerebbero il punto di pinch ovvero il punto in cui le curve di riscaldamento e di raffreddamento sono più vicine. Oltre a ciò il diagramma mostrerebbe i requisiti minimi ideali di riscaldamento e raffreddamento che vengono successivamente presi come obbiettivi energetici o come parametri di riferimento da raggiungere. Il mezzo per raggiungerli è la costruzione di una rete di scambiatori di calore e di accumuli inerziali per soddisfare il mismatch tra domanda e l’offerta. La temperatura di pinch è trovata tramite un trade-off tra i consumi energetici e i costi d’investimento in modo tale da raggiungere un pay back time ragionevole. È opportuno sottolineare che questo approccio ha validità qualora i flussi di energia termica e frigorifera non siano soggetti a larghe variazioni temporali. A causa della complessità del design della rete di scambiatori di calore nei birrifici, le reti di integrazione di calore e gli annessi sistemi di stoccaggio devono essere studiati ed analizzati per il singolo caso in esame. Nonostante ciò il risparmio energetico attraverso l’uso della pinch analisys potrebbe risultare interessante e superare quello raggiunto dalle convenzionali tecniche di recupero come lo sfruttamento del calore dai gas di scarico, il monitoraggio automatico delle reti e degli scaricatori di condensa ed il miglioramento dell’isolamento del sistema di distribuzione del vapore [26].

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2.3 Integrazione di calore da fonti rinnovabili

Il calcolo della minima domanda di energia richiesta è utile nella valutazione delle efficienze di distribuzione e di processo e contribuisce nello stimolare la crescita di esse. Un aspetto importante è quello di associare la potenza termica disponibile a certe temperature per alimentare processi alle stesse temperature come ad esempio il preriscaldamento del mosto e del tino di ammostamento attraverso l’energia termica rilasciata dal raffreddamento del mosto dopo bollitura.

L’integrazione nel processo di fonti rinnovabili è consequenziale a quella di integrazione di calore in modo tale da assicurare che sistemi addizionali non siano istallati qualora il calore di scarto potesse asservire a qualsiasi scopo di riscaldamento. Quindi il primo passo risulta essere quello di assicurare un’efficiente integrazione di processo che comporti l’uso di calore scartato ove possibile per la riduzione della domanda.

2.3.1 Integrazione di calore tramite cogenerazione

Dopo aver assicurato una corretta ed efficiente integrazione di calore si prende in considerazione la domanda di energia misurata con le curve di carico annuali a differenti livelli di temperatura. L’integrazione con fonti rinnovabili dipende dal livello di temperatura della domanda richiesta, dal comportamento ai carichi parziali, dalla possibilità di allacciamento al sistema di distribuzione esistente e dalle risorse disponibili. La priorità a livello di integrazione di calore da fonte rinnovabile è data a sistemi a basse temperature per soddisfare richieste di energia a basse temperature come il calore proveniente da impianti esistenti di cogenerazione. L’importanza dei costi dell’elettricità e la consistente domanda di vapore hanno portato allo sviluppo di sistemi di generazione in situ. Si ricorda che i principali consumatori di elettricità sono i macchinari (per la compressione dell’aria, gli equipaggiamenti, le pompe) ed il processo di refrigerazione mentre i principali consumatori di energia termica sono le operazioni di produzione e pastorizzazione della birra. La cogenerazione diventa quindi un’alternativa molto valida in termini economici soprattutto se l’unità procede a pieno carico per almeno 5000 ore annue [10]. I motori alternativi sono circa due volte più economici delle turbine ma non producono la stessa quantità di vapore e non hanno la stessa efficienza nel ciclo combinato [17]. Si può inoltre valutare la possibilità di usare una turbina a gas ad iniezione di vapore per siti con variazione di carico termico. Un’ulteriore alternativa può essere rappresentata dalla cogenerazione associata ad un raffreddamento ad assorbimento nella quale il calore di scarto della cogenerazione può essere usato per alimentare una macchina ad assorbimento e produrre come effetto utile un carico frigorifero.

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Stato dell’arte sul recupero energetico nei birrifici

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2.3.2 Integrazione di calore tramite solare termico

Il potenziale di questa tecnologia è alto in ogni processo e può essere preso in considerazione il sistema a concentrazione nei Paesi con elevata componente diretta della radiazione solare. Il caso ideale è rappresentato dalla disponibilità di un sistema di distribuzione di acqua calda per poter integrare il solare termico con perdite relative abbastanza basse [27].

Qualora il calore di scarto recuperato fosse in grado di soddisfare le richieste di energia sotto il punto di pinch, la potenza termica associata alla tecnologia del solare dovrà essere integrata sopra questo punto; viceversa se il recupero di calore non riesce a far fronte alla domanda, per esempio di acqua calda, ci penserà il solare termico. La progettazione di una rete intelligente non rende necessaria la richiesta di riscaldamento di acqua calda. Le elevate temperature raggiunte sono sfruttate inizialmente per l’integrazione di processo e successivamente, per produrre acqua calda, si useranno risorse a bassa temperatura. Se non è possibile l’utilizzo di risorse disponibili a basse temperature, il solare termico rappresenta un’ottima alternativa per la produzione di acqua calda. Il potenziale del solare termico, a causa dei livelli di temperatura richiesti dai processi, è maggiormente sfruttato nei processi di ammostamento e di packaging. Se nel primo processo l’integrazione della fonte rinnovabile solare significa un cambio radicale di tecnologia, il secondo si presta ad un accoppiamento con scambiatori di calore esterni nel reparto di lavaggio bottiglie [27].

2.3.3 Integrazione di calore tramite sistemi a biogas o biomasse

Per far fronte alla restante parte di energia termica richiesta ad alte temperature si prende in considerazione la possibilità di progettare sistemi a biogas o biomasse. I primi sono preferibili ai secondi in quanto vi è maggior possibilità di allacciamento alla rete locale [27]. Questa soluzione potrebbe essere quella tecno-economica più conveniente se la caldaia coprisse il fabbisogno di picco e rispondesse in maniera sufficientemente accettabile alle variazioni di carico dato che alcune infrastrutture potrebbero essere già disponibili e vi è la concreta possibilità di cooperazione con gli esistenti impianti a biogas e la locale rete gas. Qualora si decidesse di spingere in direzione dell’adozione di questo sistema risulterebbe necessario l’utilizzo di un processo di asciugatura dei grani per ridurre la percentuale di umidità nel combustibile [7].

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2.4 Istituzione di un programma di gestione energetica

L’ultima macro-area di intervento finalizzata più al risparmio che al recupero energetico riguarda un’adeguata organizzazione della gestione energetica che potrebbe rappresentare una delle soluzioni più efficaci e convenienti per apportare miglioramenti. L’attuazione di un corretto programma di gestione dell'energia creerebbe una base per il miglioramento e fornirebbe le future linee guida da seguire. Anche quando l'energia rappresenta un costo rilevante, molte aziende non hanno ancora sensibilità per migliorare la gestione energetica a causa di una mancanza di comunicazione tra reparti o di una scarsa comprensione di come creare uno strumento per migliorare l’efficienza produttiva. Il mezzo per raggiungere l’obbiettivo è l’istituzione di un programma di gestione di energia che si fonda sulla valutazione delle prestazioni e sulla revisione periodica dei dati sul consumo energetico. Le informazioni raccolte durante il processo di revisione aiutano a fissare i nuovi obiettivi di performance e le nuove strategie, identificando le migliori. Occorre inoltre stimolare la comunicazione tra reparti.

Un aspetto molto importante per assicurare il successo della strategia stabilita è il coinvolgimento del personale. Esso dovrebbe essere consapevole degli obiettivi energetici fissati e tramite alcuni accorgimenti riguardanti il proprio comportamento giornaliero potrebbe aiutare considerevolmente l’azienda nel raggiungere i propri obbiettivi.

I seguenti accorgimenti potrebbero risultare significativi nel computo energetico totale qualora non venissero rispettati. Agli operatori si chiede di spegnere motori, ventilatori e macchine quando non vengono utilizzati, soprattutto alla fine della giornata lavorativa e durante le pause ma anche quando non sono utili alla produzione, alla qualità ambientale o alla sicurezza. Si chiede inoltre di accendere gli apparecchi non prima del necessario per raggiungere le impostazioni corrette (temperatura, pressione) al momento di inizio. Il personale è tenuto a spegnere le luci non necessarie e gli impianti di ventilazione meccanica negli uffici o negli edifici condizionati la notte e nel fine settimana. Agli operatori è richiesta la segnalazione di eventuali perdite di liquidi (sia acqua di processo e rubinetti che gocciolano), vapore e aria compressa e assicurarsi che siano riparati in fretta. Il momento migliore per controllare le perdite è un momento di fermo come il fine settimana. Infine il personale, nell’assicurarsi che zone non occupate non siano riscaldate o raffreddate, è tenuto a verificare che i set point di riscaldamento e raffreddamento non siano rispettivamente troppo alti o bassi e l’eventuale apertura di porte e finestre [16].

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Capitolo 3

Impianto

Come anticipato precedentemente, la fase di bollitura del mosto è uno dei processi a più alto fabbisogno energetico nella filiera di produzione della birra e, date le alte temperature presenti è anche quella che meglio si presta al recupero energetico. Per questo si è deciso di porre l’attenzione proprio su questa sezione.

Nel seguente capitolo viene descritta la parte di impianto posta sotto analisi, illustrando le caratteristiche di ogni componente ed il loro funzionamento.

3.1 Schema di impianto

La Figura 3 mostra il sinottico dell’impianto della sala cottura. Si può notare che Carlsberg® adotta già un sistema di recupero dell’energia che prevede un condensatore dei vapori provenienti dalla caldaia usato per scaldare acqua tecnica che viene impiegata a sua volta per preriscaldare il mosto in ingresso alla caldaia nella cotta successiva.

3.2 Scambiatore di preriscaldamento del mosto

L’analisi presenta come punto di partenza lo scambiatore adibito al preriscaldamento del mosto prima che venga mandato in caldaia per la bollitura. Il mosto arriva ad una temperatura di circa 75 °C dalla precedente fase, l’ammostamento. É quindi riscaldato fino ad una temperatura di circa 94 °C da acqua tecnica proveniente da un serbatoio di accumulo. Lo scambio di calore tra i due fluidi è possibile grazie ad uno scambiatore a piastre da quattrocentodiciassette piastre, suddiviso in duecentootto canali per il mosto e duecentootto canali per l’acqua tecnica a doppio flusso.

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24 F ig ura 3 : Sin o ttico p ar ziale d i im p ian to : il p ro c ess o p ro d u ttiv o d i c o ttu ra

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Impianto

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3.3 Caldaia del mosto

Il mosto preriscaldato viene trasferito all’interno della caldaia dove verrà portato a bollitura finché non si raggiunge una quantità di evaporato come depositato nella ricetta di birra che si sta producendo. La caldaia presenta una forma cilindrica con un fondo ricurvo e un coperchio a cono per convogliare l’evaporato. La trasmissione di calore viene realizzata attraverso zone di riscaldamento sul fondo del recipiente e nell’intelaiatura, queste ultime sono formate da semi-tubi saldati che garantiscono un preciso flusso del fluido termovettore ed uno scambio termico omogeneo. Sul fondo è presente un agitatore a pala, con profilo speciale, che permette una miscelazione ottimale. Il mosto viene solitamente portato ad ebollizione a pressione atmosferica, quindi viene scaldato ad una temperatura di circa 100 °C. Durante la bollitura però è possibile che si verifichino dei cicli in cui la pressione viene aumentata per favorire l’evaporazione di componenti volatili indesiderate, di conseguenza la temperatura può superare i 100 °C. Il fluido termovettore che scorre nei tubi è vapore surriscaldato ed è possibile variarne la temperatura agendo sulla pressione alla quale viene mandato alla caldaia. Tutta la caldaia è isolata per minimizzare al massimo le dispersioni di calore.

3.4 Pfaduko (condensatore dell’evaporato)

Il pfaduko è uno scambiatore di calore a fascio tubiero pensato per il recupero di calore dai vapori della cottura. L’evaporato entra all’interno del condensatore e, tramite delle lamiere, viene direzionato in modo che si abbia un moto di tipo cross-flow attraverso i tubi. Nei quattrocentotrentasei tubi presenti scorre acqua tecnica proveniente dallo stesso serbatoio di accumulo, dal quale viene prelevata l’acqua per il preriscaldamento del mosto. Il pfaduko può essere visto come l’organo di carica del serbatoio di acqua tecnica, mentre il preriscaldatore come quello di scarica. L’acqua viene immessa ad una temperatura iniziale di circa 83 °C e fuoriesce a circa 99 °C. Sul ramo di mandata dell’acqua è presente una valvola di regolazione di portata che, a seconda di quale dei due parametri si ha la necessità di regolare, può variare il flusso del fluido termovettore per modificare la temperatura di uscita o per gestire la pressione all’interno del pfaduko stesso. Nel condensatore sono presenti altre due valvole adibite allo scarico dei vapori, la prima funge da by-pass al camino principale, la seconda è una valvola di sicurezza nel caso in cui vengano raggiunte pressioni critiche all’interno del pfaduko. La circolazione dell’acqua tecnica nei tubi viene abilitata nel momento in cui è presente del vapore da condensare e ciò accade durante la cottura. É però possibile interrompere l’afflusso d’acqua nel caso in cui la temperatura in ingresso sia superiore ad una soglia massima, in tal caso la valvola di scarico vapori deve intervenire per

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